Informazione


Alemanno: beatificazione Don Bonifacio atto importante (Ansa 19 ago) 
mercoledì 20 agosto 2008 
(ANSA) - ROMA, 19 AGO - "L'annuncio dato dal Santo Padre della beatificazione di don Francesco Giovanni Bonifacio è un atto importante non solo da un punto di vista religioso ma anche storico. Beatificare un Martire delle Foibe, infatti, sottolinea l'enorme tragedia e il gravissimo eccidio che fu perpetrato contro gli italiani giuliano-dalmati e istriani da parte delle forze comuniste di Tito". Lo ha affermato, in una nota, il sindaco di Roma Gianni Alemanno. "E' una tragedia - ha proseguito Alemanno - che per lungo tempo è stata misconosciuta dalla storiografia ufficiale e che solo da pochi anni è entrata nella coscienza non solo degli Italiani ma di tutta l'umanità. Oggi il Pontefice ha annunciato una altro passaggio importante per la memoria di questo terribile fatto". (ANSA). 

Vaticano ufficializza beatificazione Don Bonifacio (Ansa 19 ago) 
mercoledì 20 agosto 2008 
(ANSA) - CITTA' DEL VATICANO, 19 AGO - Saranno beatificati nel prossimo ottobre Francesco Giovanni Bonifacio, sacerdote martire delle foibe, e i coniugi Louis Martin e Zelie Marie Guerin, genitori di Santa Teresa del Bambino Gesù, patrona di Francia insieme a Giovanna d'Arco. L'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Papa ha diffuso, tramite la sala stampa della Santa Sede, il calendario dei prossimi riti di beatificazione. Quella di Bonifacio sarà celebrata il 4 ottobre a Trieste, mentre quella dei coniugi Guerin avverra il giorno 19 a Lisieux, città dove santa Teresina visse e morì nel settembre del 1897. Il primo rito, in ordine di tempo, sarà quello di Vincenza Maria Poloni, fondatrice dell'Istituto delle Sorelle della Misericordia, che avrà luogo domenica 21 settembre a Verona. Avverrà invece in Polonia, a Biaystok, il giorno 28, la beatificazione di Michele Sopocko, confessore di Santa Faustina. In contemporanea con la beatificazione di Bonifacio a Trieste, il 4 ottobre, sarà celebrato a Vigevano (Pavia) il rito anche per Francesco Pianzola, detto "l'apostolo della Lomellina". Fondatore delle Suore Missionarie dell' Immacolata Regina della Pace, portò conforto nella povertà alle mondine, ai braccianti e agli operai della zona. (ANSA) 

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LA NUOVA ALABARDA (Trieste)


IN ODIUM FIDEI: 
LA BEATIFICAZIONE DI DON BONIFACIO.

Il prossimo 4 ottobre 2008 si svolgerà a Trieste la beatificazione di don Francesco Bonifacio, sacerdote istriano scomparso in circostanze misteriose nel 1946. Diciamo “scomparso” e non “morto”, perché dato che il suo corpo non è mai stato trovato non è a tutt’oggi possibile determinare la data della morte. 
Ma perché è stata decisa la beatificazione di don Bonifacio? Le fonti “ufficiali” (nella fattispecie una nota Ansa del 4/8/08, che si basa, supponiamo, su comunicazioni degli organi ecclesiastici) affermano che don Bonifacio, fu ucciso “in odio alla fede”, che fu “catturato dai titini a Villa Gardossi” e “finì in una delle cavità del Carso”; che “secondo tardive testimonianze” prima di essere ucciso “sarebbe stato spogliato, deriso, lapidato e forse anche accoltellato e fucilato”. 
Riprendiamo ora un articolo di Sergio Paroni dal “Piccolo” del 12/9/96. Il giornalista spiega che la causa di beatificazione di don Bonifacio fu avviata dal vescovo Antonio Santin nel 1957 presso la curia triestina. Santin considerava don Bonifacio “l’onore del nostro clero”. Ma, scrive Paroni, il procedimento si arenò “per la diffusa omertà di coloro che avrebbero potuto testimoniare”. Venne ripreso nel 1971 “grazie all’impulso dato da don Eugenio Ravignani, istriano come don Bonifacio” (Ravignani è l’attuale vescovo di Trieste).
Il vescovo monsignor Bellomi avrebbe deciso di riprendere in mano la causa e raccomandò, prima di morire (Bellomi è deceduto nel 1996) a monsignor Giuseppe Rocco di portare a termine l’istruttoria. Rocco è (o almeno lo era quando Paroni scrisse l’articolo) vicepresidente del tribunale diocesano competente per le cause di beatificazione, di cui il presidente è don Ettore Malnati (già segretario particolare di Santin e suo biografo), e del quale fanno parte due “notai”: un diacono ed una laica. 
Il compito di questo tribunale è di valutare le testimonianze, che devono essere: “attendibili ed autorevoli per essere efficacemente accolte”. Alla fine dell’istruttoria il tribunale diocesano deve inviare il materiale raccolto alla Congregazione vaticana per la causa dei santi, “cui spetta l’esame finale”. Paroni aggiunge che dal materiale fino allora raccolto emerge che “don Bonifacio fu eliminato in odio alla fede, ovvero che è un martire, che quasi certamente venne infoibato poiché non se n’è più rinvenuta traccia” (conclusione quanto meno opinabile, come se tutti coloro che scompaiono senza lasciare traccia finissero in una foiba). E conclude osservando che la causa di beatificazione di don Bonifacio poteva avere da quel momento probabilità di giungere a buon fine, dato che pochi giorni prima papa Giovanni Paolo II aveva definito “martiri del nostro secolo” i cristiani “vittime dei regimi comunisti”: questo perché “per i martiri non c’è nemmeno l’onere di reperire la prova di un miracolo per la loro elevazione agli altari”.
Alcuni anni or sono il giornalista triestino Ranieri Ponis ha redatto uno studio dal titolo “In odium fidei” (ed. Zenit Trieste 1999), nel quale tratta dei sacerdoti uccisi dai “comunisti slavi”. Ecco cosa scrive in merito alla vicenda di don Bonifacio.
“Sono le 16 dell’11 settembre 1946 quando don Francesco Bonifacio lascia Villa Gardossi ed a piedi si avvia verso Peroi (…) prosegue per Grisignana (…) deve incontrarsi con il parroco Giuseppe Rocco (che era anche il suo confessore: è forse lo stesso “monsignor Giuseppe Rocco” del tribunale diocesano? n.d.r.) (…) don Rocco lo accompagna fino al cimitero (…) In lontananza si notano due guardie popolari (…). Don Francesco arriva sulla strada di Radani, qui è ferma un’automobile, nascosta dietro un cespuglio (…) vi sono testimoni oculari. Che vedono due avvicinarsi a don Bonifacio e costringerlo a salire sull’automobile: viene fatto sedere vicino all’autista. Questi indossa un paio di calzoni della divisa, ed è il komandir (…) si chiama Rak, è di origine dalmata (…) e abita a quel tempo a Umago (…) dietro siede Pietro A., tuttora vivente e abitante nel Pordenonese. Percorrono qualche chilometro, poi prendono a bordo altri due: Giordano N. e Antonio G.. A questo punto le ipotesi sono tante, le convinzioni forse nessuna”.
Frase interessante, questa: le ipotesi sono tante, le convinzioni forse nessuna. Eppure è proprio su queste tante ipotesi e forse nessuna convinzione che don Bonifacio verrà beatificato tra poche settimane. 
È anche degno di nota che Ponis indica solo il nome e l’iniziale del cognome di due degli “ipotetici” rapitori. Perché? Proseguiamo con la lettura: Ponis racconta varie “ipotesi”, tra le quali la descrizione dello sgozzamento di don Bonifacio che sarebbe stato ucciso perché si era messo a pregare. Ma sono solo “ipotesi”, appunto. 
Anche relativamente alla sepoltura vi sono varie “ipotesi”: alcune indicano don Bonifacio sepolto presso Montona, altre nella Valle del Quieto, oppure in zona Peroi (vi consigliamo di procurarvi una cartina della zona per valutare le distanze).
Ponis aggiunge che il fratello del sacerdote, Giovanni Bonifacio, avrebbe fatto confessare a Giordano N. i fatti, ma che questo non voleva parlare per paura.
Poi riferisce l’ipotesi che un “processo farsa” si sarebbe svolto nella casa della famiglia Muscovich a Bollara (tra Castagna e Grisignana) e che alla fine, come racconterebbe una signora (che all’epoca era bambina e della quale Ponis non fa il nome), don Bonifacio sarebbe stato costretto a camminare scalzo fino alla foiba di Martines nel villaggio di Dubzi.
Altra “ipotesi”: dopo il “processo farsa” don Bonifacio sarebbe stato colpito al punto da perdere i sensi, caricato su un carretto e poi portato alla foiba di Martines, dove Ponis dice di essersi recato. Lì una donna di nome Veneranda, che nel 1946 avrebbe avuto vent’anni, avrebbe trovato il fazzoletto di lino con le iniziali di don Bonifacio sull’erba, una mattina dopo avere sentito delle urla durante la notte.
Interessante però che il testo di Ponis non tenga conto delle testimonianze citate nel volumetto di Sergio Galimberti, pubblicato l’anno prima, nel 1998, in occasione della “solenne sessione conclusiva del processo diocesano per la canonizzazione di don Bonifacio”.
In esso sono riportati i nomi di sette testimoni, che hanno tutti più o meno dichiarato la stessa cosa, e cioè che l’11 settembre 1946, mentre usciva dal cimitero di Grisignana, don Bonifacio fu “avvicinato” da alcune “guardie popolari”, o “soldati della polizia jugoslava”, con i quali si sarebbe allontanato. È il fratello, Giovanni a dire che “poco dopo l’arresto” (ma anche l’arresto è una “ipotesi”, dato che le testimonianze non accennano ad atti di coercizione nei confronti del sacerdote: “due soldati precedono don Francesco che li segue libero”, ha dichiarato un teste) il gruppetto e il prete “spariscono nel bosco”. E teniamo presente che Giovanni Bonifacio non era presente ai fatti, si trovava in casa ad attendere il ritorno del fratello.
Vi è dunque una versione che vuole don Bonifacio avvicinato da non meglio identificati “titini” e condotto via a piedi; un’altra che parla di un sequestro in piena regola, per il quale sarebbe stata usata un’automobile. Quale è quella accolta dalla Congregazione vaticana?
Nei giorni successivi alla scomparsa del prete i suoi familiari chiedono notizie al comando di polizia di Grisignana, alla Difesa popolare di Buie, al comando dell’OZNA ma tutte le autorità interpellate risposero che non vi era alcun ordine di arresto per don Bonifacio e che egli non si trovava incarcerato. Queste risposte, del tutto logiche se don Bonifacio non era stato arrestato dalle autorità, vengono definite nel testo: “vaghe, reticenti, contraddittorie” ed anche “evasive”. 
Poi sono elencate le “alternative prospettate sulle modalità dell’uccisione”: “eliminazione generica (sic), torture, impiccagione, strangolamento, percosse, lapidazione, decapitazione, omicidio con arma bianca o da fuoco”. Mancano solo la sedia elettrica e l’iniezione letale, viene da osservare. Il luogo è “incerto”, scrive il testo: “tra Grisignana e Villa Gardossi, Radani, San Vito, bosco di Levade, Gradina di Portole, Carso di Piemonte” (e qui vi rinviamo nuovamente alla cartina); per quanto concerne i “mandanti” si è ancora più vaghi: “Autorità jugoslava di Fiume, Abbazia, Buie; Comitato popolare di Villa Gardossi, Comitato popolare distrettuale di Buie, comunisti italiani di Buie, attivisti e militanti slavo-comunisti, ecc.”. I “presunti esecutori” sarebbero “tre, quattro o forse più”; il “destino del cadavere”, infine, sarebbe “incerto: cremazione (cimitero di San Vito), infoibamento (qualche voragine della zona, foiba di Martines a Grisignana, foiba di Pisino), sepoltura (Santo Stefano, bosco di Levade, San Bortolo di Montona, San Pancrazio di Montona, San Vito di Grisignana, linea di confine tra Zona B e Jugoslavia”). 
In sostanza: non si sa come don Bonifacio sia morto (a rigor di logica non si sa neppure se sia morto), né chi l’avrebbe ucciso e per quale motivo, però la conclusione del processo diocesano dà per assodato che sia stato ucciso in odium fidei.
Nello stesso libretto troviamo anche la versione dell’arresto di don Bonifacio riportata da Ponis, che sarebbe stata resa da un “sedicente testimone oculare”, cioè un “attivista comunista” che, “a pagamento”, avrebbe fatto ad un “regista” (del quale non viene fatto il nome) una “narrazione romanzata destinata alla realizzazione di un soggetto teatrale basato sulle ultime ore di don Francesco Bonifacio”. Questo testimone era stato rinchiuso assieme al suo “compagno di lotta” (quello con cui sarebbe andato ad arrestare il prete) in carcere ad Albona nel novembre 1946, ed avrebbe “confermato ad un suo carceriere” che “il prete di Crassizza” (cioè Villa Gardossi) sarebbe stato “finito con delle coltellate alla gola” e non gli sarebbe stata “staccata la testa”, come invece asseriva il suo “compagno”. Ammesso che questo racconto sia attendibile, potrebbe significare che i due erano detenuti proprio perché avevano assassinato il prete (per criminalità comune) e che il “testimone oculare” (stranamente anonimo, mentre il suo “compagno” viene indicato come Enrico Clarich, nome che nel testo di Ponis non compare) abbia poi deciso di infiorettare il racconto con le motivazioni politiche ed i particolari cruenti, per vendere poi con più profitto la sua “storia” al regista.

Leggendo la biografia di don Bonifacio ci hanno colpito alcune cose. Innanzitutto che il sacerdote, che durante la guerra aveva operato sia per salvare partigiani e civili, sia militari nazifascisti, scriveva nel suo diario di non aver paura di essere ucciso od aggredito, nonostante ciò che affermano i suoi biografi. Che aveva fisso il pensiero della morte, ma questo, piuttosto che essere attribuibile alla paura di cadere vittima “degli slavo-comunisti”, può dipendere dal fatto che fin da ragazzo soffriva di crisi di asma piuttosto gravi, che non gli permettevano una vita del tutto normale.
Ma quello che più ci sconcerta è il motivo per cui si è deciso che don Bonifacio è morto in odium fidei: dato che è scomparso ed il suo cadavere non è stato trovato è stato sicuramente infoibato perché esponente del clero cattolico.
Ora, mancando il corpo, vi sono tante altre ipotesi che si possono fare sulla scomparsa di una persona. Per voler prendere in esame tutte le possibilità, si può anche ipotizzare (dato che le ipotesi sono tante, come afferma Ranieri Ponis, ne aggiungiamo qualcuna anche noi) che il sacerdote si sia allontanato volontariamente e sia andato a vivere altrove con un’altra identità: ipotesi che tendiamo ad escludere dopo avere letto parti del suo diario, da cui esce una figura di religioso coerente. Ma potrebbe essere stato colto da amnesia ed essere andato da tutt’altra parte, morto chissà dove e quando; può avere avuto una crisi d’asma più grave delle altre, che gli è stata fatale, ed essere morto in un luogo dove il suo corpo è rimasto celato.
L’ipotesi però che a noi sembra la più probabile è che don Bonifacio sia caduto vittima di criminali comuni che, per derubarlo o per altro sconosciuto motivo, lo hanno ucciso e poi ne hanno occultato il cadavere. Questa ipotesi corrisponderebbe al racconto fatto all’anonimo regista, dove abbiamo due “testimoni oculari” dell’assassinio di don Bonifacio che si trovavano in carcere due mesi dopo la scomparsa del religioso. Perché nessuno ha pensato di fare una ricerca presso l’autorità giudiziaria di Fiume (presumibilmente quella competente per territorio, se i due erano in carcere ad Albona), neanche negli anni recenti?
Noi, da agnostici, riteniamo che gli affari religiosi debbano essere gestiti seriamente. Non si può fare santo (o beatificare, è lo stesso) chiunque o chicchessia senza un minimo di analisi della sua vita e delle modalità della sua morte. Non è una cosa seria, né è rispettosa di chi crede. 
Soprattutto siamo dell’opinione che non si possono strumentalizzare la storia e le credenze religiose a scopi politici. Nella fattispecie, con la beatificazione di don Francesco Bonifacio (per il quale non vi è alcuna prova che sia stato ucciso in odium fidei), non si compie un atto religioso, ma si strumentalizza una tragedia (la scomparsa di un giovane sacerdote) per fare propaganda politica in funzione anticomunista. 

In conclusione un breve appunto per una prossima ricerca storica: che in Jugoslavia sia stato impedito alla popolazione di professare qualsivoglia religione, a partire da quella cristiana, è una bufala bella e buona. Tanto per fare un esempio, ricordiamo che nel corso dei censimenti etnici era permesso dichiararsi islamici o musulmani, trasformando un credo religioso in una componente etnica (fattore che ha avuto poi il suo non indifferente peso nel corso del conflitto jugoslavo). 
Della “persecuzione” dei sacerdoti in Jugoslavia parleremo quindi in un’altra occasione; in questa sede vogliamo solo dire che tra gli attivisti del Fronte di Liberazione jugoslavo vi erano anche molti sacerdoti, diversi dei quali ricoprirono addirittura dei ruoli di dirigenza. Del resto un partigiano giunto a Trieste ai primi di maggio 1945, mostrando un tatuaggio rappresentante Cristo che portava sul petto disse che lui credeva in Gesù perché “è stato il primo comunista” (testimonianza di Fausto Franco, del CLN triestino, pubblicata sul “Piccolo” del 4/11/83).

settembre 2008


(italiano / srpskohrvatski)

1) Комунисти Србије о ХАПШЕЊА РАДОВАНА
КАРАЏИЋА /
I COMUNISTI DI SERBIA SULL'ARRESTO DI RADOVAN KARADžIĆ

2)
SKOJ: HAŠKI TRIBUNAL-INSTRUMENT ZAPADNE HEGEMONIJE /
SKOJ: IL
TRIBUNALE DELL' AJA – STRUMENTO DELL'EGEMONIA OCCIDENTALE

fonte: Web
Magazin Komunisti
http://komunisti.50webs.com/
Trad. a cura di Dk per
JUGOINFO


=== 1 ===

Originalni tekst (kirilica):
ХАПШЕЊЕ РАДОВАНА
КАРАЏИЋА КАО ПОВОД
ЗА ЈАВНО ОГЛАШАВАЊЕ КОМУНИСТА СРБИЈЕ
http:
//komunisti.50webs.com/komunistisrbije10.html
ili http://www.cnj
it/POLITICA/ks_karadzic08.htm

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Comunisti di Serbia (Komunisti
Srbije)
Narodnih heroja 1/1 - 11070 Novi Beograd


L'ARRESTO DI RADOVAN
KARADžIĆ COME OCCASIONEPER RENDERE NOTA L'OPINIONE DEICOMUNISTI DI
SERBIA

Per i COMUNISTI DI SERBIA, l'arresto di Radovan Karadžić
non è un motivo per introdursi con la propria opinione nel baccano
assordante allo scopo di schierarsi con una delle parti che si
confrontano - quella che definisce quest'arresto una brillante vittoria
delleforze filo-europee e "democratiche", oppure la parte che sfrutta
questo evento per la propria promozione politica, o persino quella che
lo considera una tragedia nazionale. Collocando l'arresto del signor
Karadžić inun contesto più ampio connesso con i recenti eventi tragici
nei territori jugoslavi e con lo stato attuale del nostro paese, i
COMUNISTI DI SERBIA vogliono comunicare al pubblico le loro opinioni
politiche di principio.
Dal momento della distruzione della LCJ (Lega
dei Comunisti di Jugoslavia, ndt) e della RFSJ (Repubblica Federativa
Socialista di Jugoslavia, ndt), ovvero, sin dall'estromissione dei
comunisti dal potere, nei territori della Jugoslavia la successione
degli eventi si può tranquillamente definire come una contro-
rivoluzione in cui è stato distrutto uno dei paesi più belli e più
apprezzati del mondo. Questo è stato realizzato attraverso una
sanguinosa guerra civile fratricida, risultata in molte vittime umane,
enormi perdite economiche e la successiva costituzione di statarelli-
nani con governi-fantoccio a servizio delle potenze straniere. Queste
stesse POTENZE STRANIERE, avendo per obiettivo la distruzione della
RFSJ, sono state ispiratrici, istigatrici ed organizzatrici della
succesione sanguinosa degli eventi, per la quale, in qualità di loro
esecutori, hanno ingaggiato anti-comunisti ed anti-jugoslavi di tutti i
colori, e le forze nazionaliste-separatiste in particolare, che,
purtroppo, si annidavano addirittura nell'amministrazione statale e
partitica. Se vogliamo valutare la posizione e il ruolo del signor
Radovan Karadžić nei tragici eventi passati, non si può contestare il
fatto che egli è appartenuto al gruppo dei prominenti attori interni
del dramma jugoslavo. In verità, Karadžić si è impegnato inizialmente
per la conservazione della Jugoslavia, invitando bosgnacchi (musulmani
bosniaci, ndt) e croati a non votare per l'uscita della Bosnia-
Erzegovina dalla RFSJ. Egli, però, ha lasciato presto tale posizione di
difesa della Jugoslavia ed ha iniziato a lavorare alla costituzione di
uno Stato serbo indipendente nella Bosnia-Erzegovina, come reazione al
comportamento anti-jugoslavo della "elite"nazional-separatista croata e
bosgnacca, che aveva fatto passare la decisione referendaria
sull'uscita della Bosnia-Erzegovina dalla RFSJ, una vicenda storica
molto triste. Nelle vesti di anti-comunista e nazionalista serbo, il
signor Karadžić si è così schierato nel novero dei prominenti attori
della sanguinosa guerra in Bosnia-Erzegovina.
Questo fatto rappresenta
comunque un particolare di una storia ben più ampia, in cui devono
essere inclusi gli istigatori esterni e gli ispiratori della
distruzione della RFSJ, i quisling locali, le forze nazional-
separatiste, nonchè tutte le altre tipologie di anti-comunisti e anti-
jugoslavi. In altre parole, per poter valutare le cause e le
conseguenze della Guerra Civile nella RFSJ in modo più completo e
oggettivo, dobbiamo collocarle nel più ampio contesto europeo. Solo in
questo modo diventa possibile produrre valutazioni politiche oggettive
riguardo ai tragici eventi recenti nei territori della Jugoslavia.
Detto in modo figurativo, "lo spirito maligno è stato rilasciato dalla
bottiglia" nel momento in cui il rapporto tra le potenze in Europa si è
modificato a scapito del socialismo. E' stato in quell'occasione che,
allo scopo di distruggere la RFSJ, gli Stati Uniti, paese che è stato
il nostro principale antagonista, assieme con alcuni Stati di spicco
dall'Europa occidentale, hanno disegnato una strategia e tattica basate
sull'ANTI-COMUNISMO. Ingaggiando le forze separatiste-nazionaliste e le
forze della destra borghese, che l'Esercito Popolare di Liberazione
aveva sconfitto nella Seconda Guerra Mondiale in quanto collaboratori
aperti o nascosti degli occupatori fascisti, GLI ISPIRATORI PRINCIPALI
hanno effettuato la mobilitazione generale di tutti i nemici esterni ed
interni, delle forze anti-comuniste e anti-jugoslave, che hanno
distrutto la RFSJ - ed i popoli jugoslavi ne subiranno a lungo le
tragiche conseguenze.

Il Partito "COMUNISTI DI SERBIA" condanna
categoricamente tutti i crimini e i loro esecutori, senza distinzione
rispetto a quale parte li ha commessi, in base a quale ordine ed a nome
di chi, sottointendendo gliispiratori esterni ed interni, gli
istigatori ed organizzatori che hanno fornito il sostegno politico,
economico e militare per la distruzione della RFSJ.
Purtroppo, la
piattaforma politica dei principi dei COMUNISTI DI SERBIA riguardo alla
condanna categorica di tutti i crimini e dei loro esecutori, non può
essere correttamente e pienamente realizzata in nessuno di nuovi
statarelli-fantoccio e nemmeno alTRIBUNALE DI AJA in quanto Tribunale
politico nelle mani delle potenze imperialiste (Stati Uniti, NATO e
paesi leader dell'UE) che, in concomitanza con i quisling locali
separatisti-nazionalisti, hanno organizzato la distruzione della RFSJ
tramite una sanguinosa guerra civile. Queste potenze si sono date
l'obiettivo di creare"confini forgiati nel sangue" a separare i popoli
jugoslavi, e la distruzione della RFSJ, con tutto quanto essa
rappresentava per i suoi popoli e per molti popoli nel mondo, per
l'ulteriore sviluppo creativo delsocialismo auto-gestionale, per la
politica ispirata alla pace nel mondo e a rapporti internazionali
basati sull'eguaglianza.
Perchè le nostre valutazioni siano più
esaurienti, dobbiamo accennare al comportamento dei comunisti agli
inizi e durante la crisi jugoslava. Con la distruzione della LCJ e
della RFSJ, centinaia di migliaia di comunisti e combattenti della
Guerra Popolare di Liberazione, così come milioni di patrioti
jugoslavi, sono"rimasti di stucco" e stupefatti a tal punto da non
potersi più riprendere fino alla fine della loro vita. La loro
esasperazione per il crollo del movimento a cui aderivano e dello Stato
che avevano amato immensamente, deriva dalla dolorosa cognizione che
nel loro movimento si erano annidati tanti separatisti, nazionalisti,
carrieristi ed altri tipi di anti-comunisti nascosti, laddove stupisce
in modo particolare lanegativa selezione dei dirigenti per gli organi
dello Stato, del Partito, dell'Esercito Popolare. Tra gli otto partiti
comunisti e dei lavoratori, ora operativi in Serbia, così come tra gli
altri partiti comunisti e dei lavoratori esistenti nei territori
jugoslavi, non si è ancora giunti ad una risposta concorde alla
questione, da tutti sentita: Per quale motivo ed in quale occasione, I
COMUNISTIsono rimasti in minoranza nel loro partito, mentre le
"KOMUNjARE" (carrieristi, separatisti, nazionalisti ed altri tipi di
anti-jugoslavi ed anti-comunisti) sono diventate preponderanti, nelle
amministrazioni statali e partitiche in particolare? Secondo alcune
opinioni questo è accaduto dagli anni Ottanta del secolo scorso, mentre
secondo altri la degenerazione risale a molto prima, ed ha compromesso
in maniera rilevante le idee comuniste nella prassi quotidiana, con
conseguenze decisive per la distruzione della RFSJ.

Il risultato dei
recenti eventi tragici nella Jugoslavia, esposto nella parte iniziale
di quest'articolo, è esemplificato dalla situazione attuale visibile in
tutte le ex-repubbliche della RFSJ. Questa situazione è direttamente
correlata con l'odierno rapporto tra le potenze a livello mondiale, che
va a favore degli Stati Uniti e dei loro alleati, che "democratizzano"
l'umanità tramite la globalizzazione, la transizione, la
privatizzazione depredante e l'impiego della forza militare. Dato tale
comportamento delle grandi potenze e dato il rapporto attuale delle
forze nel mondo, una collaborazione internazionale basata
sull'eguaglianza, così come l'applicazione rigorosa del principio
diDIRITTO e GIUSTIZIA in tutti i settori della vita e della
giurisprudenza internazionale, non sono possibili. Nel passato molto
recente e nel presente vediamo innumerevoli esempi nel mondo che
testimoniano dell'ineguaglianza, ingiustizia, violenza, terrorismo ed
"anti-terrorismo" degli Stati. Sembra che, tra tutti i guai a cui oggi
l'umanità è sottoposta, il male globale più grande sia rappresentato
dal cosiddetto terrorismo "anti-terroristico" degli Stati, messo in
atto dagli Stati Uniti e dai loro alleati più stretti. Purtroppo, come
si può notare, nel mondo odierno prevale la dominazione delcapitalismo
liberale selvaggio, con tutte le conseguenze negative per la civiltà
mondiale e gli Stati piccoli e non-sviluppati, a cui appartiene anche
il nostro paese.

Infine, bisogna porsi una domanda: qual è il modo
perconvogliare lo scontento per lo stato attuale della società,
presente nella maggior parte dei cittadini, in una forza politica
organizzata, capace di fermare lo sfacelo del paese, restituendo ai
cittadini la speranza che sia possibile la costruzione di uno Stato dal
volto sociale, corretto e prosperoso, in cui siano coltivati il lavoro
e la creatività?
Nello stato attuale delle circostanze e con la
attuale distribuzione delle forze sulla scena politica pubblica in
Serbia, in cui dominano una destra borghese e nazionalista e una pseudo-
sinistra, data l'assenza diuna vera sinistra comunista e dei
lavoratori, visto che i partiti comunisti e dei lavoratori sono esposti
alla forte demonizzazione e all'embargo mediatico totale, mentre nel
contempo non sono neanche uniti fra loro, alla domanda che è stata
posta non è possibile trovare una risposta incoraggiante. Un incremento
rilevante di influenza dei comunisti nella vita sociale della Serbia è
realizzabile solo con lo sforzo congiunto dei partiti comunisti e dei
lavoratori, in modo che la disunione attuale, prevalentemente fondata
su valutazioni diverse in merito ai cruciali eventi del passato e al
ruolo di personaggi di spicco in tali eventi, sia superata. Invece di
dibattere sul passato, con le forze unite bisogna volgersiai temi
sociali del momento e agli impegni dei comunisti a riguardo. Allo scopo
di raggiungere questo obiettivo, il primo passo dovrà essere la
creazione di unaPIATTAFORMA IDEOLOGICA UNITARIA, in cui si dia la
precedenza all'armonizzazione dei temi politici aperti. Raggiungendo
tale accordo, ai partiti comunisti e dei lavoratori si aprirà la via
all'unificazione in un partito unico. I compiti principali del partito
unito dovrebbero essere: il lavoro di massa, innanzitutto con i
giovani, il potenziamento della capacità d'azione, l'abbattimento del
blocco mediatico a cui i comunisti sono esposti da molti anni,
l'entrata nella scena politica pubblica, e, come minimo, il
raggiungimento del primo obiettivo: la conquista di un ruolo influente
nella società.
Se ancora perdurerà lo stato di disunione dei partiti
comunisti e dei lavoratori, in cui "i ruscellini comunisti" corrono
ciascuno in una propria direzione, i processi sociali negativi in
Serbia proseguiranno e continuerà ad essere promosso un sistema di
valori morali e sociali basato sull'anti-comunismo e sull'ideologia del
capitalismo liberale selvaggio.

Belgrado, 2 Agosto 2008

La Presidenza
del Comitato Centrale Comunisti di Serbia (CK KS)


=== 2 ===

http:
//www.cnj.it/POLITICA/nkpj_skoj.htm#rk08

HAŠKI TRIBUNAL-INSTRUMENT
ZAPADNE HEGEMONIJE

Da bi sa sebe skinule odgovornost zbog razbijanja
Socijalističke Federativne Republike Jugoslavije zapadne
imperijalističke zemlje osnovale su HaŠki tribunal - instrument zapadne
hegemonije. Pored toga što je zadatak tog suda da amnestira od
odgovornosti najveće ratne zločince - zapadne imperijaliste, njegova
namena je i kažnjavanje svih onih pojedinaca sa prostora bivše SFRJ
koji su se aktivno suprotstavljali imperijalizmu i razbijanju
Jugoslavije. Stoga Savez komunističke omladine Jugoslavije (SKOJ)
smatra da imperijalistički Haški tribunal treba ukinuti.

Tribunal u
Hagu postoji na osnovu Rezolucije Saveta bezbednosti OUN broj 827.
Osnovanost te rezolucije i samim tim legitimnost Tribunala mogu se
osporiti. Iako se hvali da je instrument "međunarodnog prava" Tribunal
svoje postojanje ne duguje pravu, već običnom dekretu. Međunarodni
tribunal u Hagu nije osnovan nekim zakonom već odlukom Saveta
bezbednosti UN, organa koji nema nikakvu zakonodavnu vlast. Osnivanjem
Tribunala u Hagu nedvosmisleno je prekršeno i pogaženo međunarodno
pravo.

Tribunal u Hagu treba da pokaže kako će proći svako ko se
suprotstavi NATO ekspanziji i uništi svaku ideju o anti-
imperijalističkom otporu.

SKOJ sa gnušanjem osuđuje sve ratne zločine
počinjene u ratovima na teritoriji bivše SFRJ ali kategorički smatra da
za zločine ne mogu da sude najveći ratni zločinci - zapadni
imperijalisti kojima prvo treba suditi za izazivanje bratoubilačkog
rata i razbijanje SFRJ.

4. avgust 2008. god.
Sekretarijat SKOJ-a

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IL TRIBUNALE DELL' AJA – STRUMENTO DELL'EGEMONIA OCCIDENTALE

Per
sbarazzarsi dalle responsabilità dopo aver distrutto la Repubblica
Federativa Socialista di Jugoslavia, gli Stati imperialisti occidentali
hanno costituito il Tribunale dell'Aja – strumento dell'egemonia
occidentale. Oltre al compito di assolvere i più grandi criminali – gli
imperialisti occidentali - dalle loro responsabilità, esso trova la sua
applicazione nel condannare tutte quelle persone dei territori della ex-
RFSJ, che hanno svolto un ruolo attivo nella opposizione
all'imperialismo ed allo smantellamento della Jugoslavia. Per questo
motivo, la Lega della Gioventù Comunista di Jugoslavia (SKOJ) è del
parere che il Tribunale imperialista dell'Aja debba essere abolito.

Il
Tribunale dell'Aja basa la propria esistenza sulla Risoluzione numero
827 del Consiglio di Sicurezza ONU. La fondatezza di questa risoluzione
e la leggitimità del Tribunale possono essere contestati. Sebbene si
vanti si essere strumento del "diritto internazionale", il Tribunale
piuttosto che al diritto deve la propria esistenza all'emanazione di un
decreto. Il Tribunale Internazionale dell'Aja non è stato costituito in
base a una legge, ma con una Risoluzione del Consiglio di Sicurezza
dell'ONU, organo che non possiede alcun potere legislativo. Con la
costituzione del Tribunale dell'Aja, il diritto internazionale è stato
indubbiamente violato e calpestato.

Il Tribunale dell'Aja ha il
compito di dimostrare a tutti che se la passeranno male se dovessero
opporsi all'espansione della NATO, e di distruggere qualunque pensiero
sulla organizzazione di una resistenza anti-imperialista.

La SKOJ con
indignazione condanna tutti i crimini di guerra commessi nelle guerre
sui territori della ex-RFSJ, però ritiene con convinzione che i più
grandi criminali di guerra – gli imperialisti occidentali – non possono
prendere parte a processi giuridici, perchè sono loro i primi che
debbano essere processati per aver provocato la guerra fratricida e per
la distruzione della RFSJ.

4 Agosto, 2008
La Segreteria della SKOJ -
Lega della Gioventù Comunista della Jugoslavia



(Estratti delle interviste a Karadzic, tratti dal testo originale - in lingua italiana - di Jean Toschi Marazzani Visconti IL CORRIDOIO Viaggio nella Jugoslavia in guerra, sono riprodotti alla pagina https://www.cnj.it/documentazione/karadzic.htm su gentile concessione dell'Autrice)

Extraits du livre Le Corridor par Jean Toschi Marazzani Visconti

 

Chapitre 5: Pale

 

(...) L'ouverture des hostilités entre Serbes orthodoxes et musulmans, en avril 1992, avait été précédée d'une série de provocations réciproques, dont celle qui avait eu pour prétexte le mariage entre une musulmane et un Serbe, le 1er mars - le père du marié avait été tué par une bande de musulmans. Les provocations avaient culminé avec l'attaque de la caserne de l'armée fédérale de Novi Sarajevo, le 7 avril suivant. (...)

En mai 1993, j'interviewai pour la première fois Radovan Karadzic, la veille d'un rendez-vous crucial avec le Parlement de la petite république. Il s'agissait pour lui de faire accepter le plan de division Vance-Owen, qu'il avait signé sous la pression internationale, sous celle du président fédéral yougoslave, Dobrica Cosic, et du président de la Serbie, Slobodan Milosevic au cours d'une réunion qu'ils avaient eue à Athènes. La rencontre, organisée en terrain  neutre par le gouvernement grec, avait eu pour but de convaincre Karadzic de souscrire au plan pour éviter une intervention armée, et dans l'espoir d'obtenir un blocage des nouvelles sanctions. Naturellement, le projet de diviser la Bosnie en dix provinces, avec des corridors de jonction sous contrôle des casques bleus, était considéré comme injuste par les Serbes, puisqu'ils avaient conquis 70% du territoire. Sous le poids des menaces internationales, Karadzic avait cependant dû signer l'accord, s'en remettant, pour la décision finale, au Parlement de la République Srpska et à un éventuel référendum populaire.
Le choix de Karadzic avait déchaîné la colère des groupes les plus extrémistes du Parti Radical de Seselj, qui avaient proféré de graves menaces à son encontre. La réunion parlementaire allait se tenir le mercredi 5 mai à Bijeljina, avec la participation du président fédéral de la Yougoslavie et des deux présidents de la Serbie et du Monténégro, outre celle du premier ministre grec Costantin Mitsotakis, promoteur de l'action pacificatrice.

Cette interview, la voici ( Interview pubbliée sur Il Manifesto, mercredi 5 mai 1993) :

 

Q.     « Aujourd'hui, le parlement serbo-bosniaque devra se prononcer sur l'acceptation ou non du plan de paix que vous avez signé dimanche dernier. Y a-t-il  des chances qu'il soit approuvé ?

R.      Il y en a 50%. Mais j'espère, pour le bien du peuple serbe, que la réponse sera positive, pour sortir de l'étau des sanctions, qui rendent la vie des civils impossible.

Q.     Pourquoi avez-vous accepté de signer le plan Vance-Owen à Athènes ?

R.      J'y ai été contraint par l'énorme pression internationale, et par la perspective d'atteindre, après la guerre, des objectifs très importants pour nous. Quoi qu'il en soit, le plan de paix n'a pas été signé. J'y ai donné mon aprobation sous condition : j'ai exigé qu'une clause y soit insérée, précisant que ma signature doit être avalisée par notre Parlement.

Q.     Malgré la signature du cessez-le-feu et l'accord d'Athènes, les Serbes bombardent encore Sarajevo et d'autres villes de la Bosnie. Pourquoi ?

R.      Les Serbes se défendent s'ils sont attaqués. Depuis le 18 décembre 1992, nous avons déclaré notre volonté de paix. Nous ne sommes donc plus en guerre. Nous répondons seulement si nous sommes agressés. Ce ne sont pas les Serbes qui bombardent Sarajevo, ce sont les musulmans. Ils le font toujours, pendant qu'il y a des conférences. C'est une de leurs habitudes que de bombarder leurs propres zones et de prétendre que ce sont les Serbes qui le font. Il s'agit d'une opération médiatique classique.

Q.     Est-il vrai que les Serbes ont l'intention d'occuper toute la Bosnie orientale ?

R.      Les Serbes ne veulent que leurs territoires. Ceux dans lesquels ils sont en majorité.

Q.     Si le Parlement serbo-bosniaque refuse l'accord et que les Etats-Unis interviennent militairement, que comptez-vous faire ?

R.      Il est probable que, si le Parlement refuse l'accord, nous serons bombardés. Des milliers de civils, femmes et enfants serbes mourront. Je pense que, si nous sommes attaqués, nous aurons le droit de nous défendre. Alors, nous ne serons plus les agresseurs, mais les agressés. Même si nous sommes forcés de nous battre pour nos droits. C'est ce que la communauté internationale a toujours refusé de comprendre.

Q.     Comment jugez-vous la position de Belgrade, qui a exercé sur vous une forte pression pour vous faire accepter le plan Vance-Owen ? Et quelle influence a-t-elle eu sur votre décision ?

R.      Une très forte. C'est compréhensible. Les Serbes de la Fédération Yougoslave souffrent durement à cause de l'embargo et de la guerre en Bosnie. Ils en sont arrivés à la catastrophe économique. Ils désirent la paix pour mettre fin à cette situation impossible.

Q.     Y a-t-il quelque fondement, dans les bruits qui courent sur l'éclatement possible d'une guerre civile entre les Serbes yougoslaves et bosniaques ?

R.      Je ne le crois pas. Ils nous ont toujours soutenus. Si nous signons, ce sera pour eux un grand soulagement. Mais si le plan n'est pas accepté, ce sera un désastre terrible pour tout le monde.

Q.     Est-il possible qu'une des raisons qui ont poussé Belgrade à faire pression sur vous, soit qu'ils prévoient devoir affronter sous peu un problème au Kosovo ?

R.      Effectivement. Ils ont des problèmes au Kosovo. Et nous savons qu'aussitôt que la paix sera faite, les Etats-Unis commenceront à créer des ennuis au Kosovo . Nous coopérons avec Belgrade. Ils voudraient que nous signions la paix, mais personne ne peut forcer notre Parlement à le faire.

Q.     Nous avons entendu dire qu'il court des bruits à propos d'un complot destiné à vous assassiner. Cela correspond-il à une réalité ?

R.      Beaucoup de radicaux sont hostiles à ma décision d'accepter le plan Vance-Owen. Le nombre des extrémistes est en augmentation. Pour eux, nous sommes trop modérés. Les Serbes ne réussissent pas à comprendre pourquoi tout le monde nous condamne, uniquement parce que nous voulons vivre pacifiquement, en toute indépendance, sur nos territoires, et parce que nous voulons éviter que se répètent les massacres dont nous avons été victimes dans le passé. »

 
 
(...) J'avais interviewé le président serbo-bosniaque, le 1er février 1994, au siège du gouvernement de la République Srpska, une villa du quartier élégant de Dedinje, sur les collines de Belgrade. Radovan Karadzic venait juste de terminer de manger avec Yasuchi Akashi, le représentant du Secrétaire Général de l'ONU, et avec le général britannique Michael Rose, nouveau chef des forces UNPROFOR en Bosnie. La rencontre avait été positive, comme me l'avaient confirmé, en sortant de la salle à manger, le Japonais Akashi et le général. Des accords avaient été conclus sur tous les points discutés. But de la rencontre : la réouverture de l'aéroport de Tuzla et l'entrée du nouveau contingent hollandais à Srebrenica, en remplacement du contingent canadien.

Voici le texte de l'interview ( Il Manifesto, jeudi 3 février 1994) :


Q.           « Quels sont les résultats de la rencontre ?

R.      Nous sommes tombés d'accord sur le remplacement des troupes canadiennes. Nous préférerions que les nouvelles troupes soient également canadiennes, mais les hollandaises feront aussi l'affaire. Il y aura approximativement le même nombre d'hommes et le même type d'armes. Nous étions très préoccupés du fait que, si un jour, les soldats de l'ONU se retiraient, les musulmans puissent prendre possession de leurs armes lourdes et les utiliser contre nous. Mais espérons que cela n'arrivera pas. Le problème de Srebrenica est résolu. Pour ce qui concerne l'aéroport de Tuzla, nous devons envisager toutes les possibilités. Nous avons offert à Madame Ogata de doubler ou de tripler les convois humanitaires. Nous avons peur que l'aéroport soit  utilisé de manière non appropriée par l'OTAN et par les musulmans. Si nous recevons l'assurance que cela n'arrivera pas, et qu'un contrôle pourra être exercé par les force serbes et par celles de l'ONU, nous pourrons prendre en considération la proposition.

Q. Vous avez proclamé la mobilisation générale des hommes et des femmes. Vous avez l'intention de la maintenir ?

R.      C'est une nouvelle mesure de sûreté. A de nombreuses reprises, nous avons été surpris par le comportement américain. Et d'abord, quand ils ont reconnu la dissolution de la Yougoslavie et soutenu la sécession unilatérale de la Slovénie et de la Croatie. Nous avions espéré que les Etats-Unis répondraient négativement aux sécessions unilatérales. Aujourd'hui, Washington aide les musulmans à continuer la guerre, en leur promettant que les résultats en seront reconnus. Dans ce cas, les Serbes, eux aussi, ont droit aux mêmes reconnaissances. Nous avons le dos au mur. Il ne nous reste d'autre alternative que celle de nous défendre.

Q.     Pourquoi, chaque fois que la paix semble proche, se produit-il quelque chose qui la fait reculer ?

R.      Il y a quelqu'un qui conseille aux musulmans de ne pas accepter. La même chose s'est produite pendant la conférence de Lisbonne, avant la guerre (1991). Nous nous étions mis d'accord sur une confédération en Bosnie-Herzégovine. Les trois parties concernées avaient accepté. Puis, l'ambassadeur américain Zimmerman a conseillé à Alija Izetbegovic de refuser. Voilà pourquoi nous avons eu la guerre. Deux ans d'un conflit tragique, pour nous retrouver dans la même situation : trois républiques. Tout pouvait être réglé sans guerre, mais on a conseillé aux musulmans de refuser la solution politique. L'ambassadeur Zimmerman en porte toute la responsabilité. De même que Messieurs Genscher et Mock, et d'autres hommes politiques européens.

Q.     Quelles sont vos prévisions en ce qui concerne le processus de paix ?

R.      Il y aura un temps d'arrêt, parce que les musulmans sont en train de chercher à regagner du terrain par les armes. Je crois qu'ils vont épuiser leurs forces. Quand on en sera là, quelqu'un dira «basta» et alors, nous recommencerons à négocier. Si la communauté internationale levait les sanctions à l'encontre de la Serbie, les musulmans signeraient tout de suite. Comme cela ne se produit pas, cela les incite à continuer. On dirait que quelqu'un pousse les musulmans vers l'autoanéantissement. Les nations européennes  n'ont pas envie de voir naître un état musulman au coeur de l'Europe. Je pense que certains pays voudraient voir les Serbes et les Croates défaire les musulmans et partager la Bosnie en deux : une partie serbe et une partie croate, où les musulmans pourraient vivre en autonomie. Ainsi, il n'y aurait pas d'état islamique en Europe.

Q.     N'est-ce pas contradictoire ?

R.      Ceux qui invitent les musulmans à faire la guerre ne sont pas leurs amis. Encourager les musulmans à la lutte à outrance est injuste à leur égard. Je crois que les meilleurs amis des musulmans sont encore les Serbes, qui leur ont offert 3,3% de territoire en plus. Les pousser à se battre pour un territoire que nous leur avons déjà concédé est absurde ! Maintenant, bien sûr, nous allons retirer toute concession. Les résultats sur le terrain doivent être reconnus aux musulmans et aux Serbes.  »


Deux jours après la publication de ce dialogue, un projectile de mortier éclatait sur le marché de la rue Markalé à Sarajevo, tuant 28 personnes et en blessant des dizaines.  Les Serbes furent accusé de l’atroce  carnage.

Yossef Bodansky écrit dans  le premier chapitre de Offensive in the Balkans, à page 54 :
«... Depuis l'été 1992, il y avait eu des provocations marquées, mises en oeuvre par les forces musulmanes, pour susciter une plus forte intervention militaire occidentale contre les Serbes, et, accessoirement, des interventions mineures contre les Croates. Initialement, ces provocations étaient surtout constituées d'attaques en apparence absurdes contre les populations musulmanes elles-mêmes, mais elles prirent bien vite pour cible des objectifs occidentaux et de l'ONU. Une enquête des Nations unies arriva à la conclusion que divers événements-clé, qui avaient galvanisé l'opinion publique et incité les occidentaux à intensifier leur action en Bosnie-Herzégovine, avaient, en fait, été mis en scène par les musulmans bosniaques eux-mêmes, pour dramatiser la condition de Sarajevo. Les enquêtes des Nations unies et celles d'autres experts militaires ont mis au nombre de ces actions auto-infligées, celle de la bombe dans la file de la boulangerie (27 mai 1992), la fusillade lors de la visite de Douglas Hurd (17 juillet 1992), les tirs de snipers dans le cimetière (4 août 1992), l'assassinat du présentateur et producteur de télévision américain de la chaîne ABC, David Kaplan (13 août 1992), et la destruction en vol d'un avion de transport de l'Aviation Italienne G.222, sur le point d'atterrir à Sarajevo (3 septembre 1992). Dans tous ces cas, les forces serbes étaient hors de portée, et les armes utilisées contre les victimes n'étaient pas celles dénoncées par les autorités musulmano-bosniaques et, avec insistance, par les médias occidentaux.»
Depuis 1992, on avait constaté beaucoup d'autres incidents d'importance moins grande, toujours aux dépens des citoyens de Sarajevo. La bombe au marché était le deuxième massacre important.
Le gouvernement de la République Srpska de Bosnie avait violemment nié toute responsabilité. Les résultats des premières vérifications opérées sur les lieux par des experts de l'UNPROFOR n'étaient pas communiqués et restaient nébuleux. Les sources internationales bien informées soutenaient que, d'après les relevés, il était impossible que le coup de mortier eût été tiré des lignes serbes, mais qu'il avait dû l'être, plutôt, du toit d'une des maisons voisines. Cependant, les médias occidentaux s'étaient déchaînés, accusant les Serbes de l'atroce carnage.

En octobre 1994, Pale semblait, comme jamais, un amène petit pays de montagne, au milieu des collines recouvertes de toutes les couleurs de l'automne. Le bourdonnement saccadé de la circulation des voitures et des transports militaires était drastiquement réduit par le rationnement sévère de l'essence, dû aux doubles sanctions, les internationales et les yougoslaves. L'eau et l'électricité manquaient plusieurs heures par jour. La petite capitale semblait immobilisée, presque suspendue dans une autre dimension du temps. Les communications étaient interrompues. Peu d'informations écrites. De rares contacts avec les protagonistes de la politique internationale, qui paraissaient ignorer Pale en faveur de Belgrade.

Ceci est la transcription de ma conversation avec Radovan Karadzic, à l'hôtel Panorama :


Q.     « Monsieur le Président, au-delà des dures sanctions actuelles entre la Serbie et la République Srpska, comment expliquez-vous le silence médiatique ?

R.      L'absence de nouvelles nous concernant veut faire croire qu'en réalité nous n'existons pas. C'est ce qu'ils veulent obtenir. Le silence médiatique veut empêcher que le public sympathise avec nous et sache ce qui se passe. Ils espèrent notre effondrement. Ceci est humiliant, inacceptable. Malheureusement, la Yougoslavie a pratiqué cette coupure dans les télécommunications, en allant plus loin même que les recommandations du Conseil de Sécurité.  Elle a fait beaucoup plus que ce qui lui était demandé. Il lui avait été demandé de ne pas nous soutenir politiquement et militairement. La Yougoslavie nous a imposé des sanctions, non seulement aux niveaux militaire et politique, mais aussi économique et télématique. Ils veulent obscurcir cette zone pour finit le «travail» dans l'intérêt des Etats-Unis; certainement pas dans l'intérêt de l'Europe. Ce serait un grand désastre pour celle-ci, si les musulmans atteignaient leur but. Avec l'occultation médiatique, les Serbes de Bosnie sont laissés seuls dans cette situation dramatique.

Q.     Quand vous dites «ils», de qui parlez-vous ?

R.      De la Communauté Européenne. Plus précisément de la partie qui est sous influence américaine. Malheureusement, même la Yougoslavie n'a pas l'air de savoir ce qui est en train d'arriver ici. La communauté internationale et l'ONU subissent le diktat des Etats-Unis. Exactement comme la Société des Nations dans les années précédant la deuxième guerre mondiale. Alors, la domination totale était celle de l'Allemagne; aujourd'hui, c'est celle des Etats-Unis. On rencontre beaucoup d'autres analogies. Les Etats-Unis soutiennent l'Allemagne pour qu'elle devienne dominante en Europe, de façon que les pays qui en seraient gênés fassent appel à l'aide américaine. Ils cherchent, de la même manière, à réinstaurer les vieux pouvoirs, Allemagne et Turquie, pour bloquer la Russie et toute influence future qu'elle pourrait exercer sur l'Europe méridionale. C'est une grande partie qui se joue, raison pour laquelle ils essaient de nous annihiler et d'obtenir ce qu'ils veulent. C'est le nouvel ordre mondial : l'Amérique et très peu de nations auront le pouvoir; les autres seront des pays de seconde classe, parmi ceux-ci, l'Italie, la France et aussi l'Angleterre.

Q.     L'hiver approche, vous êtes sous le coup de sanctions sévères; vos propositions territoriales ne trouvent pas d'écho; comment pensez-vous résoudre les problèmes du futur proche ?

R.      Nous avons informé notre peuple que, si notre plan est refusé, il nous faudra subir de graves conséquences et souffrir beaucoup pour survivre à la période qui s'annonce. Nous sommes à court de tout. C'est pour cette raison que nous avons décidé le référendum, pour permettre un choix libre, et nous avons invité tous les médias à venir constater qu'il n'y avait de notre part aucune manipulation. Le peuple a décidé de souffrir mais d'atteindre un objectif réaliste qui ne soit pas en contradiction avec la communauté internationale. Aujourd'hui, nous avons un pays soudé. Nous sommes disposés à accepter une proposition qui nous garantisse un territoire inférieur à 64% de notre territoire réel, au nom de la paix, mais nous sommes forcés de refuser le découpage que l'on veut nous imposer, qui correspond à 20% des territoires sous notre contrôle. Ils nous ont offert des zones montagneuses et un territoire divisé en trois. Le plan propose de couper c'est-à-dire d'isoler la ville de Brcko, le long du «corridor». Dans ce cas, les gens évacueraient la zone et n'investiraient pas dans l'avenir. Ils ne voudraient jamais dépendre d'un pont de passage à la merci des musulmans. C'est exactement le but que poursuit Alija Izetbegovic : que deux millions de Serbes se réfugient en Serbie. Ces deux millions d'habitants en plus créeraient de graves problèmes sociaux, par suite de la différence d'habitudes, de mentalité, et par suite de la rage et de la pauvreté où ils seraient réduits. Ce serait une catastrophe pour la Serbie. Il est stupéfiant que les dirigeants yougoslaves ne se rendent pas compte que c'est la Yougoslavie qui veut se détruire, et non pas la République Srpska ou la Krajina.      
                                                                                                                                                                                                                         
Q.     Comment pensez-vous résoudre ce problème ?

R.      Nous devons nous battre pour notre liberté. Pendant les quatre derniers mois, nous avons subi de nombreuses attaques de la part des forces musulmanes. Elles ont eu quelques succès. Pas vraiment graves. Nous pouvons soutenir l'affrontement. Ils devraient cependant comprendre l'utilité d'avancer des propositions acceptables, quelque chose qui permette à notre Etat d'être en sécurité et reconnu en dehors de la Fédération croato-musulmane. La Bosnie doit être transformée en deux états indépendants. Nous acceptons la religion et le système musulman. Nous demandons la réciprocité.

Q. Comment comptez-vous résoudre le problème de la ville de Sarajevo ?

R.      Le problème doit être résolu. Les gens ne peuvent pas vivre de cette façon. Si les musulmans désirent avoir une capitale et de bonnes connexions entre la ville et la Bosnie centrale, ils doivent en accepter la division en deux. Nous ne désirons pas prendre Sarajevo, sinon il y a beau temps que nous l'aurions conquise. Nous serons très généreux en matière de partition, à condition qu'ils corrigent leurs cartes. Nous sommes disposés à céder de grandes parties de la ville, en échange de Brcko, Sanski Most, Posavina. Sarajevo pourra se transformer en deux capitales autonomes, qui survivront avec ou sans collaboration réciproque. Après quelque temps, je suis certain qu'il s'instaurera une coopération aux niveaux économique et sanitaire. Nous ne renoncerons jamais à notre part de Sarajevo. Elle deviendra le centre commercial, universitaire et administratif, pour toute une vaste région serbe de la Bosnie Orientale.

Q.     En combien de temps ce processus pourrait-il s'accomplir ?

R.      Si les Etats-Unis étaient favorables à la paix, il pourrait se réaliser en quelques semaines. Nous avons été souvent très près d'aboutir à une solution, mais, à chaque fois, quelqu'un a conseillé aux musulmans d'interrompre les négociations. Tout dépend de l'Amérique. J'espère qu'après les élections, le 8 novembre, les Américains seront prêts à considérer la situation de manière plus réaliste. Il n'y avait pas besoin d'une guerre pour diviser la Bosnie. Nous étions divisés dès avant la guerre. Les musulmans ont voulu un conflit pour unifier le pays. Mais la majorité chrétienne, les Serbes et les Croates, ne voulait pas être contrainte de vivre dans le système politique et juridique des musulmans pour la seule raison que ceux-ci sont les plus nombreux. Les musulmans ont encore l'intention de tenir le pouvoir politique comme ils l'ont fait depuis cent ans. La Bosnie pouvait subsister seule, à l'intérieur de la Fédération yougoslave.

Q.     Au cours d'une interview, il y a quelques mois, le président Milan Martic avait affirmé que si la Croatie avait attaqué la Krajina, le jour même il y aurait eu fusion avec la République Srpska. Est-ce toujours du domaine du possible ?

R. Cela pourrait se produire. Ce serait absolument naturel. Nous sommes le même peuple, avec la même religion, la même langue et la même culture. L'unification ne se fait pas, pour éviter que la Croatie attaque la Krajina. Car elle justifierait son agression par la nécessité d'empêcher l'unification. De fait, celle-ci existe déjà à travers des systèmes communs d'éducation, d'information et de communication, même si nous ne sommes pas encore un seul Etat. Mais si la Croatie attaquait la Krajina, ce serait une raison valable pour créer une république unique.

Q.     La Russie vous a décerné le prix Michail Sholohov de poésie. Est-ce un présage de paix ?

R.      Je ne sais pas si j'ai obtenu le prix pour mes mérites ou par influences politiques. Mais moi et mes amis, ici en Bosnie, sommes heureux de savoir qu'en Russie quelqu'un se préoccupe de la poésie serbe. Il existe beaucoup de poésie en République Srpska. Elle ne peut pas aider à gagner la guerre, mais sans aucun doute à trouver la paix de l'âme. »


Quelques heures après cette interview, Radovan Karadzic allait de nouveau proclamer la mobilisation générale. En uniforme militaire, il allait se rendre à Bosanski Petrovac où seraient concentrés des milliers de Serbes, qui auraient fui de l'enclave musulmane de Bihac. (...)

 

Chapitre 6Après Dayton


Je retournai en Bosnie le 27 mai 1996. J'arrivai à Pale vers les 11h30 du soir. Radovan Karadzic m'attendait dans la nouvelle Présidence située en ville. J'entrais pour la première fois dans ce lieu. Un palais blanc, simple. Le bureau de Karadzic était vaste, sobrement meublé. Aux murs : les drapeaux aux aigles, ainsi que tous les symboles et icônes orthodoxes. Au fil des années, ces objets avaient progressivement augmenté par rapport à la première fois où je l'avais rencontré et où son bureau en était totalement privé. Cela pouvait signifier un retour à la religion et au mysticisme, ou simplement une concession à la raison d'Etat. Le Président avait l'air psychologiquement fatigué. Il devait avoir perdu vingt kilos. Il était vêtu de beige clair et paraissait encore plus grand qu'auparavant. Désormais, il était officiellement un criminel de guerre poursuivi. Pendant toute notre conversation, le ton de sa voix oscilla entre fatigue, désillusion et douleur.


Q.     « Après les accords de Dayton, comment considérez-vous la situation actuelle ?

R.      La situation n'est pas bonne, parce que les musulmans n'adoptent pas une attitude claire par rapport à la paix. Leurs leaders continuent à déclarer publiquement qu'ils prendront la Bosnie tout entière. La lutte n'est pas finie. Le long des frontières entre leur territoire et celui de la République Srpska, les musulmans tentent d'entrer dans nos petites villes pour terroriser les populations. Ils le font pour que la peur et le malaise les poussent à partir. Il faudrait que quelqu'un les arrête. C'est écrit dans le Coran : «Pas de paix !»

Q.     Les forces de l'OTAN n'interviennent pas pour vous protéger ?

R.      Non. Il y en a qui veulent que la tension perdure dans cette région. Je prévois la présence de l'OTAN pendant très longtemps. Nous sommes les victimes de ce genre de jeu politique. La guerre dans l'ex-Yougoslavie n'a pas éclaté contre la volonté de la communauté internationale, mais par sa volonté. Ceci est très grave pour nous. Quoi qu'il en soit, je peux dire que, pendant les quatre à cinq ans de guerre, les généraux des Nations Unies arrivaient ici avec de lourds préjugés à notre encontre, mais qu'après un mois, ils se rendaient compte de qui était et faisait quoi dans cette guerre. Beaucoup d'entre eux ont été remplacés parce qu'ils avaient acquis trop d'informations et devenaient favorables à notre cause.

Q.     Pensez-vous qu'il y ait un lien entre ce qui se passe ici et les événements qui se déroulent en Israël ?

R.      Il y a toujours des liens. Je comprends ce qui se passe en Israël aujourd'hui. Je ne justifie pas les bombardements de civils au Liban, mais n'importe quel général des Nations Unies peut raconter ce qui nous a été fait par les musulmans à Sarajevo, y compris le général Rose, pourtant toujours très prudent et favorable à la Fédération croato-musulmane qui a répondu publiquement à quelqu'un se plaignant de ce que les Serbes tiraient sur la ville : «Pourquoi, Messieurs, placez-vous votre artillerie à côté d'objectifs civils, faites-vous en sorte de provoquer des représailles Serbes, et déplacez-vous, ensuite, vos positions ?» C'est une habitude des musulmans de Sarajevo de mettre leur artillerie sur des camions, de tirer et de partir. Quand ils nous font des victimes, nous sommes obligés de riposter. A ce moment-là, ils déplacent les camions avec leurs batteries, et appellent les équipes de télévision pour montrer ce qu'ont fait les méchants Serbes. C'est également ce qui se passe dans le sud du Liban avec  les Hezbollah. Même politique, mêmes trucs, même logique, même morale.

Q.     D'après vous, ils sont présent aussi en Bosnie-Herzégovine ?

R.      Ils sont ici. Plusieurs centaines.

Q.     La zone de Banja Luka est sous l'aile du commandement britannique de l'OTAN. Il existe, dans la région, une zone musulmane qui devrait être également sous son contrôle et qui, pourtant, est sous contrôle des Etats-Unis. Connaît-on la raison pour laquelle toutes les zones musulmanes sont tenues par les Etats-Unis ? Comme s'ils exécutaient un plan spécial ?

R.      Je ne comprends pas les Américains. Ils se comportent d'une façon totalement irrationnelle. Les USA ont ruiné leurs propres intérêts en Europe et dans les Balkans, pas tant à cause de cette guerre que pour leur aide à l'Allemagne et à l'Iran en Bosnie, aide qui, qu'on le veuille ou non, affaiblit l'Europe. Locus minoris resistentiae. Ils ont causé un dommage chronique en armant l'armée musulmane et en soutenant la communauté musulmane ici. Très vite, l'Allemagne prendra le pouvoir, et les Américains se rendront compte qu'ils ont perdu de bons amis, les Serbes, leurs alliés dans deux guerres mondiales. En ce moment, la Russie est en train de faire la paix avec la Chine. Très bientôt, l'Allemagne nouera d'excellentes relations avec la Russie.

Q.     Selon la logique territoriale, la ville de Tuzla aurait également dû être protégée par les Anglais. Que font les Américains à Tuzla ?

R.      Je ne crois pas qu'ils soient en train de fomenter la paix dans cette région. Ils nous empêchent de contrôler le passage de terroristes. Nous avons néanmoins réussi à en capturer quelques-uns. Il n'y a aucun doute sur leur appartenance, parce qu'ils l'ont reconnue. Ils nous empêchent de contrôler les marchandises en transit, pour découvrir l'introduction d'armes. Ceci ne signifie pas que nous n'appliquions pas des contrôles sévères. Nous devons aussi faire attention aux «vaches folles»; il existe un danger réel qu'il en soit introduit dans nos troupeaux. Personne n'a la permission de transporter des marchandises sans payer un octroi aux musulmans. Nous demandons par conséquent de pouvoir en faire autant. La communauté internationale et les soldats de l'OTAN nous empêchent de nous protéger. Ils se comportent comme une force d'occupation. Nous cherchons à développer chez nos gens, un sentiment amical et de collaboration envers ces jeunes soldats qui ne sont pas responsables d'une telle politique, mais c'est de plus en plus difficile. Ils empêchent également ma police de faire son travail normal. Nos finances souffrent. Je crains une augmentation du terrorisme, une augmentation des maladies, parce que nous ne pouvons pas contrôler ce qui entre sur notre territoire. A présent, les musulmans réclament le droit de visiter les cimetières dans nos zones. Cette revendication est anormale, parce qu'il ne fait pas partie des traditions islamiques de se rendre dans les cimetières. C'est juste une autre manière de créer de la tension. Ils font faire des manoeuvres à leur armée, et je ne crois pas que cela présage rien de bon. Ils appliquent, en fait, la politique de la pression exponentielle.

Q.     Vous attendez-vous encore à des problèmes de la part des musulmans ?

R.      Chaque jour. Ils essayeront de faire irruption dans nos villages pour y arrêter les gens.

Q.     Comment peuvent-ils arrêter les populations d'une autre nation ?

R.      Avec la protection de l'IFOR tout simplement, en usant de ce qu'on appelle «freedom of moment». Dans les accords de Dayton, il est prévu que seulement dix personnes ont le droit de recourir à cette clause. Il y a cinq mille musulmans ou soldats démobilisés qui cherchent à créer et qui créent des incidents.

Q.     Où vous attendez-vous à ce qu'ils opèrent dans ce sens ?

R.      A Prijedor, Doboj, Tuzla, Brcko. Ils ont essayé dans beaucoup de petites villes. Nous savons tout. Nous avons des gens à nous parmi les musulmans. Ils ne seront jamais enclins à la paix !

Q.     D'après ce que vous me dites, il semblerait que la situation ne se soit pas stabilisée.

R.      Je crois que l'OTAN est ici pour très longtemps. Dans le cadre du Parlement avec la Fédération croato-musulmane, notre Assemblée n'a approuvé en aucune façon l'installation de l'OTAN, sinon pour une période temporaire, excepté le long des lignes de démarcation. Maintenant, ils veulent déplacer leur quartier général de Gornji Vakuf à Banja Luka, qui est une ville universitaire. Des soldats étrangers, dans une ville de cette espèce, au milieu des jeunes, c'est inconcevable. Nous avons fait savoir que cela allait à l'encontre de notre volonté. S'ils viennent, les Serbes ne feront rien contre eux naturellement, mais cela provoquera un grave mécontentement. Ils sont réellement une force d'occupation. S'il s'agissait d'un contingent anglais et non de l'OTAN, peut-être les considérerions-nous différemment, parce que nous avons de l'estime pour la Grande Bretagne, c'est un pays européen, mais ceci est l'OTAN.

Q.     Laure Adler, la journaliste française, dans son livre L'année des adieux, qui parle de la dernière année du président Mitterand, rapporte à la page 162 un commentaire du Président, où celui-ci soutient : «(...) les musulmans essayent d'internationaliser le conflit, mais malheureusement, nous ne sommes pas en 1914 et nous n'avons pas un archiduc à leur offrir (...)», et il parle d'un coup de téléphone qu'il a reçu du Secrétaire Général de l'ONU, en août 1995, au cours duquel Boutros Boutros Ghali lui a dit que l'obus sur le marché de la rue Markalé était une provocation des musulmans.

R.      Oui, et ils se sont tus. Tous ! Aujourd'hui, tout le monde peut voir que la partie serbe de Sarajevo se trouve dans les zones de ceinture. Je peux vous montrer la carte ethnique de la ville. Nos «attaques» consistaient en une simple protection des faubourgs serbes qui entourent Sarajevo.

Q.     Aujourd'hui, peut-être est-il préférable qu'il n'y ait plus de Serbes autour de Sarajevo. Ils auraient utilisé toutes les excuses pour chercher à traverser vos lignes, si vous étiez restés là où vous étiez.

R.      Vous avez raison. Mais les Serbes de Sarajevo ont payé un prix très élevé. Je dois vous dire qu'initialement, j'ai été très tenté de les faire rester dans les quartiers qui étaient les leurs et d'éviter ainsi cinquante mille nouveaux réfugiés, mais, comme vous voyez, je respecte le désir de mon peuple, je n'abandonne pas mes gens.  On ne peut pas les persuader de se battre à moins qu'ils se trouvent en grand péril, et en même temps, personne ne peut les dissuader de se battre et les persuader de rester là-haut ou leur imposer de partir. Les gens simples savent ces choses-là d'instinct. Je ne suis pas un mage, ni un dictateur, j'ai des institutions démocratiques, une opinion publique, une radio et des journaux indépendants, un Parlement. Je ne puis pas faire ce que mes gens ne veulent pas que je fasse. Ils ne veulent pas rester sous la domination musulmane. Vous avez vu ce qui est arrivé en Krajina ? Vous verrez ce qui va arriver en Slavonie orientale. Même si elle ne risque pas de guerre, la population serbe l'abandonnera. Personne ne peut dire que M. Milosevic les pousse à partir. C'est la grande défaite de la nation serbe, en particulier après ce qui est arrivé en Krajina et en Slavonie occidentale.

Q.     Savez-vous ce qui arrive au Kosovo ces jours-ci ?

R.      Je n'ai pas d'informations suffisantes. On m'a dit, cependant, que huit Serbes ont été tués, et qu'on procède à des arrestations dans différentes villes.

Q.