Informazione


1949-2009: la Cina è il nuovo centro del mondo

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Altri link consigliati:

B. Casati: A PECHINO CON ADAM SMITH E GIULIO TREMONTI
Supplemento allegato al n. 6 di “Gramsci oggi” - settembre 2008

Le vittorie decisive delle forze rivoluzionarie e la costituzione della RPC
http://www.resistenze.org/sito/te/cu/st/cust9i25-005567.htm

Il passaggio dell’esercito popolare di liberazione all’offensiva strategica

Nuovo libro - Mao: Scritti filosofici
Libro online - Mao: Sulla dittatura democratica popolare

60° anniversario della Repubblica Popolare Cinese - dal people's Daily Online

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Chi vuole balcanizzare la Cina e perché (rassegna di articoli)

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www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 24-09-09 - n. 288

1949: nasce la Repubblica Popolare cinese.
2009: la Cina è il nuovo centro del mondo.
 
di Sergio Ricaldone
 
Il 1949 è stato un anno cruciale della storia contemporanea.
Il 4 aprile, con la firma a Washington del Trattato Nord Atlantico (Nato), l’Occidente mette a punto la sua poderosa macchina militare anticomunista. La guerra fredda contro l’URSS supera la soglia del conflitto ideologico e la Nato mostra al suo mortale nemico i suoi denti al plutonio. Le bellicose intenzioni di fermare con qualsiasi mezzo, inclusa la bomba atomica, l’espansione delle idee comuniste e dei movimenti di liberazione antimperialisti erano già state annunciate dai kilotoni che quattro anni prima avevano incenerito Hiroshima e Nagasaki.
 
Dopo avere imbottito i propri servizi segreti e quelli dei paesi alleati con migliaia di gaglioffi nazisti riciclati, l’imperialismo americano sta velocemente scivolando nel maccartismo. I fascisti al potere in Portogallo e Turchia diventano membri a pieno titolo della Nato. Nella Spagna di Francisco Franco si tengono manovre militari congiunte con gli Stati Uniti. Col dito sul grilletto il Pentagono scruta quel che succede a Berlino e lungo la frontiera dell’Elba, oltre la cosiddetta “cortina di ferro”. Il nemico storico per antonomasia sta a Mosca ed è guidato da Giuseppe Stalin, il più popolare tra i vincitori della seconda guerra mondiale. E quel che è peggio ecco arrivare il 14 luglio l’annuncio che l’URSS ha sperimentato con successo il suo primo test atomico. Si dissolve così il pesante ricatto nucleare antisovietico del dopo-Hiroshima.
 
La vittoria della rivoluzione cinese.
 
E’ probabile che Washington si sia distratta o abbia sottovalutato quello che stava succedendo alcuni fusi orari più ad oriente di Mosca (più tardi Mac Arthur cercherà di rimediare alla distrazione proponendo il bombardamento atomico della Cina…)  E’ in quel contesto internazionale che la Lunga Marcia dei comunisti cinesi guidata da Mao, iniziata quindici anni prima, si avvia verso il suo trionfale epilogo. Nel gennaio l’Esercito Rosso libera Pechino e in aprile, in singolare coincidenza con il Congresso Mondiale dei Partigiani della Pace, anche Nanchino, capitale del regime nazionalista, viene liberata dall’Esercito rosso. Infine, con la caduta dell’ultima roccaforte, Chunking, il regime nazionalista di Ciang collassa e il poco che rimane si rifugia sull’isola di Formosa scortato dalla IV flotta americana. Il primo ottobre dello stesso anno, con la proclamazione della Repubblica Popolare, viene sanzionata la vittoria della terza grande rivoluzione che ha segnato e cambiato il corso della storia mondiale moderna dopo quella francese del 1789 e dopo quella russa del 1917.
 
Gli anni della Lunga marcia
 
Dopo 15 anni la Lunga Marcia è conclusa. Il lungo cammino dei centomila partigiani cinesi guidati da Mao per sottrarsi alla feroce repressione dei nazionalisti di Ciang Kai-shek era iniziato il 16 ottobre 1934 da Ruijin. Dopo undicimila km percorsi superando montagne e grandi fiumi e sostenendo durissimi scontri armati, il 19 ottobre 1935 raggiungono Yanan e qui i soppravissuti si fermano. Sono rimasti solo in ottomila ed è l’inizio di una lunga epopea. Si preparano politicamente e si formano militarmente per poter affrontare una “guerra popolare di lunga durata”. Ma da quel pugno di uomini d’acciaio, “flessibili come il bambù”, nasce un esercito di operai e contadini sempre più grande che nello spazio di 15 anni saprà compiere imprese sbalorditive: prima resistendo ai ripetuti tentativi militari di annientamento del Kuomintang, poi nella dura lotta contro l’occupazione giapponese (magistralmente evocata da Katharine Hepburn nel vecchio film “La stirpe del drago”), e infine, terminata la seconda guerra mondiale, travolgendo e sconfiggendo per l’ultima volta i nazionalisti di Ciang sostenuti dagli americani.
 
Americani e giapponesi sostengono il Kuomintang contro l’Esercito Rosso
 
Per dissipare ogni dubbio sul sostegno offerto dall’imperialismo americano al loro alleato Ciang Kai-shek ricordiamo che fin dal giorno stesso della capitolazione del Giappone gli Stati Uniti agirono freneticamente per sottrarre al popolo cinese i frutti della vittoria. Lo racconta nel suo libro, “Breve storia della Cina moderna” edito da Feltrinelli nel 1956, il giornalista inglese della Reuter, Israel Epstein, un testimone oculare che ha trascorso quasi tutta la sua vita in Cina, sia nelle zone controllate dal Kuomintang che in quelle liberate: “Il primo passo fu l’ordine del generale Mac Arthur all’esercito giapponese in Cina di non arrendersi alle forze popolari, seguito dalle precise istruzioni di Ciang Kai-shek al generale Okamura, comandante in capo del nemico, di resistere alle forze comuniste”. Significava che gli aggressori giapponesi avrebbero continuato a conservare le proprie armi e mantenuto il controllo delle grandi città della Cina settentrionale e centrale fino all’arrivo delle truppe americane che, nel frattempo, dai sessantamila soldati impiegati nel periodo cruciale della guerra contro il Giappone, quelli sbarcati in Cina a sostegno del Kuomintang furono aumentati fino a centoquarantatremila. Ma non era più il 1919 o il 1939. I rapporti di forza tra imperialismo e movimenti rivoluzionari erano cambiati, sopratutto in Cina. E Mao lo ricorda senza ambiguità: “…Se l’Unione Sovietica non fosse esistita, se non ci fosse stata la vittoria sul fascismo nella seconda guerra mondiale, se l’imperialismo giapponese non fosse stato sconfitto, se non fossero sorte le democrazie popolari, se le nazioni oppresse dell’Oriente non fossero insorte, e se non ci fosse stata la lotta tra le masse di popolo e i dirigenti reazionari degli Stati Uniti, dell’Inghilterra, della Francia, dell’Italia, del Giappone e di altri paesi capitalisti, se tutti questi fattori non si fossero combinati, le forze reazionarie internazionali che si gettavano su di noi sarebbero state incomparabilmente più forti di quello che non siano ora. Avremmo potuto vincere in tali circostanze? Evidentemente no.” (1).  
 
Una massa sempre più grande di popolo si stava raccogliendo intorno al partito comunista ormai pienamente maturo, il cui prestigio cresceva senza interruzione intorno al vittorioso esercito popolare. Politicamente e militarmente, come fu tristemente ammesso da una relazione militare americana riassunta nel “Libro bianco sulla Cina” del Dipartimento di Stato, le truppe del Kuomintang finirono per trovarsi “in una posizione non dissimile da quella dei giapponesi durante la loro guerra contro la Cina”.
 
Il peso geopolitico del gigante Cina
 
Per le sue dimensioni geopolitiche (già nel 1949 la Cina contava con i suoi 600 milioni di abitanti, un quarto della popolazione del pianeta) e la poderosa spinta antimperialista proiettata sui popoli del Terzo Mondo la vittoria della rivoluzione cinese è stato un punto saliente della storia contemporanea. Qualunque sia il giudizio su Mao – errori politici inclusi – difficile per chiunque negare l’entità storica dei suoi risultati: ha sconfitto l’accoppiata Kuomintang/imperialismo americano, ha inflitto durissime lezioni all’impero del Sol Levante, ha ricomposto l’unità della nazione e reso la Cina indipendente e sovrana realizzando quello che l’imperatore Qin, più volte citato da Mao, aveva compiuto 22 secoli prima (2).
 
Il potenziale innovativo dei comunisti cinesi
 
Un dettaglio che molti trascurano, osservando la Cina di oggi, è lo stretto, inscindibile rapporto esistente tra la natura comunista del potere politico e i ritmi sempre più incalzanti del suo sviluppo economico. Pur segnata – come ogni sfida rivoluzionaria – da passi avanti e passi indietro e da una dialettica interna, talvolta molto acuta, che ha imposto in certe fasi dello sviluppo economico correzioni di linea e cambiamenti di rotta (talvolta sorprendenti), le scelte innovative e le riforme compiute dai comunisti cinesi mostrano una sostanziale continuità con quelle tracciate sessant’anni prima dai padri fondatori della Repubblica popolare. Già ai tempi di Mao il PIL cinese presentava un rispettabile livello di crescita medio del 6,2% (3).  Da quando la riforma economica di Deng ha optato per un riedizione della NEP leninista in salsa cinese, lo sviluppo ha raggiunto ritmi quantitativi e qualitativi che nessun altro paese al mondo è in grado di eguagliare. E’ così che, dopo 60 anni di leggende anticomuniste, di previsioni apocalittiche e di tentativi di strangolamento, Pechino è ora diventata il centro del mondo. Il turista occidentale rimane sbalordito dalla selva di grattacieli che stanno connotando l’urbanistica delle grandi città cinesi. Le autostrade, le ferrovie, gli aeroporti offrono un’immagine di modernità ed efficienza che è quanto di meglio si possa vedere oggi. Fino a pochi anni fa il confronto di città come Pechino e Shangai veniva fatto con Nuova Delhi e Mumbai, ora viene fatto con New York e Los Angeles ed è l’America a mostrare i segnali della propria decadenza (4).  Ma questa è solo l’immagine esotica della Repubblica Popolare.  
 
“Diritti umani” finti o reali ?
 
Il bilancio della Rivoluzione cinese è di ben altro spessore e non teme confronti proprio a partire dai tanto evocati “diritti umani”. Il più importante di questi diritti, quello del cibo, è stato risolto da alcuni decenni in una nazione che prima della liberazione era devastata da micidiali carestie: “Le razioni alimentari procapite sono più alte in Cina che negli Stati Uniti” ricordava già 10 anni fa, il 29/12/1999 su La Stampa di Torino, Neal D. Barnard. Ma anche gli altri “diritti umani”, istruzione, lavoro, sanità, casa, sono in espansione assai più rapida di quanto lo siano in altri Paesi di capitalismo globalizzato. Mentre nel resto del mondo la distanza tra ricchi e poveri è in continua, scandalosa crescita, in Cina la tendenza è di segno contrario: nel rapporto con i più ricchi i poveri diventano sempre meno poveri. A fare la differenza è ancora una volta il colore rosso del potere politico. Se è vero che il comunismo, inteso come “sistema”, non è ancora nato in nessun paese al mondo, Cina inclusa, il partito politico al potere a Pechino sta dimostrando di saper fare egregiamente il suo lavoro in questa fase di transizione senza perdere di vista il punto d’approdo finale. Con buona pace di coloro che si autoconsolano all’idea che il comunismo in tutte le sue versioni sia morto e seppellito.
 
Come evolve la competizione Cina – USA.
 
Senza tediare chi legge con cifre e statistiche rintracciabili ovunque (persino nei santuari del capitalismo globale, BM e FMI) ci limitiamo a ricordare ciò che scrivono oggi certi sostenitori della bizzarra tesi che il comunismo sia defunto, ora che la Cina, col mondo in piena crisi recessiva, è più che mai la locomotiva trainante dell’economia mondiale: “Obama studia il modello cinese (…) La Cina è l’unica grande economia mondiale che può vantarsi di avere evitato il contagio della recessione (…) A fine anno il suo PIL aumenterà del 7,9%. Un exploit che sembrava impossibile. (…) Questa divaricazione (con l’Occidente) si spiega con la diversa natura del sistema cinese. Economia mista con tanto mercato e tanto Stato. (…) Nella gara sulla modernità delle infrastrutture, è l’America che arranca con anni di ritardo dietro la Cina” (5).  Da un quadro del genere risulta chiaro su quale terreno Cina e Stati Uniti si affrontino nella sempre più serrata competizione economica-finanziaria, politica e militare. Per gli Stati Uniti d’America la coppia capitale finanziario-cannoniere rimane l’inseparabile opzione di sempre e poggia su un bilancio militare di oltre 600 miliardi di dollari, su centinaia di basi militari sparse su gran parte del pianeta e sui B52 sempre pronti al decollo per esportare ovunque la “democrazia” modello Bagdad e Kabul. Si chiamava e si chiama imperialismo. La Cina, viceversa, pur non rinunciando con mezzi adeguati alla sua difesa, si afferma invece, sui mercati e in politica estera, utilizzando un ben altro “arsenale”, quello finanziario e industriale. Nessun soldato cinese ha mai varcato le frontiere del paese. Le sue armi offensive sono: i prezzi competitivi e gli standard tecnologici dei suoi prodotti con cui “bombarda” e conquista i ricchi mercati del Nord; il libretto degli assegni con cui la Bank of China elargisce prestiti ai paesi in via di sviluppo, con tassi di interesse vicini allo zero; l’esercito di tecnici e operai che edificano modernissime infrastrutture in Africa, Asia e America latina. A giudicare dai risultati devono essere proprio queste le armi che fanno più paura all’imperialismo.
 
Note:
 
(1) “Storia della Cina contemporanea” a cura del collettivo dell’Accademia politico-militare di Tung-Pei. Editori Riuniti, 1955.
 
(2) “Anche i critici più severi devono riconoscere che la Lunga Marcia diede un contributo essenziale contro l’invasione imperialista, contro i residui feudali, per la costruzione di uno Stato moderno nella più grande nazione del pianeta. Ebbe una grande influenza su tutti i popoli del Terzo mondo nella decolonizzazione del pianeta. F.Rampini, La Repubblica, 16 ottobre 2004.
 
(3) Samir Amin : Il socialismo di mercato in Cina. La rivista del manifesto, gennaio 2001.
 
(4) “Oggi lasciare Pechino e arrivare a New York è un po’ come fare un salto nel passato. Parti da un aeroporto che forse è il più bello e moderno del mondo (…) una vetrina luccicante di modernità, pulizia, efficienza e cortesia. (…) Già a bordo del volo Continental CO88 Pechino-New York sei subito confrontato con i segnali fisici della decadenza americana: gli aerei sempre più vecchi e sporchi, il servizio penoso, un’aria di trasandatezza che contrasta con l’attenzione al consumatore-passeggero delle compagnie asiatiche. L’arrivo avviene allo scalo di Newark, che è pur sempre meglio del caotico JFK, eppure anche lì il primo contatto è con il “vecchiume” dell’America: tutto é antiquato, talvolta lercio, talaltra cade a pezzi. Se prendi il taxi per andare in città, è il decadimento della rete stradale-autostradale che ti colpisce rispetto alla Cina. In fatto di infrastrutture la Cina non sta solo vincendo la gara con l’India: per ora ha stravinto anche la sfida con l’America”  F.Rampini, La Repubblica delle donne, - Pensieri in trasloco - 29 agosto 2009.
 
(5) La Repubblica, F.Rampini – Obama studia il modello cinese – 27 luglio 2009
 
Gramsci Oggi, settembre 2009 – www.gramscioggi.org 
 
 

(deutsch / italiano)

Il muro di Berlino: un altro punto di vista

1) Il muro di Berlino: un altro punto di vista (Adriana Chiaia, Kurt Gossweiler)

2) Ostdeutsche Seen - einst Volkseigentum, bald Privatbesitz?
Alte und neue Naherholungsgebiete werden Opfer des Privatisierungswahns (Jens Berger)
(nei "Lander" tedeschi dell'est, i laghi - già patrimonio ambientale e sociale di Stato - sono in via di privatizzazione/appropriazione da parte dei capitalisti...)


vedi anche:
Erich Honecker: Discorso-Autodifesa pronunciato davanti al Tribunale di Berlino


=== 1 ===


www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 14-09-09 - n. 286

Il muro di Berlino: un altro punto di vista
 
di Adriana Chiaia
 
Siamo, in questi giorni, in occasione dell’anniversario della caduta del muro di Berlino, sommersi dagli inni in onore alla riconquistata libertà dai “totalitarismi”. L’evento ha perfino meritato una legge commemorativa del Parlamento italiano (1). Naturalmente non sono altrettanto esecrati i tanti muri nel frattempo eretti dai regimi “democratici” borghesi: da quello dello Stato di Israele che trasforma in carceri a cielo aperto i territori palestinesi occupati, a quello che “mette al riparo” gli Stati Uniti dall’immigrazione messicana.
 
Sulla storia rivisitata o meglio capovolta dalla versione revisionista relativa agli anni del secondo dopoguerra, Annie Lacroix-Riz, docente di Storia contemporanea all’Università di Parigi 7, così scrive (2): “… Quando la Rft assorbì la Germania intera, l’obiettivo della revisione drastica della storia del fascismo tedesco, dei suoi sostenitori (padroni nazionali e internazionali) e dei suoi nemici interni (il KPD) ed esterni (l’URSS), ebbe nuove possibilità di successo. Queste crebbero ancora di più per il fatto, generalmente del tutto sconosciuto, che i docenti universitari dell’Est persero la loro cattedra nel giorno dell’unificazione, come i magazzini persero i loro prodotti made in GDR”.
 
Ci sembra quindi giusto dare la parola a Kurt Gossweiler, uno di questi docenti, militante comunista ed eminente storico della Rdt, che così aveva commentato i fatti del 13 agosto [1961 - Inizio della costruzione del muro di Berlino, n.d.r.]:
 
1961
 
13 agosto – Presa di posizione affissa da me (Kurt Gossweiler, n.d.r.) nel giornale murale della Sezione Storia dell’Università Humboldt (di Berlino Est, n.d.r.) il 13 agosto 1961.
 
“Finalmente!
 
Questo 13 agosto 1961 ha recato finalmente una decisione che da tempo era dovuta.
 
Nel dicembre 1958, dunque 13 anni dopo la fine della guerra, il primo ministro sovietico (Chruščëv, n.d.r) dichiarava essere ormai finalmente tempo di concludere un trattato di pace con la Germania e per questo aveva indicato come termine estremo il maggio 1959.
 
Nel frattempo, da questo annuncio sono passati non 6, ma 33 mesi! In questi due anni e mezzo le potenze occidentali più Bonn non hanno tuttavia predisposto la conclusione della seconda guerra mondiale mediante un trattato di pace, ma – utilizzando le loro posizioni a Berlino Ovest – il sabotaggio dell’ordinamento economico e politico della Rdt come gradino per il passaggio dalla guerra fredda alla guerra mondiale n.3.
 
Nessun paese socialista è stato mai esposto, dopo la seconda guerra mondiale, ad un tale concentrato fuoco di fila da parte dell’insieme dell’imperialismo mondiale contro la sua economia come la nostra Rdt in questi due anni e mezzo. Washington e Bonn hanno speso per questa guerra economica centinaia di milioni. Adesso possono registrare questi milioni sul libro delle perdite, così come già hanno dovuto fare con le consegne di armi a Chang-Kai-Shek e con le somme che hanno dovuto spendere per l’invasione a Cuba.
 
Credevano questi signori dunque veramente che noi fossimo suicidi? Consideravano la nostra dirigenza di Partito e di Stato come figure amletiche, alle quali sarebbe mancata la forza di decidere l’azione necessaria? Si immaginavano veramente che avremmo consentito senza fine che cittadini della nostra Repubblica, adescati dalle loro melodie di cacciatori di topi, si consegnassero nel campo dei loro nemici e pervertitori, alla propria infelicità? Il 13 agosto li ha istruiti con rigore che devono gettare a mare illusioni del genere. Per essi questa domenica è stata veramente un cattivo 13.
 
Per noi invece è stata una delle più belle feste.
 
Ciò nonostante, non tutti coloro, che pur vi avrebbero motivo, la hanno intesa come tale. In parecchi lo sferragliare dei carri armati, con cui noi abbiamo reso sicura la nostra frontiera sinora aperta, ha suscitato uno spavento ottuso, senza senso.
 
Abituati dal passato tedesco, per cui diritto e forza erano fra loro ostili; che il diritto è stato sempre debole e impotente, il non diritto invece in pugno alla forza, a taluni l’esercizio della forza appare di per sé come segno del non diritto o comunque di un diritto non del tutto puro, per impulso di abitudine parecchia simpatia inclina verso il lato del più debole, che si vede costretto a indietreggiare di fronte alla forza.
 
Ma non deriva la grandezza e bellezza del nostro tempo, fra l’altro, proprio anche dal fatto che ciò che spetta al bene dell’umanità: diritto e forza, finalmente si trovano riuniti; che il diritto cresce forte e potente, il non diritto si fa sempre più debole e alla fine impotente? Ciò però solo se il diritto non paventa di applicare senza remissione la forza attribuitagli contro il pur sempre potente non diritto.
 
Ciò è accaduto in questo 13 agosto 1961 e dovrà accadere in futuro ancora molto e spesso – affinché con il diritto la pace riporti la vittoria definitiva sul non diritto e la guerra”3.
 
Contro il revisionismo per la verità sulla storia del movimento operaio rivoluzionario e comunista.
 
 

1 Il parlamento italiano, con la legge n. 61 del 15 aprile 2005, ha dichiarato il 9 novembre "Giorno della libertà", quale ricorrenza dell'abbattimento del muro di Berlino, evento simbolo per la liberazione di Paesi oppressi e auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo.
 
2 Nella sua presentazione al libro di Kurt Gossweiler: La (ir)resisitibile ascesa al potere di Hitler. Zambon editore, 2009.
 
3 Dal Vol. II dei Diari, p.353-364 (stralci). I diari costituiscono una parte del libro: Kurt Gossweiler, Contro il revisionismo. Da Chruščëv a Gorbačëv. Saggi, diari e documenti, Zambon editore, che sarà disponibile nelle librerie dal prossimo dicembre.


=== 2 ===

http://www.heise.de/tp/r4/artikel/30/30912/1.html

Ostdeutsche Seen - einst Volkseigentum, bald Privatbesitz?

Jens Berger 
15.08.2009

Alte und neue Naherholungsgebiete werden Opfer des Privatisierungswahns

Dort wo stressgeplagte Menschen ihre Freizeit beim Baden, Angeln,
Sonnen oder Segeln verbringen, könnte vielerorts schon bald der Spaß
ein Ende haben: "Privatbesitz - Zutritt verboten". Zu Zeiten der DDR
galten Seen als Volkseigentum und der Freizeitspaß an den idyllischen
Kleinoden war kostenfrei. Das ehemalige Volkseigentum der DDR-Bürger
wurde im Einigungsvertrag neu verteilt. Die meisten ostdeutschen Seen
gingen dabei in das Finanzvermögen des Bundes über und werden seitdem
nach und nach verkauft. Zu diesen bestehenden Seen kommen seit jüngstem
jedoch auch neu geschaffene künstliche Seen, die auf den Arealen des
aufgegebenen Braunkohlebergbaus entstehen. So soll beispielsweise die
Lausitz in den nächsten Jahrzehnten durch private Investoren zu einem
Naherholungs-Dorado ausgebaut werden. Ein Unternehmen, das Risiken
birgt, wie nicht zuletzt die Katastrophe von Nachterstedt zeigt, bei
der ein Erdrutsch zwei Häuser in den neuen Concordia-See zog und drei
Menschen dabei den Tod fanden.

Bauernland in Junkerhand

Zwanzig Kilometer vor den Toren Berlins liegt der Wandlitzsee. Früher
war der idyllische See ein beliebtes Ziel, an dem jedermann kostenlos
segeln, baden, rudern, angeln oder tauchen konnte. Mit der
Wiedervereinigung ging der Wandlitzsee in das Vermögen des Bundes über
und wurde zunächst von der Treuhand, und später dann von deren
Nachfolgerin BVVG verwaltet. Ziel der BVVG ist es, ehemaliges
Volkseigentum zu privatisieren. Im Juli 2003 kam auch der Wandlitzsee
unter den Hammer. Zunächst wurde der Gemeinde Wandlitz ein
Vorkaufsrecht eingeräumt, mit dem sie den See für 420.000 Euro dem Bund
hätte abkaufen können. Warum aber sollte eine Gemeinde einen See
kaufen, der schon immer im Besitz der Bürger war? Ist dies nicht
letztendlich nur eine Umverteilung von Ost nach West?

Die Gemeinde Wandlitz hatte allerdings auch gar nicht das nötige Geld,
um ihren See zurückzukaufen. Bei der öffentlichen Ausschreibung bekam
die Düsseldorfer Immobilienfirma Teutonia den Zuschlag.
Teutonia-Vorstand Becker führte den See daraufhin in die Wandlitzsee AG
über und forderte von den Altnutzern der Stege eine Beteiligung via
Vorzugsaktie für 7.500 Euro das Stück. Dies hätte den Düsseldorfer
Spekulanten rund 750.000 Euro in die Kassen gespült, eine schöne
Rendite für ehemaliges Volkseigentum. Aber auch die Gemeinde sollte
bluten - für den Steg zum kommunalen Strandbad sollte sie eine
Jahresmiete von 10.000 Euro entrichten. Die Gemeinde klagte und man
einigte sich auf einen Vergleich - unbestätigten Angaben  zufolge, hat
(1) sich die Gemeinde Wandlitz gegen eine einmalige Zahlung von 50.000
Euro ihre Nutzungsrechte am Steg zum Strandbad im Grundbuch absichern
lassen. Der Fall des brandenburgischen Wandlitzsees zeigt, wie aus
Privatisierung schnell modernes Raubrittertum werden kann.

Brandenburg for sale!

Allein in Brandenburg hat die BVVG bereits mehr als 14.000 Hektar
Gewässer veräußert. In den kommenden Jahren sollen nun weitere 15.000
Hektar Seenlandschaft  privatisiert werden (2). Derzeit stehen der
Fahrlander See in Potsdam, sowie der Schulzensee bei Fürstenberg zum
Verkauf. Wenn die Gemeinden die geforderte Summe nicht aufbringen
können oder wollen, wird die BVVG die Seen an die meistbietenden Käufer
veräußern. Für Bade- oder Naturfreunde in der Region könnten dann neue
Zeiten anbrechen. Dem neuen Besitzer steht es - je nach Ausgestaltung
der Verträge - frei, ob er sich für die "Nutzung" seines Sees bezahlen
lässt, oder ob er sie gleich ganz unterbindet. Vor allem in Kombination
mit erschlossenen oder zu erschließendem Bauland kann dies ein sehr
lukratives Geschäft sein. Eine Villa mit eigenem See, auf dem das
gemeine Volk nichts zu suchen hat, ist nicht nur in Zeiten der
Wirtschaftskrise ein begehrtes Objekt.

Die Privatisierung der Brandenburger Seen nutzt nur sehr wenigen,
schadet aber sehr vielen. Kann es im Sinne der Allgemeinheit sein, wenn
sich einige wenige Grundstücksspekulanten und zahlungskräftige
Investoren eine goldene Nase an einem Stück Natur verdienen, das allen
Bürgern gehört? Warum sollten die chronisch armen Gemeinden
Ostdeutschlands Seen vom Bund kaufen, um damit zu verhindern, dass
Privatinvestoren sie künftig zur Kasse bitten? Mit welchem Recht kann
Bürgern verboten werden, ein Stück Natur zu betreten?

Erster Erfolg der Privatisierungsgegner

Der Kampf gegen die Privatisierung der ostdeutschen Seen hat im letzten
Jahr an Fahrt gewonnen. Eine Online-Petition des  BUND (3) verfehlte
ihr Ziel von 50.000 Zeichnern zwar knapp, aber da auch in Brandenburg
in diesem Jahr ein neuer Landtag gewählt wird, äußert nun auch die
Politik Kritik an der äußerst unpopulären Privatisierung. Nachdem
zunächst der brandenburgische Ministerpräsident Platzeck öffentlich
Stellung bezog, legten in den letzen Tagen auch die Bundesminister
Tiefensee und Gabriel nach und forderten ein Moratorium bei der
Seenprivatisierung. Die BVVG reagierte und  verkündete (4) am 11.
August einen Ausschreibungsstopp für das laufende Jahr, um "die
Diskussion über den Seenverkauf zu versachlichen und zu einer
vernünftigen Absicherung der berechtigten Interessen der Allgemeinheit
zu kommen." Was aber passiert, wenn sich die Diskussion nicht
versachlicht und im nächsten Jahr keine neuen Wahlen vor der Tür
stehen? Die Privatisierung ist einstweilen ausgesetzt, gestoppt ist sie
aber noch nicht.

Kohle zu Wasser zu Geld

Es sind jedoch nicht nur die "alten" Seen, die zum Verkauf stehen. Die
Lausitzer- und Mitteldeutsche Bergbau- und Verwaltungsgesellschaft mbh
(LMBV) hat weitere 70 Seen in ihrem Angebot, die stolze 14.200 Hektar
umfassen und im Namen Brandenburgs und Sachsens samt Stränden und
Gewässerrandbereichen an private Investoren verkauft werden sollen. Das
besondere an den Seen der LMBV ist, dass es sich hierbei um ehemalige
Braunkohletagebaureviere handelt. Im Einigungsvertrag wurden diese
Reviere dem Bund -  und somit der Treuhand - übereignet und werden nun
von deren Nachfolgerin LMBV zunächst saniert und dann privatisiert.

Die Sanierung dieser "Altlasten" ist jedoch eine anspruchsvolle und
kostenintensive Aufgabe. Wenn riesige Areale geflutet werden, besteht
vor allem an den Böschungsrändern die Gefahr von Erdrutschen. Diese
Gefahr wurde im sachsen-anhaltinischen Nachterstedt traurige
Wirklichkeit. Dort riss ein solcher Erdrutsch ein 350 Meter breites
Areal mit zwei Häusern in die Tiefe, wobei drei Menschen den Tod
fanden. Nachterstedt liegt am Südufer des neu geschaffenen  
Concordia-Sees (5). Dort sollte bis zur vollständigen Flutung im Jahre
2018 ein Tourismus-Mekka mit Marina, Surfschule und vielen privaten
Ferienwohnungen entstehen.

Die genaue Ursache der Katastrophe von Nachterstedt ist noch nicht
bekannt - im September soll ein Untersuchungsbericht Klarheit schaffen.
Nachterstedt ist jedoch kein Einzelfall. Im Januar  ereignete (6) sich
im Brandenburgischen Calau ein noch größerer Erdrutsch. Eine Fläche in
der Größe von 36 Fußballfeldern rutschte dort um durchschnittlich fünf
bis sechs Meter ab, allerdings kam kein Mensch dabei zu Schaden,
weshalb der Fall nie publik wurde. Anders als in Nachterstedt galt der
ehemalige Tagebergbau in Calau jedoch als saniert und wurde bereits
verkauft.

Die "größte von Menschenhand gestaltete Wasserlandschaft Europas", die
im deutschen Osten, entsteht birgt für die Bewohner und die künftigen
Touristen noch einige Risiken. Einen Vorteil hat die Katastrophe von
Nachterstedt jedoch - das Vorkaufsrecht für die ostdeutschen Kommunen
wird in Zukunft günstiger ausfallen. Die Kaufverträge der LMBV sehen
nämlich keine Haftung für Schäden vor, die aus der ehemaligen
Bergbaunutzung resultieren. Private Investoren werden angesichts der
Risiken in Zukunft wohl ihre Finger von der neuen Seenpracht in
ehemaligen Kohlerevieren lassen.

LINKS

(1)
http://www.berlinonline.de/berliner-zeitung/archiv/.bin/dump.fcgi/2007/0
515/brandenburg/0018/index.html
(2)
http://www.fr-online.de/top_news/1855519_Land-privatisiert-Gewaesser-See
paree-in-Brandenburg.html
(3) http://bund-brandenburg.de/
(4)
http://www.die-newsblogger.de/bvvg-schreibt-vorerst-keine-seen-zum-verka
uf-aus-7111300
(5) http://www.bwk-lsa.de/download/seeland.pdf
(6)
http://www.fr-online.de/in_und_ausland/politik/aktuell/?em_cnt=1842667

Telepolis Artikel-URL: http://www.heise.de/tp/r4/artikel/30/30912/1.html

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Mercredi, 16 Septembre 2009 12:53
 
Serbie : les «nouveaux entrepreneurs», des mafieux protégés par l’État ?

Dimitrije Boarov   

Depuis cet été, une vague de grèves affectent la Serbie : les travailleurs réclament le paiement de salaires bloqués depuis des mois, ou bien dénoncent des privatisations irrégulières. Le gouvernement se déclare incompétent, car il ne pourrait intervenir dans l’économie de marché. En réalité, les « nouveaux entrepreneurs » serbes, qui ont bâti des fortunes colossales, sont de généreux sponsors des partis politiques, et l’État les protège. Pourtant, le modèle économique choisi pourrait vite tomber en panne.


Cet été, les médias serbes ont dénoncé les patrons qui ne versent pas les salaires de leurs employés et qui ne paient pas les contributions de santé ni de retraite, ce qui entraîne des pertes pour les entreprises et les licenciements pour les travailleurs.

Mi-août, 32.000 personnes étaient en grève en Serbie dans une cinquantaine d’entreprises, ce qui représente moins de 0,2% de l’ensemble des salariés serbes. Ce chiffre n’est pas inquiétant, il n’annonce pas forcément un automne « chaud » suivi d’une catastrophe économique. De plus, les données publiées par le quotidien Večernje novosti indiquent que 8.300 travailleurs de 29 entreprises font grève à cause de retards dans le paiement des salaires (parfois de plusieurs années), tandis que 15.672 travailleurs de 11 entreprises protestent à cause des « privatisations illégales ». Ils se sentent trompés ou négligés en tant que « co-propriétaires » des entreprises privatisées, et demandent que les nouveaux propriétaires soient remplacés par d’autres, plus sérieux.

Les représentants de l’État affirment qu’ils ne sont pas en mesure de réagir, parce qu’il s’agit de propriétaires et de capitaux privés, mais les travailleurs relèvent-ils de la propriété privée ? En réalité, l’État n’ose pas mettre en marche les mécanismes légaux contre les propriétaires qui ne respectent ni les contrats de privatisation ni les conventions collectives de crainte que cela mène à la liquidation d’un grand nombre d’entreprises privatisées, et à la perte de milliers d’emploi. L'État semble défendre la nouvelle « classe capitaliste » en prétendant protéger les employés.

« Un groupe de voyous protégés par les politiques »

En effet, le mécanisme de liquidation des entreprises en faillite ou plutôt de leur propriétaires ne fonctionne pas, et tous les nouveaux capitalistes ressemblent à un groupe de voyous protégés par les politiques. Cette caste compte beaucoup de généreux sponsors des partis politiques, qui profitent de leur position pour exercer une sorte de racket sur les hommes politiques et les services secrets, empêchant le fonctionnement normal de l’État de droit.

Beaucoup de ces investisseurs laissent l’impression d’amateurs ambitieux, de mafieux reconvertis et de profiteurs de guerre. Leur mode de vie confirme cette impression : le style de leurs maisons, de leurs voitures, de leurs restaurants, les menus dans ces restaurants et les jeunes filles du show-biz qui leur tournent autour... On finit par se poser des questions sur la nature de l’État où ces gens jouissent d’une telle reconnaissance.
Selon une théorie populaire, la crise actuelle qui touche nos entrepreneurs provient du fait que la crise mondiale a interrompu le mécanisme de la revente des entreprises privatisées aux acheteurs étrangers avec une marge bien rentable. Les revendeurs sont endettés et ils doivent maintenant rembourser les prêts qui leur ont permis d’acheter les entreprises pour les revendre ou de les transformer en terrains de construction, pour ensuite revendre les appartements construits.

Božidar Đelić, vice-Premier ministre et ministre de la Science et du Développement technologique, a récemment déclaré qu’il était « indispensable de vérifier les contrats de privatisation qui ne sont pas respectés pas les acheteurs », parce qu’il y a des exemples « où un homme riche achète vingt entreprises en Serbie et fait du profit d’un côté tout en licenciant les employés de l’autre ».

Le jeu pervers des hypothèques bancaires

De plus, nos banques - rachetées par les banques étrangères, mais souvent gérées par des cadres locaux - ont soutenu « le système pyramidal » d’acquisition de chaînes entières d’anciennes entreprises étatiques, par leurs règles de « garantie » de rendement des prêts. En réalité, le système des hypothèques (souvent d’une valeur quadruple au crédit accordé) a déstabilisé le marché de l’immobilier, à part, peut-être, pour les terrains agricoles.

En effet, on constate une nouvelle tendance à la création de grands domaines agricoles en Voїvodine, rendue possible par le bas prix et la mauvaise gestion des terrains étatiques, le tout dans le but d’augmenter « la capacité de crédit » bancaire. Ces conditions permettent à Đorđije Nicović de « cultiver » 25.000 hectares, à Miodrag Kostić 24.000 hectares, à Miroslav Mišković 16.000, à Predrag Matijević 12.000 et à Mile Jerković entre 12.000 et 14.000 hectares. On peut se demander si tous ces terrains ne font pas déjà l’objet d’hypothèques bancaires (Lire notre article « Voïvodine : les oligarques, nouveaux grands propriétaires fonciers »).

Prenons l’exemple de Mile Jerković, actuellement en prison à cause de la contrebande de cigarettes. Il a raconté qu’il avait commencé sa carrière d’entrepreneur grâce à l’hypothèque de 500 hectares de terrain agricole (d’origine inconnue), ce qui lui a permis d’acheter 19 sociétés d’État. Il en a déjà revendu neuf (sept sociétés de transport ont été rachetées par une société suisse, deux par un partenaire de Subotica, tandis que l’Agence de la privatisation avait repris six sociétés).

Le cas de Mile Jerković n’est pas unique : la majorité de nouveaux capitalistes sont obligés d’acheter sans arrêt de nouvelles entreprises, pour se procurer de nouveau crédits et couvrir les frais liés aux acquisitions précédentes. Selon une récente analyse de la revue Ekonomist magazin, l’endettement total des nouveaux entrepreneurs auprès des banques serbes et étrangères est d’environ deux milliards d’euros. Si cette dette n’augmente encore, elle va s’écrouler un jour sur le dos des nouveaux capitalistes, et l'État sera obligé de les sauver, sûrement par une renationalisation.
Le processus de privatisation en Serbie fait l’objet de nombreuses critiques. Il devait être rapide et définitif. Malheureusement, la privatisation a été lente et elle n’a pas répondu aux grandes attentes qu’elle suscitait. Aujourd’hui, sept ans après le lancement du « système de vente » des entreprises sociales, 287 (47.000 employés) n’ont pas été rachetées, ainsi que 108 entreprises étatiques tandis que 332 entreprises attendent leur liquidation. 1.828 entreprises ont été vendues par appels d’offre ou aux enchères, mais 420 contrats de privatisations ont été résiliés parce que les nouveaux propriétaires ne les ont pas respectés.

La discrétion des « nouveaux entrepreneurs »

Il est difficile de définir le portrait de la nouvelle classe capitaliste serbe, puisque ses représentants - Mišković, Ranković, Beko, Lazarević, Hamović, Matić, Babović, Mandić, Rodić et compagnie - n’aiment pas les apparitions publiques. Cette position est légitime mais elle est également prudente parce que les clans politiques ne pardonnent pas le manque de loyauté et toute apparition à la télévision peut être interprétée comme une critique de « la situation actuelle » ou s’inscrire dans le cadre de la lutte pour le pouvoir. Cependant, l’économie est une affaire publique qui demande de communiquer à propos du « partenariat avec l’État et la société », et surtout au sujet des contrats signés avec leurs employés et les citoyens de cet État.

N’est-il pas étrange que les journalistes qui rapportent les protestations d’ouvriers ne réussissent jamais à obtenir le point de vue des employeurs, injoignables et souvent anonymes ? Les rares « nouveaux capitalistes » qui daignent parler aux journalistes ont souvent des difficultés à composer leur phrases. Il est intéressant qu’ils demandent aussi une aide de l’État, comme s’ils avaient racheté leurs entreprises pour des raisons patriotiques.
Le mépris de l’opinion publique que manifestent la majorité des grands capitalistes serbes ralentit la formation de la nouvelle classe d’entrepreneurs dans le sens idéologique et nous amène à conclure que cette classe n’a aucune intention de guider le processus de modernisation vers ce qu’il est dans la plupart des pays développés.
En réalité, la question-clé porte sur la stabilisation de la classe capitaliste à la fin d’une décennie durant laquelle la Serbie a tenté de consolider sa démocratie. Les sociétés « créées » par Nikola Pavičić (Sintelon), Miodrag Babić (Hemofarm), Predrag Ranković (Invej) Ili Petar Matijević (Industrie de viande) ont déclaré des chiffres d’affaire compris entre 30 et 50 millions d’euros pour 2008, ce qui serait important même dans des pays plus développés. Les sociétés de Mišković, Drakulić, Kostić, Vukićević et d’autres hommes d’affaires connus font également partie de la liste.
Si cette classe est arrivée à une certaine stabilisation, son influence sur l’État est-elle proportionnelle à son importance dans l’économie ?

Traduit par Jasna Andjelić.

Source: Le Courrier des Balkans 
Vreme pour la version originale 




Contro la sporca guerra dell’Afghanistan

1) Stop alla sporca guerra dell’Afghanistan. Ritiro immediato delle truppe italiane
Il 4 novembre una giornata nazionale di mobilitazione antimilitarista in tutte le città
(comunicato del Patto contro la Guerra)

2) Stima e solidarietà con la dott.ssa Salacone
(volantino della Rete Naz. Disarmiamoli!)


=== 1 ===

Stop alla sporca guerra dell’Afghanistan. Ritiro immediato delle truppe italiane
Il 4 novembre una giornata nazionale di mobilitazione antimilitarista in tutte le città
 
comunicato del Patto contro la Guerra
 
Lunedì 21 settembre s’è tenuta un riunione d’emergenza del Patto contro la guerra per discutere gli sviluppi del conflitto sul fronte afgano che hanno visto il contingente militare italiano subire il suo colpo più duro in questi otto anni con l’uccisione di sei parà della Folgore.  I contraccolpi di questo evento sono rilevanti ai fini dell’azione dei movimenti No War.
 
Si conferma che – nonostante un sostanziale accordo politico bipartizan sulle missioni di guerra – la maggioranza della società è contraria alla presenza dei militari italiani in Afghanistan e favorevole al loro rientro. Si riaffaccia la contraddizione tra la maggioranza parlamentare a favore della guerra e la maggioranza sociale che resta contraria. Se ciò innescherà contraddizioni anche a livello parlamentare sia nella maggioranza che nell’opposizione è tutto da verificare.
 
Alla luce dell’escalation del ruolo attivo dei militari italiani nella guerra, si conferma la pesantezza della scelta fatta dai partiti di sinistra nel governo Prodi di non aver aperto questa contraddizione quando c’erano le condizioni per farlo. Una autocritica pubblica, ponderata e di prospettiva, è un passaggio non eludibile nel rapporto con i movimenti No War che in questi anni si sono battuti con continuità e coerenza contro le missioni di guerra all’estero ma anche nel rapporto con la società.
 
La guerra e il mattatoio afgano non possono che peggiorare nella prossima fase. La NATO e gli USA in Afghanistan stanno perdendo la guerra e la faccia, per questo intendono accrescere lo sforzo bellico. Le illusioni che la partecipazione alla guerra preventiva portasse benefici attraverso la rapina delle risorse degli altri popoli o le ricadute economiche della spesa militare, sono state spazzate via dalla crisi. Crescono tra i militari e le classi dirigenti le spinte a mettere l’opinione pubblica di fronte al fatto che l’Italia è in guerra, dunque a mettere da parte le ipocrisie sulle “missioni di pace” ed a imporne le conseguenze nella gestione dell’informazione, della politica e del sistema legislativo.
Per questi motivi riteniamo che i movimenti contro la guerra possano e debbano svolgere una funzione di attivizzazione e riferimento per tutti coloro che in modi e con sensibilità diverse si oppongono alla guerra e alle sue ricadute.
 
1) Il Patto contro la Guerra propone di mettere in moto un processo di confronto e iniziativa per il ritiro delle truppe italiane dall’Afghanistan, per severi tagli alle spese militari e l’uso delle risorse per le spese sociali, per lo smantellamento delle basi militari a cominciare dal blocco della base di Vicenza che deve riguadagnare la sua dovuta dimensione di “questione nazionale e non locale”. Questo processo deve connettersi già da oggi alle mobilitazioni sociali e sindacali previste per l’Autunno.
 
2) Proponiamo di convocare una prima giornata nazionale di mobilitazione antimilitarista su questi contenuti per il prossimo 4 novembre (giornata della retorica militarista) con iniziative in tutte le città (cortei, sit in, azioni, assemblee in piazza) e di convocare assemblee pubbliche nel mese di ottobre per discutere le iniziative.
 
3) Non escludiamo la possibilità di convocare una manifestazione nazionale entro l’Autunno sulla base di una verifica del percorso, delle possibilità e delle disponibilità delle varie situazioni locali ma soprattutto sulla base della realtà sul fronte di guerra.
 
Roma, 21 settembre


=== 2 ===

La lettera/volantino che verrà distribuita ai genitori e agli insegnanti della scuola elementare "Iqbal Masih" di Roma

 
Stima e solidarietà con la dott.ssa Salacone
 
Vogliamo esprimere la piena stima e solidarietà alla dott.ssa Salacone – dirigente della scuola elementare Iqbal Masih - da parte di tutte le persone impegnate in questi anni nella Rete nazionale Disarmiamoli. Da anni e con coerenza sosteniamo che occorre mettere la parola fine al coinvolgimento dell’Italia nelle avventure di guerra, che occorre far rientrare immediatamente i soldati italiani dal fronte di guerra afghano e che occorre destinare alle spese sociali per l’istruzione, la sanità e il reddito a disoccupati, precari e licenziati l’oltre mezzo miliardo di euro spesi ogni anno per la missione militare in Afghanistan
La scelta della dott.ssa Salacone di non assecondare la retorica strumentale sui soldati italiani mandati a morire in una guerra sbagliata, incomprensibile dalla gente, che ha provocato quasi 43mila vittime in otto anni (11.000 sono civili) ed in cui sono morti anche 21 soldati italiani, è stata una scelta coraggiosa e niente affatto isolata.
 
E’ lo stesso coraggio civile che hanno trovato le persone che hanno invocato “Pace subito” e “Adesso ritirate i militari” durante i funerali di stato dei soldati mandati a morire in Afghanistan, lo stesso coraggio civile che hanno trovato alcuni sacerdoti in diverse città, è lo stesso coraggio civile che resiste dentro la parte migliore della nostra società e che invece non troviamo più nei partiti politici che hanno linciato la direttrice della scuola Iqbal Masih o che non hanno avuto il coraggio di difenderla da attacchi indecenti.
 
Gli attivisti della Rete Disarmiamoli ritengono invece che la dott.ssa Salacone meriti tutto il sostegno di chi non intende rinunciare alla dignità e alla coerenza, smascherando le ipocrisie e le menzogne sugli orrori e le conseguenze della partecipazione dell’Italia ad una guerra sbagliata come quella in Afghanistan.
 
Il prossimo 4 novembre in molte città italiane ci sarà una giornata antimilitarista che ha proprio l’obiettivo di smascherare la retorica e le ipocrisie di guerra. Sarà una occasione per dare voce alla maggioranza della popolazione italiana che ha ripetutamente confermato che vuole il ritiro dei militari italiani inviati nella guerra in Afghanistan e la riduzione delle spese militari per utilizzarle su obiettivi sociali.
 
Invitiamo gli insegnanti e i genitori a stringersi intorno alla dott.ssa Salacone e alla lezione magistrale di civiltà e coraggio civile che ha offerto a tutto il paese.
 
La Rete nazionale “Disarmiamoli!”
tel 338 1028120-3357698321
 
per avere tutte le informazioni che vi nascondono sulla guerra in Afghanistan consultate il sito : http://it.peacereporter.net