Informazione


(La stampa straniera registra con sgomento l'agibilità politica accordata in Italia ai gruppi nazi-fascisti con provvedimenti come quello delle “ronde”...)


da The Sunday Times

13 settembre 2009

Piccoli Hitler d'Italia

Con il patrocinio di Silvio Berlusconi, gruppi di vigilantes di estrema destra sono intenzionati a pattugliare le strade d’Italia, risvegliando timori di un ritorno al fascismo.  

Christine Toomey
(Articolo segnalato da Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - onlus.
Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)

La voce scandita di Gaetano Saya raggiunge una tonalità quasi isterica quando egli punta con un gesto secco il dito in direzione delle quattro gigantesche aquile marmoree ad ali spiegate che si librano sopra il porticato semicircolare di Piazza della Repubblica a Roma. 
“Guardate! Ecco, quelli sono i simboli della potenza dell’Impero Romano! Ce ne sono dappertutto!” 
Quando così si esprime, Saya pronuncia queste parole quasi con violenza e rabbia. 
Per tutto il tempo che noi siamo stati seduti nell’afoso caldo estivo, sorseggiando caffè espresso in un bar al riparo degli archi della piazza tanto frequentata, egli conserva la sua compostezza. Ma quando la discussione cade sulla baraonda generata dai segni distintivi scelti dalle unità di ronda di recente formazione da parte di un rinato partito neo-fascista – che includono l’aquila imperiale, un tempo portata dalle Camicie Nere di Mussolini – a stento contiene la sua furia. 
“Le aquile sono nostri simboli di Roma, non emblemi fascisti. Se in Italia venissero messe all’indice, si dovrebbero strappare aquile da ogni edificio pubblico. Le aquile fanno parte della nostra storia. Proprio come Cromwell fa parte della vostra storia.”, così pronuncia con enfasi, lisciandosi i baffi ben curati.  

Per la prima volta dalla fine della seconda Guerra mondiale, Roma è governata da un sindaco appartenente allo schieramento di destra. Gianni Alemanno non solo è un uomo di destra, ma anche un neo-fascista che una volta scendeva ad esercitare la sua violenta protesta per le strade, i cui sostenitori hanno salutato la sua vittoria elettorale con ostentati saluti fascisti.   
Alemanno è stato eletto sindaco nella primavera dello scorso anno sull’onda dell’isteria nazionale in seguito al brutale assassinio avvenuto a Roma della moglie di un ufficiale di marina italiano per mano di un nomade Rom di provenienza Rumena. Nell’ottobre 2007, l’aggressore aveva sottratto pochi denari dalla borsetta della donna, che stava ritornando a casa percorrendo una strada deserta, l’aveva violentata e lasciata morire. Il volto di questa insegnante di religione di 47 anni era tanto massacrato che la polizia aveva potuto descriverla solo come una donna di “età non ben determinata”, tanta era stata la violenza che l’aveva condotta a morte. 
A seguito della copertura a forti tinte riservata dai mezzi di comunicazione alla morte della signora Giovanna Reggiani per mano della “bestia Rom”, gruppi di vigilantes hanno messo in atto vendette. Quattro nomadi che mendicavano nel centro di Roma venivano bastonati e feriti, mentre baracche di immigrati in tutta Italia venivano dati alle fiamme. 
Da quel momento il paese si è trovato stretto nella morsa di una crescente ondata di xenofobia, che i politici di destra hanno sfruttato in modo spietato. Allora, estremisti, come quel Saya, con il suo rinvigorito Movimento Sociale Italiano-Destra Nazionale (MSI-DN), si sono nutriti del terrore nei confronti degli immigrati.  
L’“utilizzatore finale” è stato Silvio Berlusconi, il sempre-abbronzato 72.enne miliardario primo ministro. Usando la potenza del suo vastissimo impero mediatico, egli immediatamente dichiarava che il suo paese era investito da una “emergenza Rom” di criminale attività. 
In quel momento, molti articoli di stampa e notiziari televisivi violentemente soffiavano sul fuoco, per cui erano gli immigrati i responsabili del crimine in Italia, dando libero sfogo perfino al fatto che “tutti i Rumeni nutrono intenti criminali”.
Complessivamente le cifre sul crimine in Italia non hanno visto una loro crescita per oltre un decennio, mentre più di un terzo dei carcerati sono attualmente stranieri. Nell’ultimo anno sono state addebitate a stranieri il 68% delle violenze carnali e il 32% delle rapine.    
La preoccupazione sui livelli dei crimini commessi da immigrati ha aiutato Berlusconi ad arrivare al potere nell’aprile 2008 su un programma elettorale di legge-e-ordine. Immediatamente Berlusconi annunciava l’introduzione di un “pacchetto sicurezza nazionale”, che prevedeva migliaia di soldati in uniforme mimetica da combattimento dispiegati a guardia degli angoli delle strade delle metropoli e delle città Italiane. 
Il pacchetto viene reclamizzato come uno sforzo per stroncare sia il crimine che l’immigrazione illegale, attualmente spesso dipinti come del tutto sinonimi in Italia, paese che Berlusconi afferma mai avrebbe permesso di trasformarsi in una “società multi-etnica”.  
L’aver focalizzato così grande attenzione sulle buffonerie di un premier ardentemente focoso, salterellone da un letto all’altro, ha consentito a questo sgradevole fiume sotterraneo di razzismo di procedere con calma insidiosa. La decisione di Berlusconi di legalizzare le nuove ronde di vigilanti sta sollevando un particolare allarme.  

Agitando le sue mani con gesti plateali di auto-compiacimento, Saya si vanta che migliaia di Italiani ora stanno chiedendo a gran voce di far parte delle ronde vigilanti di estrema destra, che egli ha battezzato come Guardia Nazionale Italiana, istituita in giugno dal suo partito. Quando la Guardia Nazionale ha presentato al pubblico la sua uniforme – basco nero di foggia militare adorno di aquila imperiale, guanti neri, calzature nere, camicia khaki e fascia al braccio recante il simbolo del sole nero a lungo associato al Nazismo – gli inquirenti Italiani immediatamente hanno promosso un’inchiesta giudiziaria nei confronti del gruppo. Dopo la seconda guerra mondiale in Italia sono stati messi al bando tutti i simboli nazisti e fascisti. Ma  Saya, (52 anni), che nel passato era stato inquisito per incitazione all’odio razziale, è pienamente convinto che l’inchiesta verrà tranquillamente fatta cadere. 
“Noi siamo solamente degli ardenti patrioti. Come è possibile che qualcuno faccia obiezione a questo? Noi siamo sostenitori dell’ultra-nazionalismo. Noi difendiamo la nostra storia e siamo in marcia.”  
Saya accusa i “milioni di stranieri che stanno invadendo l’Italia” per la crisi economica, sociale e morale che ora il suo paese deve affrontare. 
“Mussolini era un grande uomo ispirato da un effettivo amore per la sua nazione. Era un leader legittimato, non un dittatore.” 
Saya agita la mano per chiamare un giovane seguace che è stato a gironzolare nelle vicinanze. Riccardo Lanza è un trentatreenne agente di borsa, buon parlatore, vestito con cura con un buon abito e camicia a righine. Egli afferma che la ragione per cui l’uniforme paramilitare della Guardia Nazionale sta appesa nel suo guardaroba è che “gli Italiani non sono più in grado di dirigere il loro stesso paese.” Lanza denuncia le mafie Russe e Cinesi per il “caos totale” in Italia. “Si sono infiltrate nella nostra economia, proprio come hanno fatto gli stranieri a prendere possesso delle nostre strade. Noi dobbiamo mettere un fermo a tutto questo.”    

Diversamente da molti paesi Europei con un lungo passato coloniale, l’immigrazione di massa è un fenomeno relativamente recente in Italia, che per tradizione è stato più paese uso alla costante emigrazione dei suoi cittadini. Negli ultimi 20 anni hanno investito questo paese ondate di immigrazione – prima dai paesi del blocco orientale come l’Albania e la ex Jugoslavia in occasione della caduta del Muro di Berlino, e più di recente dall’Africa del nord e sub-Sahariana – ed è stato valutato che in Italia sono arrivati legalmente per viverci 3 milioni e mezzo di migranti, e un altro milione e mezzo illegalmente. 
L’Italia si trova alle prese con il fatto di non essere più un paese monoculturale. Di recente Berlusconi si lamentava che la sua città di nascita, Milano, “sembra una città Africana”.  
Opportunismo politico sta dietro alla creazione dei gruppi di vigilanti. 
Berlusconi è stato aiutato a ritornare al potere con il sostegno della Lega Nord, movimento di estrema destra, originariamente fondata per far passare il progetto della secessione dell’Italia del Nord dal resto del paese, ma più di recente determinata nella sua opposizione alla migrazione di massa. 
Dieci anni fa, era stata la Lega Nord che aveva iniziato ad organizzare non ufficialmente ronde stradali anti-crimine nelle città e nei paesi di tutto il nord-Italia con il più largo numero di immigrati. Quando divenne chiaro che il partito di Berlusconi di recente formazione, il Popolo della Libertà, (una ampia coalizione tra l’ex movimento Forza Italia di Berlusconi e Alleanza Nazionale, diretta dal politico neo-fascista riformato Gianfranco Fini) aveva bisogno dell’appoggio della Lega Nord, venivano presi impegni sulla questione sicurezza, compresa l’introduzione di ronde di vigilanti. Il modo di contrastare l’immigrazione illegale, dichiarava Roberto Maroni, un uomo politico cardine della Lega Nord, divenuto quindi Ministro dell’Interno, era quello di “diventare cattivi”.  

Infatti, il pacchetto sicurezza, gradualmente introdotto negli ultimi dodici mesi, prevede in modo stringente nuove norme che rendono l’immigrazione illegale un reato criminale punibile con una ammenda fino a 10.000 Euro. I bambini degli immigrati illegali devono essere espulsi dalla scuola e non possono ricevere assistenza sanitaria, e coloro che consapevolmente danno ospitalità a clandestini possono essere condannati fino a tre anni di prigione. 
Questi provvedimenti sono stati paragonati da importanti uomini di cultura e scrittori alle infami leggi razziali di Mussolini, che bandivano gli Ebrei dai posti di lavoro e di studio. Il Vaticano li ha definiti fonte di “grande preoccupazione” e “una ragione di deplorazione”. Perfino Berlusconi sembra avere realizzato di essersi spinto troppo lontano in questo suo appoggio al vigilantismo. 
Quando gruppi come la Guardia Nazionale di Saya hanno cominciato a farsi vedere in giro tutti tronfi nelle loro uniformi di stile fascista, e nel luglio scorso violenti scontri sono scoppiati fra appartenenti a ronde di estrema destra e oppositori di sinistra nella stazione climatica di Massa in Toscana, Maroni ha annunciato che i gruppi di vigilanti avrebbero dovuto sottostare a criteri ben definiti prima che fosse concesso loro di cominciare a pattugliare le strade.
Le ronde non potevano essere costituite da più di tre componenti, i membri delle ronde non dovevano indossare uniformi di foggia militare, non dovevano essere armati e potevano avere in dotazione solo walkie-talkies e telefoni cellulari per allertare la polizia in caso di disordini. 

Ma il genio della legge imposta a furor di popolo è già stato lasciato sfuggire dalla lampada. Da nessuna parte questo è più evidente che fra i seguaci della formazione di estrema destra al centro delle violenze che sono scoppiate d’estate nella cittadina di Massa.  
Massa sembra essere una stazione climatica di mare tipicamente Italiana, con le sue ben ordinate file di lettini e di ombrelloni a strisce colorate. Comunque la cittadina è collocata ai piedi delle scoscese Alpi Apuane e possiede un orgoglioso primato di resistenza. Durante la seconda guerra mondiale queste montagne hanno fornito rifugio ad un gran numero di partigiani. Molte delle più tristemente famose atrocità commesse in Italia dai reparti Tedeschi delle SS sono avvenute in questa zona, compreso il massacro di Sant’Anna di Stazzema, un piccolo paese dove 560 civili, per lo più donne, bambini ed anziani sono stati raggruppati, colpiti a morte e i loro corpi sono stati dati alle fiamme. 
Allora, quando Stefano Benedetti mi racconta la storiella su come il nome per la ronda, che egli ed altri estremisti di destra hanno creato a Massa, gli sia venuto per caso, chiaramente che ciò risulta risibile. Il gruppo è stato battezzato come Soccorso Sociale e Sicurezza, e quindi le sue iniziali, SSS, risultano altamente provocatorie. 
Benedetti, un venditore ambulante ben noto per diffondere dagli stereo della sua macchina inni fascisti e per tenere appeso in casa un ritratto di Mussolini, è l’unico consigliere comunale di destra in una municipalità governata dalle sinistre.  
“La gente mi definisce un Nazi ed un fascista. Invece io sto facendo solo il mio dovere di cittadino,” egli argomenta, spiegando come le sue ronde SSS hanno cominciato ad operare di notte ai primi di quest’anno, battendo le zone della città frequentate da immigrati, vigilando su possibili disordini.  “Ve ne sono troppi di stranieri presenti nella nostra comunità, e costoro sono dediti al crimine, a rubare le macchine, ad introdursi nelle abitazioni commettendo violenze.”   
Quando membri di SSS si sono riuniti all’esterno di un bar nei pressi del luogo dove esponenti sindacali di sinistra stavano organizzando una manifestazione nella notte del 25 luglio, gli scontri fra le due fazioni hanno causato un fuggi-fuggi generale fra i turisti. Tre poliziotti e due dimostranti hanno dovuto ricorrere alle cure ospedaliere; i manifestanti di sinistra hanno messo in atto un presidio sul raccordo alla strada ad alto scorrimento. 
Quando le notizie della comparsa di SSS hanno iniziato a circolare fra le piccole comunità di immigrati e di Rom presenti a Massa e nei suoi dintorni, funzionari locali hanno riferito che genitori di nazionalità straniera hanno cominciato a ritirare i loro bambini dai programmi di attività estive.   Una visita ad un campo nomadi Rom disastrato di baracche e di roulotte disseminate lungo la strada ferrata tra Massa e la vicina città di Carrara rivela subito il perché. “Gli Italiani ci hanno sempre odiati. Ma, fino ad ora ci hanno lasciato tranquilli per più del tempo,” ci ha dichiarato un ventitreenne padre di tre bambini, che vuole essere identificato solo per nome, Ercoles. “Queste ronde, dicono che renderanno le strade più sicure. Ma ora noi abbiamo paura di lasciare i nostri bambini fuori dalla nostra vista. Noi temiamo che se li lasciamo andare nelle piscine o nelle spiagge locali, i bambini verranno aggrediti.”  
“Massa ha una reputazione di città più sicura, sesta in Italia,” spiega esausto il suo sindaco, Roberto Pucci. “Invece il modo in cui queste ronde di destra operano è solo quello di suscitare un non giustificato senso di paura, di creare una percezione che qui ci siano più problemi di quelli che in realtà esistono, quindi dipingono se stessi come gli unici interessati a questi e in grado di risolverli. E Pucci conclude: “Noi siamo una democrazia giovane, e quello che sta avvenendo qui dobbiamo prenderlo in considerazione seriamente.”   
Pucci ha ora proibito a SSS di operare a Massa, e molte municipalità in tutta Italia governate dalla sinistra pensano di seguirne l’esempio. Però Benedetti e i suoi seguaci giurano che riprenderanno con le loro ronde. “Loro hanno impedito a SSS di operare. Allora noi cambieremo il nostro nome e costituiremo una nuova organizzazione,”così dichiara un sostenitore. “Quello che noi stiamo facendo sta all’interno delle nuove norme. Ora, nessuno può fermarci.”  

A questa sfida fa eco Gaetano Saya. Sebbene la Guardia Nazionale abbia rinviato la messa in attuazione operativa delle ronde di suoi vigilanti come risultato della promozione dell’indagine giudiziaria, Saya afferma che loro eluderanno le norme che vietano le uniformi riclassificandosi come una “milizia di partito”.  
“La Guardia diverrà il braccio operativo del nostro Partito, di scorta ai nostri uomini politici dove questi sceglieranno di andare per le strade. Non potranno fermarci!”
Per di più Saya dichiara di essere spalleggiato da un gruppo di ricchi industriali, che hanno finanziato per la Guardia l’acquisto di un elicottero di sorveglianza. 
La prospettiva di ronde di vigilanti che si trasformano in milizie politiche, come esisteva al tempo di Mussolini, ha messo in allarme molti Italiani, in particolare sull’onda di misure assunte dal governo, come la decisione di prendere le impronte digitali alla intera popolazione di 150.000 zingari Rom presenti nel paese, anche se molte famiglie di nomadi sono presenti in Italia dai tempi del Medio Evo. Il programma della raccolta delle impronte digitali è stato messo in attuazione immediatamente in alcune città, ma è stato attenuato con l’esclusione dei bambini in seguito alle proteste delle associazioni per i diritti umani. 
Comunque tali programmi hanno già avuto un effetto desensibilizzante. I corpi di due giovani sorelle nomadi, annegate mentre nuotavano al largo di una spiaggia di Napoli nell’estate 2008, sono stati lasciati per ore sulla sabbia coperti da un asciugamano, mentre i bagnanti continuavano nei loro  picnic e a giocare a frisbee.
A Padova, città in un territorio di vitale importanza per la Lega Nord, le autorità locali avevano eretto una barriera di acciaio alta tre metri intorno ad una comunità di immigrati ritenuta responsabile di avere portato prostituzione e spaccio di droga in quella zona della città. In seguito la barriera è stata rimossa; (N.del tr.: informazione non precisa; gli immigrati sono stati fatti sgombrare dalle palazzine che occupavano, e quelle case fatiscenti sono state murate. In quelle abitazioni fatiscenti vivevano anche famiglie di immigrati regolarmente in affitto che erano costrette a convivere con delinquenti organizzati ed un immenso degrado. Alcuni appartamenti venivano affittati a posti letto, anche dieci e più di numero per abitazione, al prezzo di 200 – 300 euro, logicamente in nero, da proprietari e amministratori senza scrupoli, non certamente immigrati, ma cittadini Padovani. Le famiglie sgombrate in regola hanno ricevuto dalla amministrazione sistemazioni in case popolari sane e decenti. La barriera non è stata ancora smantellata); nella vicina cittadina di Abano, il sindaco ha predisposto una taglia di 500 euro in favore di chiunque denunci un immigrato clandestino. 
In molte aree del nord, dove ci si aspetta tutta una fioritura di ronde di vigilanti, la Lega Nord ha perfino proposto che gli esercizi che forniscono kebab e i ristoranti Cinesi vengano espulsi dai centri cittadini in quanto considerati “non compatibili con il contesto storico”.  

Negli ultimi anni, molti Italiani hanno provato fastidio per la proliferazione di prostitute, provenienti dall’Europa dell’Est e dall’Africa, che esercitano senza riserbo la loro professione per strada in tutto il paese. E il fiorire del crimine organizzato e la violenza delle bande hanno avuto un più ampio effetto. Agli inizi di quest’anno, a Roma il sentimento anti-immigrati si è esacerbato dopo che una donna ventenne Italiana aveva subito una violenza di gruppo e il suo fidanzato brutalmente bastonato da una gang di cinque Rumeni.  
Ma con il precipitare nel paese del tasso di natalità e dell’invecchiamento della popolazione, molti settori dell’economia troverebbero difficile sopravvivere senza lavoratori stranieri. Un documento governativo dell’anno scorso sulle relazioni con l’immigrazione dimostrava che il 42% degli Italiani riconosce che gli immigrati sono essenziali all’economia. 
Però, questo non ha impedito negli ultimi 12 mesi tutta una serie di feroci attacchi contro stranieri. Lo scorso febbraio, in un’aggressione è stato percosso un Indiano di 35 anni senza-casa e dato alle fiamme in una cittadina di mare vicino a Roma, e prima un immigrato del Burkino Faso era stato bastonato a morte con una spranga di ferro da un negoziante di Milano che lo aveva accusato di avergli rubato un pacchetto di biscotti.
Marco Rovelli, uno studioso di Massa che ha scritto sull’emigrazione Italiana, attribuisce la comparsa del vigilantismo e il successo di movimenti politici come quello della Lega Nord nell’incoraggiare la xenofobia alla storia stessa del paese, come una nazione povera di migranti fino alla metà del secolo scorso.“Quando gli Italiani vedono degli stranieri vivere nella condizione di povertà che loro solo di recente si sono lasciati alle spalle, ecco che si spaventano. Per molti è doloroso ricordare il loro passato e quindi temono di perdere quella prosperità che hanno acquisito.”  

Al di sotto della manipolazione governativa sull’insicurezza nazionale si trova una diversa agenda, mette in guardia un altro studioso. James Walston è professore di relazioni internazionali presso l’Università Americana di Roma. Questa la sua affermazione: “Focalizzando l’attenzione sugli immigrati, e questa è l’intenzione delle ronde vigilanti, sebbene non venga mai detto, e suscitando il sentimento per cui le strade Italiane siano insicure, incolpando gli stranieri, Berlusconi sta distogliendo i riflettori dai reali problemi di questo paese.”  
Waltson ritiene che i problemi reali siano costituiti dal crimine organizzato e dalla mafia. “Ma qualsiasi citazione della mafia viene totalmente omessa dall’ordine del giorno, e in parte questo è dovuto ai legami con la mafia dello stesso primo ministro.”  Walston cita il verdetto di colpevolezza nei confronti di Marcello Dell’Utri, uno dei più stretti consiglieri di Berlusconi, accusato di  complottare con la mafia Siciliana. 
In molte parti d’Italia una percentuale significativa di popolazione continua a pagare ogni giorno la protezione, “il pizzo”, ai gruppi mafiosi presenti nel territorio. Molti temono che, particolarmente al sud, le ronde di vigilanti cadranno subito sotto il controllo della mafia, consolidando la sua influenza e causando ulteriore spargimento di sangue. 
Nel settembre scorso, nei pressi di Napoli, una squadra omicida del tristemente famoso clan dei Casalesi ha abbattuto a colpi di arma da fuoco sei Africani dell’Africa Occidentale in una guerra per l’esclusività del controllo della prostituzione e dello spaccio di droga. (N.d.tr.: in seguito, accurate indagini hanno dimostrato che il motivo della strage consisteva in un puro atto intimidatorio nei confronti di una comunità di lavoratori clandestini, che avevano dato segni di insofferenza e di ribellione per essere trattati come schiavi da caporali camorristi che li sfruttavano, e continuano tuttora a sfruttarli, mentre le forze dell’ordine dello Stato si rivelano impotenti a mettere fine a questa violenza. Non sarà certamente un movimento di ronde a mettere termine a questo schifo!) 
Diversi mesi prima, a Napoli, criminali Camorristi avevano scatenato un’orgia di violenza contro i campi nomadi Rom, dando alle fiamme le baracche, aggredendo e picchiando gli occupanti e cacciandoli dalle loro abitazioni, dopo che erano circolate voci che una piccina era stata rapita da una donna zingara. La risposta del ministro degli Interni del governo, Maroni, è stata semplicemente di non curanza: “Questo è quello che avviene quando gli zingari rubano i bambini!”   

Poca meraviglia, allora, che la magistratura Italiana, in passato stigmatizzata da Berlusconi come un “cancro per la società”,  e i sindacati di polizia siano veramente critici nei confronti del nuovo pacchetto sicurezza del premier, che prevede anche la legalizzazione delle ronde di vigilanti: si ritiene che questi provvedimenti creino solo “confusione” e stornino risorse dagli organismi deputati ufficialmente a far rispettare le leggi.  
Inoltre, alle ronde approvate dalle municipalità locali sarà concesso un seppur limitato finanziamento. La polizia ritiene che sarà difficile individuare dove esattamente questo denaro andrà a finire, come sembra confermare un incontro a Milano con due vigilantes grandi e grossi.  
Vincenzo Scavo non ha difficoltà a presentarmi ad un suo socio dai muscoli robusti, il cui cellulare di continuo ha in funzione la suoneria con il motivo dal tema del film “Il Padrino”. 
Fino all’inizio di luglio, Scavo dirigeva a Milano un gruppo denominato “Berretti Blue” che veniva finanziato con più di mezzo milione di euro per condurre nelle strade ronde anti-crimine nei luoghi cittadini che destano preoccupazione, come la stazione ferroviaria e il sistema della Metropolitana.   Questo, finché si è scoperto che Scavo aveva in tasca la tessera del partito neo-fascista MSI - Destra Nazionale guidato da Gaetano Saya.  Il contratto veniva immediatamente sospeso e il sindaco di Milano ordinava un’inchiesta nei confronti dei “Berretti Blue”. 
Scavo, di mestiere guardia del corpo privata, tutto tatuato, originario dalla Sicilia, spiega con toni offesi che la sola ragione per cui possedeva la tessera di quel partito era dovuta al fatto che diversi anni prima era stato contattato per fornire servizi privati di sicurezza a quel partito. Egli non aveva mai preso servizio e dopo non aveva mai più avuto contatti con il MSI - Destra Nazionale.     
Scavo protesta: “Siamo stati bloccati per il nostro buon operare, per la nostra missione.” 
Egli insiste: “Il contratto copriva solo una parte delle attività dei Berretti Blue. Infatti i nostri volontari si sono prestati a fare la spesa per quegli anziani residenti in zone marginali della città, vicino a campi nomadi e a comunità di immigrati dove gli Italiani hanno paura a camminare per le strade. Ora, i nostri concittadini dovranno affrontare da soli i pericoli e vivere nella paura degli stranieri.”  
Facciamo una camminata in alcune delle zone identificate da Scavo come luoghi poco raccomandabili ed insicuri, come Via Padova a nord-est del centro di Milano, e diventa subito chiaro che sono gli immigrati ad avere paura. 
“Un discreto numero di componenti queste ronde sono proprio razzisti, che utilizzano le ronde come scusa per compiere abusi nei confronti degli stranieri,” afferma Isabel Ceveño di 39 anni proveniente dall’Ecuador, che ha vissuto in Italia per 13 anni. 
Molti immigrati che ho avvicinato in questa zona con un gruppo chiamato “City Angels”, un’organizzazione umanitaria che aiuta i senza casa, non osano più esprimere le loro effettive preoccupazioni. Mario Furlan, il fondatore dei “City Angels” ribadisce: “Loro sono abituati a parlare apertamente con noi. Ma ora sono diventati ben più cauti. Alcuni pensano che anche noi facciamo parte di queste nuove pattuglie di vigilanti. Mentre noi andiamo per le strade per cercare di aiutare la gente, il vigilante classico è uno che gira alla ricerca di un nemico.” 
“Le ronde vanno proprio a creare più agitazione per le strade,” afferma Jona Qamo, un giovane di 27 anni dall’Albania. “Non sarebbe meglio aiutare gli immigrati ad inserirsi piuttosto di spiarli e tenerli sottocontrollo?” 
Qamo ha una sua opinione. Il comportamento attitudinale delle autorità Italiane a tutti i livelli è stato di presumere che le persone avrebbero in qualche modo affrontato da sole il problema e accettato gli immigrati nel loro ambiente sociale, in quanto gli Italiani avrebbero un atteggiamento indifferente a riguardo.  
“Ma il presupposto della tolleranza degli Italiani non è sufficiente,” dichiara James Walston, “quando fra il 5 e il 10% della popolazione è costituito di stranieri.” Egli argomenta che quella che è necessaria è una “effettiva direzione” nel promuovere l’integrazione. “Ma questo è l’opposto di quello che sta avvenendo.”  
Jean Leonard Touadi, nato nella Repubblica del Congo ed ora primo africano Parlamentare Italiano  proveniente dall’Africa sub-Sahariana, afferma: “È veramente duro per gli Italiani ammettere di essere razzisti, dato che loro non associano se stessi con quella parte di Europa con una lunga storia coloniale.”   
Touadi è vissuto in Italia per trent’anni e in anni recenti a visto lievitare un marcato razzismo: “Voi non potete sapere che noi stiamo vivendo in un regime fascista. Ma molto di quello che sta avvenendo ora è veramente pericoloso. Con tutti i problemi che questo paese ha, non ultimo quello della mafia, scegliere e porre gli immigrati al vertice delle priorità dell’osservanza della legge e consegnarli alla mercé di vigilanti è sicuramente trasformarli in capri espiatori.”


Commento del traduttore: È necessario fare tesoro di una frase di Primo Levi tratta da “Se questo è un uomo”. “A molti, individui o popoli, può accadere, più o meno consapevolmente, di credere che ogni straniero sia nemico. Quando questo avviene, allora, al termine della catena sta il lager.”
Indubbiamente l’articolo presentato ha una sua valenza, è una testimonianza di una giornalista straniera sicuramente preoccupata che una nazione come l’Italia, culla e patria del fascismo razzista, sia ancora preda di rigurgiti razzisti e xenofobi profondamente radicati, con la potenzialità di ridiventare terreno di coltura, come nel passato, di germi di forme di governo autoritarie, che possano andare ad infettare altri paesi in Europa e nel mondo.
Ciò non di meno, bisogna anche sottolineare che l’articolista, a volte, appare documentata superficialmente e le sue carenze di informazioni puntuali possono rendere tutto il suo lavoro come improbabile, mentre risulta meritoria la sua enfasi assegnata al fatto che in questo nostro disastrato paese si puntino i riflettori sulle insicurezze provocate dalla presenza degli immigrati, magari “colored”, e non sui tanti problemi che la nostra classe politica dimostra di non avere la volontà di affrontare, tanto di meno di superare.
Come atto consolatorio, allego il breve, ma documentato articolo del giornalista italiano Stefano Milani riportato  da “il Manifesto” del 22 settembre, sempre a proposito di ronde.


La Legge  
di Stefano Milani

Tanta propaganda ma tre mesi dopo gli albi sono vuoti
«È la legge voluta dagli italiani». 
Così, un minuto dopo l'approvazione a Palazzo Madama (il 2 luglio scorso), sorridenti senatori leghisti applaudivano alle ronde, punta di diamante del pacchetto sicurezza made in Maroni, insieme alla caccia ai clandestini. 
Ora, a neanche tre mesi dal quella «storica giornata» si scopre che gli italiani poi tutta questa voglia di vedere sfilare sotto le loro finestre pettorine fluorescenti armate di torce e telefonino non ce l'hanno. Gli italiani rimangono anche in questo tradizionalisti: per la tutela dell'ordine pubblico continuano a preferire polizia e carabinieri. Padani compresi. 
Basta andare in giro per le prefetture del profondo nord e chiedere all'addetto di turno l'apposito modulo necessario per iscriversi all'albo rondista. Alla domanda i più rimangono basiti: «Modulo, quale modulo, ma è sicuro?». Ma c'è anche chi si meraviglia e, sotto sotto, si compiace: «Finalmente uno». 
È quello che capita in una insospettabile prefettura di Treviso. Città del sindaco-sceriffo Gentilini che ha fatto della sicurezza a tutti i costi il suo modello da esportare, da cui ti aspetti valanghe di domande ed invece di ronde nemmeno l'ombra. «Nessuna associazione - conferma il capo della procura Antonio Fojadelli - ha chiesto di iscriversi nell'apposito registro: evidentemente non se ne sente la necessità». D'altronde, ammette, «è richiesta una serie di adempimenti così faticosi da dissuadere».
È infatti dura la vita dell'aspirante rondista. 
Prima cosa bisogna fondare un'associazione, poi presentare regolare domanda d'iscrizione e ancora, una volta inseriti nell'elenco, aspettare che i Comuni diano il beneplacito. E per girare di notte alla ricerca del brutto ceffo possono passare dei mesi. 
A Padova le ronde da quando sono «legalizzate» sono addirittura sparite. Non ci sono più quelle di quartiere, al Pescarotto, quelle leghiste di Veneto Sicuro, quelle dei commercianti del centro storico. «Ad oggi non ci è arrivata nessuna richiesta - sottolinea l'assessore alla Polizia municipale Marco Carrai - probabilmente i limiti che ha introdotto la legge sulla Sicurezza come l'impossibilità di appartenere a sindacati e movimenti politici, la gratuità del servizio evidentemente hanno scoraggiato gli eventuali interessati». 
Insomma, checché ne dica la Lega, quello delle ronde è un vero e proprio flop. Buono solo per vincere le elezioni.
Del resto anche illustri esponenti della stessa maggioranza di governo non hanno mai nascosto qualche perplessità. Alemanno, ad esempio, evita di parlarne. E se proprio deve farlo, allora preferisce consultare il dizionario dei sinonimi e dei contrari e trovare alternative linguistiche più soft, tipo «comitati di quartieri» o «volontari della sicurezza». Ma mai ronde, «nella nostra città non ci saranno mai». 
Per poi ritrovarsele, qualche giorno fa, una niente male a marciare su Roma col braccio teso, in divisa color ocra, cravatta nera, aquila romana e scritta «SPQR». Una «pagliacciata» l'ha definita il sindaco. Peccato però che carnevale sia ancora lontano.  
        


Il giorno 17/set/09, alle ore 20:47, Coord. Naz. per la Jugoslavia ha scritto:

(La stampa straniera registra con sgomento l'agibilità politica accordata in Italia ai gruppi nazifascisti con provvedimenti come quello delle "ronde"...)


From The Sunday Times

September 13, 2009

Little Hitlers

Encouraged by Silvio Berlusconi, groups of far-right vigilantes are patrolling the streets of Italy, awakening fears of a return to fascism

Christine Toomey

Gaetano Saya’s staccato voice rises to a near-hysterical pitch as he points skywards, jabbing his finger in the direction of four giant marble eagles with outspread wings that tower above the semicircular porticoes of Rome’s Piazza della Repubblica. “Look! There they are — symbols of the mighty Roman Empire. They are everywhere!” ...

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6517




(slovenščina / italiano)

Manteniamo in vita il Teatro Stabile Sloveno di Trieste!


Il Consiglio di Amministrazione del Teatro Stabile Sloveno, riunitosi il 28 settembre 2009, ha preso atto della posizione degli enti locali espressa in occasione dell'incontro tenutosi nel pomeriggio tra i soci fondatori del teatro: la Regione FVG, la Provincia di Trieste e il Comune di Trieste e l'Associazione Društvo Slovensko gledališče. Gli enti locali interessati si sono espressi come di seguito:

·    Il contributo rivolto al teatro dal fondo statale per la minoranza, è considerato come contributo proprio della Regione e con esso si considerano esauriti gli impegni nei confronti del teatro.
·    Gli enti non intendono contribuire per le spese di gestione della sala.
·    Per l'anno 2010 si impegnano ad erogare gli stessi contributi che sono stati versati nel 2009.
Inoltre suggeriscono:
·    Che i possibili fondi aggiuntivi per il teatro vengano attinti dal fondo per l'attività della minoranza slovena istituito dalla legge 38/2001;
·    Che venga ridotta l'attività di produzione del teatro e che si rinforzi il sistema di ospitalità.
Non è iniziato il dibattito sulla proposta di riforma dello Statuto, avanzata dall'Associazione Društvo Slovensko gledališče.
In base ai dati sopra riportati il Consiglio di Amministrazione rileva:
·    Che simili ridimensionamenti andrebbero a intaccare lo status di teatro stabile di iniziativa pubblica.
·    Che il teatro non può attendersi la realizzazione dei ricavi inseriti nel bilancio di previsione.
Per questo motivo il CDA del TSS è giunto alla conclusione che non ci sono le condizioni necessarie per dare il via alla stagione teatrale 2009/10 con la firma dei contratti di lavoro per i dipendenti stagionali.
Perciò il CDA convoca l’Assemblea dei soci e rassegna all’unanimità le dimissioni.

 

Comunicati dei lavoratori del Teatro Stabile Sloveno

 

A seguito delle dimissioni del Consiglio di Amministrazione del Teatro Stabile Sloveno,  in assenza di prospettive economiche ed occupazionali nell’immediato futuro, in assenza di contratti per il personale stagionale  e in assenza di piani organizzativi che non siano di semplice attesa del mutare degli eventi, i lavoratori riuniti in assemblea dichiarano la sfiducia nei confronti del direttore e del direttore artistico, poiché non avendo più fiducia nelle loro capacità e idoneità. In difesa dei posti di lavoro e a sostegno e tutela del teatro tale come allo stato attuale che non può essere ridotto a funzioni di mero contenitore, cosa che implicherebbe la fine di un teatro di produzioni professionali che dura ininterrottamente da 107 anni, i lavoratori si dichiarano pronti a mettere in campo iniziative di mobilitazione avvisando i media.

 

COMUNICATO STAMPA N°2
I dipendenti del Teatro Stabile Sloveno rendono noto che nell’odierna assemblea, in data 30 settembre 2009, è stato eletto un comitato di crisi, formato da sei membri in rappresentanza del settore amministrativo, tecnico e della compagnia stabile degli attori. Il comitato tutela le maestranze del teatro nella lotta e nell’impegno di mantenere in vita il Teatro Stabile Sloveno di Trieste.
 COMUNICATO STAMPA N°3
Il comitato di cristi del Teatro Stabile Sloveno comunica che ha inviato un urgente sollecito d’incontro alle seguenti istituzioni:
·                                 Regione FVG
·                                 Comune di Trieste
·                                 Provincia di Trieste
·                                 Associazione Društvo Slovensko gledališče
come soci fondatori del Teatro Stabile Sloveno e inoltre ai Presidenti delle organizzazioni di rappresentanza della comunità slovena Rudi Pavšič (SKGZ) e Drago Štoka (SSO).
Il comitato comunica che è disponibile all’immediato dialogo con le istituzioni. Soprattutto perché convinto che negli incontri che finora hanno sostenuto i nostri rappresentanti (CDA e direzione) non sono stati espressi tutti i punti di vista e comunque non sono state analizzate tutte le possibilità per salvaguardare e risolvere definitivamente la situazione del TSS.


Slovensko stalno gledališče-Teatro Stabile Sloveno
Ul. Petronio, 4-34138 – Trst- Via Petronio 4 – 34138 - Trieste
tel. +39 040 632665, 632664-fax +39 040 368547
organizacija@...
www.teaterssg.it



ZARADI HUDE FINANČNE KRIZE JE DO NADALJNEGA VSAKRŠNO DELOVANJE GLEDALIŠČA PREKINJENO.



PISMO UPRAVNEGA SVETA SSG


Upravni svet, ki se je sestal na seji 28. septembra 2009, je vzel na znanje stališče krajevnih uprav na današnjem srečanju med ustanovimi člani gledališča. Krajevne uprave, Dežela FJK, Pokrajina in Občina Trst, ki so skupaj z Društvom Slovensko gledališče ustanovni člani SSG, so izjavile da:
·    prispevek, ki ga gledališče prejema iz državnega manjšinskega sklada, obravnavajo kot lasten prispevek in s tem menijo, da izpolnjujejo zakonske obveznosti;
·    ne nameravajo izpolniti zakonskih obveznosti glede stroškov obratovanja dvorane;
·    za leto 2010 nameravajo prispevati iste zneske, ki so jih dodelili v letu 2009.
Ob tem predlagajo:
·    naj se morebitna dodatna sredstva gledališču dodelijo iz sklada za manjšinske dejavnosti po zakonu 38/2001;
·    naj se krči produkcijsko delovanje gledališča in okrepi sistem zunanjih gostovanj.
O predlogu statuta, ki ga je izoblikovalo Društvo Slovensko gledališče se ni začela razprava.
Na osnovi zgoraj navedenih dejstev, US ugotavlja:
·    da bi takšni ukrepi ogrožali status stalnega gledališča;
·    da gledališče ne more pričakovati uresničitve prihodkov zapisanih v proračunu.
Zato je Upravni svet prišel do zaključka, da ni pogojev za odobritev začetka nove sezone s podpisom sezonskih delovnih pogodb.
Iz tega razloga Upravni svet soglasno odstopa in sklicuje Skupščino članov.



TISKOVNO SPOROČILO USLUŽBENCEV SSG (1)


Po odstopu Upravnega sveta Slovenskega stalnega gledališča, glede na pomanjkanje finančnih sredstev in možnosti zaposlitve v bližnji prihodnosti ter v situaciji, ko ni možno zagotoviti sezonskih pogodb, kakor tudi zaradi odsotnosti  načrtov za rešitev, ki niso zgolj preprosto čakanje na kakršnokoli spremembo, so se uslužbenci in stalni pogodbeni sodelavci sestali in sklenili, da izrečejo nezaupnico ravnatelju in umetniškemu vodji,  saj nismo več prepričani v njunoustreznost in sposobnost. Zavedajoč se resnosti situacije izjavljamo, da smo odločeni boriti se za ohranitev delovnih mest in gledališča  v dosedanji obliki, saj smo prepričani, da bi kakršnakoli redukcija pomenila dokončno zaprtje Slovenskega stalnega gledališča kot neodvisne produkcijske hiše. Hkrati pa bi to pomenilo konec profesionalnega gledališkega ustvarjanja, ki v tem prostoru neprekinjeno deluje že 107 let. O naših nadaljnih korakih bomo javnost obveščali sproti.



TISKOVNO SPOROČILO USLUŽBENCEV SSG (2)


Sporočilo za javnost št. 2
 
 
Kolektiv delavcev Slovenskega stalnega gledališča obvešča javnost, da je na današnji seji, dne 30.septembra 2009, ustanovil krizni odbor šestih članov, ki ga sestavljajo predstavniki administracije, tehničnega in igralskega osebja. Odbor zastopa interese celotnega kolektiva v borbi in prizadevanjih za ohranitev Slovenskega stalnega gledališča v Trstu.



TISKOVNO SPOROČILO USLUŽBENCEV SSG (3)


Sporočilo za javnost št. 3

Krizni odbor Slovenskega stalnega gledališča sporoča javnosti, da je poslal zahtevo po takojšnjem sestanku na naslednje ustanove:
  • Deželo FJK
  • Občino Trst
  • Pokrajino Trst
  • Društvo Slovensko gledališče
kot ustanoviteljem Slovenskega stalnega gledališča.
Kakor tudi Predsednikoma obeh krovnih organizaciji Rudiju Pavšiču za SKGZ in Dragu Štoki za SSO.
Odbor sporoča javnosti, da je nemudoma pripravljen na pogovor z omenjenimi političnimi dejavniki, še posebej zato, ker smo prepričani, da v pogovorih, ki so jih imeli z našimi dosedanjimi predstavniki (Upravni svet in vodstvo SSG) niso bila podana vsa ustrezna stališča in nikakor niso bile izčrpane vse možnosti za ohranitev in dokončno rešitev SSGja.



TISKOVNO SPOROČILO USLUŽBECEV SSG (5)


Sporočilo za javnost št. 5
Krizni odbor obvešča javnost, da se je danes 06.10.2009 sestal s Predsednikom Društva Slovensko gledališče gospodom Adrianom Sosičem. Zagotovil je, da si Društvo, kot ustanovni član Slovenskega stalnega gledališča, prizadeva za ohranitev gledališča v takšni obliki kot doslej, to je kot suverene produkcijske hiše in da nikakršna okrnitev števila delavcev ne pride v poštev. Opozorili smo ga na dejstvo, da si prizadevamo, da ne pride do krčenja osebja, saj je že v preteklih letih prišlo do ukinitve delovnih mest in do klestenja vsedržavnih pogodbenih razmer.
Povedali smo tudi, da bo krizni odbor deloval tako dolgo, dokler ne bo prišlo do imenovanja novega upravnega sveta in novega sposobnega in ustreznega vodstva gledališča.
Jutri se bo odbor sestal s pokrajinskim tajnikom SSk g. Petrom Močnikom.
Na včerajšnji tiskovni konferenci sindikatov CGIL-SLC in UIL-UILCOM, sta nas oba sindikalna tajnika g.Sincovich in g.Visentini seznanila o prizadevanju za čimprejšnji sestanek z obema predsednikoma krovnih organizacij. Vlogo sindikatov razumemo kot izjemno dragoceno in ključno pri reševanju trenutne krize, še posebej zato, ker gre prav njim velika zasluga pri reševanju kriznih situaciji v preteklih letih.



TISKOVNO SPOROČILO USLUŽBECEV SSG (6)


Sporočilo za javnost št. 6
V zvezi s Festivalom Borštnikovo srečanje 2009 krizni odbor sporoča sledeče:
 
  • Tekmovalnega programa s predstavo Hči zraka se SSG ne more udeležiti, ker je z 28.septembrom delo Slovenskega stalnega gledališča do nadaljnega zastalo. Mnenja smo, da bi bilo vsakršno morebitno krpanje in pokrivanje stroškov za udelelžbo na festivalu le trenutna »lepotna operacija«, ki nikakor ne bi bila v prid in ne bi rešila krizne situacije v kateri se nahaja SSG.
  • Zahvaljujemo se vodstvu Borštnikovega srečanja za razumevanje in njihovo pripravljenost pomagati nam v našem boju za obstoj SSG, zato s hvaležnostjo sprejemamo vabilo, da 17.oktobra namesto odpovedane predstave organiziramo večer na odru SNG v Mariboru, ki bo v celoti posvečen problematiki in umetniškemu snovanju v SSG. Večer si zamišljamo kot srečanje s publiko BS kakor tudi s širšo slovensko javnostjo, pa srečanje s številnimi kolegi, prijatelji in sooblikovalci umetniške podobe našega gledališča v preteklosti, danes in upamo tudi v prihodnosti.




Ricorrenze

1) 20 ottobre 1941:
Liberazione di Belgrado.

2) 21 ottobre 1941:
A Kragujevac dal 21 al 23 ottobre i tedeschi rastrellano 7.000 cittadini tra cui un'intera scolaresca ginnasiale. L'episodio è descritto nella poesia "La fiaba cruenta" di Desanka Maksimovic. 


=== 1 ===

Si veda anche:

SKOJ: BEOGRAD U NARODNOOSLOBODILAČKOJ BORBI

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6542

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www.glassrbije.org in italiano


I presidenti hanno posato la ghirlanda di fiori sul monumento ai Liberatori di Belgrado

20. ottobre 2009.

I presidenti della Serbia e della Russia, Boris Tadic e Dimitrij Medvedev, hanno posato la ghirlanda di fiori davanti al monumento I Liberatori di Belgrado nella Seconda guerra mondiale. Con il suono degli inni statali, Tadic e Medvedev hanno reso onore ai liberatori di Belgrado e si sono iscritti nel Libro delle memorie. I due presidenti sono stati accolti con l’applauso e con il grido “Serbia-Russia”, da diverse centinaia di cittadini che portavano le bandiere dei due stati e i trasparenti con le foto del premier russo Vladimir Putin e del presidente Medvedev. Alla cerimonia hanno partecipato anche le alte delegazioni di Russia e Serbia. Al cimitero Liberatori di Belgrado giacciono 961 guerrieri dell’Armata rossa e 2.994 membri dell’Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia, di cui 2.092 sono stati sepolti nella fossa comune


Giornata della Liberazione di Belgrado

20. ottobre 2009. 14:56

Belgrado oggi celebra il 65° anniversario di liberazione nella Seconda guerra mondiale. L’operazione per la liberazione di Belgrado fu una delle più importanti e delle più grandi battaglie nei Balcani durante la Seconda guerra mondiale, e fu vinta insieme dall’Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia e dall’Armata rossa sovietica. L’operazione durò dall’11 al 22 ottobre del 1944, e vi persero la vita 20.000 persone. Da allora persero la vita 15.000 membri delle forze tedesche d’occupazione, e 9.000 furono catturate. Il Primo gruppo armato dell’Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia registrò 3mila morti e 4mila feriti, e il quarto corpo dell’Armata rossa perse 960 soldati e ufficiali. L’offensiva per la liberazione della città stessa iniziò il 14 ottobre e fu segnata da difficili battaglie sulle strade.



=== 2 ===

Si veda anche:

La strage delle "Šumarice" presso Kragujevac nella Storia e nella poesia di Desanka Maksimović

Desanka Maksimović: Krvava bajka (Fiaba cruenta)

La Grande Lezione di Storia


Il seguente articolo e' tratto da "Storia Illustrata" del gennaio 1979

STERMINIO NAZISTA IN SERBIA

In un solo giorno 7300 morti nella città martire. È l'autunno del 1941. Pochi mesi dopo la dissoluzione del regno di Jugoslavia, la penisola balcanica è insorta contro l'occupante nazifascista. Alla rivolta partigiana i tedeschi rispondono facendo strage della popolazione civile.

   di ANTONIO PITAMITZ

Il 20 ottobre 1941, sei mesi dopo l'invasione tedesca della Jugoslavia, nei due Ginnasi di Kragujevac (leggi Kragujevaz), la città serba posta nel centro della regione della Šumadija, le lezioni iniziano alle 8.30, come di consueto. Sono in programma quel giorno la sintassi della lingua serbocroata, matematica, la poesia di Goethe, la fisica. In una classe, un professore croato, un profugo fuggito dal regime fascista instaurato in Croazia da Ante Pavelic, sottolinea il valore della libertà. Poco lontano, un altro spiega l'opera di un poeta serbo del romanticismo risorgimentale. La mente rivolta alle secolari lotte sostenute dai serbi per la loro indipendenza e a quella presente che cresce irresistibilmente, anch'egli parla di libertà. La voce calma e profonda che illustra i versi del poeta: "La libertà è un nettare che inebria / Io la bevvi perché avevo sete", ne nasconde a fatica la tensione, che aleggia anche nell'aula, che grava su tutti, sulla cittadina, sui suoi abitanti, e che l'eco strozzata di fucilerie lontane da alcuni giorni alimenta.

Dal 13 ottobre 1941 Kragujevac e la sua regione sono teatro di una vasta azione di rappresaglia, che i tedeschi stanno conducendo con spietata decisione contemporaneamente anche nel resto della Serbia. La ferocia di cui essi in quei giorni danno prova ha una ragione specifica contingente. La rapida vittoria dell'Asse ha dissolto uno Stato, il regno dei Karadjordjevic, ma non ha prostrato i popoli della Jugoslavia. L'illusione tedesca di una comoda permanenza in quella terra è stata presto delusa. Sin dai primi giorni dell'occupazione, i tedeschi hanno avuto filo da torcere. La guerra, che anche in Šumadija i resistenti fanno, è senza quartiere. Sabotaggi sensazionali e diversioni in grande stile si registrano sin dal mese di maggio. Linee telefoniche e telegrafiche vengono tagliate, ponti e strade ferrate saltano. Il movimento di resistenza cresce così rapidamente, ben presto è così ampio che i tedeschi e le truppe collaborazioniste del quisling serbo Milan Nedic abbandonano il presidio dei villaggi. Gli invasori si sentono troppo esposti, isolati, preferiscono arroccarsi in città. La lotta contro i patrioti la organizzano dai centri urbani, e la conducono secondo il metro nazista che misura in tutti gli slavi una razza inferiore, da sterminare. La traduzione pratica di questo principio è all'altezza della fama che si guadagnano. A Belgrado, una moto incendiata della Wehrmacht vale la vita di 122 serbi. Solo nella capitale, in sette mesi fucilano 4700 ostaggi.

Incredibilmente, gli hitleriani ritengono di poter coprire con la propaganda questo pugno di ferro che calano sul paese. Le argomentazioni che diffondono sono quelle care alla "dottrina" nazifascista dell'Ordine Nuovo Europeo. Ai contadini serbi dicono di averli salvati dagli ebrei e dai capitalisti, e promettono anche di salvarli dal bolscevismo semita, che sta per essere sicuramente sconfitto sul fronte orientale.

L'itinerario di questa vittoria, a Kragujevac può essere seguito sulla grande carta geografica che campeggia nel centro della città. Una croce uncinata segna la progressione delle forze dell'Asse in direzione di Mosca. Però, come altrove, nemmeno a Kragujevac terrore, repressione, lusinghe, denaro fatto circolare per corrompere, valgono a indebolire il sostegno alla lotta partigiana, a ridurne il seguito. A dare contorni netti alla situazione, le risposte alla propaganda tedesca non mancano. La carta geografica dell'Asse viene bruciata in pieno giorno. Il fuoco divora anche una delle fabbriche militari della città. Un treno di quaranta vagoni viene distrutto sulla linea Kragujevac-Kraljevo, provocando la morte di cinquanta tedeschi. Da vincitori e occupanti, i tedeschi si trovano nella condizione di assediati.

È Kragujevac, città da sempre ribelle, che prende il suo nome da kraguj, dal rapace grifone che popolava i sui boschi, che alimenta la Resistenza della zona. È questa città di antiche tradizioni nazionali e socialiste che guida la lotta della Šumadija, il cuore della Serbia. Gli operai comunisti che costituiscono il nerbo delle formazioni partigiane vengono dal suo arsenale militare. Dalle sue case dai cento nascondigli, che hanno già ingannato turchi e austroungarici, escono le armi, le munizioni, il materiale sanitario, i libri che donne, bambini e ragazzi portano quotidianamente ai combattenti del bosco. 
   
Per contenere la sua iniziativa, per fronteggiare questa lotta di bande, che è lotta di popolo e che sconvolge gli schemi bellici dei signori nazisti della guerra, già alla fine dell'agosto 1941 Kragujevac conta la guarnigione tedesca più forte di tutta la Serbia centrale. Ma i due battaglioni e i mezzi corazzati di cui i tedeschi dispongono non sono sufficienti ad arrestare lo slancio delle tre compagnie partigiane che operano fuori della città. Né tantomeno la Gestapo è in grado di bloccare i gruppi clandestini che si annidano dentro. La loro azione anzi si fa sempre più audace, punta sul risultato militare, ma ricerca anche l'effetto psicologico. Per i partigiani, importante è non soltanto colpire il nemico, ma aiutare anche i serbi oppressi a sperare, a vivere. Una notte d'agosto, cento metri di ferrovia vengono fatti saltare in città, proprio sotto il naso dei tedeschi.

È una sfida, che ha sapore di beffa. In questa situazione, la rabbia e il desiderio di vendetta dei tedeschi crescono quotidianamente. Quando nel settembre 1941, la ribellione guadagna tutta la Serbia, e conseguentemente mette radici ancora più profonde in Šumadija, il generale Boehme, comandante delle forze tedesche nel Paese, considera che la misura è colma. Il prestigio dei suoi soldati deve essere risollevato, una dura lezione deve essere somministrata ai serbi. Una spietata repressione, da condurre senza esitazione, è decisa. A rendere più chiara la direttiva che passa ai subalterni, e che precisa la "filosofia" del comando tedesco, Boehme ricorda che "una vita umana non vale nulla", e che perciò per intimidire bisogna ricorrere a una "crudeltà senza eguali". A metà settembre i tedeschi passano all'azione. La macchina si mette in moto.

Per un mese la Serbia centrale è trasformata in un campo di sterminio. 
A decine villaggi grandi e piccoli sono bruciati, spesso, come a Novo Mesto o a Debrc, con dentro gli abitanti. I serbi muoiono a migliaia, uccisi, massacrati. A Šabac, il 26 settembre, sono 3000 gli uomini dai 14 ai 70 anni che rimangono vittime della razzia tedesca. Cinquecento muoiono durante una marcia fatta fare al passo di corsa per 46 chilometri. Gli altri sono fucilati. Una sorte analoga hanno, il 10 ottobre, a Valjevo, 2200 ostaggi: finiscono al muro. "Pagano" 10 tedeschi uccisi e 24 feriti. Cinque giorni dopo, il 15, è "sentenziata" la punizione di Kraljevo, un'altra città che resiste. I plotoni di esecuzione lavorano per cinque giorni, le vittime sono 5000. Sembra impossibile immaginare una strage ancora più grande. Eppure, l'allucinante escalation non ha toccato la sua punta di massimo orrore. 
Lo farà a Kragujevac, e nel suo circondario. La "spedizione punitiva" comincia il 13 ottobre. Quel giorno, nel quartiere operaio di Kragujevac, i tedeschi prendono 30 uomini. Per 3 giorni se li trascinano dietro nella puntata che fanno contro il paese vicino, Gornji Milanovac. Affamati, percossi, costretti a rimuovere tronchi d'albero e a tirare fuori dal fango carri armati, adoperati come scudo contro i partigiani, sono testimoni della sorte del piccolo paese di pastori. Vivono un'agonia che ha fine solo con il grande massacro, nel quale scompaiono anche i 132 ostaggi di Gornji Milanovac. In quanto al paese, anche questo viene bruciato. I tedeschi saldano così un vecchio conto che avevano in sospeso. Anche per questa impresa però devono pagare uno scotto. Trentasei uomini vengono messi fuori combattimento dai partigiani, che attaccano senza sosta.

Di fronte a questo "smacco" la logica tedesca della ritorsione non tarda a scattare. Sarà Kragujevac a pagare, con la vita di 100 cittadini ogni tedesco morto, e con quella di 50 ogni tedesco ferito. Duemilatrecento persone sono condannate a morte.

La rappresaglia punta per primo sui "nemici storici" del Reich: comunisti e ebrei. Gli ebrei maschi, e un certo numero di comunisti, 66 persone in tutto, vengono arrestati sulla base delle liste che i collaborazionisti forniscono. Ma questo non basta. Il giorno successivo, il 19 ottobre, una massiccia operazione ha luogo nell'immediata periferia della città. Tre paesi, posti nel giro di tre chilometri, sono travolti della furia tedesca. Grošnica, Meckovac, Maršic bruciano, 423 uomini muoiono. A Meckovac, donne e bambini sono costretti ad assistere all'esecuzione. Lo stesso macabro rituale è imposto a Grošnica, dove si distinguono i Volontari Anticomunisti di Dimitrjie Ljotic. Il paese quel giorno celebra la festa del patrono. I fascisti serbi strappano il pope dall'altare con il vangelo ancora in mano, i fedeli vanno a morire stringendo i pani benedetti della comunione ortodossa. Vengono falciati tutti lì vicino, con le mitragliatrici. Così, intorno a Kragujevac si è fatto un cerchio di morte. La prova generale è compiuta. Ora si passa al "grande massacro".

L'azione inizia la mattina del 20 ottobre. Alle prime luci dell'alba, gli accessi a Kragujevac vengono bloccati. Mitragliatrici sono postate nei punti nevralgici. Nessuno può più uscire dalla città, nessuno può più entrarvi. Chi, ignorando il dispositivo, si avvicina, viene ucciso. È quanto accade a uno zingaro, che arriva dalla campagna, a un vecchio che in città muove verso il mercato. Agli ordini del maggiore Koenig, tedeschi e collaborazionisti aprono la caccia all'uomo. Nessuno sfugge, nessuno è "dimenticato". Il gruppo di operai che lavora tranquillamente a un torrente, i tre popi di una chiesa, che sperano di trovare la salvezza dietro le icone. I razziatori entrano a stanare ovunque. Gli impiegati sono portati fuori dal municipio; giudici, scrivani, pubblico, dal tribunale. Dalle abitazioni vengono tratti anche gli ammalati. Un barbiere è prelevato dal negozio insieme al suo cliente, che con altri disgraziati marcia verso il suo destino, una guancia insaponata, l'altra no.

Alle dieci i tedeschi irrompono anche nei due ginnasi. L'apparizione di quelle uniformi verdi armate di fucili e parabellum, infrange la normalità forzata che da tre giorni nelle due scuole vige. Il barone Bischofhausen, il comandante tedesco della piazza, il 17 ha minacciato presidi, professori e genitori di severe sanzioni se i ragazzi non frequentavano la scuola. Lo ha fatto ripetere anche per le vie della città, a suon di tamburo, dal banditore pubblico. Li vuole tutti in aula, sempre. L'ufficiale tedesco, che da civile è insegnante, combatte l'assenteismo degli studenti non certo perché mosso da passione pedagogica. Chiedendo che proprio per quel giorno 20 tutti siano presenti, egli fa apparire di voler esercitare un controllo; che però si trasforma in una trappola. In realtà, egli non dimentica che i ginnasiali di Kragujevac hanno manifestato sin dai primi giorni la più violenta opposizione all'occupante. Un giovane è finito impiccato dopo uno scontro con la polizia. Il barone sa pure che anche in quelle aule la Resistenza attinge, per alimentare i suoi "gruppi d'azione", i suoi propagandisti e sabotatori.

L'ispezione annunciata per quel giorno è arrivata. I registri chiesti dal barone sono pronti. Arrivando quella mattina a scuola, i ragazzi hanno cancellato i loro nomi dall'elenco. Precauzione inutile. Non c'è appello. I tedeschi entrano direttamente nelle aule, e rastrellano. Hinaus, fuori tutti quelli dai 16 anni in su. Anche il ragazzo invalido che si trascina con la stampella, per il quale invano una professoressa intercede. Anche la classe che il professore di tedesco tenta di salvare. Ai soldati che si affacciano, il professore dice, per rabbonirli, che stanno facendo lezione di tedesco. Mente. E mente una seconda volta quando gli chiedono quanti anni hanno i suoi ragazzi. Quindici dice. I tedeschi, convinti, fanno per andarsene. Ma in quel momento un alunno si alza dall'ultimo banco. È lo spilungone della classe. I tedeschi, dalla soglia si girano, capiscono, e sbattono fuori tutti.

I ginnasiali raggiungono le file dei razziati, i professori in testa. Con loro, ci sono anche Mile Novakovic, insegnante di chimica, celibe, e Djordje Stefanov, di letteratura croata, anche lui rifugiato in Serbia con la moglie e le due figlie per sfuggire ai fascisti della Croazia. Quel giorno i due professori non hanno lezione. Ma quando hanno visto che in città i tedeschi rastrellavano, certi che la scuola non sarebbe stata risparmiata, sono venuti lo stesso, per essere insieme ai loro ragazzi. Li vogliono seguire fino in fondo. Andranno insieme a loro alla fucilazione. Del corpo insegnante, solo le donne non sono razziate. Dalle finestre della scuola vedono sfilare i professori e gli alunni, e "cento berretti levarsi in segno di saluto". I ragazzi credono ancora che torneranno.

Pochi sono i fortunati che riescono a filtrare tra le maglie di quella immensa rete gettata sulla città. Chi vi riesce, va a unirsi ai partigiani. Avrà sicuramente qualcuno da vendicare. Gli altri, a migliaia, ingrossano le colonne che tutto il giorno scorrono per Kragujevac dirette ai luoghi di raccolta. I razziati sono quasi 10.000, su meno di 30.000 abitanti che conta la città. I tedeschi non hanno tralasciato nemmeno il carcere. Ultimi ad arrivare, quei detenuti sono, con comunisti ed ebrei, i primi ad essere fucilati.

Dai luoghi dove sono concentrati in attesa di conoscere la loro sorte, la sera di quel 20 ottobre i prigionieri sentono le prime scariche di fucileria. È l'avvio della grande carneficina. Contando sulla sorpresa, e sulla iniziale "distrazione" dei fucilatori, alcuni dei condannati riescono a salvarsi. Qualcuno fugge appena messo in riga. Altri, come Zivotjin Jovanovic, alla scarica si getta a terra anche se non è colpito, poi balza e corre. Viene ricatturato a un posto di blocco. Tenta di nuovo la fuga, e il suo guardiano gli spara a bruciapelo. Gli sfiora l'inguine. Poi dopo avergli dato il colpo di grazia nella spalla invece che in testa, lo lascia a terra credendolo morto. L'uomo striscia tutta la notte a palmo a palmo finché arriva alla casa di un amico. È soccorso, si crede in salvo. Arrivano i fascisti serbi, che lo riprendono. Dopo averlo picchiato decidono che, essendo ormai in fin di vita, tanto vale lasciarlo morire. Ma l'uomo non muore.

Altri ancora devono la vita alla fortuna, alla professione, al sangue freddo che riescono ad avere anche in un tale frangente. A mano a mano che inquadrano i gruppi per condurli alla fucilazione, i tedeschi fanno la selezione. Alcuni criteri non sono molto chiari. Risparmiano, per esempio, gli elettricisti, gli idraulici, i panettieri. Altri lo sono di più. Ai loro collaboratori fascisti concedono di tirare fuori i loro amici e parenti. In questo mercato i fascisti serbi sono generosi. Arrivano a offrire dei ragazzi di 10/12 anni in cambio dei loro protetti. Viene risparmiato anche chi è cittadino di un paese alleato dell'Asse. O che lo faccia credere. Escono romeni, ungheresi. Un dalmata si dichiara italiano. Forse lo è davvero, forse è solo un croato acculturato italiano, bilingue. Ma riesce a salvarsi, e a salvare il ragazzo che gli è accanto, affermando alla guardia, con la sua "autorità" di "alleato", che non ha ancora 16 anni. Un serbo, invece, mostra un certificato bulgaro qualunque, rilasciato dalle truppe di Sofia che occupano il suo Paese di origine, e viene messo da parte.

Non fa nulla invece per salvarsi Jovan Kalafatic, professore, insegnante di religione, che invece potrebbe. Tutti sanno che è un fascista convinto. A scuola sospettano anche che sia un delatore, che alcuni professori progressisti siano finiti in galera per opera sua. Basterebbe che dica chi è. Kalafatic invece tace. Tace anche quando passano i fascisti serbi per la "loro" selezione. Forse, nelle lunghe ore della tragedia passate con il suo popolo, deve aver capito la vera natura dell'Ordine Nuovo nel quale crede. Va, volontariamente, alla fucilazione con gli altri. Vanno volontari anche due vecchi genitori che non vogliono abbandonare i figli. Alla fucilazione vanno, divisi in due gruppi, anche i 300 studenti ginnasiali e i loro professori. Alla testa di un gruppo vi è il preside del ginnasio. L'altro gruppo marcia verso la morte in fila indiana, le mani sulle spalle, come dovessero danzare il kolo, la danza nazionale serba. Poi, cantano. Intonano "Hej Slaveni!", l'inno antico e comune a tutti gli slavi. Cadono cantando.

Il massacro dura a lungo. Su un fronte di morte lungo oltre dieci chilometri, fuori della città le armi crepitano fino alle 14 del giorno 21 ottobre. Settemilatrecento uomini di Kragujevac dai 16 ai 60 anni cadono divisi in 33 gruppi. Dovevano essere 2300. I tedeschi hanno più che triplicato il "coefficiente dichiarato" di rappresaglia. I graziati sono circa 3000. Molti di questi sopravvissuti rientreranno a piangere un morto. Kragujevac onora la memoria dei suoi fucilati il sabato successivo al massacro. Il rito ortodosso per il quale il sabato è il giorno dei morti, vuole anche che per ogni morto sia accesa una candela gialla e per ogni candela, cui si accompagna un pane che è da benedire con il vino santo, il pope reciti la parola dei defunti. I sacerdoti rimasti a Kragujevac sono solo due. Altri sette sono stati fucilati. Ma il rito deve essere compiuto. Mentre le donne piantano le candele, presentano i pani, gridano il nome del defunto, i due preti cantano l'antica preghiera della liturgia veteroslava. Dandosi il cambio pregano per ventiquattro ore, dalle sette alle sette.

Inutilmente i nazisti tentano poi di nascondere la verità sulla strage, alterando registri, imbrogliando le cifre, esumando e cremando cadaveri. Kragujevac ha fatto il "suo" appello. È la prova che Zivotjin Jovanovic, l'uomo sopravvissuto tre volte, porta ai giudici di Norimberga: "...Quell'ottobre del 1941 a Kragujevac furono esposte più di settemila bandiere nere... nella chiesa vennero presentati e benedetti in un giorno più di settemila pani... E furono accese settemila e trecento candele...".


(Ricorre oggi 20 ottobre 2009 il 65.mo anniversario della Liberazione
di Belgrado...)

Savez Komunističke Omladine Jugoslavije
http://www.skoj.org.rs/skoj.html

20. oktobаr

BEOGRAD U NARODNOOSLOBODILAČKOJ BORBI

65 godina od oslobođenja prestonice

piše: REDAKCIJA Glasnika SKOJ-a

Kraljevina Jugoslavija je 25. marta 1941. godine pristuila Trojnom
pakt. Zbog čega je 27. marta usledio masovni protest u Beogradu i
državni udar. Grad je 6. i 7. aprila teško bombardovan od strane
nemačke avijacije i ubijeno je na hiljade ljudi. Jugoslaviju su napale
nemačke, italijanske, mađarske i bugarske snage. Beograd je okupiran
13. aprila, a sremska predgrađa su ušla u sastav Nezavisne Države
Hrvatske, nacističke marionetske države.

Odmah po okupaciji Beograd je postao centar okupacione vlasti u
Srbiji. U gradu su formirani logori, Banjica i Sajmište, kroz koje je
prošlo oko 450.000 ljudi, a streljano je preko 70.000 zatvorenika.
Tokom čitavog rata u Beogradu je postojao jak pokret otpora, koji je
vršio sabotaže i diverzije, a nekoliko hiljada Beograđana je otišlo
u partizanske odrede koji su dejstvovali u okolini Beograda. Beograd
je 16. i 17. aprila 1944. godine, doživeo još jedno bombardovanje,
savezničko, u kojem je poginulo oko 1.200 građana.
Borbe za oslobođenje grada su počele 13. i 14. oktobra, a grad je
konačno oslobođen 20. oktobra 1944. Oslobodili su ga zajedničkim
snagama, jedinice NOV Jugoslavije i Crvene armije, koja je dala
nesebičnu pomoć.
Zbog heroizma svojih građana, kao i žrtava koje su podneli, grad
Beograd je 20. oktobra 1974. godine odlikovan Ordenom narodnog heroja.

Komunisti su oslobodili Beograd!

Jubilej, 65 godina od oslobođenja Beograda od fašizma, država prvi
put od 2000. godine pompezno obeležava, iako je buržoaska struktura
vlasti u našoj prestonici. Razlog tome nije promena mišljena nove
Vlade, već zbog toga što u Srbiju na taj dan dolazi predsednik
Rusije. Beograd ne bi bio ni oslobođen tada da nije bilko Crvene
armije čiji su vojnici položili svoje živote za glavni grad bivše
Jugoslavije.
Buržoaske strukture vlasti su ukinule 20. oktobar kao Dan Beograda i
ovaj datum se sada obeležava samo kao Dan oslobođenja grada.
Građanske partije i buržoaski glasnogovornici na ovim prostorima su
se podelili u dva tabora, kada je u pitanju ovaj značajan istorijski
datum koji će uvek zlatnim slovima biti zapisan u analima slobodarskih
težnji i oslobodilačke borbe naših naroda. Prvi, oni
najreakcionarniji ili ignorišu 20. oktobar ili otovreno propagiraju da
je tog dana Beograd, ne oslobođen, već okupiran od strane komunista.
To je najobičnija laž i propaganda i svaki antifašistički i
patriotski orijentisan Beograđanin zna da su tog dana partizanske
jedinice i trupe Crvene Armije oslobodile grad od okupatora.
Ovakva nakaradna razmišljanja, uglavnom šire pristalice poražene
četničke i monarhističke ideologije u Drugom svetskom ratu, koji na
taj način pokušavaju da prikriju činjenicu da je takozvana
„Jugoslovenska vojska u otadžbini” predvođena Dragoljubom
Mihajlovićem umesto da vodi oslobodilačku borbe protiv okupatora,
sarađivala sa nacistima u borbi protiv partizanskog pokreta koji se
bespoštedno borio protiv zavojevača. Istu propagandu pokušavaju da
sprovedu i pristalice ljotićevsko-nedićevskog rezonovanja, a svima
nam je dobro poznato da se radi o strujama koje su bile otvoreno
kvislinške i fašističke i koje su besramno služile interesima
nacističkih okupatora i radile protiv interesa srpskog naroda čime su
počinile neoprostivi čin izdaje.
Druga buržoaska struja podržava 20. oktobar kao dan oslobođenja od
fašizma ali pokušava da prikrije najvažniju činjenicu, a to je da
su Beograd oslobodili partizanski odredi i Crvena Armija i da je na
čelu Narodnooslobodilačkog pokreta stajala slavna Komunistička
partija Jugoslavije.
Zašto jedan deo buržoazije razmišlja na ovakav način, na koji je
delimično razmišljala i vlast do 5.oktobra? Pod brojem jedan, zbog
toga što treba sakriti činjenicu da su oslobodilačku borbu kako u
Srbiji, tako i u čitavoj okupiranoj Kraljevini Jugoslaviji poveli
partizani predvođeni komunistima. Pokušava se prikriti istorijska
činjenica da su jedini pravi patrioti, u toku Drugog svetskog rata, na
ovim prostorima bili komunisti koji su se stavili na čelo
oslobodilačkog pokreta i naroda koji nije želeo da se preda drskom i
surovom nacističkom okupatoru. Ovaj deo srpske buržoazije boli i
činjenica da je u gotovo svim zemljama Evrope postojao, pored
komunističkog, i buržoaski pokret otpora fašizmu, dok na našim
prostorima to nije bio slučaj pošto su oslobodilačku borbu
predvodili komunisti a oko njih su bili okupljeni svi iskreni i časni
rodoljubi. Sa druge strane predstavnici buržoaskog "pokreta otpora" su
sarađivali sa okupatorom, čak sprovodili zajedničke akcije sa
nacistima, fašistima i ostalim đubretom protiv partizana i pri tome
su terorisali narod, a neretko činili i stravične zločine.
Svojatanjem 20. oktobra i njegovim više nego formalnim obeležavanjem,
ovaj deo srpske buržoazije pokušava da sakrije takođe ono što je
opštepoznato, a to je da 20. oktobar nije bio samo oslobođenje
Beograda već i socijalistička revolucija posle koje je započela
izgradnja boljeg i pravednijeg socijalističkog društva u kome više
nije bilo eksploatacije radničke klase koja se bespoštedno sprovodila
u Kraljevini Jugoslaviji, a sprovodi se i danas u Srbiji i Crnoj Gori,
kao i u svim državama nastalim posle raspada SFRJ. Srpska buržoazija,
svesno ili nesvesno, sasvim svejedno, zaboravlja činjenicu da su u
oslobođenju Beograda učestvovali pripadnici svih jugoslovenskih
naroda i nacionalnih manjina, koji su se drugarski, rame uz rame,
borili za bolju budućnost i ravnopravnu zajednicu jugoslovenskih
naroda koja je i stvorena 1945. godine a koju su na žalost, iskreno
verujemo samo privremeno, uništili zapadni imperijalisti i njihovi
domaći pomagači. Deo buržoazije koji obeležava 20. oktobar
pokušava na taj način da stekne i političke poene kod boraca-
veterana iz NOR i njihovih potomaka, ne bi li ih privukla na stranu
kapitalističke ideologije.
Bilo kako bilo, iskreni antifašisti nikada neće zaboraviti istorijsku
činjenicu da su Beograd i našu zemlju oslobodili partizani
predvođeni komunistima uz nesebičnu bratsku pomoć Crvene Armije,
vojske Prve zemlje socijalizma, slavnog Saveza Sovjetskih
Socijalističkih Republika. Nikada neće, svi iskreni antifašisti i
rodoljubi, zaboraviti i to da je oslobobodilačka borba bila
istovremeno i socijalistička revolucija koja je uspešno trijumfovala
i nakon koje je izgrađeno pravednije drušvo i bolja budućnost.
Nikada ne smemo zaboraviti pale borce za oslobođenje Beograda i moramo
slediti njihov herojski primer kako se treba boriti protiv okupatora i
tiranije. Razlog više je taj što se fašizam u raznim svojim oblicima
povampirio i danas i pokušava da zatre sve što je progesivno i
humano. Međutim, fašizam je već jednom poražen, najviše
zahvaljujući komunistima i SSSR, a porazićemo ga opet na isti način
na koji su to uradili naši očevi i dedovi.
SLAVA PALIM OSLOBODIOCIMA BEOGRADA! VAŠ HEROJSKI ČIN NIKADA NEĆE
BITI ZABORAVLJEN!

Logori u Beogradu

Prvi logor u Beogradu formiran je 5. jula 1941. godine na Banjici u
bivšoj kasarni 18. pešadijskog puka. Upravnik logora bio je zloglasni
Svetozar Vujković, nekadašnji agent u Upravi grada Beograda. Logor je
funkcionisao do početka oktobra 1944. godine. Za tri i po godine
postojanja kroz njega je prošlo oko 250.000 ljudi, a ubijeno je preko
30.000.
Na levoj obali Save, na nekadašnjem Sajmištu, Nemci su oktobra 1941.
godine, formirali poseban logor, namenjen Jevrejima. Kasnije su pored
Jevreja, u logoru bili zatočeni i taoci, antifašisti, pristalice NOP-
a. Logor je postojao sve do jula 1944. godine, kada je rasformiran,
jer je bio oštećen prilikom savezničkog bombardovanja. Kroz logor je
prošlo oko 200.000 ljudi, od čega je ubijeno preko 40.000.

Grobnica narodnih heroja na Kalemegdanu

Grobnica narodnih herojaGrobnica narodnih heroja na Kalemegdanu,
nalazi se u produžetku Velikog savskog šetališta, pod samim bedemom
Beogradske tvrđave.
Izgrađena je 1948. godine. Posmrtni ostaci Ive Lole Ribara (1916-1943)
i Ivana Milutinovića (1901-1944), preneseni su 27. marta 1948. godine.
Posmrtni ostaci Đura Đakovića (1886-1929) preneseni su, na
dvadesetogodišnjicu njegove smrti 29. aprila 1949. godine. Moša
Pijade (1890-1957) je ovde sahranjen marta 1957. godine.
Poprsja Ive Lole Ribara, Ivana Milutinovića i Đura Đakovića izradio
je 1949. godine akademski slikar i vajar iz Beograda, Stevan Bodnarov,
a poprsje Moše Pijade akademski vajar iz Beograda, Slavoljub Vava
Stanković, 1959. godine.
Grobnica narodnih heroja utvrđena je za spomenik kulture odlukom
Skupštine grada Beograda iz 1983. godine.