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Strategia della tensione giornalistica in Italia / 1: Spezzeremo le reni all'Iran

Se vi siete commossi per Sakineh Ashtiani perché non vi interessa Teresa Lewis?


teresaesakineh


Hanno più o meno la stessa età ed entrambe sono accusate di aver ammazzato il marito. Entrambe sono state condannate a morte nei loro rispettivi paesi, lo squallido regime degli Ayatollah iraniani e la grande democrazia statunitense.

Ma mentre per Sakineh Ashtiani c’è stata una campagna mondiale di solidarietà, che potrebbe averle salvato la vita, Teresa Lewis sarà giustiziata nel silenzio giovedì alle 21 nel carcere di Greensville nella Virginia con un’iniezione letale.

Ciò senza che la sua faccia sia esposta su monumenti ed edifici pubblici, senza raccolte di firme e manifestazioni a comando sui grandi media.

AGGIORNAMENTO DEL 21/9/2010: A 60 ore dall'esecuzione le agenzie oggi ci sono, ANSA, APCOM, Adnkronos…abbiamo fior di inviati negli USA (che hanno di meglio da fare) e nonostante ciò oggi trovo la notizia dell’imminente esecuzione di Teresa Lewis solo in una breve del Secolo XIX di Genova. E’ proprio una scelta... per Sakineh ci commuoviamo, di Teresa ce ne freghiamo. Meditate gente... e commentate online





MUSSOLINI A POLA, 21 SETTEMBRE 1920

Non a caso è stata scelta la data del 21 settembre per la visita di Fini a Zagabria e Pola.
Il 21 settembre del 1920, dunque 90 anni fa, Benito Mussolini arrivò a Pola con i suoi fascisti di Milano e Trieste. Tenne un discorso al teatro "Politeama Ciscutti", pieno di odio verso la popolazione slava. Quando uscì dal teatro un lavoratore gli si avvicinò dandogli due ceffoni e poi scappò. Di questo evento gli storici italiani non hanno scritto mai nulla.
Mussolini si vendicò. Il 23 e il 24 settembre seguenti, i fascisti bruciarono la Camera degli operai e la sede dei Club internazionali, e devastarono la tipografia del giornale "Il proletario".
L'indomani, nel corso degli scontri con i fascisti, fu gravemente ferito un carabiniere. Molti operai furono arrestati e poi rilasciati. Due operai furono condannati: Josip Vukic, croato, nato a Spalato (a 15 anni di carcere) ed Edoardo Fragiacomo, italiano, nato a Pola (a tre anni).

[ Il testo che abbiamo sopra riportato accompagna l'articolo-intervista: "Tomislav Ravnic: Fini nije poželjan u Puli i Istri" (Tomislav Ravnic, presidente dell' Unione dei combattenti antifascisti per l 'Istria: Fini e' indesiderato a Pola e in Istria"), a cura di Armando Cernjul, pubblicato sul sito http://www.parentium.com . Il testo è stato tradotto e inoltrato a cura de La Voce del G.A.MA.DI.: http://www.gamadilavoce.it/lavoce.htm ]

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FINI A POLA, 21 SETTEMBRE 2010

"Fini: ingresso Croazia in UE sanerà tutte le ferite" (APCOM - Nuova Europa, 21/9/2010)

Sull'irredentismo di Gianfranco Fini: flashback all' 8 novembre 1992





ATTENTI AL PUPO!

In “Trieste 1945” (Laterza, 2010 ) lo storico triestino Raoul Pupo ha dedicato un lungo capitolo agli avvenimenti di Basovizza, e prima di parlare della questione della cosiddetta “foiba”, ha trattato della fucilazione dei quattro antifascisti (Bidovec, Marusič, Miloš e Valenčič) avvenuta presso il vecchio poligono di tiro il 6 settembre 1930.
Sulla vicenda vi rimandiamo all’articolo “Martiri di Basovizza” pubblicato in questo stesso sito, così come non riprendiamo qui l’annoso discorso su chi, quanti e come sarebbero stati “infoibati” a Basovizza: ricordiamo solo che nel suo libro Pupo ha concluso il capitolo facendo un paragone (a nostro parere aberrante) tra i due “luoghi della memoria” di Basovizza: sui fucilati di Basovizza, scrive lo storico, aleggia il sospetto del terrorismo, sugli infoibati di Basovizza che vi siano i torturatori dell’Ispettorato Speciale di PS.
Data questa considerazione sui martiri di Basovizza, eravamo quantomeno curiosi di sentire come il professor Pupo avrebbe condotto il suo discorso in occasione delle cerimonia commemorativa per l’80° anniversario dell’episodio, svoltasi sulla gmajna di Basovizza il 12 settembre scorso, alla presenza di alte autorità slovene, nonché della Presidente della Provincia Trieste ed alcuni sindaci della provincia di Trieste (significativa l’assenza del sindaco di Trieste Roberto Di Piazza, nonostante il sito si trovi nel territorio di competenza del suo Comune).
Commenteremo solo in parte l’intervento “storico” del relatore ufficiale in lingua italiana. 
Relativamente alla questione del “terrorismo” il professor Pupo ha affermato che la lotta dei primi antifascisti non era stata di massa ma si era basata su “azioni cospirative e dimostrative”, usando come strumenti di intervento la “propaganda” ed il “terrorismo”, ed ha ribadito che non si deve “avere paura delle parole” perché scelte simili furono tipiche anche di movimenti di unificazione nazionale, aggiungendo che non si deve “caricare la terminologia di significati che non ha”, visto che il termine “terrorismo” può adattarsi sia alle “stragi sunnite nelle moschee sciite”, sia a “tentativi un po’ goffi” come quello di Guglielmo Oberdan (che gettare bombe in mezzo alla folla sia un “tentativo goffo” di fare terrorismo è un’interpretazione che ci lascia un po’ basiti, ma tant’è).
Lo storico ha aggiunto quindi che “il termine è corretto” ma “operativamente come categoria interpretativa non ci fa capire la specificità del fenomeno”.
Osserviamo che di norma il significato che si dà al termine “terrorismo” è quello di un comportamento tale da portare, mediante azioni violente indiscriminate, ad un terrore generalizzato nella popolazione. Così terrorismo è quello che abbiamo vissuto negli anni della strategia della tensione, quando le bombe poste nelle piazze o sui treni, o genericamente in luoghi pubblici, dove avrebbero potuto colpire chiunque si trovasse a passare in quel posto al momento dell’esplosione, incutevano terrore in quanto non si poteva immaginare chi avrebbe potuto essere la prossima vittima. Mentre altri atti (eticamente altrettanto esecrabili, sia chiaro) come l’attentato alla singola persona, individuata come un obiettivo mirato (“gambizzazioni”, rapimenti, omicidi operati dalle Brigate rosse), vengono di solito considerati come azioni di “lotta armata”, e non di “terrorismo”, in quanto non sono finalizzati a creare il “terrore” generalizzato.
Per questo motivo ci permettiamo di dissentire dalla definizione di “terroristi” che il professor Pupo usa a proposito degli attivisti del TIGR fucilati a Basovizza. Le azioni del Movimento erano innanzitutto dimostrative, ed il loro scopo non era quello di fare vittime, è appurato che le bombe venivano posizionate modo che esplodessero quando negli edifici non ci sarebbe stato nessuno. La morte di Guido Neri, che si trovava nei locali della redazione del “Popolo di Trieste” non fu voluta, perché la sua presenza non era prevista nell’ora in cui fu piazzato l’esplosivo. Anche qui, se dal punto di vista etico la questione non fa differenza, perché un morto è sempre un morto, bisogna però distinguere nelle finalità che gli attentatori si erano dati: e dato che il loro fine non era quello di spargere il terrore nella popolazione, ma di colpire i simboli della snazionalizzazione operata dal fascismo e del fascismo stesso, non ha senso, a parer nostro, definirli “terroristi”, visto che il termine ha un significato ben preciso e non ha senso cercarne altri per adattarlo alle proprie interpretazioni e valutazioni.
Un successivo punto del discorso del professor Pupo dal quale dissentiamo è la sua interpretazione di come si sarebbero svolti i fatti in quello che lui definisce “fronte orientale” (dal senso del discorso si suppone che l’oratore intendesse con questo termine il confine orientale dell’Italia), e cioè che negli anni ’40 si sarebbero “confrontati la propensione nazista allo sterminio e l’eredità della rivoluzione bolscevica e delle politiche staliniane”, e che “quanto concretamente successo nelle nostre terre” sarebbe che “alla fase eroica della liberazione” sarebbe “succeduta quella dell’affermazione”, e che “l’ansia di libertà” si sarebbe trasformata in “intolleranza verso chi non appartiene alla comunità nazionale vincente”.
Storicamente ciò che accadde “nelle nostre terre” negli anni ’40 (generalizzazione un po’ azzardata, visto che dal 1940 al 1945 l’Europa era in guerra e dal 1945 in poi gli avvenimenti erano diversi di anno in anno), è che la politica di guerra imperialista nazifascista, finalizzata al genocidio dei popoli considerati “inferiori” (Ebrei, genericamente “Slavi”, Rom…) nonché all’annientamento delle cosiddette “esistenze zavorra” (invalidi, omosessuali ed oppositori politici), fu fermata da un blocco di alleati che andavano dalla Francia e la Gran Bretagna, agli Stati Uniti, all’Unione Sovietica, passando per la Jugoslavia, ed altri minori. Nell’ambito di questa guerra (che non si limitò all’area europea ma coinvolse l’intero pianeta) vi furono massacri indiscriminati, bombardamenti devastanti (sia dall’una che dall’altra parte, citiamo i due esempi speculari di Coventry e Dresda), rappresaglie feroci sulle popolazioni civili, campi di sterminio, e si concluse con il lancio delle atomiche su Hiroshima e Nagasaki.
In questo contesto mondiale, gli avvenimenti “nelle nostre terre”, diventano una piccolissima parte della tragedia generalizzata della Seconda guerra mondiale. Se il professor Pupo intendeva dire (ma forse avrebbe fatto meglio a dirlo chiaramente e non con circonlocuzioni di parole) che dopo gli eccidi nazifascisti qui vi fu il cosiddetto “fenomeno delle foibe”, vorremmo ricordargli che regolamenti di conti a fine guerra si ebbero sì in questa zona, ma in misura minore che nel resto dell’Italia del Nord, per non parlare di quello che accadde in Francia, e generalmente in tutta l’Europa, come è normale che accada dopo un’occupazione feroce come fu quella nazifascista (ciò non significa “giustificare”, ma semplicemente prendere atto della realtà dei fatti). 
E se quello che il professor Pupo intendeva dire è che le “foibe” rappresentano “l’eredità della rivoluzione bolscevica e delle politiche staliniane”, dobbiamo ribattere che nessun paragone può essere fatto in questi termini, storicamente e politicamente parlando. Innanzitutto perché la rivoluzione bolscevica e le politiche staliniane sono due eventi del tutto diversi e che non si possono accomunare con tale faciloneria (ma entrare nel merito di questo richiederebbe un’analisi di diverse pagine), e poi perché, anche volendo paragonare le “foibe” con i “gulag”, non ci siamo proprio. Nei “gulag” venivano imprigionati gli oppositori nell’interno dell’Unione sovietica; le “foibe”, anche volendo considerare con questo termine (cosa che però non accettiamo storicamente) la “generalizzazione” che è uso fare il professor Pupo, e cioè le “ violenze di massa a danno di militari e civili, in larga prevalenza italiani, scatenatesi nell’autunno del 1943 e nella primavera del 1945 in diverse aree della Venezia Giulia e che nel loro insieme procurarono alcune migliaia di vittime”, significano prigionieri di guerra internati e poi deceduti nei campi, criminali di guerra giustiziati dopo processo, regolamenti di conti e vendette personali. Cosa c’entri tutto questo con le “politiche staliniane”, non riusciamo proprio a comprendere.
Infine l’affermazione a proposito dell’“ansia di libertà che si trasforma in intolleranza verso chi non appartiene alla comunità nazionale vincente”: almeno per quanto concerne la politica della “nuova” Jugoslavia, cioè la Jugoslavia uscita vittoriosa dalla guerra di liberazione popolare, è doveroso riconoscere che non vi fu alcuna “intolleranza” di tipo etnico alla fine del conflitto. Vi furono, da parte istituzionale, esecuzioni di collaborazionisti e di criminali di guerra, soprattutto jugoslavi: ma nessuno fu ucciso perché “non appartenente alla comunità nazionale vincente”, cosa che dovrebbe essere quantomeno ovvia se si considera che nell’Esercito di liberazione jugoslavo combatterono, con spirito internazionalista ed antifascista, volontari di decine di etnie (tra cui moltissimi furono anche gli italiani), uniti dal desiderio di creare un mondo migliore.
Non riconoscere questi dati storici in un intervento all’interno di una cerimonia dall’importanza internazionale di quella che si svolge ogni anno a Basovizza per ricordare i quattro fucilati antifascisti, significa voler ridurre quello che dovrebbe essere uno spazio di riflessione storica ad un intervento di mere valutazioni politiche, del tutto fuori luogo in un contesto simile.

settembre 2010



APPUNTAMENTI PER RICORDARE:
- Trieste, 20 settembre 2010, ore 17 in campo S. Giacomo
- Trieste, 8 ottobre 2010, ore 17 in Sala Tessitori, piazza Oberdan 6


Da: Claudio Cossu <claudio.cossu @...>
Oggetto: [antifa-ts] Settembre 1920: barricate e rivolta operaia a S. Giacomo.
A: "coordinamento antifascista" <antifa-ts @...>
Data: Venerdì 17 settembre 2010, 00:06


Oggetto: I: Settembre 1920: barricate e rivolta operaia a S. Giacomo.

Per ricordare la rivolta operaia di S.Giacomo, settembre 1920, come sinteticamente descritto quì di seguito,"I cittadini liberi ed eguali "unitamente al" Coordinamento antifascista "di Trieste renderanno omaggio ai caduti di quelle tragiche giornate alle ore 17 in campo S. Giacomo, a lato della Chiesa, il giorno 20 settembre lunedì. La cittadinanza  e personalità del mondo del lavoro, del Sindacato  e della cultura triestina  sono invitati ad intervenire  PER ONORARE QUEI GIOVANI CADUTI PER  LA LIBERTA' E L'EGUAGLIANZA SOCIALE. L'otto ottobre, inoltre, vi sarà un incontro-dibattito curato da Marina Rossi, storica, Claudio Cossu e Claudio Venza dei Cittadini liberi ed eguali, un operaio della rivolta di S.Giacomo del 1966, che  offrirà una sua personale testimonianza della rivolta spontanea di quell'ottobre 1966.  Inteverrà brevemente la storica Silva Bon.  L' incontro si terrà presso LA   SALA  TESSITORI DEL CONSIGLIO REGIONALE,  il giorno 8 OTTOBRE, VENERDI, ORE 17 , PIAZZA OBERDAN n 6. Saranno ricordati, inoltre, anche i moti di protesta spontanea, sempre di campo S. Giacomo, dell'ottobre 1966, in occasione della chiusura dei Cantieri S.Marco, da parte dei cantierini della  città giuliana. La cittadinanza ed i cultori della materia sono invitati ad intervenire, a 90 anni esatti da quei fatti, a questa Memoria in omaggio a quelle giovani vite di operai stroncate nel settembre 1920, ed a  ricordo di quei  drammatici accadimenti  che costituiscono ormai Storia della Trieste lavoratrice di quegli anni, all'alba dell'avvento della barbarie fascista al potere  in Italia.


----- Messaggio inoltrato -----
Da: Claudio Cossu <claudio.cossu @...>
A: segnalazioni@...
Cc: segreteriaredazione@...
Inviato: Mer 25 agosto 2010, 16:02:11
Oggetto: Settembre 1920: barricate e rivolta operaia a S. Giacomo.

 
Chi erano,ribelli,rivoltosi o che altro coloro che nel settembre 1920 eressero le barricate ,nel Rione di S.Giacomo, per difendersi dal regio esercito inviato dalle autorità al fine di sedare l'insurrezione spontanea ,al canto dell'internazionale e sventolando i drappi rossi , insegne del socialismo contro chi cercava di negare ad essi i diritti  più elementari, una vita dignitosa e una condizione  giusta , con adeguata retribuzione.  Erano in  realtà operai e lavoratori italiani e sloveni , ragazzi e donne del popolo di Trieste, dai tre ai quattro mila ,che protestavano contro un potere opprimente ed autoritario . Poi, dal rione popolare i lavoratori si immettevano nelle vie adiacenti, per arrivare prima nella piazza ora denominata Garibaldi e, in seguito ,fino alla via Malcantòn,per poi giungere fino alla Piazza Grande,divenuta più tardi piazza Unità. E nuovamente intervenne l'esercito ed i regi carabinieri che spararono per intimidire la folla in tumulto. Poi non spararono più a scopo intimidatorio,ma uccisero ,a S. Giacomo, giovani di vent'anni,ragazzi ed operai ed i morti furono in gran numero,forse più di 20 ed anche la reazione fu dura ed adeguata alla violenza dei colpi di cannone della brigata "Sassari" fatta intervenire brutalmente. Si spararono colpi di pistola , per resistere  a quegli attacchi, anche dalle finestre ed una giovane guardia regia, Giovanni Giuffrida il suo nome, rimase  a terra, vittima della reazione  popolare alla violenza dei militari sopraggiunti nelle strade circostanti.
Gli scontri,duri e violenti ,durarono dal sei al nove settembre,nell'aria vagamente autunnale che stava sopraggiungendo,in quel mese di fine stagione. Giorni tragici e funesti per la città.  Ma perchè si arrivò a tale tragedia, a questo sangue versato dalla classe operaia triestina? Diversamente dal resto del Paese, non si arrivò , a Trieste, ad un'occupazione delle fabbriche, ma ci fu ,in quel settembre ,lo sciopero generale. Nel novembre del 1918,dopo l'arrivo festante delle truppe italiane, a ridimensionare quella gioia ci pensò il famigerato decreto 29 novembre 1918 che per alcuni reati, tra cui il vilipendio alla bandiera, prevedeva pesanti condanne a parecchi anni di galera. Al governatore militare successe allora ,nell'estate del 1919 ,un commissario civile. Ma le condizioni disastrose, fra cui miseria,fame , disoccupazione e disagio sociale, causate dal regime speciale nella Venezia-Giulia, non mutarono certo.  I comuni erano ammministrati da commissari civili inviati dal Governo di  Roma che non comprendevano  certo la situazione reale ,economica  e politica locale.  E parimenti erano all'oscuro della situazione etnica e sociale di queste terre. Naturalmente non conoscevano nemmeno la  lingua slovena o croata, parlata dagli abitanti dei comuni dell'altipiano e dell'interno dell'Istria. Il disagio era evidente e si propagò con rapidità in tutta la regione Giulia.  Inoltre,ad aggravare la situazione, si verificarono  provocazioni fasciste. A Monfalcone gli operai protestarono vibratamente per gli assalti degli squadristi e per l'istituzione di un ufficio di collocamento filo mussoliniano. Allo sciopero proclamato aderirono anche i lavoratori del Friuli. Lo sciopero si estese e fu dichiarato,a oltranza ,fino a che non ci fosse stata l'abolizione del regime di occupazione e dei tribunali di guerra nella Venezia Giulia.  Naturalmente le richieste degli operai,pur essendo a cuore al governo, così almeno assicurò il commissario generale, mentendo , non vennero accolte e gli scontri furono pertanto inevitabili. Vincenzo Forgioni, operaio di appena sedici anni, rimase ucciso. Ai suoi funerali ,a seguito di attacchi fascisti ,vi furono ulteriori scontri tra operai,squadristi e polizia. La Camera del Lavoro proclamò un ulteriore sciopero il nove settembre.  I sangiacomini occuparono il quartiere  e spararono contro il camion che trasportava gli arrestati. Vennero erette,come detto all'inizio,barricate.  Alla fine gli esponenti della Camera del Lavoro riuscirono a convincere i più giovani ed infervorati, disposti a resistere per altri giorni, dell'inutilità della lotta. L'undici settembre lo sciopero generale poteva dirsi concluso,ma a quale prezzo!  550 scioperanti arrestati,nove operai rimasero uccisi (dodici riferì il giornale Delo) 70 feriti(250 il Delo).  Ma ormai  era chiaro che il regime di occupazione  finalmente sarebbe stato abolito. Non si comprende,da ultimo se non con la gran confusione in cui versava il Paese in quegli anni, in prossimità dell'avvento del fascismo al potere, come l'attacco delle autorità governative a Trieste ,della polizia e dell'esercito potesse concordarsi con la linea politica del Governo Giolitti.   A novant'anni da quei  caduti, da quello sciopero sfociato nella repressione violenta e reazionaria del potere militare, portatrice di lutti per la classe operaia ,volevamo ricordare quei fatti,che  sono forse dimenticati.  Ma anche quegli accadimenti sono ormai Storia,costituiscono una triste e tragica pagina per Trieste e tutta la Venezia Giulia.  E va ricordata ,con rispetto.  Anche questa è Memoria.