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Operazione Foibe continua...
 
1) Trieste 8/1: Presentazione del nuovo libro di Claudia Cernigoi "Operazione Plutone. Le inchieste sulle foibe triestine"
2) Alessandro Pascale: Le foibe e il 10 febbraio, "giorno del ricordo"
 
 
Segnaliamo che nel 2018 è stato pubblicato sul sito diecifebbraio.info un nuovo aggiornamento dell'Elenco dei premiati per il "Giorno del ricordo". Sono state trovate informazioni per ulteriori 9 nomi passando, rispetto al precedente elenco del 2017, da 345 a 354 riconoscimenti:
http://www.diecifebbraio.info/elenco-dei-premiati-per-il-giorno-del-ricordo/
 
 
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Trieste, martedì 8 gennaio 2019 
alle ore 17:30 presso il Circolo della Stampa di Trieste, Corso Italia
 
Presentazione del libro di Claudia Cernigoi
 
Operazione Plutone. Le inchieste sulle foibe triestine
 
Udine: Edizioni Kappa Vu, 2018

Introduce Pierluigi Sabatti, presidente del Circolo della Stampa, presentazione dell'avvocato Alessandro Giadrossi.
 
Una delle tante mistificazioni diffuse in materia di “foibe” è quella che contro gli “infoibatori” non furono mai celebrati i processi. 
In realtà all’epoca del Governo Militare Alleato (GMA), e nello specifico tra il 1946 ed il 1949, a Trieste furono celebrati una settantina di processi per questi reati, conclusisi a volte con assoluzioni od amnistie, altre volte con condanne anche pesanti.
È proprio perché su queste vicende si è parlato e si continua a parlare citando acriticamente (e spesso anche in modo distorto) documenti che in realtà non sono basati su fatti ma solo su illazioni od opinioni, che l’Autrice ha sentito la necessità di fare una disamina delle relazioni sui recuperi dalle foibe triestine e delle vicende giudiziarie che ne sono seguite, in modo da presentare una visione il più possibile esaustiva di queste tematiche. 
Nella prima parte del testo, dopo l’analisi dell’attività di recupero delle salme e delle indagini condotte quasi tutte dall’ispettore Umberto De Giorgi, vengono approfonditi gli iter processuali relativi alle esecuzioni sommarie avvenute presso le foibe di Gropada e di Padriciano e la foiba di Rupinpiccolo, evidenziando come non sempre le risultanze giudiziarie siano coerenti con quanto appare in altra documentazione. 
La seconda parte è invece dedicata allo studio dei fatti che culminarono negli “infoibamenti” dell’abisso Plutone, presso Basovizza: l’Autrice ha analizzato assieme ad uno dei protagonisti, Nerino Gobbo, i documenti giudiziari e le varie testimonianze, contestualizzandoli nel periodo storico in cui si svolsero, in modo da dare una descrizione ancora inedita di quanto accade nel periodo cosiddetto dei “40 giorni” di amministrazione jugoslava di Trieste.
 
 
 
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www.resistenze.org - osservatorio - italia - politica e società - 10-02-18 - n. 661

Le foibe e il 10 febbraio, "giorno del ricordo"

Alessandro Pascale

10/02/2018

Nel 2004 con la Legge n° 92/2004, la Repubblica Italiana ha istituito il "Giorno del Ricordo", per omaggiare "la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale". Da diversi anni tale ricorrenza è utilizzata per commemorare il fantomatico "eccidio di Italiani" che sarebbe avvenuto durante la Resistenza ad opera dei partigiani "slavo-comunisti" nella Venezia Giulia. Gente che sarebbe stata gettata ancora viva in cavità carsiche (le foibe appunto) dove sarebbe stata lasciata morire tra enormi atrocità per il solo fatto di essere italiana. In queste foibe sarebbero state gettate migliaia, decine (e qualcuno arriva pure a dire centinaia) di migliaia di persone. Nel 2002 l'allora Presidente della Repubblica Ciampi disse che le foibe furono una "pulizia etnica". Galliano Fogar, storico dell'Istituto Regionale friulano per la Storia del Movimento di liberazione, ha affermato che nessuno storico serio "osa sostenere tale tesi". Vediamo di ricostruire in maniera completa i fatti storici che si intrecciano alle vicende di un'area, quella dei Balcani, che per secoli è stata un crogiuolo di etnie, popoli, lingue e religioni assai diversificati, ma viventi in relativa tolleranza e tranquillità.

1) 1918-1940 - Le premesse

Nel 1918 la vittoria dell'Italia nella Prima Guerra Mondiale rinfocola in alcune frange del Paese idee e velleità imperialiste e irredentiste, sempre ampiamente finanziate e sostenute da settori della Confindustria e dell'Alta Finanza. Ricordiamo a tal riguardo i finanziamenti provati all'Associazione Nazionalista Italiana fondata nel 1910, responsabile culturale primaria dell'interventismo italiano prima in Libia poi contro l'Austria-Ungheria, e il parallelo finanziamento dei progetti politici di Mussolini. In questo clima si assiste anche all'episodio di Fiume, con cui D'Annunzio ha occupato la città con mille uomini per un anno godendo di protezioni politiche ed economiche. Nel 1920 viene siglato il Trattato di Rapallo, con cui l'Italia e il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni stabiliscono consensualmente i confini dei due Regni e le rispettive sovranità: l'Italia non otteneva la Dalmazia (come da accordi del Patto di Londra, 1915), bensì solo Zara e alcune isole, oltre chiaramente all'Istria, Trieste, Gorizia e Gradisca. In tutto si trattava di 356 mila sudditi "italiani" nuovi. Ne erano esclusi 15 mila, ancora interni alle frontiere slave, ma compensati da 500 mila sloveno-croati ora cittadini italiani.

È immediato il tentativo di violenta assimilazione culturale: nel 1919 vengono chiuse 45 scuole croate su 49. Il razzismo del fascismo si manifesta la prima volta, quasi vent'anni prima delle leggi contro gli ebrei, nel '20 a Pola con le parole di Mussolini: «Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino ma quella del bastone». Con la Legge Gentile del 1923 vengono chiuse in generale tutte le scuole non italiane presenti nel Paese. 500 scuole elementari slovene-croate sono strasformate in scuole dove si parla solo nella lingua di Dante e Manzoni. Poi iniziano le violenze squadriste, che partono nel 1919 con intensità crescente fino al 1922: nel 1920 viene incendiato il Narodni Dom, la sede delle organizzazioni degli sloveni triestini, un edificio polifunzionale nel centro di Trieste, nel quale si trovavano anche un teatro, una cassa di risparmio, un caffè e un albergo. Capitano episodi come questo: 21 fascisti sparano a bambini da un treno, facendo 2 morti e 5 feriti. In un susseguirsi di violenze oltre 1000 circoli culturali, sportivi e assistenziali sloveno-croati sono chiusi, i loro beni e le sedi confiscate e date ad organizzazioni fasciste.

Con il rafforzamento istituzionale al potere del fascismo si intensifica l'italianizzazione forzata della regione, in ossequio ai principi nazionalisti propagandati da Mussolini: si assiste all'allontanamento o al trasferimento di dipendenti pubblici non italiani, all'italianizzazione di toponimi, nomi e cognomi stranieri. Inizia a questo punto la Resistenza della minoranza oppressa anche culturalmente e umanamente oltre che socialmente e politicamente. Nascono organizzazioni come TIGR e BORBA che adottano forme di lotta armata come risposta alla violenza subita. La repressione è spietata: tra il 1927 e il 1943 vengono svolti 544 processi a sloveno-croati, dando luogo a 476 condanne, 33 delle quale alla pena di morte.

2) 1941-1943 – L'aggressione militare italiana

Durante la guerra la repressione aumenta di intensità: a Trieste e nei territori italiani viene accentuata la repressione antislava e anticomunista con l'istituzione di diversi organismi, tra cui l'Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza, la Polizia Economica, la Guardia Civica, la Milizia di Difesa Territoriale, la Guardia di Finanza e la Decima Mas. Un esempio di repressione è la Strage di Lipa, sulla strada tra Fiume e Trieste, avvenuta il 30 aprile 1944: in rappresaglia ad un attacco partigiano che ha ucciso 4 soldati tedeschi le truppe nazifasciste radunano gli abitanti sparsi nelle vicinanze, li stipano in un casolare e li bruciano vivi. Gettano poi bombe a mano per distruggere completamente la casa e rendere impossibile un riconoscimento delle vittime. I morti sono 269, fra cui donne e bambini (tre bambine non avevano neanche un anno).

Nell'aprile 1941 forze italo-tedesche invadono il Regno di Jugoslavia che viene sottomesso in un paio di settimane. Tra le ragioni della partecipazione italiana è da segnalare che nel periodo dal 1925 al 1934 si è sviluppata un'ampia propaganda a sostegno del mito della "vittoria mutilata", in riferimento al mancato rispetto del Patto di Londra nell'ambito dei trattati di Pace della Prima Guerra Mondiale. Il tema è ampiamento ripreso dal fascismo che amplifica la politica nazionalistica e imperialista del regime. Ne segue da parte dei Servizi Segreti italiani in questo periodo il finanziamento a gruppi terroristici nazionalistici macedoni, kosovari e gli Ustascia croati. L'obiettivo è esasperare e rendere impossibile la convivenza etnica così da favorire in seguito all'annessione militare lo smembramento del Paese: in questi anni si diffonde anche culturalmente sulle riviste italiane l'idea di una "grande Croazia" e di una parallela "grande Albania", strutturati su sistemi fascisti simili a quello italiano. In tale ottica all'Italia sarebbero andati l'egemonia sulla Serbia e sulla Slovenia.

Con la sconfitta jugoslava del 1941, il ruolo militare giocato dai Tedeschi fa si che siano loro a decidere nei fatti la spartizione territoriale. All'Italia si accorda il controllo diretto del Montenegro, della Dalmazia, della Slovenia meridionale e del Kosovo. In Croazia viene favorita la nascita dello Stato collaborazionista degli Ustascia fascisti di Ante Pavelic. Tale regime ottiene l'appoggio politico del Vaticano e del clero locale, nonostante su una popolazione di 6 milioni di persone solo il 50% sia cattolica. Seguono anni di violenze, stragi e persecuzioni da parte dei croati contro le etnie rom, i serbi e gli ebrei. Si può parlare di un vero e proprio sterminio etnico. Nel solo lager di Jasenovac muoiono 100 mila persone. Una parte di questi lager sono situati nelle zone di occupazione italiane, a Pag e Jadovno, nella connivenza totale delle autorità politiche e militari italiani. L'arcivescovo di Zagabria, Stepinac, legittimò questa pulizia etnica sostenendo il regime reazionario clerico-fascista di Pavelic, e dichiarando che tutto ciò fosse in nome di Dio. La chiesa cattolica ebbe così un ruolo di primo piano nell'Olocausto balcanico giustificandolo come una conversione di massa degli infedeli (serbo-ortodossi). Il frutto di questo regime criminale sostenuto dal Governo Italiano è di 240 mila persone obbligate a convertirsi al cattolicesimo, di 300 mila esuli in fuga dal Paese e di oltre 500 mila serbi uccisi, da aggiungersi ai 25 mila ebrei e a 20 mila rom. Di questi fatti è data perfino notizia sulla stampa italiana, sulla quale però compare anche il sostegno esplicito e consapevole dei fascisti italiani. Molte sono le testimonianze degli stessi soldati italiani presenti alle esecuzioni degli Ustascia. Citiamo quella del generale Ponticelli, in una intervista rilasciata al giornale "Il Tempo": "...quattro lustri di odio sono esplosi in un massacro che in un breve lasso di tempo ha avuto quale risultato lo sterminio di 350 mila serbi e decine di migliaia di altri... Tutti furono uccisi con torture inimmaginabili... Tutto può essere facilmente accertato e apparire in tutte le sue atrocità... Gli orrori che gli ustascia hanno commesso sulle ragazze serbe superano ogni idea... Centinaia di fotografie confermano i misfatti subiti dai pochi sopravvissuti: colpi di baionetta, lingue e denti strappati, occhi estirpati, seni tagliati, tutto ciò accadeva dopo che esse erano state violentate...".

In questo contesto nasce e si sviluppa la Resistenza Partigiana guidata dal Partito Comunista, il cui leader è Josip Broz, detto Tito. Questi propone a chi lo segue di ricostruire il Paese jugoslavo con l'unità delle varie etnie presenti ma rinnovando profondamente la società, con l'abbattimento dei rapporti di produzione capitalistici e l'instaurazione di un regime socialista. È contro i partigiani titini che si svolgono a questo punto le manovre militari italiane. Viene intensificata l'occupazione e la militarizzazione del territorio e si risponde alla rivolta slavo-comunista con la repressione selvaggia. Si prendono perfino accordi con un altro gruppo partigiano, quello di "destra" dei cetnici, nazionalisti monarchici guidati da Mihailovic (la cui organizzazione prenderà il nome di MVAC dal '42, arrivando a contare circa 100 mila unità). Questi preferiscono rivolgere le armi contro i partigiani comunisti piuttosto che contro gli occupanti stranieri. Gli italiani giocano così con successo la tattica del "Divide et Impera". Il generale italiano Roatta a tal riguardo ha detto chiaramente: "si sgozzino tra di loro". Nella repressione del movimento partigiano si distinguono per ferocia anche gli Ustascia croati: per ogni caduto dell'Asse vengono giustiziati 10 prigionieri comunisti.

Dall'altra parte i titini ricevono direttive ben precise: non bisogna scatenare punizioni collettive contro i prigionieri di guerra ottenuti: i soldati semplici catturati vanno cooptati nelle proprie fila, vanno tenuti ostaggi o se la situazione non lo consente vanno rilasciati. Diversa sorte invece per gli ufficiali militari e i riconosciuti fascisti, ustascia e nazisti, che vengono giustiziati. Facile capire il perché: le maggiori violenze italiane sono messe in atto da squadre e truppe speciali fedeli direttamente al Partito Nazionale Fascista. Sono insomma le truppe più fanatiche ed esaltate di odio razzista e anticomunista. Al comando dei generali Robotti e Roatta sono in tutto più di 300 mila i soldati italiani nella regione. A loro viene ordinato di mettere in atto quello che è un vero e proprio regime di "terrore" contro le popolazioni civili. Le pratiche usate sono rappresaglie, deportazioni, confische, cattura di ostaggi, fucilazioni. In un discorso rivolto ai soldati della Seconda Armata in Dalmazia, nel 1943, Mussolini afferma: "So che a casa vostra siete dei buoni padri di famiglia, ma qui voi non sarete mai abbastanza ladri, assassini e stupratori." Si segue la tattica della terra bruciata, tanto che gli italiani vengono chiamati dalla popolazione locale con epiteti che significano "bruciacase" e "mangiagalline". I partigiani catturati sono sempre fucilati. Spesso basta il semplice sospetto di essere legati ai partigiani per perdere la vita. Il tutto vale anche per le donne. In almeno un caso è attestato che sia stata fucilata anche una donna incinta. La guerra viene condotta dall'Italia con uno stile che in passato era stato riservato solo alle popolazioni coloniali africane. Gli alleati Tedeschi fanno lo stesso e applicano la regola per cui ogni morto tedesco meriti la fucilazione di 100 slavi. L'Italia, per ordine del generale Biroli, ritiene che un soldato semplice valga 10 slavi, ma se si tratta di un ufficiale allora si debba rispondere con 50 esecuzioni. Mussolini propone di procedere alla nuova equazione per cui ad ogni semplice ferito seguano 2 fucilati, alzando la quota a 20 slavi per ogni soldato italiano morto. 100 mila slavi sono deportati in 50 campi di concentramento presenti nell'Italia centro-meridionale, in 10 campi dell'Italia settentrionale, e nei campi costruiti sul luogo, come Gonars e Arbe. In quest'ultimo su 10 mila internati sono 2 mila i morti.

Durante questi anni di repressione e di occupazione il partito comunista serbo si organizza e già nel 1941 arriva a contare su 80 mila partigiani. La parola d'ordine lanciata dai partigiani jugoslavi è "Smrt fazismu - Slaboda narodu" (Morte al fascismo - Libertà al popolo). Al termine della guerra l'esercito partigiano guidato da Tito è il più grande in tutta l'Europa occupata, arrivando a contare circa 800 mila uomini, trasformandosi nella fase finale della guerra in un vero e proprio esercito regolare capace di liberare autonomamente il Paese dal nazifascismo senza alcun contributo militare esterno, con il solo aiuto di due formazioni partigiane formate dagli ex militari italiani: la Divisione Garibaldi e la Divisione Italia. La prima opera in Montenegro e raduna circa 16 mila combattenti. In tutto saranno 7000 gli italiani morti combattendo tra le fila partigiane di Tito, andando a riscattare almeno in parte il nostro popolo che aveva portato il flagello del fascismo e della guerra.

3) 1943-45 Le foibe

Occorre certamente avere presente tutta questa storia pregressa per capire il fenomeno delle "foibe", il quale comunque va spiegato nel dettaglio. I momenti messi in discussione sono due:

a) il primo riguarda il periodo successivo all'8 settembre 1943, data in cui il generale Badoglio, che ha preso il potere d'accordo con la monarchia e i fascisti destituendo Mussolini, annuncia l'armistizio e l'uscita dell'Italia dalla guerra. Nell'anarchia che colpisce l'esercito privo di direttive chiare, la nostra penisola viene invasa dai tedeschi e nella zona dell'Istria si crea un vuoto di potere di cui approfittano i partigiani, che riescono a liberare temporaneamente le principali città esercitando un mese di potere popolare. La rabbia popolare e la denuncia dei crimini di guerra dei nazifascisti porta a realizzare centinaia di processi popolari che portano a 500 condanne a morte eseguite. Di questi solo un centinaio sono "civili", incriminati per la loro attività di collaborazionismo con le istituzioni nazifasciste. La stragrande maggioranza sono giustiziati per fucilazione, e solo una piccola parte dei cadaveri viene poi gettata nelle foibe, per ragioni di disorganizzazione, di fretta e di igiene (prevenire epidemie). Queste grotte d'altronde sono state spesso usate come "cimiteri", specie in tempo di guerra, tant'è che le avevano usate anche nella Prima Guerra Mondiale e gli stessi fascisti italiani negli anni precedenti. Inammissibile che per l'episodio in questione si possa parlare di "pulizia etnica". Si può segnalare a tal riguardo come l'8 gennaio 1949 un giornale locale di destra come "Trieste Sera" fosse costretto ad ammettere: "se consideriamo che l'Istria era abitata da circa 500mila persone, delle quali oltre la metà di lingua italiana, i circa 500 uccisi ed infoibati non possono costituire un atto anti-italiano ma un atto prettamente anti-fascista. Se i partigiani rimasti padroni della situazione per oltre un mese avessero voluto uccidere chi era semplicemente "italiano", in quel mese avrebbero potuto massacrare decine di migliaia di persone". Chi commette un vero ed efferato sterminio sono le SS assieme ai repubblichini di Salò quando nell'inverno del '43 riprendono il controllo della penisola istriana e massacrano 13mila persone. La maggioranza dei cadaveri (questi sì) viene gettata nelle foibe.

b) il secondo caso riguarda 40 giorni di potere partigiano nel maggio del 1945. In quel periodo scompaiono tra le 2000-3000 persone. Si tratta sempre di uomini e donne processati per la loro conclamata corresponsabilità in crimini di guerra e in atti di collaborazionismo con il nemico oppressore ora sconfitto. I processi politici sono svolti spesso in maniera sommaria e contro le indicazioni venute dal centro politico della direzione partigiana titina. Ad essi seguono fucilazioni, arresti e deportazioni in campi di prigionia. Pochi sono i cadaveri dei giustiziati che sono finiti nelle foibe. Le stime complessive parlano di 500 persone in tutto tra il '43 e il '45. È del tutto falso che fosse pratica usuale quella di giustiziare direttamente i condannati sull'orlo della foiba. Storiche locali come Claudia Cernigoi e Alessandra Kersevan parlano di un ordine di grandezza di alcune decine di infoibati collegati per lo più alle forze fasciste e di occupazione. Sulle famigerate foibe in cui si sostiene siano state gettate migliaia di italiani, le loro ricerche evidenziano che: nella foiba di Basovizza (che non è nemmeno una foiba ma il pozzo di una miniera), quando si è scavato alla ricerca di corpi, si sono trovati i resti di alcuni militari tedeschi risalenti alla prima guerra mondiale e qualche carcassa di animale; nella foiba di Opicina (Monrupino) si trovarono solo alcuni corpi di soldati morti in battaglia gettati lì per evitare che le carcasse diffondessero epidemie; nella foiba di Fianona non si è mai trovato nulla e nella zona nessuno ha mai sentito parlare di corpi ivi gettati. Infine, si è pure parlato delle foibe di Fiume…c'è solo un piccolo problema: a Fiume non ci sono foibe! L'unica foiba in cui si rinvennero i cadaveri di 18 fucilati è l'abisso Plutone. Si tratta in questo caso di prigionieri fascisti che vennero fucilati dalla cosiddetta banda Steffè, una banda composta in realtà da militari della X MAS che commettevano crimini facendosi passare per partigiani al fine di screditare questi ultimi agli occhi della popolazione.

Al di là del fenomeno contestato delle foibe occorre ribadire il bilancio bellico finale nella regione jugoslava, che ha visto morire 15 mila italiani a fronte di un milione di slavi.

4) 1945-50s – L'esodo

Con il Trattato di Pace di Parigi siglato il 10 febbraio 1947 la gran parte dell'Istria viene assegnata alla Jugoslavia, grazie ad accordi che verranno stabilizzati definitivamente solo con il Trattato di Osimo del 1975. A questo punto entra in gioco il tema dell'esodo, ossia della cosiddetta "cacciata" degli italiani dalle terre entrate a far parte della Jugoslavia. In realtà non c'è mai stata nessuna cacciata né tantomeno una persecuzione degli italiani in quanto tali. La presenza italiana in Istria e Dalmazia è rimasta viva ed attiva da allora fino ad oggi: sotto la Jugoslavia ha goduto sempre di tutele (scuole, istituzioni culturali, bilinguismo ecc) ed ancora oggi, nonostante il nazionalismo croato abbia ripreso vigore, è rispettata. A parte chi si macchiò di gravi colpe, nessuno fu costretto a lasciare la propria casa. L'esodo fu un'iniziativa volontaria, spalmatasi nell'arco di un decennio, della maggioranza della popolazione italiana presente in Istria e Dalmazia. Tra le 200 e le 250 mila persone emigrarono dalla regione, la gran parte verso l'Italia ma anche verso altri Paesi (Canada, USA, Australia). Occorre ricordare che agli abitanti delle zone divenute jugoslave venne data la possibilità di decidere quale cittadinanza scegliere, tant'è che in questo flusso migratorio si infilarono anche 30 mila croati e 10 mila sloveni, che non gradivano l'idea di vivere in uno Stato socialista. Questa in effetti è stata la principale motivazione per cui anche migliaia di italiani, in molti casi insediatisi sul territorio in epoca fascista, decisero di rientrare in Italia per il timore di essere identificati come ex fascisti e perdere il posto di lavoro; contano anche le pressioni del Governo italiano e del CLN di Fiume e Pola, controllati dalle forze partigiane più moderate e nazionaliste. L'assenza di una politica esplicitamente discriminatoria nei confronti degli italiani è confermata indirettamente dal fatto che 2500 operai italiani della "Cantieri riuniti" nell'arco del biennio '46-'48 decidono di trasferirsi a Fiume e Pola per lavorare al servizio del nuovo Stato socialista.

5) Il revisionismo storico

Dato che questi sono i fatti accertati storicamente, perché e come si è arrivati ad istituire il 10 febbraio "giornata del Ricordo"? Per 50 anni in effetti la retorica delle decine di migliaia di italiani "infoibati" e di altre centinaia di migliaia "in fuga" ha fatto parte solo della propaganda neofascista, mentre né lo Stato Italiano né le principali forze politiche italiane (ma neanche gli storici seri) hanno mai posto con forza la questione. Ciò è dipeso da svariati fattori, non ultime le ragioni della Guerra Fredda che vedeva la Jugoslavia un Paese sì socialista ma "amico" dell'Occidente, risultando così sconveniente polemizzare su tali fatti, sapendo peraltro quanto sarebbe stato facile agli jugoslavi rinfacciare i disastri compiuti dall'aggressione fascista, mostrando il reale rapporto di causa e conseguenza. Questi temi trovano nuovo spazio all'inizio degli anni '90, in un nuovo contesto storico che ha visto il crollo dell'URSS e della Jugoslavia socialista, ma anche del forte e radicato PCI. Nel 1994 va al Governo in Italia Silvio Berlusconi, alla guida di un'alleanza politica di centro-destra comprendente per la prima volta nella storia repubblicana forze politiche di origine fascista (Alleanza Nazionale, ex-MSI, il partito nostalgico del fascismo durante la Prima Repubblica). In questo periodo inizia anche in Italia l'accostamento tra fascismo e comunismo nell'ambito degli opposti totalitarismi criminali e in tale ottica risulta utile riprendere anche il tema delle foibe, su spinta della destra italiana, che appoggia e sostiene pubblicamente una serie di storici e di "testimoni" di simpatie e trascorsi fascisti, che pubblicano una serie di lavori su cui è stata espressa una dubbia metodologia scientifica.[1]

Anche le forze di centro-sinistra, in buona misura ex-comuniste, appoggiano e sostengono tali processi di revisionismo, per mostrare di aver tagliato i ponti con le ideologie passate e per legittimarsi pienamente al Governo dopo 50 anni di "fattore K" (ostruzione dei comunisti dal Governo per le ragioni della Guerra Fredda). Hanno poi una grande responsabilità i presidenti della Repubblica Ciampi e Napolitano, che inseriscono il "giorno del ricordo" in un progetto complessivo in cui rientra anche la ripresa delle celebrazioni in pompa del 4 novembre, "festa delle forze armate e dell'unità nazionale" tesa a celebrare la vittoria della Prima Guerra Mondiale, un massacro di contadini e lavoratori definito "inutile strage" perfino da Papa Benedetto XV. È un progetto teso a ricostruire un'identità nazional-patriottica agli italiani che recupera temi irredentisti e militareschi, legittimando al contempo le forze politiche che per anni li avevano portati avanti e che anche per questo erano state considerate una minaccia per la democrazia. È il periodo in cui il Presidente del Consiglio Berlusconi nel 2003 afferma testualmente che "Mussolini non ha mai ammazzato nessuno, Mussolini mandava la gente a fare vacanza al confino", dichiarazioni che andavano a gettare ulteriore discredito sul valore della Resistenza Partigiana Antifascista, base costitutiva della Repubblica Italiana. I discorsi parlamentari del Presidente della Repubblica Napolitano hanno peraltro provocato anche gravi tensioni diplomatiche con i Governi della Croazia e della Slovenia, i quali hanno protestato vigorosamente per la nuova narrazione storica proveniente dall'Italia, improntata al recupero di minacciosi argomenti imperialisti e razzisti. Argomenti diffusi non solo con discorsi e libri ma anche nel senso comune: per diffondere la nuova narrazione delle foibe è stato messo in atto "un progetto integrato piuttosto articolato e complesso" (Tenca-Montini), che ha previsto ampi finanziamenti pubblici alle associazioni dei reduci e un'attenzione particolare alle potenzialità della televisione, principale strumento di informazione. Il risultato più evidente di questo processo di propaganda è stata la fiction televisiva della RAI "Il cuore nel pozzo", improntata ad un bieco razzismo anti-slavo e anti-partigiano. Si è giocato poi negli anni sull'equiparazione tra Shoah e Foibe e si è riusciti con ampie pressioni mediatiche e politiche organizzate dalle forze di centro-destra a far intitolare vie, monumenti e parchi ai "martiri delle foibe", pur non senza ampie resistenze politiche provenienti da alcune forze politiche di sinistra oltre che dai settori dell'ANPI e degli intellettuali.

6) Una lotta storiografico-politica ancora in corso

Tutte queste sono le ragioni principali per cui negli ultimi anni è stato istituito il "Giorno del Ricordo" e si è messa in atto una riscrittura della Storia alla quale si sono opposti gli storici italiani di livello internazionale, oltre alle organizzazioni politiche rimaste coerentemente antifasciste. Ad oggi il numero totale dei "martiri italiani" alla cui memoria sono stati attribuiti i riconoscimenti pubblici e finanziari previsti dalla Legge n° 92 del 2004, è di appena 323, di cui "infoibati" in senso stretto una minima frazione, mentre la gran parte di queste figure sono appartenenti alle forze armate o personale politico dell'Italia fascista, senza contare gli episodi che non hanno niente a che fare con la narrazione ufficiale delle "più complesse vicende del confine orientale" cui si riferisce la Legge. Tutto ciò considerato, il 2 aprile 2015 la stessa Segreteria Nazionale dell'ANPI ha chiesto di interrompere quantomeno l'attribuzione di onorificenze e medaglie della Repubblica, mentre nel 2017 numerose personalità antifasciste in una Lettera Aperta al MIUR hanno invocato un drastico cambiamento di rotta rispetto alla modalità revisionista e rovescista con cui l'argomento è trattato nelle scuole. Si è arrivati all'assurdo per cui un partito neofascista come Casapound abbia attaccato l'ANPI accusandola di "revisionismo storico" (!) e di "negazionismo", incriminazioni che sono mosse a chiunque intenda mettere in dubbio pubblicamente la versione dominante decisa politicamente, in una riscrittura della Storia di stampo orwelliano. In questo stesso giorno, 10 febbraio 2018, si svolge invece a Torino tra le polemiche un contrastato convegno (organizzato tra gli altri dalla illustre rivista di storia critica Historia Magistra), che si intitola "GIORNO DEL RICORDO, UN BILANCIO", con l'obiettivo di investigare "le ricadute dell'inserimento del Giorno del Ricordo nel calendario civile della Repubblica, che appaiono molto pesanti a livello politico, culturale e di autopercezione identitaria della Nazione, nonché a livello didattico-scientifico e financo per le casse dello Stato." La lotta insomma, sia a livello storiografico che politico, è su questo tema tuttora in corso e non è detto che tutti gli studenti futuri abbiano professori che decidano di far loro una lezione su questi argomenti con un simile livello di approfondimento. La scuola è uno degli ultimi baluardi per reagire a questa offensiva culturale semi-totalitaria.

Tutto ciò non deve comunque impedire il ricordo di quei pochi italiani innocenti e inconsapevoli che possano essere incappati in persecuzioni per errore, per vendette personali o per l'associazione italiano=fascista fatta da settori minoritari dei popoli slavi, in ogni caso mai legittimati formalmente dal governo jugoslavo. Serve però a ricordare la responsabilità primaria imputabile al nazifascismo degli orrori che hanno colpito in primo luogo i popoli slavi e in in misura quantitativa assai minore anche quegli italiani che si sono fidati malamente delle promesse di Mussolini.

Fonti

- Eric Gobetti, "Alleati del nemico. L'occupazione italiana in Jugoslavia (1941-1943), Laterza, Roma-Bari 2013;
- Claudia Cernigoi, "Operazione foibe a Trieste. Come si crea una mistificazione storica: dalla propaganda nazifascista attraverso la guerra fredda fino al neoirredentismo", Kappa Vu, Udine 1997;
- Federico Tenca Montini, "Fenomenologia di un martirologio mediatico. Le foibe nella rappresentazione pubblica dagli anni Novanta ad oggi", Kappa Vu, Udine 2014;
- i materiali presenti sul sito http://www.diecifebbraio.info/;
- le pagine Wikipedia "I massacri delle foibe" (https://it.wikipedia.org/wiki/Massacri_delle_foibe), "Giorno del Ricordo" (https://it.wikipedia.org/wiki/Giorno_del_ricordo), "Invasione della Jugoslavia" (https://it.wikipedia.org/wiki/Invasione_della_Jugoslavia) e "Occupazione italiana del Montenegro e del Sangiaccato"; (https://it.wikipedia.org/wiki/Occupazione_italiana_del_Montenegro_e_del_Sangiaccato)
- Lorenzo Filipaz, "#Foibe o #Esodo? «Frequently Asked Questions» per il #GiornodelRicordo", 2015, disponibile su https://www.wumingfoundation.com/giap/2015/02/foibe-o-esodo-frequently-asked-questions-per-il-giornodelricordo/;
- Piero Purini, "Come si manipola la storia attraverso le immagini: il #GiornodelRicordo e i falsi fotografici sulle #foibe", 2015, disponibile su https://www.wumingfoundation.com/giap/2015/03/come-si-manipola-la-storia-attraverso-le-immagini-il-giornodelricordo-e-i-falsi-fotografici-sulle-foibe/;
- Video "Le foibe. Per non dimenticare" (disponibile su youtube al link https://www.youtube.com/watch?v=h_n_afXJOkU) come esempio di video di propaganda fazioso e mistificatorio.

Note:

[1] Per capire la colossale montatura nascosta dietro alla favola delle foibe basta sapere chi sono gli "eminentissimi" storici che sono stati fonte di questa propaganda. Nell'ordine: Luigi Papo, noto fascista sotto il regime e a capo della Milizia Montona, responsabile di eccidi e di rastrellamenti partigiani, considerato dalla Jugoslavia un criminale di guerra di cui chiese l'estradizione (senza ottenerla, il che vale anche per molti altri casi); Padre Flaminio Rocchi, fascista esponente dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia; Maria Pasquinelli collaboratrice della X MAS e dei servizi segreti della RSI; Marco Pirina, incriminato per il tentativo di golpe Borghese del 1970; Giorgio Rustia, militante di Forza Nuova; Ugo Fabbri associato al MSI. Il tutto coordinato dalla regia dell'avvocato Augusto Sinagra, legale di Licio Gelli ed asserito iscritto alla loggia P2. E che dire dell'unico sedicente supersite ad una Foiba che si conosca, Graziano Udovisi? Oggi intervistato con tutti gli onori dalla RAI, si tratta di un criminale di guerra già condannato dalla giustizia italiana: la sua pena, ma guarda un pò, venne attenuata in quanto scampato ad una famigerata foiba a Fianona.
 
 
CUBA. GLI ANNI PASSANO, LA RIVOLUZIONE RESTA
di Giusi Greta Di Cristina
(Circolo di Parma - Ass. Italia-Cuba) 
 
Cuba, dicembre del 1958. 
L’isola è percorsa dal fuoco rivoluzionario che, né Batista né gli Usa suoi alleati, sono riusciti a spegnere. Al contrario: esso è ormai penetrato in ogni angolo di quella terra, agitando il popolo, informando di sé ogni spirito ormai convinto che il tiranno, anche a Cuba come in URSS, potesse essere sconfitto.
Il Movimento 26 Luglio, guidato da Ernesto Guevara e da Camilo Cienfuegos, dopo un inutile tentativo da parte delle forze governative di distruggere alcune posizioni guerrigliere di istanza a Escambray, decide di iniziare l’attacco definitivo a Batista. E lo fa  attaccando Santa Clara, cuore dell’isola e ultimo baluardo da conquistare per arrivare alla capitale. 
Era il 28 dicembre del 1958.
Batista, seguendo la tradizione dei codardi, decise di scappare e lasciò il Paese in mano al generale Cantillo.
Qualche giorno dopo, attraverso la messa in campo di una lucidissima strategia politica (formare il popolo alla Rivoluzione, avanzare militarmente), Fidel Castro entra trionfalmente a Santiago de Cuba, dichiarandola capitale provvisoria del Paese. 
Era l’1 gennaio 1959. Il sogno della Rivoluzione era divenuto realtà.
Da quel momento Cuba rappresenta l’ “altro mondo” possibile. E davvero Cuba lo è, questo mondo possibile, se si pensa ai prodigi compiuti da questo Paese nonostante un blocco economico (per favore, non chiamatelo embargo!). Blocco che continua ancora oggi, che anzi è divenuto ancor più duro.
Eppure Cuba resiste. 
Vi siete mai fermati a pensare come sia possibile che un’isola così piccola riesca a sopravvivere, riesca ad autodeterminarsi, riesca a sconfiggere lo Stato che, oggi come ieri, è responsabile per via diretta e indiretta dei più feroci e sanguinosi crimini, gli Stati Uniti. 
Negli anni l’imperialismo statunitense ha tentato di distruggere Cuba e la sua Rivoluzione, attraverso i tentativi di uccidere il Comandante en Jefe, Fidel Castro Ruz, guida del Paese fino alla sua morte, guida di ogni socialista per l’eternità. Ha tentato di soffocare il popolo cubano con il blocco economico, falsamente chiamato embargo, iniziato da Eisenhower con le restrizioni economiche nel 1960 e poi allargato dal Proclama 3447 a firma di J.F Kennedy. 
Cuba, terrore del liberismo, avamposto del comunismo proprio dinnanzi agli anticomunisti, segno reale e concreto di un socialismo vivo e vegeto, voluto e amato, difeso a qualsiasi costo. 
Perché questo è Cuba, e non il sogno romantico che certa sinistra poco incline allo studio vorrebbe far passare. Non è la faccia del Che Guevara sulle magliette, né l’esotismo del caldo a tutte le stagioni: Cuba è teoria che si fa prassi, è gioventù educata alla rivoluzione, è esercito fedele agli ideali rivoluzionari. 
Cuba è soprattutto il popolo cubano che sceglie, ogni giorno, il socialismo. 
E lo ha fatto nei mesi passati, attraverso il lavoro sul progetto della nuova Costituzione, che prenderà il posto di quella vigente, del 1976.
 
LA NUOVA COSTITUZIONE DI CUBA
La bozza del progetto della Carta Costituzionale è stata proposta alla Consulta popolare per essere rivista e per dare la possibilità al popolo di proporre eventuali cambiamenti. 
In quella che viene definita una dittatura persino dai maître à penser nel nostro Paese, quasi nove milioni di cittadini – emigrati inclusi – hanno potuto dire la loro sulla bozza costituzionale, che una volta rientrata è stata aggiornata con le proposte avanzate dalla Consulta popolare. Ad occuparsi della redazione della stessa e dell’incorporazione delle modifiche proposte dalla Consulta popolare, una commissione guidata dall’ex presidente e Primo Segretario del Partito Comunista Cubano, Raúl Castro.
La bozza, votata all’unanimità dai deputati dell’Assemblea Nazionale del Potere Popolare il 22 dicembre appena trascorso, è stata fatta oggetto dell’interesse della stampa internazionale che plaudiva alla proposta iniziale di togliere l’aggettivo “comunista” come indirizzo del governo cubano. In sostanza, destra e sinistra imperialista (come non pensare ai nostrani Il Manifesto, Left, Internazionale?) hanno sprecato fiumi di inchiostro per festeggiare la fine del comunismo a Cuba, il ripiego verso il capitalismo, l’abbandono della Rivoluzione. Una sorta di requiem, esasperato dal ritornello “Miguel Díaz-Canel non è Fidel Castro”.
Avremmo tanto voluto vedere le facce di questi soloni del nulla, di questi cantori del liberismo, di questi cani da guardia degli USA, nel leggere che nella stesura definitiva, quella che è stata appena approvata all’unanimità, è stata ripristinata la formula prima tolta, ovvero “gli alti obiettivi della costruzione del socialismo e l’avanzo verso la società comunista” (art.5). E dà soddisfazione sottolineare che il ripristino di questo elemento formale e sostanziale fa parte delle proposte della Consulta Popolare. 
Per quanto concerne gli altri cambiamenti inseriti nella nuova Costituzione – che verrà sottoposta a referendum il 24 febbraio dell’anno che è appena iniziato – due sono gli aspetti particolarmente interessanti: il primo riguarda l’assetto governativo, l’altro la tanto chiacchierata apertura ad una economia capitalista, altro aspetto sul quale la stampa borghese e liberista tante falsità ha scritto.
Per quel che concerne il primo punto, il Partito Comunista Cubano, di matrice marxista-leninista, rimane la guida del Paese. Viene però inaugurata l’istituzione della figura del Presidente della Repubblica e quella del Primo Ministro. Vengono ampliati i diritti e le garanzie dei cittadini, compreso il rispetto delle varie confessioni religiose.
La Commissione Costituzionale ha eliminato il controverso articolo che avrebbe consentito il matrimonio omosessuale a Cuba. Ha però promesso di aprire un tavolo di discussione sul tema che durerà due anni, quando verrà redatto il nuovo Codice di Famiglia (anch’esso verrà sottoposto a referendum). 
Vediamo ora di fare chiarezza sul secondo punto. E per farlo è necessario un passo indietro. Chi afferma che a Cuba, d’emblée, si sia deciso di aprire le porte al capitalismo pecca d’ignoranza o di malafede. Cuba sperimenta un sistema di economia mista da almeno dieci anni, anni segnati dalle riforme economiche volute dal generale Castro (2008-2018). Chi conosce Cuba sa bene quanto, negli ultimi tempi, il Paese abbia proposto centinaia di possibilità di investimento a regime di economia mista (uno fra tutti, cito l’esempio della Zona Mariel). Leggiamo dunque le righe del progetto costituzionale, laddove si parla di riconoscimento della proprietà privata e della necessità degli investimenti stranieri 
per lo sviluppo economico del Paese, come nient’altro che la strutturazione, nero su bianco, di un orientamento economico – ma anche politico – già deciso e messo in campo. 
Vorrei anche sommessamente aggiungere che il voler a tutti i costi legare il cammino cubano a quello cinese rappresenta una forzatura: nell’enorme bisogno che abbiamo noi occidentali di trasporre ogni evento geograficamente lontano sotto una chiara comprensione, rischiamo di dimenticare troppo spesso l’originalità nazionale di ogni esperienza. Cuba non è la Cina, per varie ragioni, non ultime quelle di natura geofisica. 
Cuba è Cuba, con le sue peculiarità, le scelte economiche che opera sono finemente cucite sui bisogni e le necessità del popolo cubano. E del suo benessere, ça va sans dire.
Inoltre, i deputati hanno approvato un articolo che dispone che “i mezzi di comunicazione fondamentale non possono essere oggetto di nessun altro tipo di proprietà che non sia quella socialista di tutto il popolo”. È superfluo aggiungere quanto questo sia necessario per evitare deviazioni che altrove hanno segnato la fine delle esperienze socialiste e che si sono servite dei mezzi di comunicazione antirivoluzionari e borghesi per incistarsi nella vita quotidiana e nella coscienza dei popoli.
 
La nuova Costituzione che, ripetiamo passerà ora al vaglio referendario il 24 febbraio dell’anno appena iniziato, si è confermata nella struttura quella proposta dalla bozza: 229 articoli, 11 titoli, due disposizioni speciali, 13 transitorie e due finali. 
 
CUBA, RIVOLUZIONE PERENNE
Sessant’anni son passati da quella splendida mattina in cui gli eroi della Rivoluzione segnano la fine della dittatura di Batista.
Uno di quegli anniversari che non è solo commemorazione, ma che stringe in sé un profondo significato di rivalsa e vittoria dei popoli che combattono contro l’imperialismo. 
Chi vi dice, chi ci dice che ormai tutto è passato, che il comunismo ha perso, lo dice incurante della situazione in cui si trova a dover sopravvivere la maggioranza delle donne, degli uomini, dei bambini e degli anziani di questo Pianeta: il sistema capitalistico si è imposto trascinando nella miseria, nell’indigenza, nella guerra persino Nazioni che hanno conosciuto il benessere per qualche decennio. L’aggressività degli USA e degli Stati vassalli è accresciuta enormemente dopo il tradimento e il crollo dell’URSS, i Paesi dell’ex blocco sovietico – secondo recentissimi sondaggi – vorrebbero il ritorno allo stato socialista, dopo l’inganno del capitalismo e la beffa dell’occupazione Nato. 
A Cuba tutto questo non è accaduto, non accade, non accadrà. Lo diciamo con sicurezza, col sorriso. E lo sa anche chi, da questa parte del mondo, sperava il contrario con la dipartita del Comandante Eterno.
Cuba vanta tra i migliori sistemi sanitari al mondo, e il migliore dell’America Latina. Cuba ha sconfitto la fame: nessun bambino muore di fame a Cuba. Cuba ha tra i migliori sistemi educativi al mondo, e il migliore dell’America Latina, surclassando quelli nati dalle dittature dei militari preparati dai nazisti scappati dalla Germania e assoldati dai democraticissimi USA. Al contrario, in questi Paesi la gente rovista tra i rifiuti per mangiare. 
A Cuba si è sopravvissuti al periodo especial, si sopravvive ancora a una restrizione economica, a una angheria finanziaria sotto la quale probabilmente qualsiasi altro Paese sarebbe crollato. 
Cuba sarebbe un miracolo, se noi credessimo ai miracoli. Cuba è il prodotto della ferrea disciplina marxista-leninista e dell’educazione alla rivoluzione. 
Cuba, seguendo gli esempi antecedenti, su tutti quello di José Martí, ha plasmato la sua lotta di liberazione in chiave nazionale, applicando le lezioni di Lenin, di Stalin, di Mao sulla necessità di creare la Rivoluzione nel proprio Paese sposando le caratteristiche più idonee che possano renderla vincente, nel proprio Paese. 
E in questi tempi oscuri, di antifascismo un tanto al chilo, letto in chiave esclusivamente ruffiana, in cui chiunque parli di difesa della sovranità popolare viene accusato di rossobrunismo – quando non direttamente di fascismo! - da Cuba ci arriva forte il monito: “Patria o Muerte!”. 
Se il futuro che scegliamo per la Patria (perché Paese o Nazione e non Patria? Cosa avrà mai fatto di male questo termine per suscitare una tale repulsione tra gli ambienti cosiddetti di sinistra?) è quello socialista, se lottiamo per questo obiettivo, se lo sosteniamo col nostro impegno militante, la nostra dedizione agli insegnamenti marxisti-leninisti, come non possiamo ritrovare nella Rivoluzione cubana, nella sua difesa alla patria socialista l’indirizzo al quale volgerci, anche oggi, nel 2019?
È chiaro: proprio in virtù di quanto appena affermato non possiamo trasporre pari pari quella che fu, anzi quella che è, la Rivoluzione Cubana entro i nostri confini (altra parola che pare abbia assurto connotati da demonizzare): possiamo però studiare, analizzare, approfondire quella che, tra le pochissime, non è solo il sogno di ciò che poteva essere ma la realtà di ciò che è.
 
Lunga vita alla Rivoluzione Cubana. Lunga vita a Cuba!
 
 
 
Inizio messaggio inoltrato:

Da: Partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana <partigiani7maggio @ tiscali.it>
Oggetto: Auguri e aggiornamenti
Data: 25 dicembre 2018 20:22:55 CET
 
Nel rivolgere i migliori auguri di 
 
Buone Feste e Sereno Anno Nuovo

cogliamo l'occasione per un breve aggiornamento sulla campagna "Rete della memoria e dell'amicizia per l'Appennino centrale".

La Assemblea dei Soci 2018 di Jugocoord Onlus, riunitasi all'inizio di dicembre, preso atto della mancata erogazione di fondi per i nostri progetti da parte della Tavola Valdese, ha stabilito lo stanziamento di somme comunque rilevanti rispetto al bilancio della associazione, finalizzate alla prosecuzione dei progetti stessi previa verifica di alcune condizioni, e precisamente per:
Acquasanta Terme (AP): rifacimento integrale lapidi Cimitero Partigiano Internazionale;
Valle Castellana (TE): allestimento Biblioteca Comunale e apposizione di una lapide commemorativa in località Morrice.
Comunicazione formale su tali stanziamenti è già stata data ai Sindaci interessati.

Una somma più contenuta è stata messa a disposizione per le altre località individuate nell'ambito della campagna, vale a dire Monte Cavallo (MC – ex base partigiana dell'Eremo della Romita), Altamura-Gravina (BA – ex campo di addestramento NOVJ/EPLJ) e Colfiorito di Foligno (PG – ex campo di concentramento delle "Casermette"). 
L'obiettivo per le prime due località è quello di spronare i rispettivi Comuni alla riscoperta del significato storico dei siti e alla progettazione di interventi di messa in sicurezza e valorizzazione, eventualmente organizzando "campi di lavoro" volontari per la pulizia e la apposizione di protezioni e/o cartellonistica di carattere storico-escursionistico, nonché dibattiti e celebrazioni.
Per Colfiorito, invece, sono stati intrapresi passi formali concreti per la realizzazione di un monumento-memoriale che finalmente "segni" la memoria del luogo. Tali passi, dei quali daremo conto nei prossimi mesi, fanno seguito alla iniziativa pubblica tenuta nel 75.mo Anniversario della Grande Fuga dal campo, sulla quale ha recentemente scritto anche V. Kapuralin per il sito del SRP di Croazia (Svečanost obilježavanja bijega iz logora u Italiji).

Segnaliamo infine l'appello pubblicato sul sito Jugocoord, rivolto a chiunque possa dare notizie sul luogo in cui furono scattate alcune fotografie del "battaglione Tito" della brigata Gramsci dell'Umbria: si tratta forse della casa di famiglia del partigiano Otello Loreti, sulla montagna sopra Spoleto?
(italiano / english)
 
Strategic disinformation – they call it 'fake news'
 
1) AskPinocchio, il software sponsorizzato dall'Unione Europea (F. Santoianni)
2) Der Spiegel's Claas Relotius' Scandal:
– The Relotius Case. Answers to the Most Important Questions (Der Spiegel)
– Il giornalista di Der Spiegel oltre a falsificare le notizie ha sottratto le donazioni agli "orfani" siriani
– Fraud ‘on grand scale’: Top journalist at reputable German magazine faked his stories for YEARS (RT)
– Game of deception: How a fraudster who faked his stories for years got to be Germany’s top reporter (RT)
– Tanks on Maidan, president’s gold bath & more outrageous Ukraine fakes by disgraced Spiegel reporter (RT)
3) All corrupt on the Western front? Der Spiegel latest to fall from media mountaintops (R. Bridge)
 
 
=== 1 ===
 
 
AskPinocchio, il software sponsorizzato dall'Unione Europea che spaccia per buone le bufale del mainstream
 
di Francesco Santoianni
23/12/2018
 
Una volta, lanciai in Rete due miei personalissimi software per imparare le lingue straniere. Il primo si chiamava “Amigos della lingua spagnola”: aggiungeva automaticamente una “s” a tutte le parole; il secondo era “Tovarish della lingua russa”: aggiungeva una “ov”. Insomma, come software non erano un granché, anche se fui tentato di mettere su una Startup per arricchirmi rifilando, una “sola”.
 
Ben altre prospettive si direbbero abbiano i promotori del “Progetto Fandango”: una partnership, benedetta dall’Unione Europea e che vede, tra gli altri, il coinvolgimento dell’ANSA. Una iniziativa già osannata dai media mainstream) in quanto promette: “…grazie all'intelligenza artificiale, una lotta senza quartiere alle Fake News (…) fornendo agli stakeholder del settore giornalistico degli indici di affidabilità della notizia, basati su una combinazione di elementi che aiutino a rivelarne la verità.”

Si, ma come fa la tecnologia DS4biz, cuore del software, a discernere le notizie “vere” dalle Fake News? Attraverso “algoritmi in grado di riconoscere e identificare le relazioni che sussistono all’interno del testo e del titolo della notizia, nelle frasi e nelle relazioni che si instaurano tra le parole e la loro frequenza.”

Sbalordito di questa magia (che, tra l’altro, fa piazza pulita di tre millenni di considerazioni filosofiche) e confortato da un articolo del Il Sole 24 Ore, ho voluto provare Askpinocchio il software front-end del Progetto Fandango, che discerne le notizie “vere” dalle Fake News semplicemente dal link di un articolo “sospetto” incollato in un modulo. Dunque: per, ben, trenta dei miei articoli su l’Antidiplomatico la risposta è stata sempre la stessa: “Non sono sicuro di questa notizia... Potrebbe trattarsi di una fake news il contenuto della notizia contiene elementi particolarmente bufalosi.” Elementi bufalosi?! Prostrato per l’essere stato smascherato; sperando che, per errore, analogo trattamento fosse stato riservato anche a blasonati giornalisti, ho inserito il link dell’articolo: “Juncker al vertice Nato non era ubriaco: barcollava per un problema di salute”; poi dell’articolo “Sono i russi Alexander Petrov e Ruslan Boshirov i sospettati dell’avvelenamento di Sergei e Yulia Skripal”; poi dell’articolo “Ora gli sgherri di Maduro uccidono indios per l'oro. I raid con gli elicotteri governativi”. Risultato del software anti Fake News? “Credo che la notizia sia vera!”

Che altro dire davanti a questo Prodigio dell’Intelligenza Artificiale? Quasi quasi, vado anche io a chiedere finanziamenti all’Unione Europea per i miei due software.

 

 
=== 2 ===
 
 
The Relotius Case. Answers to the Most Important Questions
 
December 19, 2018
 
In recent years, DER SPIEGEL published just under 60 articles by reporter and editor Claas Relotius. He has now admitted that, in several instances, he either invented stories or distorted facts...
 
or
 
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Il giornalista di Der Spiegel oltre a falsificare le notizie ha sottratto le donazioni agli "orfani" siriani
 
Fonte: Der Spiegel – Notizia del: 24/12/2018
 

Il giornalista ha incoraggiato i lettori a fare donazioni per due bambini siriani, che sono stati costretti a fuggire in Turchia. Si ritiene che uno dei presunti beneficiari non sia mai esistito.


Claas Relotius, giornalista di Der Spiegel, che ha falsificato molte delle suoi reportage strazianti, ora affronta un'indagine criminale sulle donazioni di denaro per i bambini siriani. La rivista tedesca ha presentato una denuncia penale contro Relotius dopo che si è saputo che il giornalista non solo ha inventato protagonisti e citazioni nei suoi racconti, ma avrebbe anche potuto ingannare i suoi lettori.
 
"I figli del re"
 
I lettori hanno informato i media che il giornalista ha usato la sua e-mail privata per organizzare una campagna di raccolta fondi per gli orfani siriani che vivono in Turchia. La storia è stata pubblicata nell'articolo di Relotius del 2016 intitolato "Children of the King".
 
Tale relazione ha raccontato la storia di Ahmed Alin e suo fratello, che sono stati costretti a fuggire in Turchia dopo che i suoi genitori sono morti nella città siriana di Aleppo. Per sopravvivere, i bambini lavoravano per lunghe ore e vivevano in condizioni terribili. Relotius sosteneva di aver parlato con entrambi i bambini, che vivevano a 300 chilometri di distanza, nelle città turche di Mersin e Gaziantep.
 
Storia "falsificata e fortemente drammatizzata"
 
Tuttavia, Der Spiegel ha riferito che il minore apparentemente non è mai esistito. Il fotografo turco Emin Ozmen, che ha accompagnato il giornalista tedesco durante il suo viaggio, ha raccontato di aver visto solo il ragazzo, la cui storia è stata "falsificata e fortemente drammatizzata", riporta la rivista.
 
Inoltre, si è appreso che i bambini (nel caso ce ne fossero due) non erano orfani, dal momento che la loro madre era viva e lavorava in un negozio di mobili a Gaziantep. Der Spiegel continua la sua indagine sulla storia, ma deve ancora trovare qualcuno che corrisponda alla descrizione della presunta sorella di Ahmed.
 
Il giornalista ha affermato di essere riuscito a portare i bambini in Germania, dove sono stati adottati da un medico e dalla sua famiglia. Tuttavia, questo "è apparentemente finzione", secondo la rivista. Steffen Klusmann, redattore capo di Der Spiegel, ha affermato che i fondi "probabilmente non hanno mai raggiunto quelli per cui erano destinati".
 
I media hanno dichiarato di non essere a conoscenza dello schema usato da Relotius, poiché nessun lettore l'aveva segnalato al momento della raccolta fondi. Non è ancora chiaro cosa sia successo alle donazioni ricevute.
 
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Fraud ‘on grand scale’: Top journalist at reputable German magazine faked his stories for YEARS
Published time: 19 Dec, 2018
 
One of Germany’s most popular papers, Der Spiegel, has found itself at the center of a scandal involving one of its top reporters who was caught fabricating elements of his stories.
Claas Relotius, who worked at Der Spiegel as a freelancer for 6 years until receiving a staff position in 2017, seemed to be a paragon of modern journalism. The 33-year-old has received numerous prestigious journalism awards, both in Germany and abroad.
Just this December he was awarded a prize by the German reporter’s association for his story about the life of a child in Syria. In 2014, Relotius was warmly welcomed by CNN who named him ‘Journalist of the Year.
However, his seemingly brilliant career has turned out to be a house of cards that is now falling apart, just as it had with Stephen Glass, a former staff writer at the New Republic who authored one of the most spectacular fabrication campaigns in the history of American journalism.
It was recently revealed that Relotius literally made up details in his stories and even “invented protagonists” – people he had never met in person.
One of his colleagues who was working with Relotius on a story about the situation on the US-Mexican border grew suspicious of some of the details in the journalist’s report. The man then tracked down two alleged sources Relotius quoted extensively in his text, only to find out that none of them ever actually met him.
The subsequent investigation by Der Spiegel into Relotius’ activities also uncovered that he fabricated details in another story including a claim that he had seen a sign in a US town that read: “Mexicans keep out.” When faced with the incriminating evidence, the journalist confessed to faking elements of his texts – not just in one story, but in a number of them.
So far, at least 14 stories out of almost 60 pieces the journalist wrote for Der Spiegel’s print and online editions turned out to contain fake details, the magazine said, adding that that figure might potentially be higher, and warning that other media outlets might also be affected.
Over the years, Relotius worked for about a dozen German news outlets, including the well-known Die Welt, Die Zeit and Financial Times Germany. Notably, the list of his stories that were proven to be at least partially fake included several pieces that had won journalism awards, including stories about Iraqi children kidnapped by Islamic State and prisoners in Guantanamo.
In a lengthy article which serves as both a clarification of the case and an apology, Der Spiegel said it was “shocked” by the discovery and offered an apology to its readers along with all those affected by Relotius’ articles. It also described the situation as "a low point in Der Spiegel's 70-year history."
Relotius, who resigned after the fraud came to light, told Der Spiegel that he regretted his actions and felt “deeply ashamed.” Meanwhile, the magazine’s management has set up a special investigative commission consisting of what it calls “experienced internal and external persons” to look through all of the journalist’s pieces and prepare recommendations to improve “safety mechanisms.”
 
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Game of deception: How a fraudster who faked his stories for years got to be Germany’s top reporter
Published time: 21 Dec, 2018
 
Germany has been rocked by a scandal involving one of the top reporters writing for the reputable Der Spiegel magazine, who turned out to be a fraudster. What made a fabulst into a star? Let’s look at some of his stories.
Claas Relotius, the ‘brilliant reporter’-turned-fabricator, carved his way to pages of some of the most prestigious German newspapers with curious, sentimental and touching human stories from everyday life. Although, some of these intimate private stories clearly had some political angle.

Syrian ‘Resistance’ hero

The piece that brought him his latest (and probably the last) journalist award delved into a much more high-profile and much more politicized topic – the Syrian crisis. The article centers around the plight of a Syrian teenager living in the city of Deraa, who stood against the Syrian President Bashar Assad, using graffiti as a tool to express himself.
Written in summer 2018, when the city was still at the hands of the militants, the piece calls Deraa the last “resistance” stronghold and the start of the Syrian conflict a “revolution” while the teenager himself is described as “Syria’s liberator” and a “legend” to “thousands.” Now, Der Spiegel has to embarrassingly admit that this story that so vividly depicted the rebels’ selfless fight against their supposed oppressors was mostly fabricated and many details described in the articles were just made up by the author.

Children ‘orphaned’ by Assad

Another report Relotius dedicated to the dire plight of Syrians tells the readers about a heartbreaking story of two Syrian siblings. “They had lost everything – their parents, their house and their country” at the hands of “dictator”Assad and his soldiers, the article says, inconspicuously interweaving the two orphans’ personal story with that of the battle for the Syrian city of Aleppo.
The piece also puts the blame for the tragedy of the Aleppo residents almost entirely on the Assad government and the Syrian Army, missing on the many extremists, who kept the city hostage.

Death threats over joke

Sometimes, the journalist also entertained his readers with the reports from a little bit more exotic corners of Earth. One particularly eyebrow-raising story recounts a haunting experience of a Scotsman, who was mercilessly chased and almost killed by the people of an entire country – Kyrgyzstan – just for a low joke about their food.

Trump’s ‘border hunters’

Notably, Relotious also often wrote about the US but apparently could not stay unbiased here as well. One of his latest pieces, which became a starting point of Spiegel’s investigation against him, used made up details to play to the popular anti-Trump angle in the complicated situation on the US-Mexico border. It tells the readers about a group of self-styled “border hunters” militia.
Its somewhat unlikeable members praise President Donald Trump and viciously hate all illegals seeking to come to the US. One of the supposed group members, who goes in the story by the imposing alias ‘Pain’, says “he wants to kick the devils, who are running into America, out just like Donald Trump.”
This man, however, turned out to be nothing but a phantom born in the fraudster’s inventive mind as the story turned out to be made up as well. Now, Der Spiegel has announced it established a special commission to investigate all Relotius’ works and develop recommendations to help it improve its control mechanisms..
However, it also admitted that “even with the sincerest of intentions, it is impossible to fully rule out” such incidents in the future as their causes lie in “human frailty” and journalists are just as “fallible” as any other people. So what made it so difficult for Der Spiegel and other reputable media outlets to see that Relotius was a fraudster?
Maybe, he just was that good at delivering the German media what they themselves craved for so much. His pieces seem to be a blend of heartbreaking personal stories perfectly fitted into the ‘liberal’ narrative touted by the Western media. An ideal deception.
Kirill Kuznetsov, RT
 
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Tanks on Maidan, president’s gold bath & more outrageous Ukraine fakes by disgraced Spiegel reporter
Published time: 22 Dec, 2018
 
One wonders just how outrageous ‘fake news’ must be in order to get busted, but Der Spiegel's ex-star reporter Claas Relotius got away with it all while writing for several outlets – maybe because it was about places like Ukraine.
Titled ‘Bribing prohibited’ Relotius’ piece on the new Ukrainian police has all the elements of his trademark style: dramatic narrative, likeable heroes – and entirely made-up ‘facts’.
The ‘report’, published by the Swiss magazine Reportagen in June 2016, tells a tale of two young people – Dimitri and Valeria – who became members of the rebranded police force of post-Maidan Ukraine. Given the recent revelations over his fictional reporting, it's now unclear whether Relotius met the duo in reality, but the story makes for a very compelling read indeed.
It states that each day before going on patrol, Dimitri and Valeria have been coming to the center of Kiev to pray near the “altar” erected in memory of those who died during the 2014 Euromaidan unrest. The two were among the protesters back then, it reveals, describing how they recall burning buildings, the “smell of corpses,”a man “with a child in his arms” shot dead beside an old well – and a ruined wall, where dozens were “slayed by snipers” and “rolled over by tanks.”
Wait, what? Given that the majority of victims in Kiev – both protesters and law enforcement officers – were killed over two days of murky clashes in February 2014, the “smell” of dead bodies appears to be a little of an exaggeration. No “old wells” could immediately be found in central Kiev, and there's nothing to back up the story about a “man with a child” either.
But most glaring of all, no “tanks” were ever deployed to curb the city unrest, so the “ruined wall” part was made up in its entirety. In reality, the police unsuccessfully tried to use light APCs to storm some barricades, but the vehicles were pelted with Molotovs and burnt down.. At least the “burning buildings” part holds some water, as some central Kiev sites, including the Trade Unions Building, were indeed put to the torch.
It's not much of a surprise that the rest of the article is riddled with inconsistencies and false statements. Notably, it claims that the ousted President of Ukraine, Viktor Yanukovych, had a mansion where he “lived like a pharaoh, with banisters and baths made of pure gold.” The claim appears to be based on the long-debunked rumor that the protesters who stormed the president's lavish residence discovered a golden toilet.
Incumbent president of the country – Petro Poroshenko – is also described, for some reason, as a “billionaire praline manufacturer from Odessa.” Poroshenko has held several top government posts since the early 2000s, but this fact is not even mentioned in the article. He was indeed born in the Odessa region in the Soviet Union, yet the image of a “successful businessman from Odessa” seems to be quite a stretch.
Describing the old bribery mindset the new police officers have been supposedly battling, Relotius managed to make another, quite outlandish, mistake. The article says that the new police force was in use not only in the capital city of Kiev, but in other major cities, namely “in Kharkiv and Donetsk, in Lviv and in Odessa.”
The problem is, at the time of publication, the eastern city of Donetsk had for two years been under the control of anti-Kiev rebels, who rejected the Euromaidan coup, proclaimed their own republic, and had actual tanks and warplanes sent to crash them into submission – with only limited success.
It doesn't seem probable that the new Ukrainian police force would have been welcome there – a fact that may have eluded the disgraced Der Spiegel reporter. Just as it, sadly, would go over the head of many of his readers, submerged in the MSM reporting on Ukraine – a narrative often fed from the Kiev government's POV – and with little fact-checking.
 
 
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All corrupt on the Western front? Der Spiegel latest to fall from media mountaintops
 
by Robert Bridge, 21 Dec, 2018
 
Once again, a reporter has been accused of writing fake stories – over a span of years – reinforcing the suspicion that we are living in a post-truth world where words, to paraphrase Kipling, “are the most powerful drug.”
This week, Der Spiegel, the German news weekly, was forced to admit that one of its former star reporters, the award-winning Claas Relotius, “falsified his articles on a grand scale.”
Indeed, it seems the disgraced journalist was motivated more by fiction writers John le Carre and Tom Clancy than by any media heavyweights, like Andrew Breitbart and Walter Cronkite.
Relotius, who just this month took home Germany’s Reporterpreis (‘Reporter of the Year’) for his enthralling tale of a Syrian teenager, “made up stories and invented protagonists,” Der Spiegel admitted.
There is a temptation to rationalize Relotius’s multiple indiscretions, not to mention the failure of his fastidious employer to unearth them for so long, as an unavoidable part of the dog-eat-dog media jungle. After all, journalists are not robots – at least not yet – and we are all humans prone to poor judgment and mistakes, perhaps even highly unethical ones.
That explanation, however, falls short of explaining the internal forces battering away at the foundation of Western media, an institution built on the shifting sand of lies, disinformation and outright propaganda. And what is readily apparent to those outside of the Western media fortress is certainly even more apparent to those inside.
A good example is Russiagate. This elaborate myth, which has been peddled repeatedly and without an ounce of 100-percent real beef since the US election of 2016, goes like this: A group of Russian hackers, buying a few hundred social media memes for just rubles to the dollar, were able to do what all the Republican campaign strategists, and all the special interests groups, with all of their billions of dollars in their massive war chest, simply could not: keep Democratic voters at home on the couch come Election Day – a tactic now known as “voter suppression operations” – thereby handing the White House to Donald Trump on a silver platter. Or shall we say ‘a Putin platter’?
Don’t believe me? Here’s the opening line of a recent Washington Post article that should be rated ‘R’ for racist: “One difference between Russian and Republican efforts to quash the black vote: The Russians are more sophisticated, insidious and slick,” wailed Joe Davidson, who apparently watched too many Hollywood films where the Russkies play all of the villains. “Unlike the Republican sledgehammers used to suppress votes and thwart electorates’ decisions in various states, the Russians are sneaky, using social media come-ons that ostensibly had little to do with the 2016 vote.”
Meanwhile, Der Spiegel, despite being forced to come clean over the transgressions of Claas Relotius, will most likely never own up to its own factual shortcomings with regards to their dismal reporting on Russia.
For example, in an article published last year entitled ‘Putin’s work, Clinton’s contribution,’ the German weekly lamented that “A superpower intervenes in the election campaign of another superpower: The Russian cyber-attack in the US is a scandal.” Just like their fallen star reporter, Der Spiegel regurgitated fiction masquerading as news.
However, there is no need to limit ourselves to just media-generated Russian fairytales. The Western media has contrived other sensational stories, with its own cast of dubious characters, and with far greater consequences.
Consider the reporting in the Western media prior to the 2003 Iraq War, when most journalists were behaving as cheerleaders for military invasion as opposed to conscientious objectors, or at least objective observers. In fact, two reporters with the New York Times, Michael Gordon and Judith Miller, arguably gave the Bush administration and a hardcore group of neocons inside Washington, which had been pushing for a war against Saddam Hussein for many years, the barest justification it required for military action.
Just six months before the bombs started dropping on Baghdad, Gordon and Miller penned a front-page article in the Times that opened with this stunning claim: “Iraq has stepped up its quest for nuclear weapons and has embarked on a worldwide hunt for materials to make an atomic bomb, Bush administration officials said today.”
The article in America’s ‘paper of record’ then proceeded to build the case for military action against Iraq by quoting an assortment of anonymous senior administration officials, anonymous Iraqi defectors, and anonymous chemical weapons experts. In fact, much of the story was based on comments provided by one ‘Ahmed al-Shemri,’ a pseudonym for someone purported to have been connected to Hussein’s chemical-weapons program. The authors quoted the mystery man as saying: “All of Iraq is one large storage facility.”
Gordon and Miller also claimed their source had said that “he had been told that Iraq was still storing some 12,500 gallons of anthrax.”Several months later, just weeks before the US invasion of Iraq commenced, US Secretary of State Colin Powell invited the UN General Assembly to imagine what a “teaspoon of dry anthrax”could do if unleashed on the public.
Powell, who later said the testimony would be a permanent “blot” on his record, even shook a tiny faux sample of the deadly biological agent in the Assembly for maximum theatrical effect.
Shortly after the release of the Times piece, top Bush officials appeared on television and alluded to Miller’s story in support of military action. Meanwhile, UN inspectors on the ground in Iraq never found chemical weapons or the materials needed to build atomic weapons. In other words, the $1-trillion-dollar war against Iraq, which led to the deaths of tens of thousands of innocent civilians, was a completely senseless act of aggression against a sovereign state, which the US media helped perpetrate.
Aside from the question of whether readers really put much faith in these fantastic media stories, complete with pseudonymous characters and impossible to prove claims; there remains another question. Does the Western media itself believe its own stories?  The answer seems to be no, at least not always.
With regards to the Russiagate story, for example, an investigative journalism outfit, Project Veritas, caught a few Western journalists off-guard about their true feelings in relation to the claims against Russia, and their feelings in general about the state of the media.
“I love the news business, but I’m very cynical about it – and at the same time so are most of my colleagues,” CNN Supervising Producer John Bonifield admitted, unaware he was being secretly filmed.
When pushed to explain why CNN was beating the anti-Russia drum on a daily basis, things became clearer: “Because it’s ratings,”Bonifield said. “Our ratings are incredible right now.”
In the same media sting operation, Van Jones, a prominent CNN political commentator who has pushed the anti-Russia position numerous times on-air, completely changed his tune when caught off-air and off-guard. “The Russia thing is just a big nothing burger,” he remarked.
This brings us back to the story of the fallen Der Spiegel journalist. It seems that a deep cynicism has taken hold in at least some parts of the Western media establishment. Journalists seem increasingly willing to produce extremely tenuous, fact-challenged stories, many of which are barely held together by a rickety composite of anonymous entities.
And why not? If their own media bosses are permitting gross fabrications on a number of major issues, not least of all related to Russia, and further afield in Syria, why should the journalists be forced to play by the rules?
Under such oppressive conditions, where the media appears to be merely the mouthpiece of the government’s position on a number of issues, those working inside this apparatus will eventually come around to the conclusion that truth is not the main priority. The main priority is hoodwinking the public into believing something even when the facts – or lack of them – point to other conclusions.
Thus, it is no surprise when we find Western reporters imitating the greatest fiction writers, because in reality that is what they have already become.  
 
 
Robert Bridge is an American writer and journalist. Former Editor-in-Chief of The Moscow News, he is author of the book, 'Midnight in the American Empire,' released in 2013.