Informazione


Base U.S.A.F. di Aviano. Secondo incidente aereo causato da velivolo statunitense in poche settimane

Comunicato stampa della Rete nazionale Disarmiamoli!

8 novembre 2007 – Al momento si contano cinque morti e sei feriti nell'incidente causato da un elicottero militare USA precipitato nella campagna trevigiana, vicino al fiume Piave a poche centinaia di metri dal comune di Santa Lucia del Piave. In pratica a 200 metri dall’autostrada A27. Era un elicottero Black Hawk UH60 adibito per il trasporto di truppe.

Il velivolo era decollato dalla base militare Usa di Aviano, per un sorvolo di addestramento sull'area. A bordo undici militari americani di stanza nella base Usaf. Per permettere un intervento più veloce dei mezzi di soccorso, è stata bloccata l'autostrada A27 nel tratto più vicino al punto dove è precipitato l'elicottero. Sette gli elicotteri dei soccorsi atterrati sul ponte dell'autostrada per trasferire sulle ambulanze morti e feriti, trasportati poi negli ospedali di Treviso e Conegliano.

Sono passati solo 51 giorni da quando un F16 USA, decollato sempre dalla base di Aviano, precipitando ha sfiorato le abitazioni di Fusine e Soramaè, piccole frazioni di Zoldo Alto, in provincia di Belluno, per poi disintegrarsi, sotto gli occhi sbalorditi dei residenti, in un bosco vicino.
 
Dell’F16 caduto il 19 settembre scorso la stampa nazionale si occupò pochissimo. Nessun morto, pochi danni, a parte la perdita di un aereo con il costo del quale si potrebbero gestire per più anni l’amministrazione di uno dei Comuni “sfiorati”.
 
I 5 ( o forse molti di più) morti e la vicinanza all’A27 dei resti dell’Hawk UH60 costringono al momento la stampa nazionale a parlare del disastro aereo di questa mattina.
Impressionante il movimento di mezzi aerei per portare in salvo i feriti e via le salme statunitensi.
Un solo elicottero, in molti casi, salverebbe la vita di tanti automobilisti, che a migliaia periscono ogni anno sulle nostre autostrade.
 
Quale autorità italiana - e perché - concede a velivoli così potenti e pericolosi di volare sulle teste degli abitanti di Belluno e Treviso? Quanti aerei, elicotteri ed altri velivoli a stelle e strisce scorrazzano quotidianamente in lungo e largo per la penisola? Oltre alle truppe, cosa trasportano questi velivoli di tanto prezioso da bloccare, come nel caso di questa mattina,  una autostrada ed un area di chilometri di perimetro? Se l’F16 o l’Hawk UH60 fossero precipitati in un centro abitato quanti morti avremmo dovuto contare?
 
Tante domande, nessuna risposta. Da oltre 60 anni.
I “liberatori” - coscienti della loro totale impunità giuridica e penale - dispongono dei nostri territori e delle nostre vite a loro piacimento, come nel caso della strage al Cermis e di tanti altri omicidi, stupri, sevizie, torture, sequestri, trame nere e stragi nei porti, nelle stazioni  e nelle piazze di questo nostro povero paese, alla mercè del colosso statunitense a causa di governi proni e succubi, di cui l’attuale è fulgido esempio, come dimostra il placet alla base al Dal Molin, il silenzio sul sequestro di Abu Omar e sull’omicidio Calipari, i finanziamenti per la costruzione degli F35 USA a Cameri, l’accordo per lo scudo antimissilistico. Potremmo riempire pagine e pagine di simili esempi, a descrivere una subalternità umiliante ed insopportabile.
 
Contro la criminale arroganza USA e il vergognoso comportamento dei governi italiani l’unica strada è quella indicata dai cittadini di Vicenza e dalle lotte dei tanti comitati che in tutta Italia si battono per chiudere per sempre le basi della morte.
 
La Rete nazionale Disarmiamoli!
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From: "Coord. Naz. per la Jugoslavia" 
Date: September 27, 2007 8:18:01 AM GMT+02:00
Subject: [JUGOINFO] "Esercitazione di routine". E si rischia la strage


(diffondiamo una importante notizia, ormai risalente ad una settimana fa, per evidenziare come essa sia stata coperta da censura sui grandi media e sui telegiornali del nostro paese)


"Esercitazione di routine". E si rischia la strage

Un aereo militare partito dalla base americana di Aviano si è schiantato a terra martedì sera, a pochi metri da un centro abitato. Subito imposto il segreto militare, ma secondo indiscrezioni l'incidente sarebbe stato causato da un'avaria al motore. Cittadini e sindaci scrivono al prefetto: «A rischio la nostra sicurezza»

Orsola Casagrande
Aviano

A due giorni dalla conferma da parte del Natural Resources Defence Council di Washington che nella base Usaf di Aviano sono dislocate 50 bombe termonucleari martedì sera si è sfiorata la tragedia in Val di Zoldo (provincia di Belluno) quando un aereo militare F16 americano decollato proprio dalla base di Aviano è precipitato a poca distanza dal centro abitato. Il pilota, stando a quanto dichiarato dalle autorità militari statunitensi, sarebbe riuscito ad evitare le case e quindi si sarebbe lanciato con il paracadute mentre l'F16 precipitava. In effetti il pilota è stato recuperato qualche chilometro più in basso da un automobilista che l'ha soccorso e portato alla caserma dei carabinieri. Al soccorritore sarebbe stato intimato di non dire nulla dell'incidente, coperto da segreto militare. Nel frattempo la zona in cui si trovano i resti dell'aereo è stata subito blindata. Erano le sei e mezza di martedì sera quando un forte boato ha spaventato gli abitanti della zona. Un terremoto, hanno pensato quelli che si trovavano in casa, ma tantissime persone hanno visto l'aereo precipitare. Nella zona a quell'ora stava piovendo ma ieri dalle indiscrezioni si è appreso che l'incidente sarebbe stato causato da un'avaria al motore dell'F16. I militari hanno assicurato che a bordo dell'aereo, che stava effettuando una «esercitazione di routine», non si trovavano armi. Sulle prime le autorità militari statunitensi hanno dichiarato che l'aereo era precipitato in una zona disabitata. Ma le testimonianze degli abitanti contrastano e fanno crollare la versione Usa. 
Un ragazzo ha raccontato alle telecamere del tg3 regionale di essere uscito con i cani e di aver visto l'aereo sbucare all'improvviso. «E' passato a un metro dal tetto di casa. Ho pensato che sarebbe precipitato e dopo qualche secondo lo schianto e il boato». Immediate le reazioni di cittadini e amministratori del Friuli e del Veneto. Decine di consiglieri, sindaci, associazioni, sindacati, esponenti della sinistra radicale hanno scritto al prefetto di Pordenone per esprimere la loro preoccupazione, ma anche per chiedere delucidazioni in merito all'incidente. «Noi cittadini che da tanti anni viviamo vicino alla base Usaf di Aviano - scrivono nella lettera i firmatari - con questo ennesimo incidente che fa parte di una lunga lista di altri incidenti imputabili alla presenza di questa base di guerra nel nostro territorio (jet caduti, pezzi persi per strada, bombe e serbatoi in orti e giardini) oltre alla presenza delle cinquanta testate nucleari, senza dimenticare la tragedia del Cermis, esprimiamo una forte e sentita preoccupazione per la sicurezza di tutti i cittadini della provincia di Pordenone». Gli amministratori quindi chiedono spiegazioni sulla richiesta «da parte dei carabinieri italiani e dei militari americani di far firmare un documento all'uomo che ha incontrato il pilota statunitense sulla strada, perché non riveli nulla sull'accaduto». Mentre cercano un incontro con il prefetto i firmatari della lettera chiedono anche al governo Prodi di fare «un passo indietro sulla costruzione di nuova basi di guerra come a Vicenza e anzi si impegni a ridurre quelle attualmente presenti nel territorio italiano». E da Vicenza il presidio permanente No Dal Molin denuncia «l'ennesimo episodio che mette a nudo la pericolosità delle installazioni militari». Dal presidio ricordano anche il misterioso incidente avvenuto nel '92 all'interno dei bunker di Site Pluto.

Il Manifesto 20 sett 2007 pag. 9

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Lavoriamo uniti perché gli F16 U.S.A. non si alzino più in volo sui cieli di Aviano.
 
21.09.2007 - Comunicato della Rete nazionale Disarmiamoli!
 
Un F16 decollato dalla base di Aviano, precipitando, ha sfiorato le abitazioni di Fusine e Soramaè, piccole frazioni di Zoldo Alto, in provincia di Belluno, per poi disintegrarsi, sotto gli occhi sbalorditi dei residenti, in un bosco vicino.
 
Ancora una volta si è sfiorata una strage, come quella del Cermis che il 3 febbraio 1998 costò la vita a 20 ignari sciatori. Ancora una volta i nostri cieli violati da un sistema bellico infernale, in procinto di scatenare nuove e devastanti guerre contro l’Iran, la Siria, il Libano.
 
Il movimento italiano contro le basi militari USA/ NATO ha intrapreso in questi anni un percorso di coordinamento nazionale con l’obiettivo di rendere più efficace la sua azione. 
La lotta di Vicenza contro la base al Dal Molin, quella di Novara contro la costruzione degli F35, la resistenza dei tanti comitati presenti sui territori occupati dagli insediamenti militari sono il tessuto connettivo di questo coordinamento, intersecatosi naturalmente con il più generale movimento NoWar, espressosi in forme chiare ed indipendenti lo scorso 9 giugno a Roma contro Bush e le politiche belliciste del governo Prodi.
 
Da questo processo di unificazione sono emerse in questi mesi proposte di mobilitazione costante sui territori, in grado di sostanziare una linea condivisa di resistenza attiva alle basi della guerra.
La Legge di iniziativa popolare su trattati internazionali, basi e servitù militari presentata in Corte di Cassazione il 19 settembre va in questa direzione, indicando un percorso concreto di consultazione di massa su questa oppressiva e pericolosissima presenza, che devasta ampie fette del nostro territorio nazionale.
 
Chiamiamo tutto il movimento contro la guerra italiano a far proprio questo percorso di consultazione, costruendo in ogni città Comitati Promotori che scendano in piazza, tra la gente, a raccogliere le 50.000 firme necessarie per imporre di nuovo nell’agenda politica nazionale la questione dirimente dell’allontanamento delle basi USA/NATO dai nostri territori.
 
La Rete nazionale Disarmiamoli!
 
www.disarmiamoli.org  info@...  3381028120
 






http://www.workers.org/2007/world/nato-1101/


NATO: Making enemies 'out of area'


Part 1
By Heather Cottin 
Published Oct 26, 2007 10:57 PM

Built up as an anti-Soviet military pact, the North Atlantic Treaty Alliance had no defined purpose after the dissolution of the Warsaw Pact. But under Washington’s guidance, NATO has now expanded to be a worldwide NATO, tool of imperialist conquest “out of area.” The first step was to use NATO in Yugoslavia starting in 1992.

Yugoslavia was the last remaining socialist country in Eastern Europe, rich in resources and with a skilled, trained working class. The U.S. and the European imperialist countries began a campaign of demonization and destabilization of the Yugoslav state, replete with false charges of genocide and mass rape, that lasted for a decade.

On March 24, 1999, with U.S. President Bill Clinton leading the way, NATO opened a brutal 78-day campaign of “humanitarian bombing” of Yugoslavia. The physical destruction of what was left of a united Yugoslavia was followed by a U.S.-NATO destabilization program that used George Soros’ “Open Society” as well as the National Endowment for Democracy, the CIA and other government assets.

The campaign ended with a coup that toppled the government of Slobodan Milosevic in September 2000 and ended with the sovereign nation of Yugoslavia broken into pieces. NATO kidnapped, incarcerated and tried Milosevic on phony war-crimes charges. As he was successfully finishing his defense against these charges, Milosevic finally died under suspicious circumstances in a prison near The Hague once used by Nazi occupiers of the Netherlands.

Meanwhile, U.S., German and other imperialist firms privatized and grabbed up the most profitable parts of the Serbian economy.

Then NATO went to work with a vengeance on Eastern Europe and the former USSR. As one British foreign policymaker said, Yugoslavia was “the foot in the door.” (Sean Gervasi, “Why is NATO in Yugoslavia,” NATO in the Balkans, IAC). NATO expanded its influence into Bulgaria, the Czech Republic, Estonia, Latvia, Hungary, Lithuania, Poland, Romania, Slovenia and Slovakia, all formerly part of the socialist camp. And last March the U.S. Senate approved NATO membership for Georgia and the Ukraine, even if NATO itself has not.

The Western NATO countries under U.S. leadership have expanded NATO to put the resources and people of all of the new countries of the former USSR, Eastern Europe and Asia within their reach.

Most European and Canadian workers are wary of NATO’s military expansionism and people in Canada and Quebec will be demonstrating Oct. 27 against the Canadian military adventure in Afghanistan. They are not happy to supply their youths as cannon fodder, nor to pay for this militarism. In the U.S. the anti-war forces are more concerned with direct U.S. intervention—in places like Iraq and Afghanistan—than with NATO expansion as such.


NATO’s new best friends in Eastern Europe


The Wars against Afghanistan and Iraq are part of NATO strategy. Opposition to the wars in Afghanistan and Iraq makes recruitment for soldiers from Western European NATO countries like England and the Netherlands difficult, as well as in Canada.

NATO managers look to the new puppet states in Eastern Europe and the former USSR for support. The governments of Slovakia and Poland have volunteered their children to fight and die for NATO expansionism, and Georgia’s lackeys-in-waiting have volunteered their youth.

As in the rest of the former socialist republics, unemployment, violent cuts in social services, low wages and an impoverished peasantry make poor Eastern European youth available as cannon fodder for the deadly Afghan and Iraq wars.

The Associated Press on Oct. 21 reported that former CIA director and current U.S. Defense Secretary Robert Gates visited Kiev in the Ukraine to attend meetings of the Southeast European Defense Ministers, a 12-nation group created in 1996, at Washington’s initiative, to reinforce “security cooperation in the volatile Balkans and to facilitate cooperation with NATO.”

In the Czech Republic the majority of the people, also fearful of US/NATO expansion in the region, have opposed the proposed plan to place an advanced radar in their country as part of a proposed “European arm of the U.S. missile defense system that is now based mainly in Alaska and California.”

Gates was meeting in Kiev with defense ministers from Croatia, Albania and Macedonia “to discuss progress they have made toward satisfying NATO requirements for earning an invitation to join the alliance.” (AP, Oct. 21)

Meanwhile, Polish soldiers are currently stationed in Iraq, Lebanon, Syria, Kosovo and Bosnia. In Afghanistan the Polish contingent numbers 1,200, and NATO is recruiting Bulgarian warships to patrol the Black Sea and the Eastern Mediterranean. (Focus News Agency, Bulgaria, Oct. 19)

NATO powers in Europe and North America met in Norway during the week of Oct. 22 to form a strategic military partnership which would stretch from the Barents Sea to the Black Sea. (Focus News, Oct. 22)

And Israel is enthusiastically welcoming NATO inclusion. Since last year, the Israeli government has been in a bilateral cooperation program between Israel and NATO, the first for a country outside of Europe. (Jerusalem Post, Oct. 21)


Resisting NATO expansion


In July, people in and around the Ukrainian Black Sea port of Odessa pitched tents for days, protesting against military NATO war games. (Voice of Russia, July 9).

Massive opposition plagues the NATO stooges in their capitals. Only 16 percent of the Ukrainian population supports NATO membership (Herald Tribune, July 10, 2006) and open resistance to Georgian President Mikheil Saakashvili’s government throughout that country makes these two nations shaky allies for the U.S. and the Western European imperial powers.

Russia has expressly opposed the “financial and political engagement of the U.S. in Georgia and the Ukraine or the planned radar stations in East Europe,” according to Professor Alexander Krylov of the University of Bremen. (Islamic Republic News Agency, Oct. 20).

People in the Czech Republic and Poland have demonstrated again and again in opinion polls and protests against their countries’ involvement in NATO. A conference on Oct. 20, which included activists from Europe and North America, opposed to the deployment of a U.S. radar station in the Czech Republic. The deputy speaker of the Czech Parliament’s lower house, Voiteh Filipp, said an overwhelming majority of Czechs opposed the radar station and demanded a national referendum on the issue. (Voice of Russia, Oct. 20)

Belarus President Alexander Lukashenko has called NATO an “illegitimate alliance. ... We made a deal with the USA—we break off the Warsaw Pact and you dissolve NATO.” (Makfax, Macedonia, July 20). The U.S. reneged on the deal. A U.S./NATO demonization campaign has targeted Lukashenko because he has refused to privatize his economy and is still providing jobs and social services in the former USSR republic.


Part II to come: Brzezinski’s worst nightmare. Thanks to the work of Rick Rozoff, administrator of the listserv: STOPNATO, for making much of this research available.


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NATO expansion and Brzezinski's nightmare


PART 2
By Heather Cottin 
Published Nov 7, 2007 11:09 PM


Once the USSR was gone and the Warsaw Pact had been dissolved, the ruling classes of the NATO countries, as well as in Japan, started taking steps to re-establish colonial domination over the peoples and resources of the world.

But obstacles arose. The Iraqi and Afghan peoples’ resistance exposed the weaknesses of the Pentagon. In addition, some of the more powerful of the nonimperialist states have taken joint diplomatic steps to counter the NATO offensive.

Talk of NATO expansion into Africa and Pentagon plans to set up an African command—dubbed AFRICOM—to coordinate its military maneuvers in the area began to arouse opposition. Even Morocco, a U.S. client state, joined Algeria and Libya in saying that AFRICOM was set up “only to secure a constant flow of oil to the United States.”

On July 27, Radio Free Europe, a U.S. propaganda agency set up during the Cold War, said what Washington is thinking: “The Arctic and Antarctica are the last vast untapped reservoirs of mineral resources on the planet. Underneath the Arctic Ocean, there are gigantic reserves of tin, manganese, nickel, gold, platinum and diamonds. But the Arctic’s most lucrative treasure is the enormous deposits of oil and gas, which could amount to 25 percent of the world’s resources.”

Norway, Denmark (through its colony Greenland), Canada and the U.S. are NATO members with coastlines on the Arctic Ocean. However, the longest part of the Arctic coast belongs to Russia. Moscow estimates that the region contains at least 10 billion tons of oil and natural gas reserves.

When NATO threatened to claim the Arctic as its new region of control, the Russian government sent submarines in an unprecedented 13,800-foot dive beneath the North Pole. During the dive, NATO spy planes buzzed the Russian icebreaker Rossia. (Voice of Russia, July 27) The expedition planted the Russian flag on the ocean floor.

The imperialist powers are in a frenzy to control the resources of the world, and have fashioned the new NATO to do this. Only 95,000 troops are left in the European Command (EUCOM) to do the “primary job to ensure European stability,” meaning maintaining rightist and pro-capitalist governments in Eastern Europe and the Balkans. According to U.S. Vice Adm. Richard Gallagher, EUCOM’s new deputy commander and former head of its operations, “stability” in Eastern Europe “is what’s good for us, good for business, good for the United States’ central interests.” (Stars and Stripes, Oct. 16)


NATO’s strategic role

The imperialist powers are using NATO in an attempt to fulfill the strategic imperialist designs that former National Security Advisor Zbigniew Brzezinski—in the Jimmy Carter administration—described in his book “The Grand Chessboard”in 1997: “For America after the Cold War, the chief prize is Eurasia.” Brzezinski feared an alliance between China, Russia and Iran, and warned that the U.S. had only 20 years to complete the conquest of the region.
Ten have passed and the U.S. and NATO are bogged down in Iraq and Afghanistan. Recently the Russian and Chinese militaries participated in joint military exercises, conducting maneuvers in the Ural Mountains. An Iranian newspaper observed, “At the Shanghai Cooperation Organization summit both countries warned the U.S. to stay away from the energy-rich and strategic region of Central Asia.” (Tehran Times, Oct. 21)
The two governments have expanded “all spheres of the Russian-Chinese relations: summit and high-ranking contacts, trade, economic and humanitarian cooperation, and inter-regional contacts,” said Konstantin Vnukov, director of the Russian Foreign Ministry’s First Asian Department, and Russia has “forged alliances with China, Iran, Syria, and other neighboring states.” (Xinhua News Agency, Oct. 20)
When Russia and China, as well as Serbia and South Africa, together opposed the U.S./NATO plot to make Serbia’s Kosovo province an independent country in July, the U.N. Security Council had to drop the resolution. (Itar-Tass, July 20)

Short of allies, short of troops

With populations rising in opposition to NATO expansion, the wars in Afghanistan and Iraq, and the threat of war on Iran, the U.S. has few allies. Nevertheless, U.S. Defense Secretary Robert Gates visited Afghanistan in July and said the U.S. will “fight somewhere in the world for at least 20 to 30 more years.” Besides the major campaigns the U.S. is waging in Afghanistan and Iraq, the military is “very much involved” in some 20 other countries. “There’s a lot going on right now that’s not visible,” Marine Gen. Peter Pace said. (AP, July 18)
What is visible has been nothing but murder and mayhem in Afghanistan and Iraq. These wars and NATO expansion have cost the countries connected to NATO hundreds of billions of dollars, the stripping of their social programs and thousands of young lives.
The volunteer militaries in the NATO countries are having an ever more difficult time attracting recruits when soldiers are being blown up in Iraq and Afghanistan. Popular opposition to the NATO intervention in Afghanistan is growing in Canada and the European countries, too.
“[S]hort of the troops needed for victory,” wrote the International Herald Tribune on Oct. 21, “NATO again is pleading with member states to step up their commitments. ... Jaap de Hoop Scheffer, secretary general of NATO, urged the alliance’s members to stay the course [in] Afghanistan. ... [D]efense ministers are being asked to send troops to Kosovo, Congo, Sudan, Somalia, Lebanon and Chad.”
The governments of Britain, Canada and the Netherlands are urging those in France and Germany to take part in the fighting in the southern part of Afghanistan, but these NATO governments are reluctant, reflecting mass opposition and their own pessimism. Paddy Ashdown, the former U.N. high representative for Bosnia and Herzegovina, told the British Telegraph on Oct. 25 that in Afghanistan, “We have lost, I think, and success is now unlikely.”



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Mother Teresa, John Paul II, and the Fast-Track Saints /
Mère Teresa, Jean-Paul II et la filière rapide de la béatification:




MADRE TERESA, GIOVANNI PAOLO II E LA FABBRICA DEI SANTI

DI MICHAEL PARENTI
CommonDreams

Durante i 26 anni del suo papato, Giovanni Paolo II ha elevato a santità 483 persone, più santi di tutti i precedenti papi assieme, come viene riferito.

Ci fu un personaggio che beatificò ma che non ebbe il tempo di canonizzare perché non visse abbastanza, cioè Madre Teresa, la suora cattolica di origini albanesi che sedeva a tavola con i ricchi e i famosi del mondo mentre veniva considerata una ardente difenditrice dei poveri. Beniamina dei media aziendali e dei governi occidentali, oggetto di adorazione al pari di una celebrità, Teresa è stata per molti anni la donna più riverita sulla Terra, inondata di riconoscimenti e premiata con un Nobel per la pace nel 1979 per il suo “lavoro umanitario” e la sua “ispirazione spirituale”.

Ciò che di solito è passato inosservato sono le grandi somme che riceveva da ricchi contribuenti, compreso un milione di dollari dal bancarottiere condannato per la crisi della Lincoln savings & loan Charles Keating, per conto del quale lanciò personalmente un appello alla clemenza al giudice che presiedeva.

In quella occasione fu invitata dal procuratore a restituire il dono di Keating, dal momento che si trattava di denaro rubato. Non lo fece mai. Piuttosto accettò somme rilevanti donatele dalla brutale dittatura Duvalier e sottratte regolarmente alla tesoreria pubblica di Haiti.

Gli “ospedali” di Madre Teresa per gli indigenti in India e altrove si rivelarono poco più che magazzini umani in cui persone seriamente ammalate giacevano su materassini, a volte cinquanta o sessanta persone in una stanza senza il beneficio di un'adeguata assistenza medica. Generalmente i loro malanni non venivano diagnosticati. Il cibo era nutrizionalmente insufficiente e le condizioni sanitarie deplorevoli. C'era poco personale medico sul posto, più spesso suore e preti impreparati.

Tuttavia, quando si occupava dei propri problemi di salute, Teresa si rivolgeva ad alcuni dei più costosi ospedali e reparti di cura del mondo per trattamenti allo stato dell'arte.

Teresa attraversò il globo per ingaggiare campagne contro il divorzio, l'aborto e il controllo delle nascite. Alla cerimonia per l'assegnazione del Nobel, dichiarò che “il più grande distruttore di pace è l'aborto”. Una volta ha anche insinuato che l'AIDS potrebbe essere solo una punizione per una condotta sessuale impropria.

Teresa alimentò un flusso costante di disinformazione promozionale su se stessa. Sosteneva che la sua missione a Calcutta sfamasse più di mille persone ogni giorno. In altre occasioni questo numero arrivava a 4000, 7000 o 9000. In realtà le sue mense per poveri sfamavano non più di 150 persone (sei giorni a settimana), compreso il suo seguito di suore, novizie e preti. Sosteneva che la sua scuola nei bassifondi di Calcutta ospitasse 5000 bambini quando gli effettivi iscritti erano meno di un centinaio.

Teresa dichiarò di avere 102 centri di assistenza per famiglie a Calcutta, ma Aroup Chatterjee, da lungo tempo residente a Calcutta e autore di un'ampia indagine sul campo sulla sua missione, non ha potuto trovare un singolo centro.

Come uno dei suoi devoti spiegava, “Madre Teresa è tra quelli che meno si preoccupano delle statistiche. Ha ripetutamente affermato che ciò che conta non è quanto lavoro si compie, ma quanto amore si mette nel lavoro”. Ma Teresa era davvero indifferente alle statistiche? Al contrario, le sue inesattezze numeriche andavano consistentemente e opportunamente in una sola direzione, esagerando abbondantemente i suoi risultati.

Durante i molti anni in cui la sua missione era a Calcutta, ci furono circa una dozzina di inondazioni e numerose epidemie di colera dentro o vicino alla città, con migliaia di vittime. Molte organizzazioni di soccorso rispondevano ad ogni disastro, ma Teresa e i suoi non si vedevano, eccetto che brevemente in una occasione.

Quando qualcuno chiedeva a Teresa come la gente senza denaro né potere potesse rendere il mondo un posto migliore, lei rispondeva “Dovrebbero sorridere di più”, una risposta che affascinava alcuni interlocutori. Durante una conferenza stampa a Washington DC, quando le venne domandato “Insegnate ai poveri a sopportare il proprio destino?” rispose “Penso che sia molto bello per i poveri accettare il loro destino, condividerlo con la passione di Cristo. Penso che il mondo tragga molto giovamento dalla sofferenza della povera gente”.

Ma lei stessa visse eccessivamente bene, godendo di lussuose sistemazioni nei suoi viaggi all'estero. Sembra che sia passato inosservato che come celebrità mondiale trascorreva la maggior parte del suo tempo lontano da Calcutta, con soggiorni prolungati presso opulente residenze in Europa e negli Stati Uniti, volando da Roma a Londra a New York su aerei privati.

Madre Teresa è il supremo esempio di quel tipo di icona accettabilmente conservatrice diffusa da una cultura dominata dalle élite, una “santa” che non ha espresso una parola critica contro le ingiustizie sociali, e che ha mantenuto comode relazioni con i ricchi, i corrotti e i potenti.

Ha dichiarato di essere al di sopra della politica quando era di fatto marcatamente ostile verso ogni tipo di riforma progressista. Teresa era amica di Ronald Reagan, e intima del conservatore magnate britannico dei media Malcolm Muggerridge. Era una gradita ospite del dittatore haitiano “Baby Doc” Duvalier, e aveva il supporto e l'ammirazione di una quantità di dittatori centro e sudamericani.

Teresa fu il modello di santo per Papa Giovanni Paolo II. Dopo la sua morte nel 1997, avviò il periodo di attesa quinquennale che si osserva prima di cominciare il processo di beatificazione che porta alla santificazione. Nel 2003, a tempo di record, Madre Teresa fu beatificata, il passo finale prima della canonizzazione.

Ma nel 2007 il processo di canonizzazione incontrò degli ostacoli lungo la sua strada, essendo stato svelato che insieme a varie altre sue contraddizioni Teresa non era un bastione di gioia spirituale e di solida fede. I suoi diari, esaminati dalle autorità cattoliche a Calcutta, hanno rivelato che è stata tormentata dai dubbi: “Sento che Dio non mi vuole, che Dio non è Dio e che non esiste davvero”. La gente pensa che “la mia fede, la mia speranza e il mio amore siano straripanti e che la mia intimità con Dio e l'unione dei nostri cuori riempia il mio. Se solo sapessero”, scrisse, “che il Paradiso non significa nulla”.

Attraverso molte tormentate notti insonni emise pensieri come questo: “Mi si dice che Dio mi ama – e invece la realtà di oscurità e freddo e vuoto è talmente grande che niente tocca la mia anima”. Il Messaggero, popolare quotidiano romano, ha commentato: “La vera Madre Teresa fu una persona che ebbe visioni per un anno e dubbi per i 50 successivi – fino alla sua morte”.

Un altro esempio di santificazione lampo, spinta da Papa Giovanni Paolo II, avvenne nel 1992 quando egli beatificò rapidamente il reazionario Mons. José María Escrivá de Balaguer, sostenitore dei regimi fascisti in Spagna e altrove, e fondatore dell'Opus Dei, un potente e riservato movimento ultra-conservatore “temuto da molti come una sinistra setta dentro la Chiesa Cattolica”. La beatificazione di Escrivá arrivò solo diciassette anni dopo la sua morte, un record battuto solo con l'arrivo di Madre Teresa.

Seguendo la propria agenda politica, Giovanni Paolo utilizzò un'istituzione della Chiesa, la santificazione, per conferire una speciale santità a ultra-conservatori come Escrivá e Teresa—e implicitamente a tutto ciò che essi rappresentarono. Un altro fra gli ultra-conservatori santificato da Giovanni Paolo, abbastanza stranamente, fu l'ultimo regnante asburgico dell'impero Austro-Ungarico, Carlo I d'Austria, che regnò durante la Prima Guerra Mondiale.

Giovanni Paolo beatificò anche il Cardinale Alojzije Viktor Stepinac, il principale prelato croato che accolse la conquista della Croazia da parte dei nazisti e degli ùstascia fascisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Stepinac sedette nel parlamento ùstascia, apparve in numerosi eventi pubblici assieme a alti esponenti nazisti e ùstascia, e sostenne apertamente il regime fascista croato.

  

[FOTO: Chiesa e Fascismo: a sinistra Escrivà de Balaguer, sostenitore di Francisco Franco in Spagna. A destra Alojzije Viktor Stepinac con il criminale nazista, e leader ustascia, Ante Pavelic]

Nel panteon celeste di Giovanni Paolo, i reazionari ebbero migliori chance per la canonizzazione rispetto ai riformatori. Si consideri il trattamento che ha riservato all'Arcivescovo Oscar Romero che parlò contro le ingiustizie e le oppressioni patite dal popolo impoverito di El Salvador e che per questo fu assassinato da una squadra della morte di destra. Giovanni Paolo non ha mai denunciato l'assassinio o i suoi perpetratori, definendolo solamente “tragico”. Di fatto, appena qualche settimana prima dell'omicidio, alti funzionari del partito Arena, il braccio legale delle squadre della morte, inviarono una delegazione ben accolta in Vaticano per protestare a causa delle affermazioni pubbliche di Romero nel nome dei poveri.

Romero era considerato una specie di santo da molti poveri Salvadoregni, ma Giovanni Paolo tentò di bandire qualunque discussione della sua beatificazione per cinquant'anni. La pressione popolare da El Salvador portò il Vaticano a tagliare il ritardo a venticinque anni. In ogni caso, Romero è stato destinato alla “linea lenta”.

Il successore di Giovanni Paolo, Benedetto XVI, ha avviato il periodo di attesa quinquennale allo scopo di collocare istantaneamente lo stesso Giovanni Paolo II su una strada ultra-veloce per la canonizzazione, correndo fianco a fianco con Teresa. Già dal 2005 ci sono stati rapporti di possibili miracoli attribuiti al pontefice polacco recentemente scomparso.

Uno di tali resoconti è stato offerto dal Cardinale Francesco Marchisano. Mentre pranzava con Giovanni Paolo, il cardinale indicò che a causa di una malattia non poteva usare la propria voce. Il papa “accarezzò la mia gola, come un fratello, come il padre che era. Dopo di ciò mi sottoposi ad una terapia di sette mesi, e fui nuovamente capace di parlare”. Marchisano pensa che il pontefice potrebbe aver dato una mano nelle cure: “Potrebbe essere”, ha detto. Un miracolo! Viva il papa!


Le pubblicazioni recenti di Michael Parenti comprendono: Contrary Notions: The Michael Parenti Reader (City Lights, 2007); Democracy for the Few, ottava ed. (Wadsworth, 2007); The Culture Struggle (Seven Stories, 2006).

Titolo originale: "Mother Teresa, John Paul II, and the Fast-Track Saints"

22.10.2007


Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di STIMIATO 

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Riceviamo e volentieri segnaliamo:


18 novembre 2007
Roma

Dall' 11 settembre ad oggi. Come lavora la fabbrica del terrore. Presentazione del progetto ''Zero'' di Giulietto Chiesa e de ''La Fabbrica del Terrore'', Arianna Editrice, di Webster Tarpley. Ore 17 Libreria Odradek - Via Banchi Vecchi, 57. Info: 339.8881082


(L'indice del libro ZERO, e la introduzione di Giulietto Chiesa:

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5625 )


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Risposta a Umberto Eco

Giulietto Chiesa

Umberto Eco ammette che il suo contributo al volume “La cospirazione impossibile” “non era tanto sull’11 settembre quanto sull’eterna sindrome del complotto”.  La postfazione allo stesso volume pare – secondo qualcuno dei curatori dello stesso – sia stata loro imposta dall’editore, poiché loro erano tutti ostili. Comprendo l’irritazione. L’autore del breve saggio era il prof. Odifreddi. Il suo argomentare, molto preciso, avrebbe infatti perfettamente potuto fare parte del volume da me curato con Roberto Vignoli.
In sintesi le due firme più autorevoli del volume o parlavano d’altro (l’eterna sindrome del complotto) oppure dicevano cose per molti aspetti  molto simili a quelle che abbiamo pubblicato noi. Bell’impresa davvero, si potrebbe dire.
Il fatto è , però, che noi non ci siamo curati di questioni “eterne”, ma di una specifica questione, e solo di quella. L’eternità non è il nostro forte anche perché – come qualcuno ha scritto – non ci siamo mai stati.
Ma veniamo al dunque dell’argomentazione di Umberto Eco. Lui, come Carlo Bonini su Repubblica, fondano praticamente tutta la loro – si fa per dire – contestazione del libro e del film “Zero” sull’assenza della “gola profonda” e sull’idea che qualcuno delle centinaia di partecipanti avrebbe dovuto, prima o dopo, parlare.
Ora il film Zero contiene una successione di testimonianze di persone che hanno visto da vicno l’accaduto, da posizioni di alta competenza tecnica e professionale. Nel  volume c’è un’appendice con 65 nominativi che contestano la versione ufficiale dell’11 settembre: tra essi ex capi della Cia, ex membri delle amministrazioni Usa, alti funzionari americani, alti ufficiali dell’esercito etc.
Uno di questi testimoni, la signora Barbara Honegger, è stata una “gola profonda” a denominazione di origine controllata perché fece saltare sulle poltrone mezza Washington quando rivelò, nel suo “October Surprise”, l’intero affare Iran-Contras, un bel “complotto” che servì, tra le altre cose, a impedire la rielezione del presidente Jimmy Carter. Nel film la signora Honegger  compare nella stessa veste di accusatrice molto bene informata, essendo una voce interna nientemeno che al Pentagono (e avendo raccolto di persona testimonianze, fatti, nomi, a sostegno della sua denuncia). Non è una “gola profonda”? Se non lo è, è solo perché il mainstream non ha dedicato alle sue rivelazioni una sola riga in questi anni. Siamo andati noi a cercarla.
E non è l’unica. Quindi la domanda per Umberto Eco è: quante sono le “gole profonde” necessarie perché  l’11 settembre esca dall’Eterna Sindrome” e diventi materia di esame politico e giornalistico?
E gli agenti dell’Mi 5 (che dicono che Al Qaeda l’hanno inventata i servizi segreti americani e britannici) non li includiamo tra le “gole profonde”? Come mai? E l’ex console americano a Jeddah (che rivela che era la Cia a premere perché fossero dati i visti d’ingresso negli Usa ai terroristi) in quale categoria lo mettiamo? E   e gli agenti dell’Fbi, presenti nel film in abbondanza, che hanno denunciato ripetutamente e pubblicamente i responsabili della loro organizzazione per avere bloccato, sviato, impedito le indagini da loro stessi avviate?  Non sono “gole profonde” anche loro?
Oppure la qualifica di “gola profonda” si addice solo ai complici che hanno partecipato direttamente alle varie fasi?
Ma se è di queste “gole profonde” che si va in cerca, sarà  molto difficile trovarne, da qui all’eternità. Perché, per fare solo alcuni casi, di gole profonde non ce n’è stata nemmeno mezza nel caso del rapimento di Aldo Moro. Ma nemmeno nel caso della strage di Piazza Fontana, e neppure in quello della stazione di Bologna. Tant’è che, ancora oggi, non sappiamo la verità su nessuno di quei tre eventi. Se infatti, per divenire complotto, un evento deve includere una “gola profonda” che lo svela, allora nessuno di quelli fu un complotto. Anche se le indagini che furono effettuate, senza gole profonde, portarono in tutti e tre i casi a individuare operazioni ben più corpose che un semplice attentato terroristico compiuto da qualche scalmanato fanatico, rosso o nero, e includenti la partecipazione di un numero ben più vasto di partecipanti.
Ma si potrebbe aggiungere altro, tanto per uscire dai confini italiani. Risulta a Eco, per esempio, che nell’affare del Golfo del Tonchino (quello che diene avvio alla guerra del Vietnam) ci sia stata un gola profonda? A me non risulta. Ci furono documenti di archivio desecretati dopo decenni, e trovati da qualche storico. Non era un complotto? E come chiamare allora un’operazione che trascina in guerra un paese come l’America e che è basata sulla menzogna? E quanti furono gli ufficiali della marina Usa e dello Stato Maggiore coinvolti nell’inganno, che non parlarono?
Insomma: potremmo andare avanti a oltranza. E scopriremmo che non sempre un complotto ha la sua gola profonda. E che la “prova del silenzio” non è semplicemente una prova.
Tanto più che non si può diventare gola profonda se non c’è nessuno disposto a pubblicare quello che riveli e, anzi, se l’intero sistema dell’informazione è pronto a darti addosso, accusandoti di essere amico dei terroristi, traditore della patria, antisemita, negazionista della Shoà, comunista e nazista nello stesso tempo. Forse i ricercatori delusi delle gole profonde dell’11 settembre dovrebbero chiedersi se, con il loro silenzio e la loro ignavia, non abbiano contribuito a impedire alle molte gole profonde che esistevano ed esistono di farci sapere la verità.

(28/10/2007)