Informazione


a nome del Coordinamento antifascista di Trieste invio il seguente comunicato stampa
Claudia Cernigoi

Comunicato Stampa

L’evento del concerto indetto per il 13 luglio prossimo a Trieste, alla presenza dei presidenti di Italia, Slovenia e Croazia, ha suggerito al giornalista Roberto Morelli (Il Piccolo, 6 giugno 2010) l’idea di proporre che nell’occasione si compia un gesto di “pacificazione”, auspicato da anni: i presidenti dei tre stati si dovrebbero recare assieme a rendere omaggio alla Risiera di San Sabba ed alla foiba di Basovizza.
Noi pensiamo che questo gesto costituisca un malinteso senso di “memoria condivisa”, e ricordiamo che, relativamente all’accostamento tra foibe e Risiera, lo storico Giovanni Miccoli ebbe modo di definirlo “aberrante” ancora nel 1976. Riportiamo di seguito le sue motivazioni, secondo noi tuttora valide ed attuali.

 

< La Risiera è il frutto razionale e scientificamente impostato dall’ideologia nazista, che come ha prodotto Belsec e Treblinka, e Auschwitz e Mauthausen, e Sobibor e Dachau, così ha prodotto la Risiera , e l’ha prodotta qui, ha potuto produrla qui perché, per i fini ai quali doveva rispondere, ha trovato compiacenti servizi in ambienti largamente predisposti dal fascismo. Le foibe (quando non si tratti, come spesso si è trattato, di un modo di “seppellire” dei morti altrui: vi ricorsero i partigiani, vi ricorsero tedeschi e fascisti: e anche questa è una pagina in gran parte ancora da indagare, per evitare facili e troppo frequenti generalizzazioni e amplificazioni) sono la risposta che può essere sbagliata, irrazionale e crudele, ma pure sempre risposta alla persecuzione e alla repressione violenta e sistematica cui per più di vent’anni lo Stato italiano (il fascismo, si dirà, ma il fascismo aveva il volto dello Stato italiano) aveva sottoposto le popolazioni slovene e croate di queste zone. È assurdo parlare, riferendosi ad esse, di genocidio o di programmazione sistematica di sterminio, ma sì di scoppio improvviso di odii e rancori collettivi a lungo repressi.
(...) Ma proprio per questo anche un altro discorso va fatto, con estrema precisione e chiarezza, riguardo al sistematico accostamento tra la Risiera e le foibe, portato avanti con numerosi interventi dal “Piccolo” e dai gruppi della destra locale. Ed è un discorso di netto e radicale rifiuto di tale accostamento, perché Risiera e foibe sono due fatti sostanzialmente e qualitativamente diversi, e perciò assolutamente incomparabili fra loro >.
Aggiungiamo che la lotta cruenta del 1943-1945 non è stata principalmente uno scontro nazionale. Infatti i resistenti, sia italiani che slavi, si battevano contro i fascisti oppressori che, dopo quasi un ventennio di violenta dittatura in Italia, avevano occupato Lubiana nel 1941 e investito la popolazione civile con incendi, sevizie, fucilazioni di massa. La repressione sanguinosa fu realizzata anche con l’aiuto di collaborazionisti slavi filofascisti.
La consapevolezza che vi siano state possibili vittime innocenti nella guerra antifascista non può far dimenticare le differenze profonde tra chi lottava per la libertà e il progresso sociale e chi per un regime di oppressione e di razzismo.
E dato che la “pacificazione” comporterebbe anche il riconoscimento delle proprie responsabilità ricordiamo che dopo il 1945 l’Italia “nata dalla Resistenza” non processò mai propri criminali di guerra per gli eccidi, le rappresaglie con deportazioni di civili e distruzioni di interi villaggi, compiuti in Jugoslavia, Albania, Grecia, Africa.

 

In una prospettiva di pace e di convivenza tra i popoli è fondamentale, a parere nostro, che si valutino i fatti storici correttamente e nella loro interezza, e non si dia spazio a strumentalizzazioni o travisamenti. Volendo giungere ad un atto di “memoria condivisa” riteniamo piuttosto opportuno lo svolgimento di un convegno internazionale tra storici, che, prendendo spunto dalle risultanze dei lavori di studio condotti dalla Commissione mista italo-slovena tra il 1993 ed il 2000, giunga ad una sintesi della storia di queste terre.

 

Coordinamento Antifascista di Trieste
Cittadini liberi ed uguali di Trieste

Spd Jedinstvo - Bosnia Erzegovina - coro misto- 40 elementi

al Festival "La Fabbrica del Canto"

Calendario:

12 Giugno 2010 - ore 21
MARATONA CORALE DI MUSICA SACRA
MILANO -BASILICA DI SANT'AMBROGIO - PIAZZA SANT'AMBROGIO, 15


13 Giugno 2010 - ore 17
MARATONA CORALE DI MUSICA POPOLARE
MILANO - TEATRO DAL VERME - VIA SAN GIOVANNI SUL MURO, 2


14 Giugno 2010 ore 21
CIRCUITO CONCERTISTICO
II TURNO
ROVELLO PORRO - Santuario Beata Vergine del Carmine - Via B. Luini, 1


16 giugno 2010 ore 21
CIRCUITO CONCERTISTICO
CERNUSCO SUL NAVIGLIO - Auditorium Casa delle Arti - Via De Gasperi, 5


17 giugno 2010 ore 21
MAXI CONCERTO
LEGNANO - CHIESA DEL SS.REDENTORE - PIAZZA REDENTORE


18 GIUGNO 2010 ORE 21
MAXI CONCERTO
LEGNANO - CHIESA PARROCCHIALE S. TERESA DEL BAMBIN GESU' - PIAZZA
MONTEGRAPPA

Informazioni su Festival: http://www.jubilate.it/fabbrica/

Informazioni sul coro:


Direttore Nemanja Savic

Il coro a voci miste SPD "JEDINSTVO" di Banja Luka è una delle più
antiche formazioni corali della Bosnia Erzegovina. Il coro è stato
protagonista di oltre mille concerti ed eventi culturali sin dal 1893,
anno della sua fondazione.Il gruppo ha dimostrato il suo alto livello
artistico in molti eventi e concorsi sia in Jugoslavia che all'estero,
ottenendo numerosi premi e riconoscimenti.Il suo repertorio comprende
una varietà di generi musicali di epoche e stili completamente
differenti, anche se è famoso per l'interpretazione della musica slava.

Il coro ha registrato quattro dischi e numerosi brani per la radio e la televisione.


Spese militari: l’Unità annuncia i tagli del Pd, il Pd smentisce 

di M.Dinucci e T. Di  Francesco
(il manifesto, 9 giugno 2010 - segnalato da info @ disarmiamoli.org)


La campagna del Pd contro le spese per gli armamenti è «pregiudiziale e demagogica»: lo afferma sul Corriere della Sera (7 giugno) Arturo Parisi, già ministro della difesa nel governo Prodi, oggi aderente al gruppo parlamentare Pd alla Camera. A suscitare le ire dell’ex ministro è la copertina de l’Unità del giorno prima, «Manovra di guerra», con l’articolo «Tagliano gli stipendi e comprano armi». Vi si annunciava che il Pd avrebbe chiesto al governo, con una risoluzione presentata alla commissione difesa del Senato, di rivedere la spesa militare in base a una politica di «verifica, trasparenza e risparmio». Parisi se la prende in particolare con l’affermazione, fatta nell’articolo, che i 71 programmi di armamento continuano a sottrarre miliardi al bilancio dello Stato. 
Parisi rivendica in tal modo ciò che l’Unità invece tace: il fatto che il Pd, soprattutto con l’ultimo governo Prodi, ha attivamente contribuito all’aumento della spesa militare. Come già ricordato sul Corriere della Sera da un’altra voce autorevole, quella dell’ex sottosegretario alla difesa Lorenzo Forcieri, «il governo Prodi, in due sole finanziarie di rigore e risanamento dei conti dello stato, è riuscito a invertire la caduta libera delle spese per la Difesa, che sono aumentate dei 17,2% nel biennio 2007-08». Fu il governo Prodi a istituire, con la Finanziaria 2007, un «Fondo per la realizzazione di programmi di investimento pluriennale per esigenze di difesa nazionale, derivanti anche da accordi internazionali», con una dotazione di 1.700 milioni di euro per il 2007, 1.550 per il 2008 e 1.200 per il 2009. Un «tesoretto», aggiunto al bilancio della difesa, lasciato in eredità al governo Berlusconi.
E’ a causa di questa politica bipartisan che l’Italia si colloca al decimo posto mondiale come spesa militare, e al sesto come spesa procapite, con un ammontare annuo calcolato dal Sipri in circa 30 miliardi di euro. Più di una pesante finanziaria, pagata ogni anno con il denaro pubblico.
Emblematica è la storia della partecipazione italiana al programma del caccia F-35 della statunitense Lockheed, che solo ora l’Unità definisce giustamente «piano faraonico», ricordando che costerà all’Italia 15 miliardi di euro. Il primo memorandum d’intesa venne firmato al Pentagono, nel 1998, dal governo D’Alema; il secondo, nel 2002, dal governo Berlusconi; il terzo, nel 2007, dal governo Prodi. E nel 2009 è stato di nuovo un governo presieduto da Berlusconi a deliberare l’acquisto di 131 caccia che, a onor del vero, era già stato deciso dal governo Prodi nel 2006. L’Italia partecipa al programma dell’F-35 come  partner di secondo livello, contribuendo allo sviluppo e alla costruzione del caccia. Si capisce quindi perché, quando il governo Berlusconi ha annunciato l’acquisto di 131 F-35, l’«opposizione» (Pd e IdV) non si sia opposta. Eppure già si sapeva che il costo del caccia F-35 era lievitato da 50 a 113 milioni di dollari per aereo.
Dopo aver definito quello dell’F-35 e altri programmi militari «roba da guerra fredda», ossia obsoleta, l’Unità sostiene che si continua a buttare miliardi in armi, «oltretutto (per fortuna) inutili». A questa affermazione si oppone Parisi, criticando la campagna del Pd contro le spese per armamenti dei quali «si denuncia pregiudizialmente e genericamente l’inutilità». Parisi non ha torto. Se questi armamenti fossero inutili, se fosse vero (come sostiene l’Unità) che «l’Italia ripudia la guerra», se fosse vero (come sostiene sempre l’Unità) che le 31 missioni in cui sono impegnate le forze armate italiane sono tutte di «peacekeeping», non si capisce perché dovrebbe acquistare 131 caccia F-35 destinati a missioni di attacco in lontani teatri bellici. Soprattutto i caccia a decollo corto/atterraggio verticale, spiega la Lockheed, sono i più adatti a «essere dispiegati più vicino alla costa o al fronte, accorciando la distanza e il tempo per colpire l’obiettivo». Grazie alla capacità stealth, l’F-35 Lightning «come un fulmine colpirà il nemico con forza distruttiva e inaspettatamente». Un aereo, dunque, destinato alle guerre di aggressione. 
Tutto questo viene ignorato dalla senatrice Roberta Pinotti, membro della commissione difesa, che dichiara di condividere l’impostazione di Parisi, assicurando che i dirigenti del Pd sono «consapevoli che la Difesa è uno dei compiti fondamentali dello Stato». Altro che tagli agli armamenti. 

Il giorno 07/giu/10, alle ore 20:20, Coord. Naz. per la Jugoslavia ha scritto:

(...)




Fuori dai ministeri, tra gli statali che da qui ai prossimi tre anni dovranno sacrificare i loro stipendi per versare allo Stato 5 miliardi di euro contro la crisi, il grido pacifista si è già fatto largo: «Vendessero i cacciabombardieri di La Russa». In realtà più che di vendere si tratterebbe di non acquistarne di nuovi. Idea tutt’altro che peregrina. È quello che sta decidendo di fare la Germania in queste ore, per dire. Il Pd stima che si potrebbero risparmiare almeno 2 miliardi l’annoOvvero sei miliardi nei tre anni su cui opera la manovra. Una stima prudenziale, visto che la spesa in armamenti si aggira intorno ai 3,5 miliardi l’anno.
Nella manovra finanziaria di Tremonti, però, di tagli agli armamenti non ne troverete traccia. E sì che in programma il governo italiano non ha solo l’acquisto di nuovi cacciabombardieri. Sul bilancio dello stato, al momento, incombono ben 71 programmi di ammodernamento e riconfigurazione di sistemi d’arma, che ipotecano la spesa bellica da qui al 2026. Tutti passati inosservati sotto lo sguardo vigile del ministro dell’Economia.
Cifre astronomiche
Eppure parliamo di cifre astronomiche, che il governo si è impegnato a versare all’industria bellica per acquistare una varietà incredibile di nuove armi. La lista è lunga. Prendiamo solo qualche esempio. Partiamo proprio dai cacciabombardieri. Programma di ammodernamento numero 65. Un piano faraonico, che impegna l’Italia a comprare dagli Usa 131 cacciabombardieri F-35. Aerei progettati per essere invisibili ai radar (solo che nel frattempo i radar si sono evoluti). Roba da guerra fredda. Solo nel triennio interessato dalla manovra appena varata l’acquisto programmato sulle casse dello stato per circa 2,5 miliardi di euro. Totale della spesa prevista da qui al 2026: 15 miliardi. Che si sovrappone per altro alla spesa per l’acquisto, già programmato, di 121 Eurofighter (80 sono stati già comprati e c’è ancora un’ultima tranche). Ma andiamo oltre. Al programma numero 67, per esempio. Si chiama «Forza Nec»: serve a dotare le forze armate di terra e da sbarco di un sistema assai sofisticato di digitalizzazione. Roba da Vietnam, ovvero da conflitti ad alta intensità – la guerra in Iraq era considerata a media intensità. Per ora siamo alla fase di progettazione, che da sola costa circa 650 milioni di euro. L’esborso finale, non ancora formalizzato, si aggirerà intorno agli 11-12 miliardi. Ma andiamo oltre. Passiamo ai sommergibili. Difficile prevedere una battaglia navale nel Mediterraneo che li richieda, eppure nella lista dei futuri armamenti non mancano due sommergibili di nuova generazione. Costo stimato: circa 915 milioni. Più della metà da versare già nei tre anni della manovra. Una cifra minore ma non per questo più sensata sarà spesa invece per comprare nuovi sistemi di contracarro di terza generazione: 120 milioni di euro.
Cifre da capogiro. Tanto che lo stato italiano fa fatica a stare dietro agli impegni presi. E l’industria bellica è costretta a ricorrere alle banche. Con il risultato che l’indebitamento fa lievitare ulteriormente i costi. Negli ultimi tre anni, l’Italia ha speso in armamenti circa 3,5 miliardi di euro l’anno. Una cifra destinata a lievitare, tanto più che nemmeno la manovra prova a scalfirla.
Una cifra molto opaca, secondo il Pd, che domani in Commissione difesa del senato presenterà una risoluzione per chiedere che il governo inizi a fare i conti con le armi e con i miliardi che i 71 fatidici programmi continuano a sottrarre al bilancio dello Stato. Sono tutti così indispensabili? Il Pd chiede di verificarne utilità, tempi d’attuazione e costi. E di adottare quella che definisce una «moratoria ragionata». Obiettivo: ottenere risparmi consistenti. E costringere il governo ad adeguare la spesa ai costi della crisi. E al modello di difesa adottato alla luce della Costituzione.
L’Italia ripudia la guerra, appunto. E però continua a buttare miliardi in armi, oltretutto (per fortuna) inutili. Negli ultimi 15 anni infatti le forze armate italiane sono state impegnate in 35 missioni di peacekeeping. «Ma se dobbiamo portare la pace, che ce ne facciamo dei bombardieri F-35?», osserva il capogruppo del Pd in Commissione Difesa, Gian Piero Scanu, primo firmatario della risoluzione, che illustrerà domani al senato: «Semmai – aggiunge – abbiamo bisogno di addestrare i militari, di provvedere alla manutenzione dei mezzi di trasporto che utilizzano».
Ecco appunto, di quelli invece la manovra si occupa: un taglio di quasi un miliardo in tre anni, che si aggiunge agli 1,5 miliardi di risparmi sul bilancio di esercizio già programmati dalla prima finanziaria del governo Berlusconi. Forse anche per questo quel grido d’allarme lanciato dal dipendente statale pacifista ormai comincia a diffondersi anche tra le forze armate. «Il rapporto difesa-industria va cambiato, ci sono costi e appetiti che lo rendono non ottimale, l’industria non può imporre ciò che vuole», ha denunciato pubblicamente lo stesso sottocapo di Stato maggiore dell’Aeronautica, Maurizio Ludovisi.
«Fin qui il governo non ha ancora risposto: quale è il modello di difesa a cui finalizza la spesa?», osserva Roberta Pinotti, appoggiando l’iniziativa del capogruppo. «Non è che da domani debbano rientrare gli uomini in missione – spiega Achille Serra, vicepresidente della Commessioni -, ma spendiamo soldi per armi inutili ed è doveroso tagliare davanti alla crisi è doveroso».
06 giugno 2010
di Mariagrazia Gerinatutti



(francais / italiano)


SPACCA-PAESI DI PROFESSIONE


Per l'assoggettamento dell'Africa, continente ricco di risorse da rapinare, il regime statunitense ha in serbo la stessa ricetta applicata con grande spargimento di sangue in Jugoslavia e altrove: la secessione su base "etnica". Agente delle operazioni in Sudan, come già nei Balcani, è sempre Jon Biden.

(Sul ruolo eversivo di Biden nelle problematiche balcaniche si veda:
JOE BIDEN, SPONSOR DI TUTTI I SECESSIONISMI, VISITA LA SERBIA 
Joe Biden, Obama's VP, a great sponsor of Kosovo killers
Biden's bill urging support for "the right of the people of Kosova..."
Cynical Biden discusses further destruction of Yugoslavia at US Senate Hearing



Joe Biden prépare la création d’un nouvel Etat en Afrique

8 JUIN 2010

Le vice-président des Etats-Unis, Joe Biden, se rendra à l’ouverture de la Coupe du monde de football en Afrique du Sud.

Au passage, il fera plusieurs escales en Afrique. Il est accompagné du général Scott Gration, envoyé spécial du président Obama pour le Soudan. Tous deux ont pour mission de finaliser la sécession du Sud Soudan, qui pourrait intervenir au premier semestre 2011. A ce titre, ils rencontreront Salva Kiir, qui devrait être le premier président du nouvel Etat.