Informazione


http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/7042/1/51/


Addio alle armi

14.05.2007    Da Tivat, Podgorica, scrive Andrea Rossini


L'Arsenale Sava Kovacevic, un tempo una delle più grandi basi della flotta jugoslava, chiude. E' stato acquistato da una società registrata alle Barbados che ne farà una baia per yacht di lusso. Il futuro della marina nel nuovo Montenegro: nostro reportage




All'ingresso della base il busto di pietra di Sava Kovacevic ha un'aria smarrita. Contadino del Montenegro, il 13 giugno del '43 morì nella gola della Sutjeska, portando inspiegabilmente alla vittoria i partigiani contro forze naziste dieci volte superiori. L'Arsenale di Tivat, nelle bocche di Cattaro, una delle più grandi basi della marina jugoslava, era dedicato a lui. Dal 3 giugno scorso però, proclamazione dell'indipendenza del Montenegro, molte cose stanno cambiando. La Serbia non ha più il mare e la piccola repubblica adriatica, che ha ereditato l'intera flotta jugoslava rimasta con Belgrado negli anni '90, ha deciso di mettere tutto in vendita. Compreso l'Arsenale Sava Kovacevic.
 

“A noi questa flotta non serve a niente”, mi confida in un perfetto italiano l'ambasciatore Ljubisa Perovic, vice ministro della Difesa del Montenegro. “La nostra intenzione strategica è il turismo. Ormai abbiamo ottimi rapporti con i nostri vicini. Sia noi che Croazia, Albania e Bosnia Erzegovina abbiamo un futuro comune nella Nato.” 

“Al momento dell'indipendenza avevamo oltre 60 navi” - continua il colonnello Cedomir Marinovic, dello Stato Maggiore delle Forze Armate. “Ci terremo solo un fregata, due cannoniere e le navi per la ricerca e il soccorso in mare. Una fregata l'abbiamo già venduta all'Egitto, ci sono negoziati con lo Sri Lanka... Ma i battelli più vecchi li distruggiamo, oppure li vendiamo ai privati, nelle aste pubbliche.”. 

Il gioiello di famiglia, l'Arsenale di Tivat, costruito dagli Asburgo nel 1889, se ne è già andato. L'ha comprato una società offshore registrata alle Barbados, la P.M. Securities, presieduta dal miliardario canadese Peter Munk. L'idea di Munk, sostenuta dall'ex premier Milo Djukanovic, che ha firmato il contratto con il miliardario, è quella di trasformare i 24 ettari della base in una marina per yacht di lusso. Insieme agli approdi per gli yacht nasceranno alberghi, campi da golf e infrastrutture per i super ricchi. La cifra totale degli investimenti previsti nell'area di Tivat dovrebbe raggiungere i 500 milioni nei prossimi 3 anni. Praticamente la metà del prodotto interno lordo del Montenegro. 

Per i lavoratori dell'Arsenale è iniziato il conto alla rovescia. Entro il mese di maggio saranno tutti licenziati. Sono rimasti in poco più di 400, degli oltre 2.000 che lavoravano qui negli anni '80. Ma non sembrano stracciarsi le vesti. Un alto ufficiale della Marina ci chiarisce informalmente i termini della questione: “Qui lavorano 476 persone. Dopo che la base passerà a Peter Munk, i lavoratori accederanno ad un programma sociale e avranno una liquidazione in denaro. 500 euro per ogni anno lavorato più 24 o 36 mensilità, e fondi per acquistare un appartamento”. 

Le liquidazioni non sono niente male per un paese il cui salario medio si aggira intorno ai 300 euro mensili. Quelli che sembrano meno entusiasti sono i militari. Anche loro, entro la fine di aprile, dovranno sgomberare il campo per gli yacht privati, e trasferire armi e bagagli nel porto di Bar. I tagli, per esercito e marina, sono consistenti: “Al momento dell'indipendenza avevamo 6.600 soldati, tra Brigata di Podgorica e Marina da Guerra”, ricorda ancora il colonnello Marinovic. “Dobbiamo ancora completare la nostra nuova strategia di difesa, ma in ogni caso contiamo di ridurre il numero delle truppe a circa 2.400 unità. La marina non avrà più di 400 uomini”. 

Il capitano di fregata Dragan Vujadinovic ci accompagna nell'Arsenale. Nato a Vukovar, è figlio di ufficiali. Il destino dei marinai in esubero ce lo spiega senza troppo entusiasmo: “Alcuni di noi hanno optato per entrare nell'esercito serbo. Altri, circa 800 persone, hanno perso il lavoro. Seguiranno un programma di riqualificazione per essere inseriti nel settore civile”. 

Saliamo sulla RF 33 “Kotor”. Delle 4 fregate lanciarazzi, questa è l'unica che resterà al Montenegro. “Però dobbiamo disarmare, sia i razzi antinave che quelli antisommergibile, è una decisione del governo. Dalle cannoniere invece rimuoviamo i grossi calibri. Continuiamo a diminuire e ridurre, non so cosa resterà della nostra Marina. Per il momento non c'è nulla di chiaro, siamo come sospesi a mezz'aria.” 

Accanto alla fregata c'è un vecchio yacht anni '70, di 35 metri. “Era lo yacht di Tito”, mi dice Dejan, il vicecomandante. “La Jadranka ha esattamente trent'anni, e Tito c'è salito 24 volte. Senza Jovanka [la moglie, ndr], nell'ultimo periodo non andavano molto d'accordo - ammicca. No, questo ce lo teniamo. E' per la ricerca e il soccorso in mare. E poi non c'è prezzo, era lo yacht del compagno Tito, capisci?” 

Sotto un grosso hangar c'è una delle motovedette lanciamissili che aspettano di essere consegnate alla marina egiziana. Ci lavorano operai e militari. “Dobbiamo finirla entro la fine di aprile”, mi spiega un lavoratore, “perché poi qui chiude tutto”. Al lavoro ci sono anche alcuni operai bosniaci. Erano lavoratori della Kosmos, di Banja Luka, una delle tante fabbriche d'armi della Bosnia Erzegovina. In Bosnia le cose non vanno molto bene, specie dopo che nel 2002 è emerso lo scandalo della vendita di armi all'Iraq in violazione dell'embargo, e la comunità internazionale ha bloccato tutte le fabbriche del settore. In attesa di tempi migliori, i lavoratori hanno ripreso a viaggiare nell'(ex) Paese, la loro competenza è sempre apprezzata. 

Vicino alla motovedetta c'è un sottomarino mezzo smontato: “Quelli li facciamo a pezzi e li rivendiamo come ferro vecchio”, mi dice Desimir, un marinaio croato. 

La Jugoslavia era uno dei pochi paesi al mondo a costruire sottomarini. Alla fonda ci sono due minisommergibili d'assalto e il gigantesco Sava 831, realizzato nei cantieri di Spalato alla fine degli anni '70. 830 tonnellate in superficie, 964 in immersione, è lungo più di 50 metri e scende a 300 metri di profondità. Il suo armamento comprende sei rampe lanciasiluri. Il portellone, sulla torretta, è chiuso con una catenella. In Italia non mi fiderei ad usarla per legarci la bici. Arriva un marinaio con la chiave, sale sullo scafo. Approfittando di un attimo di distrazione della nostra guida, mi avvicino timidamente: “Si può?”. Il militare mi squadra diffidente, poi fa segno di seguirlo: “Se ci tieni entra pure, tanto è in vendita pure questo. Occhio solo a dove metti i piedi”. 

Sasa si muove velocemente giù per la torretta del periscopio e nei corridoi del battello. Mentre accende e spegne i motori, racconta la vita di bordo mostrando le cuccette che accoglievano un turno di marinai mentre gli altri due erano al lavoro. Ciclo continuo. Lo spazio non è molto, e le brande sono dappertutto. Una proprio in mezzo ai lanciasiluri. C'è anche lo spazio per la pausa tabacco: “Quando eravamo sotto, questo era l'unico modo per fumare”, e mi fa il gesto della sigaretta accanto ai due polmoni che filtrano l'aria del diesel. Mi vien la claustrofobia solo a pensarci. Istriano, ha 45 anni. E' uno dei marinai croati che nel '91 avevano scelto di restare con la Jugoslavia. Per lui le prospettive non sono rosee. Une delle poche cose certe, infatti, è che la marina del Montenegro non avrà sommergibili. “Tra un mese e mezzo sono senza lavoro. Qui privatizzano tutto, questo diventa uno Stato privato. Ma di noi cosa ne sarà?” 

Al Ministero della Difesa, a Podgorica, mi confermano che i sommergibili sono tutti in vendita: “Li vendiamo per farli rottamare”, spiega il colonnello Marinovic. “Tre li abbiamo venduti alcune settimane fa, e in questo momento vengono smontati. Quelli che restano li mettiamo all'asta allo stesso modo. Il più caro è andato per 130.000 euro”. 

I sottomarini, in effetti, possono essere acquistati da chiunque. Anche da privati. Alla base mi dicono che uno dei tre, classe Sava, è stato portato via così com'era, con un rimorchiatore. L'acquirente sarebbe un cittadino turco. Il colonnello Marinovic ci tranquillizza: i tecnici dell'esercito provvederanno alla rottamazione in loco. Certo non deve essere stato facile per i marinai vederselo portare via così. Provo a chiedere al capitano Vujadinovic, ma non vuole commentare. Di fronte alle insistenze del giornalista ficcanaso (“Ma cosa se ne fa uno di un sommergibile?”) cede solo un attimo: “Quando l'abbiamo visto uscire ci siamo fatti il segno della croce”, mi dice tra i denti. E si segna. 

Nel nuovo Montenegro, che ha abolito la naja il 30 agosto scorso, ci sono solo militari professionisti. Dinanzi alla chiusura della base i sentimenti sono contrastanti. “Nostalgia, certo, per questo Arsenale – ci dice un alto ufficiale che preferisce restare anonimo. Qui c'è la tradizione, ma il nostro è un piccolo Stato, penso anch'io che il nostro futuro sia il turismo. Io ero un ufficiale dell'esercito della Jugoslavia, e ho un buon ricordo di quel paese. I miei amici e colleghi sono in Croazia, Slovenia, Bosnia, è chiaro che abbiamo nostalgia per quei tempi. Ma non posso cambiare niente, non posso cambiare la storia. Vorrei che quel grande paese esistesse ancora, ma non è andata così. Forse l'Europa ci aiuterà a fare in modo che di nuovo non ci siano confini tra di noi. Ma solo l'Europa può farlo, noi da soli non possiamo. Sono successe troppe cose”. 

Una delle cose è successa qui vicino. Il 6 dicembre del 1991 Dubrovnik, solo pochi chilometri a nord di Cattaro, è stata bombardata da navi che provenivano proprio dai porti montenegrini. Per quei fatti il Tribunale dell'Aja ha condannato a 7 anni di reclusione il generale serbo Miodrag Jokic. Ma il Montenegro ha sempre cercato di distanziarsi dalle responsabilità per la guerra con la Croazia, perché la piccola repubblica non aveva potere decisionale all'interno dell'Unione con la Serbia di Milosevic. Questa posizione sembra ormai essere stata definitivamente accettata dai politici di Zagabria, specie dopo la vittoria degli indipendentisti a Podgorica. Il presidente del parlamento croato, Vladimir Seks, si è appena recato in Montenegro con una nutrita schiera di imprenditori interessati a far decollare le relazioni commerciali tra i due paesi. Potrebbe essere proprio il mercato la chiave di volta per superare i dissapori degli anni passati. Meglio concentrarsi da subito sulle relazioni amichevoli. E sul business. Il futuro, da queste parti, assomiglia a Peter Munk. O all'oligarca russo del Chelsea, Roman Abramovic, che ha già comprato una specie di castello poco lontano dall'Arsenale. Chissà cosa sta pensando l'eroe di Sutjeska. 

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Autore: Fabio
Data e ora: 15.05.2007 09:20
Tutto in vendita

"Stavamo meglio prima". E' questo il commento che sento ormai molto spesso quando vado dai miei parenti in Croazia e in Bosnia Erzegovina. Prima c'era maggior assistenza sociale, sanitaria, scolastica. Prima anche chi non aveva grandi risorse poteva studiare all'università, fare carriera, crescere e lasciare qualcosa ai figli. Certo, non c'era l'indipendenza delle piccole patrie. C'era un partito unico. Ma il comunismo jugoslavo è sempre stato diverso da quello degli altri paesi dell'ex cortina di ferro e i suoi "sudditi" li faceva stare bene. Oltre a tenerli uniti e in pace. Chiaro che non erano tutte rose e fiori, ma era sicuramente meglio di quello che è successo con la guerra interetnica e dopo dieci anni di massacri e ruberie. Prima c'era almeno una specie di pudore dei soldi. Adesso non più. Adesso "l'imperativo categorico", come direbbe "er capoccione nostro", è arricchirsi. Soldi, soldi e ancora soldi. Questo è il pensiero della gente comune e anche degli Stati. Tutto comincia e finisce con quello. Normale, direte voi. Sarà, ma prima non era così. Adesso invece va bene tutto. E i gioielli di famiglia vengono sacrificati sull'altare del dio mercato. E non si parla solo della flotta del Montenegro. Ma anche delle industrie alimentari in Croazia, delle acque minerali in Bosnia Erzegovina e Serbia, degli hotel in Dalmazia e Montenegro. Arrivano i soldi. Evviva. Tutto si compra e si vende. Compresa la storia degli slavi del sud. Ma il prezzo è giusto?



LA VETRINA MIGLIORE


Di seguito alcune delle dichiarazioni rese dal Presidente della
Camera Fausto Bertinotti nel corso del suo viaggio in Libano/
Palestina/Israele, inizio di maggio 2007:


"E’ straordinario vedere un esercito che lavora per la pace, che crea
una cultura di pace e non fa solo la sua attività di interposizione"

"Parlare con i militari è una scuola che andrebbe fatta"

"Credo che tutti i politici, me compreso, prima di parlare dovrebbero
ascoltare i nostri militari perché capirebbero come si possono
portare la pace e la comprensione nel dialogo e nel rispetto di
situazioni e culture diverse" (in compagnia del Generale Graziano)

"Questa è la vetrina migliore del nostro Paese e il Paese dovrebbe
mettersi all’altezza di questa vetrina"

"E' importante ascoltare come questi militari siano capaci di parlare
di pace e di comprendere la situazione"

"Questo spiega come l'attività umanitaria sia intrecciata con la
presenza militare, che è una presenza di pace"

"Dopo Auschwitz l’esistenza di Israele è una realtà, ma anche un
luogo dello spirito" (davanti al Parlamento Palestinese)

"Il mondo ha bisogno di ponti su cui incontrarsi e non di muri che
impediscono di vedersi, ma non mi permetto di entrare nelle questioni
interne" (all’uscita dalla Chiesa della Natività di Betlemme)


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Afghanistan - 15.5.2007

Spese distruzione

Altri 25 milioni di euro per la guerra in Afghanistan.
Quanto i tagli alla scuola fatti da Prodi

Circa 25 milioni di euro. La stessa cifra che il governo Prodi ha
tagliato dai finanziamenti alla scuola pubblica per il corrente anno
scolastico, ora li investe per finanziare i rinforzi al contingente
militare italiano schierato in l’Afghanistan.
Il ministro della Difesa, Arturo Parisi, ha annunciato davanti alle
commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato l’invio di otto carri
armati ‘Dardo’, cinque elicotteri da attacco A-129 ‘Mangusta’, dieci
blindati ‘Lince’ e 145 militari di equipaggio e supporto tecnico e
logistico. Costo complessivo, calcolato solo fino a fine anno: 25,9
milioni di euro. “La relativa copertura finanziaria – ha spiegato
Parisi – d’intesa con la Presidenza del Consiglio e con il ministero
dell’Economia e delle Finanze verrà apprestata in sede di adozione
del disegno di legge di assestamento del bilancio per l’anno 2007”.
I soldi per l’istruzione non ci sono, ma per la guerra si trovano.
Nonostante l’incontestabile natura bellica dei mezzi militari in
questione, Parisi ha rassicurato coloro che temono una deriva
belligerante della “missione di pace” italiana. “Gli equipaggiamenti
aggiuntivi – ha spiegato il ministro – non potrebbero consentire un
genere di missione differente da quella già adottata dal nostro
contingente in accordo con gli alleati della Nato. I nuovi mezzi
permetteranno però di migliorare le capacità di esplorazione, la
mobilità e la protezione, quindi la sicurezza attiva e passiva, delle
nostre truppe”.
Chi si ostina a pensare che carri armati, elicotteri da attacco e
blindati siano strumenti di guerra, si sbaglia. Parola di ministro.

Maso Notarianni

http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idc=0&idart=7950



www.resistenze.org - associazione e dintorni - forum di belgrado - italia - 15-05-07 

da Forum Belgrado - Italia
 

Manifesto Appello per i popoli del Kosovo Metohija, per una soluzione equa e conforme al Diritto Internazionale, contro i processi d’indipendenza e secessione unilaterali nel Kosovo Metohija
 
Verità e giustizia per dare un futuro di pace e progresso nella regione del Kosovo
 
Lanciamo questo manifesto appello facendo proprio l’invito giunto dal FORUM di Belgrado (che raccoglie eminenti personalità culturali e politiche della Serbia, ex Repubblica Federale Jugoslava) per informare e denunciare anche in Italia, circa i pericoli di nuove violente conflittualità e destabilizzazioni nei Balcani e in Europa, legate agli esiti dei negoziati a proposito della definizione dello Status futuro della provincia serba del Kosovo, cominciati a Vienna il 20 febbraio 2006. In particolare riguardo la rivendicazione, aperta e non negoziabile, dell’indipendenza e della formazione di un nuovo Stato da parte della leadership kosovara albanese, completamente dominata dalle forze secessioniste che già hanno avuto un ruolo primario nella martorizzazione di quella regione e dei popoli che la vivevano.
 
Dobbiamo ricordare i bombardamenti della Nato iniziati il 24 marzo 1999 e durati 78 giorni, la loro completa illegittimità ed illegalità (perché non solo violarono la Carta dell’ONU, ma anche gli stessi statuti fondativi dell’Alleanza Atlantica, oltre all’Art. 11 della Costituzione italiana) e la conseguente occupazione militare della regione dopo il 10 giugno, a seguito dell’evacuazione dell’esercito della Repubblica Federale Jugoslava.
 
Dobbiamo ricordare che quella che fu definita un’operazione “umanitaria”, ha prodotto dei risultati che oggi sono sotto gli occhi di tutti e ormai riscontrabili anche nelle più famose testate giornalistiche internazionali.
 
Nonostante lo scatenamento di una guerra (che in un contesto di civiltà dovrebbe essere soltanto una “estrema ratio”), lo stanziamento di quello che è stato il più imponente investimento economico dell’Unione Europea verso l’estero (fino ad oggi 4 miliardi e 800 milioni di euro), senza contare il mantenimento delle decine di migliaia di soldati della Nato avvicendatisi in questi anni (di cui 2.800 italiani) ed il lavoro delle più potenti diplomazie e lobbies economiche internazionali,
 
questi sono i risultati:
 
• quasi 300.000 mila profughi di tutte le etnie, ma nella stragrande maggioranza serbi e rom, scacciati dalla loro terra;
 
• più di 3.000 casi di desaparecidos (di cui 1.300 già dati per morti) denunciati all’ONU, rapiti e assassinati dal marzo ’99 ad oggi;
 
• quasi 100.000 persone che vivono in poche decine di enclavi, sopravvissute alle violenze e alla pulizia etnica dei secessionisti albanesi, veri e propri campi di concentramento a cielo aperto, di fatto, in un regime di apartheid in Europa;
 
• centinaia di migliaia di case bruciate e distrutte;
 
• 148 monasteri e luoghi di culto ortodosso, distrutti o danneggiati dalle forze criminali dell’UCK;
 
• il Kosovo è oggi indicato dalla stessa DEA (Agenzia Antidroga USA) come un narcostato nel cuore dell’Europa; questa regione è indicata da tutti gli esperti investigativi occidentali, come il crocevia e lo snodo internazionale di tutti i traffici criminali, dalla droga alle armi, dalla prostituzione al traffico di organi. Lo stesso ex premier albanese kosovaro B. Bukoshi ha dichiarato al giornale tedesco Der Spiegel nell’intervista del 1 agosto 2004: “.. il nostro governo si basa, di fatto, su strutture mafiose…”.
 
E’ una regione senza più apparati produttivi, dove la disoccupazione degli stessi albanesi kosovari comprende i due terzi della popolazione; una regione completamente uranizzata dai bombardamenti umanitari e dove i dati sulle nascite di neonati malformi o i decessi per linfomi di Hodgkin, sono assolutamente top secret, ma basta parlare con sanitari del luogo per farsi un’idea della situazione reale.
 
Di tutte le promesse e gli obiettivi che furono sbandierati quasi otto anni fa, la realtà quotidiana d’oggi è illegalità e criminalità dispiegate, violazione dei più elementari diritti umani e civili, una forma di razzismo pianificato mediante sistematiche violenze e discriminazioni etniche nei confronti delle minoranze; una situazione di vero e proprio apartheid testimoniato dalle enclavi, dove decine di migliaia di uomini, donne e bambini vivono in condizioni subumane e di mera sopravvivenza fisica, senza lavoro, sanità, educazione, diritti.
 
La verità storica sotto gli occhi di tutti è una sola: l’operazione Kosovo, ha raggiunto gli obiettivi politici, militari e geostrategici della Nato e della cosiddetta comunità internazionale, ma è stato un totale fallimento per i popoli della regione.
 
Oggi, a distanza di sette anni sono iniziate le trattative per la definizione del futuro status della regione serba, de facto ancora un protettorato internazionale. La rivendicazione delle forze secessioniste kosovare albanesi dell’indipendenza come unico obiettivo non trattabile, è foriero di nuovi scenari di tensioni e squilibri internazionali, e di rischi d’ulteriori destabilizzazioni non solo nel Kosovo e nella Serbia, ma anche in Macedonia, Bosnia, Montenegro, Bulgaria e nella stessa Grecia settentrionale.
 
Essendo stato stabilito che dal 2006 il Kosovo sarà una delle priorità del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, stante i pericoli insiti nel dispiegarsi dei negoziati e degli indirizzi che essi prenderanno, riteniamo di lanciare quest’Appello, a partire da alcune considerazioni e valutazioni generali di fondo e proponendo alcuni obiettivi generali da portare avanti nel nostro paese.
 
Italia, Maggio 2007
Enrico Vigna, portavoce del Forum Belgrado Italia

 

Considerando e ritenendo che:

 

- nel XXI secolo l’esistenza di “enclavi etniche” nel Kosovo, vera e propria forma di apartheid, dentro un territorio amministrato dall’Onu è inaccettabile e vergognosa;

 

- tutte le forme di ingerenza e ricatto sistematico, politico, economico e militare, sono inaccettabili e producono ostacoli e problemi ad un negoziato costruttivo e risolutivo

 

- l’avallo ad un’indipendenza unilaterale del Kosovo, va considerata un’ulteriore violazione del Diritto internazionale e che solo una soluzione pacifica e concordata tra le parti, può dare prospettive di un futuro di sviluppo positivo della regione

 

-  l’eventuale riconoscimento internazionale di un microstato indipendente come il Kosovo, costringerebbe il Parlamento della Serbia (come già sancito) a dichiarare la provincia come “territorio occupato”, con le prevedibili conseguenze a tutti i livelli, non potendo accettare la creazione e l’amputazione di una parte della propria territorialità, all’interno dei propri confini

 

Noi sottoscritti porteremo avanti in tutte le istanze politiche istituzionali e della società civile italiana ed europea, le seguenti sollecitazioni circa la situazione e le prospettive della provincia del Kosovo Metohija, Serbia, per:

 

- una impostazione del negoziato tra le parti, strettamente fondato sulle norme del Diritto Internazionale, come concepito dalla Carta dell’ONU 

 

- il rispetto e l’applicazione della Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, e della Dichiarazione di Parigi dell’OSCE

 

- il diritto al ritorno ed alla riacquisizione dei propri beni e proprietà, dei 300.000 profughi e rifugiati di tutte le etnie scappati dal 1999 ad oggi. Con l’impegno da parte delle forze internazionali alla garanzia della vita e della sicurezza, oltre ai loro diritti umani, civili, politici e religiosi, insieme al ritorno di contingenti limitati dell’esercito e della polizia serbi, come stabilito nella Risoluzione 1244

 

- i risultati del negoziato per lo Status definitivo della provincia siano ispirati e fondati sul rispetto e gli interessi legittimi e storici, di tutte le componenti etniche che da sempre hanno abitato lì, in modo paritario e reciproco

 

- siano considerati inalienabili l’inviolabilità delle frontiere e l’integrità territoriale, come rispetto della sovranità nazionale della Serbia, intesa come stato sovrano; in modo da salvaguardarne i suoi interessi nazionali, come stato facente parte a pieno titolo delle Nazioni Unite

 

- sia tenuto conto e rispettata la stessa Costituzione della Serbia, che recita l’inviolabilità e inalienabilità del territorio statale. E sia riconosciuta soltanto alla volontà popolare la ratifica di eventuali modifiche statutarie, accettando che solo un Referendum tra i cittadini della Serbia, possa eventualmente accettare la modifica dei confini statali

 

- il rispetto e l’utilizzo nei negoziati di principi unici ed universalisti, validi in qualsiasi area geografica per la risoluzione di conflitti interetnici, in modo che le decisioni siano conformi ed interne alle norme del Diritto Internazionale

 

- l’avvio di un processo di “ riconciliazione nazionale” tra i popoli del Kosovo, utilizzando strumenti culturali, sociali e civili

 

- l’obiettivo finale deve essere il ripristino di una situazione di multietnicità, multiculturalità e multireligiosità

 

- l’impegno a richiedere al governo ed alle istituzioni italiane di non riconoscere o instaurare relazioni diplomatiche con una entità estranea ai principi del Diritto Internazionale e della Carta dell’ONU, quale sarebbe un eventuale stato indipendente del Kosovo

 

Per adesioni, informazioni e contatti:  sosyugoslavia@...
 
Primi firmatari
(Cognome, Città, Funzione)

Accame Falco, Roma, Ex parlamentare e Presidente ass. A.N.A.V.A.F.A.F.
Arcidiaco Franco, Reggio Calabria, Direttore rivista Altra Reggio
Bernardini Aldo, Roma, Docente Università di Teramo
Bocca Giorgio, Milano, Giornalista
Bulgarelli Mauro, Roma, Senatore
Caralis Giorgio, La Spezia, Direttore rivista Italia Ortodossa
Cararo Sergio, Roma, Direttore rivista Contropiano
Catone Andrea, Bari, Presidente ass. Most Za Beograd
Cernigoi Claudia, Trieste, Giornalista e ricercatrice storica
Chiesa Giulietto, Roma, Europarlamentare e giornalista
Dinucci Manlio, Pisa, Analista di questioni internazionali
Don Andrea Gallo, Genova, Comunità di S. Benedetto
Don Carbone, Genova, Rettore Santuario Minianego
D'Orsi Angelo, Torino, Docente Università di Torino
Francone Carla, Firenze, Direttrice rivista Nuova Unità
Giannini Fosco, Ancona, Senatore
Kersevan Alessandra, Udine, Ricercatrice storica
Lano Angela, Torino, Giornalista
Lenzi Mauro, Colle Val d'Elsa (Si), Consigliere comunale
Leoni Alessandro, Firenze, Direttivo Istituto Storico della Resistenza Toscana
Lo Surdo Domenico, Urbino, Docente Università di Urbino
Manes Sergio, Napoli, Presidente ass. La Città del Sole
Manetti Aldo, Firenze, Consigliere regionale
Moiola Paolo, Torino, Giornalista
Padre Ambrogio, Torino, Chiesa Ortodossa Torino
Palù Giorgio, Pordenone, Presidente Consumatori Coop Sacile
Pegolo Gianluigi, Pordenone, Deputato
Rossi Ferdinando, Ferrara, Senatore
Santopadre Marco, Roma, Direttore Radio Città Aperta
Tarozzi Alberto, Bologna, Docente Università di Bologna
Teti Nicola, Milano, Direttore rivista Calendario del Popolo
Toschi Marazzani Visconti Jean, Milano, Giornalista
Vasapollo Luciano, Roma, Docente Università di Roma
Vielmini Fabrizio, Torino, Giornalista
Vigna Enrico, Torino, Portavoce Forum Belgrado Italia
Zanella Luana, Venezia, Deputata



(Pochi giorni fa a Belgrado è stata commemorata la strage compiuta dagli aerei NATO il 7 maggio 1999. Quel giorno, un bombardamento mirato sull'Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese causò tre vittime)


http://news.xinhuanet.com/english/2007-05/07/content_6067026.htm

Xinhua News Agency
May 7, 2007

Chinese reporters killed in NATO bombing 8 years ago commemorated


BELGRADE - Three Chinese journalists killed in the
U.S. - led NATO bombing of the Chinese embassy in
Belgrade eight years ago were commemorated at a
special ceremony Monday.

Shao Yunhuan of Xinhua along with Xu Xinghu and his
wife ZhuYing from the Beijing-based Guangming Daily
newspaper were killed in the missile attack, which
inflicted serious damage to the embassy buildings on
the evening of May 7, 1999.

The ceremony was attended by the Chinese ambassador to
Serbia, Li Guobang, and members of staff from the
embassy.

There was also a number of Belgrade-based Chinese
journalists, scholars and students, as well as various
representatives of Chinese companies at the event.

The guests laid wreaths and flowers at the ruins of
the former Chinese embassy.

The bombing aroused indignation in China and
condemnation from the international community.

China recalled its ambassador from Washington in
protest against the attack.