Informazione


Dal settimanale croato "NACIONAL" , 25 marzo 2008 

Meglio la tomba che la schiavitu' 

Non e' ancora troppo tardi per la resistenza

scrive: Vedrana Rudan

(original: Bolje grob nego rob
Kada dode NATO, kad u nase luke udu njihovi brodovi, kad se iznad nasih turistickih gradova budu probijali zvucni zidovi, kad nam izdaleka pocnu stizati mladi hrvatski lesevi, kad Hrvatska bude Bushu ono sto je NDH bila Mussoliniju, tko ´ce biti kriv?

 
Quando arrivera' la NATO, quando nei nostri porti entreranno le loro navi, quando sopra alle nostre citta' turistiche si rompera' il muro del suono, quando da lontano incominceranno ad arrivare le salme dei giovani croati, quando la Croazia sara' per Bush quello che l'NHD (Stato Indipendente di Croazia 1941-1945) fu per Mussolini, di chi sara' allora la colpa?
 
 
I professori e gli studenti della facolta' di Filosofia a Zagabria con mio grande entusiasmo hanno alzato la voce contro l'inserimento della Croazia nella NATO. Siccome tra i nostri politici, i fascisti americani e i principali media croati esiste un legame segreto, la voce della ragione croata si sente appena. Percio' sentiamo dire in continuazione che in aprile, se Dio ci dara' la salute, riceveremo l'invito per entrare nella ben nota coalizione per la diffusione della democrazia. E' essenziale, decisivo sapere quello che pensano gli studenti ed i professori della facolta' di Filosofia. Ecco le ragioni per cui sono contrari all'adesione alla NATO. Non vogliono che la Croazia da pedina si appiccichi all'imperialismo delle "corporations" angloamericano. Gli USA, prepotenti globali, hanno ammazzato piu' di un milione di iracheni sin dall'inizio dell'occupazione, sostengono i terroristi in tutto il mondo, buttano giu' tutti i governi dissenzienti dei piccoli paesi del mondo, depredano finanziariamente i paesi poveri tramite il FMI e la WTO. Se entreremo nella NATO, i nostri posteri si vergogneranno nello stesso modo in cui alcuni paesi oggi si vergognano del loro passato nazista. La Croazia e' scossa dal carovita, la situazione finanziaria va peggiorando, con l'entrata nella NATO la Croazia sara' esposta ad ulteriori grandi spese aggiuntive, necessarie per adeguarsi agli standard (non sempre logici) della NATO. Si calcola che l'entrata nella NATO per alcuni anni ci costera' almeno 10 miliardi di kune (1 euro circa = 7 kune, ndt)! Gia' ora, anche se non e' nella NATO, la Croazia sostiene l'occupazione americana e lo sfruttamento dell'Afghanistan, percio' saranno li' nel 2008 circa 300 soldati croati. Per i loro salari quest'anno si spenderanno come minimo 10 milioni di euro. Ci aspettano anche altre "missioni".
 
Il governo ci inganna quando dice che con la NATO saremo piu' sicuri. La verità è tutt'altra. Dai vicini non ci viene alcuna minaccia. Però i terroristi islamici sapranno risponderci per la partecipazione dei nostri soldati alle operazioni della NATO. Se contiamo che la Croazia sarà difesa dalla NATO, ricordiamoci come è andata la difesa di Srebrenica, Vukovar... I capi della NATO hanno in programma di trasferire la maggiorparte delle basi dalla Germania occidentale nei nuovi paesi membri, perciò a Cerklja in Slovenia, vicino alla frontiera croata si sta ristrutturando l'aeroporto per accogliere gli aerei NATO, benchè alla Slovenia sia stato promesso che lì non  costruiranno basi. Vogliamo davvero queste basi della NATO vicino a Pola, Spalato, Zara o Zagabria, come vanno annunciando? Gli studenti ed i professori della Facoltà di Filosofia di Zagabria nella loro Lettera aperta spiegano che la domanda da porre non è: "Deve la Croazia entrare nella NATO?", ma piuttosto: "Cosa succederà se la Croazia non entra nella NATO?". La loro risposta è: niente. Ma saremmo più sicuri, non getteremmo milioni al vento, la nostra coscienza sarebbe più pulita; perciò essi invitano il pubblico croato ad alzare la voce contro l'entrata della Croazia nella NATO. Questo è quanto. Tutti quelli cui sta a cuore il futuro della Croazia e ai quali è sufficientemente odioso il "silenzio croato", dopo aver letto di questa iniziativa di studenti e professori contro la NATO potranno gridare con grande felicità:  alleluja! finalmente i saggi di questo paesello hanno alzato la loro voce e scritto e firmato la loro protesta. Per la felicità delle generazioni future. Non sono gli unici. Altri giovani stanno preparando la raccolta delle 450.000 firme che costringeranno questo sfacciato governo ad indire un referendum sull'entrata della Croazia nella NATO. Sono orgogliosa che nel mio paese viva gente che ragiona con la propria testa e che pensa al futuro dei nostri figli. È terribile che non gli si dia spazio nei media affinchè la loro voce arrivi anche a coloro che non navigano avventurosamente su Internet.
 
Devo ammettere, conoscendo i media che contano e soprattutto la TV croata e il nostro servile governo, cui sta ben poco a cuore il destino dei cittadini di questo paese, che la voce coraggiosa degli studenti e professori della Facoltà di Filosofia dell’Università di Zagabria non giungerà lontano. Ma ugualmente non dovremmo rinunciarci. Una volta la gente si mobilitava contro la guerra e l’ingiustizia, anche se la rivolta non veniva ripresa dalla TV, perdendo anche la propria vita. Perchè allora stiamo tutti zitti? Siamo ancora in tempo. Organizzamoci! Attiviamoci per i nostri figli, per i nostri genitori. Distribuiamo volantini nelle case. Bussiamo alle porte dei vicini. Attacchiamo manifesti nelle scuole. Usciamo sulle strade. Portiamo striscioni. Noleggiamo megafoni. Scendiamo in piazza Jelacic (ex Piazza della Repubblica a Zagabria, ndt), appropriamoci delle piazze di tutte le città e i villaggi croati. Questo è il nostro paese. Esso non appartiene ne' a Mesic (odierno presidente della Croazia, ndt) ne' a Sanader (primo ministro, ndt), ne a Seks (Ministro della giustizia, fu scoperto nel 1991 dalle autorità jugoslave mentre organizzava la guerra di secessione attraverso sporchi traffici, ndt), ne' a Jandrokovic, ne' ai criminali che vogliono costruire la base militare vicino a Dubrovnik. Non è ancora chiaro che non abbiamo più niente da perdere? Ci hanno tolto tutto, firmando il patto con l’America sequestreranno anche l’ultimo spiraglio di orgoglio ancora accesso in noi. Possiamo noi dormire sonni tranquilli soltanto perchè laggiù alcuni studenti e professori stanno strillando per noi?
 
Potrà la loro coraggiosa voce lavare la nostra coscienza quando sarà la volta di un futuro infame? Quando arriveranno nei nostri porti le navi NATO, quando le nostre città si trasformeranno nei loro bordelli e le nostre figlie in prostitute, quando sopra le nostre bellissime città turistiche si udirà il rombo della perforazione del muro del suono, quando incominceranno ad arrivare i cadaveri dei nostri giovani soldati nelle bare rivestite della bandiera americana, quando la Croazia diventerà per Bush quello che la NDH (Stato indipendente croato, nazifascista, 1941-1944, ndt) fu per Mussolini, chi sarà il colpevole? Mesic? Sanader? Qualcuno sa dire prontamente chi fu a regalare pezzi di Croazia all’Italia? Ed il suo nome è essenziale? Possiamo addossare a Pavelic tutte le colpe? Oppure, volenti o nolenti, dobbiamo riconoscere che i suoi crimini furono sostenuti dai nostri avi, i croati silenziosi, vili, dei quali oggi ci vergogniamo... La storia si ripete. E di nuovo stiamo zitti, noi miserabili, e gioiamo perchè tra qualche settimana il nostro paese sarà visitato dall'Hitler del 21.mo secolo, noto anche per una tra milioni di sue frasi geniali: “La maggiorparte delle entrate viene dall'estero”. Nel nostro caso Bush si è sbagliato: queste entrate vengono dal nostro paese. Forse siamo ancora in tempo per dire NO a questo Hitler, noi silenziosi eredi dei muti seguaci di Pavelic, noi futuri omicidi dei nostri figli.




Riceviamo e volentieri giriamo la seguente segnalazione:
---

PuntoRadio Cascina (PI) e Progetto TARGET
presentano

SOPRA LE TESTE DI BELGRADO

78 giorni di bombardamenti umanitari raccontati da chi stava sotto

trasmissione radiofonica in diretta su PuntoRadio 91.1 - 91.6 FM

dal 25/3 al 28/6/2008, dal lunedi al giovedi alle ore 15:30

autore, regia, interprete: Mario Mantilli

Sopra le teste di Belgrado - Il bombardamento "umanitario" della NATO sulla Serbia è durato 78 giorni. Mario Mantilli ripercorre i lunghi mesi dell'aggressione raccontando la vita quotidiana di un popolo costretto a sopravvivere sotto le bombe, fiaccato da un lungo embargo e dal pregiudizio internazionale.
Dopo 9 anni esatti il racconto, giorno per giorno, degli avvenimenti drammatici della crisi del Kosovo del 1999, quasi un radiogiornale di informazione quotidiana trasmesso in ritardo, fuori tempo massimo...

Mario Mantilli - attore, drammaturgo, regista, nato a Pisa il 24 aprile 1977. Allievo regista presso la Scuola d'Arte Drammatica "Paolo Grassi" di Milano. Ideatore, autore e responsabile del progetto Target - Belgrado 1999 (www.progettotarget.com).

Contatti: Punto Radio 91.1 - 91.6 FM
56021 Cascina (PI) - Via Lungo Le Mura, 155
www.puntoradio.fm - tel. 050-710071 - email:redazione @ puntoradio.fm

Il programma può essere ascoltato anche in streaming e scaricato in podcast



(english / italiano)


PARTITO SOCIALISTA DEI LAVORATORI DELLA CROAZIA

Zagabria, 22 marzo 2008

COMUNICATO

SUL RICONOSCIMENTO DEL KOSOVO DA PARTE DELLA REPUBBLICA DI CROAZIA

La secessione del distretto della Regione Autonoma di Kosovo e Metohija dal resto del paese di cui è parte, secondo le direttive di USA, NATO ed UE, è da considerarsi flagrante violazione della Legge internazionale, della Dichiarazione ONU nonché della Risoluzione della Commissione Badinter ed è perciò da valutare come un precedente serio e minaccioso che potrebbe dar luogo a nuovi conflitti nella regione, così come in altre zone nevralgiche, ovunque essa venga presa a modello per questioni nazionali irrisolte e per realizzare in modo forzoso aspirazioni territoriali.

La secessione del Kosovo potrebbe non essere vista come espressione del diritto dei popoli all'autodeterminazione ed alla secessione, poichè gli albanesi hanno già un loro Stato, e gli albanesi che vivono in Kosovo hanno i loro legittimi diritti esercitati nel quadro di un'ampia autonomia. L'indipendenza del Kosovo potrebbe eventualmente essere accettata con il consenso di ambo le parti, ma non certo come atto unilaterale.

Inoltre la secessione del Kosovo è una ovvia conseguenza delle tendenze imperialistiche, e soprattutto degli interessi economici e politici degli USA, che si atteggiano a poliziotto mondiale e a padroni dell'ordine mondiale capitalistico; e perciò un tale Stato frutto di imposizione e vassallaggio non può garantire la realizzazione di interessi legittimi del popolo albanese.

Per questi motivi riteniamo che il Kosovo-Metohija sia una parte inalienabile della Repubblica di Serbia e neghiamo valore alla Risoluzione della Repubblica di Croazia che riconosce questa creazione recente, con implicazioni potenzialmente assai negative sulle mutue relazioni nazionali e regionali anche all'interno della stessa Croazia. 

Il Responsabile per le Relazioni Internazionali: Vladimir Kapuralin                                                                          

Il Presidente: Ivan Plješa      



Begin forwarded message:

From: Vladimir Kapuralin 
Date: April 6, 2008 12:23:28 PM GMT+02:00
Subject: Statement of SWP of Croatia


SOCIJALISTICKA RADNICKA PARTIJA HRVATSKE

SOCIALIST WORKERS' PARTY OF CROATIA

Zagreb, 22. III 2006


STATEMENT

REGARDING THE REPUBLIC OF CROATIA´S RECOGNITION OF KOSOVO

 

The Autonomous Kosovo and Metohia District´s secession from the main country in accordance with directives issued by the USA, NATO and EU, is considered glaring violant of International law, the OUN Declaration, as well as the Badminter Committee´s Resolution and therefore is percepted as a serioous and threatening precedent that could erupt in new conflicts within the region, as well as in other neuralgic zones wherever it might get patterned aiming at unsolved national issues and territorial aspirations enforced realization.

Kosovo secession could not be regarded as peoples right to selfdetermine and secede, since Albanians have alredy had their country, and Albanians living in Kosovo have their legitimate rights fully effectuated through wide autonomy. The independence of Kosovo could be eventually accepted by both poples´ consent, but unilaterally by no means.

Besides the secession of Kosovo is obviously a consequence of imperialistic tendences, but above all the economical and political interest of the USA, casting the world´s policeman and the patron of international capitalist order, therefore that obtruded and vassal state can not trusty guarantee Albanian people legitimate interests´ accomplishment.

Thereupon our consideration is that Kosovo and Metohia is an inalineable part of the Republic of Serbia and we deny Resolution of the Republic of Croatia on that recent creation´s recognition, anticipating that act could bring some negative implications onto mutual national and regional relations within Croatia itself too.

 

Responsible for International Relations                                           President

Vladimir Kapuralin                                                                           Ivan Plješa      




Oscurantismo tibetano

(Proseguiamo la rassegna di contributi sul tema dei secessionismi anticinesi. Molti altri articoli sul tema sono raccolti alla pagina:

1) Mi dispiace, ma non mi commuovo per il Dalai Lama! (di Massimiliano Ay)
2) Il Dalai Lama: "Dico no all’omosessualità. E Bush mi piace"(2006)


=== 1 ===


www.resistenze.org - popoli resistenti - cina - 22-03-08 - n. 220

Mi dispiace, ma non mi commuovo per il Dalai Lama!

 

di Massimiliano Ay

 

Un treno veloce collegherà a breve il Tibet al resto della Cina: l’arrivo della piena modernità agita chi coltiva progetti restauratori per quella regione del mondo in cui da cinquant’anni anche le donne finalmente vanno a scuola. C’è da constatare come a volte i fumi di certi incensi siano volti, più che alla purificazione dello spirito, all’annebbiamento della comprensione degli avvenimenti. Certo si è sempre contro violenza e repressione, ma che cosa è successo in Tibet? Gruppi di nazionalisti tibetani hanno assaltato non i luoghi del potere politico, ma i negozi dei commercianti cinesi. Morti e feriti si sono verificati tra tibetani e cinesi. Può tutto questo essere ricondotto alla solita tesi dei cattivi cinesi e dei poveri monaci? Credo di no! Siamo tutti d’accordo nel chiedere al governo cinese moderazione nella gestione dell’emergenza, ma l’isteria del “Free Tibet” spopola sui media occidentali facendo passare informazioni palesemente distorte per abituare l’opinione pubblica a vedere nella Cina il futuro nemico dell’Occidente: prima c’erano i sovietici, ora gli integralisti islamici, fra un po’ i cinesi, che oltre a dirsi comunisti sono anche dannatamente capaci sul fronte economico, ponendo seri problemi al dominio nordamericano. La Sinistra occidentale, come spesso accade, ormai del tutto disarmata da quel metodo scientifico di analisi che è il marxismo, si lascia prendere da facili emozioni pseudo-umanitarie e si scaglia senza riflettere contro il bastione cinese che non si arrende al mondo unipolare. La storia della “repressione” è però un’altra e va raccontata anche se è impopolare.

 

Riabilitare i nazi... 

La storia di quella terra la conosciamo in parte grazie al film “Sette anni in Tibet”. Un film di parte, basato sul libro di un certo Heinrich Harrer, un nazista austriaco che durante la seconda guerra era in amicizia con l’artistocrazia tibetana: il colonialismo hitleriano infatti in quel periodo era in competizione con quello inglese. Un film incentrato sul racconto di un nazista che viene sdoganato e lodato nella sale cinematografiche e nelle scuole dei nostri paesi democratici: che grande esempio di civiltà!

 

Il santone 

E in tutta questa storia campeggia una figura spirituale amata da tutti gli occidentali in cerca di una identità “alternativa”: il Dalai Lama, che vive di un vitalizio finanziario gentilmente concessogli dal governo di Washington. Il suo metodo viene definito gandhiano, nonviolento e pacifista. Strani aggettivi per uno che sosteneva i bombardamenti della NATO contro la Jugoslavia! Ma al di là di ciò, questo signore è ben strano, è contro l’aborto e denuncia i gay, è nostalgico di un sistema dove vigeva la schiavitù, dove non si consideravano le donne quali esseri umani ma le si facevano dormire con gli animali, dove si gestiva una società autoritaria e teocratica basata sulle caste, dove le scuole non esistevano così come gli ospedali, e dove i figli dei contadini erano registrati come oggetti appartenenti al monaco di turno. Non è neppure necessario definirsi maoisiti per capire che i contadini tibetani hanno sostenuto l’Armata Rossa nel 1950, accogliendo con soddisfazione la ridistribuzione delle terre e l’abolizione della società feudale, piuttosto che il Dalai Lama che vive(va) a spese degli altri. Le riforme di Mao hanno portato all’innalzamento dell’età media della popolazione, alla costruzione di una rete viaria e di una rete educativa primaria e professionale in cui la lingua d’insegamento è il tibetano. Perché non si dice cosa era il Tibet prima della Rivoluzione? Da quando dei democratici – ancorché non comunisti – si mettono a difendere una società autocratica come quella lamaista? Perché non si dice che il Dalai Lama fu costretto ad andarsene anche a seguito di una rivolta popolare contro la schiavitù?

 

L’invasione fu davvero invasione? 

Si dice comunemente che la Cina maoista invase il Tibet. E giù tutti a gridare che anche i comunisti sono dei colonialisti. A dire il vero, però, il Tibet è da quasi mille anni una provincia cinese: solo dopo il 1949, anno della costituzione della Cina rivoluzionaria, gli Stati occidentali, USA in testa, iniziarono a interessarsene (in funzione anti-Pechino), creando in seguito degli eserciti controrivoluzionari. Come diceva bene il 9 gennaio 2000 sul quotidiano “Il Manifesto” Enrica Collotti Pischel: “Non ha alcun senso dire che la Cina conquistò il Tibet (...); nel 1950 le forze di Mao completarono in Tibet il controllo sul territorio cinese; nel 1951 fu raggiunto un accordo con il Dalai Lama per la concessione di un regime di autonomia. Verso il 1957, nel pieno dell'assedio statunitense alla Cina, i servizi segreti inglesi e americani fomentarono una rivolta dei gruppi di tibetani (...); i cinesi repressero certamente la rivolta con pugno di ferro: nelle circostanze internazionali nelle quali si trovavano e nel loro contesto etnico non era razionale pensare che si comportassero diversamente. (...) Sullo sfondo della rivolta, il Dalai Lama dichiarò decaduto l'accordo per il regime autonomo e fuggì con la maggioranza della classe dirigente tibetana in India, dove costituì un proprio governo in esilio e il proprio centro di propaganda. (...) Recentemente la CIA (...) ha ammesso di aver finanziato tutta l'operazione della rivolta tibetana.” Ma allora, la Cina popolare cosa ha fatto di tanto “riprovevole”? Non solo ha portato diritti sociali ai contadini tibetani che prima erano schiavi del Dalai Lama, ma ha concesso al Tibet uno statuto di autonomia che garantisce la loro lingua, la loro cultura e la loro religione.

 

Una strategia imperialista 

Usciamo dal discorso buonista cui siamo abituati: sappiamo che il “dividi et impera” è una strategia tipica dell’imperialismo, utilizzata spesso dagli USA, i quali stretti da recessione e declino, operano per frantumarne l’unità della Cina e fomentare guerre civili etniche con gruppi terroristici appositamente addestrati e una asfissiante propaganda unita a qualche messaggio religioso. Si alimentano quindi i nazionalismi e gli integralismi religiosi non solo in Tibet, ma anche nello Xingian (provincia cinese a maggioranza turca): questa strategia l’abbiamo già vista applicata nella ex-URSS e nella ex-Jugoslavia, paesi che per quanto criticabili sotto determinati aspetti, erano sovrani e favorivano un mondo multipolare. Eppure, nonostante questi fatti, tutto viene confuso con quello che è diventato un dogma: il “diritto all’autodeterminazione dei popoli” che nel caso concreto è orchestrato all’estero! Per dei comunisti vale il metodo marxiano di analisi dello stato di cose presenti. Non vedere come certi princìpi, nell’evoluzione della realtà, possano diventare strumenti reazionari, significa abbandonare di colpo ogni base filosofica materialista-dialettica.

 

Massimiliano Ay
Membro del Comitato Centrale del Partito Svizzero del Lavoro / Partito Comunista del Ticino


=== 2 ===


ESTERI

IL MATRIMONIO È UNA DELLE VIE ALLA FELICITA’

Il Dalai Lama: dico no all’omosessualità. 
Il sesso è procreazione

«Uccidere Bin Laden significa creare altro odio. Guerra sbagliata in Iraq, però Bush mi piace»

3/4/2006 

A Dharamsala, vecchio avamposto britannico nel Nord dell’India, migliaia di tibetani esiliati cercano rifugio presso il loro leader, il Dalai Lama. Qui arrivano anche centinaia di occidentali, con la loro guida Lonely Planet, per dare un’occhiata al guru. Un’ereditiera australiana sovrappeso di nome Heidi Gudrun si lamenta: «Per quindici anni ho cercato di perdere peso. Ho perso due mariti, mi hanno cucito lo stomaco. Il Dalai Lama è la mia ultima speranza». Il destino peculiare del Dalai Lama è di fare da guru tanto per le ereditiere australiane sovrappeso quanto per dieci milioni di buddhisti tibetani perseguitati. Il suo status di divinità risale all’età di due anni: i monaci che lo trovarono a giocare in una fattoria nel Nord Est del Tibet lo portarono nella capitale Lhasa, dove fu riconosciuto come reincarnazione del Buddha dopo aver individuato la tazza per bere e la dentiera del precedente Dalai Lama nel palazzo di Potala.

Pur essendo vissuto da monaco per tutta la vita, il Dalai Lama vede nel matrimonio una delle vie maestre per la felicità. «Troppe persone in Occidente hanno rinunciato al matrimonio - dice -. Non si rendono conto che si tratta di sviluppare reciproca ammirazione, profondo rispetto, fiducia, e consapevolezza dei bisogni di un altro essere umano. Le relazioni che vanno e vengono con facilità rendono più liberi ma meno appagati».

Pur essendo noto per i suoi punti di vista umani e tolleranti, il Dalai Lama è sorprendentemente critico nei confronti dell’omosessualità. È male, dice, per un buddhista. «No assoluto. Senza sfumature. Una coppia gay mi è venuta a trovare, cercando il mio appoggio e la mia benedizione. Ho dovuto spiegar loro i nostri insegnamenti. Una donna mi ha presentato un’altra donna come sua moglie: sconcertante. Al pari dell’uso di certe pratiche sessuali fra marito e moglie. Usare gli altri due buchi è sbagliato». A questo punto il Dalai Lama si volge al suo interprete per assicurarsi di aver utilizzato le parole inglesi corrette per discutere di questa delicata materia. L’interprete annuisce in maniera appena percettibile. 

«Un amico occidentale - riprende il Dalai Lama, infervorandosi - mi ha chiesto che male possa mai venire da due adulti consenzienti che fanno sesso orale, se a loro piace. Ma lo scopo del sesso è la riproduzione, secondo il buddhismo. Gli altri buchi non creano vita. Non posso condonare questo genere di pratiche». Si mette a ridere quando quando cambio argomento e gli parlo dei tentativi occidentali di accedere a una maggiore spiritualità attraverso lo yoga, i massaggi e l’agopuntura. «Queste sono solo attività fisiche - dice -. Per essere più felici bisogna passare meno tempo a pianificare la propria vita, e accettare di più quello che viene».

Il Dalai Lama è stato criticato per essersi troppo concesso alle lusinghe dell’Occidente: frequenta troppo le celebrità, dicono i suoi detrattori, ed è troppo disponibile a farsi fotografare su riviste frivole accanto alla duchessa di York o personaggi del genere. «C’è chi mi trova una brava persona, e c’è chi crede che io sia un ciarlatano: ma sono solo un monaco» dice con un largo sorriso. «Non ho mai chiesto a persone come Richard Gere di venire a trovarmi, ma sarebbe assurdo fermarle. Ci vengono tibetani, indiani, malati di Aids, persone religiose, politici, attori e principesse. Il mio atteggiamento è dare a ognuno un po’ del mio tempo: se posso contribuire in qualche modo alla loro felicità, ne sono felice a mia volta». Molte donne occidentali che si mettono in fila per essere benedette gli dicono di non voler parlare con lui di niente di particolare. «Incontro donne che in passato hanno abortito perché pensavano che un figlio avrebbe rovinato le loro vite. Un bambino sembrava loro insopportabile, ma adesso sono diventate più vecchie e incapaci di concepire. Mi sento così triste per loro». Il Dalai Lama dice loro che hanno bisogno di riscoprire la forza interiore. «L’Occidente oggi è debole, non sa fronteggiare le avversità e ha poca compassione per gli altri. Ma le persone possono trovare la maniera per contrastare le forze negative. Se invece si sovraccaricano di responsabilità riguardo ai loro problemi personali, diventano sempre meno fiduciose». Il Dalai Lama non crede che si debba necessariamente essere religiosi per avere una vita ricca di significato. «Però bisogna avere una morale e puntare a sviluppare le qualità basilari dell’umanità. Io non voglio convertire la gente al buddhismo, tutte le grandi religioni, se interpretate correttamente, hanno lo stesso potenziale di bene»

Tuttavia la religione si è fatta cattiva, ci sono fanatici che predicano l’odio... «Il fondamentalismo è terrificante perché è basato sull’emozione anziché sulla ragione. Impedisce alle persone di pensare da individui e di perseguire il bene del mondo. Questo nuovo terrorismo è stato provocato soprattutto da invidia e frustrazione nei confronti dell’Occidente, che in tv appare così sviluppato e di successo. Alcuni leader fuori dall’Occidente usano la religione per reagire a tutto questo». I terroristi, dice il dalai Lama, vanno trattati umanamente, «altrimenti il problema si aggraverà. Se c’è un Bin Laden oggi, presto ne avremo dieci. Terrificante. Uccidi dieci Bin Laden e l’odio si diffonderà».

Che cosa pensa della guerra in Iraq? «Il metodo è stato violento. La violenza dà risultati imprevedibili, può produrre un’infinità di altri problemi» risponde il Dalai Lama, a cui la religione vieta di uccidere anche solo una zanzara. 

Benché non approvi la guerra in Iraq, il Dalai Lama ammira il presidente Bush. «È un uomo schietto - dice -. Nel nostro primo incontro mi trovai davanti a un vassoio pieno di biscotti. Il Presidente mi offrì immediatamente quelli che gli piacevano di più e da quel momento ci siamo intesi. Nella visita successiva Bush non se la prese quanto io fui perentorio riguardo alla guerra. E nella terza occasione, alla casa Bianca, fui sorpreso dalla sua conoscenza del buddhismo».

Copyright The Daily Telegraph