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From: Claudia Cernigoi <nuovaalabarda @ yahoo . it>
Date: September 2, 2007 2:21:33 PM GMT+02:00
To: "Coord. Naz. per la Jugoslavia"
Subject: Re: [JUGOINFO] Visnjica broj 672

Sarà un caso che il noto terrorista nero Giusva Fioravanti è uscito
in semilibertà dal carcere per andare a lavorare nell'associazione
"Nessuno tocchi Caino"?
Sarà un caso che la sua degna sposa, Francesca Mambro, avesse fatto
carriera nel partito radicale?
Sì, sono domande polemiche.
Claudia Cernigoi


> "Coord. Naz. per la Jugoslavia" ha scritto:
>
> "NESSUNO TOCCHI KAGAME "
>
>
> http://www.contropiano.org
>
> Nigrizia contesta il premio assegnato dai radicali (Nessuno tocchi
> Caino) al presidente del Ruanda, Kagame
>
> Dura presa di posizione del mensile dei missionari comboniani
> "Nigrizia" al premio di ‘Abolizionista dell’anno’ conferito oggi al
> presidente del Rwanda Paul Kagame dall’associazione italiana ‘Nessuno
> tocchi Caino'. Ecco il testo che ci è stato inviato con richiesta di
> diffusione.
>
> "Paul Kagame, presidente del Rwanda, che ha conquistato il potere con
> le armi nel 1994, è uno degli uomini politici più discussi d’Africa.
> Discusso perché non sono affatto state chiarite le circostanze che
> hanno scatenato il genocidio del 1994 (morirono almeno 500.000 tutsi
> e hutu moderati) e l’eventuale ruolo dello stesso Kagame. Discusso
> per come si è mosso in questi anni nell’area dei Grandi Laghi e, in
> particolare, nei confronti della Repubblica democratica del Congo,
> contro la quale ha condotto una guerra (1998-2003) per accaparrarsi
> risorse e fette di territorio. Discusso per come si rapporta con i
> vari tribunali che si occupano del genocidio. Discusso per come sta
> gestendo, all’interno del paese, l’amministrazione della giustizia in
> relazione ai sospettati e condannati per il genocidio. Discusso
> perché il suo regime non garantisce le libertà fondamentali.
> Nonostante tutto ciò, “Nessuno tocchi Caino”, l’associazione
> presieduta da Marco Pannella ha pensato bene di premiare il
> presidente Kagame, perché ha abolito la pena di morte. Il premio gli
> verrà consegnato oggi pomeriggio dal presidente del consiglio Romano
> Prodi. Nigrizia, che segue giorno dopo giorno le vicende di paesi
> africani, ritiene che si tratti di una premiazione paradossale, che
> fa il gioco di un regime autoritario e che non tiene conto di
> numerosi aspetti “problematici” che punteggiano la carriera politica
> e l’attuale vita pubblica del generale Kagame. A questo riguardo,
> segnaliamo la reazione di padre Aurelio Boscaini, un missionario
> comboniano che ha lavorato a lungo in quell’area e che ieri ha
> inviato una protesta agli organizzatori del premio. Ne diamo alcuni
> stralci. «Esprimo tutto il mio sdegno nell’apprendere che oggi verrà
> consegnato il premio “L’abolizionista dell’anno 2007” al presidente
> del Rwanda, Paul Kagame. È come se mi si volesse raccontare – a me
> che sono stato missionario in Rwanda – una blague (barzelletta)! Mi
> sono chiesto se conoscete veramente questo assassino, che dovrebbe
> avere sulla coscienza qualche milione di morti. O credete che questo
> generale sia il Caino convertito? Magari!!! Chi ha ammazzato i
> milioni di persone nella Repubblica democratica del Congo, dopo il
> genocidio del 1994? Chi ha scatenato la guerra contro Kabila padre?
> Chi ha abbattuto l’aereo su cui si trovava Habyarimana? O siete di
> quelli che credono al film Hotel Rwanda?!». «Basta che un generale
> annunzi l’abolizione della pena di morte, e voi siete così... ingenui
> da credergli? Dov’è la democrazia in Rwanda? Avete chiesto a
> Bizimungu, primo presidente dopo il genocidio, cosa pensa di Kagame?
> E l’avete domandato alle decine di migliaia che marciscono nelle
> prigioni rwandesi? Volete dare il premio Nobel della pace a un
> Hitler?». «Sono contro tutte le guerre (quante ne ho viste in
> Africa!) e contro la pena di morte in assoluto. Dovete chiedere
> l’abolizione, non la moratoria. Anche se so benissimo che si fa un
> passo alla volta! Mi sembra vogliate gridare: “Viva l’Africa dei
> generali!”. I tutsi sono riusciti in una impresa mediatica fantastica
> e voi vi accodate!». «L’Italia che premia un génocidaire!? Se davvero
> i tutsi sono stati uccisi in così grande numero (come tutti
> raccontano), non ce ne sarebbero più in giro! Ma so che non si deve
> parlare né di tutsi né di hutu, come se i nostri fratelli africani
> avessero dimenticato a quale etnia o clan appartengono! Ma gli
> africani sono orgogliosi delle loro origini etniche, e quelli che non
> hanno nulla da perdere, le riconoscono gioiosamente!». «Viva,
> comunque, l’Africa e chi vi muore per la libertà, senza mai aver
> sparato. Il giorno della libertà è vicino anche per il Rwanda, se gli
> Stati Uniti non sosterranno più Kagame né acquisteranno più il coltan
> che il generale-presidente va a rubare in Congo!".
> (Misna)

LA CADUTA DEI MURI ED IL BLOCCO DEI CONFINI


Vi racconto brevemente una piccola storia ignobile dei nostri giorni.
Da diversi anni una mia conoscente, che vive a Trieste, ha instaurato
assieme a suoi amici e familiari, un bel rapporto di amicizia con una
famiglia di Belgrado. Di conseguenza, a volte i triestini andavano a
trovare gli amici di Belgrado, altre volte erano i belgradesi a
recarsi a Trieste.
Tutto è andato bene per diversi anni sotto il "regime" di Tito,
mentre oggidì, che abbiamo abbattuto tutti i muri per permettere la
libera circolazione in Europa agli europei, gli amici di Belgrado
hanno fatto a giugno scorso richiesta di visto turistico per venire a
Trieste. Dopo due mesi di attesa e dopo avere sostenuto delle spese
non indifferenti rispetto all'entità delle loro pensioni (eh sì,
perché parliamo di persone che hanno ormai ottant'anni) dopo due mesi
si sono sentiti rispondere dalle autorità italiane che per agosto
nonc'è niente da fare, e che per sett embre bisogna ancora vedere ma
non gli assicurano niente.
A questo punto, per evitare di rimetterci tutti i soldi del biglietto
del treno (che doveva essere comprato in anticipo ed esibito), i
belgradesi hanno deciso di rinunciare al viaggio.
Valeva proprio la pena di sfasciare la Jugoslavia per arrivare a
questo punto di "libertà"!
Con profondo disgusto
Claudia Cernigoi


a cura di Giulietto Chiesa e Roberto Vignoli 
Edizioni Piemme, pag. 412, 17,50 €

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Care lettrici e cari lettori,
la denuncia delle menzogne sull'11 settembre e, più in generale, del grande inganno della “guerra al terrorismo” è sempre stata - sin dalla nascita di Information Guerrilla nel luglio 2001, dopo il G8 di Genova - uno dei principali obiettivi della nostra attività d'informazione indipendente. Scrivevamo allora nel nostro “atto di nascita” che “la follia di questo stato di guerra e di emergenza permanente serve per controllarci meglio. Per non farci vivere come potremmo”. Alla luce di quanto accaduto in questi sei anni - l'erosione sistematica degli spazi di libertà e di dissenso - siamo oggi più convinti che mai, come afferma Giulietto Chiesa, che “l’alternativa alla guerra per il dominio, che i progettisti dell’11/9 hanno in mente, è un grande compromesso per fare la pace con il pianeta che ci ospita. Ma per costruire questo compromesso, che comporta sacrifici per i più ricchi, occorre smascherare il progetto di una guerra senza fine, che porterà alla catastrofe. Ecco perché la verità sull’11 settembre 2001 è importante, anzi essenziale: per sopravvivere.”
Per questo segnaliamo l'uscita di “Zero. Perchè la versione ufficiale sull'11 settembre è un falso”, un libro collettivo (con interventi di Giulietto Chiesa, Gore Vidal, Franco Cardini e Marina Montesano, Gianni Vattimo, Claudio Fracassi, Jurgen Helsasser, Michel Chossudovsky, David Ray Griffin, Thierry Meyssan, Andreas von Bulow, Steven E. Jones, Enzo Modugno, Lidia Ravera, Webster Griffin Tarpley, Barry Zwicker) curato da chi scrive insieme a Giulietto Chiesa, che prosegue idealmente quanto fatto anche da Information Guerrilla in questi anni.
Di seguito vi proponiamo l'introduzione al volume di Giulietto Chiesa.
Buona lettura.

Roberto Vignoli - Information Guerrilla

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INTRODUZIONE

di Giulietto Chiesa

La ragione principale che mi ha spinto a promuovere questo lavoro collettivo risiede nella mia profonda convinzione, che so essere condivisa da tutti coloro che vi hanno preso parte, che l’11 settembre è stato non solo un colossale inganno, perpetrato ai danni dell’intera umanità, ma che esso è stato ed è un’arma di tremenda potenza puntata contro la pace mondiale e i cui effetti – se non impediti – potrebbero mettere in causa la stessa sopravvivenza di milioni e perfino di miliardi di individui.

Come è stato detto autorevolmente, la verità sull’11 settembre non la conosceremo mai: non nei prossimi cento anni almeno. E questa realistica affermazione già implicitamente contiene l’ipotesi che la versione ufficiale non solo non ci ha detto la verità, ma è stata dettata da una ferrea ragion di stato, ben più tremenda del bilancio delle vittime di quel giorno, perché ha aperto la via a mostruose carneficine di innocenti. Che sono in corso mentre scrivo queste righe, e che possono dilagare se non ci sarà qualcuno capace di fermare la mano degli insensati che guidano il pianeta.

Noi siamo partiti dalla necessità della ricerca della verità, ben sapendo che essa non è celata in un posto solo. Meno che mai in qualche grotta afgana. Una ricerca che, per il solo fatto di esistere, si pone come barriera alla prosecuzione della guerra infinita che è cominciata l’11 settembre e che non accenna a terminare e, anzi, continuamente minaccia di estendersi e di incendiare il mondo.

Noi sappiamo dalla “prova di Godel”, che la quantità di proposizioni vere non dimostrabili è infinita, ma abbiamo sperimentato che è possibile dimostrare la falsità di un numero definito di proposizioni false. E siamo giunti pertanto, tutti insieme, noi che abbiamo lavorato qui in Italia, insieme alle decine di migliaia di ricercatori di tutto il mondo, alla conclusione che è sufficiente, per demolire il tabù, che si dimostri che la versione ufficiale è falsa. Perché chi ci ha raccontato questa enorme bugia non è stato – chiunque egli sia, con chiunque egli abbia lavorato, quale che sia stato il suo ruolo nella vicenda (e noi riteniamo che un ruolo importante lo abbia avuto) – Osama bin Laden. Non è stato Osama bin Laden a scrivere il rapporto finale della Commissione del Congresso degli Stati Uniti d’America.

David Ray Griffin dimostra impeccabilmente, in queste pagine, di quali e quante bugie quel rapporto sia farcito.
Gli autori dell’inganno sono stati coloro che ce lo hanno raccontato. Sapessero la verità oppure no è altra faccenda (più probabile che solo alcuni di loro si siano resi conto, o sapessero), ma si sono consapevolmente fermati davanti alla porta e non hanno voluto aprirla. Come molte persone normali, del resto, che arretrano impaurite di fronte all’evidenza, e preferiscono chiudere gli occhi, perché aprirli comporterebbe un grado di sofferenza che non sono in grado di affrontare. E, poiché noi siamo in condizione di dimostrare che gli autori del rapporto ufficiale hanno mentito, allora la nostra domanda è rivolta a loro: perché avete mentito, visto che secondo voi la risposta al quesito era così semplice da poter essere racchiusa in sole cinque parole: «è stato Osama bin Laden»?
Che bisogno c’era di raccontare tante bugie se la verità era così semplice come avete cercato di far credere?
Ed è subito evidente che, se noi abbiamo ragione, allora una serie gigantesca di interrogativi si affollano dietro il primo e fondamentale. Allora la guerra afgana perde il suo significato originario e ne acquista altri, del tutto diversi. Allora la decisione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che autorizzò l’attacco, perde ogni validità giuridica e si mostra per quello che è stato: esercizio del potere di imperio degli Stati Uniti sulla comunità internazionale. Allora si capisce perché la NATO fu trasformata, in anticipo, prima dell’11 settembre, da alleanza difensiva in offensiva e il suo ambito d’azione fu esteso a tutto il pianeta. Allora si capisce che la guerra contro l’Irak non fu bugiarda solo nel senso, ormai palese a tutti coloro che hanno un cervello in grado di funzionare, che non esistevano armi di distruzione di massa, ma anche in un altro senso: che era stata messa nei progetti di un gruppo di avventurieri che stavano complottando per prendere il potere negli Stati Uniti ben prima dell’11 settembre. Allora si capisce perché il Patriot Act era stato preparato con largo anticipo e venne tirato fuori dai cassetti al momento giusto, per sferrare un attacco mortale contro la democrazia americana.

Con questo lavoro noi vogliamo dare forza alla richiesta – che sale e si estende, con il passare degli anni, soprattutto negli Stati Uniti, il cui popolo è stato il primo destinatario, cioè la prima vittima di questa menzogna globale – di una commissione d’inchiesta internazionale che faccia luce sui misteri e sulle distorsioni che quell’evento ha prodotto. Sappiamo perfettamente che non esiste un tribunale, un luogo fisico, un’istanza giuridica che possa prendere una tale decisione. La sede opportuna sarebbe forse il Tribunale Penale Internazionale, ma gli Stati Uniti, non per caso, non ne fanno parte ed esso ha la stessa forza dei governi, alleati degli Stati Uniti, che l’hanno approvato e condiviso: cioè nessuna. Eppure la necessità di un giudizio imparziale è impellente, nell’interesse stesso dell’America, oltre che del resto del mondo. E solo un giurì internazionale di saggi, al di sopra di ogni sospetto, di ogni vincolo, di ogni affiliazione, di ogni interesse, può formulare un giudizio su cui la comunità internazionale possa fare affidamento. Questo libro intende essere un contributo per la creazione di una tale commissione internazionale, un incoraggiamento, un prologo, una raccolta di fatti e di idee che potrà essere messa a frutto da altri, che seguiranno su questa strada.

Dunque il nostro scopo collettivo non è soltanto il tentativo di fare luce su un evento che ha davvero impresso una violenta sterzata alla storia del mondo, quanto il proposito di spiegare i meccanismi che hanno impedito al mondo di difendersi dall’inganno, dalla minaccia. Questo lavoro vuole essere anche la descrizione e l’analisi di quel tabù che attanaglia da sei anni la politica mondiale, che paralizza le classi politiche dell’Occidente e del mondo intero, che ha trasformato la politica internazionale in una interminabile giaculatoria il cui mantra obbligatorio è la ripetizione rituale della necessità di «combattere il terrorismo internazionale».

L’11 settembre 2001 ha segnato l’innalzarsi tragico di un totem sulle nostre teste. Una cerimonia di sangue, con il sacrificio umano di tremila innocenti, ha celebrato una nuova era di terrore collettivo. Tutti dovevano assistere, e infatti hanno assistito. Anzi si potrebbe dire che l’11 settembre è stato pensato per essere visto da tutti. Un 11 settembre senza televisione globale non sarebbe servito. A ben guardare, oltre alle menzogne che racchiude, l’11 settembre riassume in sé, come tutti gli eventi epocali che hanno contraddistinto la storia umana, molti paradigmi e perfino molte anticipazioni del futuro.
Ecco perché appaiono davvero ben ridicoli e miseri tutti i tentativi di razionalizzare quell’evento basandosi sul senso comune, o di racchiudere l’evento all’interno della sequela dei particolari tecnici, dei dettagli, che è poi il modo migliore per renderlo incomprensibile, perché lo decontestualizza, perché il mare di particolari impedisce di guardare l’insieme, perché è il vecchio vizio di concentrarsi sull’albero per non vedere la foresta.
Per la semplice ragione che quell’evento è la quint’essenza dell’uso manipolatorio del senso comune.
Chi l’ha pensato sapeva perfettamente qual è la psicologia dell’uomo della strada. Sapeva che è molto più facile, per una persona normale, accettare la spiegazione di un evento di mostruosa violenza come il risultato della follia e del fanatismo. Un individuo è “normale” proprio in quanto rispetta le norme del vivere civile. Le rispetta perché le ha introiettate e fatte proprie.
Per esempio non uccide gli altri, non tortura, non commette violenze. È difficile, quando non impossibile, che una persona normale possa accettare il fatto che qualcuno possa freddamente progettare un assassinio di massa. È fuori, appunto, dalla dimensione umana normale. È molto più facile, per una persona normale, accettare la spiegazione di un evento di mostruosa ferocia come il risultato della follia, o del fanatismo. Ciascuno di noi ha incontrato, almeno qualche volta nella vita, la follia, e ha visto in azione il fanatismo, magari in televisione. È un’esperienza abbastanza comune. Ma non è affatto esperienza comune conoscere chi progetta stragi seduto in poltrona, in gabinetti ovattati, circondato di tecnologie raffinate. Steven Jones, professore universitario, fisico, ci mostra come l’11 settembre non può essere stato il frutto di un’improvvisazione dilettantesca di un gruppo di fanatici senza conoscenze scientifiche precise.

Andreas von Bulow, che di apparati dei servizi di sicurezza è esperto, analizza le principali ipotesi sul terreno in base alla quantità di materiali informativi disponibili. E conclude per la tesi di un’operazione d’intelligence nascosta sotto falsa bandiera.
Un atto di tale potenza attribuito a un gruppo di sprovveduti (cosa che si può affermare senza il minimo dubbio) e fanatici (cosa che appare altamente inattendibile in base alla stessa descrizione offerta dalla teoria ufficiale) terroristi kamikaze (cosa di cui è lecito, almeno per alcuni di loro dubitare)?
Von Bulow la considera un’ipotesi addirittura comica.

Il fatto è che molte delle cose che sono emerse di fronte agli occhi della stessa commissione ufficiale, sono poi state eliminate dal rapporto, cancellate del tutto o collocate in posizione tale da risultare secondarie o quasi invisibili. Con il risultato che quei dieci senatori, guidati dal presidente Thomas H. Kean e dal vicepresidente Lee H. Hamilton si comportano come se avessero accettato di farsi accompagnare per mano dentro una favola a cartoni animati, dove tutte le spiegazioni sono semplici e chiare. Si spiega solo in questo modo, che ci fa precipitare nell’assurdo, il fatto che fin dalla prima pagina del 9/11 Commission Report comincia l’elenco delle assurdità “accertate” dagli 81 membri dello staff. Un gruppo di “esperti” sulla cui modalità di scelta nessuno è riuscito a indagare, guidato dal direttore esecutivo Philip Zelikow, uomo troppo addentro a diverse amministrazioni americane, troppo amico di Condoleezza Rice, per poter essere nominato a quell’incarico senza violare la stessa legge istitutiva della commissione d’indagine, che avrebbe dovuto scandagliare proprio le responsabilità delle inefficienze dello stato (essendo evidente fin dall’inizio che altro quella commissione non avrebbe potuto indagare, e che essa era stata costituita, dopo oltre due anni di accanita resistenza del presidente Bush, solo ed esclusivamente per portare acqua alla versione ufficiale, già acquisita per vera).

Il famoso Mohammed Atta vi compare fin dalla prima pagina, non per chiarire interrogativi e misteri, ma per infittirli a dismisura.
La puntigliosa ricostruzione dei suoi movimenti serve soltanto a mostrare l’inspiegabile. L’uomo chiave dell’attentato, l’organizzatore, il coordinatore del gruppo dei diciannove, colui cui era affidato il delicatissimo compito di garantire che tutti si trovassero al posto giusto nel momento giusto dell’evento che doveva cambiare i rapporti di forza tra il Grande Satana e l’Islam, se ne va a spasso all’improvviso, poche ore prima dell’ora X, mettendo a rischio l’intero progetto. Sbalorditivo? Eppure, stando al racconto ufficiale, risulta così. Mohammed Atta, ben sapendo che il giorno 11 settembre, alle 7.45, avrebbe dovuto salire a bordo del volo American Airlines 11, in partenza dall’aeroporto Logan di Boston alla volta di Los Angeles... parte da Boston, dove già si trovava, il giorno 10 settembre, in macchina, per raggiungere la città di Portland, nel Maine, insieme al compare Omari. In effetti solo un demente avrebbe potuto partire per Portland sapendo che l’unico modo per tornare a Boston sarebbe stato il volo 5930 in partenza da Portland alle ore 6.00 del mattino e che lo avrebbe fatto arrivare a Boston appena in tempo per l’imbarco sull’altrettanto “storico” volo AA 11. Così infatti, stando alla ricostruzione ufficiale, avvenne.
Ma perché Atta andò a Portland il giorno prima nessuno ha saputo spiegarselo. Nemmeno la Commissione che, alla nota 1 di pagina 451, candidamente ammette: «Non vi è alcuna evidenza documentabile materialmente, o individuabile analiticamente, in grado di spiegare perché Atta e Omari andarono in auto a Portland».
Resta il fatto che Mohammed Atta riuscì a imbarcarsi per il rotto della cuffia. Ma cosa sarebbe accaduto se, per una qualche avventura imprevista, il volo da Portland avesse subito un ritardo anche di soli quindici minuti? Dovremmo concluderne che tutta l’operazione sarebbe stata rinviata per colpa di una così totale leggerezza? Le altre 566 pagine continuano allo stesso livello di stupefacente ingenuità. Specie se si tiene conto – altra circostanza sbalorditiva – che, proprio quella mattina, erano programmate una serie di esercitazioni militari delle forze aeree statunitensi che dislocarono la gran parte dei caccia intercettatori assai lontano dai luoghi che sarebbero stati teatro dell’evento.

Illuminante al riguardo il contributo di Webster Tarpley. Sapevano i terroristi di una tale formidabile, sbalorditiva, fortunosa circostanza? Perché è davvero difficile pensare a una coincidenza casuale di tali proporzioni. E, nel caso sapessero, chi li aveva informati? Non è venuto, a nessuno dei senatori della Commissione, il sospetto che i terroristi avevano talpe fin dentro i supremi gradi dello stato maggiore dell’aviazione statunitense?
E, anche il solo, quasi inevitabile sospetto, non sarebbe stato materia per un’approfondita indagine, per verificare chi avesse fornito al gruppo terroristico informazioni di tale importanza strategica? Eppure nulla di tutto ciò è avvenuto, nemmeno in seguito. Tutto ciò che appariva anormale, insolito, tutto ciò che avrebbe attirato l’attenzione del più sprovveduto degli investigatori, è stato tolto di mezzo.
Ha davvero ragione Gore Vidal quando ci dice, nell’intervista qui contenuta, che il livello d’incompetenza della Commissione Kean-Hamilton-Zelikow è pari soltanto a quello della Commissione Warren, quella che stabilì senza appello che Harvey Lee Oswald aveva assassinato John Kennedy facendo tutto da solo, sparando in rapida successione, con una mira spettacolare, da un fucile Mannlicher-Carcano che non era a ripetizione, mentre avrebbe potuto procurarsene uno decisamente migliore con poca spesa in uno qualunque dei negozi di Dallas.

Del resto, cosa aspettarsi dai risultati di un’inchiesta che dichiara fin dall’inizio che il suo scopo «non è stato quello di impartire accuse individuali»? E se non era per individuare le responsabilità per gli errori e le incompetenze (unico scopo esplicito per il quale la commissione era stata richiesta dai democratici del Congresso), a cosa doveva servire una tale commissione? Ed essendo assolutamente evidente che vi erano state, come minimo, pesantissime responsabilità nell’incapacità di reagire della difesa aerea degli Stati Uniti, nel Servizio Segreto, nella CIA e nell’FBI, come spiegare la funzione della commissione?
Ed essendo lo stesso rapporto del tutto chiaro su alcune di queste responsabilità, dovute a negligenza e incompetenza tali da sfiorare l’alto tradimento, come si spiega che nessuno, dicasi nessuno, dei responsabili delle diverse agenzie governative sia stato successivamente punito, processato, diminuito di grado, licenziato, mentre, per converso, non pochi dei più inetti dirigenti politici e militari implicati vennero promossi a cariche superiori nei mesi e anni successivi?
E come spiegare che in questi sei anni trascorsi non un solo processo sia stato celebrato negli Stati Uniti per punire le responsabilità di cittadini americani – questa storia ne trabocca – che non hanno fatto il loro dovere? Mentre altri cittadini americani che hanno dimostrato fedeltà alla patria e al dovere sono stati puniti, licenziati, degradati?

Domande, domande e ancora domande, tra le mille che non hanno avuto risposta e che non possono averla nel contesto di un’indagine sballata, preconfezionata, lacunosa e carente in decine di punti, quando non esplicitamente bugiarda in altri. Occorre dunque ricostruire un contesto diverso per spiegare l’accaduto.
Questo libro si propone di mettere ordine nel mare delle domande e di fornire qualche ricetta per difendersi dai silenzi, dalle distorsioni e dalle falsità. Come fa Gianni Vattimo, nel suo breve ma intenso contributo in tema di difesa dalla manipolazione, riferito all’Italia, ma valido universalmente.
E Thierry Meyssan, cui dobbiamo i primi tentativi di smascheramento della menzogna, e che ha dovuto subire, per questo, l’offensiva concentrica di tutto il mainstream informativo francese, destra e sinistra avvinghiate nello stesso rifiuto di vedere, porta su queste pagine alcune clamorose scoperte: quelle, per inciso, come egli stesso racconta, che lo costrinsero a mettersi sulle tracce dei mentitori come un segugio di razza. Anche lui, come molti altri, “scopre” l’11 settembre fin dai primi minuti, quando è ancora possibile vedere, in tempo reale, le bugie mentre si dipanano. Dobbiamo a lui la scoperta dei dispacci della agenzia France Presse in cui si dà notizia di esplosioni all’interno del Pentagono prima dell’arrivo dell’“aereo”. E altri dispacci dai quali emerge che la stessa agenzia “sapeva” che l’aereo in avvicinamento si stava dirigendo verso il Pentagono.
Un po’ come le decine di giornalisti televisivi che raccontarono delle decine di esplosioni nelle torri gemelle, prima del crollo.
Tutte cose che sono poi sparite e che è stato necessario ricostruire.

La conclusione preliminare è che solo un’alta vigilanza intellettuale consente di resistere alla menzogna, e che, dopo averla scoperta, occorre il coraggio civico di denunciarla. E questo libro, in fondo, è proprio un tentativo di resistenza intellettuale, prima ancora che civile: di chi rifiuta, per dignità, di farsi abbindolare.
Domande che sollevano spesso l’indignazione e l’esecrazione di coloro che non possono tollerare il dubbio, specie quando esso tocca i loro idoli, i loro totem. Specie quando esso colpisce e disintegra il tabù. In questo caso il tabù è l’intangibilità della supremazia degli Stati Uniti d’America, che ci sono stati inculcati come la culla della democrazia, il faro della libertà, i salvatori dell’Europa dal nazismo e del mondo dal comunismo.
Il solo porre domande suscita nei bigotti prima lo sconcerto e poi la furia. Porre queste domande, per i bigotti, significa «parlare male dell’America», bestemmiare l’America. Fino all’imbestialita – di solito – aggressione verbale che ne consegue e che a costoro sembra naturale: «Ma lei sta sostenendo che gli americani se lo sono fatto da soli?».
Naturalmente nessuno degli autori qui presenti sostiene una tale imbecillità, che però è assai diffusa anche tra i giornalisti che, invece, dovrebbero essere tra coloro che pongono domande invece di impedirle.
A riprova che la categoria dei bigotti, come quella degli stupidi, è universalmente costante, come il compianto professor Cipolla dimostrò nel suo aureo libretto. Infatti l’ultima cosa che si può dire, a proposito dell’11 settembre, è che «gli americani se lo sono fatto da soli». Sarebbe del resto del tutto contrastante con l’opinione prevalente tra gli stessi cittadini americani che, per circa due terzi, hanno ripetutamente detto di non credere nella versione ufficiale e per più d’un terzo – sempre stando ai sondaggi d’opinione – ritengono che le autorità abbiano lasciato fare o siano state attivamente coinvolte nell’attentato.
Ma non occorre neppure essere d’accordo con cento milioni di americani. Sarebbe sufficiente immaginare qualcosa di molto simile a ciò che Hollywood ha già ripetutamente e magistralmente trasformato in fiction anticipatrici, in film memorabili come I tre giorni del condor, o Sesso e Potere, o Syriana, per elencare solo alcuni titoli. Vi sono cose, non solo in America, che sfuggono al controllo perfino dei massimi dirigenti politici.
Vi sono strutture segrete, segmenti di servizi impenetrabili, che agiscono in totale indipendenza, che hanno mezzi giganteschi per realizzare progetti di cui solo piccolissimi aggregati di persone sono al corrente. George Tenet, che allora dirigeva la CIA, disse che «solo quattro o cinque persone erano al corrente di ciò che sarebbe accaduto». Probabilmente lui stesso non era al corrente, il che non esclude che qualcuno attorno a lui fosse invece molto bene informato.
Ma, a coloro che, fingendosi ingenui, si scandalizzano quando vengono avanzate ipotesi concernenti queste strutture – la cui esistenza, come vedremo tra poco, non può essere messa in discussione – basterà ricordare l’esistenza dei gruppi UFO (Unauthorized Foreign Operations) rivelata da Oswald LeWinter nel corso di un incontro per inviti organizzato a Parigi dal Reseau Voltaire. E la testimonianza di LeWinter, general-maggiore ed ex “senior CIA officer” è cruciale perché egli lavorò, in qualità di NOC (Non Official Cover), sotto la direzione di James Angleton, il padre delle operazioni segrete della CIA. Cosa facessero questi NOC, secondo la descrizione di Oswald LeWinter, corrisponde perfettamente a quanto rivelò Seymour Hersh in un articolo sul «New Yorker» del gennaio 2005. Secondo quella scoperta, che – scrisse Seymour – gli fu riferita da fonti dei servizi segreti americani, «agenti militati sarebbero stati preparati per fingersi uomini d’affari corrotti, che cercano di comprare pezzi che possano essere usati per costruire bombe atomiche, in certi casi cittadini locali [cioè non americani, N.d.R.] potrebbero essere reclutati per entrare a far parte di gruppi guerriglieri o terroristici. Con il compito potenziale di organizzare ed eseguire operazioni di combattimento, o perfino operazioni terroristiche». Come si chiamano questi gruppi?
Con la sigla, sempre secondo Hersh, P2OG (Proactive Preemptive Operations Groups). Hersh, da giornalista di prima classe qual è, si era messo alla ricerca di tracce più precise quando, nel 2002, l’esistenza di un tale programma era emersa da una pubblicazione del Comitato Scientifico di Difesa del Pentagono.
Quando questo programma fosse entrato in funzione non veniva detto, ma la sua esistenza era nota dal 2002 e la fonte di Hersh gli aveva confidato che il programma era stato «rimesso in funzione» nel 2005. Ma i gruppi UFO, secondo LeWinter, esistevano ben da prima del 2001, con le stesse caratteristiche.
In sostanza per l’organizzazione di operazioni clandestine di elevata sofisticatezza, realizzate da spezzoni ultra segreti dei servizi per “stimolare reazioni” nei gruppi terroristici. Cioè operazioni di penetrazione, nei gruppi terroristici, di agenti provocatori, per spingerli ad azioni “errate”, che permettono, dopo essere state “scoperte”, di sgominarli o di ricattarli.

Prendiamo ora per esempio, come modello di riferimento, la storia del “complotto globale” (così venne definito dalla stampa britannica) del 10 agosto 2006, quando la polizia britannica arrestò 24 persone che sarebbero state in procinto di dirottare una decina di aerei in partenza da Londra verso gli Stati Uniti, probabilmente – dissero le fonti ufficiali – per ripetere su scala gigantesca l’11 settembre 2001. Gli attentati non erano di immediata attuazione perché, come emerse successivamente, i sospettati non avevano ancora nemmeno comprato, né prenotato, i biglietti aerei. Molti di loro non avevano nemmeno i passaporti per andare negli Stati Uniti, necessari per salire a bordo anche se non necessari per l’arrivo, che si ipotizzava suicida. Dunque perché far esplodere il caso in pieno agosto, periodo di vacanze estive per l’intera Europa? Queste notizie vennero riferite dalla NBC News, che citò una fonte ufficiale rimasta anonima.
La stessa rete tv riferì che molti dei sospetti erano sotto stretta sorveglianza da più d’un anno, cioè da prima degli attentati del luglio 2005. Ma se erano sotto vigilanza e non c’era pericolo imminente, perché scoprire tutto il gioco? NBC News riferì che la decisione di arrestarli subito «fu imposta dai funzionari di Washington».

Procediamo nell’analisi del “modello” presumibile di P2OG.
La “mente” del progetto fu subito indicata: un certo Rashid Rauf. Chi lo arresta, a Islamabad, è il famoso ISI, il servizio segreto militare pakistano. Rauf confessa, anzi – stando ai giornali pakistani – “crolla” sotto interrogatorio. Che non si fatica a indovinare di quale tipo. Le prigioni pakistane sono ben note per le pratiche di tortura che vi sono diffuse. Del resto anche Khaled Sheikh Mohammed, il famoso KSM che il rapporto ufficiale dell’11 settembre qualifica come l’ideatore dell’attentato a Manhattan, risulta essere stato interrogato con gli stessi metodi e negli stessi luoghi. La confessione, in quelle circostanze, è assicurata.
Rashid Rauf confessa anche che gli aerei sarebbero stati fatti esplodere in aria (ma non era stato detto che l’obiettivo era di ripetere su scala moltiplicata l’11 settembre, cioè di farli schiantare contro edifici pubblici di alto significato simbolico?) mediante un esplosivo denominato TATP, perossido di idrogeno, acetone e acido solforico. Dobbiamo alla sua confessione se oggi non si può salire a bordo di un aereo portando liquidi in quantità superiore a dosi stabilite. Sfortunatamente questa storia è totalmente impossibile, come dimostrarono numerosi esperti di esplosivi, spiegando ai giornali che per fare, con quei componenti, un esplosivo efficace sarebbero state necessarie più ore di quelle necessarie per un volo transatlantico, e con un sistema di attrezzature per esperimenti chimici, da introdurre nelle toilettes dell’aereo, che non avrebbe potuto passare inosservato. Ma, sebbene le prove dell’inapplicabilità di quelle procedure siano clamorosamente evidenti, si continua ad effettuare controlli sui liquidi, per i passeggeri aerei, che non hanno alcun senso. Come ha scritto il giornalista americano Thomas Green «il mondo intero è stato raggirato con un mito hollywoodiano di liquidi esplosivi binari, che ha guidato governi e determinato politiche. Cioè noi abbiamo reagito a un complotto cinematografico». Pura fiction, evidentemente di grande successo.

Ma veniamo alla domanda essenziale: chi l’ha prodotta?
Secondo la dettagliata analisi di Nafeez Mossadeq Ahmed, che cita a sua volta il capo del bureau pakistano di «Asia Times», Sved Shahzad, i cittadini britannici di origine pakistana arrestati a Lahore e Karachi in connessione con il complotto, erano tutti membri attivi del gruppo islamico britannico clandestino Al Muhajiroun, il cui capo è Omar Bakri Mohammed.
Costui è ora in Libano, dove è stato “esiliato” dalle autorità britanniche sebbene figuri tra i sospettati per le esplosioni del 7 luglio 2005 a Londra. Non è strano che, avendolo in mano, gli inglesi se lo siano fatto scappare? Risulterà meno strano quando si sappia che Omar Bakri Mohammed era un agente dell’MI-6 britannico, reclutato alla metà degli anni ’90 per reclutare, a sua volta, combattenti islamici per il Kosovo. Sempre secondo la stessa fonte, sia la CIA sia l’MI-6 avrebbero da tempo loro agenti infiltrati all’interno del gruppo Al Muhajiroun.

Come si può notare tutta la storia appare straordinariamente simile alla mission del gruppo P2OG: organizzare finti o veri attentati terroristici, penetrare all’interno dei gruppi terroristici per usarli a proprio piacimento. Ecco da dove viene la fiction nella quale tutti i media principali hanno immediatamente creduto, rivendendocela come realtà effettuale, contribuendo a organizzare la diversione.
In seguito tutto si sgonfierà come una bolla di sapone: le prove non saranno trovate, quasi tutti i membri del “complotto” verranno rilasciati. Resta una domanda, che spesso mi viene fatta quando cerco di spiegare che anche l’11 settembre è molto probabilmente qualcosa di analogo, con la sola differenza che è stato portato a compimento. Ma è possibile – c’è sempre qualcuno che mi fa questa domanda – che chi organizza questi spettacoli sia così sprovveduto da lasciarsi dietro tante incongruenze, così distratto da commettere tanti errori? La domanda è legittima, ma ingenua. Le incongruenze sono evidenti, ma solo pochi saranno in condizione di conoscerle. Evitare le incongruenze è tanto più difficile quanto più alto è il numero dei partecipanti, la gran parte dei quali commette errori, anche perché non è al corrente del piano di cui è parte. Il mainstream mediatico farà il resto. Occulterà le contraddizioni, distorcerà le conclusioni
logiche, tacerà dove c’è da tacere, parlerà d’altro impedendo che l’attenzione del pubblico si concentri sui “buchi” della storia. Quello che “passa” è la versione ufficiale, che crea l’ondata di panico opportuna per l’uso da parte dei poteri. Chi organizza queste cose non è affatto stupido: conosce il funzionamento dei media meglio di noi e anche meglio di molti direttori di giornali e di telegiornali.

Il saggio di Webster Tarpley traccia una lucida anatomia di qualcosa di simile a un colpo di stato, indicando i metodi di reclutamento dei “capri espiatori”, la costruzione di un sistema di “talpe” da piazzare nei gangli delle strutture dello stato, l’entrata in azione degli “specialisti” attraverso la trasformazione di esercitazioni militari, da lungo tempo programmate, in operazioni terroristiche reali.

Il bigottismo che circonda l’11 settembre è, a suo modo, la prova indiretta del successo dell’operazione. Chi ne contesta la versione ufficiale, che è quella di un complotto organizzato da un gruppo di terroristi islamici, viene accusato di “complottismo”.
Qui Barry Zwicker, con il suo sarcastico saggio intitolato Il complotto della “teoria del complotto” fa giustizia definitivamente dell’operazione che si proponeva, senza riuscirci, di chiudere tutte le bocche. E, in effetti, è una ben strana procedura mentale quella secondo la quale le autorità hanno diritto a elaborare le loro teorie del complotto, mentre gli altri, chiunque altro osi fare la stessa cosa, viene additato al pubblico ludibrio.
Dove stia il trucco è presto detto. Chi controlla il sistema mediatico lavora per consolidare le teorie ufficiali e per impedire il passaggio di altre intepretazioni. E, quando esse riescono a farsi strada da sole, grazie alla forza delle loro argomentazioni, allora si ricorre al discredito personale dei loro autori, mentre la schiera dei cosiddetti debunkers, gli addetti alla disinformazione, i raccoglitori di pulci, quelli che cercano il pelo nell’uovo dimenticando l’esistenza dell’uovo, vengono sguinzagliati nel web o nei giornali per sminuzzare il lavoro di ricerca in cento rivoli di contestazione. Operazione tanto più facile e truffaldina quanto più alto è il numero di coloro che, avendo diffidato della versione ufficiale, cercano legittimamente di trovare quella vera. Ed essendo non tutti all’altezza del compito che si sono prefissi, commettono errori. E gli errori sono molti di più delle scoperte vere. Per cui è facile intorbidire le acque attaccando gli errori, per nascondere le verità che emergono.
Oppure, semplicemente, prima facendo passare per pazzi e visionari tutti coloro che non stanno al gioco e, in ultima istanza, criminalizzando ogni lavoro di indagine. Con l’argomento principale, se non l’unico, a disposizione dei depistatori: chi non crede alla versione ufficiale è amico dei terroristi. Oppure intende deliberatamente scagionare i terroristi, cioè è un loro complice. È la collaudata metodologia della caccia alle streghe.

Il saggio di Jürgen Elsässer – che è, in assoluto, la migliore analisi fin qui apparsa della componente islamica del terrorismo dell’11 settembre – è l’esatta confutazione di ogni semplificazione del fenomeno terrorista che pretenda di esaurirlo nella sua componente islamica. È alla sua perspicacia di ricercatore e di giornalista che dobbiamo la dimostrazione del collegamento tra gli attentati dell’11 settembre, e poi di quello di Madrid, con la cosiddetta legione islamica bosniaca, quella che l’allora leader bosniaco Alija Izetbegovic impiantò con l’aiuto dell’MPRI (una “azienda” privata alle dipendenze della CIA) per combattere contro i serbi di Milosevic. I terroristi islamici dunque c’erano, certo che c’erano! Il problema è di capire cosa fecero, come c’entrarono, cosa sapevano.
Ma è proprio questo ciò su cui non si è voluto indagare: sui legami tra il terrorismo islamico e i servizi segreti statunitensi.

Michel Chossudovsky, nel suo saggio su Al Qaeda e la “guerra al terrore”, allarga lo sguardo tratteggiando lo scenario di una prosecuzione, con gli stessi, funambolici stratagemmi di “distrazione di massa”, della logica dell’11 settembre, mostrando con straordinaria chiarezza come non possiamo considerarci fuori dal pericolo, a studiare un evento ormai terminato. Al contrario. Quell’evento continua, come ci era stato detto dai suoi ideatori, e noi ci siamo dentro come vittime sacrificali. Parlarne, come facciamo tutti insieme, significa essere immediatamente accusati di antiamericanismo. In realtà nessuno tra coloro che hanno partecipato a questo libro è mai stato antiamericano.
Per la ovvia ragione, innanzitutto, che molti degli autori qui presenti sono cittadini americani, che sfidano il tabù in nome delle libertà americane conculcate. Ma anche i tedeschi, i francesi, gli italiani, i canadesi che hanno contribuito a questo lavoro con i loro scritti sono mossi dalle stesse motivazioni.
Non è l’America che è sotto accusa in queste pagine: sono coloro che hanno portato l’America nel vicolo cieco della guerra contro il resto del mondo a essere al centro di questa riflessione.
Basti qui citare quanto scriveva Paul Craig Roberts, segretario al Tesoro con Ronald Reagan, repubblicano convinto, ex commentatore del molto conservatore «Wall Street Journal», tutto il contrario di un antiamericano:
«Molti lettori patriottici mi hanno scritto esprimendomi le loro frustrazioni perché i fatti e il senso comune non possono farsi strada in una discussione dominata dall’isteria e dalla disinformazione. Mi sfidano a spiegare come mai tre edifici del World Trade Center sono crollati nello stesso giorno sulle loro fondamenta alla velocità di caduta libera: un evento che è escluso dalle leggi della fisica, a meno che non si sia trattato di una demolizione controllata. Essi insistono che vivremo in una guerra ininterrotta e in uno stato di polizia fino a che la versione governativa dell’11 settembre resterà incontestata. Potrebbero avere ragione. Non ci sono molti direttori di giornale disposti a ospitare la critica agli evidenti difetti del Rapporto della Commissione sull’11 di settembre. [...] Noi sappiamo che il governo ha mentito sulle armi di distruzione di massa in Irak, ma crediamo che il governo abbia detto la verità sull’11 settembre».

In questo contesto merita un po’ d’attenzione la posizione assunta, al riguardo, da un’autorità incontestabile come Noam Chomsky. Che, in una intervista a un gruppo di attivisti, ha messo insieme, devo dire con sbalorditiva efficacia negativa, tutti i luoghi comuni che sono stati usati dall’amministrazione statunitense, e poi amplificati dal mainstream informativo, per impedire ogni proseguimento delle indagini e per screditare chi lo avesse tentato. Tanto più sbalorditivo perché Chomsky sembra dimenticare, mentre dice ciò che dice, tutto ciò che lui stesso da decenni scrive sul sistema informativo americano e sugli inganni e i complotti del potere imperiale. «Che l’amministrazione
Bush abbia tratto dei vantaggi da questo episodio non si discute, » esordisce affermando Chomsky «ma è soltanto una delle tante nazioni al mondo che ha saputo approfittare al meglio degli attentati dell’11/9, ma che lo abbiano pianificato in qualunque modo e che ne fossero a conoscenza mi pare altamente improbabile.» Fermiamoci un attimo a ragionare su queste parole.
In primo luogo parlare dell’“amministrazione Bush” come l’origine degli attentati è la prima fonte di equivoco. Con chi polemizza Chomsky non è chiaro, a meno che non si tratti dell’ultimo ingenuo che si può incontrare su Internet. È una evidente banalizz

(Message over 64 KB, truncated)


(italiano / english)

Serbia: NATO wants Kosovo as puppet state



--- ITALIANO ---

KOSOVO: NUOVE ACCUSE SERBE CONTRO IPOTESI PROTETTORATO NATO

(ANSA) - BELGRADO, 20 AGO - Continua il botta e risposta tra settori
del governo serbo e Nato sul destino del Kosovo, la provincia
secessionista a maggioranza albanese che - accusano esponenti di
Belgrado - l'Alleanza Atlantica vorrebbe staccare definitivamente
dalla Serbia per farne un proprio protettorato. L'ultimo a rilanciare
la palla e' stato in queste ore Srdjan Djuric, capo ufficio stampa
del primo ministro serbo Vojislav Kostunica, secondo cui appare
improprio che un'alleanza militare esprima pareri sul futuro status
della provincia contesa. E avalli proposte come quella dell'ex
presidente finlandese Martti Ahtisaari - favorevole a una
''indipendenza sorvegliata'' del Kosovo - che di fatto
trasformerebbero la regione in ''uno Stato di proprieta' della
Nato''. Interpretazioni respinte da Bruxelles, dove si sostiene che
l'Alleanza ''non intende possedere alcuno Stato'', ne' architettare
nulla ''alle spalle della Serbia'', ma solo ''garantire condizioni di
sicurezza'' durante l'estrema fase negoziale promossa fra le parti
dalla nuova troika di mediatori euro-russo-americana creata dal
Gruppo di Contatto. E tuttavia interpretazioni che continuano a
circolare a Belgrado, almeno negli ambienti del Partito Democratico
di Serbia (Dss, conservatore) di Kostunica: la forza piu' oltranzista
in seno all'attuale esecutivo serbo di coalizione democratica nella
battaglia contro il riconoscimento d'ogni ipotesi di indipendenza del
Kosovo, e il piu' incline a immaginare un vero e proprio asse con
Mosca su questo punto, anche a costo di mettere in imbarazzo i
partner liberali di governo e di virare bruscamente dalla rotta euro-
atlantica avviata nel dopo-Milosevic. Tra i piu' polemici si segnala
il giovane ministro dell'Energia, Aleksandar Popovic, fedelissimo di
Kostunica con un passato di studi universitari in Russia, che in
un'intervista ripresa oggi dalla newsletter Vip ha avuto a sua volta
parole di fuoco contro Washington e Bruxelles, accusate entrambe di
non spingere per ''un compromesso accettabile'' perche' bramose di
creare ''uno staterello Nato'' sul territorio del Kosovo. Una realta'
in cui - a giudizio di Popovic - la unita' militari internazionali
sotto controllo Nato ''avrebbero poteri illimitati, non sottoposti ad
alcuna vera autorita' civile: cosa che non avviene in nessuno Stato
democratico, e meno che mai nei Paesi occidentali fondatori della
Nato''. (ANSA). LR
20/08/2007 15:49

--- ENGLISH ---

http://www.srbija.sr.gov.yu/vesti/vest.php?id=37422

Government of Serbia - August 14, 2007

Serbia will never accept NATO colony in Kosovo-Metohija

Belgrade – Serbian Minister of Education Zoran Loncar
said today that the entire international community
knows that Serbia will never accept that NATO makes a
quasi-state or military colony on its territory.

In a statement to the news agency Tanjug, Loncar said
that the issue of the Albanian minority in
Kosovo-Metohija provided NATO a chance to try and
establish its first puppet military state.

NATO took military action against Serbia, then sent
its troops to Kosovo-Metohija and now, through the
plan proposed by Martti Ahtisaari for determining the
future status of Kosovo-Metohija, it is attempting to
create its first military state, said the Minister.

Annex 11 of Ahtisaari’s plan directly proposes that
NATO must have unlimited authority in the allegedly
independent state of Kosovo-Metohija, said Loncar, and
added that now the US carries special responsibility
to finally abandon the project of creating the first
NATO state.

That is an essential precondition for finding a
solution based on compromise through new negotiations
which could satisfy the interests of both Serbs and
ethnic Albanians in the province, concluded the
Minister of Education.



http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?
yyyy=2007&mm=08&dd=14&nav_category=90&nav_id=43014

B92, Beta (Serbia) - August 14, 2007

"NATO wants Kosovo as puppet state"

BELGRADE - A minister in Koštunica's cabinet and
member of his DSS says NATO means to turn Kosovo into
a state of its own.

Education Minister Zoran Lonèar's statement, reported
by Beta Tuesday, is the third in the past several days
sharply criticizing the alliance, coming from prime
minister Vojislav Koštunica's Democratic Party of
Serbia (DSS).

Most notably, Interior Minister Dragan Joèiæ said
Sunday that "a project to create a NATO state was the
greatest obstacle to a Kosovo settlement."

However, Lonèar reached for stronger language and said
that NATO had used the opportunity created by
"problems with the ethnic Albanian population in
Kosovo" to "try and create its first military puppet
state.”

Lonèar told the agency that NATO first bombed Serbia,
brought its troops to Kosovo, and is now trying to set
up a state of its own under the provisions of UN
Kosovo Envoy Martti Ahtisaari's status plan.

“Annex 11 of the Ahtisaari plan grants NATO direct
authority and gives it limitless power in a reputedly
independent state,” he said.

The minister added that “the entire international
community knows full well that Serbia will never allow
NATO to create a quasi-state on its territory.”



http://www.iht.com/articles/ap/2007/08/15/europe/EU-GEN-Serbia-US-
Kosovo.php

Associated Press - August 15, 2007

Serbia accuses US of wanting to create 'satellite state' out of Kosovo

BELGRADE, Serbia - Serbia stepped up an anti-U.S.
campaign Wednesday, accusing it of wanting to create a
"satellite state" out of the breakaway province of
Kosovo.

"Now that we are starting new negotiations on Kosovo,
it is crucial that NATO and the United States give up
their project of creating a satellite state" in the
southern Serbian province, said Slobodan Samardzic,
Serbia's government minister for Kosovo.

His statement to local media was the latest in a
series of accusations against the U.S. for its support
of independence for Kosovo where ethnic Albanians
comprise 90 percent of the province's two million
people.

Samardzic was joined Wednesday by the head of the
influential Serbian Orthodox Church in Kosovo who said
Serbia should never give up the province at any price,
even if it takes "2,000 years" of isolation.

"They (the West) are offering us membership in the
European Union," Bishop Artemije said.

Kosovo, considered by many Serbs as the cradle of
their statehood and religion, is only formally a part
of Serbia. The province has been run by the United
Nations and NATO since 1999, when NATO launched an air
war to stop Serbia's government onslaught on Albanian
separatists.

Last week, envoys from United States, the European
Union and Russia launched a 120-day effort to end the
impasse over Kosovo.

The new effort follows Russia's threat to block a
Western-backed plan to grant Kosovo internationally
supervised independence in the U.N. Security Council.
The diplomats are to report back to U.N. Secretary
General Ban Ki-moon by Dec. 10.

Samardzic, the Serbian Kosovo minister, said that the
Kosovo state created with the U.S. support "would only
serve the interests of America and the local (Kosovo)
mafia clans."

The latest government-sponsored anti-U.S. campaign is
apparently intended to further foster Russia's
opposition to Kosovo's independence, having in mind
Russia's opposition to U.S. policies on several
fronts.



http://www.reuters.com/article/worldNews/idUSL1580306920070815

Reuters - August 15, 2007

Serbs say West wants Kosovo as a "NATO state"

BELGRADE - Serbs campaigning against independence for
the breakaway province of Kosovo have accused the West
of seeking a "NATO state" in the Balkans.

A number of politicians say NATO allies are determined
to carve out the new state from Serbian territory by
backing the independence demands of Kosovo's 90
percent Albanian majority.

To block an independence resolution on Kosovo at the
United Nations, Serbia has enlisted the help of
veto-holder Russia and President Vladimir Putin,
frequently opposed to NATO goals.

Russia on Wednesday accused the West of pursuing
Kosovo independence under threat of Albanian "violence
and anarchy".

In an article, Foreign Minister Sergei Lavrov said
Moscow's Western partners were "inclined to give in to
blackmail."

Serbia's tilt towards Moscow has some Serb
commentators wondering if the government is seriously
preparing to abandon its pro-Western goals and
policies if Kosovo is lost.

The "NATO state" idea has cropped up in various
comments over the past week. It appeared to originate
with Prime Minister Vojislav Kostunica, whose
coalition government aspires to NATO membership.

Kostunica has also threatened to curtail relations
with any country which may eventually decide to
recognize Kosovo as independent - the major NATO
powers among others.

And a newspaper close to the government has suggested
that Serbia would also end its bid for European Union
membership.

According to the Minister for Kosovo, Slobodan
Samardzic, NATO plans to make Kosovo virtually its own
territory and a Kostunica spokesman said the U.S.
military base, Camp Bondsteel, would be its capital.

Samardzic told the official news agency Tanjug on
Wednesday that NATO wants Kosovo as a base to "serve
its geopolitical and strategic goals as well as mafia
clans".

He urged Washington to give up "the project of
creating a satellite, army barracks, state on foreign
territory" as Serbs and Kosovo Albanians begin a new
and probably final round of talks seeking compromise
over the province's future.

In a comment likely to anger the Western alliance, the
minister said the real goal of NATO's 1999 air war was
"the creation of the NATO state that would be
independent Kosovo".
....



http://www.srbija.sr.gov.yu/vesti/vest.php?id=37439

Government of Serbia - August 15, 2007

NATO, US should abandon project of creating satellite state

Belgrade – Serbian Minister for Kosovo-Metohija
Slobodan Samardzic called upon the US to give up the
project of creating a NATO state in the form of an
independent Kosovo-Metohija, as new negotiations on
the future status of the province are expected to
begin.

In a statement to the news agency Beta, Samardzic said
that now when new negotiations are to begin, it is of
key importance that NATO and the US abandon the
project of creating a satellite state in
Kosovo-Metohija.

The Minister stressed that this project has nothing to
do with the economic recovery of Kosovo-Metohija and
reconciliation of Serbs and ethnic Albanians, and
least of all with the European future of this part of
Europe.

According to Samardzic, such a state would serve only
the geopolitical and strategic military goals of the
US, as well as the purposes of the local mafia groups
in Kosovo-Metohija, and will make it impossible for
people in the province to have a peaceful and
prosperous future.

Due to these reasons, Serbia rejected the plan
presented by Martti Ahtisaari, which in annex 11
proposes establishing a permanent NATO presence in
Kosovo-Metohija, stressed Samardzic.

He recalled that during the previous eight years the
international community had the opportunity to verify
the real goal of NATO military action against Serbia,
which is the creation of a NATO state through
independence for Kosovo-Metohija.



http://news.xinhuanet.com/english/2007-08/16/content_6539052.htm

Xinhua News Agency - August 16, 2007

Serbia accuses NATO of establishing barrack-style
state in Kosovo

TIRANA - Serbia on Wednesday accused NATO and the
United States of trying to set up a barrack-style
satellite state in its southern breakaway province of
Kosovo, news reaching here from Belgrade reported.

"NATO and the United States should give up the project
to create a satellite barrack-state in a foreign land
at a moment when we are opening new negotiations on
the future status of Kosovo," Slobodan Samardzic,
Serbia's minister for Kosovo, said in a statement.

Samardzic said that kind of Kosovo state would only
serve the interests of NATO and the United States,
safeguard the gains of the mafia clans in the
province, and permanently prevent a peaceful and
prosperous future for the local people.

"The project has nothing to do with either the
economic recovery of Kosovo or the reconciliation
between Serbs and Albanians, and least of all with for
this part to be integrated into Europe in the future,"
Tanjug, Serbia's official news agency, quoted him as
saying.

Kosovo has been run by the UN and NATO since 1999 when
NATO launched air strikes to stop Serbia from
attacking Albanian separatists. Ethnic Albanians, who
make up 90 percent of the province's 2 million
population, are demanding independence while the
Serbians and Serbs in Kosovo want it to remain within
Serbia.

In March, the UN special envoy Martin Ahtisaari
submitted a draft plan, which envisions
internationally supervised independence for Kosovo, to
the Security Council concerning the Kosovo issue.

The plan, supported by the United States and many
western countries, were robustly opposed by Serbia and
its ally Russia which wields a powerful veto in the UN
Security Council.

Last week, envoys from the EU, the United States and
Russia, the so-called Kosovo-troika, made a 120-day
effort to break the impasse over Kosovo. They planned
to launch a new negotiation over the issue in Vienna
at the end of this August.



http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?
yyyy=2007&mm=08&dd=16&nav_category=90&nav_id=43067

B92, Beta (Serbia) - August 16, 2007

DSS continues war of words against NATO

BELGRADE - Interior Minister Dragan Joèiæ has today
again accused NATO of intending to turn Kosovo into
"it’s own puppet state".

He added that the Alliance could "no longer cover up"
this intention.

The statement is the second of the kind in the past
four days.

Joèiæ told Beta that "NATO can no longer cover up its
real intention of turning Kosovo into its own
militarized puppet state."

"The Ahtisaari plan, in which it is clearly defined
that NATO will have unlimited power in an allegedly
independent Kosovo, has been drawn up in order to
register and enshrine our province’s territory within
the property of the NATO pact.“

The minister said that the bombing of Serbia in 1999
"is fully explained by the Ahtisaari plan, that is to
say, the creation of the first NATO state.“

Joèiæ went on to say that, "If the U.S. intends to
build normal relations with Serbia – and it should –
then it must stop this dangerous experiment, which
began with the illegal, and above all, merciless
destruction of our country.“

Joèiæ is considered to be the one of most influential
figures in the party led by Prime Minister Vojislav
Koštunica. His party and cabinet colleagues have
joined him last week in sharp criticism of the
Alliance's role in the Kosovo status crisis.

The partners of the DSS in the current ruling
coalition, President Boris Tadiæ's Democratic Party
(DS), have so far remained silent on the issue,
refusing to comment the controversial statements.



http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?
yyyy=2007&mm=08&dd=17&nav_category=90&nav_id=43088

B92, Beta (Serbia) - August 17, 2007

Koštunica adviser: Time to return to Kosovo

BELGRADE, GNJILANE - An adviser to the prime minister
says the time has come for a number of Serbian troops
to return to Kosovo.

Aleksandar Simiæ told reporters Friday that UN
Resolution 1244, which guarantees Serbia's
sovereignty, also provides for the possibility of
redeployment of a number of Serbian police and
soldiers to the province.

"We believe the time is right for this," he said,
echoing a statement made Wednesday by one of the
Kosovo Serb leaders, Marko Jakšiæ.

According to Simiæ, "the Albanian separatist leaders
in Kosovo have demonstrated they do not in fact wish
to negotiate" in the coming renewed status talks
between Belgrade and Priština.

"This is yet further evidence that the only force that
can make the Kosovo Albanians negotiate is the United
States. If that country were to give up its bid to
create a NATO state in the Balkans, real negotiations
would be possible, producing a compromise, sorely
needed for the Balkan and European stability," Simiæ
said.

Asked whether repeated claims made by state officials
from Koštunica's Democratic Party of Serbia (DSS),
accusing NATO of a conspiracy to set up its own state
in the region, meant that Serbia had given up on its
previous policy of becoming a NATO member, he said the
government "did not discuss this issue."
....



http://www.focus-fen.net/index.php?id=n119629

Focus News Agency (Bulgaria) - August 17, 2007

Serbia wants army, police back in Kosovo

Belgrade - Serbia wants to send soldiers and policemen
back to Kosovo, a top official said Friday, amid
increased tensions over the future status of the
UN-administered province, cited by AFP.

"We believe the time has come for that," Aleksandar
Simic, an adviser of Serbian Prime Minister Vojislav
Kostunica, told the Beta news agency.

The UN Security Council resolution which ended the
Kosovo conflict between Serbian forces and ethnic
Albanian separatists, included an option that up to
1,000 Serbian policemen and soldiers could be sent
back to the province to guard cultural and religious
sites.

The option has never been taken up amid fears that it
would exacerbate tensions.

In June 1999, Serbian armed forces were driven out of
the province following a NATO bombing campaign....

While technically remaining a Serbian province, Kosovo
has been run by a UN mission ever since, with some
16,000 NATO-led peacekeepers deployed there.

Under the recent proposals of UN envoy Martti
Ahtisaari - rejected by both Serbia and Russia, but
supported by the United States - Kosovo would be
granted supervised independence.

Simic joined a number of Serbian ministers in accusing
the United States of influence peddling in the region.

"If they (the US) gave up a creation of a NATO state
in the Balkans, real negotiations would be possible"
on Kosovo's future status, Simic said.

The international troika of the United States, the
European Union and Russia has launched a new round of
negotiations on Kosovo following Moscow's rejection of
the Ahtisaari plan.

The talks are expected to resume on August 30 in
Vienna.

Kosovo's ethnic Albanians, who comprise 90 percent of
the 1.8 million population, want nothing but
independence, while Belgrade balks at anything more
than a high degree of autonomy.


http://www.srbija.sr.gov.yu/vesti/vest.php?id=37452

Government of Serbia - August 17, 2007

High time a number of Serbian soldiers, police
returned to Kosovo-Metohija

Belgrade - Advisor to Serbian Prime Minister
Aleksandar Simic stated today that, in line with UN
Security Council Resolution 1244, it is high time that
a number of Serbian soldiers and police officers
returned to Kosovo-Metohija.

In a statement to the Beta news agency, Simic said
that according to Resolution 1244, which guarantees
Serbia's sovereignty, the UN and NATO are under
obligation to enable the return of the Serbian police
and army to the province's territory.

According to Simic, statements of Albanian
separatists' leaders from Kosovo-Metohija following
the meeting with the Contact Group's troika of envoys,
point to the fact that they do not want any
negotiations and that the upcoming period, that is,
until December 10, will be "a mere waste of time".

It is further proof that the US is the only force
which can make Kosovo Albanians negotiate, stressed
Simic and added that if the USA gave up on creating a
NATO state in the Balkans, actual negotiations would
be possible and the compromise, so indispensable for
Balkan and overall European stability, could actually
be expected.

He added that only by following the decisions of the
Security Council to the letter can the respect of the
UN Charter and international law be guaranteed and
"dangerous and monstrous quasi-state-like creations in
the heart of Serbia and the Balkans" rendered
impossible.


http://www.iht.com/articles/ap/2007/08/17/europe/EU-GEN-Serbia-Kosovo-
Security.php

Associated Press - August 17, 2007

Serbia urges return of its military and police to Kosovo

BELGRADE, Serbia - Serbia urged the return of its army
and police to Kosovo, an official said Friday, a move
that could increase ethnic tensions in the breakaway
province.

"The time has come for the return" of some 1,000
Serbian security personnel to the province, said
Aleksandar Simic, a spokesman for Prime Minister
Vojislav Kostunica. In Kosovo, 90 percent of the 2
million people are ethnic Albanians.

The U.N. administration in Kosovo refused to comment
before it gets a formal request from the Serb
government for the troops' return.

Under a U.N. Security Council resolution passed in
1999 when NATO troops chased out Serbian security
forces from Kosovo after their crackdown against
Kosovo Albanian separatists, Serbia was granted the
return of up to 1,000 police and army troops to the
province's borders and to guard Serbian churches and
monasteries there.

But NATO and U.N. peacekeepers in Kosovo have not
allowed the redeployment....

Kosovo, considered by many Serbs as the cradle of
their statehood and religion, is only formally a part
of Serbia. The province has been run by the United
Nations and NATO since 1999, when NATO launched an air
war to halt Serbia's government onslaught on Albanian
separatists.

Last week, envoys from the United States, the European
Union and Russia launched a 120-day effort to end the
impasse over Kosovo. A new round of talks has been set
for Aug. 30 in Vienna, Austria.

Simic said that the return of the Serbian troops to
Kosovo is a "precondition" for a possible deal with
ethnic Albanians.

The new negotiation effort follows Russia's threat to
block a U.S.-backed plan to grant Kosovo
internationally supervised independence in the U.N.
Security Council. The diplomats are to report back to
U.N. Secretary-General Ban Ki-moon by Dec. 10.


http://www.focus-fen.net/index.php?id=n119726

Tanjug (Serbia) - August 18, 2007

Serbia urges NATO to stop supporting UN envoy's Kosovo plan

Belgrade - Serbian Prime Minister Vojislav Kostunica's
media Advisor Srdjan Djuric said Saturday that NATO
must give up its support to UN Envoy Martti
Ahtisaari's settlement plan for Kosovo and that
assurances by NATO spokesman that the alliance is not
trying to create its own state in Kosovo-Metohija are
nor worth anything to Serbia.

As long as NATO continues to support Ahtisaari's plan
and particularly its Annex 11, it is clear that it is
trying to create the first NATO state, Djuric told the
press.

NATO has not yet said that it would respect the
inviolability of Serbia's internationally recognized
borders and that it will respect Serbia's sovereignty
and territorial integrity, he said.

NATO spokeswoman Carmen Romero said Friday quoted by
Belgrade electronic media that NATO is not doing
anything in secret or behind Serbia's back.
....



http://www.nasdaq.com/aspxcontent/NewsStory.aspx?cpath=20070817%
5cACQDJON200708171320DOWJONESDJONLINE000592.htm&

Associated Press - August 17, 2007

NATO Rejects Serbia Bid To Return Its Army, Police To Kosovo

BELGRADE - NATO on Friday rejected Serbia's request to
return its army and police to Kosovo, a redeployment
that could increase ethnic tensions in the breakaway
province.

"The time has come for the return" of some 1,000
Serbian security personnel to the province, said
Aleksandar Simic, a spokesman for Prime Minister
Vojislav Kostunica. In Kosovo, 90% of the 2 million
people are ethnic Albanians.

"Serbian forces will not be authorized to return,"
said Michael Knop, a spokesman for the North Atlantic
Treaty Organization-led peacekeepers in Kosovo. He
said the international force is "responsible for
security in Kosovo and there is no intention to
authorize such a decision."
....
Under a U.N. Security Council resolution passed in
1999 when NATO troops chased out Serbian security
forces from Kosovo after their crackdown against
Kosovo Albanian separatists, Serbia was granted the
return of up to 1,000 police and army troops to the
province's borders and to guard Serbian churches and
monasteries there.

But NATO and U.N. peacekeepers in Kosovo have not
allowed the redeployment, fearing it could irritate
Kosovo Albanians and re-ignite violence and ethnic
tensions in the tense region.

Kosovo, considered by many Serbs as the cradle of
their statehood and religion, is only formally a part
of Serbia. The province has been run by the U.N. and
NATO since 1999, when NATO launched an air war to halt
Serbia's government onslaught on Albanian separatists.

Last week, envoys from the U.S., the European Union
and Russia launched a 120-day effort to end the
impasse over Kosovo. A new round of talks has been set
for Aug. 30 in Vienna, Austria.

Simic said that the return of the Serbian troops to
Kosovo is a "precondition" for a possible deal with
ethnic Albanians.

The new negotiation effort follows Russia's threat to
block a U.S.-backed plan to grant Kosovo
internationally supervised independence in the U.N.
Security Council. The diplomats are to report back to
U.N. Secretary-General Ban Ki-moon by Dec. 10.



http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?
yyyy=2007&mm=08&dd=19&nav_category=90&nav_id=43124

FoNet (Serbia) - August 19, 2007

"Forces could return immediately"

BELGRADE - Serbian forces could immediately return to
Kosovo to secure religious sites and clear minefields,
a government official says.

Dušan Prorokoviæ (DSS), a secretary with the Ministry
for Kosovo, said Sunday there was nothing wrong with
the request to allow the return of Serbian security
personnel to some parts of Kosovo, "for it is in line
with the UN resolution 1244".

According to him, “if KFOR is unable to fulfil its
mandate, protect non-Albanian residents in the
province and stop ethnic cleansing and violence, our
security forces should be entrusted with the task.”

He said that the talk about the possibility of
partioning Kosovo was an attempt to plant an idea that
was not Belgrade's and added that it “represents an
exit strategy for some of Albanian politicians who
realized their insistence on certain things produced
no results.”

“Even if we were to consider partition, we will be
introducing into negotiations a new category that
disrupts the international legal order and involves
alteration of a sovereign state’s borders.”

Prorokoviæ said that the partition of the province,
along with any sort of independence, would
additionally weaken the region and push the Balkans
into long-term instability, which would suit no one.

Both Belgrade and Priština have rejected the
possibility of partition. UNMIK has also denied it
would allow any Serbian police and army to redeploy in
the province.



http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?
yyyy=2007&mm=08&dd=19&nav_category=90&nav_id=43122

B92, Beta (Serbia) - August 19, 2007

Koštunica's ministers contunue anti-NATO rhetoric

BELGRADE - The latest of DSS cabinet ministers to
verbally take on NATO is Aleksandar Popoviæ, in charge
of energy.

The minister joined his Democratic Party of Serbia
(DSS) colleagues in claims that the Alliance's alleged
desire to set up its "military state" in Kosovo was
what stood in the way of a compromise between Belgrade
and Priština over the province's future status.

"There is no state in the world, and this is
especially true of those belonging to NATO, where
armed forces are not placed under strict civilian
control" Popoviæ told Beta Sunday.

He added that, conversely, the Ahtisaari status plan
envisaged "an allegedly independent Kosovo where NATO
had unlimited authority with no civilian supervision
whatsoever".

Popoviæ's statement comes a day after the first
official reaction from the DSS coalition partners,
President Boris Tadiæ's Democrats (DS), to what has
become a flood of public statements severely critical
of NATO.

However, the cabinet ministers from the DS ranks
remain quiet on the issue. Instead, their
parliamentary caucus chief Nada Kolundžija said
Saturday the anti-NATO rhetoric was "damaging".

Meanwhile, the Alliance has denied that its
involvement in Kosovo went beyond the peacekeeping
role and stressed it wished to develop good relations
with Serbia, a Partnership for Peace member country.



http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?
yyyy=2007&mm=08&dd=25&nav_category=90&nav_id=43260

Beta (Serbia) - August 25, 2007

Koštunica: U.S. must abandon Ahtisaari plan

BELGRADE - Continued U.S. insistence on the Ahtisaari
plan ahead of the new Kosovo talks is not good, the
prime minister says.

“It is certainly wrong that the plan in question
provides NATO with a role a military organization has
never had before in the world,” he told Beta news
agency Saturday.

According to him, Serbia is ready to take on its share
of responsibility and make an adequate contribution to
finding a compromise solution.

Koštunica stressed that such a solution could be
reached only if the United States abandons the status
plan drawn up by UN Special Envoy Martti Ahtisaari and
adhere to the UN charter and fundamental principles of
international law.



http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?
yyyy=2007&mm=09&dd=02&nav_category=90&nav_id=43465

Beta News Agency (Serbia) - September 2, 2007

DSS: Unilateral declaration of independence possibility

BELGRADE - The Democratic Party of Serbia (DSS) warned
Friday that Kosovo might declare independence on
December 11.

"Albanian separatists, backed by the United States and
NATO, could proclaim unilateral independence. The U.S.
would soon after recognize this first NATO state,"
Prime Minister Vojislav Koštunica's party said in a
statement Sunday.

The DSS added it was "deliberating adequate answers to
this dangerous scenario".

"One of the possible answers that needs to be talked
about is for the parliament to make a decision that
our country cannot become a NATO member," the
statement said.

"It is time to start discussions about the manner in
which we, as a state, will react to the possibility of
unilateral independence and the first NATO state."

The Contact Group's mediating Troika is scheduled to
submit a report about the ongoing Kosovo talks to the
UN secretary general on December 10.


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SOURCE : Stop NATO
http://groups.yahoo.com/group/stopnato
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