Informazione

(Per accedere al volantino della iniziativa ed a varia documentazione
sulla vicenda:
https://www.cnj.it/INIZIATIVE/goriziani06.htm )

Elenco di infoibati!
SICURO?

La stampa italiana ha battuto la grancassa
su quello che ha presentato come l'elenco "degli infoibati di Gorizia".
Ma si tratta veramente di un caso clamoroso,
ed è poi davvero "l'elenco degli infoibati goriziani"?

Nataša Nemec,
ricercatrice storica di Nova Gorica,
autrice dell'elenco in questione,
ha qualcosa da dire in proposito (in italiano).

Venite a sentirla martedi 30 maggio 2006
alle ore 20:30 alla libreria/bar Knulp
Via Madonna del Mare 7/a - TRIESTE/TRST

Organizzano: Promemoria ed ARCI

DRACULA È ASBURGICO E STATUNITENSE



ROMANIA: VENERDI' TORNA AMERICANO IL CASTELLO DI DRACULA

(ANSA) - NEW YORK, 23 MAG - Oltre 60 anni dopo esser stato requisito
dal regime comunista, il castello di Dracula in Romania tornera'
venerdi' nelle mani di uno dei suoi originali proprietari, un erede
della dinastia Asburgo che vive nella contea di Westchester, alle
porte di New York. La consegna delle chiavi all'architetto Dominic
von Hapsburg avverra' a mezzogiorno nel museo del maniero, che e'
anche uno dei piu' popolari luoghi turistici della Romania. Il
castello vale circa 25 milioni di dollari. Apparteneva alla ex regina
Maria che l'aveva lasciato in eredita' alla figlia Ileana nel 1938.
Dieci anni dopo era stato confiscato dai comunisti e caduto in
rovina. Hapsburg, il nuovo proprietario, e' nipote della regina Maria
e ha passato la sua infanzia nel castello. (ANSA). BN
23/05/2006 23:13

ROMANIA: CASTELLO DRACULA TORNA AGLI ASBURGO / ANSA

(di Andreea Iatagan) (ANSA) - BUCAREST, 26 MAG - Oltre 60 anni dopo
essere stato espropriato dal regime comunista, il famoso Castello del
Conte Dracula in Transilvania e' tornato in possesso oggi dei suoi
legittimi proprietari, gli eredi degli imperatori d'Asburgo. Il
Castello Bran, soprannominato dai romeni la 'Fortezza di Dracula',
nella regione di Brasov (Kronstadt) nella Romania centrale, e' stato
simbolicamente consegnato nelle mani di Dominic d'Asburgo, l'ultimo
discendente della dinastia che fino a 88 anni fa aveva guidato la
monarchia austro ungarica, in una cerimonia alla presenza del
ministro della cultura romeno Adrian Iorgulescu. Di professione
architetto, Dominic d'Asburgo e' il nipote della Regina Maria di
Romania e vive oggi nella contea di Westchester, vicino New York.
Durante la cerimonia gli sono state ufficialmente consegnate le
chiavi del castello costruito oltre 700 anni fa e il cui valore
attuale e' stimato sui 25 millioni di dolari. Il castello, associato
al leggendario Conte Dracula e meta di grande attrazione turistica,
fu costruito dai Cavalieri Teutonici nel 1377 per proteggere la
vecchia citta' di Kronstadt (l'orierna Brasov) dagli attachi dei
turchi e divenne la piu' importante fortezza dell'impero
austroungarico in Transilvania. Nel 1920 la citta' di Brasov regalo'
il castello alla Regina Maria per meriti dopo che la Transilvania era
diventata una provincia romena. Da allora il castello fu adibito a
residenza estiva della famiglia reale Fu la Regina Maria, moglie del
secondo re romeno, Ferdinand, della casata degli Hohenzollern-
Sigmaringen, a rinnovare l' antico maniero e lasciarlo in perfette
condizioni nel 1938 alla figlia, la principessa Ileana. Ileana e'
stata l'ultima proprietaria del Castello Bran, prima che il regime
comunista lo confiscasse nel 1948. Dominic d'Asburgo (67 anni) e'
figlio della principessa Ileana, nato dal matrimonio con l'arciduca
Anton di Austria. I primi anni della sua infanzia Dominic li ha
trascorsi nel castello Bran, ma con l'arrivo al potere dei comunisti,
Ileana e la sua intera famiglia emigrarono in Argentina per poi
stabilirsi negli Stati Uniti. Per anni Dominic e' stato in trattative
con il governo per ottenerne la restituzione, ma e' solo ora con una
nuova legge, varata da Bucarest in vista dell'adesione della Romania
nell'Ue nel 2007, che e' riuscito a vedere riconosciuto il suo
diritto a rientrare in possesso del castello. Da oggi, dunque, il
Castello indissolubilmente associato all'efferato conte Dracula,
passa di mano al principe-architetto danubiano-newyorchese. Lo
spirito del conte forse avra' da ridire, e forse con qualche diritto
dal momento che lo storico maniero e' piu' famoso grazie a Dracula,
che non alla dinastia imperiale. A ispirare la leggenda del conte
Dracula fu il principe Vlad Tepes, che visse realmente in Romania nel
15/o secolo, e al quale si ispiro' anche lo scrittore americano Bram
Stocker. Il principe nacque nel 1431 in Transilvania e riusci' a
salire sul trono a seguito di una battaglia sanguinosa contro i
turchi che si erano impadroniti in quegli anni delle province romene.
Fu il suo comportamento feroce che valse al principe Vlad il
soprannome di Tepes 'Dracul', che in romeno significa 'impalatore'.
Il suo metodo preferito per uccidere i nemici e i sudditi
disobbedienti era di impalarli vivi. I libri di storia raccontano che
durante una delle successive battaglie contro i turchi Vlad Tepes
fece trovare all'esercito nemico lungo la strada migliaia di persone
impalate. Esibizione che basto' a scoraggiare i soldati e far loro
fare immediatamente dietro-front. I romeni ricordano oggi il principe
Vlad per il suo valore militare e molti lo consideranno un eroe per
aver resistito alle offensive turche. Il castello, trasformato in
museo dopo la caduta del regime comunista nel 1989, e' da tempo una
delle principali attrazioni turistiche della Romania ed e' proprio
per protteggere il turismo nazionale che il Ministero della Cultura
ha accettato di restituire il castello a condizione pero' che esso
rimanga per almeno tre anni un museo aperto al pubblico. Condizione
questa accettata da Dominic che non esclude neanche di rivenderlo un
giorno allo stato romeno: ''In tre anni avremo tutto il tempo di
riflettere'', ha detto. Bran non e' il primo castello che lo stato
romeno riconsegna ai vecchi proprietari. La stessa legge che ha
permesso a Dominic d'Asburgo di riavere il maniero in Transilvania,
ha consentito anche al Re Michele I di rientrare in possesso del
castello di Peles di Sinaia, nel centro del paese. La famiglia reale
romena e' un ramo degli Hohenzollern-Sigmaringen e ha regnato in
Romania dal 1866 al 1947 con i re Carol I, Ferdinand, Carol II e
Michele I. (ANSA). RED-BUS
26/05/2006 18:57

(Questa è la storia di un partigiano dei Gap triestini, recentemente
scomparso.
Perse la madre in Risiera ed il padre fu fucilato per rappresaglia
dai nazifascisti ad Opicina; il fratello cadde combattendo; lui
stesso fu gravemente ferito.
Ma nel dopoguerra subisce un processo e gli è negata a lungo la
cittadinanza italiana; viceversa, al capo dei torturatori di Trieste,
Collotti, è attribuita una medaglia.
Una storia normale, insomma.)

---

Cari compagni, alcuni giorni fa è morto a Trieste, dopo una lunga
malattia, il compagno Igor Dekleva, partigiano. Lo ricordo come una
persona forte e gentile assieme, che mi ha fatto capire come a volte
delle scelte violente possano essere fatte anche da chi non sarebbe
violento per propria indole, ma che alla fine della violenza non
desiderano altro che vivere in pace. Le pagine che seguono fanno
parte di uno studio sull'Ispettorato Speciale di PS, che operò nella
"Venezia Giulia" tra il 1942 ed il 1945, e raccontano le vicende
tragiche e paradossali che costituirono la vita di Igor Dekleva. Dato
che Igor è morto prima di poter leggere quanto ho scritto su di lui,
desidero rendere pubblica la sua vicenda in questo modo, per
ricordarlo anche a chi non l'ha conosciuto.

Saluti resistenti
Claudia Cernigoi - Trieste

LA STORIA DI IGOR DEKLEVA.

Un paio d’anni or sono scrissi un articolo sulla vicenda di Igor
Dekleva, che riprendeva quanto apparso in un libro di Gian Pietro
Testa [1].
< Quello di Igor Dekleva è un caso che soltanto all’apparenza può
sembrare paradossale, mentre è sintomatico. (…) Appartenente ai GAP
di Trieste, Dekleva cadde in un’imboscata degli uomini
dell’Ispettorato Speciale di PS il 24 aprile 1945 (…) Dekleva si
difese, ci fu una sparatoria, lui rimase ferito, un brigadiere di
Collotti morì. Dekleva era stato processato nel 1943 in Croazia
(dov’era nato) da un tribunale degli ustascia ed espulso in Italia
perché “partigiano italiano”; nel ‘45, anche dopo l’arrivo
degli alleati a Trieste, egli non aveva patria e divenne
ufficialmente apolide. Nel 1954, durante la festa della polizia a
Palermo, Gaetano Collotti fu insignito della medaglia d’argento [2]
al valor militare alla memoria. (…) Pochi mesi dopo la medaglia a
Collotti, Dekleva, uno dei suoi perseguitati, fu sottoposto a
processo per il reato di omicidio nella persona del brigadiere (…)
Non subì carcere, Dekleva, perché il giudice riconobbe che il reato
era coperto da amnistia. Ma moralmente il giudice, nella sua
sentenza, volle condannare Dekleva, fornendo una sottile
disquisizione sul valore della vita umana. Di quella del brigadiere
di Collotti, naturalmente, non di quella del partigiano apolide.
Legittima difesa? Azione di guerra? Neanche parlarne. L’amnistia:
anche troppo per un apolide di nome sloveno, nato in Croazia >.
Qualche tempo dopo incontrai lo stesso Dekleva che mi spiegò che i
fatti non si erano svolti proprio come li riferiva Testa e mi
raccontò cos’era realmente accaduto [3].
Igor Dekleva non avrebbe voluto combattere. Voleva studiare per
diventare medico, farsi una famiglia, avere una vita normale. Cose
queste che sotto il fascismo erano impossibili per uno come lui,
sloveno e comunista. La sua famiglia aveva dovuto rifugiarsi da
Trieste a Zagabria, da dove era stata poi espulsa nel 1942, perché
“partigiani italiani”; così ritornarono a Trieste.
La madre Vera Kalister fu uccisa in Risiera nel giugno del ‘44; il
padre Stanislao fucilato per rappresaglia ad Opicina il 3/4/44
assieme ad altri settanta ostaggi; il fratello Cirillo, partigiano
EPLJ del Distaccamento Litorale Meridionale, cadde il 29/7/44 a San
Giacomo in Colle-Štjak [4]. Igor Dekleva “Miha”, a Trieste faceva
parte del comitato circondariale della Zveza Slovenske Mladine (ZSM,
Unione della Gioventù slovena) e militava nei GAP; < dopo gli arresti
del novembre e dicembre l’associazione della gioventù slovena
ottenne un notevole rinforzo con la venuta a Trieste dei noti
compagni Igor Dekleva-Miha e Carlo Šiškovič-Mitko. Quando tutte le
compagne che costituivano il comitato circondariale dovettero
trasferirsi nella zona già liberata, perché continuamente pedinate
dalla polizia, tutta l’organizzazione della gioventù rimase in mano
dei compagni Miha e Mitko > [5].
La sera del 24 aprile 1945 Dekleva andò ad una riunione clandestina
in un appartamento di via Gatteri, ma quando fu sul pianerottolo si
rese conto che nell’appartamento c’era la polizia che lo stava
aspettando. Gli agenti Ernesto Cenni e Raimondo De Franceschi
aprirono la porta e spararono addosso a Dekleva; lui rispose al fuoco
gettando una bomba e ferendo a sua volta gli agenti e scappò giù
lungo le scale. Davanti al portone trovò un poliziotto, Giuseppe Foti.
< Foti non era della banda Collotti, semplicemente abitava in quel
palazzo. Mi puntò contro la pistola perché voleva arrestarmi. Non
fare il cretino, lasciami andare, gli dissi, non sei neanche in
servizio. Niente da fare, non mi avrebbe lasciato andare. Io ho
dovuto sparare, se non sparavo io mi avrebbe ammazzato lui >.
Dekleva scappò in strada ed in via Ginnastica trovò un milite della
Decima, Attilio Riva, che cercò di fermarlo. Dekleva gli sparò e
l’altro rispose, colpendolo.
< Mi sparò addosso perché non aveva scelta. O io o lui. Era la
guerra >.
Dekleva fu ricoverato all’ospedale, gravemente ferito.
< Arrivò un’ambulanza militare che mi prese su per portarmi
all’ospedale. Quelli dell’Ispettorato volevano ammazzarmi subito,
ma l’autista glielo impedì, mi condusse all’ospedale, e loro con
me. Nell’atrio presero a picchiarmi, ma fu lo stesso portiere a
prendere le mie difese, li bloccò. “Questo è un ospedale, disse
loro, dove credete di essere?” e quelli mi lasciarono stare. Poi
venne Collotti in persona, per arrestarmi, ma i medici non gli
permisero di portarmi via, il dottor D’Este, che aveva già salvato
molte persone, gli mostrò le mie lastre, dove si vedeva che avevo una
scheggia nell’addome e gli disse che ero in fin di vita. Per inciso,
quella scheggia, ce l’ho ancora, non è che fossi in fin di vita per
quel motivo, ma evidentemente a Collotti la cosa fece impressione e
lasciò perdere. Per alcuni giorni quindi mi piantonarono per portarmi
via appena possibile, ma per fortuna arrivarono gli ultimi giorni di
aprile e tutta la “banda” scappò da Trieste perché stavano
arrivando i partigiani. Io rimasi in ospedale due mesi, perciò ho un
alibi di ferro se qualcuno vuole imputarmi qualche “infoibamento”
in quei giorni; uscii dall’ospedale dopo che gli jugoslavi
lasciarono il posto agli angloamericani >, concluse Dekleva con un
pizzico di amara ironia.
Il 26/4/45 presso l’Ospedale Maggiore di Trieste fu steso dal
giudice istruttore Ferruccio Bercich il seguente < processo verbale
di esame testimoni in via informativa > [6].
< Covacich Giovanni fu Luigi ab. via Giulia 24 presentemente
ricoverato all’Ospedale. L’Ufficio dà atto che gli agenti di PS
Attanasio Sante e Jerovasi Giuseppe dell’Ispettorato Speciale,
addetti al piantonamento del ferito Giovanni Covacich (…) hanno
dichiarato che per precise disposizioni ricevute dal dott. G.
Collotti (…) non sono autorizzati a permettere che il Covacich venga
esaminato. A richiesta dell’Ufficio l’agente ausiliario di PS
Moretti Gaetano, pure dell’Ispettorato Speciale, dichiara di essersi
messo in comunicazione telefonica col dott. Collotti e di aver
ricevuto conferma dell’ordine retroindicato con la precisazione che
il divieto di esaminare il ferito si estende altresì all’autorità
giudiziaria, qualora manchi l’autorizzazione dell’autorità
germanica di polizia >.
Vista la coincidenza delle date, domandai ad Igor Dekleva se sapesse
qualcosa di questo Covacich. Dekleva si mise a ridere. < Certo che lo
so, ero io >, e mi spiegò come si erano svolti i fatti.
< Covacich era il nome che risultava sulla carta d’identità che
avevo con me quando sono stato catturato, falsa naturalmente, per
questo risulta nei loro verbali. Chi mi riconobbe in ospedale,
invece, fu un tedesco, un certo Wolf, che mi aveva arrestato tempo
addietro, ma dal quale ero riuscito a scappare. “Ci rivediamo,
dunque, Dekleva”, mi disse. Ma i Tedeschi lasciarono Trieste il 26 o
27 aprile, chi rimase qui fino all’ultimo furono i banditi di
Collotti, rimasero qui anche durante l’insurrezione… mi sembra che
abbiano anche fucilato qualcuno negli ultimi giorni di guerra >.
Quando spiegai a Dekleva come mi fossi imbattuta nel nome Covacich,
volle sapere i nomi di quelli che lo avevano piantonato e, dato che
risultava dal verbale, glieli dissi. Aggiunse che durante il loro
“servizio”, i due non mancavano di dargli dei colpi sulla gamba
rotta, per vendicarsi del fatto che non potevano portarlo via
dall’ospedale, visto che i medici lo avevano dichiarato in fin di
vita.
Attanasio fu processato per collaborazionismo nel dopoguerra,
condannato in primo grado e poi amnistiato. Sostenne a propria
discolpa che era semplicemente andato a dare il cambio ad un collega,
come se ciò non comportasse una sua partecipazione alle attività del
Corpo.
Attilio Riva fu processato nel 1946; sostenne di avere sparato a
Dekleva credendolo un ladro, gli fu riconosciuto che non poteva
sapere di avere sparato contro un partigiano e fu assolto con formula
piena. Fu assolto anche dal reato di collaborazionismo perché < il
solo fatto di essere stato della Decima Mas > non comprovava il
collaborazionismo.
Neppure con la fine della guerra e del nazifascismo Dekleva ebbe la
vita facile, come abbiamo già visto. A parte l’arresto ed il
processo per avere ucciso il brigadiere Foti e ferito gli altri due
agenti, dovette lottare a lungo per ottenere la cittadinanza
italiana, dato che era considerato apolide. Nonostante si fosse
laureato in un’Università italiana, avesse sposato una cittadina
italiana e vivesse da ventotto anni a Trieste, quando nel 1970 chiese
per l’ennesima volta la cittadinanza italiana, gli risposero
negativamente. < Non risulta che l’interessato si sia assimilato
all’ambiente nazionale >, la motivazione ufficiale. Rimase apolide
per altri anni, fino al 1985, quando fu naturalizzato in base alla
legge 21/4/83 (concessione della cittadinanza a stranieri che hanno
sposato una cittadina italiana).
Dekleva è un uomo che avrebbe voluto semplicemente vivere una vita
normale, non combattere ed ammazzare altri uomini, ma fu costretto a
farlo. Non è anche questa un’ennesima violenza fatta contro altri
esseri umani, costringere qualcuno a diventare violento anche se non
vorrebbe?

[1] Il brano seguente è tratto dal libro di Gian Pietro Testa “La
strage di Peteano”, Einaudi, 1975, p. 78, 79.
[2] In realtà la medaglia era di bronzo, come vedremo più avanti.
[3] Testimonianze di Igor Dekleva all’autrice, luglio 1998 e agosto
2002.
[4] “Caduti, dispersi e vittime civili…”, cit..
[5] In “Trieste nella lotta verso la democrazia”, op. cit., p. 73.
[6] Carteggio processuale Gueli, cit.

Fonte: yugoslaviainfo

http://www.dw-world.de/dw/article/0,2144,2030985,00.html


Deutsche Welle
May 25, 2006



Disputed Author Handke Awarded German Literary Prize Austrian writer Peter
Handke is controversial because of his stance on Serbia


Controversial Austrian playwright and novelist Peter Handke was awarded the
city of Düsseldorf's Heine Prize for literature.

The Heine Prize, endowed for 50,000 euros ($64,000), is one of the three
highest-paying literature prizes in Germany. The jury said Handke - like
Heinrich Heine, the German poet after whom the prize is named - obstinately
follows the way to an "open truth." He puts forth his own poetic world view,
in contrast to broader public opinion, they said. The prize will be awared
on Dec. 13.

Handke wrote the groundbreaking experimental play "Offending the Audience"
and the novel "The Goalie's Anxiety at the Penalty Kick", but may be best
know for writing the novel "Wings of Desire", which was turned into a film
by Wim Wenders.

Pro-Serbian stance

He is controversial because of his pro-Serbian stance during the Balkan
wars, and his support for the Serbian regime.

Recently, French national theatre Comédie-Française removed the play "Voyage
to the Sonorous Land or the Art of Asking" from its 2007 season lineup,
after Handke spoke at the burial of former Serbian [president] Slobodan
Milosevic in March.

Handke, who lives in France, said in an essay in the French newspaper
Libération: "Let's stop laying the massacre . on the backs of the Serbian
military and paramilitary. And listen - at last - to the survivors of the
Muslim massacres in numerous Serbian villages around Srebrenica."

'Glad' acceptance

Last year, Handke's publisher, Suhrkamp Verlag, said the author would
categorically refuse any more literature prizes; in Paris, however, Handke
said he would "gladly" accept the Heine Prize.

Up to now, winners of the Heine Prize have included Walter Jens, Günter
Kunert, Max Frisch, Wolf Biermann, Hans Magnus Enzensberger, Elfriede
Jelinek und Robert Gernhardt.