Informazione

FROM SUDETENLAND TO KOSOVO (AND BACK?...)



... Alfred (Sherman) sees precise parallels (...) between the
fashionable denunciation of the Czechs for their treatment of the
Sudeten Germans in 1938 and the recent excoriation of the Serbs in
Kosovo and elsewhere... "It reminds one of the late 1930's, when most
of the British press demonised the Czechs at Downing Streets behest,
denouncing them as a threat to European peace and for ill-treating
their peaceful German Sudetenland minority; 'Herr' Hitler, by
contrast was held up as a reasonable man... It its almost invariably
the innocent who suffer in war..."

(Source: ChroniclesOnline August 30, 2006
Sir Alfred Sherman: Witness to a Century, By Srdja Trifkovic

http://www.chroniclesmagazine.org/cgi-bin/newsviews.cgi/
Sir_Alfred_Sherman_.html?seemore=y )

(english / italiano / deutsch)

Revisionismo pangermanico per un'Europa neocarolingia

1. A Berlino aperta la mostra organizzata dalla Federazione degli
espulsi tedeschi
"La Repubblica" - 10 agosto 2006

2. The Ordering of a Superstate
german-foreign-policy.com - 2006/08/29

3. Germanophilic Elites
german-foreign-policy.com - 2006/06/06


AUF DEUTSCH:

Newsletter vom 06.06.2006 - Germanophile Eliten

NÜRNBERG/PRAG (Eigener Bericht) - Noch vor der Bildung einer neuen
tschechischen Regierung üben führende deutsche Politiker Druck auf
Prag aus. Sie verlangen, tschechoslowakische Widerstandskämpfer gegen
die frühere NS-Okkupation nachträglich unter Strafe zu stellen. Eine
entsprechende Forderung richtet der Ministerpräsident des
Bundeslandes Bayern, Edmund Stoiber, an die konservativen Wahlsieger
in Prag. Stoiber trat am vergangenen Wochenende als Hauptredner auf
einer Veranstaltung deutscher Revisionsverbände auf
("Sudetendeutscher Tag"). Unter dem Motto "Vertreibung ist
Völkermord" erklären sie die Umsiedlungen der Nachkriegszeit zum
unverjährbaren und damit zu jedem zukünftigen Zeitpunkt straffähigen
Verbrechen. Bei ihren Einflussbemühungen in Tschechien setzen die
deutschen Verbände auf eine Umwertung des Nachkriegsgeschehens durch
deutschfreundliche Kreise in Tschechien und stützen sich unter
anderem auf die dortigen Grünen. Deren Ursprünge reichen bis in die
Dissidentenzeit der 1970er und 1980er Jahre zurück. Bereits damals
bestanden enge Kontakte mit deutschen Revisionsverbänden...

http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/56387

Newsletter vom 29.08.2006 - Überstaatliche Ordnung

BERLIN/MAGDEBURG/WEIMAR (Eigener Bericht) - Das europaweite deutsche
Reich mittelalterlichen Zuschnitts kann als Modell für den
Zusammenschluss der heutigen EU-Staaten gelten. Dies erklärt der
Berliner Staatsminister für Kultur, Bernd Neumann. Demnach offenbare
erst die Erinnerung an das Heilige Römische Reich deutscher Nation
die "innere, historische Folgerichtigkeit" von Gründung und stetiger
Erweiterung der EU. Die Äußerungen bereiten die Berliner Feiern zum
50. Jahrestag der Europäischen Wirtschaftsgemeinschaft (EWG) vor, zu
denen Bundeskanzlerin Merkel den deutschen Papst Joseph Ratzinger
eingeladen hat. Ratzinger ist engagierter Befürworter der
"Reichsidee" und soll in der deutschen Hauptstadt über die "geistigen
Grundlagen" Europas sprechen. Die Regierungsoffensive zur
Revitalisierung der Reichsidee unterstreicht den deutschen
Führungsanspruch in der EU und bestätigt Befürchtungen in Frankreich,
Großbritannien und fast sämtlichen Staaten Osteuropas. Teile der
deutschen Eliten warnen vor einer allzu offenen deutschen
Hegemonialpolitik...

http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/56480

Kurznachricht: Thema verfehlt

Der Abteilungsleiter für Kultur und Medien im Kanzleramt, Hermann
Schäfer, hat mit einer Rede in Weimar einen Eklat verursacht. Anstatt
des KZ Buchenwald zu gedenken, hatte Schäfer an die Umsiedlung der
Deutschen erinnert...

http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/56479


=== 1 ===

http://www.agitproponline.com/notizie/notizie.asp?id=398

A Berlino una mostra sui profughi europei. Varsavia accusa: "Questo è
revisionismo"

In esposizione oggetti e documenti del XX secolo da tutto il
continente. La Federazione degli esuli tedeschi vuole creare un
centro documentazione. Per i polacchi "non sottolinea che la causa di
tutto fu Hitler"

Roma - Ci sono anche testimonianze dei greci costretti a lasciare
Cipro o dei Karelians senza patria al confine tra Finlandia e Russia.
Eppure una mostra sulle espulsioni e i profughi del XX secolo, che si
apre oggi a Berlino, riaccende attriti mai sopiti tra tedeschi,
polacchi e cechi. Prima ancora che si aprisse, "Percorsi forzati -
fuga ed espulsione nell'Europa del XX secolo", fino al 29 ottobre al
Kronprinzpalais sulla Unter den Linden, ha costretto la promotrice
della mostra e presidente della Federazione degli espulsi tedeschi,
Erika Steinbach, a spiegare alla stampa tedesca che l'iniziativa non
ha alcun intento revisionista.

In esposizione al Kronprinzpalais ci sono fotografie di esuli da
Smirne, dalla Lituania, dall'Armenia, documenti di ebrei perseguitati
dal nazismo, oggetti che testimoniano i drammi dei deportati della
Lettonia e dell'Armenia. Ma le polemiche si sono scatenate proprio
per il fatto che la mostra si tiene a Berlino ed è organizzata
dall'associazione che rappresenta i 12,5 milioni di tedeschi che
lasciarono la Polonia e la ex Cecoslovacchia in seguito alla Seconda
Guerra Mondiale e alle decisioni assunte dagli Alleati nella
conferenza di Postdam del 1945.

Prima che i trasferimenti di tedeschi avvenissero "in maniera
ordinata e umana" come auspicava la conferenza, un milione e mezzo di
persone lasciarono Polonia e Cecoslovacchia con quella che fu in
seguito definita "espulsione selvaggia". I governi nazionali
filocomunisti attuavano una politica di pulizia etnica sulla spinta
delle istanze nazionaliste e delle esigenze della riforma agraria: le
terre degli espulsi venivano infatti riassegnate ai contadini
polacchi e cechi.

Da tempo la Federazione degli espulsi tedeschi (Bdv) chiede la
creazione di un Centro di archivio e documentazione sui profughi del
XX secolo e la mostra ne è un primo nucleo. Polonia e Repubblica Ceca
avversano il progetto, sostenendo che un tale istituto non può essere
ospitato da Berlino, la città in cui nacque il nazismo, e che la BdV
intende usarlo per sottolineare soprattutto le sofferenze degli esuli
tedeschi. Non è la prima volta che le iniziative e l'attività della
Federazione mettono in crisi le relazioni diplomatiche tra Germania,
Polonia e Repubblica Ceca.

L'attuale governo presieduto da Angela Merkel è cauto circa la
creazione dell'archivio, ma non ha mai escluso del tutto la
possibilità che la Germania se ne faccia promotrice, mentre in questo
senso la posizione del precedente cancelliere, Gerhard Schroeder, era
stata decisa: niente iniziativa a Berlino.

La presidente della BdV e membro della Cdu, Erika Steinbach, ha
spiegato in questi giorni ai giornali tedeschi la posizione della
Federazione e non ha nascosto le finalità della mostra. "Vogliamo
mostrare cosa accadde a milioni di persone e promuovere la
comprensione tra popolazioni europee - ha detto Steinbach - e credo
che la mostra sia un passo importante verso la realizzazione del
centro di documentazione".

La reazione della diplomazia polacca è stata immediata: "Non
approviamo la mostra - ha detto Slawomir Tryc, consigliere
dell'ambasciata polacca a Berlino - riteniamo che raggruppare tutte
le espulsioni in Europa in un solo mucchio sia falsificare la
storia". Il punto dei polacchi è che le espulsioni dei tedeschi
furono la diretta conseguenza di una guerra cominciata dalla Germania.

Quella della mostra è solo l'ultima scintilla di un rapporto con
molti attriti: un magazine polacco nel 2003 ritrasse Erika Steinbach
in uniforme nazista, che maltrattava Schroeder. Steinbach è di fatto
la voce di molti tedeschi che chiedono al governo di Varsavia
compensazioni per le terre confiscate. Le frizioni sono notevoli
anche ad alto livello: recentemente il governo polacco si è sentito
pugnalato alle spalle da un accordo russo-tedesco per un metanodotto,
portato avanti dal governo Schroeder e un incidente diplomatico è già
scoppiato quando un quotidiano tedesco di sinistra ha apostrofato il
presidente Lech Kaczynski dandogli della "patata".

da "La Repubblica" - 10 agosto 2006



=== 2 ===

http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/56021

The Ordering of a Superstate

2006/08/29

BERLIN/MAGDEBURG (Own report) - The medieval, Europe-wide German
Reich is a valid model for the union of European countries today. So
says the Berlin State Minister for Culture, Bernd Neumann. According
to him, the memory of the Holy Roman Empire of the German Nation
reveals "an inner historical consistency" with the founding and
steady expansion of the European Union. These remarks are a
preparation for the festivities in Berlin for the fiftieth
anniversary of the European Economic Community (EEC), to which the
Federal Chancellor, Angela Merkel, has invited the German Pope,
Joseph Ratzinger. Ratzinger is a committed supporter of the "Imperial
Ideal" (Reichsidee) and is to speak on the "spiritual foundations" of
Europe in the German capital. This government offensive to revitalise
the Imperial Ideal will underline the German leadership of the EU and
confirm fears in France, Great Britain and almost all the states of
eastern Europe. Sections of the German elites are warning against an
all-too-public assertion of German hegemony.

Great Significance

As the Berlin State Culture Minister Bernd Neumann said, the German
Reich of the Middle Ages can "from today's viewpoint" serve "as a
valid model of the functioning order of a superstate".[1] Neumann
took this opportunity when he opened an exhibition last Sunday (27
August) which is dedicated to this supposed historical exemplar ("The
Holy Roman Empire of the German Nation, 962 - 1806"). Because of the
prominence of the exhibition (partly in the state-controlled
Historical Museum in Berlin), the individual stands and total content
of the exhibition are attracting remarkable public interest. The
Culture Minister's intervention has strengthened the political
charisma of the exhibition. He is a committed supporter of the
Federal Chancellor. It touches on "every great trend (...) which
makes very clear to us the inner historical legitimacy and
consistency of European unification", said Neumann on Sunday. The
explicit aim of the organisers is "to examine the past of Old Europe
in a time of fundamental inner and external reorientation".[2]
According to the organisers, they have traced "structures and
developmental processes" which are "of great significance for the
federal construction of Europe".

The Europe of Tomorrow

The public references to the structures of the medieval Reich which
are evident in Neumann's position used to be the province of the
extreme right, or confined to clerical-conservative circles - at any
rate since the Second World War. This was the opinion of the CSU
(Christian Social Union) politician and grandson of the Austrian
Kaiser, Otto von Habsburg who made it known at the end of the
Seventies that "the European integration of our times (...) follows
the grand outline and principles of the Reich, which survived 1806,
because they are of lasting validity".[3] Similarly, the Pan-Europa
Union, an association of EU supporters close to the CSU insisted that
"the eternal function of the Reich must be renewed in the Europe of
tomorrow in the interest of the West".[4] Similarly, Joseph
Ratzinger, the present Pope Benedict XVI acknowledged that the
origins of today's EU should acknowledge "a common imperial ideal
(Reichsidee)".[5] In recent years, conservative newspapers have
opened their columns to new advocacy for the "Reich".[6]

The Papal Speech

As the Speaker of the Bundestag Norbert Lammert (CDU) has now
informed us, he has invited a supporter of the imperial ideal, Joseph
Ratzinger, to Berlin next year. The invitation was extended to
Ratzinger last Monday by the Federal Chancellor at a reception in
Castel Gandolfo. The German Pope will be in Berlin to attend the
festivities for the fiftieth anniversary of the Treaty of Rome and
will grace the proceedings with a speech. The German press already
reports that the religious consecration will validate the European
Economic Community (EEC) and will be dedicated to "the spiritual
foundations of Europe's political unification".[7] The invitation
legitimates the "Reich" concept of a stable co-operation of Church
and State. It will be a particular affront to France, a founder
member of the EEC. Paris is committed to secularism and the
separation of Church and State has been a principle of French public
life since the revolution of 1789.

Central Europe

The Berlin Culture Minister's speech of last Sunday will also affront
those European states lying to the east and south of Germany's
borders. The Minister made an obvious allusion to Poland and the
Czech Republic when he said that the Holy Roman Empire of the German
Nation was "a part of the past of many European states". According to
Neumann "Germany and Central Europe are historically and culturally
indissolubly linked together".[8] By this the State Minister recalled
the earlier German hegemony to the east of Germany's present
frontiers, which the Federal Republic has tried to reassert since 1990.

Fears

The reawakening of the Reich myth has run into sharp criticism. In a
press interview, the historian Heinrich August Winkler pointed to the
significance of the Reich myth for Nazi propaganda. According to
Winkler it was decisive "that the Reich was always something else and
more than a normal national state". When, in 1939, Hitler proclaimed
the Protectorate of Bohemia and Moravia over the rump of
Czechoslovakia, legal historians of pan-German views confirmed that
this act was quite in line with the old Imperial ideal which had
always been supranational. Winkler warns of new tensions between
European states. "Incantation of the Reich" would "unavoidably create
fears of German demands if it became again the model for the ordering
of Europe".[9] As criticism of the well-know historian Winkler has
been prominently publicised for three weeks, [10] the Minister's
speech can be clearly understood as an undoubtedly intentional
rebuttal on behalf of German Reich propaganda.


[1] Kulturstaatsminister Bernd Neumann eröffnet Ausstellung "Heiliges
Römisches Reich Deutscher Nation 962-1806"; Pressemitteilung des
Presse- und Informationsamts der Bundesregierung 27.08.2006
[2] www.dhm.de/ausstellungen/heiliges-roemisches-reich/index_2.html
[3] Otto von Habsburg: Karl IV. Ein europäischer Friedensfürst,
München/Wien 1978
[4] Monatsinformationen der Paneuropa-Union, Januar 1977
[5] see also Habemus Europam - http://www.german-foreign-policy.com/
en/fulltext/52652?PHPSESSID=8dfbakqorlagf07b4cn64vi5v1 - and A Son of
Germany - http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/56000?
PHPSESSID=8dfbakqorlagf07b4cn64vi5v1
[6] see also Reichwerdung - http://www.german-foreign-policy.com/de/
fulltext/46973?PHPSESSID=8dfbakqorlagf07b4cn64vi5v1 - and Heiliges
Reich - http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/54117?
PHPSESSID=8dfbakqorlagf07b4cn64vi5v1
[7] Lammert lädt Papst in den Bundestag ein; Frankfurter Allgemeine
Zeitung 28.08.2006
[8] Kulturstaatsminister Bernd Neumann eröffnet Ausstellung "Heiliges
Römisches Reich Deutscher Nation 962-1806"; Pressemitteilung des
Presse- und Informationsamts der Bundesregierung 27.08.2006
[9], [10] "Erste Macht Europas"; Der Spiegel 32/2006


=== 3 ===

http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/56002

Germanophilic Elites

2006/06/06

NUREMBERG/PRAGUE (Own report) - Even before a new Czech government
has been constituted, prominent German politicians are exerting
pressure on Prague. They are demanding the indictment of former
members of the Czechoslovakian resistance against Nazi-occupation.
The Prime Minister of Bavaria, Edmund Stoiber, called on the
conservative winners of the elections in Prague to meet this demand.
Last weekend, Stoiber was the keynote speaker at a German revisionist
federation's meeting ("Sudeten Germans' Day"). Under the slogan
"Banishment is Genocide" they declare that the resettlement of
Germans, in the aftermath of WW II, are crimes without a statute of
limitations and can therefore be prosecuted at any time. In their
efforts to influence Czech policy, these German federations bank on
the support of German-friendly circles in the Czech Republic,
including the Greens, to revise post war history. The origins of the
Czech Greens date back to the period of dissidence in the 1970s and
'80s. Already at that time, the Greens had close contacts to German
revisionist federations.

Retrieve

In his speech on "Sudeten Germans' Day", Bavarian Prime Minister,
Stoiber, demanded a "round table" that would include the future Czech
government, Bavarian representatives and those of the Sudeten German
Homeland Association, with the objective of "healing" "past
injustice" - the resettlement of the Germans.[1] For this, the
resettled Germans - who had been banished because they had profited
from and collaborated with the Nazi-occupation - must be "restored
their full dignity as Bohemian citizens". "This means", declared
Stoiber, "they must be retrieved back into the history and community
of their homeland." This vague formulation leaves various options
open, one being an earlier suggestion by Prague, that had been
rejected by the German Government in 1992, because of domestic
considerations: Prague had offered to grant Czech citizenship to the
resettled Germans and their descendents (as a second to their German
citizenship).[2]

Criminals

Alongside the vague demand for "homeland rights" for the Germans,
banished in 1945[3], the Bavarian Prime Minister also demands the
abrogation of the law guaranteeing amnesty (May 8, 1946). This law
exempts from punishment, all actions of resistance against the Nazi
occupation committed during the entire duration of the occupation, as
well as during the time of feared Nazi-rebellions, following the
occupation.[4] An abrogation of this law would criminalize all
resistance fighters, who had broken Nazi laws while operating
clandestinely, including those, who had killed Reinhard Heydrich, the
Nazi governor in Prague, on May 27, 1942.

Crimes

The abrogation of this amnesty law is considered necessary, because
there were also criminal offences committed during the struggle
against the German occupier. Similar situations in which acts of
revenge were carried out against the hated occupier and his
collaborators are known to have taken place in all occupied
countries, including France and Italy. What German foreign policy was
not able to accomplish in Western Europe, is being tried in Eastern
Europe: By spotlighting individual cases of excess, they are
attempting to characterize the entire resettlement activities as
ethnically motivated crimes.[5]

Genocide

If they succeed, there would be no stopping of the legal
qualification of resettlement as "genocide". As Bernd Posselt, the
national chairman of the Sudeten German Homeland Association
expressed it last weekend in Nuremberg, the "expulsion" was a
"calculated and planned act, aimed at the establishment of an
ethnically homogeneous national state".[6] According to Posselt, the
"attempt to destroy an ethnic group by robbing it of its livelihood"
should already be considered as genocide. "Banishment is Genocide"
was the slogan of this year's "Sudeten Germans' Day". The fact that
genocide cannot fall under the statute of limitations and can
therefore be criminally pursued at any time is crucial to the
revisionist politicians.

Advancement Opportunities

In their efforts to revise postwar history, the German revisionist
federations bank on Germanophilic circles in the Czech Republic.
Particularly the new elite generation is considered receptive to
these efforts. In an opinion poll in the Czech Republic, only one
third of those between 16 and 29 years old oppose a German inspired
"Center against Banishment" - as opposed to approximately 60 percent
of the people over 60. Comparable results were recorded in other
Eastern European countries, showing the impact of these states'
foreign policy reorientation in the years 1989 to 1991. Their
subsequent co-operation with Germany, the new hegemonic power, opened
numerous advancement opportunities, as they were dissociating
themselves from their former elite of the defunct socialism and its
eastern ties, reflecting the experience of German occupation.

Positive expectations

The resettled Germans are particularly banking on the Germanophilic
circles in sectors of the former dissident movements. The Sudeten
German Homeland Association's national chairman, Bernd Posselt, has
"positive expectations" [7] particularly in relation to the Czech
Greens, who polled approximately six per cent of the vote in last
weekend's parliamentary elections. At its origins the Green Party
were sympathizers of the former "Charter 77" opposition. Petr Uhl,
the Greens chairman in Prague, had been one of the signers of the
"Charter 77" founding document. In a common declaration signed by the
Czech Greens and the German "Alliance 90/The Greens" Party in
neighboring Bavaria, one reads: "The Czech Greens will strive to keep
the memory alive of the loss resulting from liquidation and
banishment."[8]

Free Europe

Uhl is not the only prominent representative of the 1970s and '80s
opposition, who had adopted demands of the German revisionist
federations. Pavel Tigrid, who had lived in exile, considers the
resettlement to be one of the biggest ethnic cleansings in European
history. On occasion, Tigrid had been the director of "Radio Free
Europe" (RFE) and later, in Paris, published the Czechoslovakian
exile magazine "Svedectvi". RFE was founded by the US secret services
and for many years had its headquarters in Munich (Bavaria). RFE's
first propaganda broadcast (1951) was already directed at listeners
in the former CSSR. Since 1995, RFE has been broadcasting from Prague.

Together

The co-operation between Czech exiled politicians, German
revisionists and subversive organizations, explains the success of
the current attacks on the Czech Republic's sovereignty. These common
interests can be found even among today's top politicians in Prague.
For example, a former collaborator of the Pan European Union, which
enjoys close ties to the federations of the "banished", announced
that he had traveled "often since 1981 (...) to visit opposition
intellectuals of Solidarnosc in Poland, Charter 77 in Bohemia" and
had maintained "close contacts" to them.[9] Rudolf Kucera, one of the
signatories of the "Charter 77" was one who profited from the eastern
contacts of German "banished" circles and established in the 1980s,
an underground branch of the Pan European Union in Prague. In 1991,
Kucera became a member of the German-Czech historian commission - at
a time, when former "Charter 77"-speaker, Vaclav Havel, proposed to
offer "the Sudeten Germans" also the Czech citizenship, in addition
to their German citizenship. Havel, who enjoys high esteem because of
his former activities as a dissident, is considered a member of the
inner circle of the Germanophilic elite. In the headquarters of
"Radio Free Europe", he celebrated the 50. Anniversary of this CIA
media creation - together with German guests.


Please read also A European Purpose, Hitler, Stalin, Churchill,
Roosevelt, Praktische Schritte, Großer Irrtum, Symbolpolitik,
Gefährlicher Druck, Gegen Prag and Umfassende Ansprüche

[1] Rede des Bayerischen Ministerpräsidenten Dr. Edmund Stoiber;
Hauptkundgebung des 57. Sudetendeutschen Tages, Sonntag, 4. Juni 2006
[2] "Sehr wenig bekannt ist in diesem Zusammenhang zum Beispiel ein
Vorgang aus dem Jahre 1992, als in der damaligen Tschechoslowakischen
Republik Petr Pithart als Ministerpräsident amtierte und
Staatspräsident Václav Havel dem deutschen Kanzler Kohl inoffiziell
folgenden Vorschlag unterbreitete:
- Die Sudetendeutschen erhalten auf Wunsch die Staatsangehörigkeit
der Tschechoslowakei wieder und können somit, wenn sie es wollen, als
gleichberechtigte Bürger in die Heimat zurückkehren
- Gleichzeitig können sie die deutsche Staatsangehörigkeit behalten,
um ihre in der Bundesrepublik erworbenen Rechte abzusichern
(...)
Den wahren Hintergrund, warum eine Antwort aus Bonn ausgeblieben war,
erhellte Jahre später eine Aussage des damaligen tschechischen
Botschafters gegenüber dem Autor (Rudolf Hilf). Demnach fürchtete die
unionsgeführte Regierung, daß "dann auch chilenische Flüchtlinge und
andere (vor allem Türken) die doppelte Staatsbürgerschaft verlangen"
könnten." Verpaßte Chance: Sudetendeutsche Doppelpässe. Warum Bonn
1992 ein tschechisches Gesprächsangebot abblockte; Das
Ostpreußenblatt 13.02.1999
[3] Rechtliche Grundlage für Ausbürgerung und Umsiedlung waren damals
die so genannten Benes-Dekrete, deren Annullierung Stoiber daher in
Nürnberg erneut verlangte. See also Deutscher Innenminister verlangt
Rücknahme der "Benes-Dekrete", Annullierung später, Annullierung
jetzt and Annullierung der "Benes-Dekrete": "Weiterhin aktuell"
[4] Straffreistellungsgesetz vom 8. Mai 1946, § 1: "Eine Handlung,
die in der Zeit vom 30. September 1938 bis zum 28. Oktober 1945
vorgenommen wurde und deren Zweck es war, einen Beitrag zum Kampf um
die Wiedergewinnung der Freiheit der Tschechen und Slowaken zu
leisten, oder die eine gerechte Vergeltung für Taten der Okkupanten
oder ihrer Helfershelfer zum Ziele hatte, ist auch dann nicht
widerrechtlich, wenn sie sonst nach den geltenden Vorschriften
strafbar gewesen wäre."
[5] Entsprechend ordnet der Sprecher der Sudetendeutschen
Landsmannschaft, Johann Böhm, die Umsiedlung völkisch motivierten
Aufstandsversuchen der deutschsprachigen Bevölkerung der
Tschechoslowakei in der Zwischenkriegszeit gleich: "Die Opfer der
Jahre 1918 bis 1946 haben einen Anspruch darauf, ins Recht gesetzt zu
werden." Grußwort des Sprechers der sudetendeutschen Volksgruppe;
www.sudetendeutscher-tag.de/index2.htm
[6] Festliche Eröffnung des 57. Sudetendeutschen Tages mit Verleihung
des Europäischen Karls-Preises 2006. Samstag, 3. Juni 2006,
Messezentrum. Eröffnung durch Bernd Posselt, Bundesvorsitzender der
Sudetendeutschen Landsmannschaft
[7] Bayerns "vierter Stamm" trifft sich in Nürnberg; Die Welt 03.06.2006
[8] Erinnerung wachhalten - Zusammenarbeit fördern. Gemeinsame
Erklärung der bayerischen und der tschechischen Grünen;
www.tschechien-portal.info
[9] www.bruesewitz.org/Stock.html

"Liberazione" prova a parlare di Mostar


Matteo Tacconi su "Liberazione" rompe parzialmente con il vezzo
squallido dei commentatori italiani di non parlare (magari
seppellendola sotto a quintali di puzzolente sarcasmo) della
nostalgia degli jugoslavi per la Jugoslavia. Lo fa concentrandosi
sulla Bosnia. Il discorso si sposta via via sullo sciovinismo croato,
che esplode segnatamente in occasione delle partite di calcio
(ricordiamo anche la "svastica umana" approntata dagli ultras
ustascia a Livorno lo scorso 16/8, si veda ad es.: http://www.
24sata.hr/articles/view/31583/ ). L'Erzegovina è d'altronde il centro
del nazionalismo ustascia.

Nel ragionamento di Tacconi non mancano tuttavia alcune inaccettabili
sciocchezze: quella su Tito che avrebbe avuto "migliaia di donne";
l'affermazione lapidaria secondo cui l'esperienza jugoslava sarebbe
"irripetibile"; l'idea per cui quello socialdemocratico (di
Lagumdzija, filooccidentale) sarebbe l’unico partito bosniaco
autenticamente multietnico (per inciso: "Liberazione", visto che ti
occupi di Tito, lo sai che in Bosnia ci sono anche i comunisti?); o
la bugia secondo cui "i serbi assediarono la città" di Mostar, una
bugia degna di Predrag Matvejevic. In realtà, i serbi furono i primi
a subire la pulizia etnica della città, dovendo scappare tutti, circa
ventimila, sulle colline attorno a Mostar subito allo scoppio della
guerra fratricida, e solo in questo senso "assediandola".

In generale, anche i migliori articoli dei commentatori italiani
sulla Bosnia tradiscono una incomprensione di fondo: e cioè il non
voler prendere atto che non esiste e non può esistere alcuna Bosnia-
Erzegovina multinazionale se non all'interno di una Jugoslavia
multinazionale. (Italo Slavo)


Liberazione
22 agosto 2006

Nel paese balcanico tagliato a fette dalla guerra etnica cresce il
rimpianto verso vecchio modello jugoslavo

Quando c’era Tito...
La Bosnia ha nostalgia del Maresciallo

Matteo Tacconi

Sarajevo - La rivoluzione toponomastica degli anni Novanta ha
risparmiato il buon vecchio Tito. La Marsala Tita ha conservato
l’antica e prestigiosa collocazione, tanto a Sarajevo, quanto a
Mostar. La via intitolata al padre della “Seconda Jugoslavia”, quella
successiva alla parentesi monarchica e precedente all’era di Slobodan
Milosevic, percorre le due città più famose della Bosnia e dai
rispettivi centri storici fila via verso le periferie, dilatandosi
fino a diventare un’arteria.

Contrariamente a quanto accaduto nei vecchi paesi d’oltrecortina,
dove il crollo dei regimi socialisti ha avuto come corollario la
tenuta a battesimo di nuove vie, prima intitolate ai volti noti della
falce e del martello, finiti presto nel dimenticatoio e cestinati in
tutta fretta, la Bosnia ha lasciato le cose così com’erano: Josip
Broz è rimasto nel cuore delle città e della gente.

Il maresciallo è il simbolo di un’epoca irripetibile durante la quale
la gente aveva casa, lavoro e pace. Era così anche negli altri paesi
d’oltrecortina, ma il modello socialista jugoslavo era quello
dell’autogestione, ibrido, collettivista ma aperto anche
all’iniziativa privata. Liberale e senza tracce di cupezza. E poi
c’era l’ideale della Jugoslavia, la terra degli slavi del sud, un
grande coacervo di religioni e popoli, un esempio di convivenza
pacifica e fruttuosa tra tre religioni (cattolica, musulmana e
ortodossa), cinque popoli (croati, sloveni, serbi, bosniaci,
albanesi) e un unico partito, centralista e strutturato intorno alla
figura di Tito, ma pronto a elasticizzare l’apparato per comporre
contrasti e fratture.

Mugdim rimpiange i vecchi tempi. La sua casa sorge nella Jelica
Ulica, un vicolo che congiunge la Ferhadija e Mula Moustafa
Beseskije, le due vie che racchiudono il quartiere turco prima e
quello asburgico poi e che confluiscono nello slargo dove sorge il
monumento ai partigiani jugoslavi, che marca l’inizio della Marsala
Tita. Mugdim, ingegnere in pensione, ha combattuto nell’esercito
bosniaco e difeso Sarajevo dall’assedio dei serbi. Un cecchino lo ha
colpito e gli ha traforato il fianco, dov’è rimasta una grande
cicatrice. La piccola feritoia del bagno della sua abitazione si
affaccia su un rudere di guerra; sembra che la mattanza degli anni
Novanta non voglia lasciare in pace questo modesto e umile cittadino
della capitale, che affitta una stanza ai viaggiatori, senza
sciacallare: 12 euro a notte, compresa un’abbondante colazione.

Mugdim rifiuta di essere chiamato bosgnacco, l’aggettivo che segna
l’appartenenza alla “nazione” musulmana. «Io sono bosniaco e lo sono
anche i croati dell’Erzegovina e i serbi della repubblica Srpska. La
guerra ha tagliato a fette questo paese e la classe politica non fa
altro che alimentare i rancori per guadagnarne in termini di voti».
Sfoglia il giornale, Mugdim e scuote la testa quando intercetta con
lo sguardo i titoli delle pagine politiche, grondanti di
chiacchiericcio nazionalista e accuse reciproche, un continuo botta e
risposta tra i boss della Srpska e della Federazione, le due entità
che formano la Bosnia. «Quando c’era Tito vivevamo tutti sotto lo
stesso tetto», afferma.

Il figlio di Mugdim, Ervin, è un dinamico ventenne che lavora alla
commissione elettorale e sfida coraggiosamente la cortina etnica. Si
è fidanzato con una ragazza serba, contravvenendo all’ideologia
corrente, secondo la quale fidanzamenti e matrimoni misti sono quanto
di più squallido possa esserci, in un paese in cui l’ideologia della
divisione etnica, portato della guerra, appesta ancora l’aria. Quando
c’era Tito non era così. I musulmani si sposavano con gli ortodossi,
gli ortodossi con i cattolici, i cattolici con i musulmani. Le storie
di sposi e spose appartenenti a religioni diverse sono state cantate
con acume da Ivo Andric, romanziere nato a Travnik, nella Bosnia
centrale, insignito nel 1961 nel premio Nobel. «Prima c’era grande
tolleranza e rispetto per la fede altrui», afferma Dragan,
disoccupato di Brcko, mentre sorseggia stancamente rakija, la grappa
locale. Anche Dragan, serbo, è figlio della guerra. «Uno schifo»,
dice senza pensarci su troppo. Anche lui conferma che con Tito le
cose andavano diversamente. «La Jugoslavia era un paese rispettato,
equidistante dai blocchi, non allineato». Proprio questa è stata la
forza del maresciallo, che ha sfruttato al meglio la collocazione
geopolitica della Jugoslavia e flirtato con gli uni e con gli altri
(oltre che con migliaia di donne, data la sua proverbiale vocazione
da playboy), chiedendo prestiti a destra e manca.

Gli storici affermano che non è stato solamente il venire meno della
figura unitaria di Tito a spingere la Jugoslavia verso il baratro e
scatenare la carneficina in Bosnia. La morte, nel 1980, del patriarca
della seconda Jugoslavia è stato un duro colpo all’unità degli slavi
del sud. Ma, sostiene la storiografia, Tito ha le sue responsabilità:
ha accentrato in maniera eccessiva il potere senza mai porsi il
problema di individuare un degno successore e ha lasciato al paese
una mastodontica quantità di debiti, accumulati senza sosta durante
il periodo d’oro della Jugoslavia, la cui curva ha iniziato a
scendere dopo la morte del maresciallo, portando prima crisi
economica e inflazione e poi bombe, eccidi, stupri, morte.

Ma i nostalgici di Tito non si soffermano sulle discussioni
d’accademia. Rimangono ancorati all’idea di Jugoslavia, al benessere
di una volta, alla convivenza costruttiva tra i popoli dei Balcani. E
il movimento titino esce allo scoperto. Il caffé Marshall di Mostar è
un locale pieno di busti e foto del Maresciallo. C’è anche una copia,
chiaramente non originale, della taglia messa su di lui dai nazisti,
all’epoca della resistenza. Il posto è frequentato dai giovani di
Mostar, la cui parte musulmana (l’altra è quella croata) si distingue
per una certa indole progressista e per la volontà di riscoprire il
patrimonio politico della Jugoslavia titina. Nani, uno dei fondatori
del centro sociale Abrasevic di Mostar, palazzina diroccata in Ulica
Aleste Santica, la strada che segna la vecchia linea del fronte e che
è stata simbolicamente scelta dai giovani di Mostar per fondare il
centro, che si propone di favorire la riconciliazione tra le comunità
bosgnacca e croata, racconta: «Ero piccolo per ricordarmi della
Jugoslavia e celebrarla. Noi giovani respingiamo i nazionalismi
serbo, croato e bosgnacco e vediamo in Tito un simbolo di pace».
Maria, croata, altra animatrice dell’Abrasevic e candidata alle
parlamentari del primo ottobre, nelle fila dei socialdemocratici,
l’unico partito bosniaco autenticamente multietnico, non ha dubbi.
«La riscoperta di Tito va di pari passo con la voglia, avvertita
dalla gente comune, di riconciliazione e serenità». Fosse facile. La
Bosnia è un puzzle incandescente di nazionalismi, i politici
cavalcano lo sciovinismo per tirare acqua al proprio mulino. Il
titoismo è lontano. Ma crederci non fa mica male.


Liberazione
23 agosto 2006

Nel dualismo tra Zrinjski e Velez, le due squadre della città della
Bosnia-Erzegovina, entrano politica e tensioni mai superate tra
croati e musulmani

La guerra dei Balcani non è mai finita per chi gioca il derby di Mostar

Matteo Tacconi

Mostar - Difficile che il dualismo tra Zrinjski e Velez Mostar, le
due squadre della principale città dell’Erzegovina, la fascia
meridionale della Bosnia, possa suscitare l’interesse con cui si
segue il derby tra Roma e Lazio o le sfida tra Real e Barcellona. Ma,
pur lontano dalla vetrina della mondovisione, la sfida cittadina di
Mostar travalica abbondantemente il perimetro di gioco e sfocia
nell’aperta contesa politica. I croati (di destra) da una parte, i
musulmani (di sinistra) dall’altra. Il rischio è quello di
generalizzare, di etichettare con troppa precipitazione i primi e
attribuire ai bosgnacchi (i musulmani bosniaci) una qualità che non
hanno. Ma sconfinare nella porzione croata di Mostar fa un certo
effetto, per la notevole quantità di scritte murali inneggianti al
generale Ante Gotovina e le numerose croci celtiche che affiancano
gli slogan pro-Zrinjski. E allo stesso modo impressiona la zona
islamica della città, dove la musica cambia e balzano agli occhi
centinaia di “Red Army” pennellati sui muri e altrettante stelle
rosse (che è pure il simbolo del Velez).

Mostar è una mela spaccata. Durante la prima fase della guerra,
quando i serbi assediarono la città, croati e musulmani unirono le
forze. Poi, all’improvviso, i primi attaccarono i secondi, li
espulsero dalla parte occidentale della città e imposero loro di
spostarsi a est. A più di dieci anni dalla guerra, le due rive della
Neretva, il fiume verde smeraldo che scorre nella città, sono due
mondi impermeabili, i reciproci rancori sono qualcosa di più
significativo di una semplice intolleranza e in pochi hanno avuto il
coraggio di tornarsene a vivere nelle case in cui abitavano prima
della guerra, dall’altra parte del fiume.

Quest’anno ci sarà il derby cittadino. Il Velez, relegato negli
ultimi anni nel purgatorio della seconda serie, è stato promosso e
sfiderà i più blasonati cugini. Nello stadio dello Zrinjski
sventolano decine di bandiere croate. Chiedo al custode quali sono i
giocatori più bravi dello Zrinjski e lui cita praticamente a memoria
la formazione, talmente rapidamente che terminata la filastrocca è
impossibile memorizzare anche un solo cognome dell’undici titolare,
che, dice con orgoglio l’interlocutore, è arrivato secondo in
campionato «davanti al Sarajevo», la squadra della capitale che
schiera solamente calciatori musulmani. Gli domando cosa ne pensa del
prossimo derby. La risposta è netta e induce a riflettere. «Non è una
sfida cittadina. È piuttosto nazionale». Il fatto è che i croati
della Bosnia si sentono come stranieri e tendono a costruire un
legame forte con Zagabria, la terra dei loro padri, la madrepatria.
Si definiscono croati a tutti gli effetti, vedono la Bosnia come un
qualcosa di posticcio e ricordano ancora gloriosamente la Herceg-
Bosna, il parastato croato nella Bosnia meridionale, riflesso delle
velleità espansioniste di Franjo Tudjman. È, quello di sentirsi non-
bosniaci, un portato della guerra, che si ripercuote anche nella
comunità serba, portando loro a vivere in malo modo la propria
presenza all’interno dei confini bosniaci.

Chiaramente, per la proprietà transitiva, tutto ciò si riflette nel
calcio. Milorad Dodik, primo ministro della repubblica Srpska, ha
dichiarato qualche tempo fa al settimanale Dani: «Purtroppo non ce la
faccio a tifare per la nazionale di calcio della Bosnia-Erzegovina,
se non quando gioca contro la Turchia». Ovvero: se non quando sfida
un’odiata squadra musulmana.

Torniamo a Mostar. Durante lo scorso mondiale è accaduto il
finimondo, il giorno della gara tra Croazia e Brasile, terminata uno
a zero per i carioca. «Vera e propria guerriglia urbana», racconta
Elena, una cooperante italiana. La cronaca dice che al termine della
gara, i croati di Mostar hanno scatenato la loro rabbia nella piazza
di Spagna della città, dove sorge l’unico liceo multietnico di
Mostar, a due passi dalla linea di demarcazione tra i due emisferi,
il croato e il musulmano. Dall’altra parte c’erano i bosgnacchi, che
simpatizzavano per il Brasile. Inutile dire che la rissa è stata
inevitabile, anche perché la polizia s’è fatta ancora una volta
trovare impreparata e ha peccato in quanto a tempestività. Il
bollettino relativo agli scontri è stato quello di una vera e propria
battaglia: una ventina di feriti, tra i quali alcuni agenti. Alcuni,
come ha raccontato Osservatorio sui Balcani, per colpi d’arma da fuoco.

Il giorno dopo i teppisti croati si sono diretti al liceo
multietnico, edificio, come tanti a Mostar, che porta ancora i segni
della guerra e il cui restauro è finanziato dall’ambasciata spagnola
di Sarajevo. I rivoltosi hanno aggredito verbalmente gli studenti
musulmani, insultandoli a più riprese. Stranamente, i croati non
erano a scuola, in quel giorno, “bloccati” a casa da una festività
religiosa.

Qui a Mostar, in molti giurano che il giorno del derby scoppierà
nuovamente una guerriglia urbana. La stampa locale aveva previsto che
ci sarebbero sicuramente stati disordini lo scorso 16 agosto, visto
che la Bosnia sfidava a Sarajevo la Francia e la Croazia incontrava
l’Italia. Guadare la città in quel giorno è stato davvero curioso. A
est tutti erano sintonizzati sulla sfida tra Bosnia e Francia,
dall’altra parte si guardava la Croazia. «Grazie al cielo era
solamente una amichevole», sostiene Goksi, fotografo di origine
croata, ancora scioccato dai disordini seguiti alla partita tra
Croazia e Brasile. «Il calcio divide in ogni parte del mondo, ma qui
ancora di più».

I vecchi cittadini della Jugoslavia lo sanno bene. Il prologo della
guerra, la triste introduzione al penoso decennio passato, arrivò
proprio con una gara, fra Dinamo Zagabria e Stella Rossa Belgrado,
giocata nel maggio del 1990, quando a livello calcistico la
Jugoslavia era ancora unita. I tifosi si scatenarono, se le diedero
di santa ragione e alcuni calciatori si lanciarono nella mischia, a
colpire a destra e manca e pestare le forze dell’ordine. Zvonimir
Boban divenne per i croati un eroe nazionale, quando colpì
violentemente un poliziotto che cercava di impedire l’ingresso dei
teppisti in campo. Era la fine della Jugoslavia. Arriverà anche la
fine della Bosnia? Improbabile. Ma attraversandone i paesi e
percorrendone le strade, l’impressione che si ricava è che di certo
la riconciliazione tra le tre anime etniche del Paese arriverà nel
lungo termine. Sperando che arrivi davvero. E che Milorad Dodik e i
croati inizino a fare il tifo per la nazionale della Bosnia-Erzegovina.

Documentazione importante sulla crisi in Medio Oriente

1. Incontro straordinario dei PC ad Atene, 19-20 Agosto 2006:
Dichiarazione alla stampa

2. Intervista esclusiva del quotidiano turco (di sinistra) "Evrensel"
al leader di Hezbollah Hassan Nasrallah

3. LA GUERRA AL LIBANO E LA BATTAGLIA PER IL PETROLIO
di MICHEL CHOSSUDOVSKY (Global Research)


=== 1 ===

Incontro straordinario dei Partiti Comunisti e Operai del
Mediterraneo Meridionale e Orientale, della Regione del Golfo e del
Mar Rosso

Atene, 19-20 Agosto 2006

Dichiarazione alla stampa

Un incontro straordinario dei Partiti Comunisti e Operai del
Mediterraneo Meridionale e Orientale, della Regione del Golfo e del
Mar Rosso si è tenuto ad Atene il 19 e 20 Agosto, ospitato dal
Partito Comunista di Grecia con la partecipazione della Tribuna
Democratica Progressista di Bahrain, del Partito Tudeh dell’Iran, del
Partito Comunista di Israele, del Partito Comunista Giordano, del
Partito Comunista Libanese, del Partito del Popolo Palestinese, del
Partito Comunista Sudanese, del Partito Comunista Siriano.
All’incontro erano presenti anche il Partito Comunista di Cuba, AKEL
di Cipro, il Partito Comunista Unificato della Georgia, il Partito
Comunista Portoghese, il Partito Comunista della Federazione Russa e
il Partito Comunista di Turchia, mentre alcuni altri partiti che non
hanno potuto presenziare hanno espresso il loro sostegno inviando
messaggi.

I partecipanti hanno condannato la politica degli USA e delle altre
potenze imperialiste basata sullo sfruttamento e la violazione dei
fondamentali diritti democratici e civili. Tale politica è la causa
reale dei conflitti e dell’instabilità nella regione. I comunisti e
le altre forze antimperialiste si oppongono fermamente a ciò,
lottando contro la guerra imperialista, per i diritti del popolo
lavoratore, per la pace, la democrazia e il socialismo.

L’incontro è scaturito dall’esigenza di esaminare la situazione, di
scambiare opinioni e di assumere iniziative di solidarietà con i
popoli del Libano, della Palestina e di altri paesi della regione che
stanno lottando contro le ingiuste e aggressive operazioni militari
di Israele e contro il tentativo di realizzare i piani USA-NATO per
il “grande Medio Oriente”. I partecipanti hanno evidenziato e
condannato l’aggressione israeliana al Libano del 19 Agosto e le
violazioni dello spazio aereo libanese, fatti che provano come la
risoluzione 1701/2006 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU incoraggi
l’aggressività israeliana.

I rappresentanti dei partiti hanno salutato l’eroica resistenza e
lotta del popolo libanese e l’eroico comportamento del PC di Israele
e delle altre forze progressiste del paese favorevoli alla pace; essi
hanno reso omaggio alla resistenza del Partito Comunista Libanese e
ai suoi sacrifici nell’ambito della Resistenza Nazionale Libanese. I
rappresentanti dei partiti hanno anche salutato la lotta del popolo
palestinese e il contributo apportatovi dal Partito del Popolo
Palestinese.

I rappresentanti dei partiti presenti hanno anche salutato il
massiccio movimento mondiale di solidarietà e di protesta e
valorizzato il significato internazionale della dichiarazione
congiunta del 20 luglio 2006 di 71 Partiti Comunisti e Operai in
solidarietà con i popoli sofferenti di Palestina e Libano. I
partecipanti hanno messo in rilievo le responsabilità degli USA e
delle altre potenze imperialiste che con il loro comportamento hanno
incoraggiato le azioni omicide dell’esercito israeliano. Il fatto che
il governo di Israele e i suoi alleati non siano stati in grado di
realizzare i loro obiettivi in questa guerra dimostra le enormi
potenzialità del movimento di resistenza dei popoli, malgrado il
difficile rapporto di forze in campo militare.

I rappresentanti dei partiti hanno denunciato il comportamento di
quelle forze che in nome dell’ “imparzialità” in realtà hanno aiutato
l’aggressione. I partecipanti hanno ben accolto la posizione
antimperialista della Siria. Essi hanno sottolineato le
responsabilità di quei governi che non hanno condannato quanto è
avvenuto e che non hanno assunto misure efficaci per far cessare gli
attacchi, secondo quanto era richiesto dai trattati e dal diritto
internazionale. Essi hanno rilevato che gli USA e le altre principali
potenze imperialiste stanno usando gli attuali rapporti di forza
negativi nell’ONU per legittimare i loro interventi, per imporre il
diritto della forza e per promuovere i loro piani e interessi a spese
dei popoli.

I partecipanti, come del resto tutti i popoli progressisti, hanno
rifiutato l’argomento degli invasori secondo cui l’attacco sarebbe
stato attuato nell’esercizio di un presunto diritto all’
“autodifesa”. E’ stato rilevato che in tale frangente la maggioranza
delle vittime è risultata essere di civili, che sono stati colpiti
ospedali e case e che sono stati effettuati migliaia di arresti
illegali di prigionieri politici, tra i quali si trovano ministri e
rappresentanti eletti del popolo palestinese. Questo attacco, insieme
all’ingiusta guerra contro il popolo dell’Iraq e alle minacce degli
USA e dei loro alleati contro altri popoli della regione, come quelli
dell’Iran e della Siria, è indirizzato a stroncare ogni resistenza
popolare che sta lottando giustamente contro le invasioni straniere e
le forze di occupazione e per l’inalienabile diritto di un popolo ad
essere padrone del proprio destino, a difendere la libertà,
l’indipendenza e l’integrità territoriale del proprio paese, a
ricercare cambiamenti sociali e politici in direzione del socialismo.
E’ stato notato che per promuovere efficacemente la direzione
antimperialista delle lotte, le forze politiche popolari,
progressiste e popolari devono essere in grado di conquistare una
posizione egemone. L’incontro ha riconosciuto anche la necessità di
rafforzare i Partiti Comunisti e Operai, affinché possano mettersi
alla testa del più ampio fronte di resistenza contro l’imperialismo,
lo sfruttamento di classe e l’oppressione. Solo così la lotta
popolare potrà avere successo a livello nazionale, regionale e
internazionale.

I partecipanti all’incontro condannano tutti gli sforzi che sono
stati fatti per ritardare l’emissione di una risoluzione del
Consiglio di Sicurezza. Essi hanno espresso il loro disaccordo
rispetto alle clausole della risoluzione 1701/2006 del Consiglio di
Sicurezza dell’ONU, dal momento che essa è l’espressione dello sforzo
degli USA teso a concedere ad Israele ciò che non è riuscito ad
ottenere con il suo attacco. E’ stato anche rilevato che la
risoluzione dà ad Israele il diritto di rivendicare il fatto di agire
per “autodifesa”. Allo stesso tempo, Israele continua ad intervenire
negli affari interni del Libano in merito alla questione del disarmo,
nonostante il fatto che il popolo libanese, le forze politiche e il
governo del Libano ritengano che tale questione riguardi il dialogo
nazionale interno. I partecipanti hanno anche rifiutato le
enunciazioni riguardanti lo spiegamento della forza internazionale e
il suo mandato, in particolare perché si dà il diritto di realizzare
gli obiettivi stabiliti da Israele. I partecipanti fanno appello ai
paesi perché si astengano dal partecipare con truppe che ricevano
tale mandato.

I rappresentanti dei partiti rilevano il fatto che il lungo processo
che ha portato a questa risoluzione mostra con sufficiente chiarezza
l’acutezza della competizione tra le maggiori potenze imperialiste
per le sfere di influenza e dominio. I partecipanti hanno
sottolineato la necessità di lavorare attivamente per la creazione di
un fronte unito politico e sociale nella regione con il sostegno
internazionale di altri partiti, movimenti e organizzazioni, contro
il piano imperialista per il “grande Medio Oriente” e la sua presunta
democratizzazione. I comunisti si pongono all’avanguardia della lotta
per la democrazia e per la promozione degli interessi popolari,
fronteggiando i tentativi di forze politiche che potrebbero cercare
di sfruttare la situazione, descrivendo sé stesse come tutrici e
“protettrici” dei popoli, pur essendo in realtà motivate dai propri
interessi e dalla loro competizione con gli USA.

I partecipanti, alla luce dei più recenti sviluppi, hanno espresso il
loro disappunto in merito ad un’ulteriore scalata dell’aggressività
israeliana contro i palestinesi e gli altri popoli della regione.

Nell’affrontare questa situazione, i partecipanti hanno ritenuto che
il movimento internazionale di solidarietà con i popoli di Libano e
Palestina e dell’intera regione debba essere ulteriormente
rafforzato, insieme al sostegno alla lotta delle forze progressiste e
democratiche della regione per la democrazia, la libertà e la
giustizia sociale.

Essi hanno evidenziato la necessità di intensificare la lotta per
difendere l’indipendenza nazionale e l’integrità territoriale di
tutti i paesi contro ogni intervento imperialista, con qualsiasi
pretesto avvenga.

I partecipanti richiedono:

- L’immediata cessazione del fuoco e l’immediato ritiro delle truppe
israeliane dai territori libanesi, comprese le fattorie di Sebaa e
l’immediato rilascio dei prigionieri libanesi. Essi inoltre
condannano la violazione dello spazio aereo e terrestre e delle
frontiere del Libano e richiedono la rimozione del blocco aereo,
terrestre e marittimo del Libano da parte di Israele.

- Il ritiro dell’esercito israeliano da tutti i territori
palestinesi, libanesi e siriani occupati dal 1967, il completo
smantellamento degli insediamenti, la demolizione del muro israeliano
e la creazione di uno Stato palestinese con capitale Gerusalemme Est,
accanto ad Israele.

- L’immediato rilascio di tutti i prigionieri politici libanesi,
palestinesi e altri arabi, e l’immediata rimozione dell’assedio e del
blocco dei territori palestinesi.

- L’immediato rilascio dello speaker del Parlamento palestinese e di
tutti parlamentari e ministri che sono stati presi in ostaggio da
Israele.

- Un Medio Oriente senza armi nucleari.

L’incontro ha approvato una serie di iniziative e azioni congiunte
che comprendono:

- Una delegazione congiunta di rappresentanti dei Partiti Comunisti e
Operai in Libano, Palestina e Israele.

- L’azione congiunta dei nostri partiti nel Parlamento Europeo e
nell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa. L’invito a
prendere parte alle sessioni del Parlamento Europeo esteso ai
rappresentanti dei Partiti Comunisti e Operai della regione, in
particolare a quelli di Libano, Palestina e Israele.

- L’organizzazione di azioni congiunte e di mobilitazioni dei partiti
intorno alla metà di settembre. L’utilizzo di eventi di massa,
festival, ecc. per esprimere solidarietà.

- La pressione su ogni governo che non condanni l’aggressione
israeliana.

- La richiesta di riparazione a Israele e la condanna dei
responsabili di crimini di guerra, con ogni metodo legale o
utilizzabile.

- L’intensificazione della solidarietà e delle azioni congiunte anche
in occasione dell’Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e
Operai che sarà ospitato dal PC Portoghese a Lisbona il 10-12
Novembre 2006.

- L’incoraggiamento della cooperazione tra le organizzazioni
giovanili dei nostri partiti per la condanna degli interventi e delle
guerre imperialisti mediante manifestazioni comuni, attività
specifiche, ecc. L’organizzazione di un campo internazionale nel Sud
Libano e la partecipazione allo sforzo di ricostruzione.

- Il sostegno agli sforzi per incrementare l’aiuto umanitario, in
cooperazione e coordinamento con il Partito Comunista Libanese.

- La continuazione delle dimostrazioni, delle mobilitazioni e delle
manifestazioni di solidarietà.

- Il sostegno alle iniziative di solidarietà delle organizzazioni di
massa, dei movimenti, dei sindacati, delle organizzazioni giovanili,
contro la guerra imperialista in Libano, Palestina e Israele.

- Il sostegno alle più significative azioni e iniziative
internazionali dei movimenti di massa e delle organizzazioni
internazionali come WPC, WFDY, WFTU, WIFD, ecc.


Atene, 20 Agosto 2006

Traduzione dall’inglese per www.resistenze.org a cura del
Centro di Cultura e Documentazione Popolare

(Fonte: solidnet.org via Mauro Gemma - http://www.solidnet.org 22
Agosto 2006)


=== 2 ===

Fonte: www.sottolebandieredelmarxismo.it

Intervista esclusiva del quotidiano turco (di sinistra) "Evrensel" al
leader
di Hezbollah Hassan Nasrallah

autori: Roza Cigdem Erdogan e Mutlu Sahin (traduzione dal turco di Bahar
Kimyongür) (traduzione dal francese di Lorenzo Mazzucato)

Evrensel, 12 agosto 2006

oggi, mentre l'umanità guarda con sorpresa e ammirazione alla clamorosa
vittoria della resistenza libanese di fronte alla quarta potenza
militare
mondiale, questa intervista esclusiva del segretario generale di
Hezbollah,
realizzata il 12 agosto scorso, ha il vantaggio e il merito di
passare al
vaglio i tratti sorprendenti di colui che i media arabi progressisti
salutano oggi come il "nuovo Nasser", ma che i grandi media occidentali
continuano a demonizzare al fine di raffigurare nell'opinione pubblica
l'immagine spaventevole del "terrorista islamico sanguinario fanatico".
Questa intervista ci da l'occasione di conoscere meglio la filosofia e
l'etica politica di Hassan Nasrallah, il suo punto di vista
sull'internazionalismo, sul progetto del Grande Medioriente difeso
dall'amministrazione Bush, le organizzazioni islamiste che nuocciono
alla
resistenza in Iraq, sul movimento rivoluzionario in Turchia. Buona
lettura.

Bahar Kimyongür

Un solo fronte contro l'imperialismo!

Evrensel :

Fin dai primi giorni di guerra, Israele dichiarò che il suo scopo era
quello
di "distruggere Hezbollah". Tuttavia, lo stato ebraico ha avuto di
fronte
una resistenza che non si aspettava, e oggi sembra avere abbandonato le
ambizioni iniziali. A causa di violenti scontri, l'armata di
occupazione ha
subito pesanti perdite. Comunque, sui media questa realtà è molto
sfumata o
decisamente dissimulata. Può fornirci indicazioni sull'attuale
situazione
della Reisistenza?

Hasan Nasrallah:

Le bande sioniste che agiscono per conto dell'imperialismo USA
utilizzano i
media con destrezza. I media occidentali e, in particolare, i media
americani sono detenuti dai capitalisti ebrei. Essi pretendono di aver
bombardato e distrutto le posizioni di Hezbollah e sperano così
d'ingannare
i popoli. E' solo una menzogna. Avete constatato voi stessi che mentono!
Martirizzano i civili innocenti. Assassinano vigliaccamente donne e
bambini.
Ma lì dove li affrontiamo essi subiscono la sconfitta. Contrariamente al
nemico sionista, noi agiamo con precauzione e discernimento. Noi non
spariamo sui civili. Mentono quando affermano il contrario. Noi
indirizziamo
i missili su obiettivi militari preventivamente localizzati. Ma bisogna
sapere che i Sionisti spingono deliberatamente gli Arabi israeliani
verso la
frontiera. Li utilizzano come bersagli, noi ci rifiutiamo di cadere
nella
provocazione e la discordia (con gli Arabi d'Israele, ndt). I nostri
bersagli non sono i civili ma le forze militari sioniste. I nostri
combattenti infliggono pesanti perdite ai Sionisti sul campo di
battaglia;
ciò accadeva ancor prima di utilizzare le nostre armi più potenti. I
Sionisti oggi comprendono che non possono sconfiggerci, perciò
distruggono
le nostre strade e ammazzano le nostre donne e i nostri bambini.
Credono di
poterci spingere alla capitolazione. Non ci piegheremo mai! Non
accetteremo
altra soluzione che non sia la libertà della nostra patria. Per questo,
resisteremo e combatteremo fino alla fine. L'imperialismo e la sua
banda di
sostituti locali sappiano che noi li aspettiamo su ogni collina, in ogni
valle, su ogni strada e su ogni pugno di terra della nostra patria. La
nostra resistenza è destinata alla vittoria. Non abbiamo alternativa.
Questa
guerra porterà alla vittoria tutti gli oppressi e tutti i Musulmani del
mondo.

Evrensel :

E' vero che il Libano si troverebbe di fronte al pericolo di guerra
civile?

Hassan Nasrallah :

Il regime sionista spera di provocare un confronto etnico e religioso
nella
regione, provocando tensioni intercomunitarie. Ma Hezbollah ha
spezzato quel
piano. Nel nostro paese così come in tutto il Medioriente, i popoli
oppressi
hanno difeso Hezbollah e gli hanno portato il loro sostegno. Compresi i
socialisti e i Cristiani. Certo, l'imperialismo ha creato delle
organizzazioni islamiche collaboratrici che hanno non solo seminato
l'odio
tra le comunità, ma anche combattuto le forze rivoluzionarie. Ora le
condizioni sono cambiate. Per citare un altro esempio, prima di
rovesciare
Saddam Hussein, gli USA l'hanno usato per combattere l'Iran, i Kurdi
e noi.
Molte organizzazioni al soldo dell'imperialismo hanno agito per questi
conflitti intercomunitari. Noi siamo perfettamente al corrente di questa
strategia. L'abbiamo ben compreso e nella nostra storia abbiamo
scrupolosamente evitato di cadere in questa trappola

Evrensel :

Malgrado l'aggressione della Palestina e del Libano, i governi arabi
tacciono. Qual è la ragione di quel silenzio?

Hasan Nasrallah :

La maggior parte di quei governi arabi collaborano con il nemico.
L'Arabia
saudita ha, per esempio, lanciato delle fatwe contro di noi. Quelle
fatwe
sono ridicole. Nessuno ci ha creduto, nemmeno il loro popolo. Quelle
fatwe
sono politiche. Esse sono state preparate nell'interesse degli USA.
Non le
prendiamo sul serio. Poiché per noi una cosa è molto chiara: non
permetteremo che una guerra di religione deflagri sulle nostre terre.
Quelle
fatwe servono proprio a seminare divisioni interconfessionali. In Iraq,
questo flagello ha funzionato ma oggi il popolo irakeno se ne rende
conto.

Evrensel :

Visto che abbiamo toccato la questione irakena, vorremmo porle una
domanda a
tal proposito: constatiamo che, in un certo senso, è stata
effettivamente
costruita una guerra interconfessionale in quel paese occupato.
Recentemente, certi generali americani hanno anche messo in guardia
circa
una guerra civile imminente in Iraq. Qual è il vostro punto di vista al
riguardo?

Hasan Nasrallah :

Quando gli imperialisti non riescono a sconfiggere un popolo con le
armi,
creano dal nulla delle organizzazioni interne, autodefinite
resistenti, al
fine di fomentare guerre civili. Ciò permette agli imperialisti di
presentarsi come salvatori e vincitori. Ma, qualunque cosa facciano,
essi
non raggiungono i loro scopi. Questo trucco è stato utilizzato in Iraq
contro Sciiti e Curdi. Gli imperialisti perseguono attualmente la stessa
strategia. Oggi, Saddam non è più al potere, ma ci sono centinaia di
Saddam
potenziali. Noi vogliamo che il nostro popolo, i nostri popoli, restino
vigilanti di fronte alle minacce di guerre fratricide.

Evrensel :

Come giudicate l'atteggiamento del governo turco?

Hasan Nasrallah :

Il governo turco ha inviato messaggi di condanna contro Israele. Ma
questi
messaggi sono rimasti parole. Sappiamo inoltre che le bombe lanciate sul
nostro paese hanno circolato in Turchia. D'altronde, grazie a vostre
informazioni, numerosi deputati turchi sono membri di un gruppo di
solidarietà israelo-turco. Attendiamo dalla Turchia reazioni
concrete. Il
governo turco è ancora e sempre uno dei più leali alleati della banda di
subappaltatori sionisti!

Evrensel :

Qual è il livello delle vostre relazioni con il movimento socialista?

Hasan Nasrallah :

Parecchio tempo fa il movimento socialista ha preso le sue distanze
dalla
lotta internazionale. Oggi, per contro, esso inizia a ridarci qualche
speranza. L'esempio più concreto è il sostegno portato dal presidente
del
Venezuela, Hugo Chavez. Il richiamo del suo ambasciatore in Israele è un
atto che perfino diversi stati musulmani non hanno osato proporre.
Inoltre,
Chavez ha portato il suo sostegno alla nostra resistenza in modo
esplicito.
Questa dichiarazione di Chavez ci notevolmente incoraggiato. Abbiamo
potuto
constatare lo stesso atteggiamento da parte del movimento rivoluzionario
turco. Negli anni '60, fratelli socialisti turchi erano andati in
Palestina
per combattere contro Israele. Uno di loro continua a vivere nella mia
memoria e nel mio cuore: è Deniz Gezmis! (*)

Evrensel :

Qual è l'importanza di Deniz per voi?

Hasan Nasrallah :

Noi vorremmo vedere nuovi Deniz tra noi. I nostri ranghi avranno
sempre un
posto per accogliere nuovi Deniz. Deniz vivrà per sempre nel cuore della
Palestina e del Libano. Nessuno può dubitarne. Sfortunatamente, dobbiamo
constatare che la fraternità di una volta che esisteva tra coloro che
combattevano il nemico comune non è più così vivace. Noi vorremmo poter
combattere l'imperialismo e il sionismo, fianco a fianco, con i nostri
fratelli socialisti libanesi. Poiché questa guerra non è solo nostra.
È un
conflitto comune a tutti gli oppressi del mondo. Non dimenticate che
se la
Palestina e il Libano perderanno questa guerra, sarà una sconfitta
per ogni
popolo sfruttato. Nella nostra lotta contro l'imperialismo, i
rivoluzionari
devono assumersi responsabilità e devono ridiventare dei "Deniz" nel
cuore
dei popoli libanese e palestinese.

Evrensel :

Nelle strade libanesi, s'incontrano i poster del Che, di Chavez, di
Ahmadinejad e di Hezbollah. E' il segno della nascita di un nuovo polo?

Hasan Nasrallah :

Noi vogliamo salutare i popoli dell'America latina e i loro
dirigenti. Hanno
sempre opposto resistenza ai briganti del Nord, in modo eroico. La loro
lotta costituisce una sorgente di speranza per noi. Essi mostrano la
via da
seguire a tutti i popoli oppressi. Camminate sulle nostre strade:
vedrete
che il nostro popolo porta Chavez ed Ernesto Che Guevara nel suo
cuore. Agli
amici socialisti che scelgono di battersi con noi per la fraternità e la
libertà, noi diciamo che se è per dirci che "la religione è l'oppio dei
popoli", non vale la pena che vengano. Noi rifiutiamo tali concezioni.
Tuttavia, al di là delle differenze, teniamo raccolte una affianco
all'altra, come prova della nostra intesa, le foto di Chavez, del
Che, di
Sadr e di Kameney. Questi leaders salutano insieme il nostro popolo.
Se noi
rispettiamo le vostre opinioni, e voi le nostre, nessuna potenza
imperialista potrà batterci!

Evrensel :

Tra i tanti pericoli che minacciano la regione, c'è il "cambiamento di
regime" pianificato dai governi occidentali, ed in questa prospettiva le
pressioni che costoro esercitano su Damasco e Teheran. Certe fonti
prevedono
che l'aggressione contro il Libano andrà a precipitare sulla Siria.
Ritenete
che possa accadere una guerra regionale?

Hasan Nasrallah :

Le potenze imperialiste dichiarano senza dubbio di voler assoggettare i
popoli della regione e rimodellare il Medioriente installando governi
servili. È contro tutto ciò che noi resistiamo a fianco della Siria e
dell'Iran. La provocazione dell'attentato contro l'ex-premier
libanese Rafik
Hariri era servita loro per ottenere la ritirata delle truppe siriane
dal
Libano. Ma a quei vigliacchi non è bastato quel risultato. Oggi, essi
vogliono attaccare militarmente Teheran e Damasco, di nuovo con quel
genere
di pretesti. La Siria, l'Iran e Hezbollah resisteranno senza tregua.
Combatteremo per la nostra patria e per la libertà. Resisteremo almeno
perché rifiutiamo di metterci in ginocchio. Gli imperialisti occidentali
sperano di fare del Libano e della nostra regione un secondo Kosovo,
accendendo tensioni tra le comunità. Noi non stiamo al gioco. Nelle
nostre
strade, ogni libanese, che sia cristiano, sunnita o sciita impugna la
bandiera di Hezbollah. Ormai, il loro mondo "unipolare" fa parte del
passato. Di fronte a loro ci siamo noi, l'Iran, la Siria, il
Venezuela, Cuba
e la Corea del Nord. C'è la resistenza palestinese, irakena e afghana!
Finché esisteranno le guerre di occupazione, i popoli continueranno la
resistenza. Gli imperialisti possono dimenticare la pace. Se la
vogliono,
essi devono immediatamente rispettare la libertà dei popoli ed
eliminare le
orde di sottoposti. Grazie a Dio, la vittoria sarà nostra. Non li
lasceremo
fare del nostro paese un nuovo Kosovo. Il nostro popolo è consapevole e
vigila. In caso di aggressione non abbandoneremo mai l'Iran né la
Siria… per
la nostra libertà, credeteci, combatteremo fino all'ultima goccia di
sangue.
I nostri nemici se la prendono con l'Iran perché disporrà di armi
nucleari,
mentre gli USA e i loro sbirri israeliani ne hanno in gran numero. Il
possesso di armi nucleari è solo un pretesto per giustificare
l'instaurazione di regimi fantoccio.

Evrensel :

Alcuni pretendono che Hezbollah sia teleguidato dall'Iran. Cosa
rispondete a
questa accusa?

Hasan Nasrallah :

E' solo una menzogna. Noi siamo un'organizzazione libanese
indipendente. Non
accettiamo ordini da nessuno. Ma ciò non significa, comunque, che non
cooperiamo. Lo ripeto, siamo partigiani. Prendiamo le parti dell'Iran e
della Siria. Sono nostri fratelli. Lo stesso attacco dovesse subire
Damasco
o Teheran, noi lo sentiremmo come un'aggressione fatta a noi. Siamo
pronti a
difenderli fino all'ultimo respiro. Raccomandiamo la resistenza
globale al
terrorismo imperialista globale.

Evrensel :

Volete aggiungere qualcosa?

Hasan Nasrallah :

La pace non è mai l'opera di una sola parte. È impossibile instaurare
una
pace duratura in un mondo dominato dall'imperialismo. La pace può
sorgere
solo dalla lotta per l'emancipazione. Di conseguenza, la pace non può
essere
raggiunta finché paesi come l'Iraq, l'Afghanistan o la Palestina
subiranno
l'occupazione.


(*) Deniz Gezmis, figura leggendaria del maggio '68 turco, fu
successivamente uno dei dirigenti del movimento studentesco turco dei
Giovani rivoluzionari (Dev Genç) e dell'Armata di Liberazione
popolare di
Turchia (THKO). Nel 1969, raggiunse l'OLP clandestino in Palestina, e vi
restò circa tre mesi. Il 4 marzo 1971, partecipò al rapimento di quattro
militari americani nel quartiere di Balgat ad Ankara. Catturato a
Sarkisla,
nelle montagne di Sivas, fu giudicato secondo l'art. 146/1 per
"tentativo di
rovesciamento del'ordine costituzionale turco", e condannato a morte
il 16
luglio 1971, assieme ai suoi compagni Yusuf Aslan et Hüseyin Inan. Per
tentare uno scambio di prigionieri con il governo turco, e così evitare
l'esecuzione di Deniz e dei suoi compagni, alcuni combattenti del
THKP-C,
Partito-fronte di Liberazione popolare della Turchia ed il suo dirigente
Mahir Cayan (che nel maggio del '71 si fecero conoscere per l'esecuzione
dell'ambasciatore israeliano ad Ankara, Efraim Elrom) organizzarono
il 27
marzo 1972 il rapimento di tre agenti britannici dalla base NATO
situata a
Ünye. Il 30 marzo 1972, i combattenti del THKP-C falliscono il
tentativo di
negoziato, e rimangono uccisu dall'esercito governativo nel villaggio di
Kizildere. Il 6 maggio 1972, Deniz Gezmis e i suoi due compagni
morirono da
eroi sotto la potenza, dopo aver sfidato i loro carnefici invocando
l'insurrezione dei popoli turchi e curdi.


=== 3 ===

LA GUERRA AL LIBANO E LA BATTAGLIA PER IL PETROLIO

DI MICHEL CHOSSUDOVSKY
Global Research

C'è forse una relazione tra il bombardamento del Libano e
l'inaugurazione del più grande oleodotto strategico del mondo, che
trasporterà oltre un milione di barili di petrolio al giorno ai
mercati occidentali?

Virtualmente ignota, l'inaugurazione dell'oleodotto Ceyhan-Tblisi-
Baku (BTC), che collega il Mar Caspio al Mediterraneo Orientale, ha
avuto luogo il 13 luglio, all'inizio dei bombardamenti israeliani in
Libano.

Un giorno prima degli attacchi aerei israeliani, i principali partner
ed azionari del progetto BTC, tra cui molti capi di stato e quadri di
compagnie petrolifere, erano in attesa al porto di Ceyhan. Poi sono
stati precipitati ad un ricevimento inaugurale ad Instanbul,
patrocinato dal presidente turco Ahmet Necdet Sezer nei lussuosi
dintorni del Palazzo Çýraðan.

In attesa c'era anche l'amministratore delegato della British
Petroleum (BP), Lord Browne, insieme ad alti funzionari dei governi
di Gran Bretagna, Stati Uniti ed Israele. La BP guida il consorzio
dell'oleodotto BTC. Tra gli altri principali azionisti occidentali ci
sono Chevron, Conoco-Phillips, Total (Francia) ed 'ENI (Italia).
(vedi Annesso).

Il ministro dell'energia e delle infrastrutture israeliano Binyamin
Ben-Eliezer era presente insieme ad una delegazione di alti
funzionari israeliani del settore petrolifero.

L'oleodotto BTC elude del tutto il territorio della Federazione
Russa. Transita lungo le ex repubbliche sovietiche dell'Azerbaijan e
della Georgia, entrambe le quali sono diventate "protettorati" degli
Stati Uniti, fortemente integrate in un'alleanza militare con gli Usa
e la NATO. Inoltre, sia l'Azerbaijan che la Georgia hanno accordi di
cooperazione militare a lungo termine con Israele. Nel 2005, le
compagnie georgiane hanno ricevuto circa 24 milioni di dollari in
contratti finanziati al di fuori dell'assistenza militare
statunitense ad Israele secondo il cosiddetto "programma di
finanziamento militare straniero".

http://www.jewishvirtuallibrary.org/jsource/states/GA.html

Israele ha una quota nei campi petroliferi azeri, dai quali importa
circa il venti percento del suo petrolio. L'apertura dell'oleodotto
aumenterà in modo sostanziale le importazioni petrolifere israeliane
dal bacino del Mar Caspio. Ma c'è un'altra dimensione che si correla
direttamente alla guerra in Libano. Laddove la Russia è stata
indebolita, Israele ha buone possibilità di giocare un ruolo
strategico importante nel "proteggere" il trasporto e i corridoi
dell'oleodotto nel Mediterraneo Orientale fuori da Ceyhan.

La militarizzazione del Mediterraneo Orientale

Il bombardamento del Libano è parte di una road map militare
attentamente pianificata e coordinata. L'estensione della guerra alla
Siria e all'Iran è già stata contemplata dai pianificatori di guerra
statunitensi ed israeliani. La più vasta agenda militare è
intimamente connessa al ruolo strategico del petrolio e degli
oleodotti. Ed è sostenuta dai giganti petroliferi occidentali che
controllano i corridoi petroliferi. In ultima analisi, la guerra mira
al controllo territoriale sulla linea costiera del Mediterraneo
orientale.

In questo contesto, l'oleodotto BTC, controllato dalla British
Petroleum, ha cambiato drammaticamente la geo-politica del
Mediterraneo Orientale, che è ora collegata, mediante un corridoio
energetico, al bacino del Mar Caspio.

"[L'oleodotto BTC] cambia considerevolmente lo status dei paesi della
regione e cementa una nuova alleanza pro-Occidente. Avendo collegato
l'oleodotto al Mediterraneo, Washington ha praticamente creato un
nuovo blocco con Azerbaijan, Georgia, Turchia ed Israele" (Komerzant,
Mosca, 14 luglio 2006).

Israele fa ora parte del asse militare anglo-statunitense, che serve
gli interessi dei giganti petroliferi occidentali in Medio Oriente e
nell'Asia Centrale.

Mentre i rapporti ufficiali dichiarano che l'oleodotto BTC "porterà
petrolio ai mercati occidentali", quello che viene raramente
riconosciuto è che parte di quel petrolio dal Mar Caspio sarà
direttamente incanalato verso Israele. A riguardo, è stato previsto
che un progetto di oleodotto subacqueo israelo-turco collegherebbe
Ceyhan al porto israeliano di Ashkelon e da lì, mediante il
principale sistema di trasporto petrolifero israeliano, al Mar Rosso.

L'obbiettivo di Israele non è solo acquisire petrolio del Mar Caspio
per il proprio consumo interno, ma anche giocare un ruolo chiave
nella ri-esportazione del petrolio dal Mar Caspio verso i mercati
asiatici lungo il porto di Eilat sul Mar Rosso. Le implicazioni
strategiche di questo re-indirizzamento del petrolio dal Mar Caspio
sono di vasta portata.

E' previsto il collegamento dell'oleodotto BTC all'oleodotto trans-
israeliano Eilat-Ashkelon, anche noto come Tipline Israeliano, che va
da Ceyhan al porto israeliano di Ashkelon. Nell'aprile 2006, Israele
e Turchia hanno annunciato piani per oleodotti subacquei, che
eviterebbero il territorio siriano e libanese.

"Turchia e Israele stanno negoziando la costruzione di un progetto
energetico ed idrico multi miliardario che trasporterà acqua,
elettricità, gas naturale e petrolio mediante dei condotti diretti
verso Israele, con il petrolio da trasportare ancora più in là, da
Israele al Lontano Oriente.

La nuova proposta israelo-turca in discussione vedrebbe il
trasferimento di acqua, elettricità, gas naturale e petrolio ad
Israele mediante quattro oleodotti subacquei.

http://www.jpost.com/servlet/Satellite?
cid=1145961328841&pagename=JPost%2FJPArticle%2FShowFull

Il petrolio di Baku può essere trasportato ad Ashkelon grazie a
questo nuovo oleodotto e all'India e al Lontano Oriente [lungo il Mar
Rosso]

"Ceyhan e il porto mediterraneo di Ashkelon sono situati a solo 400
km di distanza. Il petrolio può essere trasportato alla città in
cisterne o mediante un oleodotto subacqueo appositamente costruito.
Da Ashkelon il petrolio può essere pompato grazie ad un oleodotto già
esistente al porto di Eilat sul Mar Rosso; e da lì all'India e ad
altri paesi asiatici con delle cisterne (REGNUM)".

L'acqua per Israele

In questo progetto è coinvolto anche un oleodotto che porta acqua ad
Israele, pompandola dalle riserve a monte del Tigri e dell'Eufrate in
Anatolia. Questo è stato a lungo un obbiettivo strategico di Israele
per il detrimento della Siria e dell'Iraq. L'agenda di Israele
riguardo l'acqua è sostenuta dall'accordo di cooperazione militare
tra Tel Aviv ed Ankara.

Il re-indirizzamento del petrolio dell'Asia Centrale

Stornare il petrolio e il gas dell'Asia Centrale verso il
Mediterraneo Orientale (sotto la protezione militare israeliana) per
il re-export all'Asia serve a minare il mercato energetico inter-
asiatico, che è basato sullo sviluppo di corridoi petroliferi diretti
che collegano l'Asia Centrale alla Russia e all'Asia del Sud, la Cina
e il Lontano Oriente.

In ultima analisi, il progetto vuole indebolire il ruolo della Russia
in Asia Centrale e tagliare fuori la Cina dalle riserve petrolifere
della regione. Ha anche lo scopo di isolare l'Iran.

Nel frattempo, Israele è emerso come nuovo e potente giocatore nel
mercato energetico globale.

La presenza militare russa in Medio Oriente

Contemporaneamente, Mosca ha risposto al progetto israelo-turco di
militarizzare la linea costiera del Mediterraneo Orientale con dei
piani per stabilire una base navale russa nel porto siriano di Tartus:

"Fonti nel ministero della difesa rivelano che la base navale a
Tartus permetterà alla Russia di solidificare le proprie posizioni in
Medio Oriente e assicurerà la sicurezza della Siria. Mosca intende
dispiegare un sistema di difesa aereo attorno alla base – per fornire
protezione aerea alla base stessa e ad una parte consistente del
territorio siriano (i sistemi S-300PMU-2 non saranno ceduti ai
Siriani. Saranno in dotazione e manutenzione del personale russo)
(Kommerzant, 2 giugno 2006 http://www.globalresearch.ca/index.php?
context=viewArticle&code=IVA20060728&articleId=2847

Tartus è strategicamente situata a 30 km dal confine libanese.

Inoltre, Mosca e Damasco hanno raggiunto un accordo sulla
modernizzazione delle difese aeree siriane e su un programma a
sostegno delle proprie forze di terra, la modernizzazione dei caccia
MIG-29 e dei sottomarini. (Kommerzant, 2 giugno 2006). Nel contesto
di un conflitto in escalation, questi sviluppi hanno ampie implicazioni.

Guerra ed oleodotti

Prima del bombardamento del Libano, Israele e Turchia avevano
annunciato oleodotti subacquei che evitassero la Siria e il Libano.
Questi oleodotti non violerebbero apertamente la sovranità
territoriale del Libano e della Siria.

D'altra parte, lo sviluppo di corridoi terrestri alternativi (per il
petrolio e l'acqua) attraverso il Libano e la Siria richiederebbe il
controllo territoriale israelo-turco sulla linea costiera del
Mediterraneo Orientale via Libano e Siria.

L'implementazione di questo progetto richiede la militarizzazione
della linea costiera del Mediterraneo Orientale, strade marine e
rotte terrestri, estendendosi dal porto di Ceyhan attraverso Siria e
Libano fino al confine israelo-libanese.

Non è forse questo uno degli obbiettivi segreti della guerra in
Libano? Aprire uno spazio che permetta ad Israele di controllare un
ampio territorio che va dal confine libanese attraverso Siria e Turchia.

"La lunga guerra"

Il primo ministro israeliano Ehud Olmert ha dichiarato che
l'offensiva israeliana contro il Libano "durerà molto a lungo". Nel
frattempo, gli Stati Uniti hanno accelerato i carichi di armi verso
Israele.

Ci sono obbiettivi strategici sottesi alla "Lunga Guerra", connessi
al petrolio e agli oleodotti.

La campagna aerea contro il Libano è inestricabilmente legata agli
obbiettivi strategici israelo-statunitensi nel più vasto Medio
Oriente, che include Siria ed Iran. In recenti sviluppi, la
segretaria di stato Usa Condoleeza Rice ha dichiarato che il
principale obbiettivo della sua missione in Medio Oriente non era
sollecitare un cessate il fuoco in Libano, ma piuttosto isolare la
Siria e l'Iran (Daily Telegraph, 22 luglio 2006).

In questo particolare momento, il rifornimento degli arsenali
israeliani con armi di distruzione di massa prodotte negli Stati
Uniti punta ad un'escalation della guerra sia all'interno che
all'esterno dei confini libanesi.

Annesso

Gli azionisti della BTC Co. sono: BP (30.1%); AzBTC (25.00%); Chevron
(8.90%); Statoil (8.71%); TPAO (6.53%); Eni (5.00%); Total (5.00%),
Itochu (3.40%); INPEX (2.50%), ConocoPhillips (2.50%) e Amerada Hess
(2.36%). (Fonte: BP)

Per dettagli sulla campagna contro l'oleodotto, vedi: http://
www.bakuceyhan.org.uk/more_info/bp_pipeline.htm

Michel Chossudovsky
Fonte: http://www.globalresearch.ca/

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