Informazione


Roma, mercoledì 1 febbraio 2012
ore 17.30, Università La Sapienza
Aula 11 Facoltà di Geologia (1 piano)


FOIBE: tra storia e mito

Seminario con SANDI VOLK, storico

promuovono:
Cipec Punto Rosso, Centro Studi A.Gramsci, Resistenza Universitaria


evento Facebook: http://www.facebook.com/events/215063791920781/

locandina: http://www.diecifebbraio.info/2012/01/roma-122012-foibe-tra-storia-e-mito/

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Il giorno della memoria corta

1) Il giorno della memoria corta
2) Chiuso il Memoriale degli Italiani ad Auschwitz
- Appello a Napolitano per il Memoriale italiano di Auschwitz (28 Novembre 2011)
- Non cancellate il Memoriale degli Italiani ad Auschwitz (3 Agosto 2011)
- Testimonianza di Giuseppe Zambon (9 Agosto 2011)


=== 1 ===

LINK CONSIGLIATI:
2010: Perché la giornata della Memoria non funziona
http://www.olokaustos.org/2010.htm
27 gennaio 1944: L'Esercito sovietico rompe definitivamente l'assedio di Leningrado durato circa 900 giorni
http://www.marx21.it/storia-teoria-e-scienza/storia/882-27-gennaio-1944-la-fine-dellassedio-di-leningrado.html
27 gennaio 1945: I cancelli di Auschwitz aperti dall'Armata Rossa
http://www.marx21.it/storia-teoria-e-scienza/storia/881-27-gennaio-1945-i-cancelli-di-auschwitz-aperti-dallarmata-rossa.html

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http://www.ilbriganterosso.info/2012/01/27/il-giorno-della-memoria-corta/

Il giorno della memoria corta

27 gennaio 2012

La storia: il 27 gennaio del 1945 le truppe dell’Armata Rossa dell’Unione Sovietica guidata da Stalin, durante l’offensiva verso Berlino, giunsero nella città di Auschwitz e liberarono i superstiti del campo di sterminio tedesco mostrando al mondo le barbarie del nazifascismo. Nei vari campi di sterminio furono torturati ed assassinati nell’ordine ebrei, prigionieri di guerra sovietici, polacchi non ebrei, rom e sinti, disabili e pentecostali, massoni, omosessuali, testimoni di Geova, dissidenti politici, slavi etc.
L’informazione (fonte «La Repubblica»): «istituito dieci anni fa, il Giorno della Memoria si celebra il 27 gennaio perché in questa data le Forze Alleate liberarono Auschwitz dai tedeschi. Il ricordo passa anche dal web, con un database con le schede degli ebrei italiani che furono deportati e “Memoro” progetto creato dall’Associazione Banca della Memoria».
Spariscono i liberatori, spariscono gran parte delle vittime.


=== 2 ===

Inizio messaggio inoltrato:

Da: Andrea Martocchia 
Data: 30 novembre 2011 21.25.09 GMT+01.00
Oggetto: Appello a Napolitano per il Memoriale italiano di Auschwitz




Appello a Napolitano per il Memoriale italiano di Auschwitz

Pubblicato il 28 Novembre 2011

Dopo aver lanciato un appello ai colleghi tedeschi, architetti ed esperti di beni culturali scrivono al Presidente della Repubblica un appello per la riapertura, conservazione e valorizzazione in situ del memoriale italiano di Auschwitz. Nel numero di dicembre, Sapere dedicherà il dossier proprio alla storia di questo monumento e alla Shoah. 

Egregio Signor Presidente,
Lo scorso primo luglio il Memoriale italiano nel Campo/Museo di Auschwitz è stato chiuso per unilaterale decisione della Direzione del Museo/KZ di Auschwitz-Birkenau, con la motivazione che si tratta di un’opera non rispondente alle Linee Generali per gli allestimenti delle mostre nazionali adottate in Polonia nel 1990, perché sarebbe “opera d’arte fine a se stessa”, “priva di valore educativo”.
Ricordando che il Memoriale è prima di tutto opera di due testimoni, Lodovico Belgiojoso Primo Levi, coadiuvati da altri autori ai quali le Accademie Italiane con il Suo Alto Patrocinio hanno riconosciuto nella Giornata della Memoria 2011 le massime onorificenze, e vale pertanto primariamente come opera di testimonianza; che rappresenta anche un monumento Architettonico di valore internazionale, secondo Bruno Zevi; che iniziato nel 1972 e realizzato nel 1979-80 fa parte integrale del Konzentrazionslager di Auschwitz-Birkenau, dichiarato sito Unesco nel 1979; ci rivolgiamo a Lei come garante della storia della Nazione e del rispetto di questa nel consesso internazionale contro la chiusura del Memoriale italiano di Auschwitz.
A quaranta anni dalla ideazione ed a trenta dalla sua realizzazione, il Memoriale italiano di Auschwitz ha guadagnato una storicità che si aggiunge a quella originaria e documentale della testimonianza diretta; e, secondo il principio rivendicato da Elie Wiesel in occasione del recente furto della scritta di ingresso al Museo, deve essere conservato e non può essere sottoposto ad aggiornamenti perché come “tutto ciò che è al di là del filo spinato non è disponibile”.
Sia consentito fare presente ancora che
1. il Memoriale costituisce l’unico esempio di allestimento che risponde perfettamente alle Linee Guida di recente formulate per la conservazione di Auschwitz, lasciando intatta la struttura edilizia in cui trova sede, pur legandosi al sito nel modo più confacente e creativo al contempo (certamente entro i limiti delle coordinate del tempo al quale appartiene); 
2. non risultano atti specifici di carattere pubblico, di rilevanza statale polacca ovvero internazionale, cioè vidimati dal Comitato Internazionale di Auschwitz, che esprimano un giudizio negativo sul Memoriale italiano;
3. il Governo Italiano non ha mai presentato la proposta di accordo denominata “Progetto Glossa” - approvato dall’ANED nel Congresso Nazionale dell’Ottobre 2008- agli organi nazionali e internazionali di Auschwitz chiedendo alla Direzione del Museo di Auschwitz e al Comitato Internazionale di esprimere specifico e motivato parere;
4. non risulta che l’ANED, come proprietario del Memoriale e soprattutto organismo unitario della memoria della deportazione italiana nei campi di sterminio nazista, abbia mai approvato la possibilità di un trasferimento del Memoriale di Auschwitz nell’ex campo di Fossoli, che risulterebbe “snaturante” così per il Memoriale, concepito “per” Auschwitz e “progettato” per inquadrare “quel” luogo di memoria, palesemente non interscambiabile, come per Fossoli, a sua volta luogo di memoria “propria” e altrettanto non interscambiabile;
5. risulta poco comprensibile che l’Italia accetti di riconoscere il Memoriale come bene culturale “dopo” l’eventuale trasferimento da Auschwitz, poiché trasferimento e riconoscimento sono tra loro incompatibili e si autoescludono.
Tutti noi studiosi, studenti, organizzazioni, ordini professionali, istituzioni, università, personalità italiane, polacche e internazionali, confidiamo che la Sua grande capacità di conservare il senso delle cose sopra le parti aiuti a ribadire che il Memoriale italiano di Auschwitz è il contributo che l’Italia Repubblicana nata dalla Resistenza intese offrire alla comunità internazionale nel luogo simbolo della organizzazione dello sterminio nazista e come tale ha contribuito allo stesso divenire della identità di Auschwitz.
Confidiamo che la Sua parola riesca a convincere tutti che è interesse nazionale dell’Italia e internazionale del campo-museo di Auschwitz di lasciare il Memoriale come è e dove è, restaurando quanto è malandato (come si sa l’arte contemporanea è deperibile in modo speciale), aggiungendo, senza disturbare in nessun modo il Memoriale, le innovazioni necessarie ed opportune a renderlo “dialogante” con le nuove generazioni, grazie anche a mezzi di comunicazione che erano inimmaginabili al tempo in cui l’opera fu pensata, ma proprio per questo costituente una testimonianza unica e preziosa per Auschwitz. La quantità di questa aggiunta e dei supporti tecnologici a fine didattico-pedagogico può essere discussa bilateralmente con gli organismi del campo-museo e collegialmente tra le varie componenti della deportazione italiana,  specialmente quelle ebraiche che lo richiedono con maggior forza e determinazione, ma possiamo stare certi che vada ridotta al minimo indispensabile, perché già oggi i padiglioni rinnovati con grande enfasi ostensiva appaiono omologati ed obsoleti: semplicemente incomparabili con il nostro Memoriale.
Le chiediamo intervenire perché al più presto vengano tolti gli offensivi sigilli al Memoriale, ripristinando così il suo stato di patrimonio comune dell’umanità, e perché il Governo Italiano, grazie al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, lo dichiari bene culturale italiano, dando veste al mandato che il Memoriale ha storicamente svolto fino alla chiusura del 1 luglio.

[seguono firme]


Inizio messaggio inoltrato:

Da: Andrea Martocchia 
Data: 08 agosto 2011 23.53.45 GMT+02.00
Oggetto: [storia_e_conflitto] Chiuso il Memoriale degli Italiani ad Auschwitz

 


L'appello che segue ha almeno - a mio avviso - due limiti: il fatto che si rivolge ad una istituzione tedesca, e l'accenno che fa in termini positivi al dibattito sui "due totalitarismi" che ha imperversato proprio in Germania, portando in realtà a scempi criminali quali la distruzione del Palast der Republik a Berlino e di grandi testimonianze dell'antifascismo in tutta la ex DDR. Ciononostante mi sembra indispensabile farlo girare perchè (a) il fatto in questione è pochissimo noto in Italia (b) nell'appello si ricorda il valore storico-artistico dell'opera di cui si impone la chiusura (c) in esso si menziona anche esplicitamente qualche ragione ideologica di questo accanimento. 

Su quest'ultimo punto credo valga la pena di rincarare la dose... dicendo la mia. Il tentativo di "schiacciare" la memoria del genocidio nazista piegandola tutta esclusivamente sulla componente ebraica è da vent'anni ovunque palese ed ha ragioni politiche chiarissime; esso rischia di arrecare grave danno alla già labile conoscenza storica di massa, laddove le "memorie" non-ebraiche sono obliterate tout court. Per quanto riguarda l'Italia, ad esempio, è sotto agli occhi di tutti il fatto che centomila internati jugoslavi sulla nostra penisola (1941-1945) non "pesano" nella storiografia e nelle coscienze nemmeno una minima frazione di quanto pesano invece i deportati del Ghetto di Roma o in generale gli internati e le vittime ebraiche delle leggi razziali. Allo stesso modo, in Europa pochissimi conoscono la tragedia delle vittime rom, serbe, ucraine non-cattoliche, eccetera, perite nei lager dei collaborazionisti del nazifascismo. Dove si intende arrivare?


Non cancellate il Memoriale degli Italiani ad Auschwitz


di Sandro Scarrocchia | Pubblicato il 03 Agosto 2011 10:01

Per la conservazione integrale del Memoriale Italiano e dell’ex Konzentrationslager di Auschwitz-Birkenau: un appello ai colleghi della Deutsche Denkmalpflege
“Il Memoriale in onore degli Italiani caduti nei campi di sterminio nazisti, voluto dall’Associazione nazionale ex deportati politici nei campi nazisti, è stato realizzato grazie alla collaborazione di alcuni importanti nomi della cultura italiana del Novecento. Il progetto architettonico è dello studio BBPR e inserisce nel (…) Blocco 21 di Auschwitz I una spirale (…) all’interno della quale il visitatore cammina come in un tunnel. La spirale è rivestita all’interno con una tela composta da 23 strisce dipinte da Pupino Samonà seguendo la traccia di un testo scritto da Primo Levi. Dalla passerella lignea che conduce il visitatore nel tunnel sale la musica di Luigi Nono, Ricorda cosa ti hanno fatto in Auschwitz. Nelo Risi contribuì alla realizzazione con la sua competenza di regista”.  Il Memoriale (1975-1980) così descritto dalla voce italiana di Wikipedia è stato chiuso lo scorso 1° luglio per unilaterale decisione della Direzione del Museo/KZ di Auschwitz-Birkenau, con la motivazione che esso costituisce opera di “art pour l’art” e che, pertanto, non risponde alle Linee Generali per gli allestimenti delle mostre nazionali adottate in Polonia nel 1991.
Sulla prima affermazione: essa è tanto ignorante, quanto inconsistente. Ignora, infatti, che il Memoriale  è opera di “testimonianza diretta”, in quanto i committenti raccolti nell’Associazione nazionale ex deportati politici nei campi nazisti - ANED ed alcuni degli autori (l’architetto Lodovico Belgiojoso e lo scrittore Primo Levi) sono sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti. La testimonianza però è data, per scelta unanime e condivisa da tutti i protagonisti di allora (di tutte le fedi e di tutte le appartenenze politiche), nella forma dell’arte, nel caso specifico di “istallazione artistica” multimediale, nei limiti delle possibilità degli anni ’70. L’inconsistenza, invece, deriva dal fatto che questa “testimonianza/opera” è contestuale alla dichiarazione Unesco di Auschwitz patrimonio dell’umanità avvenuta nel 1979.

La seconda affermazione è semplicemente anacronistica, cioè avulsa dal contesto temporale in quanto “retroattiva” e, perciò, decontestualizzante. Le Linee Guida, inoltre, sono talmente generiche che in base ad esse la Direzione può dichiarare la “inadeguatezza” del Memoriale Italiano e salutare al contempo come “esempi” le nuove esposizioni di Ungheria e Francia che contraddicono apertamente le medesime. Infatti: il principio di intangibilità della sostanza materica del Campo è rispettato integralmente dal Memoriale Italiano (con sedici anni di anticipo, dunque, sulla elaborazione di quelle Linee e in virtù di una tradizione architettonica italiana che ha fatto scuola nel mondo) e tradito clamorosamente dai nuovi allestimenti citati.
Se si fa eccezione per il comunicato implausibile apparso il primo luglio sul sito ufficiale di Auschwitz, non ci sono atti conosciuti che testimonino una qualche istruttoria della grave decisione.
Voi, esponenti, rappresentanti e studiosi della Deutsche Denkmalpflege, conoscete gli estremi della vicenda del Memoriale Italiano, perché ne ho reso conto nella raccolta di scritti in onore di una delle maggiori personalità della disciplina, Georg Mörsch (1).

Voi, per la serietà che vi contraddistingue agli occhi del mondo - e che io conosco per essermi formato presso di voi e con alcuni di voi - siete l’unico Paese, accanto al Sud Africa di Nelson Mandela e ora all’Australia, che si è posto il problema della intangibilità e condivisione della memoria per l’oggi e per le generazioni future. Avete prodotto una documentazione e un dibattito che non ha eguali sulla memoria dei due differenti totalitarismi, il Nazismo e il Comunismo dell’ex DDR.

Tutto ciò, nella evaporazione politica e istituzionale del mio Paese - nella lingua del quale mi rivolgo a voi, che declassata in Europa resta pur sempre la lingua madre della storia dell’arte - è impensabile. Vi chiedo, pertanto, di intervenire nel merito della questione del Memoriale Italiano, in quanto esso “è” Auschwitz, ne fa parte integrante (pur essendo diventato ora, suo malgrado, simbolo di conflitti - del revisionismo di destra e di sinistra dell’Italia di oggi, dell’integralismo che pervade la cultura ebraica, dell’anticomunismo rivendicato dalla politica polacca, della “sindrome degli anni 70” che percorre l’intero pianeta).

Vi chiedo, dunque, se vi sembra accettabile la trasformazione di Auschwitz in una fiera dell’allestimento e delle più strampalate ipotesi museografiche, pertanto anche museologiche, didattiche e pedagogiche.
Vi sembra possibile che mentre i colleghi polacchi -i massimi rappresentanti della conservazione dei due istituti storici di Varsavia e Cracovia- restaurano i Blocchi A2 e A3, finora chiusi al pubblico, come si trattasse della Cappella Sistina, anzi, forse, con maggior “prudenza”, nei blocchi limitrofi il campo si trasformi in un cantiere di produzione di “nuovi scenari” nazionali, che intaccano la sostanza materiale, storica, edilizia che l’Unesco aveva dichiarato “patrimonio dell’umanità”?
Dichiarando guerra al Memoriale Italiano è stata infranta la dichiarazione Unesco. Ora ogni ipotesi diventa plausibile: rimuovere i pali di cemento armato della recinzione postbellica e ripristinarli in legno, ad esempio; aggiungere nuovi vagoni e magari anche una locomotiva e così via. È questa Auschwitz patrimonio dell’umanità o non sembra piuttosto “Schindlerlist”-land, “La vita è bella”-land?

Il Memoriale cessa qui, in questo luogo e come parte del luogo, di essere questione nazionale e pone il problema generale della conservazione integrale di Auschwitz.

Vostro è il Paese che ha prodotto Auschwitz, con l’aiuto di paesi conniventi, il mio prima di tutti. La differenza è che voi avete un catalogo nazionale dei luoghi di Memoria (2). Noi no. Avete fatto convegni nazionali sulla conservazione della scomoda eredità del passato. Io non ne ricordo neanche uno qui da noi, in cui il dibattito degli storici si sia integrato con quello della conservazione.

Il vostro Paese finanzia il Dipartimento di restauro del Campo di Auschwitz, fornendo mezzi indispensabili alla conservazione dei materiali e dei documenti storici. Credo che incomba su di voi la responsabilità  di una presa di posizione nel merito della conservazione integrale di tutto l’ex KZ di Auschwitz-Birkenau. Noi difensori dell’integrità del Memoriale Italiano abbiamo prodotto una bibliografia senza uguali per impegno e serietà, il rilievo scientifico e un progetto di conservazione (3). È il nostro contributo alla vostra battaglia, in attesa che l’Unesco riassuma il ruolo istituzionale internazionale che compete ad esso. Oggi, con la chiusura del memoriale Italiano, vistosamente e incomprensibilmente offuscato. 

(Qui il Manifesto per la conservazione integrale del Memoriale Italiano di Auschwitz:
 
Note
1) Block 21 in Auschwitz. Wie die Kunst der Gegenwart den Denkamlbegriff fördert und neue Denkmalwerte postuliert, in Hans-Rudolph Meier & Ingrid Sheurmann, a cura di, DENKmalWERTE. Bieträge zur Theorie und Aktualität der Denkmalpflege, Deutsche Kunstverlag, Berlin-München 2010, pp. 135-148.
2) Gedenkstätten für die Opfer des Nationalsozialismus, 2 voll. della Bundeszentrale für politische Bildung, gratuitamente scaricabili. 
3) Dossier in Studi e ricerche di storia contemporanea n. 69, 2008: dossier in ‘ANANKE, n. 54, 2008; Il memoriale italiano di Aushwitz e il cantiere blocco 21, Quaderni di “Ananke”, 1, 2009; Il Memoriale italiano di Auschwitz. L'astrattismo politico di Pupino Samonà, a cura di G. Ingarao, Palermo, Kalòs 2010; dossier inStudi e ricerche di storia contemporanea, a cura di E. Ruffini, n. 74, 2010; Ad honorem. Conferimento delle onoreficenze al committente e agli autori del Memoriale degli italiani caduti nei campi di sterminio Auschwitz Blocco 21 (Giornata della memoria, 27 gennaio 2011 - Accademia di Belle arti di Brera, Milano; Accademia di Belle arti, Palermo; Accademia di Belle arti Albertina, Torino), a cura di S. Scarrocchia, Il filo di Arianna, Vilminore di Scalve, 2011. Il Dottorato di Palermo (cit. in nota 1) ha attivato due ricerche monografiche sul Memoriale Italiano, di prossima pubblicazione.



Inizio messaggio inoltrato:

Inviato da: "zambon" zambon @ zambon.net

Mar 9 Ago 2011 12:25 pm


Cari compagni,

ricordo che, nell’estate del 1994, mi sono recato al Museo di Auschwitz per raccogliere foto e testimonianze che mi sono state necessarie per la redazione del volume bilingue “Auschwitz – i volti di Abele”.

Ho chiesto ed ottenuto alcune centinaia di brevi biografie e foto di altrettante vittime della barbarie nazista. La mia successiva richiesta di non limitare la selezione delle vittime ai soli funzionari statali ed ai sacerdoti polacchi, e di volermi fornire un campione più rappresentativo delle vittime, aggiungendo per esempio delle biografie di ebrei, di zingari e di comunisti è stata parzialmente accolta per quanto riguardava zingari ed ebrei, ma non per i comunisti perché… “ad Auschwitz non ci sono stati prigionieri comunisti”.

Ma non è tutto. Dopo avermi accompagnato alla visita del “memoriale italiano” mi hanno chiesto cosa ne pensassi. 
“Molto bello e istruttivo” –risposi- “perché gli autori dell’opera riescono in modo chiaro a collegare plasticamente la nascita del fascismo con le ragioni sociali che stanno alla base dei suoi misfatti”.

“Ma par carità, per noi questo memoriale italiano è solo un volgare strumento di propaganda comunista…” sentenziò invece il funzionario polacco.

Vi tralascio poi le vicissitudini concernenti la diffusione della prima edizione del libro che la direzione del Museo di Auschwitz ha in un primo tempo tentato di impedirmi, accettando alla fine di permettermi soltanto la distribuzione in Italia, ma non in Germania perché …“non vogliamo indisporci il governo tedesco che ci finanzia generosamente”. 
Il pomo della discordia era rappresentato dalla nostra postfazione nella quale si formulavano accuse alla politica della Germania di oggi e identificava nell’anticomunismo e nella disinformazione una costante della politica di questo paese.


Giuseppe Zambon
Editore


zambon@zambon. net
www.zambon.net


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BLACK BLOCK


Tra gli arrestati come pericolosi violenti black bloc sovvertitori dell'ordine pubblico c'è anche un ex brigatista. Grosso risalto a questo particolare, che vuole probabilmente servire a criminalizzare i sostenitori della lotta notav come infiltrati e strumentalizzati dai terroristi, infatti vediamo nel sito della Repubblica alcune foto di Ferrari, e nella n. 4, la più recente, possiamo tutti constatare la pericolosità fisica di questa persona.
 
http://torino.repubblica.it/cronaca/2012/01/26/foto/ferrari_immagini_di_un_ribelle-28790019/1/
 
In questo Paese sta finendo non solo la democrazia ma anche il senso delle proporzioni.
 
Claudia Cernigoi


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(Al referendum di domenica scorsa in Croazia hanno partecipato solo il 44 per cento degli aventi diritto, e di questi solo due terzi hanno votato "si" alla annessione nella Unione Europea. Risultato: solo il 28% degli aventi diritto hanno votato "si". La sfiducia sul tema "Europa" era e rimane dilagante, anche se una furba campagna di stampa, analoga a quella in corso da decenni in tutti i paesi UE, e la funzione provocatoria di gruppuscoli di nazionalisti estrema destra hanno scoraggiato gran parte dei cittadini dall'esprimere esplicitamente la contrarietà alla UE ed alle sue politiche. Nel frattempo, il massacro sociale che è già in corso, evidenziato dalla continua chiusura di aziende un tempo fiorenti, è accelerato dal nuovo governo di "centrosinistra" che ha messo in cantiere una ricetta "alla greca"...)

http://www.wsws.org/articles/2012/jan2012/croa-j25.shtml

Croatia: Referendum paves way for EU accession


By Markus Salzmann 
25 January 2012


Croatian voters approved joining the European Union in a referendum held on Sunday, but turnout was low. Despite the fact that the entire political elite and all the media campaigned intensively for a yes vote, only 44 percent of eligible voters went to the polls. Two thirds voted in favour of EU membership, with a third voting against.

The low turnout shows that the majority of the population is deeply sceptical regarding the benefits of membership. The fact that the referendum resulted in a yes vote is primarily due to a massive propaganda offensive by all the parties in government, broad sections of the right-wing opposition party, the HDZ, and business lobbies that campaigned massively in favour of the EU in recent weeks.

They stirred up fears that a no to accession would constitute an “economic and political disaster.” Government officials threatened they could not pay out pensions and would have to implement more layoffs if Croatia did not join the EU.

For their part, the opponents of accession, who came mainly from the right-wing spectrum, deplored the sellout of national values. Despite all the scepticism about the EU, this crude nationalism scared off many voters and persuaded them to vote for membership for the lack of a better alternative.

The political and business elite of the country supports the EU primarily because it hopes to get its hands on EU subsidies and encourage foreign investors. The leading European powers are also interested in accepting Croatia into the ranks of the EU. As was the case with the new memberships in 2004 and 2007, the European elite hopes to improve its access to markets and access to cheap labour in the former Yugoslavia.

Germany, Italy and Austria are already the most important trade partners of Croatia. In 2010, 62 percent of all Croatia’s exports and nearly 60 percent of its imports were with the EU. Imports from Austria alone amounted to €1.1 billion in 2010, and Croatian exports to Austria at €522 million.

Leading EU officials accordingly welcomed the result of the referendum. In a joint statement on Sunday evening, EU Commission president Jose Manuel Barroso and EU Council president Herman Van Rompuy stressed that Croatia’s accession to the EU sent a “clear signal to the wider region of south eastern Europe.” It shows “that EU membership is obtainable with political courage and on the basis of decisive reforms.”

The Croatian population has already made its own painful experiences in recent years with such “decisive reforms.” Under pressure from Brussels, all governments—whether social democratic or conservative—have enforced cuts in social standards, forced through privatisations and layoffs, and undermined public infrastructure in order to meet accession criteria.

The decision in favour of membership will lead to an intensification of these attacks on the working population. The newly elected “centre-left” coalition in Zagreb is planning drastic austerity measures to correspond to demands made by the European Union and the International Monetary Fund.

After the national election held in December last year, the new prime minister, Zoran Milanovic, who heads a coalition of the Social Democratic Party, the Pensioners’ Party, the Croatian People’s Party (HNS) and the Istrian regional party (IDS), announced “painful cuts.” To avoid a “Greek” scenario, he argued, Croatia had to slash approximately 9 billion kuna (€1.1 billion)—i.e., the equivalent of 8 percent of the total state budget.

After the defeat of the right-conservative predecessor government of Jadranka Kosor, the new four-party coalition has more than 80 of the 151 seats in the Sabor, the Croatian parliament. Currently, the government is working out a new budget to be voted on in February.

The budget deficit in the country currently stands at €3 billion and the national debt at €47 billion. The central bank governor Zeljko announced that the year ahead would be “very, very tough for Croatia.”

In order to maintain the country’s credit rating, currently just one point above junk status, government officials have agreed to cut public spending and implement tax increases. Job cuts will be especially large in Croatia’s allegedly “overstaffed” civil service. In the near future, 16,000 jobs in state administration are to be axed. Thousands of jobs are also expected to be lost in the country’s previously subsidised shipyards.

Both the public and private sectors have already undergone extensive job cuts in recent years. The previous government had slashed posts in the public sector to meet the required conditions for EU accession.

As a result, unemployment has swelled. Labour Minister Mirando Mrsic recently presented the latest unemployment figures, which list more than 315,000 of the 4.2 million Croats out of work, the highest figure since 2003.

Finance Minister Slavko Linic has proposed an increase in VAT from the current rate of 23 to 25 percent. This hits lower and middle incomes hardest. The price of basic foodstuffs and energy is reported to have risen by up to 40 percent in recent years.

Welfare cuts and layoffs are not confined to the public sector. The free market policies of the 1990s, together with the NATO-led war, caused massive economic destruction. Numerous booming industries have since been shut down. Now, as a result of the international economic crisis, many companies that had survived or were able to find foreign investors have collapsed.

Trade union president Mladen Novosel reported on SETimes that mass layoffs are already on the agenda. The American parent company of the Zeljezara steel mill in Sisak fired more than 900 workers on Thursday.

An employee at Zeljezara, Antonio Lazovic reported on the same site, when he lost his job: “After 35 years, instead of the management and colleagues seeing to it that I get my pension as a man, I was fired and kicked out from the factory like a dog... I now have to go to my relatives and friends and ask them for charity so I can bring home food for my child to eat.”

Lazovic continued: “The employer reduced my salary last year by 10 percent due to anti-crisis measures. The workers expect their salary to be cut by another 10 percent.”

Currently, 200 workers at the Jadran Kamen factory in Split are on strike. The workforce of Dalmacija Vino have announced they intend to take strike action next week.



=== FLASHBACK ===

http://www.wsws.org/articles/2011/dec2011/croa-d13.shtml

New Croatian government to implement big business measures


By Ante Dotto 
13 December 2011

On December 4, the ruling right-wing Croatian Democratic Union (HDZ) suffered a major defeat in the country’s general election. The opposition Kukuriku coalition led by the Social Democratic Party (SDP) won a majority in the parliament and the right to form a government. While hailed as a “centre-left” or “leftish” alternative to the HDZ by the domestic, regional and international media, the new government will undoubtedly step up the austerity measures demanded by the financial markets.

The Kukuriku coalition is made up of four parties: the SDP, the Pensioners Party, the Croatian Peoples Party (HNS), and a regional party, the Istrian Democratic Assembly (IDS). The SDP has its roots in the former Yugoslav Stalinist League of Communists, while the last two parties of the quartet are neo-liberal parties and members of the European Liberal, Democrat and Reform Alliance. The coalition won 80 of 151 parliament seats, and SDP head Zoran Milanovic will be the next prime minister. The HDZ lost 19 seats, and retained just 47. Out of those 47 seats, 3 were determined by émigré votes—i.e., Croatian citizens living abroad, where only 5 percent voted.

The new government was elected by the votes of just over one quarter of eligible voters, on a turnout of around 60 percent, and lacks any meaningful popular support. In fact, the four parties that make up the coalition failed to garner more votes than in 2007, when they lost to the HDZ. The only difference this time is that they formed an official coalition deal in advance, thus securing more representation for the same vote count, plus the fact that the HDZ vote collapsed by some 300,000.

The HDZ has ruled Croatia consecutively for the last 8 years, and for 17 out of the 20 years of the state’s independence. The party is rife with corruption, with the Guardian describing it as “the wellspring of state-organised corruption and embezzlement on a massive scale.” Illustrating the scope of the corruption, the article continues: “Its former leader and prime minister, Ivo Sanader, is on trial on two sets of corruption charges after being arrested while trying to flee the country. Another former deputy prime minister and other senior party figures have also been charged, while the party itself is at the centre of a slush-fund scandal.”

The ultra-nationalist HDZ was justly punished at the ballot, but the Kukuriku coalition is an undeserving beneficiary of widespread hostility to the outgoing regime.

Both sides tried hard to avoid crucial social issues during the election campaign. Instead, the HDZ tried to pander to the far right with communist scaremongering. “Slowly but surely the ‘Red’ Croatia project is underway and that’s something we cannot accept,” Prime Minister Jadranka Kosor declared in September, taking aim at the SDP. For its part, the SDP sought to exploit the political scandals of the HDZ and posed as defenders of morality in politics, and an opponent of corruption.

However, the lack of any fundamental difference between the two “alternatives” was so obvious it was even the subject of commentaries in the mainstream media. Zdravko Petek, a political science professor in Zagreb, described the campaign as “horribly boring” and said that “political parties in Croatia do not differ by policy, only by ideology. For example, the difference is whether a party is closer to the Catholic Church or not. Nobody mentions how to fix the health system, education and other social issues far more important than ideology,” Petek told the SETimes of December 2.

Zarko Puhovski, a professor at the Faculty of Philosophy in Zagreb, opined toH-alter that his “expectations of the new government are undefined, because they won the elections on moral, and not political promises” and that it “remains to be seen what their programme really is.”

More-astute bourgeois observers are afraid that the failure of the coalition to spell out in advance the measures it plans to take could undermine the legitimacy of the new government when it comes to implementing its policies.

The political analyst Damir Grubisa fears that “for populist reasons, nobody wants to trigger negative reactions and emotions, so politicians choose not to say much [about the economy]. It’s questionable if that is the right choice,” he told Balkan Insight. “The public knows that many things have been kept secret and that the real problems haven’t been discussed, or necessary painful cuts mentioned.”

Analyst Davor Gjenero also warns Balkan Insight that various “veto-wielding groups” could undermine the new government’s efforts to cut spending, because the coalition hasn’t made the case for such changes during the campaign. “Veto-groups like public sector trade unions and war veterans depend on state money.... So if the [former] opposition behave as if everything is normal, and as if they don’t have to dramatically cut spending, they are diminishing their own legitimacy to do what they will have to do”, Gjenero predicts.

During the campaign, Milanovic was trying to balance between opposing opinions within his coalition and broader divisions within the ruling class by issuing equivocal, uncommitted statements. Especially on the question of whether or not the new government will have to turn to the widely despised IMF for loans in the next period, he variously claimed that “it would not rule it out as a last resort” and that “the IMF is not a witch”, implying it could be approached when needed.

At the same time, he sent signals to the financial capital that his government could be entrusted to pass and implement the types of austerity measures advocated by the markets. Slobodna Dalmacija reports him saying that the new government will have only 50 days to prevent the downgrade of Croatia’s credit rating and that continuing to borrow at interest rates of over 7 percent, as is now the case, would be “tantamount to suicide”. Milanovic frequently called for “belt tightening” and “living within our means”, without ever specifying what this meant in practice.

Others in his party, however, spoke out more candidly in support of big business. Slavko Linic, who served as vice-premier in the SDP-led centre-left government of 2000 to 2003, and will almost certainly be the new finance minister, is on record saying that the country will inevitably call the IMF in 2012 to “help balance the budget” and find those areas where savings and “painful cuts” could be implemented. He is quoted in the business magazinePoslovni Puls saying: “The IMF has interest rates far lower than Croatia could ever get in the outside market. We need to be clear about what our economic interests are, and we shouldn’t be afraid of the IMF.”

At a recent expert roundtable on the insolvency problem in the Croatian economy, Linic said the problem could be solved in six months, but only if 20,000 to 30,000 firms went bankrupt first. “It will be a cleaning, quick and efficient,” he said.

Every objective indicator points to Linic speaking for the real intentions of the Kukuriku coalition and the SDP, leaving no room for the vacillations and compromises made up to now by Milanovic. The new government will have to contend with a disastrous economic legacy, with national debt soaring to Italian or Belgian levels, and unemployment of almost 20 percent.

Croatia’s economy has stagnated since the global crisis first made itself felt in 2008. Back in July, Zagreb’s Privredna Banka stated that Croatia was “the only ‘new European’ country that hasn’t yet started economic recovery”. GDP growth this year was at this point estimated at a sluggish 1.0 to 1.5 percent, but Zagrebacka Banka has since calculated the growth of the last two quarters to be only 0.2 to 0.5 percent.

The National Bank closed a small bank last month (Credo banka), and is keeping another four smaller banks “under surveillance”. Apparently, Credo banka was closed not because it was insolvent, but because it was suspected of criminal practices. But the closure fuelled public fears that the whole banking system is in trouble. On November 29, the public broadcaster published unverified but disturbing speculation that savers had shifted “tens of millions of euros” from their bank accounts.

At the same time, a public opinion survey by the Ipsos Puls agency shows that majority of people will have no patience with Kukuriku government, with most expecting “significant changes” within a year, or even six months, and over 60 percent opposing cuts in social spending.

On the other hand, the pressure from capitalist financial circles is relentless. Speaking on behalf of the markets, Goran Saravanja, the main economist from Zagrebacka Banka, said that the “next government will have to present a credible plan for budget deficit reduction, in accordance with the Law of Fiscal Responsibility” and “implement structural reforms...to raise the GDP... if we are to save our credit rating.”

However, Jutarnji List calculated that, even if all public sector wages were frozen, the next budget’s expenditures will increase by 1.1 billion kuna. According to the banker Zeljko Rohatinski, the country’s debt servicing costs will rise by 2 billion kuna next year, which means the budget is burdened from the outset with an additional 3.1 billion kuna, or some €400 million—1.2 percent of GDP.

It is clear that the new government will have to start a wholesale attack on the living standards of the majority of the population with its first budget, just as other Social Democratic parties around Europe are doing, and in line with the austerity policies implemented by the Croatian SDP during its last period in power (2000-2003).

In addition to pressure from the banks, Croatia is also confronted with a host of demands from the European Union to radically revamp its economy. On December 9, Croatian government representatives signed a treaty to join the European Union in 2013. Just two days earlier, the European Bank for Reconstruction and Development’s (EBRD) issued its Transition Report 2011 for Croatia in Zagreb. The main demands raised in the report were the necessity for the intensification of the process of privatising state-run companies and the opening up of the country’s infrastructure to private investors.

At the same time, the EBRD report noted that there had been a marked decline in support for the free-market economy and capitalist democracy in those transition economies (former Stalinist countries that adopted the free-market system two decades ago) that had experienced a deep decline in the latest crisis (e.g., Croatia).

It is this erosion of support for the market economy and parliamentary democracy that lies behind the decision of the Croatian government to beef up its state apparatus. A report in the Jutarnji List on December 2 detailed how the Interior Ministry had ordered €320,000 worth of anti-riot and civil unrest equipment, including batons, shields and tear gas, last year. This is how the incoming government is preparing to deal with a new wave of popular social protest.




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