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Grecia: KKE è il terzo partito
 
06/10/2009
 
Le elezioni politiche che si sono tenute in Grecia domenica 4 ottobre sono interessanti da diversi punti di vista. 

La partecipazione al voto è stata molto alta (71% sui 9.929.440 cittadini aventi diritto), segno di una competizione elettorale molto accesa nel paese e che ha spinto i cittadini a ritornare in massa alle urne pochi mesi dopo le elezioni europee. Dopo una campagna elettorale polarizzata, si assiste alla vittoria del Movimento Socialista Panellenico (Pasok), che giunge al potere dopo sei anni di governo conservatore (ND, Nuova Democrazia). Il Pasok infatti ha raccolto il 44% dei voti e, grazie alla legge elettorale in vigore, acquisisce la maggioranza assoluta del parlamento: 160 seggi su 300 (53,3%). Alle elezioni del 2007 aveva ottenuto il 38,10% dei voti e 102 seggi. Nel giro di pochi giorni dovrebbe essere ufficializzato il nuovo governo, presumibilmente monocolore. Il partito conservatore che esprimeva il governo precedente, Nuova Democrazia, ha raccolto invece il 33,48% dei voti e 91 seggi. Ne aveva 152 con il 41,83% dei voti. La terza forza del paese rimane il KKE, Partito Comunista di Grecia, che passa dall’8,15% e 22 seggi di due anni fa al 7,54% e 21 seggi di oggi. La quarta forza dell’arco parlamentare non è più la Coalizione di Sinistra Radicale Syriza, animata dal Synaspismos (che ottiene il 4,6% e 13 parlamentari), ma la forza di destra Laos (Raggruppamento Ortodosso Popolare) che passa dal 3,8% e 10 parlamentari, al 4,6% e 15 parlamentari che, con questo risultato, è riuscito a bloccare l’ingresso dei Verdi in Parlamento, fermi al 2,53% (la soglia di sbarramento è al 3%).

Tutta la campagna elettorale (e conseguentemente i comportamenti degli elettori nelle urne) hanno avuto una forte impronta bipolare. E questo anche perché la storia politica greca sembra essere quella di un paese governato da due dinastie in guerra come gli Orazi e i Curiazi. Da un alto infatti c’è il vincitore Giorgio Papandreou, figlio di Andrea, ex professore universitario e fondatore del Pasok, che nel 1981 andò al potere sconfiggendo il vecchio Costantino Karamanlis, il “padre della patria”. Dall’altro Costas Karamanlis, dimissionario a seguito del risultato elettorale, ma fino ad ora premier e capo di ND. Anche lui è nipote e figlio di primi ministri e ministri della Grecia del dopoguerra. 

La caduta del governo conservatore è riconducibile non solo alla debole maggioranza parlamentare (poche unità di voti di scarto), ma soprattutto ad un malcontento popolare crescente rispetto all’incapacità di far fronte ai problemi del paese (sociali, economici, ma anche ambientali, come dimostrano gli incendi che hanno devastato l’isola in questi anni). L’assenza di misure efficaci contro tali emergenze ed i continui scandali che hanno posto con forza la “questione morale” al centro del dibattito politico, hanno determinato l'avanzata dei socialisti del Pasok, il cui appello al voto utile ha blandito fasce sensibili di elettori di sinistra. 

Papandreou si trova ora ad affrontare problemi economici e sociali molto seri di cui gli eventi ed i disordini di dicembre scorso non sono stati che l’epifenomeno di quanto si muove nel profondo. Inoltre, l'economia stagnante ed il forte indebitamento ( La Grecia è seconda solo all’Italia) non lasciano presagire alcun segno di ripresa.

Traslando l'attenzione nel campo dell'estrema destra, l'avanzata del Laos fa pensare a un’ulteriore emorragia di voti di Karamanlis a favore del suo vecchio avversario interno Karatzaferis, sul terreno insidioso dell’immigrazione e della sicurezza. Inoltre, presentandosi con un programma a forte contenuto ecologista, ha sottratto voti ai verdi. In un tessuto sociale povero e fortemente attraversato da fenomeni migratori, principalmente provenienti dai vicini Balcani, parole d’ordine populiste e razziste, hanno pagato elettoralmente, come insegnano tutte le altre esperienze simili europee.

A sinistra si assiste invece a dati incoraggianti ed interessanti. La coalizione Syriza ha ottenuto il 4,6%, perdendo un solo parlamentare dalle scorse elezioni (ne aveva 14, con il 5,04%). Un risultato di tutto rispetto se pensiamo al fatto che durante la campagna elettorale, erano quotidiani gli articoli sulla stampa che descrivevano di una situazione interna al Synaspismos assolutamente turbolenta ed incerta. Il vecchio gruppo dirigente, capeggiato da Alekos Alavanos, ha infatti cercato di mettere in minoranza la nuova leadership (nata nel febbraio del 2008 attorno al giovane Alexis Tsipras), impedendo la sua candidatura come capolista della coalizione. E questo perché, dal recente congresso vinto dall’ala più radicale del partito, è in atto uno scontro interno molto duro che avrebbe potuto pregiudicare l’esito elettorale. Il Synaspismos vive infatti una discussione non diversa da quella di tutte le coalizioni di sinistra riformista e non comunista, che oscillano da posizioni di radicalismo di sinistra (talvolta massimalista) a posizioni di concertazione con i governi sta con i socialisti e le forze socialdemocratiche (come nei fatti chiede Alavanos per il caso greco). E questo sempre in nome di una radicalità di contenuti e pratiche che ci ricorda molto da vicino il dibattito del Prc del congresso di Venezia.

Assolutamente straordinario il risultato del Partito Comunista di Grecia che, pur perdendo un parlamentare rispetto al 2007, resta la terza forza politica del paese. Che è ancora più apprezzabile se si pensa alla campagna discriminatoria portata avanti nei confronti di questo partito, in Grecia ed all’estero (inclusa l’Italia, dove a dicembre scorso si è assistita una campagna anti-Kke sui quotidiani di sinistra, al limite della deontologia professione). I risultati di questo partito acquistano ancora più valore se li osserviamo negli anni: 5.89% e 12 eletti nel 2004; 8,15% e 22 eletti nel 2007 e 7,54% e 21 eletti oggi, con una fidelizzazione di voti che li porta sopra il mezzo milione di voti assoluti (erano 436mila nel 2004). Un trend che sta quindi a significare non solo un non scontato segno di tenuta, ma una assoluta capacità di crescita per una forza coerentemente comunista e rivoluzionaria. E questo premia soprattutto un radicamento sociale capillare ed un legame di massa molto forte, che rende possibile risultati e consensi come questi recenti, che arrivano dopo il buon risultato delle europee ed il risultato straordinario dell’associazione studentesca della Kne (la Gioventù Comunista di Grecia), alle elezioni studentesche dopo i fatti del dicembre scorso. A testimonianza, qualora ce ne fosse bisogno, della non estraneità del Kke dal movimento di protesta e giovanile.

A sinistra è interessante osservare come le formazioni politiche alla sinistra del Pasok (Kke e Syriza) conservano praticamente intatto il peso elettorale accumulato negli ultimi cinque anni: un'altro segnale della tenuta delle forze comuniste ed anticapitaliste in Europa, che dovrebbe essere maggiormente apprezzato e che dovrebbe far riflettere anche in Italia. Il Pasok, pur essendo il vincitore assoluto di questa tornata elettorale greca e pur lanciando un segnale di ottimismo alle forze europee di centrosinistra uscite ridimensionate dalla disfatta dei socialdemocratici in Germania (e non dimentichiamoci che Papandreou è leader del Pse), non inverte il ciclo di crisi e difficoltà che ha investito le forze socialdemocratiche del vecchio continente. Già dalle prime dichiarazioni si capisce come in Grecia sia cambiato governo, ma non politica. Al punto che Aleka Papariga, segretaria generale del Kke, subito dopo il voto dichiara: “la nave ha cambiato il suo “capitano” ma non la rotta”! E non può essere diversamente perché la politica del Pasok si inscrive nel solco neoliberista che ha caratterizzato i recenti governi di Nuova Democrazia, che associa al liberismo tipico della socialdemocrazia (oramai, non tanto più “temperato”, a causa della crisi economica) con la fedeltà totale ai dettami dell’Ue. Ed è proprio l’Europa, una cartina di tornasole per registrare le differenti posizioni a sinistra, con il Pasok apertamente europeista, il Synaspismos sostenitore, seppur critico, di questa Europa (e sottolineiamo “questa Europa” e non il progetto di Ue) ed i comunisti che lottano contro l’Ue.

Anche per questo motivo pensiamo che i risultati che vengono fuori da questa tornata elettorale ellenica, debbano far riflettere anche a sinistra nel nostro paese. Purché però si tenga conto delle diversità in campo e non si commetta l’errore, come forse qualcuno fa, di voler giudicare i positivi risultati di partiti diversi (dalla Linke al Pc portoghese, passando dal Bloco ed il Synaspismos, fino al Kke) quasi che la spiegazione risieda in una comune appartenenza al campo delle forze della sinistra alternativa e non nella specificità e peculiare radicamento, proposta politica e profilo politico ideologico di ciascuna forza.



LIBERTA' DI CENSURA


Personalmente ho aderito all'appello dei giuristi promosso da
Repubblica e andrò alla manifestazione triestina di supporto a quella
nazionale del 3 ottobre per la libertà di stampa. Però vorrei far
notare che il Piccolo (che fa parte del gruppo Espresso) non ha
bisogno di essere censurato dall'alto, su certi argomenti censura di
propria iniziativa. Tralasciando le questioni personali (è da diversi
anni che nonostante abbia una vita pubblica piuttosto attiva, non esce
nulla su ciò che pubblico e neppure mi pubblicano le lettere che invio
alla redazione, neppure le smentite ai sensi della legge sulla stampa)
voglio ricordare che del convegno promosso dal Coordinamento
antifascista di Trieste dell'aprile scorso il Piccolo ha parlato solo
a margine del fatto che un noto provocatore era stato fermato mentre
cercava di fare un attentato incendiario durante lo svolgimento
dell'iniziativa; che tutte le attività del Coordinamento sono state
censurate compresi i ringraziamenti che abbiamo fatto alle forze
dell'ordine per la conclusione senza danni del fattaccio; che le
iniziative sulla Tav, sul rigassificatore, presidi organizzati da
associazioni e partiti di sinistra vengono regolarmente ignorate, non
vengono neppure pubblicati i comunicati.
Allora, una breve osservazione a questo giornalismo locale: giusto
protestare contro la censura, ma un po' ipocrita protestare solo
quando la si subisce, dato che la si applica regolarmente a quelli che
non fanno comodo.
saluti
Claudia Cernigoi

(english / italiano)


PULIZIA ETNICA IN INTERNET

Circolano da giorni le notizie sulla forzosa e frettolosa cancellazione da internet dei siti con dominio che termina in .yu.
Il provvedimento dell'ICANN - l'autorità, guarda caso, statunitense che governa la rete - non ha alcuna giustificazione tecnica, visto che esistono molti domini che non hanno a che fare con alcuno Stato o che fanno riferimento a Stati non più esistenti.
Esso è dettato esclusivamente da un terrore di carattere politico, e l'unica conseguenza che può avere è quella di costringere soggetti ed iniziative balcaniche di carattere trans-frontaliero a negare tale carattere nel loro indirizzo internet. Si tratta quindi di una vera e propria "pulizia etnica", nel senso che costringe a dichiarare una "appartenenza etnica" contro l'appartenenza jugoslava, plurinazionale e "laica". Il provvedimento è quindi in linea con la politica di separazione "etnica" lucidamente perseguita nei Balcani da certe altre "autorità" da venti anni a questa parte.
Gli articoli che spiegano il provvedimento contengono innumerevoli inesattezze, a partire dal fatto che lo Stato jugoslavo non è "morto" 18 anni fa, ma casomai 6 anni fa, in seguito alla secessione del Montenegro dalla Federazione Jugoslava (vedi: https://www.cnj.it/POLITICA/serimo2003.htm ). Non viene detto, inoltre, che una importante fetta della popolazione delle repubbliche jugoslave ha continuato, finchè ha potuto, a proclamarsi "di nazionalità jugoslava" anche formalmente (si vedano ad esempio i risultati dell'ultimo censimento effettuato nella RFSJ: https://www.cnj.it/documentazione/DOSSIER96/Pages/2.html ), e continua tuttora a proclamarsi tale in tutte le sedi, oramai informali, in cui le è concesso.
E' proprio questo aspetto, questa appartenenza unitaria principalmente culturale, sociale, umana e non semplicemente politica, che a certuni ripugna - e faranno di tutto per "segregare" ancora artificialmente, formalmente, ciò che era e rimane inseparabile.
(Italo Slavo)

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http://punto-informatico.it/2718211/PI/News/anche-yugoslaviayu-non-piu.aspx

Anche la Yugoslavia.yu non c'è più

Da due decenni rappresentava una nazione che non esiste. Adesso ICANN ha ufficializzato l'eliminazione del dominio dell'ex balcanico
Roma - La Yugoslavia ha iniziato a perdere pezzi nel 1991, fino ad arrivare all'attuale divisione politica. Tuttavia il dominio .yu che ne sanciva la presenza su Internet dal 1989 è sopravvissuto ben 18 anni più della nazione che rappresentava.
Pare adesso che ICANN voglia seppellire definitivamente il contrassegno telematico della nazione fondata dal generale Tito, creandone allo stesso tempo degli altri dedicati agli stati formatisi dopo la separazione.
Già nel 2007 l'organo che gestisce i domini aveva avviato la procedura per cancellare l'ultima traccia tangibile dello stato yugoslavo. Da domani, nonostante la richiesta di rinvio del registry serbo, .yu cesserà di esistere.
Non è chiaro cosa accadrà a quelle migliaia di siti che ancora non hanno effettuato la migrazione ai domini .rs e .me. Sta di fatto che il dominio .su, riferito all'Unione Sovietica, è ancora in vita nonostante i suoi sostituti esistano già da parecchi anni.

Giorgio Pontico

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http://vitadigitale.corriere.it/2009/09/la_jugoslavia_non_esiste_piu_o.html

La Jugoslavia non esiste più. Ora neanche online

30/09/2009 - Scritto da: Federico Cella alle 12:09
Se le notizie su Internet viaggiano (quasi) alla velocità del pensiero, la Rete talvolta si dimostra invece assai lenta nel recepire i cambiamenti, anche storici, che avvengono nella realtà. E' il caso della ex Jugoslavia, finita di esistere nel 1992 - con i conseguenti sanguinosi conflitti nella zona -, cessa di avere vita sul Web solo oggi. Già, perché è solo da oggi, 30 settembre, che il suffisso internet ".yu" viene ufficialmente rimosso dalla Icann dalla Rete. Un adeguamento alla realtà geopolitica che ancora deve verificarsi, a dire il vero e per esempio, con la storica estensione ".su" che tuttora identifica online la vecchia Unione Sovietica. Della notizia, forse piccola ma significativa, ne parlano diversi siti inglesi - dalla Bbc al Guardian -, che spiegano però come in realtà ben 4 mila siti ex jugoslavi "resistenti" hanno chiesto un ritardo della chiusura dell'interruttore per poter organizzare meglio la migrazione.
Migrare sì, ma dove? La vecchia estensione, nata nel 1989 per identificare i siti residenti nell'allora Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, sarà sostituita dalle nuove ".rs" per la Serbia e ".me" per il Montenegro. Questo perché il ".yu", dismesso fin dal 2006 dall'ente americano (con funzioni mondiali) che assegna gli indirizzi web, continuava dal 1994 a essere utilizzato dalla cosiddetta Repubblica Federale Jugoslava, ossia lo Stato formatosi nel 1992 dall'unione delle repubbliche appunto di Serbia e Montenegro.

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http://balkaland.blogspot.com/2009/09/end-in-site-for-yugoslav-domains.html

End in site for Yugoslav domains

Websites using the .yu domain extension will cease to be available online from 30 September.
The extension - assigned to the former Republic of Yugoslavia - has been replaced by .rs (for Serbia) and .me (for Montenegro).
Icann - which oversees the assigning of top-level domain names - allowed extra time for sites to make the transition before removing the .yu extension.
It is thought up to 4,000 websites have still not migrated to a new domain.
However, the Serbian National Register of Internet Domain Names has requested a postponement of several months; The Internet Corporation for Assigned Names and Numbers (Icann) is meeting to consider the request.
Icann removed the .yu extension from their list of approved country domain names in 2006.
The former Republic of Yugoslavia was renamed Serbia and Montenegro in 2003, although Montenegro subsequently broke from the union in 2006.
Icann says the .rs and .me extensions are now the appropriate domain names as the Republic of Yugoslavia no longer exists.
Established in 1989, the .yu domain was first assigned to the Socialist Federal Republic of Yugoslavia.
With the break-up of the Socialist Republic at the start of the Balkan wars, the .yu domain was held by newly independent Slovenia but was eventually passed on to the Federal Republic of Yugoslavia in 1994.
Since then, it has been managed by the Yugoslav Domain Registry at the University of Belgrade.
(BBC)