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Grande Albania come laboratorio islamista radicale
 
1) La ‘Grande Albania’, un rifugio sicuro per il jihadismo internazionale (M. Furlan)
... l’organizzazione islamica cosiddetta dei Mujaheddin e-Khalq (Mujaheddin del Popolo, MEK) dispone ora di una grande base in territorio albanese ...
2) FLASHBACKS 2017
Links / Croci spezzate e loculi profanati in Kosovo / Kosovo, così nei villaggi reclutano i ragazzi / Sgominata cellula jihadista a Venezia, tutti del Kosovo / Kosovo Albanian Terror Threatens Venice 
3) FLASHBACKS 2016

Links / Roma, arrestato Karlito Brigande, ex criminale UCK macedone arruolato nell'IS

 
 
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La ‘Grande Albania’, un rifugio sicuro per il jihadismo internazionale

di Margherita Furlan, 22 gennaio 2019

Il governo albanese ha espulso due diplomatici iraniani, l’ambasciatore Gholamhossein Mohammadnia e Mohammed Roodaki, funzionario presso l’ambasciata a Tirana, accusati di essere membri sotto copertura dell’intelligence iraniana. Secondo quanto riferisce il quotidiano The Independent, i due sarebbero stati parte di una cellula il cui compito era di organizzare “un complotto per colpire l’opposizione iraniana rifugiatasi in Albania”. La mossa sarebbe stata messa in atto in seguito a colloqui con Paesi “interessati”, tra cui Israele e Stati Uniti. Non a caso l’amministrazione di Washington si è immediatamente congratulata con l’esecutivo albanese per il provvedimento intrapreso.

La notizia diffusa dall’Independent ha però sollevato l’attenzione su uno scenario fino ad ora poco studiato e rimasto comunque fuori dal raggio di attenzione internazionale. Scenario in cui gli Stati Uniti hanno affidato all’Albania un ruolo centrale, e il cui fine (uno dei fini) appare quello di incrementare la destabilizzazione dell’intera area balcanica.  

Protagonista di tutta l’operazione è l’organizzazione islamica cosiddetta dei Mujaheddin e-Khalq (Mujaheddin del Popolo, MEK) che dispone ora di una grande base in territorio albanese. L’arrivo in Albania del comando del MEK è preceduto da una storia oltremodo lunga e tortuosa che merita di essere raccontata in dettaglio. 

I Mujaheddin e-Khalq nacquero nel 1963, in Iran, con l’obiettivo di opporsi all’influenza occidentale nel Paese e come acerrimi avversari del regime dello Shah. Nel 1979 il Mek partecipa alla rivoluzione guidata da Khomeini ma l’ideologia che lo caratterizzava all’epoca era un singolare incrocio di marxismo, femminismo e islamismo. Come tale del tutto incompatibile con quella degli ayatollah sciiti e il Mek è costretto a disperdersi, mentre il suo quartier generale si trasferisce a Parigi nel 1981. In questo lasso di tempo il MEK “cambia pelle”, oltre che ideologi e finanziatori e, cinque anni dopo, riappare in Iraq, precisamente a Camp Ashraf, a nord di Baghdad. Si distingue come formazione armata autonoma — alcune migliaia di combattenti bene addestrati, con le famiglie al seguito — che supporta Saddam Hussein contro l’Iran e appare attivamente in numerosi episodi della repressione dei curdi iracheni. Il MEK sopravvive stranamente alla caduta di Saddam Hussein e, nel 2003 viene trasferito, dagli americani vincitori, letteralmente “armi e bagagli”, in un altro grande accampamento militare che prenderà, non a caso, il nome di Camp Liberty.. Da quell’avamposto si diramano numerosi attentati terroristici e azioni di diversione e boicottaggio contro l’Iran. Formalmente “disarmato” dall’esercito statunitense, inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche internazionali, il MEK continua a svolgere una intensa azione bellica e propagandistica contro Teheran. Sempre sotto la guida del Quartier Generale di Parigi e sempre lasciato libero di agire dai servizi segreti americani, israeliani, francesi. L’ambiguità della sua collocazione non gl’impedisce — anzi lo aiuta — di incassare il supporto più o meno esplicito di esponenti politici occidentali. Ad esempio quello dell’ex sindaco di New York, Rudolph Giuliani, insieme a quello di John Bolton, ex rappresentante USA alle Nazioni Unite e attuale consigliere per la sicurezza nazionale. Perfino l’ex commissaria europea Emma Bonino si affaccia ad alcune delle sue iniziative “umanitarie”. Sul New York Times,nel 2012, apparirà un elenco di sostenitori, tra cui diversi esponenti del Congresso americano, ma anche R. James Woolsey e Porter J.. Goss, ex direttori della Cia, Louis J. Freeh, ex direttore dell’Fbi, Tom Ridge, ex segretario della Homeland Security sotto la presidenza George W. Bush, l’ex procuratore generale Michael B. Mukasey e l’ex consigliere per la sicurezza nazionale, il generale James L. Jones, ai tempi di Obama. Il quotidiano statunitense illustrò anche come l’allora Segretario di Stato, Hillary Clinton, “sdoganò il Mek, rimuovendolo dalla “black list” (l’organizzazione era considerata terrorista non solo da Iran e Iraq, ma anche da Unione europea, Gran Bretagna, Usa e Canada). E così ritroviamo il MEK in Albania. 

Di nuovo con “armi e bagagli”. Impresa molto costosa, che ha certamente richiesto un consistente ponte aereo e grandi spese di insediamento per migliaia di persone. Organizzatori di un tale esodo sono stati, senza alcun dubbio, i servizi segreti americani. Ma perché proprio in Albania? E con quali compiti? 

Qualcuno è andato a chiederlo a diversi politici albanesi e si è sentito rispondere, senza alcun imbarazzo, qualcosa del tipo:“l’America ci ha dato il Kosovo, ora dobbiamo dare qualcosa in cambio”.

Interessante l’intervista recentemente rilasciata al Balkans Post da Olsi Jazexhi, storico canadese-albanese specializzato nella storia dell’Islam nell’Europa sud orientale: “l’America sta trasformando l’Albania in un rifugio sicuro per il jihadismo internazionale”.

I “Mojahedeen del popolo” sono una presenza senza precedenti in Albania, che pure ha ospitato non pochi combattenti islamici prima e durante la guerra contro la Jugoslavia. Quando gli USA portarono il primo gruppo di jihadisti iraniani in Albania, il governo iraniano protestò pubblicamente e vigorosamente. All’epoca, il primo ministro Sali Berisha assicurò agli iraniani che il Mek sarebbe stato ospitato in Albania solo per ragioni umanitarie e nessuna azione contro l’Iran sarebbe stata permessa dal governo albanese. “Tuttavia, il tempo ha dimostrato, — spiega Jazexhi — che i mojahedeen iraniani vennero in Albania non solo per chiedere asilo, ma con l’intenzione di trasformare l’Albania in un secondo Afghanistan, nel cuore dell’Europa”. Il meccanismo sarebbe in sostanza, lo stesso con cui, negli anni ’80, i mojahedeen afghani furono sostenuti e finanziati dagli americani per combattere l’URSS. 

E non si tratta di indiscrezioni. Nel 2016 la stessa Voice of Americaha annunciato che l’Albania avrebbe accettato 2mila mojahedeen in cambio di 20 milioni di dollari. Sempre con i dollari USA si starebbe costruendo un nuovo campo situato tra Tirana e Durazzo dove, secondo il premier di Bulgaria, Bojko Borisov, andrebbero a dislocarsi gruppi di combattenti dell’ISIS in fuga dalla Siria, colà trasportati con aerei della US Airforce. Il premier albanese Edi Rama ha subito smentito. 

Nel campo di Manza sarebbero oggi “ospitati” circa 4.400 membri del MEK, che vivono in quasi completo isolamento, impossibilitati a uscire, anche ad avere contatti con le loro famiglie, evidentemente accampate nelle vicinanze. Qualcosa di simile a una setta, con rigide norme morali e religiose da rispettare. Cosa succeda da quelle parti non è facilmente verificabile data la strettissima sorveglianza che circonda il campo. Ma non si perde tempo. Un recente documentario di Al-Jazeera ha rivelato l’esistenza di un vasto gruppo di militanti che è stato istruito nelle tecniche della diversione informatico-comunicativa: qualcosa che potrebbe essere definita come “cyber-jihad”, ovvero notizie false e attacchi informatici, sia rivolti contro l’Iran, sia destinati al pubblico europeo per far crescere la paura dell’Iran, per influenzare i media europei in vista di una rottura dei rapporti con Teheran.  

Nell’ultimo anno diverse sono state le prese di posizione a favore del Mek anche da parte di esponenti del panorama politico italiano. Una delegazione ufficiale del Partito Radicale Italiano e dell’associazione “Nessuno tocchi Caino” ha visitato il quartier generale albanese dei mujaheddin, a sostegno della lotta per i diritti umani contro il governo iraniano. Si è distinto in questa direzione l’ex ministro degli esteri del governo Monti, Giulio Terzi, volando in una delle basi del MEK in Albania per annunciare “appoggio incondizionato”, per definire i suoi militanti come “combattenti per la libertà”, assicurandoli che “un’ampia parte della società italiana è convinta che stare dalla vostra parte significa stare dalla parte giusta della storia”. Infine — sono sempre le parole che Giulio Terzi avrebbe pronunciato in quella occasione, secondo il Guardian—: “I mullah se ne devono andare, gli ayatollah se ne devono andare e devono essere rimpiazzati da un governo democratico sotto la guida della signora Rajavi, leader del Mek”. Un disegno da manuale di “regime change”: rovesciamento di un governo e susseguente “esportazione di democrazia”. Film già visto in abbondanza. 

Intanto però, mentre il confine tra l’Albania e il Kosovo sta scomparendo ed Edi Rama, in nome degli standard europei, e con il plauso di Bruxelles (quella della Ue e quella della NATO), lavora perché lo “sportello unico” venga adottato anche al confine con la Macedonia, il Montenegro e la Grecia. La Serbia dev’essere isolata ed esclusa, in attesa di essere sottomessa definitivamente. La Grande Albania si appresta a diventare un’arma puntata su ciò che resterà dell’Europa. 

 
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FLASHBACKS 2017
 
LINKS:
 
KOSOVO: CHI FINANZIA LA RADICALIZZAZIONE? (PresaDiretta, trasmissione di RAI3, 11 settembre 2017)
VIDEO: https://www.facebook.com/PresaDiretta.Rai/videos/10159386810630523/
 
NATO SLEP NA RAST VELIKE ALBANIJE, A DŽIHADISTI DIVLJAJU NA JUGU KOSOVA (20. Jun 2017.)
... Nakon što je potvrđeno da je u redovima tzv. Islamske države poginuo džihadista Lavdrim Muhadžeri iz Kačanika, na Kosovu i Metohiji, Radio Slobodna Evropa ovaj grad opisuje kao “džihadističku prestonicu Evrope”...
 
ÉTAT ISLAMIQUE : LE DJIHADISTE KOSOVAR LAVDIM MUHAXHERI AURAIT ÉTÉ TUÉ EN SYRIE (CdB, jeudi 8 juin 2017)
Lavdim Muhaxheri, plus connu sous le nom de Abu Abdullah al Kosova, aurait été tué par un drone américain en Syrie. Originaire du Kosovo, Lavdim Muhaxheri était l’un des chefs des combattants balkaniques de l’État islamique...
https://www.courrierdesbalkans.fr/Etat-islamique-l-Albanais-Lavdim-Muhaxheri-tue-par-un-drone-en-Syrie
 
KOSOVO, STATO FALLITO RIFUGIO DELL'ISIS (di Barbar Ciolli, 30 marzo 2017)
Il veto all'indipendenza. La minoranza serba, da persecutrice a perseguitata. I traffici di armi e uomini. La povertà, la corruzione e l'Islam radicale. Ecco da dove arrivano i jihadisti arrestati a Venezia... [SI VEDANO ANCHE I SIGNIFICATIVI COMMENTI IN CALCE]
 
KOSOVO: "NON PENSAVAMO CHE TORNASSERO TERRORISTI..." (Rassegna JUGOINFO 7/3/2017)
 
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Croci spezzate: Kosovo in balia del radicalismo
Croci spezzate e loculi profanati. In Kosovo la furia iconoclasta degli islamisti si è abattuta su un cimitero cristiano ortodosso.

Elena Barlozzari - Lun, 05/06/2017
 
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Kosovo, imam radicali e disoccupazione: così nei villaggi reclutano i ragazzi
Fra Mitrovica e i borghi rurali l'Isis arruola i foreign fighters. E su YouTube un predicatore incita all'odio: "Il sangue degli infedeli è la nostra bevanda preferita" 

dal nostro inviato PIETRO DEL RE, 31 marzo 2017
 
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Terrorismo, sgominata cellula jihadista a Venezia: "Bomba a Rialto e guadagni il paradiso"
 
Arrestati tre uomini, sotto i trent'anni, e fermato un minore. Tutti del Kosovo, uno di loro era tornato dalla Siria dove aveva combattuto. Nelle perquisizioni, anche a Mestre e a Treviso, trovate alcune pistole. Progettavano un attentato per fare centinaia di morti. Attivi su internet, avevano contatti con tutto il mondo

dal nostro inviato FABIO TONACCI, 30 marzo 2017
 
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Kosovo Albanian Terror Threatens Venice 
 
by Grey Carter, April 7, 2017 

Here’s the analysis of the  Kosovo Albanian Terror Plot to Blow up Rialto Bridge in Venice, made by Andrew Korybko, analyst at the Moscow-based Geopolitika..Ru  think tank
 
Italian officials stopped Kosovo Albanian Daesh terrorists from blowing up the world-famous Rialto Bridge in Venice last week.Although the event is somewhat dated by news cycle standards, it’s still worth reflecting on for everything that it signifies. The paramount concern for everyone who heard the story is that Daesh is now actively targeting Italy, though this isn’t exactly news because the group had earlier threatened the country a few years ago in its “Black Flag Over Rome” manifesto. What’s changed since then, however, is that we see that they managed to inspire operatives within the country to organize an attack, which was thankfully averted by the security services before anyone got hurt.
Italy’s an important target for Daesh for a few reasons, namely the fact that the Pope’s home of Vatican City is in Rome, the country is historically associated with Christianity, and Italy was involved in the War on Libya and reportedly has some special forces on the ground there. Moreover, because of its location right across the Mediterranean from that war-torn country, it’s a prime destination for all sorts of migrants, some of which could easily be terrorists which are posing as “refugees”. In addition, Italy is known for its famous tourist sites which attract millions of visitors from across the world, thereby presenting terrorists with a multitude of soft targets to carry out high-profile attacks against.
Extrapolating more broadly from what we know about this foiled plot, there’s the fact that all four of the suspects are Kosovo Albanians who were legally living in Venice. This draws awareness to the Albanian migrant crisis, which preceded the Mideast one though receives barely any attention to this day. Tens, if not hundreds, of thousands of Albanians have left their home country and the NATO-occupied Serbian Province of Kosovo for the EU, a massive movement of people which proves that those two areas are failed entities. Albania has always had a slew of problems, but Kosovo never used to be this bad, though it began to resemble its dysfunctional neighbor after the 1999 NATO War on Yugoslavia and ethnic cleansing of the Serbs succeeded in turning it into one of Europe’s drug mafia headquarters.
It’s not only narcotics and crime, but also radical Islam which is contributing to the province’s many problems, as is painfully evidenced by the arrest of the four Kosovo Albanian Daesh terrorists. They’re not outliers, either, as many reports have come out over the past couple of years about how fertile of a recruiting ground Kosovo has become for terrorists. This is mostly attributable to its socio-economic devastation brought about by the NATO conflict there, which in turn created space for Wahhabis and other fundamentalists to prosper. Albanians have a history of migrating to and working in Italy, so in hindsight it’s predictable that the country would eventually become threatened by these sorts of terrorists. 
Still, I doubt that Italy can do anything about it because there are just too many Albanians living there and nobody has any idea how many are radicalized, so they’ll probably keep responding on a case-by-case basis unless they get brave and take systemic immigration measures to preemptively deal with this threat. ”
 
 
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FLASHBACKS 2016
 
LINKS:
 
L'ISIS CHE ABBIAMO FORAGGIATO IN KOSOVO (Rassegna JUGOINFO 30/11/2016)
 
JIHAD DAL KOSOVO, LA SCOPERTA DELL'ACQUA CALDA CONTINUA (Rassegna JUGOINFO 30/7/2016)
 
L'ISIS "VENDICHERÀ SREBRENICA" ? (Rassegna JUGOINFO 21/1/2016)
 
KOSOVO, IL PICCOLO ISIS D'EUROPA (Rassegna JUGOINFO 2/12/2015)
 
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Roma, arrestato Karlito Brigande, ex criminale macedone arruolato nell'Is: cellula pronta a attentato in Iraq
 
I carabineri del Ros hanno documentato il suo tentativo di scappare in Iraq per compiere un attentato con autobomba. Ordinanza di custodia cautelare anche per l'uomo che l'ha arruolato, un tunisino transitato in Italia prima del trasferimento nelle file del Califfato. Manette per un terzo straniero in contatto con Brigande

di FABIO TONACCI, 12 marzo 2016
 
[[TEXT REMOVED FOR COPYRIGHT, TRY LINK ABOVE OR: https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8986 ]] 
 
 
VIDEO: "Prendo una macchina con l'esplosivo contro il miscredente"

 

(srpskohrvatski / italiano)
 
"Foibe" parola in codice per la revanche
 
0) INIZIATIVE E LINK SEGNALATI
– Elenco aggiornato dei premiati per il "Giorno del ricordo"
– Cologno Monzese (MI) 7/2: Le foibe nelle complesse vicende del confine orientale (1920-1947)
– Parma 10/2: Foibe e fascismo 2019
– Sulle figure degli “infoibati” Ernesto Mari ed Angelo Bigazzi (Claudia Cernigoi, gennaio 2018)
1) Strascichi del convegno promosso da Jugocoord Onlus e Historia Magistra nel 2018
– Odgovor predsedniku Republike Serdjo Matareli (učesniki i organizatori susreta "Dan sećanja - jedan bilans", održan u Torinu 10. februara 2018.god.)
– Un Ricordo da aggiustare (Fabrizio Salmoni, 12/2/2018)
– „Dan Sjećanja“ 2018. (Vladimir Kapuralin)
– Il trionfo della menzogna: le foibe (di Angelo d’Orsi, 20/2/2018)
2) Ancora sul film “Red Land”: Una ricostruzione sgangherata per un’operazione culturalmente grave (di Alberto Fazolo)
3) Quanti furono gli infoibati in Istria nel 1943? (di C. Cernigoi, 15/12/2018)
4) Flaskback sulla fake news della "foiba di Rosazzo": Foibe inventate e scuse mancanti (L. Marcolini Provenza, 17/2/2017)
 
 
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Ricordiamo che nel 2018 è stato pubblicato sul sito diecifebbraio.info un aggiornamento dell'Elenco dei premiati per il "Giorno del ricordo", che ammonta così attualmente a 354 riconoscimenti:
http://www.diecifebbraio.info/elenco-dei-premiati-per-il-giorno-del-ricordo/
 
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Cologno Monzese (MI), giovedì 7 febbraio 2019 
dalle ore 20:45 presso l'Auditorium di via Petrarca 9 
 
La Rete antifascista di Cologno Monzese, con l'adesione di Osservatorio Democratico Sulle Nuove Destre e Comitato Lombardo Antifascista, invita alla conferenza 
 

LE FOIBE NELLE COMPLESSE VICENDE DEL CONFINE ORIENTALE (1920-1947)  

 
Da alcuni anni si parla molto di questi temi, specie intorno al 10 febbraio, "Giorno del ricordo". Ma quanto ne sappiamo davvero?
Che ruolo gioca la propaganda politica? Cosa può dirci la ricerca storica? Perché serve conoscere la storia di quei fatti?

Ne parliamo con Claudia Cernigoi, ricercatrice e giornalista, direttrice del periodico triestino La Nuova Alabarda, autrice di numerosi saggi tra cui “Operazione foibe tra storia e mito” (ed. Kappa Vu, Udine, 2005), redattrice del sito web www.diecifebbraio.info

Ingresso libero
evento FB: https://www.facebook.com/events/689979444811445/
 
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Parma, domenica 10 febbraio 2019
alle ore 10:30 presso il Cinema Astra, Piazzale Volta 3
 
FOIBE E FASCISMO 2019
 
Quattordicesima edizione della contromanifestazione cittadina in occasione del "Giorno del Ricordo"  
– Conferenza di Sandi Volk
– Testimonianze
– Video su "foiba di Basovizza" e "caso Norma Cossetto"
 
a cura del Comitato Antifascista Antimperialista e per la Memoria Storica con l'adesione di ANPI e ANPPIA
 
 
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MEMORIA: LE FIGURE DEGLI “INFOIBATI” ERNESTO MARI ED ANGELO BIGAZZI (Claudia Cernigoi, gennaio 2018)
Chi furono Ernesto Mari ed Angelo Bigazzi, “infoibati” nell’abisso Plutone, ai quali sono state recentemente intitolate le case circondariali rispettivamente di Trieste e Gorizia? Quando la memoria condivisa fa ricordare sia il deportato nei lager che il collaborazionista del Reich che lo fece deportare…
SCARICA IL TESTO IN FORMATO PDF: http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2018/01/LE-FIGURE-DI-ERNESTO-MARI-ED-ANGELO-BIGAZZI..pdf
 
 
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La documentazione sul Convegno da noi organizzato a Torino il 10/2/2018 "Giorno del Ricordo, un bilancio" è accessibile dalla pagina: https://www.cnj.it/home/it/informazione/confine-orientale/8732-torino-10-2-2018-giorno-del-ricordo,-un-bilancio.html
 
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ORIG.: In risposta al presidente della Repubblica Sergio Mattarella (relatori e organizzatori del Convegno "Giorno del Ricordo. Un bilancio" tenuto a Torino il 10 febbraio 2018)
 
 
 

Odgovor predsedniku Republike Serdjo Matareli od strane učesnika i organizatora susreta 'Dani sećanja' - jedan bilans', održan u Torinu 10. februara 2018.god.

 

Izjava odgovora predsedniku Republike, gospodinu Serdjo Matareli

Učesnici i organizatori susreta 'Dan sećanja' - jedan bilans', koji se danas održava u Torinu, primili su postupak Predsednika Republike povodom obeležavanja godišnjice 10. februara, utemeljene Zakonom u Parlamentu, marta 2004. godine, i upisane  u kalendar javnog praznovanja u Republici. Reči najvišeg predstavnika Države plaše nas, ukoliko nisu samo obećanje  vodećim ‘elementima’ revanšističke, pa čak i neofašističke propagande.Osim glasnog priznavanja ‘najteže nacifašističke  okupacije ovih zemalja’ predsednik Matarela još jedanput upire prstom - kao prema javnoj sramoti – na ‘titinski komunizam’, pokazujući neprihvatljivo nepoznavanje istorijskih činjenica (zadovoljićemo se, na primer, ako samo podsetimo da su uz  jedinice jugoslovenskih partizana,  još pre Italijana ili nemačkih nacista stajali i borci svih nacionalnosti, takođe neprijatelji; bili su to pre svega Hrvati, ‘ustaše’, slovenački ‘domobrani’,  Srbi, ‘četnici’, Albanci, ‘balisti’). Zašto i danas sledimo pogrešan trag,  običaj političke upotrebe istorije: one istorije koja je manipulisana, nanovo pisana i ‘prilagođena’ ad usum – prema potrebi..

Rezultati našeg skupa, međutim, potvrđuju još jedanput, da je ona priča o fojbama samo dosledna i prava političko-kulturna operacija potekla uspostavljanjem zakona br. 92/ 2004, koji je doprineo da nastane opšte antikomunističko i antifašističko mišljenje, uverenje okrenuto sećanju na suprotne vrednosti.  U toj operaciji, umesto potrebe, iako zakasnele, da odgovornost preuzme Zemlja, ponvo se razglasila samovoljna misao o nevinosti ‘dobrih ljudi Italijana’. Od šefa Države očekivali smo sasvim drugo jemstvo, šta više, istorijsko-politički stavu koji sve više prepoznaje osvajački  i opasan povratak fašizma  (više nego li – ‘nacionalizma’, kako obazrivo piše Matarela).

Na kraju ovog pisma-apela Predsdniku Države, učesnici velikog torinskog skupa obavezuju se da će nastaviti sa svojim radom, ozbiljnošću, iskrenim svedočenjem i objavljivanjem – razglašavanjem otkrivenog u vrletima istorije.  Da bi se na način pravih boraca i poštovalaca tradicije – Resistenze - zarekli, zaključivši da njihovo delo podrazumeva – i borbu:

Sebbene emarginati, e spesso impediti di parlare, ostacolati nella stessa attività di ricerca, gli studiosi e le studiose, oggi presenti a Torino, assieme agli organizzatori e a coloro che ci hanno testimoniato la loro vicinanza e solidarietà si impegnano a continuare il proprio lavoro, con lo studio, la testimonianza, la divulgazione. E la lotta.  

Torino, 10 februar 2018.god.


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Izjava predsednika Matarele (izvor):

«Giorno del Ricordo ustanovljen je od Parlamenta da bismo se setili jedne stranice pune zebnje koju je naša Zemlja proživela u Dvadesetom veku. Tragedija je planirana i izazvana željom za očišćenjem na etničkoj i nacionalističkoj osnovi. 

Foibe, sa njihovim tovarima smrti, nečuvene surovosti, neopravdane i nepravednog nasilja, to su tragični simboli jednog poglavlja još uvek malo poznatog i stoga doista još nerazjašnjenog koje govori o velikoj patnji stanovništva Istrana, Riječana, Dalmatinaca i prostora dogranične Julije.

Posle vremena najsurovije naci-fašističke okupacije ovih zemalja u kojima su nekada u saživotu dobro opstajali i živeli različiti narodi, kulture, religije, usledilo je nasilje titinovog komunizma, koji se okomio na Italijane koji su tokom dugog vremena, od 1943. do 1945.  trpeli strašne represalije.

Takođe su i foibe i prisiljeno iseljavanje postali  budućnost zatrovana ogorčenim nastupima, do krajnosti razdraženom ideologijom totalitarizma, koji su obeležili mnoge decenije prošlog stoleća.

Štete prouzrokovane ekstremnim nacionalizmom, etničkom, rasnom ili religioznom mržnjom, ponavljale  seu se i u nama mnogo bližim godinama, na Balkanu, uzrokujući bratoubilačke ratove stradanja i nehumano nasilje. 

Evropska unija je nastala kako bi se suprotstavila totalitarizmu i nacizmu Dvadesetog veka, perspektiva koja obećava mir, zajednički napredak, u demokratiji i slobodi. 
Danas, takođe zahvaljujući Evropskoj uniji u tim ugnjetavanim krajevima razvija se dijalog, saradnja, prijateljstvo među narodima i državama.

Stradanja i nasilja, patnje izbeglica - esula - iz Julije, Istrana, Riječana i Dalmatinaca ne mogu da budu zaboravljeni, umanjeni ili odbačeni. One čine deo, u punom značenju reči, nacionalne isorije i predstavljaju neizbrisivo poglavlje koje nas opominje najtežih iskušenja krajnjeg nacionalizma, etničke mržnje, političke surovosti privržene sistemu vlasti. ».

U Rimu, 9 februara 2018.god.

 
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Un Ricordo da aggiustare

12 FEBBRAIO 2018
 
Mentre nel Paese si scatena la retorica nazionalista sulle foibe ed è in pieno sviluppo il ritorno alla superficie delle organizzazioni nazifasciste,  un Convegno di studi a Torino cerca di ristabilire la verità storica e si impegna a contrastare la contraffazione della memoria. Il “comunicato di replica” a Mattarella.
di Fabrizio Salmoni
E’ il momento di reagire alla disinformazione storica e di andare all’attacco!” Questa l’esortazione che chiude il convegno sul Giorno del Ricordo, tenutosi al Caffè Basaglia di Torino, sabato 10 febbraio. Organizzato dal Coordinamento nazionale per la Jugoslavia Onlus e dalla rivista Historia Magistra con l’adesione  dell’Anppia (Ass. Naz. perseguitati Politici Italiani antifascisti ) nazionale e sezioni di Torino, Genova e Cuneo, delle sezioni Anpi di Grugliasco (To), Chivasso (To), Montebelluna (Tv), Casale Monferrato (Al), Avigliana (To), Bassi Viganò (Mi), Valle Elvo e Serra (Bl); dell’Aicvas (Ass. Italiana Combattenti Volontari Antifascisti di Spagna), del Cvig (Centro Iniziative Verità e Giustizia), del Centro Studi Italia-Cuba, del Comitato di lotta antifascista per la memoria storica di Parma, della redazione di Marx.21.it, di Casa Rossa Milano, del Comitato contro la guerra di Milano.
Tra gli altri, hanno inviato messaggi di saluto i partigiani Bruno Segre, Lidia Menapace, Italo Poma e il vicesindaco di Torino Guido Montanari.
Nella lunga lista di adesioni, spicca l’assenza dell’Anpi provinciale, un segnale inquietante che si spiega con le esitazioni espresse a livello nazionale dopo i fatti di Macerata. Sala piccola ma strapiena con gente fuori.
Sotto accusa la legge 92/2004 che istituisce il Giorno del Ricordo su basi storiche molto discutibili e su pressione degli ambienti dei profughi istriani e neofascisti.  Una pressione facilitata dalle tendenze revisioniste maturate fin dagli anni Novanta all’interno della sinistra istituzionale. Vengono infatti ricordate le incursioni degli ex Pci Luciano Violante (a Trieste nel 1991 con Fini per sdoganare “i ragazzi di Salò) e le  successive dichiarazioni di Fassino e di Napolitano nella stessa direzione.
Perchè è necessario secondo gli organizzatori un chiarimento sulla verità delle foibe e sul vergognoso cover up istituzionale che “rovescia” i termini della “questione del confine orientale” a favore delle destre? Sostanzialmente perchè quella che è diventata in brevissimo tempo una vulgata nazionalista, vittimistica e “politicamente corretta” sui cosiddetti “martiri delle foibe” cancella i tanti elementi discordanti dalla verità ufficiale: In particolare, il contesto e le cause:
  1. L’aggressione contro Jugoslavia, Grecia e Albania scatenata dal regime fascista, che vide atrocità e stragi contro la popolazione civile;
  2. La complicità dei collaborazionisti italiani di Istria e Dalmazia nella repressione della Resistenza jugoslava;
  3. La vittoriosa controffensiva finale del 1945 dei partigiani jugoslavi (nei cui ranghi erano confluiti dopo l’8 settembre 1943, 40.000 soldati italiani) contro i fascisti croati, serbi e albanesi che coinvolse direttamente nella “resa dei conti” l’Istria e i tanti collaborazionisti italiani (e quanti rimasero indifferenti alla repressione contro i patrioti jugoslavi) i quali furono colpiti duramente e cacciati (un esodo che andrebbe spiegato all’interno della logica dei Trattati di pace, imposti a una nazione sconfitta).
Tre elementi di una verità storica che quella istituzionale tende a cancellare insieme alle responsabilità italiane nelle vicende che segnarono gli ultimi mesi e l’immediato dopoguerra con la ridefinizione dei confini: l’Italia perdeva l’Istria perchè aveva perso la guerra da essa stessa scatenata.Sulle foibe, gli interventi al convegno hanno contestato i numeri accreditati delle vittime, “cifre iperboliche, inventate dagli ambienti neofascisti” come risulta dalla ricerca dell‘Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione condotta negli anni 1987-1992 su tutti gli archivi civili e militari e alleati disponibili,  pubblicata dall’Anpi regionale: su 71 foibe esplorate sul territorio di Gorizia e Trieste, le salme recuperate furono 464, identificate e suddivise tra civili, partigiani, militi della Rsi, forze varie di polizia, militari italiani e tedeschi. Cifre che troverebbero conferma nel numero delle decorazioni (341) riconosciute alle vittime in base alla legge 92/2004, “la gran parte appartenenti alle forze armate dell’Italia fascista, che per di più avevano giurato fedeltà a Hitler, o a personale politico fascista, molti dei quali veri e propri criminali di guerra” come riferisce Umberto Lorenzoni, presidente Anpi di Treviso. Solo alcuni dei tanti che sfuggirono alla meritata punizione – ha sottolineato Davide Conti, autore de Gli uomini di Mussolini (Einaudi 2017) – perchè alla fine del conflitto, “nessuno di quelli denunciati da Jugoslavia, Grecia, Albania, Francia e dagli angloamericani venne mai processato in Italia o epurato o estradato o giudicato da tribunali internazionali, ma tutti furono reinseriti negli apparati dello stato postfascista con ruoli di primo piano” con conseguenze nefaste per gli equilibri democratici dell’Italia negli annni a venire. Alcuni di quei personaggi ebbero ancora un ruolo nei tentativi autoritari e nella strategia della tensione.
Lo storico Angelo D’Orsi ha relazionato sulle tappe della “lunga marcia del revisionismo” storico, un processo favorito dai politici di destra e di sinistra, dagli spazi concessi ad una ristretta cerchia culturale di destra, da un Pci (e successivi derivati) sempre voglioso di riciclarsi come Partito della Nazione. I risultati (e i danni alla memoria storica) nel tempo sono stati, sempre secondo D’Orsi, “il giudizio riduttivo sulla Resistenza, essenzialmente quella comunista, la sua banalizzazzione,…l’equiparazione tra repubblichini e combattenti per la libertà, la retorica della memoria condivisa....”, tutti elementi di un “rovesciamento dei fatti” che portano alla legge suddetta voluta e firmata da Napolitano e alla successiva conseguente strumentalizzazione fascista. Una versione accettata e diffusa da tutti i media e poco contrastata in sede politica e culturale da chi dovrebbe farlo, che fa anche danni collaterali, per esempio nell’istruzione dove – secondo Alessandra Kersevan, insegnante e ricercatrice – “insegnanti e storici sono indotti a un’autocensura che costringe a non parlare, a non approfondire, a un silenzioso ‘lasciar fare’ accettando le versioni imposte“.Una denuncia, quella della Kersevan che porta alla proposta di una lettera al Ministro dell’Istruzione in cui si chiede che “rievocazioni e iniziative nella scuola non siano lasciate in modo esclusivo alle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati…; che vengano fatti conoscere i crimini dell’Italia fascista nei Balcani…; che vengano ricordate e commemorate le migliaia di soldati italiani…che scelsero di combattere…con la Resistenza jugoslava… e in 20.000 morirono riscattando l’Italia dall’onta in cui il fascismo l’aveva gettata“.
Il Convegno ha avuto luogo in una giornata difficile ma esemplare per le tante manifestazioni nel Paese a cominciare da quella di Macerata ove la pressione dei partecipanti ha fatto annullare il divieto del il ministro Minniti e costretto il suo partito a convocarne un altra in differita per non infastidire troppo l’elettorato “moderato”. Una retromarcia che ha coinvolto l’apparato Cgil e il corpaccio istituzionale dell’Anpi nazionale, ancora dominato dal Pd. Incertezze e contraddizioni interne da tempo latenti che la virulenza attuale dell’offensiva delle destre sta facendo emergere in tutta la sua forza, tra una pratica antifascista attiva e popolare e un antifascismo commemorativo istituzionale sempre più simbolico, compromissivo e inefficace. Contraddizioni forse rivelatrici di un duro confronto politico interno tra le due anime. Non a caso, il gradito messaggio al Convegno della Presidente Carla Nespolo esorta a riportare in superficie la verità storica sulle foibe e sul contesto che ne fu causa e fa il paio con le sue dure parole di condanna della deriva fascista della Lega e conseguente richiesta al ministro Minniti di “sciogliere le forze politiche dichiaratamente fasciste…perchè la Costituzione parla chiaro” (La Stampa).  Un messaggio che tutti gli antifascisti aspettavano da tempo.
Come atto finale, il Convegno ha indirizzato un “Comunicato di replica” al Presidente Mattarella in cui si critica il Comunicato del Quirinale (entrambi riportati integralmente in calce) sulla ricorrenza del 10 febbraio e si contesta la contraffazione della memoria. Un segnale incoraggiante da una comunità di studiosi e docenti che si affianca organicamente alle proteste popolari di questi giorni. Nel complesso, un segnale allarmante per tutta la classe politica.(F.S. 12.2.2018)
 
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„DAN SJEĆANJA“ 2018.

U talijanskom parlamentu je 30. III. 2004. godine, pod pritiskom desničarskih i podrškom partija lijevog centra, izglasan i time ustanovljen „Dan sjećanja“ 10. februara. Tim činom se u Italiji ustoličila nova praksa, kojom se pristup iseljavanju u Italiju većeg broja Talijana, ali i Slavena, sa oslobođenih područja Istre, Dalmacije i otoka nakon II. svjetskog. rata i pripajanja tih dijelova Jugoslaviji izdvaja od dotadašnje percepcije i daje mu drugu dimenziju. U prošlosti bi se na  talijanskoj strani problem aktualizirao kada bi se pojavila politička potreba za njim. Određivanjem 10. februara „Danom sjećanja“ povod je institucionaliziran i on više nije prepušten političkoj potrebi trenutka, već se on permanentno nudi kao argument, čime si je institut vlasti zadao obavezu i ona vlast koja ne bude posegnula za njim riskira da bude doživljena kao nepatriotska.

U ovogodišnjoj izjavi talijanski predsjednik Sergio Mattarella, odaslao je poruke u kojima je neizazvano, nepoticano, često i opstruirano iseljavanje iz tog razdoblja, okarakterizirao kao planirano etničko i nacionalno čišćenje.

Razdoblje od 1943. do 1945. na ovim prostorima Mattarella vidi kao nasilje nad nemoćnim talijanima od strane „titinovog komunizma“.

http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Comunicato&key=3539

Tim povodom, nevladina neprofitna organizacija Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia (CNJ) organizirala je 10. februara u Torinu konferenciju na kojoj je nastupilo veći broj povjesničara i politologa.

https://www.cnj.it/home/it/iniziative/8732-torino-10-2-2018-giorno-del-ricordo,-un-bilancio.html

Učesnici tribine ocijenili su riječi šefa države kao izvlačenje argumenata revanšističke pa čak i neofašističke propagande. Osim nejasnog priznanja „oštre okupacije tih krajeva“, učesnici tribine zamjeraju Mattarelli izraz „titinov komunizam“ kao neprihvatljivo ignoriranje povijesnih činjenica u funkciji dnevno-političke upotrebe.

Rezultati tribine, ističu učesnici, da je slučaj „fojbi“ sadržan u zakonu no. 92/2004 doprinesao stvaranju i konsolidaciji općeg dojma usmjerenog ka antikomunizmu i anti-antifašizmu čiji je cilj favoriziranje krivotvorene memorije umjesto neophodne, iako zakašnjele, preuzete odgovornosti.

Od čelnika države očekujemo mnogo više opreza, osobito u povijesno-političkoj fazi u kojoj je povratak fašizma sve izvjesniji i opasniji od „nacionalizma“, kako Mattarella oprezno piše, stoji u izjavi.

Suočeni s problemom otežanih mogućnosti istraživanja i nastupanja, znanstvenici prisutni na tribini u Torinu, zajedno s organizatorima i onima koji ih podržavaju, obavezali su se nastaviti sa započetim radom, istraživanjem, svjedočenjem, otkrićima i borbom.

 

11. II. 2018.

Vladimir Kapuralin

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Il trionfo della menzogna: le foibe

 
di Angelo d’Orsi, 20 febbraio 2018

Se il comunismo è finito, perché l’anticomunismo prospera? A Kiev come a Roma, a Budapest come a Varsavia, a Washington come a Berlino, in Brasile come in Cile, governanti, magistrati, politici, giornalisti, professori emanano leggi, accendono polemiche, aprono processi, creano norme amministrative, o si spingono a riscrivere la storia in un senso diligentemente revisionistico, e rovescistico. 

Lo scopo è uno: mandare alla sbarra, in senso proprio o figurato (culturalmente), il comunismo, i suoi teorici, i suoi esponenti storici, i suoi dirigenti e militanti. Non solo cancellare il passato, in cui il comunismo (in qualche sua forma) ha prosperato, ma punire chi ammette di avervi aderito. “Sorvegliare e punire”, ecco la ricetta: sorvegliare e punire quei reprobi. Molti dei quali, in vero, tra coloro che rivestirono ruoli dirigenti, hanno gareggiato nel negare il proprio passato, presentandosi come esempi viventi di nicodemismo: comunisti in pubblico, per necessità (!?), acomunisti o anticomunisti nel segreto del cuore. 

Per gli altri, invece, ecco scattare la sanzione sociale. Escludere, ostracizzare, ridicolizzare chi prova a resistere sul piano culturale, chi, magari citando Bobbio, invita, semplicemente, a non rallegrarsi davanti alla caduta del comunismo storico, ma a prendere atto che anche se larga parte di quell’esperimento è fallito, rimane intatta l’ansia di liberazione di centinaia di milioni di esseri umani, schiacciati dai grandi potentati economici, vilipesi da una ingiustizia mostruosa, offesi dall’essere esclusi dal proscenio, dopo che, un secolo fa la Rivoluzione Bolscevica li aveva fatto uscire dall’ombra dando loro la parola, e addirittura portandoli al potere. Quell’ansia di liberazione dei subalterni è stata moltiplicata dagli svolgimenti del turbocapitalismo nel senso della disuguaglianza, dell’oppressione, dell’ingiustizia. Delle nuove povertà per le classi medie, delle accresciute povertà per i poveri, delle accresciute ricchezze per i ricchi. 

Il quotidiano Il Tempo, pochi giorni fa, si è spinto a proporre un’anagrafe dei comunisti: quale dovrebbe essere il passo successivo? L’esilio? Il confino di polizia? La galera? Leader politici forse destinati ad andare al governo, a dispetto della loro pochezza, come Berlusconi, Salvini, Meloni e loro adepti, non esitano a richiamare lo spauracchio comunista, convinti che quel richiamo porterà voti. Un giornalista di lungo corso come Bruno Vespa, tradendo ogni deontologia professionale, negli stessi giorni, in una puntata dedicata all’annoso tema “foibe”, scatena il proprio demone anticomunista, contro ogni verità accertata, procedendo incontrastato o quasi in vergognose filippiche prive di sostanza storica. 

E che dire del presidente della Repubblica? Il quale precisamente in relazione al “Giorno del ricordo” ultimo ha emesso un comunicato che fa accapponar la pelle, tra ignoranza e propagandismo (lo abbiamo denunciato nel recente convegno “Giorno del ricordo. Un bilancio”, svolto a Torino, il 10 febbraio 2018). 

Vespa come Mattarella in fondo colpiscono nel “comunismo titino” qualsiasi idealità comunista, ossia ogni esigenza di giustizia; e che per farlo offendano la verità storica, poco importa. Poco importa che centri di ricerca accreditati abbiano prodotto monografie, saggi, articoli, in grado di smontare le balle spaziali sulle foibe; poco importa che la menzogna delle decine (centinaia?!) di migliaia di infoibati sia smentita dalla stessa configurazione geologica del territorio; poco importa che gli italiani occupanti abbiano seminato morte e distruzione nella Jugoslavia; poco importa che quando si parla di italiani “vittime” ci si riferisca essenzialmente a quegli italiani, ossia fascisti occupanti; poco importa che l’Europa tutta debba proprio all’esercito partigiano jugoslavo guidato da Tito un tributo di gratitudine eterna; poco importa che a quella Jugoslavia l’Italia del Centrosinistra abbia dato il colpo di grazia nel 1999 con la guerra del Kosovo… 

Poco importa che la verità, insomma, venga violentata dai Bruno Vespa, e dai suoi ospiti scodinzolanti (salvo eccezioni, come l’ottima Alessandra Kersevan maltrattata con villania da Vespa), che venga sottaciuta o rovesciata da politici in cerca di consenso (ricordo solo l’orribile figurina di Maurizio Gasparri, che della questione foibe ha fatto un caso personale, che lo manda in agitazione da ictus ogni volta che ne parla, anzi, che ne strilla); la menzogna viene propalata, ripetuta, ribadita, fino a che diventa senso comune. I telegiornali, i talk show, i “programmi di approfondimenti”, i docufilm, le pseudomemorie di pseudoreduci o pseudoesiliati, stanno realizzando una sorta di cortina fumogena, dietro la quale si erge come un totem (e insieme un tabù), “la foiba”: una sorta di gigantesco monumento alla menzogna. 

Grazie a tutto ciò, a codesto apparato propagandistico, è facile che chiunque, in un’aula universitaria o in uno studio radio-tv, in un vagone ferroviario o in una vettura di tram, d’improvviso se ne esca con la fatidica domanda: “E allora, le foibe?!”. E se si prova a opporre ragionamenti argomentati alle più truci invettive, dati reali e certificati ai dati inventati, vicende storiche accertate alla propaganda becera, allora si viene sommersi dall’ingiuria e additati, una volta di più, con la stentorea accusa: “Comunista!”. Parola che vorrebbe essere il culmine dell’infamia, ma forse, a maggior ragione se si guarda a chi la proferisce, diventa un titolo di merito. 
 
 
=== 2 ===
 
Sul film “Red Land” si vedano anche le recensioni alla pagina:
 
 
 
“Red Land”, una ricostruzione sgangherata per un’operazione culturalmente grave
di Alberto Fazolo, 16 gennaio 2019
 
Red Land è un film che narra (a modo proprio) di Norma Cossetto e della Resistenza in Istria. Quella della Cossetto è la vicenda più nota legata alle foibe, ma è anche una delle più controverse. Altrettanto delicata e ancora più controversa è la più generale questione delle foibe. Non si può parlare di foibe senza contestualizzare, si tratta di eventi drammatici, sicuramente caratterizzati anche da errori, su cui la propaganda nazionalista italiana non perde occasione per speculare. Ma si tratta di eventi che per essere capiti vanno inseriti almeno nel contesto della Seconda Guerra Mondiale, cioè quando si scatenò l’orrore nazi-fascista. Ancor meglio sarebbe allargare l’orizzonte fino alla fine della Prima Guerra Mondiale, quando l’Italia annesse ampi territori abitati da non italiani (in Tirolo del Sud e in parte della Venezia Giulia) e che furono teatro di violenti scontri, nonché di ampie distruzioni. Dopo l’annessione, l’Istria venne colonizzata e fu avviato un processo di italianizzazione forzata, il nazionalismo italiano fece di quelle terre una bandiera. Con l’affermazione del fascismo, i crimini contro le popolazioni slave divennero più sistematici e crudeli. Gli eventi peggiorarono ulteriormente nel 1941 con l’invasione della Jugoslavia da parte delle truppe dell’Asse. Fu una delle pagine più drammatiche della Seconda Guerra Mondiale, soprattutto per quel che riguarda le vittime e i crimini commessi dai nazi-fascisti. Quindi, contro gli invasori e i loro collaborazionisti, in Jugoslavia si organizzò una Resistenza che fu egemonizzata dai comunisti.

In una vicenda tanto complessa e delicata, caratterizzata anche dalla difficoltà di trovare delle fonti storiche attendibili, il film non lascia alcun margine per il dubbio, sposa con determinazione una sola versione dei fatti. Peccato però che tra le tante versioni disponibili, quella narrata nel film sia una delle più improbabili. La ricostruzione storica è sgangherata. Ci sono tante contraddizioni, alcune eclatanti anche per chi non conosca a fondo i fatti. Al netto di tutte le fandonie che si susseguono nel film, si opta per una narrazione parziale, cioè solo di un episodio sradicato dal contesto, rimuovendo o negando le cause. Decontestualizzare i fatti e ignorare le responsabilità italiane è un preciso gesto politico. Spudoratamente il film vaneggia di una fantomatica pace che in Istria sarebbe durata da secoli, il concetto di pace lo si confonde con quello di dominio: si fa passare un messaggio aberrante.

Si tratta di un film che semina odio, infarcito di stereotipi, in cui i fascisti (di cui viene esaltato l’eroismo) sono tutti buoni, quasi delle vittime degli eventi, al più sono i tedeschi ad abbandonarsi a qualche eccesso. Ancora più buoni sono tutti gli altri italiani, ad eccezione dei comunisti. Quest’ultimi vengono descritti come dei mentecatti, esaltati, infami, traditori e menomati. In un tripudio lombrosiano, è ancora più grottesco il ritratto dei partigiani jugoslavi: criminali, sadici, stupratori, alcolisti, pazzi e soprattutto brutti (aspetto su cui il regista insiste ossessivamente). In sostanza sui comunisti e gli slavi viene riproposta tutta la peggiore retorica della propaganda del ventennio fascista.

Durante la visione si fa fatica a prestare attenzione al problema del revisionismo, si è distratti dalla morbosità della narrazione: il film vuole suscitare indignazione e disgusto e non far riflettere su degli eventi.

Il regista è l’argentino Maximiliano Hernando Bruno, che non può vantare grandi esperienze dietro alla macchina da presa, infatti mostra tutti i propri limiti. Il film scade spesso nel ridicolo e nel grottesco, sembra quasi di stare a vedere una telenovella horror.

Generalmente imbarazzanti le interpretazioni degli attori. Tra i messaggi che il film vuole lanciare c’è anche quello (ovvio) che “le colpe dei padri non ricadono sui figli”, però involontariamente si riafferma pure che “i meriti dei padri non ricadono sui figli”. Infatti nel cast troviamo Geraldine Chaplin (figlia del grande Charlie), che se non avesse accettato quella parte, si sarebbe risparmiata una figuraccia.

Tra i vari che ragliano, si discosta la buona interpretazione di Franco Nero, tanto per le capacità artistiche, quanto per via del fatto che il ruolo gli s’addice alla perfezione: un anziano molto stimato che si suicida. Infatti, con questo film Franco Nero si suicida come artista, andando a seppellire sotto l’immondizia una bella carriera.. La delusione verso Franco Nero è anche umana e politica, lui aveva già recitato nel capolavoro “La Battaglia della Neretva”, il film jugoslavo del 1969 che meglio di tutti racconta le gesta eroiche della Resistenza guidata da Tito: ritrovarlo in un film del genere è sconfortante.

Il film fomenta la slavofobia, è pericoloso. Pertanto un pensiero va anche a tutti quei cittadini italiani slavofoni che ancora oggi devono subire un attacco del genere, per loro oltre al danno c’è la beffa e di sicuro se ne ricorderanno la prossima volta che dovranno pagare le tasse o votare: il film è realizzato anche grazie alla RAI e ad alcune amministrazioni locali. Ciò riconferma che le campagne revisioniste godono di ampio supporto istituzionale. Inoltre, assurdamente Red Land ha ottenuto il riconoscimento della qualifica di film d’essai e quindi godrà di agevolazioni fiscali. Tuttavia la cosa che maggiormente preoccupa è che questo film possa essere proiettato nelle scuole, con il rischio d’inculcare l’odio anche tra i giovani: una prospettiva da scongiurare.

In definitiva si tratta di un film fatto male, ma le lacune tecniche sono nulla rispetto all’abominio dell’operazione politica che c’è dietro.


=== 3 ===
 
QUANTI FURONO GLI INFOIBATI IN ISTRIA NEL 1943?
 
di Claudia Cernigoi, dalla pagina FB de La nuova Alabarda, 15/12/2018
 
Dato che a seguito del (brutto anche dal punto di vista artistico) film Red Land si è ripreso a sparare le cifre più disparate rispetto agli "infoibati" dai partigiani nel settembre-ottobre 1943, abbiamo pensato di pubblicare questo documento, che non è tratto da fonti "slavocomuniste" ma è stato pubblicato in un libro scritto da Luigi Papo, sedicente "de Montona", nonostante sia nato a Grado, uno dei "foibologi" legati all'associazionismo degli esuli giuliano dalmati, nonché denunciato per crimini di guerra dalla Jugoslavia, avendo comandato il presidio della Milizia a Montona.
Papo ha pubblicato questa lettera, inviata nell'aprile 1945 (la data riporta 24 aprile "XXIII", cioè ventitreesimo anno dell'era fascista, quindi 1945) dal federale del fascio repubblicano dell'Istria Luigi Bilucaglia al capitano Ercole Miani, rappresentante del Partito d'Azione all'interno del CLN triestino (già qui ci si domanda quali rapporti intercorressero tra i due se Bilucaglia ritenne di rivolgersi a Miani per questo).
La lettera è l'accompagnatoria, come si legge nella prima pagina, di "circa cinquecento pratiche per l'ottenimento della pensione alle famiglie dei Caduti delle foibe".
Dunque alla data del 24 aprile 1945 la federazione fascista di Pola aveva istruito 500 pratiche relative ad infoibamenti. Anche volendo ritenere che ogni pratica si riferisse al deceduto e non ad ogni parente, risulta che dall'8 settembre 1943 al 25 aprile 1945 (nel computo venivano considerati anche i caduti per mano partigiana nel corso del conflitto) furono "circa 500" gli "infoibati". Non migliaia, quindi, come i propagandisti disinformatori pretendono. 
(Il libro di Papo è "L'Istria e le sue foibe", pubblicato nel 1999 dalla Settimo Sigillo, casa editrice fondata da Enzo Cipriano assieme ai rautiani Enzo Erra e Rutilio Sermonti, nel cui catalogo troviamo testi di Mario Merlino, Stefano Delle Chiaie, Pierluigi Concutelli e di altri esponenti della destra radicale. Tanto per la cronaca, Cipriano si è candidato per CasaPound alle ultime elezioni politiche, assieme all'ex avvocato di Gelli, Augusto Sinagra, uno dei promotori del cosiddetto "processo per le foibe").
 
 
I DOCUMENTI: 
 
  
 
 
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Sulla fake news della "foiba di Rosazzo" abbiamo pubblicato in passato ricca documentazione. Si veda anche:
 
Proposta una commissione parlamentare d'inchiesta sulle fosse comuni tra Udine e Gorizia e non solo (di Marco Barone – 1 agosto 2016)
 
 
 
Foibe inventate e scuse mancanti

Luciano Marcolini Provenza
PUBBLICATO VENERDÌ 17 FEBBRAIO 2017 – La sconcertante vicenda di Corno di Rosazzo (Gorizia): la notizia di una strage rivelatasi inesistente e la pervicace diffamazione del movimento di Resistenza friulano
 
È passato un anno dal 10 febbraio 2016, giornata nella quale ogni anno viene commemorato il Giorno del ricordo, istituito con una legge dal 2004. Una delle tante manifestazioni si svolge anche a Gorizia, in Friuli Venezia-Giulia. In quella occasione presenziano autorità civili e militari: il Sindaco della città di Gorizia, Ettore Romoli, forzista con trascorsi missini; il Presidente della Provincia di Gorizia, Enrico Ghergetta, PD con militanza nel PCI; gli assessori regionali PD Sara Vito e Gianni Torrenti. Nel corso della manifestazione Luca Urizio, Presidente provinciale della Lega Nazionale, rivela un fatto sconvolgente: “l’archivio del Ministero degli Esteri ha celato per oltre 70 anni un documento sconosciuto (1) che confermerebbe l’esistenza di una foiba a Corno di Rosazzo. Nella cavità carsica naturale, situata nel cuore dei Colli orientali a cavallo tra le provincie di Udine e Gorizia, sarebbero state gettate nel 1945 tra le 200 e le 800 persone” (il Messaggero Veneto 11.02.2016). Urizio, riporta ancora quel giornale, ha poi “espressamente citato il partigiano Sasso (il gradiscano Mario Fantini) e il partigiano Vanni (al secolo Giovanni Padoan di Cormons), coinvolti anche nell’eccidio di Porzus”.
Si tratta di una notizia che, oltre ad avere pesante rilevanza penale per gli ipotetici attori della strage, li ha anche nei confronti di chi ha fatto i loro nomi, che incorrono nell’ipotesi di reato di diffamazione. La stampa locale, e non solo essa, approfitta della sensazionale notizia per scatenare nei mesi successivi una campagna stampa di cui si riportano solo alcuni indicativi titoli:
«La fossa comune di Rosazzo. Ci sono i testimoni» (il Messaggero Veneto 19.02.2016);
«Il figlio del testimone: “Così venivano uccisi nella vecchia cjasate”» (2). (il Messaggero Veneto 26.02.2016);
«Il caso della fossa comune: a Rosazzo sono due i luoghi degli eccidi» (il Messaggero Veneto 02.03.2016);
«Il caso della fossa comune: ecco la casa di Truda, il secondo mattatoio» (il Messaggero Veneto 03.03.2016);
«Friuli, spunta una nuova ‘foiba’: lì dentro almeno duecento morti» (il Primato Nazionale 04.03.2016);
«Questa zona? È un cimitero: Nuove rivelazioni su fosse comuni» (il Gazzettino14.03.2016);
«Le carte di Premariacco: ecco i nomi dei morti» (il Messaggero Veneto 03.05.2016).
Sono avviate le indagini e la ricerca del sito in cui trovare i resti umani dell’eccidio. Il territorio individuato per l’ubicazione della “foiba”, in un primo tempo circoscritto a una singola frazione, si estende nei due comuni di Manzano e Corno di Rosazzo e nei mesi successivi alla rivelazione è battuto in lungo e in largo, ispezionando ogni possibile anfratto, anche con l’ausilio di gruppi di speleologi. Nel frattempo spuntano “testimoni” che hanno sentito dire…
Le indagini però non si limitano a questo. Si tratta di fatti di rilevanza penale, quindi la Magistratura estende il suo lavoro anche a Roma, negli archivi dei Ministeri agli Esteri e alla Difesa, dello Stato Maggiore dell’Esercito e dei Servizi Segreti, ma nulla emerge da tali ricerche, tant’è che, dopo dieci mesi di infruttuose ricerche, il fascicolo sulla “Foiba di Rosazzo” viene archiviato.
C’è da sottolineare il fatto che il Comune di Gorizia ha finanziato l’operazione di ricerca del signor Urizio con fondi pubblici, spesi, in questi tempi di “vacche magre”, per una “bufala”. Il sensazionale documento prodotto da Urizio non è affatto un documento sconosciuto e di ciò dobbiamo gratitudine al gruppo di “Resistenza Storica” (3), che ha dimostrato come questo fosse già stato vagliato dalla Magistratura in occasione del cosiddetto “processo sulle foibe” promosso avanti la Corte d’Assise di Roma nei confronti di Oskar Piskulic e altri (il processo, dopo essersi dimostrato insostenibile, finì annullato per incompetenza territoriale). Il documento – una semplice informativa, come si può ben vedere dall’allegato – non è allora ritenuto attendibile ed è quindi privo di valore. Eliminata quindi la possibile rilevanza penale nei confronti di “Sasso” e di “Vanni”, resterebbe un’ipotesi di rilevanza penale nei confronti del Sig. Luca Urizio, Presidente della Lega Nazionale.
Questo esempio, che per la pubblica opinione nel resto d’Italia potrebbe apparire come un caso sporadico, è all’ordine del giorno qui, al confine orientale, dove in prima linea si sono vissute le terribili vicende non solo della “Grande guerra” e della Seconda guerra mondiale, ma anche il lungo periodo della “Guerra fredda”, che per decenni ha condizionato e, come appare evidente in questa vicenda, condiziona tuttora lo sviluppo socio-politico, con pesanti ripercussioni, in particolare, sui diritti della minoranza slovena presente in regione. Un territorio nel quale genti di lingue diverse hanno convissuto per secoli senza tensioni nazionalistiche è stato oggetto della violenza ideologica, politica, sociale dettata dall’assunto dell’«italianità», cardine del fascismo di frontiera. Un territorio sottoposto a servitù militari per quasi la metà della superficie regionale, che hanno condizionato e penalizzato con vincoli, divieti e restrizioni lo sviluppo economico. Un territorio che ha subito una vera sclerotizzazione sul piano politico per la presenza delle strutture della organizzazione segreta Gladio, fino alla nuova stagione delle frontiere aperte tra paesi comunitari.
Nel clima sopra descritto i partigiani, quelli appartenenti alle Brigate Garibaldi, hanno subito pesantissime discriminazioni, ingiurie, processi. Alcuni hanno dovuto fuggire all’estero, altri sono dovuti sparire dalla vita sociale e pubblica nella speranza, vana, che rendendosi invisibili non sarebbero stati perseguitati. Con un’opera di diffamazione perseguita con sistematica pervicacia, si tenta, ancora oggi, di trascinare nel fango l’intero movimento resistenziale friulano che, a fronte di qualche ombra, ha invece espresso momenti memorabili di lotte unitarie tra le diverse anime della resistenza e con il movimento di liberazione jugoslavo. Un movimento che, quando la lotta si era fatta più dura, si mostrava capace di avviare esperienze di amministrazione civile e democratica, come quelle delle Zone Libere della Carnia e del Friuli Orientale in un territorio, annesso al Terzo Reich, nel quale si consumavano le brutali repressioni naziste e dei repubblichini: in prima fila la Decima MAS del golpista Valerio Borghese, i cui reduci vengono ricevuti ogni anno, in forma solenne, nella Residenza municipale di Gorizia dal Sindaco Ettore Romoli.
Ora, di fronte alla verità oggettiva della non esistenza della fossa e degli eccidi (notizia riportata sulla stampa in secondo piano), ci si aspetta, da coloro che presenziarono a quella manifestazione e che, pur appartenendo al PD, non sentirono un moto di repulsione di fronte alle affermazioni denigratorie nei confronti di due noti ed eroici capi partigiani, una dichiarazione di scuse e di disappunto. Nei confronti degli autori delle affermazioni diffamatorie ci si aspetta invece un’azione penale d’ufficio, per essere state formulate in presenza del viceprefetto di Gorizia Antonino Gulletta.
Luciano Marcolini Provenza, dell’ANPI Cividale del Friuli
 
Note
1)    Il documento citato proviene dall’Ufficio Informazioni Nucleo Stralcio, I sezione – gruppo speciale (ex I Gruppo della Calderini) dei Servizi segreti;
2)    Cjasate in lingua friulana sta per casa brutta, fatiscente;
3)    Resistenza storica: rimandiamo per maggiori informazioni e approfondimenti al sito www.diecifebbraio.info
 
 
 
(srpskohrvatski / english / francais / italiano)
 
Kosovo: Stato fallito ma con esercito a disposizione
 
0.1) PUBBLICAZIONI / PUBLIKACIJE:
Jacques Hogard: L’EUROPA È MORTA A PRIŠTINA
Сандра Давидовић: EULEX KOSOVO
Живадин Јовановић: 1244 - КЉУЧ МИРА У ЕВРОПИ
0.2) ALTRI COLLEGAMENTI / LINKOVI

1) NON È UN PAESE PER ROM (di Edoardo Corradi, 14/1/2019)

2) Cresce la tensione tra Serbia e Kosovo albanese (di Enrico Vigna, 10/1/2019)
3) DISCONOSCIMENTO DEL KOSOVO: gli Stati Uniti cercano di arginare la marea (Wayne Madsen, 02.12.2018)
4) 300 MILIONI DI EURO U.S.A. PER TRASFORMARE LA BANDA UCK IN UN ESERCITO REGOLARE / SAD kosovskim Albancima dozvolile stvaranje vojske i kupnju oružja za 300 milijuna eura (28/10/2018) 

 

 
 
=== 0.1: PUBBLICAZIONI ===
 
Jacques Hogard

L’Europa è morta a Priština
Guerra nel Kosovo, primavera-estate 1999
 
Frankfurt: Zambon, 2017
ISBN.: 9788898582365 prezzo: 10.00 EUR

Quando hanno luogo gli eventi del Kosovo che conquistano le prime pagine nell’autunno 1998, Jacques Hogard è ufficiale superiore in servizio presso il Comando Operazioni Speciali (COS). Avviene così che all’inizio del 1999 assuma il comando del Gruppo congiunto delle forze speciali che verrà schierato dalla Francia in Macedonia e quindi in Kosovo, al fianco degli alleati americani, britannici, tedeschi e italiani.
Dopo vari mesi di incertezza, il 23 marzo 1999 la NATO scatena effettivamente la guerra contro la Serbia, dopo il fallimento dei negoziati di Rambouillet. Ciò che Jacques Hogard e i suoi uomini scoprono allora sul terreno non coincide affatto con quanto affermano i media occidentali.
Uomo di carattere, dai solidi principi, il colonello Hogard vivrà intensamente questa ultima operazione in Kosovo. Essa lascerà in lui l’amarezza della partecipazione irresponsabile a un conflitto ingiusto, emblema di tutti i fallimenti e i tradimenti francesi ed europeo.
Hogard offre qui la sua testimonianza per mezzo di un saggio breve, circostanziato e incisivo.
 
 
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Ново Издање Беофорума
 
У 2018. години у којој је проблем Косова и Метохије био вишеструко разматран, не само у земљи, већ и у оквирима Европске уније, било је мало расправа о учинцима Европске мисије владавине права на Косову - EULEX. Не само да ове године мисија EULEX KOSOVO обележава десет година од почетка свог деловања на територији КиМ, већ као таква, она представља део укупног приступа Уније у решавању косовске кризе који обележава године иза нас.
Тим поводом је у протеклој години, у оквиру још једног истраживачког пројекта Београдског форума под покровитељством Канцеларије за Косово и Метохију Владе Републике Србије, спроведено и објављено истраживање мисије EULEX KOSOVO. Пројектом је руководила чланица Управног одбора Форума и докторанткиња Факултета политичких наука у Београду Сандра Давидовић.
Ауторско дело ,,Деценија рада Европске мисије владавине права на Косову и Метохији EULEX KOSOVO: преглед, оцене и закључци'' представља осврт ауторке на деценију деловања највеће мисије ЕБОП/ЗБОП и обухвата преглед правног и политичког контекста оснивања EULEX-a, структуре и мандата мисије, као и општи приказ њених достигнућа.

Београд, јануар 2019.
 
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O knjizi Zivadina Jovanovića pogledaj isto:
 
 
 
RTS: Представљена књига "1244 - кључ мира у Европи" Живадина Јовановића

У свечаној сали Дома војске у Београду промовисана је књига "1244 - кључ мира у Европи" аутора Живадина Јовановића, председника Форума за свет равноправних.
Књигу 1244 кључ мира у Европи, аутор Живадин Јовановић посветио је решавању питања Косова и Метохије. Она саржи збирку његових текстова и интервјуа објављених у страним и домаћим медијима у распону од три протекле деценије.
 
Подељена у пет поглавља под називима: Време тероризма, Време агресије, Време илузија, Време за отрежњење и Прилози, обухвата хронологију и континуитет кључних догађаја пре и после доношења историјског документа - Резолуције 1244.
Професор др Мило Ломпар истакао је документарни карактер књиге, исказан у приказу дугогодишње дипломатске активности Јовановића као политичког чиниоца и сведока догађаја, што уз документе у склопу прилога у књизи потврђује историјску заснованост тврдњи самог аутора.
„Показује се стална експанизија сепаратизма заснованог на теророзму на једној страни, а на другој континуитет политичке и сваке друге подршке и помоћи водећих земаља Запада том расту сепаратизма и тероризма на Космету. Показује се такође да се методе мењају, а да циљеви остају исти, јер Запад третира Косово и Метохију искључиво у оквиру своје геополитике", каже за РТС Живорад Јовановић.
Јовановић наглашава да се само у глобалном геополитичком контексту ширења НАТО према границама Русије, које је почело још од педесетогодишњег јубилеја алијансе 1999. године у Вашингтону, могу разумети дешавања у вези са Косовом и Метохијом.
„Упркос свим притисцима којима је Србија и данас изложена, не треба губити визију и оптимизам. Потребно је интензивирати све путеве борбе за очување Космета у статусу који је предвиђен Резолуцијом 1244. У том смислу треба искористити и овај тренутак који представља покушај окончања етничког чишћења Срба са Косова и Метохије и упозорити међународну заједницу на катастрофалне последице које се неће ограничити ни на Србију ни на Балкан, које могу имати катастрофалне последице и за саму Европу", каже Јовановић.
Његова светост патријарх српски Иринеј, примио је аутора књиге Живадина Јовановића и издавача Драгана Лакићевића, испред Српске књижевне задруге, кјоји су поклонили патријарху примерак књиге.

IZVOR: RTS
 
 
=== 0.2 ===
 
Altri link e brevi segnalate, in ordine cronologico inverso:
 
KOSOVO, SOGNANDO UNA VITA ALL'ESTERO (di Majlinda Aliu, 19/12/2018)
Nonostante il Kosovo sia ancora sulla "lista nera" di Schengen, molti suoi cittadini sognano di un futuro all'estero. Tra le categorie professionali più qualificate, come i medici, si può già parlare di fuga di cervelli...
 
KOSOVO-SERBIA, SCONTRO SUI DAZI (di Majlinda Aliu, 29/11/2018)
Il governo del Kosovo ha deciso di imporre dazi doganali al 100% contro Serbia e Bosnia Erzegovina. Una decisione fortemente criticata da Bruxelles, e che rischia di danneggiare ulteriormente il fragile dialogo con Belgrado...
 
KOSOVO : ARRESTATIONS À GRAND SPECTACLE ET MANIFESTATION À MITROVICA (CdB, 23 novembre 2018)
Vendredi matin, les unités spéciales de la police du Kosovo ont arrêté quatre suspects dans le meurtre d’Oliver Ivanović, le 16 janvier dernier à Mitrovica. Elles ont aussi perquisitionné le domicile de Milan Radojčić, le véritable « boss » du Nord du Kosovo. Belgrade a dénoncé l’opération, tandis que les Serbes manifestaient dans tout le Kosovo contre la hausse des taxes...
 
KOSOVO: LE POUVOIR DE PRISHTINA AUX ABOIS (23 NOV. 2018, PAR STANTOR / BLOG : MIROIR DE NOTRE TEMPS)
Sur fond de guerre commerciale décidée par Prishtina contre les produits Serbes dont les taxes d'importation ont été augmentées de 100%, une vague d'arrestations menée par la force de sécurité du Kosovo vise des serbes et le représentant de l'organe représentatif des serbes du Kosovo Milos Dimitrijevic. La partie serbe de Kosovska Mitrovica est en alerte et dénonce la duplicité de la KFOR...
 
DRŽAVNI VRH ZASEDAO ZBOG DEŠAVANJA NA KOSOVU, VUČIĆ PORUČIO POSLE SASTANKA: MORAMO SE PRIPREMITI NA DUGOTRAJNU POMOĆ NAŠEM NARODU (FOTO) (VIDEO) (23. novembar 2018)
 
LISTE NON EXHAUSTIVE DES PAYS AYANT VOTÉ CONTRE L'ADHÉSION DU KOSOVO À INTERPOL (21 NOV. 2018, PAR STANTOR / BLOG : MIROIR DE NOTRE TEMPS)
Liste partielle et non exhaustive des pays ayant pris part au vote de l'assemblée générale d'Interpol sur la demande d'adhésion de la République autoproclamée du Kosovo à cette agence...
 
KOSOVO: RESPINTA LA DOMANDA DI ADESIONE ALL’INTERPOL (Riccardo Celeghini, 20.11.2018)
... Nella votazione finale, difatti, 68 paesi hanno votato a favore, 51 hanno votato contro, e 16 si sono astenuti... Il Kosovo aveva fatto richiesta di adesione all’INTERPOL nell’aprile del 2015, ma da allora non è mai riuscito ad assicurarsi il supporto di due terzi degli stati membri. La volta precedente, in occasione dell’assemblea tenutasi in Cina nel settembre 2017, il primo ministro Ramush Haradinajaveva addirittura deciso di ritirare la candidatura... Il Kosovo ad oggi risulta membro di dieci organizzazioni intergovernative internazionali come stato indipendente e di altre sei sotto il cappello di UNMIK, la missione ONU che ha governato l’ex-provincia della Serbia dalla fine della guerra nel 1999 alla dichiarazione d’indipendenza del 2008. In due casi, inoltre, il Kosovo ha assunto lo status di osservatore. Tra le membership più importanti vi sono certamente quelle presso il Fondo Monetario Internazionale (FMI), la Banca Mondiale e la Banca europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS). Diverse sono però le organizzazioni internazionali in cui l’ingresso del Kosovo pare ancora lontano: oltre all’INTERPOL, ci sono anche il Consiglio d’Europa, l’OSCE, l’UNESCO e, su tutte, l’ONU...
 
L'ASSEMBLÉE GÉNÉRALE D'INTERPOL REJÈTE POUR LA 3ÈME FOIS L'ADHÉSION DU KOSOVO (20 NOV. 2018, PAR STANTOR / BLOG : INO-RADIO)
Après d'âpres manoeuvres des USA, de la Grande Bretagne et de la Turquie pour infléchir la position de nombreuses délégations de pays membres d'Interpol lors de l'assemblée Générale de l'organisation qui se tient à Dubaï aujourd'hui, et malgré l'échec de cinq pays à obtenir le changement de l'ordre du jour, l'adhésion du Kosovo a été finalement rejetée par l'assemblée générale d'Interpol...
 
KOSOVO: DAZI VERSO LE MERCI SERBE E BOSNIACHE “PER PUNIRE LA LORO OSTILITÀ” (A. Massaro, 15.11.2018)
Dopo una riunione del suo esecutivo, il primo ministro Ramush Haradinaj ha annunciato lo scorso 6 novembre, la decisione di aumentare le tariffe doganali del 10% sui prodotti serbi e bosniaci. Haradinaj ha precisato che per la prima volta una simile decisione viene presa nella storia recente del paese. Secondo Pristina questo provvedimento giungerebbe in risposta al comportamente ostile adottato negli ultimi mesi dai governi di Serbia e della Bosnia-Erzegovina nei confronti del Kosovo...
 
VIA DAI BALCANI (Kosovo 2.0, 13.11.2018)
Centinaia di migliaia di persone lasciano i Balcani, dove non vedono un futuro. Le cause oltre che economiche sono anche sociali e politiche...
ORIG.: Hundreds of Thousands Leaving Balkan Region in Which They See No Future
 
UN ESERCITO PER IL KOSOVO (26/10/2018 -  Dragan Janjić)
Pristina ha ufficialmente avviato, con il sostegno degli Stati uniti, la trasformazione delle sue forze di sicurezza in forze armate. Un processo che durerà a lungo...
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Kosovo/Un-esercito-per-il-Kosovo-190853/
 
KOSOVO: LE PARTI AU POUVOIR VEUT INTERDIRE LE 1ER MAI FÉRIÉ, QU'EN PENSE LA CES ? (28 OCT. 2018, PAR STANTOR /  BLOG : INO-RADIO)
Le Parti Démocrate du Kosovo au pouvoir (PDK) a déposé une proposition de loi, avec le soutien d'un syndicat membre de la CSI, visant la suppression du 1er mai comme jour férié en raison de sa connotation "communiste" et "yougoslave"...
 
KOSOVO: MIGLIAIA DI FINTI VETERANI DI GUERRA, INDAGATI I VERTICI DELLA POLITICA (Marco Siragusa, 27 Settembre 2018)
... A rendere la situazione interna ancora più turbolenta è stato lo scandalo legato alla falsificazione delle liste dei veterani di guerra appartenenti all’UCK, l’Esercito di Liberazione del Kosovo, protagonista del conflitto contro le forze di Slobodan Milosevic nel 1998-99...
 
KOSOVO : À QUOI SERVENT LES LOBBYISTES AUX ÉTATS-UNIS ? (Radio Slobodna Evropa | Traduit par Persa Aligrudić | mardi 12 juin 2018)
Ils connaissent les arcanes du pouvoir et les gens qui comptent à Washington. Le Kosovo, tout comme ses voisins, dépense des fortunes en conseils, communicants et autres lobbyistes auprès de l’administration américaine. Dans les années 1990, il s’agissait de faire connaître au monde la situation politique de la région, mais aujourd’hui, les lobbyistes servent les intérêts privés des politiciens qui veulent afficher leurs bonnes relations avec la Maison Blanche...
 
KOSOVO : EULEX RÉDUIT LA VOILURE ET PRÉPARE SON DÉPART (Courrier des Balkans | lundi 11 juin 2018)
La mission européenne Eulex n’aura plus de responsabilité exécutive à compter du 14 juin. Son mandat, prolongé de deux ans, se limitera à un rôle de « conseil » pour la justice du Kosovo. Eulex s’en va sur un maigre bilan, marqué par des scandales de corruption à répétition...
 
L’IDENTITÀ CULTURALE SERBA IN KOSOVO MINACCIATA NEI SUOI MONUMENTI (rem [Ennio Remondino], 4 giugno 2018)
... Durante i bombardamenti in Kosovo del 1999 non ci sono state distruzioni di chiese e monasteri. È nei cinque mesi successivi all’inizio cioè della ‘pace’ in Kosovo, tra il giugno e l’ottobre del ’99, che più di ottanta tra chiese e monasteri sono stati danneggiati e abbattuti. Oggi si calcolano 110 demolizioni. Molte di queste costruzioni risalivano ai secoli XIV-XVI...
 
I KOSOVARI ALBANESI CHE VOGLIONO IL PASSAPORTO SERBO (Remocontro [Ennio Remondino], 25 maggio 2018)
Un consistente numero di cittadino kosovari albanesi presentano i documenti per ottenere il passaporto della Repubblica serba. Nessun ritorno al passato, ma le facilitazioni di quel passaporto per espatriare in Europa in cerca di lavoro...
https://www.remocontro.it/2018/05/25/i-kosovari-albanesi-che-vogliono-il-passaporto-serbo/
 
 
=== 1 ===
 
Su questo stesso tema si veda il testo di Adem Bejzak e Kristin Jenkins
 
UN NOMADISMO FORZATO
...di guerra in guerra... Racconti rom dal Kosovo all'Italia

Edizioni Archeoares, 2011
7 euro, 180 p., ISBN 978-88-96889-22-0
per ordinare il libro
 
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KOSOVO: Non è un paese per rom
di Edoardo Corradi, 14/1/2019
 

I rom sono una dellminoranze più discriminate al mondo. Ovunque si vada, razzismo e generalizzazioni colpiscono questa etnia, tanto peculiare e ricca di cultura quanto discriminata. Anche in Kosovo la discriminazione nei confronti dell’etnia rom è molto forte e i progetti volti alla loro inclusione sociale faticano a decollare.

Rom, ashkali ed egizi

Essere rom, in Kosovo, è una questione di identità. Il paese, diviso su linee etniche, ripercuote tale faglia anche nella comunità rom. I rom infatti si distinguono oggi tra rom, ashkali ed egiziani (RAE), differenziandosi prettamente da un punto di vista etnico e religioso. I rom propriamente detti, infatti, tendono ad essere cristiani ortodossi e parlano per lo più il serbo o il romanì, la loro lingua. Ashkali ed egizi, invece, sono prevalentemente musulmani e parlano in maggioranza l’albanese.

Rom, ashkali ed egizi vivono principalmente nel sud del paese e nella sua parte occidentale, in particolare nelle zone di Gjakovë/Đakovica, Pejë/Peć, Ferizaj/Uroševac e Prizren. Non è comunque raro incontrare rom, ashkali ed egizi anche in altre zone del paese, come nella municipalità di Fushë Kosovë/Kosovo Polje, dove rappresentano il 12,25% della popolazione, e nella capitale Pristina.

Le tutele sulla carta

Alla luce di ciò, la comunità rom in Kosovo gode di diverse tutele legislative, in campo linguistico, culturale e politico, tanto che una quota di seggi (4) all’interno del parlamento nazionale è assegnata a rappresentanti di questa comunità. Rom, ashkali ed egizi hanno dei propri partiti politici a livello nazionale e locale, e una delle sei stelle sulla bandiera nazionaledel Kosovo rappresenta proprio la comunità rom. Nel 2008, inoltre, il governo kosovaro ha approvato una Strategia per l’Integrazione delle comunità rom, ashkali ed egizi. Secondo questo piano, il governo si sarebbe impegnato a migliorare le condizioni dei rom in Kosovo entro il 2015

Tuttavia, la grave mancanza di personale e soprattutto di fondi hanno ridotto notevolmente gli interventi che sarebbero stati necessari per garantire una maggiore integrazione di rom, ashkali ed egizi nella società kosovara, rimanendo dunque ancora ai suoi margini. Di fatto, il divario tra i diritti garantiti sulla carta e quelli che, invece, sono effettivamente rispettati è enorme.

La realtà

Le condizioni di vita di rom, ashkali ed egizi in Kosovo, difatti, appaiono notevolmente diverse da quelle degli altri cittadini. Se già queste non sono ottimali, come ad esempio per quanto riguarda il sistema sanitario, la disoccupazione e l’impossibilità di viaggiare liberamente, la comunità rom si trova in condizioni addirittura peggiori. L’accesso all’istruzione, alla sanità e al mondo del lavoro appare notevolmente più complesso per rom, askhali ed egizi, come sottolineato anche dalle organizzazioni internazionali che operano nel paese. A questo si aggiunge il fattore abitativo, giacché i membri di questa comunità sono spesso costretti a vivere in abitazioni fatiscenti e dove le condizioni igieniche non sono minimamente rispettate.

Le enormi difficoltà che rom, ashkali ed egizi incontrano nel trovare un posto di lavoro certamente non aiutano nel processo di integrazione di queste comunità. Il paese si trova già ad affrontare dei drammatici tassi di disoccupazione che, secondo la Banca Mondiale, si attestano al 25,7% per quanto riguarda quella generale e al 52,4% per quella giovanile. In questo contesto, il tasso di disoccupazione di rom, ashkali ed egizi è notevolmente più alto. Infatti, tra i rom il tasso di disoccupazione si attesta al 43%, quello degli ashkali al 37,7%mentre quello degli egizi al 30%. Questo è anche dovuto ai tassi di abbandono scolastico, che nel caso dei componenti della comunità rom raggiungono livelli molto elevati. Ancora più preoccupante risulta la condizione delle donne, basti pensare che solo l’1,2% delle donne rom completa la scuola secondaria e solo lo 0,4% ottiene una laurea universitaria. La discriminazione certamente non aiuta a favorire l’ingresso di rom, ashkali ed egizi nei luoghi di lavoro, persino in quelli pubblici. La televisione di stato kosovara, inoltre, non trasmette nulla che possa interessare direttamente la comunità, e non vi sono membri nel consiglio direttivo che siano rom, ashkali o egizi.

I motivi di tali discriminazioni risalgono anche al periodo della guerra. Secondo quanto riportato dalla Rosa Luxemburg Foundationi rom – all’epoca non ancora ufficialmente divisi tra di loro in tre gruppi distinti – venivano spesso usati dalle truppe militari e paramilitare serbe in azioni contro i civili albanesi [*]. Questo li ha spesso resi oggetto di discriminazione da parte degli albanesi e li ha sottoposti a vere e proprie vendette al termine della guerra. Il caso del quartiere Mahalla di Mitrovica è esemplificativo: questa zona abitata da rom, stretta tra il fiume Ibar e i serbi a nord e gli albanesi a sud, è stata quasi interamente raso al suolo negli anni seguenti la guerra, obbligando la comunità rom di Mitrovica a vivere in campi di fortuna, con condizioni igenico-sanitarie lontane dagli standard minimi per vivere.

Nonostante ciò, negli ultimi anni sono partiti alcuni progetti di integrazione locali, come nel caso del progetto pilota, voluto dal sindaco di Pristina Shpend Ahmeti, che ha coinvolto il quartiere di Dardania della capitale per sviluppare un’efficiente raccolta differenziata affidata a lavoratori appartenenti alla comunità rom. Proprio da questi pochi esempi positivi bisogna ripartire. Superare i pregiudizi, la memoria della guerra e favorire la collaborazione interetnica è l’unico modo per dare un futuro solido al Kosovo. Rom, ashkali ed egizi sono costretti ad affrontare la prova più complessa: la politica deve trovare la volontà e i mezzi per far sì che la loro inclusione sociale possa realizzarsi nel più breve tempo possibile.

 
[*] Modo diffamatorio per intendere che i Rom erano particolarmente attaccati alla statualità jugoslava ed ai diritti che da essa derivavano, oggi annientati (n.d.Jugocoord).
 
 
=== 2 ===
 
 
Kosovo, cresce la tensione tra Serbia e Kosovo albanese
 
di Enrico Vigna, 10 gennaio 2019

Negli ultimi mesi sono tornate a livelli preoccupanti e tese  le relazioni tra il governo serbo e le forze secessioniste del KosovoNATO  e di conseguenza le trattative relative alla situazione della provincia serba che si è auto separata, in particolare a causa della decisione di Pristina di aumentare provocatoriamente i dazi relativi alle importazioni di merci dalla Serbia, rendendoli di fatto impossibili da esortare. Questo sta causando una vera e propria situazione di indigenza dentro le enclavi del Kosmet, soprattutto per quanto riguarda alimenti e farmaci. Oltre a questo anche l’istituzione della Comunità dei Comuni Serbi del Kosovo (a cui intendono aderire anche altre minoranze locali, dai Rom ai Goranci, dai turchi agli egizi, ecc…), non ha ancora trovato alcuna attuazione concreta, anzi è completamente ignorata da Pristina.
Questa imposizione di nuove  tariffe di importazione vessatorie e fuori anche dalle norme UE, della CEFTA, tanto che, anche il capo delegazione UE in Serbia Sam Fabrici, ha pubblicamente chiesto a Pristina di abolirle immediatamente. In un intervista al giornale serbo Blic, ha detto che per far avanzare costruttivamente il dialogo tra le parti in Kosovo, è necessario:“…tenere conto degli interessi e delle preoccupazioni di tutte le comunità del Kosovo, degli abitanti e delle parti in questione locali, enti e organizzazioni, tra cui la Comunità dei Comuni Serbi (ZSO)…”.
I rappresentanti dei serbo kosovari stanno premendo sul governo di Belgrado perché adotti misure “forti” e dure contro queste misure che stanno affamando le enclavi. Alcuni chiedono nuovamente il ritorno dell’esercito serbo a garanzia dei loro diritti minimi di sopravvivenza.  
Il rappresentante russo alle Nazioni Unite V. Nebenzya ha espresso la preoccupazione della Russia per la situazione nella provincia, invitando l’ONU e la comunità internazionale a trovare soluzioni urgenti e immediate per evitare l’insorgere di nuovi conflitti e violenze e fermare crisi che potrebbero coinvolgere tutti.
Così si è espresso Nebenzya  in un intervista con Sputnik: “…- Dobbiamo evidenziare che il dialogo tra Belgrado e Pristina con la mediazione dell'UE sta attraversando ancora una profonda crisi. La prova di ciò è la mancanza di risultati tangibili dopo i contatti tra le due parti...
Non vi è,  di fatto alcun progresso verso il raggiungimento dell'obiettivo ambizioso di redigere un accordo globale sulla normalizzazione delle relazioni. Il principale svantaggio è che l'accordo chiave raggiunto in precedenza sull'istituzione della Comunità dei Comuni serbi in Kosovo non è stato raggiunto, ha sottolineato.
Sono passati quasi sei anni da quando è stato firmato questo accordo, ma il processo è stato sabotato da  Pristina, mentre la parte serba è stata coerente nel rispettare i suoi obblighi…
…Va invece sottolineata la posizione costruttiva di Belgrado e il desiderio della parte serba di cercare soluzioni reciprocamente accettabili…Al contrario Pristina ha risposto con pretese inaccettabili dei leader albanesi del Kosovo su vasti territori della Serbia meridionale…”.  Ha dichiarato Nebenzja.
 Anche l’Ambasciatore russo in Serbia A. Chepurin ha sottolineato che Mosca opera per risolvere il problema del Kosovo con mezzi politici nel quadro del dialogo tra Belgrado e Pristina, senza imporre scadenze artificiali, in profonda cooperazione e sintonia con la dirigenza serba.
Chepurin in un intervista al giornale alla RTS ha ribadito che la posizione della Russia si basa su un concetto di base  ineludibile, cioè che “… La soluzione del problema del Kosovo è possibile solo a condizione che la Serbia e i serbi lo accettino. È importante che questo sia un compromesso, non una soluzione imposta dall'esterno. Il nostro atteggiamento era lo stesso prima, rimane così ora e sarà lo stesso in futuro …”.
Circa l’incontro casuale tra Putin e Thaci a Parigi nella cerimonia legata all’anniversario della Prima guerra mondiale, ha dichiarato che nelle cerimonie internazionali ci sono decine e anche centinaia di fugaci contatti, ma non sono quelle, le occasioni dove si trattano  questioni gravi o essenziali.
“…Putin è un uomo educato. Ha salutato centinaia di persone che ha incontrato scambiando alcune parole con loro. In secondo luogo, Putin era lì come ospite… quella cerimonia è stata organizzata dai francesi, e hanno chiamato quelli che pensavano di dover chiamare, compresi i rappresentanti di uno stato non riconosciuto come il Kosovo…in quelle situazioni c'è un problema, perché di solito si pensa che gli ospiti agiscano culturalmente, silenziosamente e modestamente, ma vediamo che alcuni ospiti non lo fanno....Abbiamo visto la stessa situazione a New York, dove nei corridoi delle Nazioni Unite hanno fermato tutte le persone che passavano, cercando di parlare con essi...Il problema è che i rappresentanti di stati non riconosciuti “lo fanno per stabiliti motivi" in tali eventi che coinvolgono ospiti di alto livello, e il loro comportamento a volte crea seri problemi…". Ha detto Chepurin a RTS
Ha poi aggiunto che è ridicolo pensare che questo fortuito incontro possa in alcun modo influenzare le relazioni tra Serbia e Russia o l'atteggiamento della Russia verso lo status del Kosovo, che resta di veto alle NU riguardo il riconoscimento dell’indipendenza. 
Chepurin ha anche parlato della visita del presidente russo in Serbia a gennaio ( il 17),, dicendo che la data esatta non è stata ancora ufficialmente annunciata per vari motivi, ma che sarà a metà gennaio, sottolineando che questo sarà il terzo incontro dei due presidenti negli ultimi 10 mesi e che la cooperazione politica è ad un così alto livello che non ha precedenti.
Riguardo al Kosovo, Chepurin ha sottolineato che la posizione della Russia è molto chiara e netta,   è stata confermata più volte, ma che qualcuno cerca continuamente di rimestarla.
“…La posizione della Russia non è cambiata, e si riduce a quanto segue: sosteniamo che il problema sia risolto politicamente nel quadro del dialogo tra Belgrado e Pristina. Questa è la prima cosa. In secondo luogo, ogni dialogo deve avere le sue basi giuridiche e in questo caso non esiste altra base legale oltre alla risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, come unico quadro giuridico.
La terza cosa, abbiamo cognizione della posizione della Serbia. Ad esempio, nel quadro del processo di Bruxelles, ed era stabilito sei anni fa, la Serbia ha adempiuto a tutti gli impegni assunti. Il problema è che Pristina non ha adempiuto alcun obbligo fondamentale come la formazione di uno ZSO (Comunità dei Comuni Serbi del Kosovo). Abbiamo anche visto tentativi di creare un esercito del Kosovo, con soldati nel nord del Kosovo…non è possibile condurre trattative, se una delle parti non adempie ai propri obblighi e responsabilità, in questo caso è Pristina, ma anche l’atteggiamento dei mediatori, che noi riterremo coresponsabili per l'adempimento di quegli impegni presi… ".
 
 
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Su questo stesso argomento si vedano anche:
 
KOSOVO: MADAGASCAR EST LA 12E NATION À RETIRER SA RECONNAISSANCE (7 DÉC. 2018, PAR STANTOR / BLOG : MIROIR DE NOTRE TEMPS)
https://blogs.mediapart.fr/stantor/blog/071218/kosovo-madagascar-est-la-12e-nation-retirer-sa-reconnaissance
Madagascar, selon les informations extraites des médias serbes, a retiré ce jour sa reconnaissance à la république autoproclamée du Kosovo. C'est la 12ème nation à retirer sa reconnaissance octroyée initialement en 2008.
 
MADAGASKAR POVUKAO PRIZNANJE KOSOVA (TANJUG, 7.12.2018.)
Republika Madagaskar obavestila je Ministarstvo spoljnih poslova Srbije da je povukla odluku o priznanju Kosova... 
https://www.b92.net/info/vesti/index.php?yyyy=2018&mm=12&dd=07&nav_category=11&nav_id=1479021
 
KOSOVO: LE FIASCO DE LA RECONNAISSANCE, LES ILES SALOMON RETIRENT LEUR RECONNAISSANCE (2 DÉC. 2018, PAR STANTOR / BLOG : MIROIR DE NOTRE TEMPS)
Après les 10 pays membres de l'ONU ayant déjà annulé leur reconnaissance du Kosovo comme pays indépendant et souverain, originellement concédée en 2008, les Iles Salomon sont la 11ème nation à retirer leur reconnaissance. Un camouflet pour l'OTAN, et particulièrement pour la France, la Grande-Bretagne et les USA qui lorgnent avec envie sur les ressources minières de cette province de Serbie...
 
SOLOMONSKA OSTRVA POVUKLA PRIZNANJE KOSOVA (02. 12. 2018. )
Solomonska Ostrva povukla su priznanje nezavisnosti Kosova.Ta država u Okeaniji pisanim putem obavestila je kosovsko ministarstvo spoljnih poslova da povlači priznanje Kosova...
 
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ORIG.: De-Recognition of Kosovo: US Tries to Stem the Tide
 
 
 
Disconoscimento del Kosovo: gli Stati Uniti cercano di arginare la marea
Wayne Madsen SCF 02.12.2018
 

La comunità internazionale è abituata alla cosiddetta “diplomazia del libretto degli assegni” utilizzata da Cina e Taiwan per raccogliere i reciproci alleati diplomatici scambiandosi il riconoscimento diplomatico con generosi pacchetti di assistenza finanziaria. Tuttavia, questa stessa battaglia per il riconoscimento e il de-riconoscimento diplomatico si gioca tra la Serbia e la sua provincia separatista del Kosovo. Gli Stati Uniti e gran parte della NATO non solo hanno concesso il riconoscimento diplomatico del Kosovo contro l’obiezione della Serbia, ma hanno anche fatto pressioni su altri Paesi per riconoscerne l’indipendenza. Tale processo ha incontrato un grosso ostacolo nelle accuse delle varie parti che emettono false lettere e proclami diplomatici da parte di nazioni che dichiarano di de-riconoscere il Kosovo. Il mondo della diplomazia internazionale e quello delle “false notizie” si sono ora riuniti.
L’amministrazione di Donald Trump, che ogni giorno ha sempre più tonalità neoconservatrice, con John Bolton che dirige il Consiglio di sicurezza nazionale e Richard Grenell che erode il gradimento diplomatico a Berlino come ambasciatore degli Stati Uniti, monetizza il riconoscimento diplomatico in un modo che avrebbe messo in imbarazzo i diplomatici dei libretti degli assegni di Pechino e Taipei. Mentre il ministro degli Esteri serbo, Ivica Dacic, fa il suo giro diplomatico, convincendo i ministeri degli esteri di tutto il mondo a disconoscere il Kosovo, il ministro degli Esteri del Kosovo, Behgjet Pacolli, faceva appelli nervosi alle capitali mondiali chiedendogli di chiarire o rovesciare il ritiro del riconoscimento. Se ciò non funziona, le autorità della capitale del Kosovo di Pristina si affideranno ai “fratelli maggiori” della NATO, Stati Uniti e Regno Unito, per intercedere a loro nome. Tale ping-pong diplomatico ha anche influito sul riconoscimento internazionale della Repubblica democratica araba sahariana, Sahara occidentale, con la sua potenza occupante il Marocco, disposto a costringere le nazioni a non riconoscere l’indipendenza del territorio che considera sua provincia. Ipocriticamente, mentre Washington e Londra insistono sul fatto che le nazioni che avevano riconosciuto il Kosovo mantengono tale politica, sono più che disponibili a permettere al Marocco di fare pressione sulle nazioni a tagliare i legami diplomatici col governo del Sahara occidentale, aderente a pieno titolo dell’Unione Africana. Ironia della sorte, mentre il Marocco cerca di convincere le nazioni a discconoscere la Repubblica Sahrawi, negava il riconoscimento del Kosovo perché non vuole dare credito al riconoscimento degli Stati separatisti. La differenza è che la Serbia considera il Kosovo una provincia ribelle che ha dichiarato unilateralmente l’indipendenza in violazione del diritto internazionale, mentre il Sahara occidentale non è mai stata parte legale del Marocco. Prima del 1975, il Sahara Occidentale era una colonia della Spagna.
Il Kosovo non è membro delle Nazioni Unite e molte agenzie specializzate. L’opposizione di grandi nazioni come Russia e Cina ed influenti nell’Unione Europea come Spagna e Grecia l’hanno escluso dalle Nazioni Unite e organizzazioni come Organizzazione Mondiale della Sanità e Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (UNESCO). Il Kosovo è riuscito a far parte della FIFA e del Comitato Olimpico Internazionale (IOC), grazie alle pesanti pressioni da parte di Washington, Londra e Berlino. Alla fine del 2017, la Serbia ebbe qualche successo iniziale nel convincere le nazioni a disconoscere il Kosovo. Tra le prime vi furono Suriname e Guinea-Bissau. All’inizio del 2018, il Burundi seguì l’esempio, raggiunto dalla Liberia. Questa notizia provocò duelli sui comunicati diplomatici da Belgrado, Pristina e diverse capitali mondiali. Nel giugno 2018, il ministro degli Esteri liberiano Gbehzohngar Milton Findley annunciava che il suo Paese ritirava il riconoscimento del Kosovo e dichiarava di aver riconosciuto il Kosovo come “provincia serba del Kosovo e Metohija”. Da Pristina, Pacolli rispose affermando di aver parlato con persone del governo liberiano che negavano il riconoscimento del Kosovo. Copiando Trump, Pacolli definiva l’annuncio di Belgrado “false notizie”. Ma il ministro degli Esteri Findley non era un finto ministro e sembrava parlare a nome del governo di Monrovia. Quello che successe dopo fu una scena da operetta di Gilbert e Sullivan. Pacolli volò a Monrovia incontrando il presidente George Weah, l’ex-calciatore che, secondo fonti del Kosovo, promise un’amichevole partita di calcio tra Liberia e Kosovo e promise di aprire un’ambasciata della Liberia a Pristina. Apparentemente, Washington e Londra, che continuano a sostenere il governo problematico del Kosovo, nazione che ospita diverse mafie, fece pressione su Monrovia per invertire la decisione sul riconoscimento del Kosovo. La confusione regna ancora sul fatto che la Liberia riconosca o meno il Kosovo. Una cosa è certa, alcuna ambasciata liberiana è stata aperta a Pristina. A prescindere da ciò che accadde nell’incontro tra Pacolli e Weah, all’inizio del novembre 2018, la Liberia, così come Papua Nuova Guinea, Dominica, São Tomé e Príncipe, Grenada, Lesotho, Comore e Guinea-Bissau ufficialmente ritiravano il riconoscimento del Kosovo. Il Kosovo affermò che anche il micro-Stato del Sovrano Militare Ordine di Malta (SMOM), che ha sede a Roma e aveva riconosciuto diplomaticamente il Kosovo. Tuttavia, lo SMOM lo negava.
Quando il Suriname disconobbe il Kosovo nel 2017, le autorità di Pristina dichiararono, sbagliando, che “nel diritto internazionale non esiste il concetto di revoca del riconoscimento”. Non è certo quale legge internazionale il Kosovo si riferisse, ma ritirare o negare il riconoscimento all’indipendenza di una nazione avviene in ogni momento. Taiwan l’ha subito, così come Repubblica Popolare Cinese, Repubblica Democratica Araba Saharawi, Israele, Palestina, Repubblica Popolare Democratica di Corea, Repubblica Turca di Cipro Nord, Abkhazia e Ossezia del Sud. Il crollo di alcuni Stati-nazione portava anche al ritiro del riconoscimento da parte di altre nazioni. Questo fu il caso di Repubblica del (Sud) Vietnam, Repubblica del Vietnam del Sud (Viet Cong), Repubblica Democratica Tedesca, Biafra, Sultanato di Zanzibar, Repubblica Popolare di Zanzibar e Pemba, Sikkim, Tibet, Canato di Kalat, Regno di Sarawak, Repubblica popolare di Kampuchea, Repubblica democratica dello Yemen, Repubblica popolare di Tannu Tuva, Transkei, Bophuthatswana, Venda, Ciskei, Gazankulu, Rhodesia, Repubblica democratica finlandese, Neutral Moresnet, Città libera di Danzica, Città libera di Trieste, Tangeri International Zone e Manchukuo. Nella categoria del limbo ci sono i riconoscimenti dell’indipendenza del Kosovo da parte della “Repubblica di Cina” di Taiwan e di due Stati associati alla Nuova Zelanda, Isole Cook e Niue. Il Kosovo non ricambiava il riconoscimento di Taiwan perché vuole essere anche riconosciuto dalla Cina. A quanto pare Niue e Isole Cook non sapevano di aver riconosciuto il Kosovo, poiché l’annuncio proveniva solo dalle autorità di Pristina. Oltre a Stati Uniti e Regno Unito, la Turchia opera per estendere il riconoscimento al Kosovo da nazioni che non l’hanno mai riconosciuto o l’hanno disconosciuto.
La battaglia diplomatica tra Serbia e Kosovo continua in tutto il mondo. Nel maggio 2018, il Kosovo fu allarmato da un annuncio a Belgrado del presidente del parlamento del Ghana Aaron Mike Oquaye, che raccomandava a presidente e ministro degli Esteri del Ghana di non riconoscere il Kosovo. Oquaye parlò con affetto dei legami storici tra Ghana ed ex-Jugoslavia animati dalla stretta cooperazione tra il Presidente Josip Tito e il primo Presidente del Ghana Kwame Nkrumah, nel Movimento dei Non Allineati. La Serbia afferma che il Kosovo sostiene falsamente che meno di una decina di nazioni riconosce Pristina. Belgrado afferma che il Kosovo si limita a creare rapporti diplomatici con altre nazioni.

Benvenuti nel mondo post-fattuale dove non solo “notizie false” ma “finte relazioni diplomatiche” sono il nuovo protocollo.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

 
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Su questo stesso argomento si vedano anche, in ordine cronologico inverso:
 
KOSOVO: IL PARLAMENTO APPROVA LA NASCITA DELL’ESERCITO, CRESCE LA TENSIONE CON BELGRADO (Riccardo Celeghini, 17.12.2018)
Venerdì 14 dicembre il parlamento di Pristina ha approvato tre disegni di legge che aprono la strada alla nascita dell’esercito del Kosovo. I documenti sottoposti al voto, difatti, ampliano sostanzialmente le competenze della Kosovo Security Force (KSF), l’attuale forza di sicurezza presente nel paese, ponendo le basi legali per la nascita di un vero e proprio esercito... Da questo momento, la KSF diventa una forza militare che ha il compito di difendere la sovranità e l’integrità territoriale del Kosovo, autorizzata all’uso della forza. La KSF sarà composta da 5.000 unità e 3.000 riservisti, e potrà operare all’estero nell’ambito di missioni internazionali... La comunità internazionale, dal canto suo, non si è espressa in modo unanime. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna si sono schierati al fianco di Pristina, riconoscendo al Kosovo il diritto di dotarsi di un proprio esercito ed assicurando un pieno supporto, mentre alti paesi, come la Francia, si sono limitati a prendere atto della decisione...
 
OD OVOGA SRBI STRAHUJU! TAČI U UNIFORMI U KASARNI KOJA NOSI IME NAJPOZNATIJEG TERORISTE: OSTALO JE PAR SATI DO MNOGO OČEKIVANOG TRENUTKA (FOTO) (13. decembar 2018)
 
[Una colonna di 45 camion della KFOR è entrata sul territorio del nord di Kosovo e Metohia. Trasportano materiale per il blocco e la costruzione di barriere]
KOLONA OD 45 VOZILA KFOR-A UŠLA NA SEVER KOSOVA! NOSE OPREMU ZA BLOKADE I PRAVLJENJE BARIJERA (VIDEO) (13. decembar 2018)
 
ALLARME ROSSO IN KOSOVO. I GUERRIERI DI IERI COSTITUISCONO L’ESERCITO DI OGGI (di Alberto Tarozzi, 14/12/2018)
... La Nato non aveva sollevato obiezioni di principio. Si era però rifugiata in una formula che le permetteva di esprimere parere sfavorevole adducendo l’intempestività dell’operazione. E comunque gli Stati Uniti avevano mantenuto una posizione di sostegno agli oltranzisti di Pristina...
 
SERBIAN PM SAYS ARMED INTERVENTION AN OPTION IF KOSOVO FORMS ARMY (RT, 5 Dec, 2018)
Serbia’s Prime Minister Ana Brnabic has warned that the formation of a Kosovan army could trigger Serbia’s armed intervention, AP reported. In the bluntest warning so far, amid rising tensions between Serbia and Kosovo, Brnabic said on Wednesday that she hopes “we won’t ever have to use our army, but that is currently one of the options on the table.”Kosovo’s parliament is preparing to vote December 14 on transforming the security forces into a regular army. Serbian officials claim the army would be used to chase the Serb minority out of Kosovo – something repeatedly denied by officials in Pristina. Serbia does not recognize independence declared by Kosovo in 2008. NATO-led peacekeepers are stationed in Kosovo.
 
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[USA garantiscono al nascituro "Esercito del Kosovo" forniture di armi per 300 milioni di euro]
 
 
SAD kosovskim Albancima dozvolile stvaranje vojske i kupnju oružja za 300 milijuna eura
28/10/2018    SAŠA. F. 
 

U sljedeće tri godine će vlasti u Prištini, sjedištu samoproglašene “Republike Kosovo”, kupiti oružje vrijedno 300 milijuna eura za vlastitu vojsku.

Planovi za kupnju oružja su objavljeni su ubrzo nakon usvajanja zakona o uspostavi vojske Kosova koja će se sastojati od 5000 vojnika i navodno će biti “multinacionalna”.

Početkom listopada je američko veleposlanstvo u Prištini priopćilo kako  kosovski Albanci imaju podršku Washingtona u ideji stvaranja “multinacionalne profesionalne vojske prema standardima NATO pakta, ali s ograničenim mandatom”.

Nakon toga je 18. listopada parlament u Prištini podržao prethodnu odluku vlade o formiranju punopravne vojske, a temelj ovih oružanih snaga bit će postojeće Snage sigurnosti Kosova.

Od prisutna 102 zastupnika u parlamentu, 101 je glasao je za stvaranje Ministarstva obrane na Kosova, prenosi Gazeta Express, te dodaje kako su predstavnici manjinske stranke “Srpska lista”napustili dvoranu parlamenta u Prištini.

Prema postojećem ustavu Kosova,  vojska kosovskih Albanaca, koja će zbog formalnog “multinacionalnog” karaktera imati nekoliko pripadnika zajednice Srba, Roma, Bošnjaka i drugih manjina, može se stvoriti izmjenom ustava uz suglasnost najmanje dvije trećine od 120 zastupnika.

Kosovske vlasti su 2017. godine donošenjem zakona o proširenju ovlasti Sigurnosnih snaga iste pokušale transformirati u vojsku, ali su se suočile s otporom i zabranom ne samo međunarodne zajednice, nego i Sjedinjenih Država, koje iz baze “Bondsteel” i svog veleposlanstva u Prištini upravljaju Kosovom kao svojim protektoratom.

Kao što smo rekli, početkom listopada SAD odjednom mijenjaju stav i američko veleposlanstvo u Prištini vlastima Kosova daju “zeleno svjetlo” za uspostavu vojske i Ministarstva obrane.

Odobrenje Sjedinjenih Država dolazi neposredno nakon odluke u rujnu ove godine premijera Haradinaja i kabineta ministara samoproglašenog  Kosova da se odobri formiranje vojske i preustroj u oružane snage postojećih Snaga sigurnosti.

U sigurnosnom smislu ovo znači dodatno zaoštravanje odnosa na uzavrelom jugu Balkana, gdje se spore Makedonija i Grčka, Srbija i Kosovo, kojeg podržava susjedna Albanija, gdje Makedoniju i Crnu Goru razdiru etničke i druge odjele, a susjedna Bosna i Hercegovina je nakon nedavno održanih izbora ušla u razdoblje institucionalne krize, budući da Hrvati kao konstitutivni narod za svog člana Predsjedništva ne priznaju Željka Komšića, izabranog uglavnom glasovima Bošnjaka.

“Zeleno svjetlo” američke uprave Prištini da može stvoriti vlastitu vojsku, što je radikalan zaokret u odnosu na ranije politike, dodatno će zakomplicirati ionako složene odnose na jugu regije. Čini se da aktualna američka uprava želi zacementirati silom nametnuti okvir, koji dugoročno definitivno nije održiv.

Osim toga, kosovski presedan je u samo deset godina poslužio kao pravni temelj za slične odluke u Južnoj Osetiji, Abhaziji, Iračkom Kurdistanu, na Krimu i Kataloniji. Međutim, na drugim su mjestima barem provedeni referendumi o samoodređenju, neki uspješno, a neki ne. Koliko dugo Makedonija može izbjegavati sličan scenarij? Kojim će putom poći Bosna i Hercegovina, koja jedva preživljava u “luđačkoj košulji” Daytonskog sporazuma, ali je još uvijek država s dva entiteta i tri konstitutivna naroda?

Nije važno tko će se još pozvati na ovaj presedan, ali se već sada može pretpostaviti da će Amerikanci i Europljani, ako im ne ide u prilog, tada na sav glas grmjeti kako je to bijedno i jadno, ili će podržati taj proces, ako je u njihovom interesu.

Davanje legitimiteta sili i kršenje sporazuma i Rezolucije Vijeća sigurnosti Ujedinjenih naroda, prema kojoj Kosovo ne može imati vojsku, SAD ne da narušavaju krhki mir između Srba i Albanaca, nego stvaraju preduvjete za napetosti u cijeloj regiji koje lako mogu prerasti u otvorene sukobe.

 

[[ https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8984 ]]

(srpskohrvatski / deutsch / italiano)
 
Segnalazioni iniziative
 
BEOGRAD 16/1: Izložba „Deca Donbasa“ u galeriji „Kvaka“
BERLIN 16/1: Klaus Hartmann über 20 Jahre nach dem NATO-Überfall auf Jugoslawien
BOLOGNA 18/1: No al revisionismo di Gianfranco Stella. Presidio
GORIZIA 19/1: Manifestazione contro il ricevimento dei reduci della Decima Mas
SULMONA (AQ) 25/1: Visita all’ex Campo di concentramento di Fonte d’Amore
 
 
Siehe auch:
Bericht von der Abschlußveranstaltung des „Torre“ Wettbewerbs (Milano 1/12/2018)
 
Segnaliamo anche le reazioni alla iniziativa, che si è tenuta a Trieste con grande successo di pubblico lo scorso 8/1 per presentare il nuovo libro di Claudia Cernigoi "Operazione Plutone":
Servizio di Tele Capodistria
https://capodistria.rtvslo.si/archivio/tuttoggi/174587711
Articolo diffamatorio del postneofascista Fausto Biloslavo
http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/che-foibe-sono-montatura-1626132.html
Insulti dell'assessore Lorenzo Giorgi 
https://www.facebook.com/lorenzo.giorgi/posts/10156715496965482 
 
 
=== BEOGRAD 16/1
 
[Inaugurazione a Belgrado di una mostra sui bambini del Donbass, alla presenza di Andrej Kočetov, sindacalista di Lugansk noto ai compagni italiani per l'organizzazione delle "carovane antifasciste" della Banda Bassotti]
 
 
Izložba „Deca Donbasa“ u galeriji „Kvaka“ u Beogradu
 
Sputnik / Irina Geraщenko 12.01.2019

Izložba fotografija Irine Laškevič i Dena Levija pod nazivom „Deca Donbasa“ biće otvorena 16. januara u 19 časova u galeriji „Kvaka 22“, u Ruzveltovoj 39, u Beogradu i trajaće do kraja januara.
 
Na toj izložbi su predstavljene crno-bele fotografije, portreti sedamdesetoro dece koja su preživela bombardovanja u zonama Donbasa, tokom tri godine. U njima je ubijeno više od 200 dece, a njih 500 je ranjeno. Te fotografije nisu samo portreti dece, ti portreti su poruka, stoji u saopštenju.
„Ideja projekta se rodila davno, 2014. godine. Iza Irine Laškevič i Dena Levija su stotine prepešačenih kilometara, na prvoj liniji, pod stalnom artiljerijskom i puščanom vatrom po celoj teritoriji Donbasa. Decu, koja su preko noći odrasla, stalno su sretali. Svi su nastojali da raščiste ruševine, odrasli su ridali pred kamerom, pričajući o svojoj nesreći, a kraj njih su uvek stajala deca, koja su se vrlo ozbiljno odnosila prema njihovoj molbi da ih fotografišu. Verovala su da mogu uticati na one koji svakog dana pucaju na njih“, saopšteno je povodom otvaranja izložbe.
Irina Laškevič je po obrazovanju arhitekta. Od 2014. godine živi u Donjecku i radi kao ratni dopisnik i fotoreporter. Autor je nekoliko dokumentarnih filmova. Stalni je saradnik Anatolija Šarija, jednog od najpopularnijih ruskih blogera. Den Levi (pravo ime Danil Bogdan) je rođen u Donbasu. U Donjecku je radio od 2015. do 2017, a sada živi i radi u Moskvi kao fotograf i video montažer.
Izložbu fotografija „Deca Donbasa“ Irine Laškevič i Dena Levija će otvoriti Andrej Kočetov, sindikalni lider iz Luganska, pukovnik Ljubinko Đurković, komandant odbrane Košara, koji je nedavno posetio Donbas, i dečiji vokalni ansambl Blagodar. U saradnji sa galerijom „Kvaka 22“, izložbu je organizovala likovna umetnica Snežana Vujović Nikolić.
 
 
=== BERLIN 16/1
 
 
Berlin 16.01.2019: 20 Jahre nach dem NATO-Überfall auf Jugoslawien 

Einladung

Vortrag von Klaus Hartmann
(Bundesvorsitzender des Deutschen Freidenker-Verbandes)

20 Jahre nach dem NATO-Überfall auf Jugoslawien –
Die neokoloniale Neuaufteilung der Welt und der Kampf für die multipolare Weltordnung

Mittwoch, 16. Januar 2019, 18.00 Uhr 
ND-Gebäude, Franz-Mehring-Platz 1, 10243 Berlin
In welchem der Seminarräume die Veranstaltung stattfindet, wird auf der Tafel an der Pforte angegeben

In Wort und Tat hat der Nordatlantikpakt widerlegt, ein „Verteidigungsbündnis“ zu sein. Der Überfall auf Jugoslawien am 24. März 1999 war ein völkerrechtswidriger Aggressionskrieg – ohne UN-Mandat, ohne „Bündnisfall“, außerhalb des Bündnisgebiets. Bei ihrem Jubiläumsgipfel am 24. April 1999 ermächtigte sich die NATO im neuen Strategischen Konzept zu solchen Kriegen „außerhalb der Charta“, also unter Verstoß gegen sie.
Die Aggression gegen Jugoslawien diente als Vorlage für die völlige Entgrenzung der NATO-Kriegsmaschine und für die Umwandlung in ein international agierendes Aggressionsbündnis.
Mit dem Putsch in der Ukraine 2014 und dem Vorrücken der NATO direkt an die russische Westgrenze wird eine Zuspitzung der unmittelbaren Konfrontation betrieben.
Wer hofft, durch die NATO-Mitgliedschaft werde der deutsche Imperialismus gewissermaßen gezähmt, verkennt die Realität. Der deutschen Bourgeoisie dient die NATO als Instrument, um seine militärischen Kräfte auszuweiten. Deutschland hat seit 1999 alle US- und NATO-Aggressionskriege unterstützt.
Der Austritt Deutschlands aus der NATO bedeutet eine entscheidende Schwächung aller Kriegstreiber und Militaristen; nicht zuletzt in der deutschen Bourgeoisie.
Durch Kündigung des Abkommens über den Aufenthalt ausländischer Streitkräfte in Deutschland wird man die Kriegsdrehscheibe Air Base Ramstein mit der Befehlszentrale des Aegis-Raketensystems los, die 40 US-Stationierungsorte wie Kalkar, Wiesbaden-Erbenheim und Grafenwöhr, das US-European und das Africa-Command in Stuttgart sowie die Atomwaffen in Büchel. Die Kündigungsfrist beträgt nur zwei Jahre.

Flyer zur Veranstaltung im PDF-Format ansehen oder herunterladen: https://www.freidenker.org/fw17/wp-content/uploads/2019/01/Vortrag_Hartmann_Berlin_2019-01.pdf
 
 
=== BOLOGNA 18/1
 
No al revisionismo
Venerdì 18 presidio a Bologna
Gentilissimi,
vi informiamo che venerdì 18 gennaio, dalle ore 17 alle ore 20, faremo un presidio con la distribuzione di volantini in via Santo Stefano 119 presso l’edificio del Quartiere Santo Stefano di Bologna, in occasione della presentazione del libro di Gianfranco Stella “Compagno Mitra”.
Poiché riteniamo che il volume non sia né un saggio storico e né rispetti i crismi della ricerca scientifica, ma sia chiaramente un’operazione politica volta a gettare fango e offendere la storia e la memoria della Resistenza e dell’antifascismo bolognese e italiano, vi invitiamo calorosamente a partecipare al presidio per diffondere il nostro pensiero e sottolineare il nostro dissenso.
Cordialmente
Anna Cocchi (ANPI prov. Bologna)
 
 
=== GORIZIA 19/1
 
ANPI in piazza contro l'ennesima provocazione.

Il 19 gennaio alle ore 10 a Gorizia
 ANPI chiama tutti gli antifascisti e i democratici alla manifestazione indetta per protestare contro il ricevimento dei reduci della Decima Mas da parte dell'amministrazione comunale della città. Nonostante le proteste, i presidi, le denunce dopo la gazzarra di inni e saluti romani dell'anno scorso, il sindaco accoglierà comunque gli eredi di coloro che hanno combattuto in queste terre agli ordini dei nazisti. La Decima non ha difeso affatto l'italianità della città, in quanto totalmente sottoposta agli ordini dei tedeschi. Quest anno inoltre il questore ha impedito ad ANPI il presidio davanti al comune, autorizzando contemporaneamente in altra piazza un raduno di Casa Pound. Purtroppo ancora una volta le autorità non si rendono conto che la presenza in Comune dei seguaci del golpista Junio Valerio Borghese è una inaccettabile provocazione così come equiparare chi si batte in difesa della Costituzione ai fascisti del terzo millennio. Partecipate dunque numerosi in piazza
 
 
 
=== SULMONA (AQ) 25/1
 
LETTERA-INVITO ALLE ISTITUZIONI, AGLI ISTITUTI SCOLASTICI E ALLA CITTADINANZA TUTTA.

Venerdì 25 gennaio 2019: Visita all’ex Campo di concentramento per prigionieri di guerra n. 78 di Fonte d’Amore, Sulmona

In ricordo degli ebrei internati in Abruzzo e dei deportati di Sulmona al campo di sterminio di Dachau.

Il 27 gennaio è il giorno della commemorazione della Shoah, la memoria dell’Olocausto, il genocidio perpetrato dai nazisti nei confronti degli ebrei e di tutti coloro che erano ritenuti “indesiderabili” dal regime, principalmente a causa dell’ “origine razziale”, dell’orientamento politico e religioso. L’Abruzzo fu luogo di confino e internamento per ebrei, palestinesi, siriani, cittadini stranieri dei Paesi Alleati e antifascisti, oltre a essere sede di importanti campi di concentramento per prigionieri di guerra. Così Sulmona.
Una mattina di ottobre del 1943, i soldati tedeschi irruppero nel carcere dell’Abbazia di Santo Spirito al Morrone e deportarono circa 400 detenuti nel campo di sterminio di Dachau, con la collaborazione dei fascisti e delle autorità locali. Da qui, poi, i deportati furono trasferiti negli altri campi dell’universo concentrazionario tedesco. Molti di loro non fecero mai più ritorno a casa. La maggior parte di loro, tra cui due giovanissimi ragazzi di Roccacasale, Erminio Spadino e Michele Scarpone, fu eliminata con il gas.
A Sulmona, diversi ebrei furono nascosti dalla popolazione e in questo modo riuscirono a sfuggire ai pericolosi rastrellamenti nazisti e fascisti. Tra loro la famiglia Fuà. Oscar, uno dei componenti più giovani, si arruolò tra i patrioti della Brigata Maiella con l’obiettivo di contribuire alla liberazione d’Italia. Dopo pochi mesi, il 4 dicembre 1944, fu ucciso in battaglia a Brisighella, in provincia di Ravenna. 
A Scanno, si nascose con la madre l’ebreo Beniamino Sadun, aiutato dall’amico Carlo Azeglio Ciampi, futuro Presidente della Repubblica, che a riguardo scrisse: “Io qui passai alcuni mesi con alcuni amici, in particolare con un amico ebreo, un vecchio amico livornese”. (cfr. E si divisero il pane che non c’era, Liceo Statale Fermi di Sulmona, Sulmona, 1995). 
A Pizzoli, in provincia di L’Aquila, fu confinato l’ebreo Leone Ginzburg, con la moglie Natalia, e i figli. Morì nel carcere di Regina Coeli, a Roma, il mattino del 5 febbraio 1944. 
A Navelli, paese dell’Aquilano, si rifugiò la famiglia Fleischmann, con padre internato perché ebreo. Uno dei componenti, allora ragazzo, ne raccolse la storia in un libro autobiografico dal titolo Un ragazzo ebreo nelle retrovie, La Giuntina, Firenze, 1999.
A Montereale e in altre città abruzzesi, fu confinata la famiglia Pirani. 
Ad Atessa, trovò accoglienza e nascondimento, la famiglia Finzi Contini. Il figlio Giovanni, divenuto ingegnere, ricordò la permanenza in Abruzzo, con queste parole: “Un legame come tra madre e figlio”. 
A Casoli, ci fu uno dei più importanti e famosi campi di internamento per ebrei, al Palazzo Tilli. Oggi è uno tra i campi più documentati in Abruzzo. 
A Lanciano c’era un campo di internamento femminile. La testimonianza più preziosa è quella di Maria Moldawer, un’ebrea polacca, sposata Eisenstein, nel libro L’internata numero 6, Mimesis, Milano 2015. Maria riuscì a salvarsi fuggendo in America. 
Si tratta di un elenco provvisorio; un punto di partenza per conoscere i protagonisti di queste storie, approfondirle, custodirne la memoria e cercare di coglierne gli insegnamenti.

L’appuntamento è per venerdì 25 gennaio 2019, a partire dalle ore 09.30, all’ex Campo di concentramento per prigionieri di guerra in località Fonte d’Amore, Sulmona.

Ass. Il Sentiero della Libertà/Freedom Trail
Ass. TerraAdriatica
Ass. Una fondazione per il Morrone
 
 
[Sui prigionieri jugoslavi di Fonte d'Amore e della limitrofa prigione della Badia ricordiamo la documentazione ai link: