Informazione
USO POLITICO DELLA STORIA, AMNESIE DELLA REPUBBLICA
uno dei fondatori del Movimento Sociale, che allora era senatore.
Pisanò mi si è rivolto dicendo: “Lei sa quanto me
che avevamo degli ideali tutti e due. Diversi, certo.
Ma la patria era un valore per lei e per me”.
Io gli ho risposto “Senta, sarà pure come dice Lei.
Però se vinceva Lei io sarei ancora in prigione.
Avendo vinto io, Lei è senatore della Repubblica e parla qui con me”.
Vittorio Foa, Il paradigma antifascista
Il 12 novembre è iniziata, nella Commissione Difesa, la discussione dei ddl 628 (Disposizioni per il riconoscimento della qualifica di ex combattente agli appartenenti alla Guardia Civica di Trieste) e 1360 (Istituzione dell'Ordine del Tricolore e adeguamento dei trattamenti pensionistici di guerra), che rappresentano un ulteriore, e forse definitivo, passo verso la totale equiparazione tra partigiani e repubblichini, tra coloro che combatterono per la libertà e coloro che scelsero di sostenere gli invasori nazisti. Il ddl 628 si propone di riconoscere come “ex combattenti” i membri della Guardia civica di Trieste, corpo collaborazionista che giurava fedeltà ad Hitler con giuramento bilingue. Il ddl 1360, invece, propone la creazione di una nuova onorificenza, l’Ordine del Tricolore, riservato a tutti coloro che hanno prestato servizio militare nelle Forze armate italiane durante la guerra 1940-1945 e che siano invalidi, a tutti coloro che hanno fatto parte delle formazioni armate partigiane o gappiste, regolarmente inquadrate nelle formazioni dipendenti dal Corpo volontari della libertà, oppure delle formazioni che facevano riferimento alla Repubblica sociale italiana: agli insigniti dell’Ordine del Tricolore dovrebbe infine essere riconosciuto un assegno vitalizio di 200 euro annui. Come si legge nella presentazione del ddl 1360, “l’istituzione dell’«Ordine del Tricolore» deve essere considerata un atto dovuto, da parte del nostro Paese, verso tutti coloro che, oltre sessanta anni fa, impugnarono le armi e operarono una scelta di schieramento convinti della bontà della loro lotta per la rinascita della Patria. Non s’intende proponendo l’istituzione di questo Ordine sacrificare la verità storica di una feroce guerra civile sull’altare della memoria comune, ma riconoscere, con animo oramai pacificato, la pari dignità di una partecipazione al conflitto avvenuta in uno dei momenti più drammatici e difficili da interpretare della storia d’Italia; nello smarrimento generale, anche per omissioni di responsabilità ad ogni livello istituzionale, molti combattenti, giovani o meno giovani, cresciuti nella temperie culturale guerriera e «imperiale» del ventennio, ritennero onorevole la scelta a difesa del regime, ferito e languente; altri, maturati dalla tragedia in atto o culturalmente consapevoli dello scontro in atto a livello planetario, si schierarono con la parte avversa, «liberatrice», pensando di contribuire a una rinascita democratica, non lontana, della loro Patria. Solo partendo da considerazioni contingenti e realistiche è finalmente possibile quella rimozione collettiva della memoria ingrata di uno scontro che fu militare e ideale, oramai lontano, eredità amara di un passato doloroso, consegnato per sempre alla storia patria”. Le intenzioni dei proponenti non potrebbero essere più esplicite.
Questi due ddl si inseriscono in quel processo di pacificazione e di creazione di una innaturale memoria condivisa che ha lo scopo di minare le fondamenta antifasciste della Repubblica Italiana per poter cambiare la Costituzione che ne è alla base. Costituzione che, con il suo portato sociale, rappresenta un ostacolo per quella riorganizzazione dei rapporti economici e sociali in chiave sempre più selvaggiamente capitalista e liberista, se non autoritaria, che è in atto in Italia da oltre venti anni. E, come il capitalismo italiano ha sempre dimostrato anche nel passato, non esita a ricorrere al fascismo (nella sua forma originale, “neo” o “post”), o ad una riabilitazione di esso, per raggiungere i suoi scopi.
Se da un lato si cerca di sfumare l’incommensurabile differenza tra le scelte degli uni e quelle degli altri per indebolire la base antifascista della Repubblica, dall’altro la parte politica che a queste basi si è sempre mostrata avversa cerca di autolegittimarsi, concentrando l’attenzione pubblica sul lato umano dei repubblichini e sui crimini (veri o presunti) commessi dai partigiani comunisti, le cui azioni vengono descritte con toni sempre più truculenti.
Non si tratta di un’operazione recente. Già alla fine degli anni ‘80, infatti, Renzo De Felice e Giuliano Ferrara si confrontarono in due interviste su quella che consideravano la fine dell’antifascismo mentre, in pieno “craxismo”, si faceva un gran rumore parlando di “Grande Riforma”, “Seconda Repubblica”, “Nuova Costituzione”. Le reazioni che queste interviste scatenarono travalicarono ben presto il campo del dibattito storiografico per entrare in quello della polemica politica: si è così oltrepassato il confine che separa un giusto, ed auspicabile, “uso pubblico della storia”, che non deve assolutamente rimanere confinata nelle aule accademiche, dal suo “uso politico”, che consiste in un’operazione di sistematica “riscrittura”, in modo più o meno mistificatorio e decontestualizzato, per screditare una forza (o un’area) politica o accreditarne un’altra.
La “storia”, e in specie il ciclo fascismo/antifascismo/guerra mondiale/resistenze, è sfuggita dalle mani degli storici ed è diventa una prateria dove ciascuno può compiere impunemente le proprie scorrerie, senza cautela alcuna, senza serietà, né onestà intellettuale.
Questa operazione “culturale” portata avanti dal mondo politico è a tutti gli effetti “bipartisan”, come dimostrato dal fatto che il ddl 1360 è stato firmata anche da tre deputati del Pd. Nel 1996 fu il diessino Violante, presidente della Camera, ad esprimersi sulla necessità di comprendere “i motivi per i quali migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era perduto, si schierarono dalla parte di Salò e non dalla parte dei diritti e delle libertà”, pronunciandosi comunque contro quella che definiva un’“inaccettabile parificazione tra le parti”. La tendenza verso la parificazione è stata, invece, rafforzata da un discorso tenuto dal presidente della Repubblica Ciampi nel 2001, in cui ha affermato: “Abbiamo sempre presente, nel nostro operare quotidiano, l’importanza del valore dell’unità dell’Italia. Questa unità che sentiamo essenziale per noi, quell’unità che, in fondo oggi, a mezzo secolo di distanza, dobbiamo pur dirlo, era il sentimento che animò molti dei giovani che allora fecero scelte diverse; che le fecero credendo di servire ugualmente l’onore della propria Patria”. Si tratta esattamente degli stessi concetti espressi dal ddl 1360, legittimati dalla più alta carica dello Stato.
In questa temperie politica e culturale si è generata una gara a relativizzare il fascismo, a concentrare l’attenzione su “zone buie” della Resistenza e “triangoli rossi”, a insistere sulle Foibe (dando numeri ridicoli, moltiplicando per fattore 100 o 1000 i morti), dimenticando genesi e contesto di quei fatti: un esempio su tutti sono i romanzi storici di Giampaolo Pansa, letti da migliaia di italiani che li hanno considerati come unici saggi “finalmente” attendibili sull’argomento, oppure l’istituzione del Giorno del Ricordo delle foibe o, ancora, la fiction “Il cuore nel pozzo”. Si tratta di quella che lo storico Angelo D’Orsi ha definito come una chiara operazione di “«rovescismo», che può essere definito come la fase suprema del revisionismo stesso», laddove con “revisionismo” intende «l’ideologia e la pratica della revisione programmatica»: «basta prendere un fatto noto, almeno nelle sue grandi linee, un personaggio importante, un episodio che ha costituito un momento variamente epocale... Poi si afferma che tutto quello che sappiamo in merito è una menzogna, o perché fondata sulla falsità, o perché basata sull’occultamento; di solito, responsabili delle menzogne e dei nascondimenti della verità, sono “i comunisti”. […] E più si spara in alto più si allarga il bacino d’utenza».
Sulla scena pubblica, intanto, alcuni amministratori locali si sono dati da fare con la toponomastica per recuperare alle glorie patrie vecchi arnesi del Fascio, fino al punto di togliere la titolazione dell’aeroporto di Comiso a Pio La Torre, parlamentare comunista ucciso dalla mafia, per riattribuirla a Vincenzo Magliocco, generale nella guerra fascista di Etiopia. E così, giungiamo agli eventi più recenti: “il fascismo non è un male assoluto” sostiene l’ormai sindaco post(?)-fascista di Roma Gianni Alemanno. E il suo compagno di partito Ignazio La Russa, Ministro della Difesa, afferma con nonchalance che farebbe un torto alla sua coscienza se non ricordasse «che altri militari in divisa, come quelli della Nembo [reparto militarmente organizzato della Repubblica di Salò, inserito organicamente nei quadri della Wehrmacht, ndR] dell'esercito della Rsi, soggettivamente, dal loro punto di vista, combatterono credendo nella difesa della patria, opponendosi nei mesi successivi allo sbarco degli anglo-americani e meritando quindi il rispetto, pur nella differenza di posizioni, di tutti coloro che guardano con obiettività alla storia d'Italia».
Sono questi i motivi per cui oggi è sempre più difficile ricordare ed affermare che, parafrasando Calvino, il repubblichino più onesto, più in buona fede, più idealista, si batteva per una causa sbagliata, mentre anche il partigiano più ignaro, più ladro, più spietato, combatteva per una società più giusta. Ed è tenendo ben salda questa considerazione, ormai scomparsa dall’orizzonte culturale dell’opinione pubblica, che abbiamo deciso di organizzare un’iniziativa in cui poter discutere e riaffermare l’antifascismo e l’opposizione più netta verso ogni forma di revisionismo che miri a sovvertire i valori fondanti della consapevolezza storica e sociale, che miri a pacificare e confondere in una differenza indifferente oppressi ed oppressori.
Resistenza Universitaria (La Sapienza) - Militant -
Collettivi Universitari Roma3 - Collettivo Lavori in Corso (Tor Vergata)
Cinque anni fa fu istituita la solennità civile del “giorno del ricordo delle foibe, dell\'esodo e della più complessiva vicenda del confine orientale”, da commemorare il 10 febbraio. Intendiamo oggi parlare della genesi di tutto questo.
La legge che è stata approvata è frutto di un accordo tra diverse proposte presentate da vari parlamentari. A questo proposito riportiamo qui alcuni appunti tratti da una conferenza stampa svoltasi a Trieste il 6/2/04, nel corso della quale i parlamentari DS Fassino, Violante e Maran spiegarono l’iter dell’accordo tra le parti su questa proposta di legge.
Fassino ha ribadito la necessità di ricordare il 50° anniversario dell’esodo e di superare ogni forma di ambiguità e reticenza dopo la rimozione di una pagina di storia italiana, tragedia della sofferenza di centinaia di migliaia di italiani, e di rendere un omaggio doveroso alla vicenda dell’esodo da troppo tempo misconosciuta e rimossa.
Questa rimozione, ha spiegato, trova radici nella guerra fredda quando prevalsero le ragioni dell’ideologia sulle ragioni della storia, ed è doveroso ristabilire la verità storica ed assumersi le proprie responsabilità. Il PCI sbagliò a tacere, l’aggressione fascista alla Jugoslavia non poté giustificare né la perdita dei territori né l’esodo. Il PCI sbagliò nel vedere queste vicende come lotta tra destra e sinistra, va invece letta come manifestazione di quel nazionalismo pericoloso che fu prodotto in questa parte dell’Europa e che torna a risorgere, come dimostra la guerra nei Balcani.
Riguardo alla data, Fassino ha spiegato che loro avevano pensato al 20 marzo (data dell’ultimo viaggio del Tuscania, la nave che trasportò gli esuli dall’Istria in Italia), mentre le federazioni degli esuli avevano proposto il 10 febbraio (data della firma del trattato di pace del 1947); loro accolgono questa proposta di “giorno della memoria dell’esodo” perché l’enormità delle sofferenza patite dagli italiani non permette una disputa tra le date, la storia del paese deve essere patrimonio comune, in quanto “siamo tutti figli della storia”.
Violante ha aggiunto che bisogna riconnettere alla storia della Repubblica italiana la storia del confine orientale, vicende fino allora occultate, per ricompensare dall’oblio e dalla dimenticanza; questo il motivo delle proposte di legge sia di Menia (AN) che di Maran (DS) di una giornata della memoria in cui si chiede la più ampia collaborazione da parte di tutti.
A domanda in cosa si differenzino le due proposte di legge, Violante rispose che i DS hanno accolto la data del 10 febbraio perché “non si può imporre una volontà di ricordo”. Secondo Menia è necessario apparentare le foibe con l’esodo, secondo i DS l’esodo nasce dallo scontro fra stati e totalitarismi, quindi su queste cose si sarebbe discusso perché loro non volevano imposizioni di visioni di parte.
Maran aggiunse che i DS erano disposti a discutere sulle proposte, ma con la clausola che rimanessero distinte la giornata della memoria dell’esodo ed il riconoscimento agli infoibati.
Già in queste posizioni dei DS possiamo vedere come la loro interpretazione dei fatti storici si sia adattata a quella portata avanti dalle federazioni degli esuli ed in genere della destra irredentista, che vide nel trattato di pace non l’atto che portò a concludere un contenzioso iniziato dall’Italia con la sua politica di conquista dell’area balcanica, quanto il diktat che privò l’Italia di una parte consistente del suo territorio, senza considerare che le “terre perdute” erano state comunque annesse all’Italia in seguito ad una conquista militare (dopo la Prima guerra mondiale) e non comprendevano aree ad etnia totalmente italiana. E che la sconfitta dell’Italia nella Seconda guerra mondiale era dovuta come prima cosa al fatto che era stata l’Italia ad aggredire altri paesi; non si considera che non fu la Jugoslavia a dichiarare guerra all’Italia, ma l’Italia ad annettersi la cosiddetta “provincia di Lubiana”, e non si può, come ha dichiarato anche Fassino, liquidare questo fatto come se non avesse importanza per quello che è accaduto dopo e quindi non ammettere che la politica di espansionismo fascista fu un crimine, del quale pagarono le conseguenza non solo gli “esuli” dopo la fine della guerra, ma tutte le vittime (non solo slovene e croate, anche italiane) della Seconda guerra mondiale. Inoltre, nonostante i buoni propositi di Maran, alla fine anche i DS (e buona parte dell’area del “centrosinistra”) si sono allineati su quelle posizioni che non distinguono “memoria dell’esodo” e “riconoscimenti agli infoibati”, visto che il “giorno del ricordo” è divenuto di fatto una ricorrenza in cui si riabilitano anche criminali di guerra, fascisti, collaborazionisti, solo per il fatto che hanno trovato la morte “per mano jugoslava”.
Parliamo di posizioni cui si sono allineati esponenti del centrosinistra, a cominciare dal presidente della Repubblica Napolitano che nel suo discorso del 10/2/07 provocò le proteste del presidente croato Stipe Mesic asserendo:
“Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una \"pulizia etnica\"”.
Concetti del genere li troviamo anche nella presentazione di un’altra proposta di legge per una “giornata della memoria delle foibe e dell’esodo”, firmata dal parlamentare Willer Bordon (colui il quale, dopo essere vissuto di politica per 35 anni ha recentemente dato alle stampe un libro nel quale spiega perché sarebbe “uscito dalla casta”):
“La presente iniziativa però intende contribuire a recuperare alla memoria nazionale ed europea le dolorose e drammatiche vicende dell’esodo di istriani, fiumani e dalmati a seguito della vittoria militare della Jugoslavia di Tito, che, oltre i caratteri di reazione post bellica, assunse anche i caratteri di una vera pulizia etnica”.
Tornando alla legge del “giorno del ricordo” il punto più discutibile (a parer nostro) è quello che prevede un “riconoscimento” (una “insegna metallica in acciaio brunito e smalto”, con la scritta “La Repubblica italiana ricorda”) per i “congiunti fino al sesto grado di coloro che, dall’8 settembre 1943 al 10 febbraio 1947 in Istria, in Dalmazia o nelle province dell’attuale confine orientale, sono stati soppressi e infoibati” e degli “assimilati, a tutti gli effetti” e cioè “gli scomparsi e quanti, nello stesso periodo e nelle stesse zone, sono stati soppressi mediante annegamento, fucilazione, massacro, attentato, in qualsiasi modo perpetrati”.
Da questo riconoscimento sono esclusi “coloro che sono morti in combattimento” e “coloro che sono stati soppressi nei modi e nelle zone di cui ai commi 1 e 2 mentre facevano volontariamente parte di formazioni non a servizio dell’Italia”.
Ora, bisogna considerare che la zona determinata da “Istria, Dalmazia e province dell’attuale confine orientale”, come recita la legge, dopo l’8 settembre 1943 era state annesse al Reich, denominata Adriatisches Küstenland e sottoposta al diretto comando germanico. Così le forze armate del Küstenland erano agli ordini dell’esercito nazista, nessun militare era “a servizio dell’Italia”, neppure dell’Italia della golpista Repubblica di Salò: e come l’esercito erano agli ordini del Reich la polizia (Pubblica Sicurezza che all’epoca non era corpo civile ma militare), la Guardia di Finanza (della quale solo negli ultimi giorni di guerra alcuni reparti furono posti a disposizione del CLN triestino), e la Guardia Civica costituita in epoca nazista. L’arma dei Carabinieri ha una storia a parte: fu sciolta per ordine del Reich con decorrenza 25/7/44, ed i militi furono messi di fronte alla scelta di aderire ad uno dei corpi collaborazionisti o essere deportati in qualche lager germanico (molti furono coloro che, pur di non essere incorporati nelle forze armate germaniche, preferirono la deportazione e pagarono con la vita questa loro fedeltà all’Italia). Di fatto, quindi, chi era rimasto in zona dopo lo scioglimento dell’Arma poteva essere solo un ex carabiniere inquadrato in qualche altra formazione militare.
La legge precisa che sono esclusi coloro che “volontariamente” avevano fatto parte di queste formazioni, però qui va detto che è vero che il richiamo alle armi era obbligatorio, ma è vero anche che molti sceglievano in quale corpo entrare, piuttosto che accettare di essere inseriti nella Todt, il servizio del lavoro. Così come uno di coloro che rientrano nell’elenco dei “premiati”, Marco Sorge (padre dell’ex prefetto di Trieste, Anna Maria Sorge, che ritirò la targa), era sì stato carabiniere ma poi era entrato nella PS (come risulta anche dall’Albo d’Oro di Luigi Papo).
Osserviamo inoltre che nell’ambito degli “scomparsi e quanti, nello stesso periodo e nelle stesse zone, sono stati soppressi mediante annegamento, fucilazione, massacro, attentato, in qualsiasi modo perpetrati” possono essere inserite anche alcune vittime del nazifascismo, i morti in Risiera e delle rappresaglie (come ad esempio i 71 ostaggi fucilati ad Opicina nel marzo 1944; ma non i 51 impiccati – non fucilati – in via Ghega nell’aprile 1944).
La cosa più strana però è che non vi sono elenchi ufficiali di chi riceve questo riconoscimento (a differenza delle medaglie al valore, questi nomi non vengono pubblicati né sulla Gazzetta Ufficiale né sul sito della Presidenza della Repubblica) e che mentre il primo anno (2006) la stampa ha pubblicato un elenco di 26 nomi di “premiati”, nel 2007 abbiamo potuto leggere solo che furono attribuiti 350 riconoscimenti, dei quali siamo riusciti a reperire solo un centinaio di nomi tramite ricerche in Internet nei siti delle Prefetture (e va detto che per lo stesso nominativo sono stati a volte conferiti più riconoscimenti, come nel caso del finanziere Scialpi Gregorio i cui parenti ricevettero la targa una volta nel 2006 e due volte nel 2007). Invece quello che ci pare assurdo è che i parenti che avevano chiesto il riconoscimento alla Prefettura di Udine chiesero anche (ed ottennero!) non fossero resi noti i nomi loro e dei loro congiunti (come se, invece di essere onorati di ricevere tale encomio se ne vergognassero?). Nel 2008, infine, sull’identità dei riconoscimenti è calato il silenzio più totale, ed anche le nostre ricerche nei siti internet delle Prefetture non sono servite a molto.
Sul motivo di tale “clandestinità” sui riconoscimenti che dovrebbero essere (a logica) pubblicizzati il più possibile possiamo soltanto fare delle ipotesi. Forse i nominativi sono troppo pochi per giustificare tutta la pregressa propaganda sulle “migliaia di infoibati sol perché italiani”? questo ci riporta all’appello del Presidente Federazione delle Associazioni degli Esuli Istriani, Fiumani e Dalmati, Renzo Codarin, che leggiamo sulla “Voce giuliana” del 16/12/08: “nel 2008 sono state presentate circa settanta domande, per il 2009 si teme che il numero diminuisca ancora”; perciò invita “i nostri dirigenti a prendere diretto contatto con gli aventi diritto, mettendo magari a disposizione il proprio personale impegno e buona volontà per la compilazione della domanda”). Tornando indietro nel tempo, un comunicato governativo del febbraio 2006 rende noto che i 26 nominativi premiati nell’anno costituiscono l’80% del totale delle istanze presentate nel 2004 e l’80% di quelle presentate nel 2005: di conseguenza il totale delle domande presentate fino allora dovrebbe essere meno di cinquanta.
O forse questo “silenzio stampa” serve ad evitare quello che è accaduto nel 2006 e nel 2007, quando sono stati stigmatizzati alcuni nominativi che (a sensi di legge) non avrebbero avuto diritto al riconoscimento (perché uccisi in combattimento, oppure volontari), ed ha fatto un certo scalpore quantomeno nell’ambito universitario che un riconoscimento sia stata attribuito ai parenti di Vincenzo Serrentino, “ultimo prefetto di Zara italiana” e condannato a morte a Sebenico. Serrentino, che fu giudice del Tribunale speciale per la Dalmazia, fu denunciato alle Nazioni unite come criminale di guerra; arrestato a Trieste nel maggio 1945, fu condotto a Sebenico dove fu processato per l’attività compiuta dal Tribunale da lui presieduto e condannato a morte. Ci chiediamo quale eco internazionale avrebbe avuto una decorazione attribuita a qualcuno dei condannati a morte al processo di Norimberga.
Un’anteprima di chi dovrebbe ricevere la targa il prossimo 10 febbraio ci viene da una dichiarazione dell’avvocato Paolo Sardos Albertini, presidente della Lega Nazionale: si tratta della sorella di Dario Pitacco, il “ragazzo ucciso dalle truppe slovene il 1° maggio 1945 per avere issato la bandiera italiana” (sul “Piccolo” del 17/12/08).
In realtà, come scrive anche Papo, Pitacco faceva parte di quel gruppo di guardie civiche che al momento dell’insurrezione si trovavano al Municipio come corpo di guardia del podestà Pagnini; fu arrestato il 2 maggio, assieme alle altre guardie e condotto in prigionia in Jugoslavia, dove di lui si persero le tracce. Quanto all’esposizione della bandiera italiana sul municipio di Trieste, ricordiamo la testimonianza di Vasco Guardiani, il commissario politico della Brigata Frausin del CVL, che si trovava in municipio assieme ad altri esponenti del CLN triestino (tra cui don Marzari ed il colonnello Fonda Savio) al momento dell’arrivo dell’esercito jugoslavo il 2 maggio 1945. Guardiani voleva impedire ad un militare jugoslavo di ritirare il tricolore italiano che era stato esposto al balcone del municipio, ma fu minacciato di morte e desistette (sul “Piccolo” del 22/3/04). Questo racconto pone quantomeno dei dubbi sulle modalità dell’uccisione di Pitacco così come esposte da Sardos Albertini.
Del resto la coerenza non sembra essere una delle caratteristiche della Lega nazionale di Trieste, dato che nel maggio 2005 inviarono una lettera al Capo dello Stato per chiedere fosse conferita la medaglia al valore alla memoria ai “cinque cittadini di Trieste, caduti il 5 maggio 1945, sotto il piombo jugoslavo: Claudio Burla, Giovanna Drassich, Carlo Murra, Graziano Novelli e Mirano Sancin”, ciò nonostante lo storico Roberto Spazzali avesse pubblicato sul “ Piccolo” del 4 maggio 2005 uno studio sulla vicenda di questi caduti dove si legge “sulla lapide posta in via Imbriani nel 1947 compare pure il nominativo di Giovanna Drassich, ma è frutto di un’errata trascrizione, in quanto la signora spirò alle 5 di mattina del 5 maggio”.
I due testi (la lettera al Presidente della Repubblica, firmata da Sardos Albertini, e lo studio di Spazzali) sono ambedue disponibili sul sito della Lega nazionale, i cui curatori evidentemente non si prendono la briga di leggere attentamente quanto inseriscono. Quanto al modello culturale di questi signori, si veda la presentazione del testo di Giorgio Rustia “Contro operazione foibe”, scaricabile in PDF: “la risposta completa e dettagliata a tutte le teorie negazioniste di sedicenti storici e trinariciuti divulgatori che imperversano su internet, nelle librerie, ai convegni e nelle scuole”.
Tutto ciò non avrebbe molta importanza e si potrebbe archiviare nella categoria “il mondo è bello perché è vario”, se non fosse che alla Lega nazionale, non si sa per quale recondito motivo (il Museo della Risiera di San Sabba è gestito dai Civici musei del Comune di Trieste e le guide sono persone preparate in materia) è stata affidata la gestione delle “visite guidate” al museo della foiba di Basovizza. Quale tipo di informazione potranno ottenere le scolaresche e tutti gli altri visitatori che, ignari ed in perfetta buona fede, verranno “istruiti” da persone di cotanta cultura e serenità nell’affrontare lo studio di argomenti storici?
In calce un breve cenno sulla proposta di legge di istituzione di un “ordine del tricolore”. Nel 1999 era stata presentata (dal centrosinistra, infatti una delle relatrici fu Celeste Nardini del PRC) una proposta di legge sulla traccia di quella per l’Ordine di Vittorio Veneto (la legge 18 marzo 1968, n. 263 istituì l’Ordine di Vittorio Veneto, “in occasione del cinquantennale della fine della prima guerra mondiale. Si tratta, a suo avviso, di un progetto di legge coerente con la cultura di pace e di pacificazione dell’Italia post-bellica, che attribuisce pari dignità a coloro che hanno partecipato al conflitto in uno dei momenti più drammatici della storia italiana, che riconosceva lo status di ex combattenti a tutti coloro che avevano prestato servizio militare nella Prima guerra mondiale”, come disse l’onorevole Ciriello in seduta 12/11/08).
In http://www.camera.it/_dati/leg13/lavori/stampati/sk3000/articola/26810a.htm, leggiamo lo scopo di questa prima proposta di legge:
1. L\'onorificenza è conferita a coloro che prestarono servizio militare, per almeno tre mesi, in zona di operazioni, anche a più riprese, nelle Forze armate italiane durante la guerra 1940-1945, o nelle formazioni armate partigiane o gappiste, regolarmente inquadrate nelle formazioni dipendenti dal Corpo volontari della libertà, ed ai combattenti della guerra 1940-1945, ai mutilati ed invalidi della guerra 1940-1945 fruenti di pensione di guerra ed agli ex prigionieri o internati nei campi di concentramento o di prigionia.
La proposta di legge presentata nel 2008 riprende l’articolo 1 della precedente, con alcune differenze che evidenzieremo in grassetto (in http://www.camera.it/_dati/leg16/lavori/schedela/apriTelecomando_wai.asp?codice=16PDL0011740).
1. L\'onorificenza è conferita a coloro che hanno prestato servizio militare, per almeno sei mesi, in zona di operazioni, anche a più riprese, nelle Forze armate italiane durante la guerra 1940-1945 e invalidi, o nelle formazioni armate partigiane o gappiste, regolarmente inquadrate nelle formazioni dipendenti dal Corpo volontari della libertà, ai combattenti della guerra 1940-1945, ai mutilati e invalidi della guerra 1940-1945 titolari di pensione di guerra e agli ex prigionieri o internati nei campi di concentramento o di prigionia, nonché ai combattenti nelle formazioni dell\'esercito nazionale repubblicano durante il biennio 1943-1945.
Ecco la dimostrazione di come bastino poche parole aggiunte ad un articolo di legge a cambiare completamente il senso della storia.
febbraio 2009
A PROPOSITO DI 'ODIO DEGLI SLAVI'...
Nel sito del Ponte della Lombardia abbiamo trovato un articolo che ci propone l’ennesima “bufala” storica.(L’indirizzo è http://www.ilponte.it/foibedep.html)
Gian Luigi Falabrino (che ci risulta essere esperto di pubblicità e di comunicazione piuttosto che di storia e letteratura slovene) nel suo “Il punto sulle foibe e sulle deportazioni nelle regioni orientali (1943-45)” scrive così:
< l’odio etnico e la voglia di rivalsa sui “padroni” agricoli erano profondamente radicati in Slovenia fin
dall’Ottocento, quando il massimo poeta sloveno, Frane Preseren (1800-1849) invocava “Fa che il Soča (Isonzo) diventi rosso/di rosso sangue italiano”. L’odio dei contadini contro i ricchi italiani delle città, orchestrato sia dai vescovi cattolici contro gli italiani (ebrei, massoni e miscredenti) sia dalle autorità austriache (“divide et impera”), un secolo dopo trovò nel comunismo lo strumento per realizzarsi >.
Lasciando da parte le conclusioni, diciamo solo che il poeta sloveno che ha scritto una poesia all’Isonzo non era France (e non Frane) Prešeren, ma Simon Gregorčič (1844-1906), che nel 1879 scrisse “Soči” (“All’Isonzo”), una lirica che precognizzava la tragedia della prima guerra mondiale, e l’attacco dell’Italia al confine orientale. Nella traduzione di Giovanna Iva Ferjanis Vadnal questi sono alcuni versi che potrebbero forse riferirsi a quanto scritto da Falabrino:
Ma su te, misero, ahimè, s’addensa
un tremendo uragano, una bufera immensa,
dal caldo meridione infuriando verrà
e strage alla pianura ferace recherà
(...)
ma intorno grandine di piombo cadrà
e sangue a fiotti e di lacrime un torrente
(...)
Qui all’urto delle spade affilate,
le tue acque di rosso saranno colorate:
il nostro sangue a te scorrerà,
quello nemico ti intorbiderà!
(...)
Non ridurti entri i limiti delle sponde,
balza dagli argini tuoi furibondo
e lo stranier della nostra terra avido
nel fondo dei tuoi gorghi travolgi impavido!
In sostanza in questa lirica Gregorčič ha una visione quasi preveggente delle battaglie che avrebbero insanguinato l’Isonzo quarant’anni dopo in seguito ad un attacco venuto da Sud (l’Italia), ed invoca il fiume a difendere il popolo sloveno dalle invasioni straniere. Nulla a che fare quindi con le parole citate da Falabrino, né con le conclusioni cui lui arriva: perché è chiaro che il poeta parla di difesa delle proprie terre e non di espansione verso quelle degli altri.
Tra l’altro le elucubrazioni di Falabrino non dovrebbero essere una creazione sua ma una delle varie “leggende metropolitane” inerenti il presunto “odio degli slavi” verso gli italiani, scritte una volta da qualcuno e ripetute da altri all’infinito, senza che alcuno dei “citanti” si ponesse il problema di verificarne la veridicità. Tanto, quanti in Italia conoscono la letteratura slovena, Prešeren, Gregorčič, le loro poesie (rarissime quelle tradotte in italiano), al punto da capire che la storia dell’Isonzo rosso di sangue italiano è solo una mistificazione e una fandonia?
ottobre 2008
il numero delle vittime salito a quota 45
http://www.uruknet.de/?p=49183
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/57423
Le gouvernement allemand, lobby des armes à l’uranium. Toutes les recherches et prises de position critiques à propos des armes à l’uranium sont négligées
http://www.voltairenet.org/article157080.html
http://www.truthout.org/docs_2006/042007B.shtml
l'Agence internationale pour Energie Atomique ( AIEA ) va ouvrir
une enquête sur les accusations selon lesquelles Israel a employé des
munitions à l'uranium appauvri (OU) lors de son offensive sur Gaza.La
radio "Europe libre" a annoncé" que la plainte au nom des pays arabes a
été déposée par l'Arabie Saoudite et qu'elle "a divisée les pays membres
de l'AIEA ".
En même temps, les médias ont écrit que le Ministère de la Défense
italien , sur la base d'un jugement d'un tribunal de Rome va payer des
dédommagements d'un demi million d'euros un soldat italien qui après
avoir participé pendant 8 mois à une mission militaire en Somalie,il y a
15 ans, était tombé malade d'un cancer.
A la fin de l'année dernière,a été publié à Belgrade un livre, "les
cadeaux de l'ange de la Miséricorde" du Dr Mirjana Andeljkovic- Lukic,
expert en explosifs,travailla nt à l'Institut technique militaire de
Belgrade et au Centre technique de l'Armée yougoslave, qui est en
retraite depuis 7 ans. Aujourd'hui elle est expert judiciaire pour les
matériaux explosifs. Déjà sur la page de garde, on note des faits
inquiétants : son époux, le colonel Dr Mirko Lukic, le colonel Mr.Dragan
Vasiljevic, directeur de l'Institut de l'Aviation, et Mr Milos Vujacic,
chef du Service de Pyrotechnie de l'institut technique militaire de
Belgrade _*sont morts*_ après avoir effectués ensemble une mission ,
car sur le terrain, ils avaient trouvés et observés une quantité de
matériaux contaminés par l_*es bombardements de l'OTAN en 1999*_. Les
trois avaient travaillés sur la recherche de conséquences, notamment
celles résultant de l'utilisation de munitions avec_* OU*_. Le colonel
Mirko Lukic est arrivé à VMA (Institut médical militaire) pendant l'été
2002 avec pour diagnostic un cancer des poumons. Il est mort le 9 avril
de l'année suivante.
L'uranium appauvri avec lequel les forces de l'OTAN ont bombardés le
Kosovo pendant 78 jours en 1999, est la principale raison de
l'augmentation alarmante du nombre des tumeurs malignes et les
controles de la radioactivité menés depuis 2000 jusqu'à présent dans 112
endroits qui ont été soumis aux effets "des déchets nucléaires" montrent
que le niveau des radiations gammas et betas sont deux fois plus élevé
que celles permises.La plus grande quantité d'uranium a été jetée dans
les régions de Pec, Djakovica, Prizren puis Urosevac, Podujevo et bien
que les cartes de l'oTAN affirment qu'au nord du Kosovo,il n'y a pas un
seul endroit qui ait été touché par des projectiles à l'uranium
appauvri,il a été trouvé que là aussi des cibles ont été visées autour
de Bajgore et de Mokra Gora.
Selon les conclusions de l'enquête de l'équipe d'enquêteurs du Centre
médical de Kosovska Mitrovica commencée en 2000 avec à sa tête le Dr
Nebojsa Srbljak interniste-cardiolo gue et de plus président de l'ONG
"L'ange de Miséricorde" , sur le territoire de la région de Kosovka
Mitrovica,, on a constaté " une énorme augmentation des cancers allant
jusqu'à 200% par rapport à la période d'avant guerre". Les derniers
renseignements de 2007 montrent que dans la région de Kosovska Mitrovica
il y a une épidémie de carcinomes.Sur la base des recherches éffectuées
de 1998 à 2002, on a noté une augmentation de trois.Jusqu'à la
guerre,pour 300.000 habitants,on trouvait 10 malades du cancer alors que
maintenant sur 60.000 habitants, on en trouve 20.Des contacts ont été
pris avec l'OMS ,car ils réclamaient des résultats.Nous leur avons tout
communiqué, mais nous n'avons eu aucune aide ni d'eux ni de personne
,ni même de notre état a déclaré le Dr Srbljak qui juge que les
autorités de Belgrade ne prennent pas au sérieux cet énorme probléme qui
traine derriére lui de nombreux problémes sociaux.Il a ajouté que les
hommes sont plus atteints et particuliéremnt ceux qui ont été en
contact avec ces produits et plus particuliérement ceux qui étaient à la
frontiére avec l'Albanie.
Depuis la guerre et jusqu'à maintenant,12 membres des forces armées de
l'Armée yougoslave sur le territoire de Kosovska Mitrovica et tous les
membres du poste frontiére de Kosare, sont morts.Nous n'avons pas des
données de base en ce qui concerne tout le territoire du Kosovo, mais ce
qui est sur, c'est que depuis la guerre partout le nombre des cas de
cancer a augmenté d'une façon drastique , et notamment chez les
enfants.Mais, ce qui est le plus difficile a vivre,c' est
l'irresponsabilité du gouvernement envers les gens qui ont défendu le
pays dit le Dr Strbljak qui indique que selon les derniéres
statistiques, durant les 6 premiers mois de l'an dernier, plus de 2.000
cas ont été diagnostiqués. Il est amer de constater qu'ils n'ont aucun
contact avec VMA à Belgrade qui est le seul institut de référence qui
pourait travailler sur l'uranium appauvri et n'a aucune illusion sur la
possibilité que les pays occidentaux s'intéressent au probléme.En juin,
il doit faire des conférences en Suisse sur la question, mais ajoute que
la Serbie doit s'y intéresser et faire un programme national qui
pourrait agir préventivement.
Le nord du Kosovo n'a pas été une exception quant aux projectiles jetés
des avions A-1O de l'OTAN quand on pense que plus de 9 tonnes de telles
munitions ( s'il est question seulement du calibre 30mm) ont été
utilisées affirme le radiologue Dr Vlastimir Cvetkovic ,qui constate
avoir chaque jour, au moins un patient atteint de cancer. Comme il le
dit, la frontiére entre tumeur benigne et maligne change et surtout chez
les jeunes."Auparavant, nous avions une tumeur tous les trois mois et
maintenant, chaque jour. Récemment j'ai eu un enfant de 12 ans avec une
tumeur à la glande tyroidienne .Il n'y a pas de jour où je ne découvre
pas cette malade terrible.Nous sommes un petit Hiroshima dit le Dr
Cvetkovic radiologue-diagnost icien chef du service de Radiologie à la
Polyclinique de Zvecan qui chaque jour rencontre de tels malades qui
viennent de tout le territoire du Kosovo. Il constate que les
conséquences de ces irradiations à l'uranium appauvri concernent surtout
les glandes et chez les femmes et chez les hommes, mais aussi les
organes internes .
Bilijana Radomirovic
Politika du 2 février 2009
Perché il topo dal Borovac ha una coda che assomiglia a quella di uno scoiattolo
http://www.politika .rs/rubrike/ tema-dana/ Zashto-mish- iz-Borovca- ima-rep-slichan- veverici. lt.html
La consapevolezza delle conseguenze dell’utilizzo di munizioni ad uranio impoverito, confermerà la maturità della società serba, nonché il rinforzamento delle istituzioni democratiche della Serbia
Già dalla copertina emergono i fatti tragici: il suo marito, colonnello Mirko Lukić, colonnello mr Dragan Vasiljević, direttore dell’Istituto tecnico-militare a Belgrado, e mr Miloš Vujačić , direttori del reparto esplosivi presso lo stesso Istituto, sono deceduti dopo aver realizzato il compito comune di rilevare e valutare la quantità e tipologia di inquinamento provocati da bombardamento della NATO nel 1999. Tutti lavoravano all’eliminazione delle conseguenze e dell’impiego delle munizioni con DU.
[…] L’opinione pubblica mondiale ed europea, riguardo alle munizioni con DU, ormai da tempo si trovano in burrascose discussioni. Grazie allo sforzo di Mirjana Anđelković-Lukić ed al suo libro sconcertante, è probabile che anche in Serbia si avvierà un confronto con questo problema.
[…] Nuovi casi di tumori rilevati nelle contee della Serbia
Nella Serbia, dopo dieci anni trascorsi dal bombardamento, non è ancora stata realizzata alcuna completa e pubblica ricerca a riguardo delle conseguenze degli effetti del DU sull’ambiente, sulla popolazione, sulle forze militari e di polizia dispiegate nel Kosovo e Metohija e nella Serbia del sud, durante l’aggressione NATO.
La pressione della cittadinanza sul governo e tutte le istituzioni competenti, affinché un’analisi di questo genere venisse definitivamente alla luce del sole, confermerebbe, a tutti gli effetti, la maturità democratica della società serba, nonché delle istituzioni democratiche della Serbia.
Solo dopo una tale ricerca, alla cittadinanza si sarebbe reso noto che nei dintorni di Vladičin Han distate di incirca 40 chilometri da
Bujanovac, le mandrie nascono con le modifiche degenerative, che innanzitutto le pecore sono anemiche, perché il topo dal villaggio di Borovaca ha la coda assomigliante a quella di uno scoiattolo, perché a Preševo una pecora ha dato alla luce, con taglio cesareo, un agnello di otto gambe e due paia delle orecchie, oppure che è nato il vitellino con due teste.
Il Dott. Adnan Salihu, il medico dell’Azienda sanitaria di Bujanovac, di cui i rilevamenti sono citati da parte di Mirjana Anđelković-Lukić, afferma che tra 1999 e 2005, il numero dei pazienti ammalatisi dai tumori è cresciuto di 50 percento.
Gli ultimi dati verificabili si riferiscono all’anno 2005. Di 110 nuovi pazienti, sono morti in 59. Quattro anni prima (2001) c’erano stati 4 morti su 36 nuovi pazienti.
Slobodan Kljakić
[02/02/2009]
Sumnje u izveštaj SZO o uranijumu na Kosmetu
SALA CONSILIARE DELLA CIRCOSCRIZIONE 3
ORE 20,30
VIA G. D’ANNUNZIO 35 (San Rocco) - MONZA
I CRIMINI DI GUERRA DEL FASCISMO: UNA STORIA DIMENTICATA
PROIEZIONE DI “FASCIST LEGACY”
“L’eredità del fascismo”
DOCUMENTARIO DELLA BBC, ACQUISTATO E MAI TRASMESSO DALLA RAI
partecipa
ALESSANDRA KERSEVAN
AUTRICE DI “LAGER ITALIANI PULIZIA ETNICA E
CAMPI DI CONCENTRAMENTO FASCISTI PER CIVILI JUGOSLAVI 1941-1943”
ORGANIZZA
COMITATO UNITARIO ANTIFASCISTA DI MONZA (Anpi – Aned – Anei)