Informazione

 
Le Foibe come arma di distrazione di massa
di Alberto Fazolo, 31 gennaio 2019
 

 

Dal finire degli anni ’80 si andò definendo un nuovo assetto europeo: la Germania (riunita) diventava il nuovo leader che trascinava gli altri paesi in un percorso – politico ed economico – da cui lei avrebbe tratto il massimo giovamento. In questa nuova Europa sono ben definiti i ruoli: chi comanda e chi obbedisce, chi può prendere le decisioni strategiche e chi si può al più limitare al tentativo d’influenzarle. Un quadro in cui il ruolo dell’Italia è evidente, ma ancora più evidente il fatto che optando per porsi in subalternità si finisce per accettare le decisioni delle forze egemoni nella UE, anche quando queste vadano contro i propri interessi. 

La Germania lanciò un progetto di ampio respiro che oggi si manifesta nella sua concretezza e che prevedeva la costruzione dell’egemonia – politica ed economica – in Europa. Forse fare dei paragoni con i vari Reich è per certi versi azzardato, ma per altri non tanto. Infatti il progetto prevedeva la propria riaffermazione su territori in cui più volte ha insistito la presenza tedesca (fino alla Prima Guerra Mondiale con l’alleanza tra Germania e Impero Austro-Ungarico e successivamente con il Terzo Reich). Anche in quest’ottica va inquadrata l’espansione ad Est avviata con il crollo dei paesi socialisti: nella ricomposizione della sfera d’influenza tedesca.

Sotto la spinta delle forze Euro-Atlantiche caddero tutti i paesi del Patto di Varsavia, che repentinamente passarono ad un sistema di libero mercato compatibile con il nuovo corso europeo. Tuttavia la Jugoslavia socialista (Stato multietnico per antonomasia) non mostrava particolari segni di cedimento. Questa infatti, non gravitando nell’orbita sovietica, non aveva eccessivamente accusato il colpo di quegli eventi. Pertanto, era evidente che per “normalizzare” la Jugoslavia si sarebbe dovuto ricorrere a differenti metodi, optando per alimentare le tensioni etniche e disarticolarla in piccoli stati. Su questa operazione convergevano gli interessi di diversi poteri forti: gli USA impegnati nella crociata contro il socialismo, la NATO in corsa verso Est, la Germania smaniosa di espandersi fino ai vecchi confini dei Reich, il Vaticano di Woytila che voleva costruire una nuova e cattolicissima Croazia. 

Le forze Euro-Atantiche incendiarono i Balcani dando il via ad una terribile guerra civile, in Croazia sostennero gruppi che si ponevano in continuità con il passato fascista, compresi i ferocissimi Ustascia. Con il beneplacito delle forze Euro-Atlantiche la Croazia si macchiò di orribili crimini e fece una terribile pulizia etnica. Nel 1991 i cittadini di etnia croata nel Paese erano il 78% della popolazione complessiva, dieci anni dopo erano diventati il 90%. Con l’indipendenza, la Croazia era diventata di fatto uno Stato fascistoide, semi confessionale ed etnicamente quasi omogeneo. Ma soprattutto la Croazia diventava uno Stato davvero identitario, nell’accezione peggiore del termine. 

Uno Stato in cui qualsiasi “diverso” è un nemico: altre etnie, chi abbia un pensiero politico non allineato a quello dominante, altre religioni, ecc. In Croazia i “diversi” soffrono uno stato di soggezione e marginalizzazione – si sentono sotto costante minaccia – per molti le strade percorribili sono sostanzialmente due: l’emigrazione o l’assimilazione (cioè la rinuncia della propria cultura per assumere quella dominante). Infatti, da dopo l’indipendenza, la popolazione complessiva della Croazia è in costante riduzione mentre aumenta la percentuale di croati a discapito delle altre etnie. 

Un fenomeno riguardante pure la comunità italiana che dai primi anni ’90 ha subito una grave e costante riduzione. Questa comunità non fu vittima di pulizia etnica durante la guerra, sia perché l’Italia non lo avrebbe potuto permettere, sia perché è inverosimile pensare che l’aiuto offerto dall’Italia alla Croazia non avesse una contropartita nella protezione della minoranza italiana. Comunque le statistiche confermano che ancora oggi la comunità italiana in Croazia si riduce sempre di più e anche in questo caso per emigrazione o assimilazione. Molti degli italiani in Croazia si sentono stranieri e marginalizzati, incompatibili con uno Stato identitario, per ciò spesso preferiscono o andare a vivere in Italia o rinunciare alla propria identità per sposare quella croata. 

Questo scenario è estremamente triste e abbastanza noto, il frutto avvelenato delle manovre geopolitiche e imperialistiche delle forze Euro-Atlantiche a cui l’Italia non si è opposta. Ovviamente esistono delle organizzazioni che curano gli interessi degli italiani in Croazia, ma qui non si vuole entrare nel merito di questi gruppi e tanto meno degli orientamenti politici loro e dei loro componenti. Qui si vuole riflettere su un aspetto che non è stato adeguatamente indagato, cioè la contraddizione che in quel frangente esplode in seno alle forze politiche europeiste italiane: hanno appoggiato un progetto geopolitico che ha leso la comunità italiana in Croazia. Nella Croazia indipendente che l’Italia ha contribuito a costruire non c’è spazio per i “diversi”, quindi neanche per gli italiani, è una comunità destinata a scomparire anche per colpa dell’Italia.

Come detto, all’inizio degli anni ’90 il mondo fu sconvolto da enormi cambiamenti, la NATO andava a ridefinire le proprie funzioni e in Europa si accelerò sul processo d’integrazione ad egemonia tedesca. In questo quadro si colloca la destabilizzazione della Jugoslavia. La ricostruzione di quegli anni necessita anche di uno sguardo alle vicende italiane. L’Italia si presentava fiaccata al tavolo di trattative europee in quanto subì una durissima speculazione finanziaria ad opera, tra gli altri, di quel George Soros che si stava impegnando nella distruzione della Jugoslavia. La cosiddetta “Prima Repubblica” era tramontata e sulla scena politica si presentarono nuovi protagonisti. Altre forze politiche si riciclarono tramite metamorfosi: il PCI diventava PDS e il MSI diventava AN. Questi ultimi partiti fecero delle svolte con cui si candidavano a divenire forze di Governo sposando ciecamente la causa europeista. 

In definitiva il processo d’integrazione europea proseguiva a tappe forzate e tutta la classe di governo italiana ne era espressione. Il destino della comunità italiana in Croazia era un problema che praticamente nessuna forza politica aveva intenzione d’affrontare. Tuttavia i dati demografici erano inoppugnabili, la comunità italiana si stava riducendo e il clima nel Paese era ostile a tutte le minoranze. Per questo nel 1996 si cercò di correre ai ripari firmando un trattato bilaterale con cui si sancì che “la Repubblica di Croazia prenderà le misure necessarie per la protezione della minoranza italiana”: le persecuzioni contro gli italiani non ci furono, ma la comunità era comunque destinata a sparire; con il nuovo corso croato era inevitabile. Per le forze di Governo italiane era una contraddizione insanabile, uno scandalo che avrebbe potuto avere conseguenze politiche inimmaginabili.

In questo contesto in Italia repentinamente irruppe con vigore la questione delle Foibe: un coro trasversale di politicanti, giornalisti e “storici” di dubbia serietà iniziarono a raccontare che gli italiani in Croazia erano stati sterminati da Tito. Ovviamente anche la Slovenia venne trascinata nella vicenda, ma con minor enfasi. 

Nel dibattito politico italiano la questione delle Foibe è stata assolutamente marginale per circa mezzo secolo (fino agli anni ’90), salvo poi farla diventare di forza un tema politico centrale. Per giustificare questo cambio di registro venne inventata di sana pianta una fantomatica “congiura del silenzio” basata su argomentazioni grottesche. Infatti fino agli anni ’90 la questione delle Foibe era stata nota e dibattuta, ma per quello che realmente era, verosimilmente dandogli anche una corretta quantificazione. 

Successivamente c’è stato un vero e proprio impazzimento collettivo, con una sorta di macabra gara a chi raccontava la versione più tetra: senza alcun riscontro, e in spregio di ogni seria ricerca storica, venivano proposte cifre in libertà. Particolarmente interessante è stata la risposta scatenata dall’apertura del dibattito sulla bontà della “ricostruzione storica”: reazioni feroci e isteriche. Un qualcosa di smisurato e oltremodo scomposto per quelli che erano ormai – dopo tanti anni – i termini della vicenda. La questione delle Foibe, infatti, era improvvisamente  diventato il più caldo tra tutti gli aspetti della Seconda Guerra Mondiale. 

Dato che tutto ciò non era imputabile a novità di rilievo – non c’era stata alcuna scoperta di nuove fonti – sorse da subito il dubbio che dietro la questione delle Foibe ci potesse essere dell’altro, un qualcosa che tuttavia non si manifestava palesemente e che non si riusciva a cogliere. Ma soprattutto, risultava difficile credere che quel qualcosa di cui si sospettava l’esistenza potesse davvero essere relativo a dei fatti avvenuti negli anni ’40. Serpeggiò insomma subito il dubbio che si potesse trattare di qualcosa di più recente. A tal riguardo sono state formulate diverse ipotesi, in vario modo collegate all’evoluzione degli assetti politici interni e internazionali di quegli anni o a varie forme di opportunismo e trasformismo. Sicuramente si tratta di letture che trovano numerosi riscontri, tuttavia non riescono ad essere esaustive.

Collegando i vari eventi viene quindi da chiedersi se, da dopo gli anni ’90, la questione delle Foibe possa essere stata usata in Italia come “arma di distrazione di massa”, cioè per nascondere all’opinione pubblica un tema ben più attuale qual è la salvaguardia della comunità italiana in Croazia. Si è fatto passare il messaggio che le Foibe siano state il genocidio degli italiani nei Balcani. Si vuole far credere che gli italiani in quelle terre furono o massacrati da Tito o costretti alla fuga (con l’Esodo Giuliano Dalmata). Cioè, viene diffusa una narrazione da cui è completamente rimosso il fatto che, dopo quegli eventi, ci fosse ancora una consistente comunità italiana nei Balcani

La rimozione potrebbe non essere casuale, ma collegata al fatto che negli anni ’90, in Italia, si era deciso di svincolarsi dalla comunità italiana in Croazia (e di voltarle le spalle, concedendo qualche mancia come “buonuscita”). Una volta cambiati i termini della questione, l’Italia non era tenuta ad intervenire, perché per l’opinione pubblica il problema non esisteva più

Spostando artificiosamente agli anni ’40 l’estinzione della comunità italiana in Croazia, automaticamente veniva assolto chi dagli anni ’90 in poi è stato complice nel segnarne il destino: il tradimento è arrivato proprio da chi si presentava come suo paladino.

Ovviamente si tratta di vicende estremamente complesse, che è difficile poter trattare con esaustività in spazi brevi e su cui pochi sono disponibili al confronto. Abbiamo tutti il dovere morale d’indagare sul nostro passato (anche sul più recente), per rendere giustizia alla verità, alla memoria storica e alle vittime.

Certamente non si possono escludere altre concause, ma l’ipotesi di lettura della questione delle Foibe qui esposta è particolarmente innovativa e spinosa, si inserisce nel più ampio dibattito sul delicato tema del Confine Orientale. L’importanza della vicenda non è solo nell’interesse storico o politico, si tratta di un qualcosa di concreto e impellente. 

Il destino della comunità italiana in Croazia è un tema estremamente serio, che non può essere risolto con qualche regalia, va affrontato politicamente. Ma è altrettanto importante fare piena luce su tutte le vicende del Confine Orientale, anche qualora – sia dal passato remoto che da quello più prossimo – emergano verità scomode. Ora la priorità è capire se la questione delle Foibe venga strumentalmente utilizzata per coprire delle scelte scellerate: il sacrificio della comunità italiana in Croazia sull’altare dell’integrazione europea.

 

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(english / italiano)

 
Venezuela: oro giallo e oro nero
 
1) “L’oro del Venezuela resta qui!”: il ruolo di Bank of England e Deutsche Bank nel golpe in atto a Caracas (A. Ramaccioni, 29/1/2019)
2) Venezuela, golpe dello Stato profondo (M. Dinucci, 29/1/2019)
 
 
Altri link:
Una telefonata dagli USA avrebbe innescato il piano per la presa del potere in Venezuela (Sputnik, 27 gennaio 2019)
ORIG.: Un coup de fil des USA aurait déclenché un plan secret de prise du pouvoir au Venezuela (26.01.2019)
Intervista a Maduro (Ignacio Ramonet, Granma 18 gennaio 2019)
Granma International riproduce estratti dall’intervista di Ignacio Ramonet al Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Nicolás Maduro
http://aurorasito.altervista.org/?p=4911
ORIG.: Granma International reproduces excerpts from Ignacio Ramonet’s interview with the President of the Bolivarian Republic of Venezuela, Nicolás Maduro (Ignacio Ramonet, january 18, 2019)
Bank of England refuses to hand over Venezuela's gold – report (9 Nov, 2018)
Sanzioni statunitensi contro l’oro venezuelano: portata e obiettivi (Mision Verdad 6 novembre 2018)
 
 
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“L’oro del Venezuela resta qui!”: il ruolo di Bank of England e Deutsche Bank nel golpe in atto a Caracas
di Alessio Ramaccioni, 29 gennaio 2019
 

Dietro la scomparsa dell’oro venezuelano, c’è la regia degli Stati Uniti. Leggendo una notizia del genere potrebbe sembrare di esser finiti in una spy story, o in una vecchia storia d’avventura di un paio di secoli fa. Stiamo invece parlando di cronaca, di politica, di quello che sta avvenendo in Venezuela. E come sempre quando si segue la pista dei soldi – in questo caso dell’oro – poi le dinamiche in atto iniziano a diventare chiare.

Sono tre le notizie interessanti, da questo punto di vista, che circolano da ieri, citate e proposte da Corriere della Sera e da Sole 24 Ore (media che non possiamo certo annoverare tra quelli pro-Maduro, che di fatto da queste parti non esistono).

La prima arriva dall’agenzia Bloomberg: la Banca d’Inghilterra ha bloccato una richiesta del governo venezuelano di ritirare oltre un miliardo di dollari in lingotti d’oro in possesso della stessa banca. Si tratta di parte della riserva aurea all’estero della banca centrale venezuelana, quindi teoricamente nelle sue disponibilità.

La seconda notizia la riporta la Reuters: l’autoproclamato – e quindi golpista – presidente Guaidò ha scritto a Teresa May, chiedendo formalmente di non restituire l’oro perchè “sarebbe usato per la repressione” da parte di Maduro.

La terza notizia arriva dal Sole 24 Ore, ed è quella che forse “pesa” di più. Sono due, in realtà, le news contenute nell’articolo di Alessandro Plateroti, che suggeriamo di leggere (https://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2019-01-26/-l-oro-caracas-londra-congelato-usa-deutsche-bank-saga-193032.shtml?uuid=AEFrBQLH).

Il primo spunto è in apertura di articolo: dietro il mancato rimpatrio a Caracas nel settembre scorso di 550 milioni di dollari di lingotti d’oro depositati a Londra, non c’erano infatti «problemi procedurali» come hanno sostenuto finora la banca centrale e lo stesso governo inglese, ma una vera operazione di esproprio internazionale organizzata segretamente dalla Casa Bianca”. 

Più chiaro di così si muore. Nello specifico, l’autore fa riferimento ad un precedente diniego da parte dell’autorità britannica che era stato attribuito a questioni di procedura.

Il secondo arriva qualche riga dopo, ed è ancora più clamoroso, forse.

Secondo alcune fonti, la quantità di oro venezuelano in possesso della Bank of England sarebbe praticamente raddoppiato. Da 14 tonnellate presenti nel mese di novembre 2018 alle 31 tonnellate attualmente custodite.

Ma come, a settembre Londra blocca il rimpatrio di 500 milioni di oro e il governo venezuelano gliene affida altre diciassette tonnellate? Sono matti? No. Perchè l’oro non arriva dal Venezuela, ma dalla Germania. Più precisamente dalla Deutsche Bank, che lo aveva avuto come garanzia da parte di Caracas per un prestito concesso quattro anni fa. 

Bloccare l’accesso alle riserve auree al governo di Maduro è una operazione che può avere conseguenze gravi ed immediate. L’oro è usato infatti da anni come valuta di scambio per l’acquisto di beni di consumo anche fondamentali, come cibo e farmaci. Un modo – spiega il Sole 24 Ore – per superare gli ostacoli del lungo embargo a cui il Venezuela è sottoposto da anni da parte degli Usa.

E qui si chiude il cerchio, che parte ed arriva sempre lì, negli Stati Uniti: “I sospetti che dietro questi casi ci sia la regia della Casa Bianca girano da mesi, come riportato in un’inchiesta del Sole 24 Ore il 29 novembre 2018. Una conferma arriva ora da Marshall Billingslea, Assistant Secretary for Terrorist Financing del Dipartimento al Tesoro Usa: «All’inizio di ottobre – rivela a sorpresa Billingslea – il Segretario Mnuchin ha incontrato i ministri delle Finanze d’Europa e Giappone, i governatori delle Banche Centrali e i responsabili dell’intelligence, per definire un piano di azione comune contro Maduro: l’obiettivo più importante e immediato è bloccare il commercio dell’oro sovrano venezuelano. Alcuni risultati li abbiamo già avuti in questi giorni…». Non a caso, erano proprio gli stessi giorni in cui Londra aveva deciso di bloccare il rimpatrio dei lingotti a Caracas.”

Citiamo volentieri e volutamente le ultime righe dell’articolo del Sole 24 Ore perchè, in storie come questa, la chiarezza è fondamentale.

Quello che sta avvenendo in Venezuela è qualcosa di assolutamente artificiale, eterodiretto, antidemocratico. Nasce dalla volontà di un paese terzo rispetto alle vicende venezuelane – gli Stati Uniti – che sta imponendo la sua agenda ad altri paesi terzi che vigliaccamente ne diventano complici.

La “storia dell’oro del Venezuela” è l’ennesima dimostrazione di tutto questo. E mentre Guaidò annuncia di stare prendendo il controllo dei beni all’estero del Venezuela – con l’ovvio e necessario benestare dei paesi che quei beni li ospitano -, gli Stati Uniti annunciano altre sanzioni. La prima ad essere colpita potrebbe essere la Pdvsa, la compagnia petrolifera di Stato.

 
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Venezuela, golpe dello Stato profondo

di Manlio Dinucci, su il manifesto del 29.01.2019

L’annuncio del presidente Trump, che riconosce Juan Gualdó «legittimo presidente» del Venezuela è stato preparato in una cabina di regia sotterranea all’interno del Congresso e della Casa Bianca. La descrive dettagliatamente il New York Times (26 gennaio).

 

Principale operatore è il senatore repubblicano della Florida Marco Rubio, «virtuale segretario di stato per l’America Latina, che guida e articola la strategia dell’Amministrazione nella regione», collegato al vicepresidente Mike Pence e al consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton. Il 22 gennaio, alla Casa Bianca, i tre hanno presentato il loro piano al presidente, che l’ha accettato. Subito dopo – riporta il New York Tmes – «Mr. Pence ha chiamato Mr. Gualdó e gli ha detto che gli Stati uniti lo avrebbero appoggiato se avesse reclamato la presidenza».

Il vicepresidente Pence ha poi diffuso in Venezuela un video messaggio in cui chiamava i dimostranti a «far sentire la vostra voce domani» e assicurava «a nome del presidente Trump e del popolo americano: estamos con ustedes, siamo con voi finché non sarà restaurata la democrazia», definendo Maduro «un dittatore che mai ha ottenuto la presidenza in libere elezioni».

L’indomani Trump ha ufficialmente incoronato Gualdó «presidente del Venezuela», pur non avendo questi partecipato alle elezioni presidenziali del maggio 2018 le quali, boicottate dall’opposizione che sapeva di perderle, hanno decretato la vittoria di Maduro, con il monitoraggio di molti osservatori internazionali.

Tale retroscena rivela che le decisioni politiche vengono prese negli Usa anzitutto nello «Stato profondo», centro sotterraneo del potere reale detenuto dalle oligarchie economiche, finanziarie e militari. Sono queste che hanno deciso di sovvertire lo Stato venezuelano. Esso possiede, oltre a grandi riserve di preziosi minerali, le maggiori riserve petrolifere del mondo, stimate in oltre 300 miliardi di barili, sei volte superiori a quelle statunitensi.

Per sottrarsi alla stretta delle sanzioni, che impediscono al Venezuela perfino di incassare i dollari ricavati dalla vendita di petrolio agli Stati uniti, Caracas ha deciso di quotare il prezzo di vendita del petrolio non più in dollari Usa ma in yuan cinesi. Mossa che mette in pericolo lo strapotere dei petrodollari. Da qui la decisione delle oligarchie statunitensi di accelerare i tempi per sovvertire lo Stato venezuelano e impadronirsi della sua ricchezza petrolifera, necessaria immediatamente non quale fonte emergetica per gli Usa, ma quale strumento strategico di controllo del mercato energetico mondiale in funzione anti-Russia e anti-Cina. A tal fine, attraverso sanzioni e sabotaggi, è stata aggravata in Venezuela la penuria di beni di prima necessità per alimentare il malcontento popolare.

È stata intensificata allo stesso tempo la penetrazione di «organizzazioni non-governative» Usa: ad esempio, la National Endowment for Democracy ha finanziato in un anno in Venezuela oltre 40 progetti sulla «difesa dei diritti umani e della democrazia», ciascuno con decine o centinaia di migliaia di dollari.

Poiché il governo continua ad avere l‘appoggio della maggioranza, è certamente in preparazione qualche grossa provocazione per scatenare all’interno la guerra civile e aprire la strada a un intervento dall’esterno. Complice l’Unione europea che, dopo aver bloccato in Belgio fondi statali venezuelani per 1,2 miliardi di dollari, lancia a Caracas l’ultimatum (concordato col governo italiano) per nuove elezioni. Le andrebbe a monitorare Federica Mogherini, la stessa che l’anno scorso ha rifiutato l’invito di Maduro di andare a monitorare le elezioni presidenziali.

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(srpskohrvatski /français / english / italiano)
 
Il monumento a Tudjman e altre ciliegine reazionarie croate
 
1) LINKS
2) Zagreb 30/1: Prosvjed ispred spomenika Franji Tuđmanu 
Si terrà mercoledì a Zagabria, di fronte al monumento a Tudjman "sfregiato" con una falce e martello dal 24-enne Filip Drač, un presidio per richiedere non solo il proscioglimento del giovane ma anche azioni giudiziarie contro chi ha sfregiato e distrutto in Croazia nell'ultimo quarto di secolo molte centinaia di lapidi e monumenti a martiri e partigiani caduti nella Lotta Popolare di Liberazione
FLASHBACK 2017: Spomenik Franji Tuđmanu koštat će Zagrepčane 560 tisuća kuna
 
 
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Zaratino multato per aver corretto un graffito "Ammazza il serbo" in "Ama il serbo"
Задранин кажњен јер је преправио графит "Уби Србина" (10.1.2019.)
 
Croazia: L’epilogo del caso Agrokor, il colosso agroalimentare evita il fallimento (di Pierluca Merola, 10/1/2019)
... l’Agrokor, con un fatturato di 6,5 miliardi di euro l’anno, è la più grande società per azioni dell’Europa sud-orientale. La società è presente in Croazia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Ungheria, Slovenia e Serbia, dove impiega più di 130.000 persone. Infine, il valore dell’Agrokor è pari da solo al 16% del PIL croato. Da quando è fuggito nell’ottobre 2017, Todoric ha sempre dichiarato di essere vittima di una congiura internazionale, orchestrata dal governo croato e dal fondo di investimento americano Knighthead Capital Investments, per privarlo della propria compagnia... Il nuovo assetto societario vede la banca russa Sberbank come socio di maggioranza con il 39,2% delle azioni, seguita dagli ex-obbligazionisti con il 25% delle azioni, la cui maggioranza è gestita dalla Knighthead Capital Investments. Partecipazioni minori sono poi detenute dalla russa VTB bank (7,5%) e dall’italiana Unicredit (2,3%)...
 
Révisionnisme Pro-Oustachi En Croatie : Le Nouveau Scandale De Noël (CdB 9 janvier 2019)
« Joyeux Noël pour tous les ’amis’ serbes » : voici ce qu’a écrit sur Facebook le fils d’un député du HDZ, avec la photographie d’un milicien oustachi tenant des têtes coupées de combattants serbes. Ce nouveau scandale s’inscrit dans la vague de révisionnisme pro-oustachi, dénoncent les organisations serbes de Croatie...
 
Croazia: genere e spazio urbano, le donne dimenticate (Ana Kuzmanić, Ivana Perić, 08/01/2019)
Lo spazio urbano è fondamentale nel processo di creazione di una memoria collettiva e per immaginare il futuro. In Croazia, nella toponomastica, non vi è però traccia di nomi femminili
 
Croatia: Crimes Denied and Criminals Praised (Anja Vladisavljevic / BIRN, 26/12/2018)
The downplaying of crimes committed by Croatia’s World War II fascist regime and the public rehabilitation of convicted criminals from the 1990s war continued to cause alarm in 2018
 
Croazia, come ricordare i luoghi storici “dimenticati”? (di Alice Straniero, 04/12/2018)
Suvremena kutura sjećanja u Hrvatskoj i Europi: Kako dalje na odabranim lokacijama na Golom otoku, Grguru, Pagu i Rabu?", Rijeka, 26.-27. listopada 2018.
 
 
Sul fascista croato che a novembre 2018 nella città di Spalato, nella foga di abbattere a calci il busto dell'eroe antifascista Rade Končar, si è rotto una gamba:
 
Sulla situazione tragica per la libertà di stampa:
 
Croazia: giornalisti e media sotto processo (OBC / Radio Popolare, 21 gennaio 2019)
 
Croazia, mille cause contro i giornalisti (Giovanni Vale, 18/01/2019)
 
Croazia: quel cazzuto trio del Feral (Giovanni Vale, Srđan Sandić, 31/12/2018)
Due giornalisti di punta e un famoso caricaturista. Sono tra i fondatori dello storico settimanale satirico croato Feral Tribune. In questa intervista, il trio commenta senza peli sulla lingua la situazione in Croazia, lo stato di salute dei media e altro ancora
 
 
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Si terrà mercoledì a Zagabria, di fronte al monumento a Tudjman "sfregiato" con una falce e martello dal 24-enne Filip Drač, un presidio per richiedere non solo il proscioglimento del giovane ma anche azioni giudiziarie contro chi ha sfregiato e distrutto in Croazia nell'ultimo quarto di secolo molte centinaia di lapidi e monumenti a martiri e partigiani caduti nella Lotta Popolare di Liberazione. 
 
Sul caso del monumento a Tudjman si veda anche: 
Na novom Tuđmanovom spomeniku u Zagrebu osvanuo zanimljiv grafit (R.I., 6.1.2019.)
https://www.index.hr/mobile/clanak.aspx?category=vijesti&id=2054448
 
 
 
Srijeda 30 siječanj 2019.
od 18:00 ispred spomenika Franji Tuđmanu - križanje Ulice grada Vukovara i Ulice Hrvatske bratske zajednice u Zagrebu
 
Prosvjed - Protiv političke represije
 
Baza za radničku inicijativu i demokratizaciju (BRID), Mreža Antifašistkinja Zagreba (MAZ), Radnička Fronta, Radnički portal i Socijalistička radnička partija Hrvatske (SRP) u srijedu, 30. 1. 2019. organiziraju prosvjed „Protiv političke represije“ koji će se održati u Zagrebu ispred spomenika Franji Tuđmanu na križanju Ulice grada Vukovara i Ulice Hrvatske bratske zajednice u 18 sati.

IZJAVA POVODOM PROSVJEDA:

U deindustrijaliziranoj i iseljenoj Hrvatskoj u kojoj većina stanovništva jedva preživljava, a domaći i strani kapitalisti na najgrublji način desetljećima eksploatiraju radnice i radnike, seljakinje i seljake, umirovljenice i umirovljenike, studentice i studente, protekli je tjedan započela medijska i javna hajka. Država je preko svog ministarstva raspisala tjeralicu za dvadesetčetverogodišnjakom koji je na spomenik privatizacijske pljačke, uništene privrede i ratnih zločina 90-ih nacrtao simbol radničke i seljačke sloge. Javnom objavom identiteta osumnjičenika represivni aparat namjerno je proizveo i nastavlja proizvoditi opasnu atmosferu koja graniči s pozivom na linč, a na koji će dio desničarske javnosti spremno odgovoriti.

S druge strane, državni aparat, koji tijekom devedesetih uspostavlja i njime autoritarno upravlja Franjo Tuđman, nije učinio ništa da zaustavi uništavanje preko 3000 spomenika i spomen obilježja posvećenih antifašističkom otporu, borbi za narodno oslobođenje, kao i stotinama tisuća žrtava ustaško-fašističkog terora. Smatramo da je nužno naglasiti činjenicu da sadašnji režim nastavlja s toleriranjem neofašističkog vandalizma, dok se u nekim slučajevima uključuje i u promociju ustaške ikonografije. Masovna uporaba eksplicitnih ili latentnih simbola ustaškog režima ne problematizira se u javnosti već više od dva desetljeća, unatoč tome što su zakonski zabranjeni, za razliku od komunističkih, radničkih i antifašističkih simbola. Očiti rezultat jest da se takva kaznena djela i njihovi počinitelji ne osuđuju i ne proganjaju.

Nužno je naglasiti da je korištenje javnih institucija za selektivnu i pristranu represiju, čemu svjedočimo u navedenom slučaju – a sve kako bi se reproducirala dominantna ideologija – nedopustivo u demokratskom društvu.

Zbog svega navedenog oštro osuđujemo ovaj gnjusni čin kapitalističke države, njezinog represivnog aparata i institucija koji preko leđa mladića koji se suprotstavio sistemu poručuju da će u zatvor trpati sve ljude koji, pa makar i na simboličan način, pokušaju pružiti otpor njihovoj vladavini. Postojeća ekonomska i društvena devastacija u najvećoj mjeri ostavština je Franje Tuđmana i Hrvatske demokratske zajednice. U potpunosti shvaćajući da je otpor puzajućoj fašizaciji društva nužan, od vladajućih zahtijevamo:

- da se smjesta obustave postojeća politička i policijska represija, hajka i linč
- da nadležne institucije započnu s procesuiranjem i kažnjavanjem odgovornih za uništenje spomenika Narodno-oslobodilačke borbe
- da Državno odvjetništvo smjesta odbaci optužnicu protiv Filipa Drače

Antifašistički VJESNIK
Baza za radničku inicijativu i demokratizaciju (BRID)
Mreža antifašistkinja Zagreba (MAZ)
Radnička fronta
Radnički portal
Slobodni Filozofski
Socijalistička radnička partija Hrvatske (SRP)
 
 
--- FLASHBACK:
 
TRAD.: CROATIE : L’OMNIPRÉSENT FRANJO TUĐMAN FAIT SON RETOUR À ZAGREB (H-Alter, lundi 11 décembre 2017)
Après avoir débarqué à l’aéroport Franjo Tuđman, vous pourrez vous détendre au Parc Franjo Tuđman, avant d’aller vous recueillir devant le nouveau monument à Franjo Tuđman... La mairie de Zagreb fait des coupes sèches dans les budgets sociaux, mais vient de débloquer 90 000 euros pour une statue de l’ancien Président...
 
 
 
675 tisuća kuna za Tuđmana
Toni Gabrić
07.12.2017.
 
H-Alter otkriva: Spomenik Franji Tuđmanu koštat će Zagrepčane 560 tisuća kuna.

Grad Zagreb ovih je dana, nakon višemjesečnog natezanja, bio prinuđen dostaviti nam ponudbeni list koji je početkom godine zaprimio od akademika Kuzme Kovačića za posao koji je službeno opisan kao "modeliranje izvedbene skice–modela i izrada kipa dr. Franje Tuđmana u glini u konačnim dimenzijama". Na osnovu te ponude zagrebački gradonačelnik Milan Bandić s Kovačićem je 20. travnja ove godine potpisao ugovor za izradu Tuđmanovog spomenika, koji nam je također isporučen po slovu zakona. Navedeno remekdjelo trebalo bi ukrašavati tzv. Sveučilišnu livadu, kako se službeno zove onaj teško pristupačni zeleni prostor preko puta Nacionalne i sveučilišne knjižnice, na kojem su posađene znamenite Bandićeve fontane.

Iz ponudbenog lista vidljivo je da je Kovačić za navedeni posao zatražio od Grada 560 tisuća kuna. Isti iznos prepisan je i u ugovor, kao svota koju Grad mora iskeširati Kovačiću za obavljeni posao, s naznakom "bez PDV-a". U Odluci o odabiru donesenoj 18. travnja, vrijednost nabave je procijenjena na 674.900 kuna, uz naznaku "bez PDV-a". Kako smo doznali u tajništvu Hrvatskog društva likovnih umjetnika, za ovakav se tip autorskog rada niti ne plaća PDV, pa naznaku iz ugovora ne bi trebalo tumačiti u smislu da bi Grad, uz ovaj "neto" iznos, trebao platiti još i PDV. Međutim, napominju u HDLU-u, uz plaćanje osnovnog iznosa redovito ide porez i prirez, a vjerojatno i još neka specifična davanja, što ukupnu cijenu izrade Tuđmanova spomenika diže na blizu 700 tisuća kuna.

Računamo li prema recentnijim službenim podacima, radi se o iznosu koji jedan prosječni zagrebački radnik (uzmemo li pritom u obzir samo one zaposlene) zaradi za stotinu mjeseci, odnosno za nešto više od osam godina svakodnevnog rada. Unesemo li pak u kalkulaciju podatke o prosječnoj mirovini proizlazi da umirovljenik Kuzma Kovačić za izradu još jednog u nizu svojih Tuđmana zaradi 311 prosječnih mirovina. Drugim riječima, jedan penzioner/penzionerka toliko novaca primi za 26 godina mirovinskog staža, naravno, ako ih doživi.
 

Vidimo da Franjo Tuđman, otkako se preselio u onostranost, živi na jednako visokoj nozi kako je to uobičajio dok je provodio vrijeme na ovome svijetu. On je sebi bio beskonačno važniji od svakog običnog smrtnika pa je, korak po korak, postao beskonačno važniji i njima samima. Privatizirao je vilu u kojoj je živio u Nazorovoj točno dan prije donošenja propisa kojim je bio zabranjen otkup rezidencijalnih objekata i vila u sjevernom dijelu grada, deložiravši pritom bivše susjede i iskeširavši za taj rezidencijalni objekt tričavih 200 tisuća DEM-a, čime je udario ton pljačkaškoj privatizaciji koja je ubrzo nakon toga, u jeku rata, započela.

Jednoga sina je instalirao na čelo svih obavještajnih službi, supruga mu je postala liderica karitativnog pokreta za djecu Hrvatske, kćer uspješna trgovkinja luksuznom tehničkom robom s dućanom u MORH-ovoj zgradi i s poslom koji je bio uspješan dok je ćaća bio živ i na vlasti. Drugi sin mu je bio uspješan ugostitelj čiji je uspjeh također durao dok je ćaća stolovao na Pantovčaku, jednako kao i uspjeh unuka, talentiranog bankara. Uspjesi su se devedesetih nizali, sve zahvaljujući Franji i njegovom beskonačno važnom položaju, čime se obitelj Tuđman inaugurirala u rodonačelnike nepotizma u modernoj povijesti Hrvata.

Završilo je, kao što znamo, time da ga danas djeca u školama "uče" kao Stvoritelja hrvatskog državotvornog čuda. Čudo se, u glavnim crtama, sastoji u tome što je, u povijesnom trenutku u kojem je u Europi i srednjoj Aziji niklo cca. 25 novih, samostojnih i suverenih država, svaka zasebno kao neprijeporno ostvarenje tisućljetnih snova naroda koji većinski u njima žive – i Franjo uspio napraviti svoju. Pa je zato posve normalno, razumljivo i hvale vrijedno da mu Zagreb diže spomenik težak 26 godina prosječnog penzionerskog staža.

U jeku skupštinske rasprave o gradskom budžetu suvišno bi bilo pitati se je li taj izdatak najpotrebniji u situaciji kada se iz budžeta vidi da Bandićeva vlast očito i u 2018. namjerava preskočiti vruću temu sanacije Jakuševca, da nemilosrdno reže sredstva za osnovno i srednje školstvo, za unapređenje stanovanja, za nezavisnu kulturu, za organizacije naprednog civilnog društva – ali zato jednako tako nemilosrdno podiže sredstva za plaće i druga davanja gradskoj birokraciji koju su prvih deset godina nakon tzv. Stjecanja Nezavisnosti po babi i po stričevima regrutirali Mikšin i Canjugin HDZ, a preostalih sedamnaest godina Bandić i njegov bivši SDP. Suvišno bi bilo pitati, jer takva budžetska struktura, takvo regrutiranje i takva birokracija nisu ništa drugo no logična posljedica politike kakvu je na ovim prostorima inaugurirao Onaj kojemu akademski kipar Kuzma Kovačić, prekaljeni autor bezbrojnih Gospi, Oltarā Domovine, Svetih otacā, Prvih Hrvatskih Predsjednikā i čega sve još, ta vjerna domovinska kopija blitvinskog vajara, ideologa i političara Romana Rajevskog, upravo vaja spomenik, na radost i veselje svih Blitvinki i Blitvina, pardon: Hrvatica i Hrvata koje je za života usrećio.

Suvišno bi bilo napomenuti i da je Zagrebačka skupština, ona koja je bila u mandatu do proljeća 2017, odluku da se Prvom Hrvatskom Predsjedniku sagradi taj spomenik donijela jednoglasno. Tu su hvalevrijednu zamisao od srca podržali svi vijećnici i vijećnice, redom: iz SDP-a, HNS-a, HSU-a, HSLS-a, HSS-a, Kandidacijske liste grupe birača Milana Bandića, te naravno iz HDZ-a i koalicijskog mu HSP-a.

I tako, kada danas putnik namjernik, biznismen, diplomat ili obični turist iz neke druge zemlje doleti u Hrvatsku, prvi će fizički kontakt s našom zemljom najvjerojatnije ostvariti na aerodromu glavnoga grada, koji se odnedavno zove Zračna luka Franjo Tuđman. Zatim će se, taksijem ili aerodromskim autobusom, provesti pored velebnog spomenika Franji Tuđmanu, okruženog fontanama od kojih ti zastane dah, šarenim cvijećem, a u perspektivi u društvu Spomenika domovini. Ako za svojega boravka zaluta malo dalje od najužeg centra grada, mogao bi se naći na prostoru nekadašnjih Rudolfovih vojarni, nazvanim Parkom Kristijana Barutanskog, pardon, Franje Tuđmana.

Od skupštinske odluke o gradnji spomenika pa do trenutka njegova postavljanja, koji još nije nastupio, politička se perspektiva ponešto promijenila. Međunarodna je zajednica u neku ruku službeno zauzela stav, za koji smo otpočetka znali da je istinit, i baš smo zato Tuđmana voljeli, ali smo se ipak nadali da će stvari ostati pri tome da to samo mi to znamo: vječitoj umjetničkoj motivaciji i izvoru prihoda Kuzme Kovačića pravomoćno je drugostupanjskom sudskom presudom potvrđeno da je bio na čelu udruženog zločinačkog pothvata čiji pripadnici su, nije na odmet još jednom citirati:

"Već u decembru 1991. članovi rukovodstva Hrvatske zajednice Herceg-Bosne i čelnici Hrvatske (među kojima je Franjo Tuđman, predsjednik Hrvatske) ocijenili da je za ostvarivanje krajnjeg cilja, to jest za uspostavljanje hrvatskog entiteta, neophodno promijeniti nacionalni sastav stanovništva na teritorijama za koje se tvrdilo da pripadaju Hrvatskog zajednici Herceg-Bosni. U najmanju ruku od kraja oktobra 1992., Jadranko PrlićBruno StojićMilivoj Petković i Slobodan Praljak znali su da je ostvarivanje ovog cilja u suprotnosti s mirovnim pregovorima koji su se vodili u Ženevi i da podrazumijeva premještanje muslimanskog stanovništva izvan teritorije Herceg-Bosne."

Taj hrvatski je identitet trebao biti uspostavljen "djelomično u granicama Hrvatske banovine iz 1939., kako bi se omogućilo ponovno ujedinjenje hrvatskog naroda. Ovaj hrvatski entitet u BiH trebalo je ili da se pripoji Hrvatskoj nakon eventualnog raspada BiH, ili da postane nezavisna država unutar BiH, tijesno povezana sa Hrvatskom".

Pa zatim, "u osmišljavanju i ostvarivanju zajedničkog zločinačkog cilja, jedna grupa hrvatskih javnih ličnosti, među kojima se ističu Franjo Tuđman, Gojko ŠušakJanko BobetkoMate Boban, Jadranko Prlić, Bruno Stojić, Slobodan Praljak, Milivoj Petković, Valentin Ćorić i Berislav Pušić, postigla je međusobni dogovor. Iz svih činjeničnih i pravnih zaključaka koje je Vijeće izvelo, proizilazi da su se organi, strukture i ljudstvo HVO-a koristili radi ostvarivanja različitih aspekata zajedničkog zločinačkog cilja".

U sjajnom intervjuu nedavno objavljenom u NovostimaŠtefica Galić, urednica mostarskog portala Tačno.net, ističe da je njezina zemlja napadnuta od dva agresora, Hrvatske i Srbije, koji su kao nagradu za to dobili svoje teritorije – Republiku Srpsku i Herceg-Bosnu "u pokušaju". "Nije li to sveopći poraz pravde i ljudskosti", pita ona. Svejedno, posljednju haašku presudu Galić vidi kao šansu za Hrvatsku da se "radikalno razračuna sa zločinačkim aspektima službene Tuđmanove politike devedesetih", i da dio društva koji odbija to prihvatiti, konačno prihvati, i usput počne ozdravljati.

"Prihvaćanje" bi, rekli bismo nakon jučerašnjeg govora Kolinde Grabar-Kitarović pred Vijećem sigurnosti UN-a i zadnjih vrludanja Andreja Plenkovića, moglo nastupiti samo u smislu oportunističkog taktiziranja pred međunarodnom zajednicom. Dok istinsko odricanje od tuđmanovske prošlosti ne prevlada, Zagreb će biti jedan od vrlo rijetkih glavnih gradova čijim javnim prostorima dominira ličnost koja se presudom međunarodnog suda dovodi u vezu s najtežim ratnim zločinima. Dizajn glavnog hrvatskog grada ubrzano se mijenja po želji ekstremne desnice, a ostale stranke gradskog političkog mainstreama ne pružaju otpor već, kao u slučaju Tuđmanova spomenika, drže lopovske ljestve takvom razvoju događaja. 

(srpskohrvatski / italiano)
 
Con il Venezuela democratico e sovrano
 
Gli Stati Uniti non hanno ritenuto sufficiente per l'America Latina la presa del potere da parte del nazista Bolsonaro in Brasile ed hanno perciò deciso di promuovere un colpo di Stato in Venezuela.
La giusta risposta del Venezuela democratico di Maduro non si è fatta attendere ( 
https://www.facebook.com/296334033272/posts/10157751071878273/ ).
Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia Onlus, coerentemente con la propria vocazione alla amicizia e solidarietà tra i popoli, si schiera a fianco del Venezuela bolivariano, aderisce alle manifestazioni indette in Italia e specialmente a quelle di BOLOGNA e MILANO (vedi sotto) ed invita tutti/e a partecipare ed esprimere la propria solidarietà alle scelte democratiche di quel popolo.