Informazione

(english / italiano)

NO NED


--- SEGNALAZIONE INIZIATIVA:

Data: Wed, 17 May 2006 00:40:00 +0200
Da: "CONTROPIANO" <cpiano @ tiscali.it>
Oggetto: Dibattito con Gianni Minà il 19 maggio a Roma (La Villetta)

Le eredità del "Che".
Quali sorprese ci riservano ancora la Cuba di Fidel, il Venezuela di
Chavez, la Bolivia di Morales?

Comunicato stampa

Venerdi 19 maggio a Roma, alle 17.30, presso l'Associazione "La
Villetta" (via degli Armatori 3), Gianni Minà presenterà l'ultimo
numero della rivista "Latinoamerica" ,contenente tra l'altro uno
speciale dedicato al Che, servizi sulla Bolivia di Evo Morales e la
denuncia di due studiosi statunitensi (W. Smith e B. Jackson) sulle
attività del NED (National Endowment for Democracy) l'agenzia creata
e utilizzata dai servizi segreti statunitensi per "esportare la
democrazia" e che Emma Bonino vorrebbe importare anche in Italia.
Insieme a Gianni Minà ci saranno la direttrice della rivista
Alessandra Riccio e il nuovo ambasciatore di Cuba in Italia Rodney
Lopez.
La serata organizzata dall'Associazione di solidarietà con Cuba "La
Villetta" servirà anche a rilanciare in Italia la campagna
internazionale per la liberazione dei Cinque patrioti cubani
incarcerati negli Stati Uniti per aver svelato al FBI l'esistenza di
una rete terroristica anticubana a Miami.
Verrà inoltre proiettato il film "I diari della motocicletta" e ci
sarà una cena sociale.

per informazioni: tel 065110757 oppure 3386984415


--- SEGNALAZIONE LINK: http://www.iefd.org/

Compagni statunitensi ci segnalano la creazione di una struttura -
International Endowement for Democracy (IED) - che "rifà il verso"
all'agenzia statunitense NED invertendone gli obiettivi: cercando
cioè di portare la democrazia nel paese che ne ha più bisogno di
tutti, gli Stati Uniti d'America. Il sito http://www.iefd.org/
contiene eccezionale documentazione che smaschera compiti e pratiche
reali della NED.

---

From: michael parenti
Subject: International Endowement for Democracy
Date: May 1, 2006 9:09:19 AM GMT+02:00

Dear Friends

Bertell Ollman has started the International Endowement for Democracy
(IED). It tries to reverse the ill-doings of the federally funded
National Endowement For Democracy which spends money in other
countries to bring them the trappings of democracy---along with free
market privatization, globalization, murderous coups, and wars.

The IED is trying to do the opposite. It is appealing to people in
other countries to help us bring democracy to the United States where
it is most needed and where a more democratic governance would have
crucial salutory effects upon the entire globe.

At Bertell's request, and as a member of the IED board, I am sending
along this information about the IED for your consideration. You can
access it at http://www.iefd.org/?r=r01.

kind regards,
Michael Parenti

---

http://www.iefd.org/lang/it01.php

Appello Urgente Al Popolo Del Mondo

Dalla

Fondazione Internazionale per la Democrazia (F.I.D.).

The International Endowment for Democracy, una nuova fondazione senza
fini di lucro il cui consiglio d’amministrazione include Howard Zinn
(il più noto teorico radicale americano), Mumia Abu-Jamal (il più
famoso prigioniero politico americano), Gore Vidal (il principale
romanziere e saggista progressista americano), Ramsey Clark (il primo
avvocato del mondo nella difesa dei diritti umani), Barbara Foley
(presidentessa dell’Alleanza della Sinistra, il sindacato dei
progressisti accademici), Immanuel Wallerstein (ex-presidente
dell’Associazione Sociologica Internazionale), Michael Ratner
(presidente del Centro per i Diritti Costituzionali e ex-presidente
della Lawyers’ Guild), David Harvey (il geografo più citato del
mondo), il compianto Harry Magdoff (co-redattore "fino alla sua morte
il primo gennaio del 2006" della più importante rivista teorica
marxista americana, Monthly Review), e altri 24 studiosi, avvocati e
attivisti progressisti americani).

PREAMBOLO
Domanda:

In che maniera il paese che ha appena fatto l’esperienza di due
elezioni presidenziali rubate si compiace caratterizzarsi?

Risposta:

"La più Grande Democrazia del Mondo".

Domanda:

In che maniera il governo illegittimo di questo paese descrive il suo
modo di sottoporre i popoli del mondo intero alla sua dominazione
qualunque sia il costo a questi ultimi ed al loro ambiente attraverso
una varietà di mezzi militari, economici e culturali?

Risposta:

"Costruzione Democratica Nazionale" o "Promozione della Democrazia".

Domanda:

Che nome ha dato il governo degli Stati Uniti all’organizzazione da
esso creata per sovvertire i governi (fra cui Haiti e Venezuela i cui
presidenti sono stati eletti onestamente) che esso non approva?

Risposta:

La Fondazione Nazionale per la Democrazia (N..E.D., The National
Endowment for Democracy).

C’è un migliore esempio in qualunque luogo della terra della vecchia
massima dello scrittore francese, La Rochefoucauld: "L’Ipocrisia è
l’omaggio che il vizio paga alla virtù"? In un mondo dove nessuna
virtù gode di un valore più elevato della democrazia, il governo
statunitense ha considerato il pavoneggiare i suoi peggiori vizi
sotto la bandiera della "democrazia" come mossa astuta. Noi dobbiamo
essere più astuti, vedendo questa ipocrisia e i vizi criminali che
questa serve per quello che sono. E lottare contro di essi. Tutti
noi, insieme.

APPELLO

Aiuto! Aiuto! La casa è in fiamme e noi tutti ci abitiamo. Il governo
degli Stati Uniti e le sue organizzazioni dipendenti, come la
Fondazione Nazionale per la Democrazia (N.E.D.), hanno reagito
all’incendio gettando più petrolio su di esso.

Essi la chiamano "la costruzione democratica nazionale"--un nome
elegante per le guerre senza fine, il furto della proprietà comune,
le disuglianze economiche esplosive, i diritti civili sempre più
deboli (che include l’uso della tortura), e la degradazione sempre
più intensa e la distruzione addirittura del nostro ambiente naturale
nascoste dietro il "libero commercio" e la promessa (raramente
mantenuta) di una elezione "libera". Miliardi di persone fuori
d’America vogliono che cessi questa pazzia, ma che cosa possono fare?
La nostra organizzazione nuova e indipendente, la Fondazione
Internazionale per la Democrazia (F.I.D.) crede che essa cesserà solo
se la costruzione democratica nazionale (la cosa autentica, non il
petrolio) viene applicata agli U.S.A., che sono il paese più
responsabile per questi avvenimenti globali spaventosi, e che il
popolo dappertutto può giocare un ruolo nella sua realizzazione.

In breve: se gruppi come la Fondazione Nazionale per la Democrazia
(N.E.D.) utilizza fondi provenienti dal governo americano (donde
"Nazionale") e una grande dose di ipocrisia per sovvertire la
democrazia all’estero, la Fondazione Internazionale per la Democrazia
(F.I.D.) spera di servirsi del denaro estero (donde "Internazionale")
per costruire una vera democrazia nel paese che ne ha più bisogno,
gli Stati Uniti d’America.

Noi facciamo un appello anche alla comunità internazionale a
controllare le elezioni negli Stati Uniti. C’è ancora qualcuno nel
mondo fuori degli U.S.A. che non riconoscca il bisogno di un tale
controllo?

Questo non perchè c’è meno democrazia in America che altrove, alcuni
altri paesi sono anche peggiori a questo riguardo, ma perchè il
disavanzo democratico di cui soffre il nostro paese costituisce una
più grande minaccia alla vita, la libertà e la ricerca della felicità
dei popoli del globo intero che non le azioni di qualsiasi altro
regime. Come vittima della linea politica distruttiva del suo proprio
governo, la grande maggioranza degli Americani non ha nessun
interesse nel ritenerla e cambierebbe questa politica istantaneamente
se la nostra democrazia funzionasse come viene descritta dalle
autorità ufficiali del paese. Che questa linea politica non abbia
funzionato in questa maniera è dovuto al fatto che essa non può
farla, perchè le leggi, le elezioni, i media, le scuole e altri mezzi
per mettere in moto tali cambiamenti sono stati alterati dalla loro
forma originale (per mezzo di preconcetti pregiudiziali sistematici
e, sempre di più, con la nuda repressione), nascosti (con l’ignoranza
imposta), comprati dal Grande Denaro (soprattutto questo), e quando
"necessario" rubati (come nelle ultime due elezioni presidenziali).
Chi può dubitare che la gente dappertutto ha un grande interesse
nella democratizzazione dell’America.

Può darsi che questo sia un primato: gli Americani chiedono aiuto
alla gente di altri paesi. Tuttavia, molte persone che ricevono
questo Appello fuori d’America stanno probabilmente chiedendosi "Per
quale ragione dobbiamo aiutare gli Americani a fare i cambiamenti
necessari nel loro paese? Non abbiamo abbastanza da fare nel nostro
paese?" La risposta può essere presentata nel modo migliore con
un’altra domanda: C’è un lettore che abita fuori della capitale del
suo paese che pensa sia uno spreco di tempo e denaro cercare di
influenzare la politica del governo che ha la sua sede nella
capitale? Se è là che si trova il potere principale. Ebbene, in
questo periodo dell’imperialismo militare, economico e culturale
americano, Washington è diventata la vera capitale del vostro paese,
perchè è là che molte delle decisioni più distruttive che si
ripercuotono sulla vostra vita vengono prese. Sembra ragionevole,
dunque, da un punto di vista politico, dedicare almeno una porzione
del vostro tempo, delle vostre energie e del vostro denaro a un
tentativo di rendere reali i cambiamenti che voi desiderate a
Washington. Se questo è veramente possibile.

In questo momento della storia, noi che viviamo negli Stati Uniti
siamo i meglio collocati per affrontare il nostro oppressore comune.
La responsabilità che spetta a noi, dunque, è enorme, ma le nostre
forze sono deboli. Mentre il tentativo da parte del governo al potere
di minare il processo democratico è in corso, anche se questo
processo era debole, esso ci fornisce di una questione chiave sulla
quale i nostri leaders sono estremamente vulnerabili. Come attesta
l’esplosione dell’ipocrisia governativa, la democrazia rimane la
virtù prediletta del popolo americano. È su questa questione
cruciale, con le sue larghe implicazioni per la linea politica in
America e nel mondo, che abbiamo bisogno del vostro aiuto.

Ci sono molti gruppi negli Stati Uniti che stanno tentando di
difendere ciò che rimane della nostra democrazia raggrinzata e/o
costruirne una migliore e più egalitaria. Ma per lo più essi sono
piccoli, e mancano di fondi. La Fondazione Internazionale per la
Democrazia (F.I.D.) vuole dare ai popoli di tutto il mondo la
possibilità di partecipare a questa lotta cruciale con un contributo
(non importa quanto sia piccolo) a noi, che poi distribuiremo ad
alcuni di questi gruppi. A parte le nostre spese di operazione
normali (nessun membro del Consiglio d’Amministrazione riceve un
salario), tutto il denaro ricevuto sarà inoltrato ai gruppi scelti.
Per quanto questa idea possa sembrare strana, con questa
manifestazione di solidarietà , la gente ovunque è ora in grado di
aiutare se stessa aiutando noi a aiutare loro. Forse questo non è
tanto anormale, dopo tutto.


I contributori possibili dovrebbero sapere anche che noi non daremo
denaro a qualsiasi partito politico, o accettare denaro da qualsiasi
organizzazione coinvolta in forme violente di attitività politica, o
da qualsiasi governo straniero.

Ai lettori americani, che non hanno bisogno del nostro consiglio per
dare denaro alle loro organizzazioni progressiste favorite, chiediamo
soltanto di continuare a fare quello che avete già fatto (va bene, un
pò di più), ma vi preghiamo di inoltrare questo Appello ai vostri
amici e conoscenti, soprattutto coloro che vengono da paesi esteri.
(Nel caso che vogliate mostrare il vostro appoggio a questa
iniziativa potete farlo con un contributo finanziario. È certo che
non vi cacceremo via.)


Il successo del nostro progetto richiede la diffusione del nostro
messaggio a milioni di persone in tutto il mondo. Allora, se
approvate quello che stiamo facendo e pensate che potrebbe essere
importante, vi chiediamo urgentemente di mandare questo appello
(legato al nostro sito elettronico) a tutte le persone elencate nel
vostro albero e-mail, ed ai siti e blogs che voi visitate nonché alle
liste di gruppi e organizzazioni a cui appartenete, particolarmente
fuori degli Stati Uniti. E per favore, non mancate di contattare i
vostri amici nei media. Si dice che l’organizzazione MoveOn ha
raggiunto fra dieci e venti milioni di Americani a favore di Howard
Dean durante le elezioni primarie presidenziali del 2004 proprio in
questo modo, ma è possibile che il nostro sia il primo tentativo di
estendere questa strategia a tutto il mondo. È certamente il primo
tentativo di usare Internet per coinvolgere tutto il mondo nella
democratizzazione "compito tanto necessario" degli Stati Uniti. La
natura supremamente grave e le dimensioni planetarie del nostro
problema rendono necessario questo approccio. La nuova tecnologia
Internet lo fa possibile. Ma ci vuole un pò di aiuto da voi per farlo
diventare una realtà.
Non Potreste Aiutarci?

* Vedete il nostro sito--www.iefd.org—per informazioni sulle
cose seguenti, gran parte delle quali in diverse lingue.

* Vedete la rubrica Come Aiutare per i particolari su come fare
un contributo.

* Vedete la nostra Autorizzazione Stampa

* Vedete il nostro esposto di Scopo per una analisi più
dettagliata della crisi della democrazia americana e ciò che speriamo
di fare.

* Vedete Chi Siamo per alcuni fatti biografici e le
pubblicazioni dei membri del nostro Consiglio d’Amministrazione.

* Vedete Dove Va Il Denaro per le nostre priorità e procedure
nell’inoltrare i fondi raccolti (e, più tardi, quanto denaro abbiamo
ricevuto e a chi l’abbiamo dato).


Per contattarci:
Siti WEB:
www.internationalendowmentfordemocracy.org e www.iefd.org

Posta elettronica:
comments@... (per i commenti o le domande dei lettori)
media@... (per richieste d’informazione dirette ai media)

Posta normale:
International Endowment for Democracy (I.E.D.)
P. O. Box 3005,Prince Street Station
New York, New York 10012, U.S.A.

Presidente della F.I.D.
Prof. Bertell Ollman
Dipartimento di Scienze Politiche, N.Y.U.

Comitato Esecutivo della F.I.D.
Prof. Michael Brown
Dipartimento di Sociologia, Northeastern University
Prof. Barbara Foley
Dipartimento di Studi Inglesi, Rutgers University
Prof. Emerito John Manley
Dipartimento di Scienze Politiche, Stanford University
Michael Smith, Avvocato


--- SEGNALAZIONE ARTICOLO:

il manifesto
06 Aprile 2006

STATI UNITI

Il mercato dei diritti umani

Libertà di violare

Washington ormai può violare impunemente qualunque diritto umano o
civile in nome della lotta al terrorismo
GIANNI MINA'

In gergo le chiamano renditions, consegne, e riguardano le operazioni
di trasferimento di persone sequestrate, sbattute illegalmente da un
paese all'altro, poste in detenzione segreta e torturate nel contesto
della presunta «guerra al terrore». E' una pratica messa in atto
senza nessun imbarazzo dal governo degli Stati uniti e rivelata, con
prove indiscutibili, proprio in queste ultime ore da Amnesty
International. Eppure, l'informazione dei paesi civili e democratici,
su questa storia nefanda, brilla per il suo silenzio assordante,
limitandosi, nel migliore dei casi, a una notizia impaginata senza
risalto.
Negli stessi giorni, una denuncia presentata davanti al super
procuratore dei diritti umani di Città del Messico, dr. Mario Alvarez
Ledesma, rivela che nel paese del presidente Fox, il compagno di
rancho di George W. Bush, dal 2004 al 2006, sono stati assassinati 11
giornalisti (22 in totale dal 2000). Gli ultimi due il 9 e il 10
marzo del 2006. Ora il Messico supera la Colombia in questo triste
primato di reporter assassinati passato nell'indifferenza dei grandi
media. Non c'è purtroppo da stupirsi. L'abitudine a eludere è stata
vieppiù praticata da quando gli Stati uniti e l'Inghilterra hanno
deciso di portare la «democrazia» in Afghanistan e Iraq, dove, negli
ultimi tempi c'è stato un crescendo impressionante. Prima l'assedio
di Samarra per stanare, con i metodi sommari già usati a Falluja, la
guerriglia sunnita, poi il massacro di innocenti compiuto dai marines
a Ishaqui (5 bambini, 4 donne e 2 uomini), infine la mattanza messa
in atto dalle forze di occupazione Usa nella moschea sciita Moustafa
di Baghdad.
Gli Stati uniti possono violare ormai impunemente qualunque diritto
umano o civile come conferma il caso denunciato da The Nation dei
3000/5000 cittadini nordamericani di fede islamica desaparecidos in
conseguenza delle leggi antiterrorismo volute dal presidente dopo
l'11 settembre 2001, o possono comminare, senza suscitare scandalo,
pene tombali a 5 agenti dell'intelligence cubana colpevoli solo di
aver smascherato le centrali terroristiche che dalla Florida
organizzavano attentati nell'isola de la Revolución causando negli
anni oltre 3500 morti e più di 10000 feriti.
Gli Stati uniti possono addirittura sostenere di essere impegnati
nella guerra contro il terrorismo, mentre invece lo praticano o sono
complici di terroristi accertati come Orlando Bosch (mente criminale
dell'attentato del 1976 a un aereo civile cubano e liberato con un
indulto nel '89 da Bush padre) o José Basulto, Romy Frometa o Luis
Posada Carriles ai quali è stato concesso in vari momenti asilo o
protezione. Posada Carriles che si vantò delle azioni terroristiche a
Cuba nell' estate del '99 e commentò con assoluto cinismo la morte
del cittadino italiano Fabio Di Celmo («stava nel posto sbagliato al
momento sbagliato») ha addirittura consigliato pubblicamente il
governo di Washington di essere accorto: «Sul mio caso credo andrebbe
applicato il segreto di stato».
Non stupisce quindi che a metà marzo sette premi Nobel,(Pérez
Esquivel, Rigoberta Menchú, Saramago, Nadine Gordimer, Harold Pinter,
Dario Fo e Wolle Sojnka) insieme a Ramsey Clark, ex ministro della
Giustizia Usa e migliaia di altre personalità abbiano firmato un
appello nel quale denunciano gli Stati uniti e i loro alleati de
l'Unione europea «per le sistematiche violazioni dei diritti umani
perpetrate proprio in nome della cosiddetta guerra al terrorismo».
L'appello malgrado il prestigio dei firmatari è stato segnalato in
Italia da pochi media. La Repubblica l'ha ospitato solo come
pubblicità a pagamento, cosi come fece nel 2004 il New York Times per
l'appello sui 5 cubani detenuti illegalmente negli Stati uniti
pagato, fra gli altri, dall'ex ministro della Giustizia Ramsey Clark,
dal vescovo di Detroit Thomas Gumbleton, e da Noam Chomsky che lo
stesso New York Times poco tempo prima aveva definito «il più
prestigioso intellettuale vivente».
Non sorprende quindi che i maggiori giornali italiani abbiano
presentato la battaglia combattuta poche settimane fa all'Onu per
sostituire la vecchia commissione per i diritti umani con un nuovo
consiglio più efficiente, come il tentativo di nazioni ritenute
democratiche di evitare la possibilità a paesi accusati invece di
illiberalità di entrare a far parte, come è successo in un recente
passato, dell'organismo di controllo. Era in gioco invece anche il
tentativo di diverse nazioni vessate e ricattate ogni anno dal
governo degli Stati uniti di affrancarsi dall'obbligo di votare
sempre come voleva Washington che spesso brandiva il tema dei diritti
umani come una clava contro paesi (ultimo il Venezuela di Chávez) non
allineati ai loro interessi economici e politici. Ogni primavera
infatti da decenni, si assisteva ad un vero e proprio «mercato dei
diritti umani», come denunciò Rigoberta Menchú che, per l'opposizione
sistematica degli Stati uniti, non vide mai condannato il genocidio
perpetrato negli anni '80 dalla dittatura militare guatemalteca
contro le popolazioni maya proprio con la complicità del governo di
Washington. Qualche anno fa l'India si era vista addirittura tagliare
un prestito già accordato dagli Stati uniti per aver disatteso
l'ordine di votare il rituale documento di censura a Cuba voluto dal
Dipartimento di stato. E' la stessa logica per la quale gli Usa
premevano sulla Serbia per farsi consegnare i sospetti criminali di
guerra e nello stesso tempo insistevano per firmare un trattato che
obbligava lo stesso paese slavo a non consegnare mai (neanche
all'Aja) cittadini nordamericani sospettati di essere responsabili
degli stessi misfatti.
Ultimamente però il «mercato dei diritti umani», considerati gli
impegni Usa in Medio Oriente, era diventato troppo oneroso per
l'amministrazione di Bush Jr. Il 15 marzo, poi, 170 nazioni hanno
trovato l'accordo per un progetto di riforma del vecchio comitato dei
diritti umani che non rassicurava completamente Washington sulla
possibilità di poter ancora usare a piacimento questo strumento non
solo contro le nazioni illiberali, ma anche contro le nazioni non
allineate alle proprie esigenze. Così John Bolton il «falco»
catapultato da Bush al Palazzo di vetro ha votato contro la riforma
con l'appoggio solo di Israele e delle Isole Marshall e Palau (dove
ci sono due basi militari Usa). Non a caso sono gli stessi paesi che,
ogni autunno, contrariamente al resto del mondo si esprimono in
favore dell'embargo a Cuba.
Le campagne di convincimento e persuasione dell'opinione pubblica
mondiale, messe in atto nelle più recenti congiunture storiche per
assecondare gli obiettivi Usa sono state preparate ogni volta da
organismi come il Ned (National endowment for democracy), una vera e
propria agenzia di propaganda diretta dalla Cia. Proprio in un saggio
per Latinoamerica, pubblicato anche dal manifesto, Wayne Smith (il
diplomatico nordamericano che più si è occupato di Cuba) ha spiegato
che «il Ned influenza e cerca di condizionare per conto del governo
di Washington, stampa, partiti politici, organismi sindacali di
nazioni non in sintonia con i disegni economici e strategici degli
Stati uniti» e ha aggiunto che «questo pericoloso retaggio della
guerra fredda sarebbe ora fosse consegnato alla pattumiera della
storia».
E invece questo organismo è più che mai all'opera. Per convincere
dell'opportunità di un colpo di stato contro Chávez in Venezuela o
per organizzare la rivoluzione arancione in Ucraina.
Una macchina che deve creare consenso e che si avvale di agenzie
d'informazione, radio, televisione o di associazioni disponibili per
questo genere di promozione, come Reporters sans Frontières. Bruce
Jackson, docente di storia americana all'università di Buffalo lo ha
chiarito senza possibilità di smentita sempre su Latinoamerica. Per
questo sorprende che al punto 16 del programma elettorale dei
socialisti e dei radicali della Rosa nel pugno ci sia proprio
l'intenzione di creare un Italian and European Endowment for
Democracy esattamente sul modello della casa madre fondata in Usa da
Ronald Reagan nel 1984. Un progetto perché la Cia possa controllare
direttamente il governo dell'Unione se vincesse le elezioni? O un
progetto, dopo la fine dell'era di Fini e Martino, di condizionare
ancora la politica estera italiana?


(francais / deutsch / italiano)

Handke: Wegen Milosevic Stück abgesetzt 

1. Handke: Wegen Milosevic Stück abgesetzt 

2. Lettres envoyées à l'Administrateur de la Comédie française et au Ministre de la Culture français au nom de l'association Desintox au sujet de l'affaire Handke

3. Il discorso integrale dello scrittore austriaco sulla tomba di Milosevic


=== 1 ===
 
Handke: Wegen Milosevic Stück abgesetzt 

(diepresse.com) 04.05.2006 
 
In Frankreich werden Proteste gegen die Absetzung eines Handke-Stücks laut. Das Theater Comédie Française hat sich zu diesem Schritt entschieden, weil der Autor am Begräbnis des ehemaligen jugoslawischen Präsidenten Milosevic teilgenommen hatte. 

Gegen die Absetzung eines Stückes von Peter Handke vom Spielplan des Pariser Theaters Comédie Française regt sich weiter Protest. Am Donnerstag kritisierten sowohl Handkes Verlag Suhrkamp als auch der Berliner Intendant Claus Peymann die Entscheidung des Theaters. Auch der französische Kulturminister Renaud Donnedieu de Vabres stellte das Vorgehen von Intendant Marcel Bozonnet in Frage. Bozonnet hingegen wies Zensurvorwürfe zurück.  

"Gegen alles, was eine freie Gesellschaft ausmacht"

Handkes Stück "Voyage au pays sonore ou l'art de la question" ("Das Spiel vom Fragen oder Die Reise ins sonore Land") aus dem Jahr 1989 sollte im Jänner und Februar 2007 in Paris gespielt werden. Die Comédie Française begründete die Absetzung vergangene Woche mit Handkes Teilnahme am Begräbnis des ehemaligen jugoslawischen Präsidenten Slobodan Milosevic im März. Der für seine pro-serbische Haltung bekannte österreichische Schriftsteller hatte am Grab eine Rede gehalten. Handke (63) unterstellte außerdem dem Den Haager UN- Kriegsverbrechertribunal, es habe Milosevic im Gefängnis sterben lassen. 

In einem Brief an Bozonnet schrieb Suhrkamp-Verlegerin Ulla Unseld-Berkéwicz am Donnerstag, dessen Entscheidung stehe "gegen alles, was eine freie Gesellschaft ausmacht: das Recht auf freie Meinungsäußerung und die Unabhängigkeit der Kunst". Handkes politische Haltung sei schon lange vor dem Begräbnis bekannt gewesen. Zudem habe das Theater nie das Gespräch mit Handke gesucht, warf die Verlegerin dem Intendanten vor. 
Kulturminister Renaud Donnedieu de Vabres schrieb an den Intendanten, er wolle sich nicht "in dessen Programmentscheidungen einmischen". Handkes Werk stelle jedoch "Fragen von universeller Tragweite", so dass es in diesen unruhigen Zeiten nützlich hätte sein können, es auf die Bühne zu bringen. Der Minister will den bei Paris lebenden Handke am Sonntag treffen. 

Bozonnet weist Vorwurf der Zensur von sich

Bozonnet verwahrte sich am Donnerstag gegen den Vorwurf der Zensur. "Ein Theaterchef hat entschieden, ein Stück nicht zu spielen, alle anderen können es aber spielen", sagte er. "Man gibt Handke viel Freiheit, möge man sie mir auch geben." Für ihn sei skandalös, was Handke am Grab Milosevics gesagt habe. "Es war unmöglich für mich, diese Person in meinem Theater zu empfangen." 
Der Intendant des Berliner Ensembles, Claus Peymann, kritisierte die Absetzung als "schockierenden und einmaligen Fall kultureller Zensur". Das Stück sei "ein Manifest der Gewaltlosigkeit" und wie kaum ein anderes von tiefster Humanität geprägt. Seinem Schreiben stellte Peymann ein Zitat des früheren französischen Staatspräsidenten Charles de Gaulle voran: "Einen Voltaire verhaftet man nicht." Dem fügte Peymann hinzu: "Einen Handke verbietet man nicht." Er forderte seine Kollegen, die Schauspieler, Regisseure und alle Künstler der Comédie Française auf, sich für eine Aufführung von Handkes Stück an ihrem Theater einzusetzen. Leider erlaubten es seine Finanzmittel nicht, Handkes Stück nach Berlin einzuladen. In den vergangenen Tagen hatten bereits mehrere Autoren und Filmemacher gegen die Absetzung des Stückes protestiert, darunter der Österreicher Michael Haneke, der Serbe Emir Kusturica, die österreichischen Schriftsteller Elfriede Jelinek, Robert Menasse, Josef Winkler sowie der Schweizer Paul Nizon. Der Direktor des Wiener Burgtheaters, Klaus Bachler, nannte die Entscheidung "absurd und aberwitzig".

(Ag.)


=== 2 ===

Lettres envoyées à l'Administrateur de la Comédie française et au Ministre de la Culture français au nom de l'association Desintox au sujet de l'affaire Handke

-----Message d'origine-----
De : forum_owner @... De la part de grinberg mich 
Envoyé : mercredi 17 mai 2006 10:56
À : forum desintox
Objet : [forum desintox] lettres

Voici les lettres, ecrites collectivement par les membres du bureau, que
nous envoyons au nom de l'association, au sujet de l'affaire Peter handke.
Cordialement, Michèle

---

Paris le 16 mai 2006

Monsieur l’Administrateur,

Nous avons appris par la presse que vous aviez retiré de la programmation de la Comédie Française, la pièce de Peter Handke,Voyage au pays sonore ou l’art de la question, sous prétexte qu’il avait assisté aux obsèques de l’ancien Président de Yougoslavie. Il conteste en grande partie les propos qu’on l’accuse d’avoir tenus à cette occasion et il attaque en diffamation l’hebdomadaire qui les lui prête. Vous justifiez cependant votre décision sur la foi de ce que lui récuse.
Nous sommes profondément choqués par la censure que vous exercez, par cette confusion de la culture et de la politique, et nous tenons à vous exprimer notre plus vive protestation à l’égard de cette mesure.
La vision des évènements de Yougoslavie n’est pour le moment, dans le monde occidental, que journalistique - ni la justice ni l’histoire ne sont passées –et ne peut, en aucun cas, constituer la seule vérité. Faut-il vous rappeler par ailleurs, que deux personnalités aussi célèbres et incontestées que Soljenitsyne et Harold Pinter  ont, eux aussi, à ce sujet, des opinions en opposition avec le « politiquement correct » occidental ? Allez-vous les interdire ?
La Maison de Molière avait à lutter contre les dévots de son temps. Il était difficile d’imaginer qu’au XXI ème siècle les dévots pourraient siéger à sa tête !

Veuillez agréer, Monsieur l’Administrateur, nos salutations affligées.

  

---

Paris le 16 mai 2006

Monsieur le Ministre,

Nous avons appris par la presse que l’Administrateur de la Comédie Française avait décidé de retirer de la programmation la pièce de Peter Handke Voyage au pays sonore ou l’art de la question, sous prétexte qu’il avait assisté aux obsèques de l’ancien président de la Yougoslavie et y avait tenu des propos qu’il récuse pourtant en grande partie.
Notre association qui lutte contre la désinformation, ne peut accepter qu’un grand auteur soit brutalement et arbitrairement retiré de l’affiche ( bien que sa pièce n’ait aucun rapport avec les évènements de Yougoslavie), à cause d’actes et d’opinions politiques jugés incorrects et surtout non conformes à la position des médias et des gouvernements occidentaux actuels.
Il s’agit donc de l’établissement ou du rétablissement d’une forme de censure et donc d’une atteinte grave et dangereuse à la liberté de pensée et de parole.
Nous vous demandons de bien vouloir arbitrer ce litige et de veiller à ce qu’aucune forme de « maccarthysme » ne s’exerce dans notre pays, contre un écrivain en raison d’opinions qui ne tombent nullement sous le coup de la loi .

Nous vous prions de croire, Monsieur le Ministre, à l’assurance de notre haute considération.


=== 3 ===


Il discorso integrale dello scrittore austriaco sulla tomba di Milosevic


LIBERATION.FR : giovedì 4 maggio 2006 - 18:24

Il 18 marzo, Peter Handke si è recato al funerale di Slobodan Milosevic. Ecco la versione integrale del discorso che ha letto per l'occasione, e che ha in seguito inviato al giornale tedesco «Focus». Le annotazioni tra parentesi sono sue.

«Avrei desiderato non essere l'unico scrittore qui, a Pozarevac. Avrei desiderato essere al fianco di un altro scrittore, per esempio Harold Pinter.  Sarebbero state parole forti. Io non ho che parole di debolezza. Ma la debolezza si impone oggi, in questo luogo. È un giorno non solo per le parole forti, ma anche per parole di debolezza.  

»(Ciò che segue è stato pronunciato in serbocroato - testo redatto da me medesimo! - e ritradotto in seguito da me stesso in tedesco). Il mondo, quello che viene chiamato il mondo, sa tutto sulla Jugoslavia, sulla Serbia. Il mondo, quello che viene chiamato il mondo, sa tutto su Slobodan Milosevic. Quello che viene chiamato il mondo sa la verità. Ecco perchè quello che viene chiamato il mondo oggi è assente, e non solamente oggi, e non solamente qui. Quello che viene chiamato il mondo non è il mondo. Io so di non sapere. Io non so la verità. Ma io guardo. Io ascolto. Io sento. Io mi ricordo. Io interrogo. Per questo io oggi sono presente, con la Jugoslavia, con Slobodan Milosevic.»

Con il suo discorso, Handke ha inviato a "Focus" un testo d'accompagnamento, che ha intitolato: "Le ragioni del mio viaggio a Pozarevac, in Serbia, sulla tomba di Slobodan Milosevic." 

<< Contrariamente all' "opinione generale", di cui metto in dubbio il carattere generale, non ho reagito "con soddisfazione" alla notizia della morte di Slobodan Milosevic, essendosi peraltro verificato che il tribunale ha lasciato morire il prigioniero imprigionato da cinque anni in una prigione cosiddetta "a cinque stelle" (secondo i termini usati dal giornale francese" Liberation"). Mancata assistenza a persona in pericolo: non è un crimine? Riconosco di avere provato, la sera che seguì la notizia della sua morte, qualcosa che somigliava a dispiacere e che fece germinare in me, mentre andavo per piccole vie, l'idea di accendere da qualche parte una candela per il morto. 
E le cose sarebbero dovute restare là. Non avevo l'intenzione di rendermi a Pozarevac per la sepoltura. Alcuni giorni più tardi, ho ricevuto l'invito, non dal partito, ma da membri della famiglia, che del resto assistettero in seguito, la maggiorparte, alla sepoltura, contrariamente a ciò che è stato detto. 
Ovviamente, questo mi ha indotto a fare il viaggio meno che le reazioni dei mass media occidentali, completamente ostili a Milosevic (ed ancora più ostili dopo la sua morte), come pure del portavoce del tribunale e di questo o quello "storico". È stato il linguaggio usato da tutti loro che mi ha indotto a prendere la strada. No, Slobodan Milosevic non era un "dittatore". No, Slobodan Milosevic non deve essere qualificato come "macellaio di Belgrado". No, Slobodan Milosevic non era un "apparatchik", né un "opportunista". No, Slobodan Milosevic non era colpevole "senza alcun dubbio". No, Slobodan Milosevic non era un "autistico" (quando del resto gli autistici si opporranno a che la loro malattia sia utilizzata come un insulto?) No, Slobodan Milosevic, con la sua morte nella sua cella di Scheveningen, non "ci" ha (al tribunale) giocato "un tiro mancino" (Carla del Ponte, procuratrice del tribunale penale internazionale). No, Slobodan Milosevic, con la sua morte, non ci ha "tagliato l'erba sotto i piedi" e non "ci" ha "spento la luce" (la stessa). No, Slobodan Milosevic non si è sottratto "alla sua pena irrefutable di prigione a vita".
Slobodan Milosevic non sfuggirà, in compenso, al verdetto degli storici, termine di uno "storico ": di nuovo, opinioni non soltanto false ma indecenti. È questa lingua che mi ha indotto a tenere il mio mini-discorso a Pozarevac - questa lingua in prima ed ultima istanza. Ciò mi ha spinto a fare intendere un'altra lingua, non, l'altra lingua, non per fedeltà verso Slobodan Milosevic, quanto verso quest'altra lingua, questa lingua non giornalistica, non dominante. Ascoltando l'uno o l'altro oratore che precedeva a Pozarevac, quest'impulso, lo stesso: no, non bisogna parlare dopo questo deciso generale, né dopo quest'altro membro del partito, che chiede vendetta, i quali entrambi tentano di eccitare la folla, la quale ovviamente, esclusi alcuni individui isolati che urlano con i lupi, non si è lasciata in alcun modo trascinare ad una risposta collettiva di odio o di rabbia: poiché si trattava di una folla di esseri in lutto, profondamente e silenziosamente afflitti. Tale è stata la mia impressione più duratura. 
Ed è per questi esseri afflitti, contro le formule forti e vigorose, che finisco lo stesso per aprire la bocca, come risaputo. A titolo di membro di questa comunità in lutto. Reazione: Peter Handke la "claque" ("Frankfurter Allgemeine Zeitung"). C'è linguaggio più stravolto di questo? Una claque, che cos'è? Qualcuno che applaude per denaro. E dove sono gli applausi? E non ho mai dichiarato neppure di essere "felice" ("FAZ") presso il morto. E dove è il denaro? Ho pagato io stesso il mio biglietto d'aereo ed il mio hotel. 
Tuttavia, la necessità principale che mi ha spinto a recarmi sulla sua tomba era quella di essere testimone. Né testimone a carico né testimone a difesa. Ormai, non voler essere testimone a carico significa essere testimone a difesa? "Senza alcuno dubbio", per riprendere una delle espressioni principali del linguaggio dominante. >>



il manifesto
17 Maggio 2006

Kosovo, memorie di una guerra infinita

Un anno vissuto pericolosamente
Esce oggi il diario di Miodrag Lekic, ex ambasciatore jugoslavo a Roma

Tommaso Di Francesco

Diplomazia è spesso sinonimo di prudenza. Questa volta, però, Miodrag
Lekic, ex ambasciatore jugoslavo a Roma, non è stato tanto
«diplomatico». Ha infatti scritto e ora pubblicato - esce oggi in
libreria - un diario, La mia guerra alla guerra (Guerini e Associati,
pp. 397, euro 22,50) che va dall'ottobre 1998 all'ottobre 1999 e che
comprende i settantotto terribili giorni di bombardamenti «umanitari
della Nato» sulla ex Jugoslavia per la crisi del Kosovo. E lo ha
fatto, scrive, per «esprimere una cultura della responsabilità» e
«senza temere conseguenze». Del resto, poteva rimanere in silenzio il
protagonista di una esperienza unica costretto a essere suo malgrado
testimone di avvenimenti eccezionali?
Come ricorda infatti Sergio Romano nell'introduzione, l'ambasciatore
Lekic è rimasto nella sua sede ad assistere alla guerra dal
territorio di un paese nemico che stava bombardando il suo,
continuando al tempo stesso a negoziare per la pace. E questo perché
Belgrado aveva mantenuta aperta la possibilità di trattare con due
paesi della Nato, la vicina Grecia e l'Italia che - ricorda Romano -
non aveva chiesto a Lekic di rientrare in patria sebbene fosse in
quegli stessi giorni la portaerei dell'Alleanza atlantica.
Da questo osservatorio privilegiato e rischioso Lekic dipana un
resoconto originalissimo, perché l'autore vive il doppio dramma di
vedere da lontano la devastazione del suo paese interponendo
un'impossibile mediazione per limitare i danni, senza tuttavia
nascondersi gli errori del suo governo. Non è schierato con
Milosevic, Miodrag Lekic, ma si batte contro i bombardamenti della
Nato: è, insomma, il rappresentante del suo popolo. Al tempo stesso
deve subire un'altra privazione: quell'occidente che appare come un
baluardo internazionale di democrazia all'improvviso si frantuma per
diventare strumento di sopraffazione nelle mani del più forte. Tanto
più che il paese da cui Lekic si aspettava di più e nel quale è
ospite ingombrante se non sgradito, l'Italia con al governo per la
prima volta un presidente del consiglio post-comunista, Massimo
D'Alema, è diventato la pista di partenza dei bombardieri che faranno
strazio di civili e infrastrutture. Quaranta miliardi di dollari di
danni che nessuno ha pagato, cinquemila vittime civili, duemila morti
tra cui tanti bambini e tante donne. E nessun criminale di guerra
alla sbarra, aggiungiamo noi.
E qui, nella sua ineludibile attualità, sta l'aspetto più rilevante
del diario di Lekic. In queste ore di attesa per il nuovo governo di
centrosinistra, la memoria dell'ex ambasciatore è quasi uno specchio.
Giacché il libro mostra che la guerra doveva e poteva essere evitata,
che averla fatta è stato un tragico errore e averla definita
«umanitaria» una farsa. Non inutile. Gravava infatti su D'Alema nel
marzo del '99, a ridosso dell'imbroglio di Rambouillet e della
messinscena della strage di Racak, il dubbio, scrive ancora Romano ,
se «si sarebbe comportato da "buon alleato"», se «sarebbe stato
sufficientemente "atlantico"». Insomma D'Alema era sotto esame, dalla
bicamerale doveva passare alla guerra «costituente». Esame passato
con lode.
Ma le menzogne usate allora sono un misfatto che ha avuto come
testimoni non solo i pacifisti italiani ma anche l'ambasciatore
Lekic, il quale nel suo diario racconta come nelle stesse sedute del
parlamento il governo D'Alema per bocca del ministro degli esteri
Dini riconobbe che sul campo la situazione era diversa rispetto a
quella raccontata dalla Nato. Che l'Uck era terrorista e andava
fermata perché il suo obiettivo era di internazionalizzare la crisi
allo scopo di arrivare a un'occupazione militare atlantica del Kosovo
per giungere all'indipendenza, un'indipendenza sciagurata visto che -
osserva Lekic - perdere quel territorio, «una linea di faglia tra le
civiltà come Gerusalemme», vorrebbe dire «non perdere un arto
qualsiasi del proprio corpo ma una parte della testa».
Si dipanano nel diario avvenimenti marginali ma significativi: come
l'intermediazione dell'altra ambasciata, quella in Vaticano, che
«esautorava» di fatto l'operato di Lekic; o come la sorprendente fuga
di Ibrahim Rugova da Pristina non in occidente ma a Belgrado da dove
poi venne consegnato come mediatore di pace (e anche su questo Rugova
non fu veritiero) all'Italia. Tornano nel libro i nomi
indimenticabili dei target dei bombardieri atlantici : Surdulica, la
televisione di Belgrado, il mercato di Nis. Sangue che nell'autore,
così lontano dai suoi luoghi, suscita perfino maggiore dolore. E a
ogni «effetto collaterale» - ma chiamatelo effetto collaterale un
bombardamento fatto con cluster bomb - si avverte l'impotenza di chi
non riesce a fermare l'aggressione, di chi non è stato capace di
impedire gli errori del proprio paese, di chi sente che l'azzeramento
dei dispositivi del diritto internazionale dopo Rambouillet ha ormai
cancellato ogni possibilità della pace.
Ora la Serbia, ridotta a immenso campo profughi (circa un milione di
fuggiaschi per le pulizie etniche subite dai serbi in Kosovo, nella
Krajina croata e in Bosnia Erzegovina) è il «cuore di tenebra» dei
Balcani. Nel Kosovo sotto occupazione Nato la pulizia etnica è
continuata sotto segno opposto ed è in discussione perfino
l'indipendenza come se il vero motivo di quella guerra fosse non il
ventilato umanitarismo ma la rimessa in discussione dei confini. Con
la morte oscura di Milosevic nel carcere del Tribunale dell'Aja come
se a lui solo andassero ascritte le responsabilità della tragedia
dell'ex Jugoslavia. Ma, si chiede Miodrag Lekic, quale sarà la fine
di quelli che «cinicamente, dai loro comodi uffici nelle cancellerie
occidentali, hanno precipitato i popoli jugoslavi nella guerra?».

Kosmet (deutsch)

1. Verhandlungen nach Rambouillet-Muster
Endstatusgespräche für das Kosovo. Kontaktgruppe unterstützt
albanischen Separatismus. Terror geht weiter
(jW 10.10.2005 - Jürgen Elsässer)

2. Terrortruppe im NATO-Gebiet
KFOR bestätigt Berichte über bewaffnete Gruppe im Kosovo
(jW 20.10.2005 - Rüdiger Göbel)

3. Kosovo: Kriegsverbrecher zum Premier gewählt (jW 11.3.2006)

4. Weltbankkredite nur bei Kosovo-Abspaltung (jW 18.3.2006)

5. (K)ein kleineres Übel
Kosovo: Differenzen zwischen Berlin und den proalbanischen Hardlinern
in Washington und London.
(jW 1/4/2006 - Jürgen Elsässer)

6. Kriegsverbrecher zu Gast
Agim Ceku, Ministerpräsident des Kosovo, zur Audienz bei
Außenminister Frank-Walter Steinmeier. Haftbefehl von Interpol nicht
aufgehoben
(jW 18.5.2006 - Jürgen Elsässer)

---

LINKS:

18.05.2006: UCK-Lobby will Wahlantritt der WASG-Berlin unterstützen
(Jürgen Elsässer)

http://www.jungewelt.de/2006/05-18/002.php?sstr=Kosovo

17.05.2006: Kostunica lobt Merkel (Jürgen Elsässer)

http://www.jungewelt.de/2006/05-17/027.php?sstr=Kosovo

11.05.2006: UCK-Rädelsführer in Hessen festgenommen

http://www.jungewelt.de/2006/05-11/059.php?sstr=Kosovo

28.04.2006: Die Balkan-Spur

Der mutmaßliche Drahtzieher der Terroranschläge vom 7. Juli 2005 in
London war für den britischen Geheimdienst MI 6 im Kosovo aktiv
(Von Jürgen Elsässer)

http://www.jungewelt.de/2006/04-28/005.php?sstr=Kosovo

Newsletter vom 31.10.2005 - Neuer Vasall

BELGRAD/PRISTINA/BERLIN (Eigener Bericht) - Kurz vor dem Beginn der
Verhandlungen über die Abtrennung des Kosovo von Serbien fördert die
Bundesregierung Kosovo mit Wirtschaftshilfen. Die Unterstützung des
Sezessionsgebiets wurde in einem Memorandum bei der UN-Verwaltung in
Pristina hinterlegt und beinhaltet deutsche Finanzleistungen in Höhe
von 22,5 Millionen Euro. Damit setzt die Berliner
Unterstützungszahlungen fort, die sich seit dem Überfall auf
Jugoslawien im Jahr 1999 auf insgesamt 150 Millionen Euro belaufen.
Die Loslösung des Kosovo aus dem serbischen Territorium, die als Ziel
der Anfang November beginnenden Verhandlungen gilt, wird seit Jahren
von Berlin und von in den Kosovo entsandten deutschen UN-
Mandatsträgern vorangetrieben. Auch die Forderung, den Kosovo mit
Albanien und Teilen Mazedoniens zu "Groß-Albanien"
zusammenzuschließen, kann sich auf zustimmende Äußerungen deutscher
Außenpolitiker stützen. Großalbanische Nationalisten schließen sich
gegenwärtig in mehreren Staaten zu paramilitärischen Verbänden
zusammen und gehen zum bewaffneten Kampf für ihr Anliegen über...

http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/56102


=== 1 ===

http://www.jungewelt.de/2005/10-10/004.php

10.10.2005 - Ausland
Jürgen Elsässer

Verhandlungen nach Rambouillet-Muster

Endstatusgespräche für das Kosovo. Kontaktgruppe unterstützt
albanischen Separatismus. Terror geht weiter

Die Verhandlungen über die endgültige Abspaltung des Kosovo stehen
bevor. Am Freitag berichtete die Belgrader Tageszeitung Blic, die
sogenannte Kontaktgruppe der Balkan-Aufsichtsstaaten habe sich darauf
geeinigt, das Gebiet von der Größe Hessens in die »konditionierte
Unabhängigkeit« zu entlassen. Den Erwartungen Belgrads, den bisher
durch die UN-Resolution 1244 verbürgten Status quo erhalten zu können
– die Provinz gehört völkerrechtlich zu Serbien-Montenegro, wird aber
international verwaltet –, wurde damit eine Absage erteilt. Bereits
am vergangenen Mittwoch hatte Karl Eide, der UN-Sonderbeauftragte für
das Kosovo, seinen Abschlußbericht über die Lage auf dem Amselfeld an
Generalsekretär Kofi Annan übergeben. Auf dieser Grundlage wird der
UN-Sicherheitsrat innerhalb von 20 Tagen beraten und dann offiziell
zu den Gesprächen einladen.

Bombenstimmung

Daß die albanischen Separatisten die Westmächte für ihre Ziele
einnehmen konnten, ist umso erstaunlicher, da ihr Terror in den
letzten Wochen wieder zugenommen hat. Am 27. August wurden zwei
Serben in ihrem Auto in die Luft gesprengt und zwei weitere schwer
verletzt. Am 28. September gab es ein Attentat auf den höchsten
serbischen Polizisten in der (ansonsten von Albanern dominierten)
Polizei der Provinz. Am 1. Oktober wurde eine Bombe unter einem UN-
Fahrzeug in Pristina entdeckt und gerade noch rechtzeitig entschärft.
Am 4. Oktober zerstörte ein Sprengsatz einen Wagen der UNO im Südost-
Kosovo. Seit dem Abzug der jugoslawischen Armee und dem Einrücken der
NATO-geführten »Schutztruppe« KFOR im Juni 1999 wurden etwa 2500
Serben und andere Nichtalbaner ermordet oder unauffindbar
verschleppt. Über 200000 Angehörige von Minderheiten wurden im
gleichen Zeitraum aus der Provinz verjagt. Für wie unsicher die
Vertriebenen die Lage nach wie vor halten, zeigt der Umstand, daß
sich nur 12000 von ihnen seitdem zur Rückkehr entschließen konnten,
davon gerade einmal 5000 Serben.

Ahtisaari kommt zurück

Aller Wahrscheinlichkeit nach werden die Endstatusverhandlungen
verlaufen wie die Konferenz von Rambouillet im Februar und März 1999:
Damals saßen die serbische und albanische Delegation niemals an einem
Tisch, sondern westliche Unterhändler haben jeweils ihre Vorschläge
von einer separaten Besprechung zur nächsten transportiert – und
dabei immer mehr zu Ungunsten Belgrads draufgesattelt. Chef dieser
Shuttle-Diplomatie wird aller Vorraussicht nach der Finne Marti
Ahtisaari werden, der die Serben schon einmal aufs Kreuz gelegt hat,
wenn auch nicht in Rambouillet: Er überredete Anfang Juni 1999 den
damaligen jugoslawischen Präsidenten Slobodan Milosevic zur
Einstellung der Kampfhandlungen – mit dem Argument, die Vereinten
Nationen übernähmen treuhänderisch die Kontrolle über das Kosovo.
Stattdessen rückte dann die NATO ein.

Aus diesem Grund lehnt die serbische Regierung, so am Freitag deren
Kosovo-Beauftragte Sanda Raskovic-Ivic, Ahtisaari wegen Befangenheit
ab. Allerdings hat das Kabinett von Premier Vojislav Kostunica mit
seinem Nonsensvorschlag, dem Kosovo könne »mehr als Autonomie, aber
weniger als Unabhängigkeit« zugestanden werden, seine
Verhandlungsposition ohnedies schon geschwächt, denn alles, was über
Autonomie hinausgeht, ist Unabhängigkeit.

Letzte Hoffnungen von Kostunica richten sich auf ein mögliches Veto
von Peking oder Moskau im UNO-Sicherheitsrat. Die Kontakte zur
Volksrepublik sind gut, seit Belgrad sich gegen einen ständigen Sitz
Tokios im obersten UN-Gremium ausgesprochen hat. Moskau allerdings
wackelt schon: Es hat in der Kontaktgruppe dem Drängen der USA,
Deutschlands, Großbritanniens und Italiens nachgegeben und der
»konditionierten Unabhängigkeit« des Kosovo zugestimmt, sofern
Belgrad dem beipflichtet. So schiebt es der eine auf den anderen.


=== 2 ===

jw 20.10.2005

Ausland
Rüdiger Göbel

Terrortruppe im NATO-Gebiet

KFOR bestätigt Berichte über bewaffnete Gruppe im Kosovo

Im Kosovo wiederholt sich die Geschichte. Sechs Jahre nach dem NATO-
Krieg
gegen Jugoslawien sorgt in der südserbischen Provinz wieder eine
albanische
Untergrundgruppe für Unruhe. Mehrfach schon sollen bewaffnete Männer
nachts
im Westen und Osten der von NATO-Truppen kontrollierten Region
Checkpoints
an Straßen errichtet haben. Der deutsche Oberstleutnant Siegfried Jooß,
Sprecher der NATO-geführten Kosovotruppe (KFOR), bestätigte in der
Provinzhauptstadt Pristina am Dienstag entsprechende Medienberichte.
KFOR-Kommandeur Giuseppe Valotto betonte allerdings, die »illegalen
Aktionen
einzelner Männer« stellten keine Gefahr für die allgemeine
Sicherheitslage
dar. Ihr Auftreten indes ist dreist und provokativ: An den illegalen
Kontrollposten sollen die albanischen Gewaltseparatisten, die sich
jetzt »Armee für ein unabhängiges Kosovo« (UPK) nennen, selbst ein
KFOR-Fahrzeug gestoppt haben.

Serbischen Zeitungen zufolge verfügt die UPK bisher über rund 400
Kämpfer.
Sie könne in den kommenden Monaten aber bis zu 5000 Mann rekrutieren. In
einem »Communiqué Nr.1« drohten die Untergrundkämpfer unter anderem die
Entführung von UN-Mitarbeitern im Kosovo an. Ihr Vorgehen erinnert an
die »Kosovo-Befreiungsarmee« UCK, die Ende der 90er Jahre mit
Terroraktionen
die serbischen Sicherheitskräfte in der Provinz provozierte und
schlußendlich den Grundstein für die NATO-Angriffe 1999 legte.

Das neuerliche Auftreten der Untergrundtruppe gegen die Ordnungsmacht
in der
Provinz kommt nicht von ungefähr. Noch in diesem Monat sollen im
UN-Sicherheitsrat in New York Verhandlungen über den künftigen Status
des
Kosovo beginnen. Die Provinz ist seit Ende des illegalen NATO-Krieges im
Juni 1999 von Truppen des Nordatlantikpaktes besetzt und wird von den
Vereinten Nationen verwaltet. Die albanische Bevölkerungsmehrheit im
Kosovo
fordert die Unabhängigkeit der Region. Der Großteil der nichtalbanischen
Bevölkerung wurde nach dem NATO-Einmarsch vertrieben.

In der UNO sorgt derweil ein Bericht der internen Überwachungsbehörde
OIOS
für Furore, der massives »Fehlverhalten von UN-Personal« beklagt.
Während
einer 18monatigen Untersuchung im Kosovo wurde eine »ausufernde
Korruption« in zahlreichen staatlichen Unternehmen, vor allem auf dem
Energiesektor, festgestellt.


=== 3 ===

http://www.jungewelt.de/2006/03-11/036.php?sstr=Kosovo

11.03.2006 / Ausland / Seite 2

Kosovo: Kriegsverbrecher zum Premier gewählt

Pristina. Der frühere UCK-Kommandeur Agim Ceku ist zum
Ministerpräsidenten des Kosovo gewählt worden. Das Provinzparlament
in Pristina beauftragte am Freitag Ceku mehrheitlich mit der Bildung
einer neuen Regierung. Der 45jährige Ceku war 1995 maßgeblich an der
Vertreibung mehrerer Hunderttausend Serben aus Kroatien beteiligt und
wird für antiserbische Überfälle und Morde im Kosovo verantwortlich
gemacht. Er bereitete der NATO damit den Weg für den
völkerrechtswidrigen Krieg gegen Jugoslawien 1999. Die serbische
Regierung hatte gefordert, der Chef der UN-Mission im Kosovo, UNMIK,
Sören Jessen-Petersen, müsse die Wahl Cekus durch sein Veto
unterbinden. Serbien ermittelt wegen Kriegsverbrechen gegen Ceku.

(AFP/jW)


=== 4 ===

http://www.jungewelt.de/2006/03-18/019.php?sstr=Kosovo

18.03.2006 / Ausland / Seite 2

Weltbankkredite nur bei Kosovo-Abspaltung

Berlin. Der stellvertretender UN-Chefunterhändler für Kosovo, Albert
Rohan, macht die Unabhängigkeit des Kosovo zur Voraussetzung für
Weltbankkredite. »Erst wenn der Status festgelegt ist, entsteht ein
Klima, das Auslandsinvestitionen fördert«, sagte Rohan der Zeitung
Die Welt (Freitagausgabe). »Sollte das Kosovo nicht unabhängig
werden, könnte es keine Weltbankkredite in Anspruch nehmen.« Am
Freitag wurden in Wien die Verhandlungen über den künftigen Status
der seit 1999 unter UN-Protektorat stehenden serbischen Provinz
fortgesetzt.


(AFP/jW)


=== 5 ===

http://www.jungewelt.de/2006/04-01/039.php?sstr=Kosovo

01.04.2006 / Ausland / Seite 7

(K)ein kleineres Übel

Kosovo: Differenzen zwischen Berlin und den proalbanischen Hardlinern
in Washington und London.

Von Jürgen Elsässer

Im Vorfeld der nächsten Verhandlungsrunde zwischen Serbien-Montenegro
und der Europäischen Union am 5. April verstärkt Brüssel den Druck
auf Belgrad. Als Bedingung für ein Stabilisierungs- und
Assoziierungsabkommen verlangt die EU ultimativ von der serbischen
Regierung eine Auslieferung des als Kriegsverbrecher in Den Haag
angeklagten Exgenerals Ratko Mladic bis zu diesem Termin. Am
gestrigen Freitag traf sich Olli Rehn, der Erweiterungskommissar der
EU, mit Carla del Ponte, der Haager Chefanklägerin, um das weitere
Powerplay gegenüber Belgrad abzustimmen.

Völkerrecht ausgehebelt

Die Dramatisierung der Causa Mladic dient aktuell nicht, wie von
Brüssel behauptet, dem Stop der EU-Annäherung der größten
exjugoslawischen Republik. Damit könnte man in Belgrad kaum jemanden
schrecken, denn das in Aussicht gestellte Stabilisierungs- und
Assoziierungsabkommen würde dem Land genauso wenig bringen wie dem
benachbarten Mazedonien, wo ein solches schon seit 2001 in Kraft ist.
Vielmehr wird die angebliche Nichtkooperation Belgrads mit dem Haager
Tribunal dazu benutzt, um Serbien das Recht auf das Kosovo streitig
zu machen. Dies verdeutlicht ein aktuelles Papier der Stiftung
Wissenschaft und Politik (SWP), einem der wichtigsten Think Tanks der
Bundesregierung, das eine Strategie der EU für die derzeitigen Wiener
Verhandlungen über einen Endstatus für das Kosovo formuliert. Darin
wird zunächst darauf verwiesen, daß die serbische Ablehnung einer
Abtrennung des Kosovo und der Bildung eines eigenen Staates ein
starkes völkerrechtliches Fundament hat. Es ist nämlich nicht nur
Fakt, daß die UN-Resolution 1244 vom Juni 1999 die Zugehörigkeit der
Provinz zu Jugoslawien (heute: Serbien-Montenegro) festgeschrieben
hat und dies auch die Grundlage für die derzeitige UN-Verwaltung
UNMIK nebst Stationierung der NATO-geführten Besatzungstruppe KFOR
darstellt. Mehr noch: Die Anerkennung eines neuen Staates namens
Kosova würde auch gegen die Prinzipien verstoßen, die die EU bisher
auf dem Balkan vertreten hat: Nur Republiken des früheren
Jugoslawien, nicht aber einzelne Gebiete, völkerrechtlich zu
legitimieren.

Anstatt auf dieser Grundlage nun aber die antisezessionistische
Position der serbischen Regierung unter Premier Vojislav Kostunica zu
unterstützen, schlägt das SWP-Dossier an dieser Stelle eine Volte:
»Kostunicas Pochen auf die Notwendigkeit der Einhaltung des
Völkerrechts ... wird jedoch durch Belgrads lange Zeit an den Tag
gelegten Unwillen konterkariert, seine völkerrechtlichen
Verpflichtungen gegenüber dem Haager Tribunal ... zu erfüllen.
Zuletzt mußte die Regierung zugestehen, daß Armee- und Polizeikreise
jahrelang den vom Haager Tribunal gesuchten bosnisch-serbischen
General Ratko Mladic versteckt gehalten zu haben. Nun aber ist es für
Belgrad zu spät, sich noch mit einer Aufdeckung von Mladics
Zufluchtsort das Wohlwollen der westlichen Führungsmächte und ihr
Entgegenkommen bei der Regelung des Status von Kosovo zu sichern.«
Notabene: Das Haager Tribunal kann keiner Regierung »völkerrechtliche
Verpflichtungen« auferlegen, weil es zwar vom UN-Sicherheitsrat, aber
unter Bruch der UN-Charta und damit des Völkerrechts eingerichtet
worden ist.

Kritik an den USA

Es spricht für die Verwilderung der internationalen Beziehungen, daß
sich die Bundesregierung mit diesem erpresserischen Kurs trotzdem als
das kleinere Übel darstellen kann. Das SWP-Dossier spart nicht mit
Seitenhieben gegen die USA und Großbritannien, die sich »für die
Unabhängigkeit der Provinz ausgesprochen (haben), noch bevor die von
der UNO einberufenen Kosovo-Statusgespräche begannen«. So habe der US-
Amerikaner Lawrence Rossin als stellvertretetender UNMIK-Chef
erklärt, »daß Kosovo wahrscheinlich noch in diesem Jahr unabhängig«
werde. Demgegenüber befürworten die meisten EU-Staaten, und hier
insbesondere Deutschland und Italien, eine »eingeschränkte
Souveränität unter internationaler Aufsicht«, die der Provinz erst
nach einer Übergangszeit (»vielleicht 2014«) die volle Staatlichkeit
bringen und diese gleich durch die Aufnahme in die EU wieder
einschränken würde. Außerdem müßten »Albaner und Serben die Regelung
(des künftigen Kosovo-Status) gemeinsam mittragen«. Demgegenüber sind
US-Amerikaner und Briten der Ansicht, daß der künftige Status für
»das Volk Kosovos« annehmbar sein müsse. Während mit dieser
Extremposition die Serben also von Anfang an übergangen werden, hofft
die Bundesregierung auf deren Einlenken in der Frage der
Unabhängigkeit unter dem Druck der Haager Siegerjustiz.

=== 6 ===

http://www.jungewelt.de/2006/05-18/001.php

18.05.2006 / Inland / Seite 3

Kriegsverbrecher zu Gast

Agim Ceku, Ministerpräsident des Kosovo, zur Audienz bei
Außenminister Frank-Walter Steinmeier. Haftbefehl von Interpol nicht
aufgehoben

Jürgen Elsässer

(Was soll ich machen, wenn meine Landsleute Rache an ihren serbischen
Peinigern nehmen? Agim Ceku am 2. März 2006 in Pristina
Foto: AP)

So ausgewogen ist die deutsche Balkanpolitik: Am Montag und Dienstag
dieser Woche war Serbiens Ministerpräsident Vojislav Kostunica zu
Gast bei der Bundesregierung, am heutigen Donnerstag reist Agim Ceku,
der albanische Regierungschef des Kosovo, an. Doch während
Außenminister Frank-Walter Steinmeier gegenüber Kostunica erheblichen
Druck machte, doch endlich den vom Haager Tribunal als
Kriegsverbrecher gesuchten bosnisch-serbischen Oberbefehlshaber Ratko
Mladic auszuliefern, wird er seinen Besucher aus Pristina wohl mit
Fragen zum kosovo-albanischen Oberbefehlshaber nicht behelligen. Kein
Wunder: Der heutige Politiker Ceku war es selbst, der im Kriegsjahr
1999 an der Spitze der albanischen UCK-Guerilla stand.

Eine blutige Karriere

Bevor Ceku sich der UCK anschloß, hatte der Kosovo-Albaner als
General in der kroatischen Armee gedient. Nach Angaben der
militärischen Fachzeitschrift Jane’s Defence Weekly vom 10. 6. 1999
war Ceku das »Gehirn der erfolgreichen Offensive der Kroatischen
Armee bei Medak« im September 1993. Die Operation unter dem Codenamen
»Verbrannte Erde« führte zur vollständigen Zerstörung der serbischen
Dörfer Divoselo, Pocitelj und Citluk, über 100 Zivilisten wurden
ermordet.

Ceku war auch einer der hauptverantwortlichen militärischen Planer
der »Operation Sturm«, mit der die Truppen Zagrebs im Sommer 1995 die
Krajina eroberten und die dort lebenden 200 000 Serben vertrieben.
(Jane’s Defence Weekly, 10.6.1999) Nach Ansicht des kroatischen
Helsinki-Ausschusses für Menschenrechte kam es während des
dreitägigen Blitzkrieges zu etlichen Massakern, denen mindestens 410
namentlich identifizierte Zivilisten zum Opfer fielen. Die serbische
Menschenrechtsorganisation Veritas berichtet, daß im Jahre 1995
insgesamt 2101 serbische Zivilisten in der Krajina und in Kroatien
getötet wurden oder spurlos verschwanden.

Kleine Unstimmigkeiten

Nach der Besetzung des Kosovo durch die NATO im Juni 1999 wurde die
UCK in das Kosovo-Hilfskorps (TMK) aufgelöst und Ceku zu dessen
Kommandeur ernannt. Als es in der Folge zu einer Welle von Pogromen
gegeben Serben mit Hunderten von Toten kam, konstatierte die OSZE,
»daß das Ausmaß der UCK- (und nun der TMK-)Verwicklung von solchem
Charakter und Zuschnitt ist, daß die Frage einer expliziten oder
stillschweigenden Verwicklung der Führungsspitze eine genaue
Untersuchung der internationalen Gemeinschaft erfordert.« Die
Führungsspitze – das war Ceku.

Wegen dieser Verbrechen beantragte Serbien einen internationalen
Haftbefehl gegen Ceku, den Interpol auch übernahm. Auf dieser
Grundlage wurde der Albaner zweimal kurzfristig festgenommen, und
zwar am 24. Oktober 2003 in der slowenischen Hauptstadt Ljubljana und
am 29. Februar 2004 in Budapest. In beiden Fällen kam er dank einer
Intervention von Harri Holkeri, des damaligen UN-Gouverneurs für
Kosovo, wieder frei.

Nach Cekus Wahl zum Ministerpräsidenten der Provinz Kosovo am 10.
März 2006 stornierte Interpol den Steckbrief da Staatsmänner in
Führungspositionen Immunität vor internationaler Strafverfolgung
genießen. Dies bedeute jedoch nicht, daß der Haftbefehl aufgehoben
sei, sondern lediglich, daß er nicht weiterverfolgt werde, solange
Ceku diese Position innehabe.

Obwohl Ceku durch den Besuch bei Steinmeier aufgewertet wird, ist es
erfreulich, daß er wenigstens – anders als Kostunica – keine Audienz
bei der Kanzlerin erhält. Bereits Anfang Februar war Hashim Thaci im
Auswärtigen Amt empfangen worden; der frühere politische Chef der UCK
ist heute Delegationsleiter der Kosovo-Albaner bei den Wiener
Endstatusgesprächen über die Zukunft der Provinz. Thacis Erfolg an
der Spree hielt sich in Grenzen: Sein Auftritt an der FU war völlig
mißglückt, der Guerillaführer mußte vor einer ungeputzten Tafel
sprechen, nur wenige Studenten waren gekommen. Thaci brach seinen
Besuch daraufhin einen Tag früher ab.
Cekus Bilanz. Kosovo-Gewalt nimmt wieder zu
Die serbische Regierung hat im März genaue Zahlen vorgelegt, die die
traurige Situation im Kosovo seit dem Kriegsende im Juni 1999
bilanzieren: Mehr als 230000 Serben sowie 30000 Roma und andere Nicht-
Albaner wurden vertrieben; 927 Serben wurden getötet; weitere 800
Nicht-Albaner sind verschleppt worden – nach jahrelangem Suchen muß
man auch für sie das Schlimmste fürchten.

Trotz einiger Anstrengungen, die Geflüchteten zur Rückkehr in die
Krisenprovinz zu bewegen, sind dem entsprechenden Aufforderungen bis
dato gerade zwei Prozent (UN-Angaben: sieben Prozent) gefolgt. Der
Grund: Immer noch machen albanische Nationalisten Jagd auf die
Minderheiten.

Obwohl den Albanern angesichts der seit März laufenden sogenannten
Endstatus-Gespräche in Wien an einem guten Image gelegen sein müßte,
reißen die Übergriffe nicht ab. Eine unvollständige Aufstellung aus
den letzten drei Wochen:

Der 24. April verzeichnet einen Steinhagel auf ein serbisches Haus in
Mitrovica und ein serbisches Auto in Suvi Dor sowie Schüsse auf ein
serbisches Anwesen in der Nähe von Istok.

Am 26. April explodiert ein Sprengsatz vor dem UN-geleiteten Gericht
in Zubin Potok.

Am 5. Mai werden bei einer Demonstration albanischer Nationalisten in
Pristina (wo keine Serben mehr leben) neun UN-Polizisten verletzt.

Am 6. Mai wird das Auto des serbischen Priesters Srdjan Stankovic
beschossen.

Am 7. Mai wird ein Pendlerbus zwischen der serbischen Enklave Osojane
und Mitrovica mit Steinen beworfen.

Am 11. Mai werden bei einem Überfall auf eine Tankstelle bei
Mitrovica zwei serbische Angestellte niedergeschossen. Daß kein Geld
entwendet wurde, spricht für ein rassistisches Motiv.

Am 12. Mai wird der Bus aus Osojanje erneut mit Steinen beworfen.

(je)