Informazione

(Un excursus attraverso l'opera cinematografica di E. Kusturica, la
cultura e la letteratura jugoslava, punteggiato da interessanti
considerazioni sulla "balcanite" e qualche discutibile nota di
carattere politico... AM)



http://www.carmillaonline.com/archives/2006/05/001774.html#001774



Maggio 16, 2006



Dialogo sui Balcani, Kusturica e la letteratura jugoslava

di Babsi Jones - http://babsijones.typepad.com/babsi/



Emir inizia a sentirsi angosciato, 9 novembre. Emir si dichiara
disponibile a rinunciare al suo salario, 10 novembre. Emir si sveglia
sempre più tardi, arriva sul set a tarda sera improvvisando, 17
novembre. La tensione fra gli attori è al culmine, Emir non fa altro
che acuirla, 19 novembre. Emir aveva promesso che avrebbe tagliato la
sceneggiatura, invece continua incessantemente ad aggiungere pagine
supplementari, 24 novembre. Emir è nervoso, continua a dire che non
può lavorare più velocemente di così, 10 dicembre. Emir è molto
depresso, la situazione in Bosnia lo opprime, 14 dicembre. Emir si
aggira per i corridoi mormorando che ha problemi esistenziali, 11
gennaio. Ogni volta che Emir esce a bere un caffè temiamo che non
torni più, 26 gennaio.



Questi sono brevi stralci dall’esilarante diario di bordo redatto
nel 1993 da Pierre Spengler durante le riprese di quello che resta il
più grande capolavoro della storia del cinema jugoslavo:
“Underground”. Lavorare con Emir Kusturica, il genio nato nel
’54 a Sarajevo e cresciuto alla scuola praghese di Miloš Forman,
per molti è un incubo. Io ho incontrato Kusturica tre volte.



Una di queste, in conferenza stampa al cinema Anteo a Milano: il
regista, dimenticandosi di presentare il tour “Effetti
Collaterali” della sua No Smoking Orchestra, deliziò per un’ora
abbondante la platea con lunghi racconti di suini intenti a divorare
vecchie Trabant, e descrizioni di uova rotte. Si accingeva al
montaggio del suo “Super Eight Stories”, un film-documentario in
super otto che non ha avuto il successo che meritava. Il Kusturica-
pensiero è spesso ai limiti della provocazione; di lui si è detto
tutto il peggio, persino che lavorasse per il KOS, i servizi segreti
jugoslavi; la sua opera, più irrealista che surrealista, ha un
impianto chiaramente epico che viene sistematicamente corroso dal
sarcasmo e dalla farsa; “è come Shakesperare senza Shakespeare”,
ironizza Kusturica; il piano temporale di tutti i film è inesistente,
e in questa utopia ucronica lo spettatore viene costretto a muovere
l’attenzione dalla fiction alla realtà senza comprendere dove
finisce il sogno e l’illusione e dove comincia il documentario come
testimonianza (popolare, perché il regista ricrea sempre dimensioni
collettive). Essere spettatori degli imponenti lungometraggi di
Kusturica significa entrare in un labirinto, in cui gesto politico e
simbolismo si fondono in un carnevale tragico e picaresco; in
un’orgia pagana il lutto si mescola alla farsa, e il kitsch, che
serve a stigmatizzare i tanti squallidi personaggi che si aggirano
nel dedalo jugoslavo, è anche scialuppa di salvataggio: in
contrapposizione al cool e al politically correct, il kitsch è il
simbolo dell’irregolare e del sovversivo. Kusturica è un regista
inafferrabile.



E’ appena uscito in Francia un libro utilissimo per avvicinarsi al
cinema kusturiciano certi di smarrirsi con soddisfazione: si
intitola “Le lexique subjectif d’Emir Kusturica” (edizioni
L’Age D’Homme) e lo ha scritto Matthieu Dhennin. “E’ una
biografia multitraccia del regista nato a Sarajevo. I suoi film sono
popolari e ultrapremiati, ma la personalità di Emir Kusturica resta
un enigma; giudicato troppo in fretta, poco compreso a causa dei suoi
prolungati periodi di isolamento o di certe affermazioni forti
travisate e lette fuor di contesto, spesso vittima di attacchi
sistematici da parte di personalità culturali con qualche prurito
antiserbo (si pensi a Bernard-Henri Lévy o a Finkelkraut che, pur
dichiarando esplicitamente di non aver visto “Underground”, lo
accusarono di essere ‘un nuovo Céline schierato dalla parte dei
nazisti’), di Emir Kusturica sappiamo troppo poco.” Così dice
l’autore.
L'idea di Dhennin, che da anni conosce il regista e dirige il sito
kustu.com, era di preparare un volume che dipingesse - attraverso
aneddoti, e grandi e piccole narrazioni - un ritratto a tre
dimensioni del regista ex-jugoslavo, un ritratto sicuramente
contraddittorio ma esauriente. Operazione riuscita, a mio parere, che
si spinge oltre il cinema e la musica di Emir Kusturica: il libro è
una breve ma indispensabile guida alla "ex-Jugoslavia" e ai Balcani,
che aiuta il lettore a ricostruire il difficile mosaico culturale e
politico di un paese che "c'era una volta", di una terra di mezzo che
non si è mai affrancata dalla colonizzazione degli Imperi. Dalla
questione del Kosovo e da Peter Handke alla paccottiglia jugoslava
che ispira i nostalgici del Maresciallo Tito, “Lexique” offre al
lettore una rosa di tragitti possibili, e di potenziali approfondimenti.





Appena ho aperto il tuo libro, ho pensato: è costruito con una
geometria che ricorda quella del tuo ormai celebre sito; se a far da
guida tra le migliaia di pagine virtuali è una mappa di un'ipotetica
rete metropolitana, un underground, a facilitare la lettura di
"Lexique" c'è lo schema caro a Milorad Pavić nel suo "Dizionario dei
Chazari": il bianco, il blu, il rosso; fonti europee, fonti
balcaniche, altre fonti. Abbiamo bisogno di schemi per comprendere la
complessità di Kusturica e dell'universo balcanico? Dobbiamo
semplificare e ridurre all’osso? Non è un rischio?



Io temo che, nonostante tutti i miei tentativi di dare al sito e al
libro una struttura scientifica, il caos prevalga: nel sito, se
osservi attentamente, le pagine nascoste sono in gran numero; così
nel libro, dove le voci del lessico si accavallano, si intersecano e
fondono l'una nell'altra. E' una geometria solo apparente: ho
improvvisato molto, anche per sorprendere il lettore con collegamenti
fortuiti. Credo che inconsciamente io abbia tentato di lavorare sul
testo seguendo il metodo di Kusturica, che parte da un'immensa
conoscenza di trucchi del mestiere e dei grandi classici del cinema
per poi lasciarsi prendere la mano dall'emozione e
dall’improvvisazione.



Il prologo è costruito sui tuoi sogni, o incubi, che sfociano in una
vera e propria diagnosi medica: overdose di Kusturica. In un testo
pubblicato in rete lo scorso dicembre, io ironizzavo sulla
"balcanite" intesa come "dipendenza inguaribile dai Balcani". Sembra
che, una volta penetrati nella jugo-giungla, non si sia più capaci di
uscirne.



E' una cultura totalizzante, che ti fagocita se ti ci avvicini. Io
avevo bisogno di scrivere questo libro; scriverlo è stato un
sollievo. E’ un’intossicazione, e me ne accorgo dalle reazioni
delle persone che, entrando in contatto con me e accettando i miei
suggerimenti cinematografici o di lettura, poi mi ringraziano: come
se avessi dato loro un'opportunità prima inimmaginabile, la chance di
una scoperta fantastica. Non so perché la cultura slava crei
dipendenza; in soggetti particolarmente predisposti è una droga. Ma
non tutti sono predisposti, è risaputo.



Decisamente. Abbiamo entrambi esperienza diretta dei pregiudizi
culturali e politici nei confronti dell'universo jugoslavo. Gli
italiani non hanno idea di quel che accade nei Balcani; persino i
grandi eventi - penso ai bombardamenti del '99 su Belgrado - e i
personaggi leggendari, come Tito, sono dimenticati. Nel libro tu
ironizzi sulla classica svista degli operatori culturali europei, che
spesso confondono Emir Kusturica con Vojislav Koštunica (l'attuale
premier serbo, ndr). Com'è la situazione in Francia? Quanto i mass
media si occupano di ex-Jugoslavia, e come?



Il più delle volte mi danno noia: producono una sequenza ininterrotta
di clichés. La situazione in Francia è semplice, e te la riassumo in
una riga: i mass media non si occupano di ex-Jugoslavia. A meno che
non si tratti del Danubio che tracima o dell’assassinio di un primo
ministro, ma è un coverage che dura solo poche ore. Un esempio
concreto e attuale: del referendum montenegrino indetto per la fine
di maggio nessuno scrive una riga. Né delle conseguenze geopolitiche
che un simile referendum può avere sull’area balcanica. Non mi
stupisce che, in questa assenza di conoscenza e di informazione,
siano frequenti sviste ed errori. L’intento didascalico del mio
libro è dovuto a questo: alla noia inimmaginabile che mi coglie
quando per l’ennesima volta mi accorgo che la Slovenia, la Slavonia
e la Slovacchia vengono mescolate come carte in un mazzo.



Questo “Lexique”, infatti, è molto più di un testo sul cinema e
la vita di Emir Kusturica: è quasi un manuale che permette al lettore
di conoscere un paese incoerente e ambiguo, è una guida agli
avvenimenti storici, è una mappa geografica. E’ un libro che ho
definito "necessario". Mi chiedo quali siano stati i tuoi percorsi
balcanici, e attraverso quali esperienze tu sia passato per arrivare
a compilare questo glossario narrativo...



Ho fatto due viaggi nei Balcani. Più delle esperienze concrete di
viaggio mi ha segnato la letteratura, però. Leggere gli autori
jugoslavi è come aprire il vaso di Pandora. Ogni volta resto stordito
dalla quantità di dramma e di bellezza che alcuni autori canalizzano.
E’ superfluo che io menzioni Ivo Andrić, ovviamente, ma vale la
pena di fare i nomi di Milorad Pavić, di Miloš Crnjanski e di Danilo
Kiš. Di Goran Petrović, che è uno scrittore straordinario, solo
“69 cassetti” è stato tradotto; lo stesso vale per Velibor
Colić, che ha uno stile asciutto, jazzistico, persino quando descrive
i massacri bosniaci come se rievocasse una performance di Ben
Webster. Tu sai che la nostra comune frustrazione è dover attendere
le traduzioni; penso ai sette volumi che compongono “Zlatno Runo”
di Borislav Pekić, che in Francia sono fermi al terzo (inediti in
Italia, ndr); ci vorranno decenni; eppure Pekić non ha nulla da
invidiare a Balzac, né per stile né per complessità.



E’ vero. La vedova di Pekić, stanca di attendere, ha aperto di
recente un blog sul quale pubblica, giorno per giorno, i taccuini e
gli inediti del marito, in lingua inglese. La letteratura europea è
incompleta, la parte slava è assente, e qui ritorniamo al soggetto
centrale del tuo testo: Emir Kusturica. Aveva annunciato in pompa
magna un’opera imponente costruita sul più celebre romanzo di
Andrić, “Il ponte sulla Drina”; per anni abbiamo vissuto in
attesa, poi il progetto è sfumato. Ne avrebbe fatto un capolavoro, e
la letteratura jugoslava, contemporanea e non, ne avrebbe tratto
grande giovamento. Cos’è accaduto?



Non sono poi così convinto che una “Drina” kusturiciana sarebbe
stata un capolavoro. Consideriamo il metodo di Kusturica: ha bisogno
di grandissime libertà interpretative per girare. “Il ponte sulla
Drina” ha una struttura poco elastica, e per di più è un
mausoleo, è il monumento nazionale della letteratura jugoslava.
L’avrebbe costretto a muoversi in una gabbia. Pensa a
“Underground”: chi conosce il testo del drammaturgo Kovačević da
cui Kusturica ha tratto ispirazione sa quanto e come lo ha tradito e
rimaneggiato, e quanto il film, alla fine, sia lontano dalla piece
teatrale. Tutto è accaduto nella sua testa in fase di ripresa e di
montaggio. Credo che non abbia osato fare una simile operazione con
il capolavoro dell’unico premio Nobel jugoslavo...



Sono costretta a provocarti. “Underground” è il punto più alto
dell’opera di Kusturica. Kusturica è considerato un genio grazie a
quel film colossale; la stragrande maggioranza degli spettatori – ma
anche dei critici – sono rimasti in attesa di un bis che non c’è
stato. Emir Kusturica, dopo “Underground”, è un regista quasi
deludente. A tratti sembra che, sfinito da una tale impresa (le
riprese sono durate anni, hanno causato parecchi feriti e un paio di
morti, un numero incalcolabile di incidenti politici e diplomatici, e
di polemiche) Kusturica si sia rifugiato in una specie di limbo
regionalista, simile a quello da cui era partito con “Dolly Bell”;
ha inanellato una serie di ottime commedie, molto sincretismo
zingaro, un po’ di jugoslavian graffiti, con un linguaggio che
sembra disarticolato...



Non posso non essere d’accordo. “Underground” è il capolavoro.
Forse dovremmo dimenticarcene, dovremmo staccarci e valutare le
produzioni successive senza fare continui riferimenti a quel film
immenso; non credo che le opere successive siano di scarso valore,
credo che semplicemente volesse raccontare altre storie con un
linguaggio differente, forse sottotono. Avendo avuto l’opportunità
di vedere come lavora Kusturica, ore ed ore di pellicola poi
inutilizzata, posso dirti che è ovvio che girare un film, per Emir,
è una vera sofferenza; si tortura, persino lavorando su una commedia.
I film che sono seguiti (“Gatto Nero Gatto Bianco”, “La vita è
un miracolo”) non sono più deboli; sono meno oscuri, meno
macchinosi di “Underground”. La mia opinione è che si tratti di
opere che stanno, in ogni caso, una spanna sopra la stragrande
maggioranza dei film che abbiamo occasione di vedere al cinema.



E nell’immediato futuro, cosa accade? C’è questo progetto su
Diego Armando Maradona, e si è parlato di un’opera punk nei teatri
francesi...



Sì. “Maradona” non è un progetto semplice da raccontare: Emir ha
seguito Diego per più di un anno in diversi paesi raccogliendo
materiale e girando. Cosa uscirà da questo materiale è un segreto.
Le riprese sono terminate da sei mesi ma, com’è tipico, nessuno
ancora ha idea di cosa Kusturica stia approntando. Forse neppure lui
lo sa, e attende il guizzo emozionale, la scintilla. L’uscita era
prevista in occasione dei Mondiali, ma i produttori possono pure
cominciare a versar lacrime: Kusturica non chiude un film se non è
esattamente come voleva che fosse. L’opera punk, invece, è un
progetto più definito. Andrà in scena all'Opéra de Paris e sappiamo
che è liberamente ispirata al suo lungometraggio dell’89, “Il
tempo dei gitani”. Al posto delle musiche di Goran Bregović ci
sarà la band in cui Kusturica suona, cioè i rinnovati Zabranjeno
Pušenje/No Smoking Band. Se vuoi sapere cosa accadrà in
palcoscenico, però, torniamo al mistero e alla sorpresa: credo che
neppure Emir sappia cosa ne uscirà, ed è questo il lato divertente.
Lo vedremo nell'estate del 2007.



E il tuo “Lexique subjectif d’Emir Kusturica”?



Sono dieci anni che lavoro intorno a Emir Kusturica, sicché avevo
accumulato una quantità di materiale, edito e inedito, che attendeva
solo di essere utilizzato e organizzato. Di fatto, a scrivere il
libro ci ho messo solo sei mesi. All’inizio, le motivazioni che mi
hanno spinto sono stati i pregiudizi, le malignità, i pettegolezzi
che conosci: “è uno zingaro, è amico di Milošević”, quel
genere di dichiarazioni demenziali. Lavorando, in realtà, mi sono
accorto di star salvando dall’oblio tanti minuscoli aneddoti,
frammenti che hanno a che fare con l’opera e la vita di Kusturica
che forse si sarebbero smarriti. E sono felice di aver trovato un
editore che, amando il lavoro di Emir, si è preso il rischio di
pubblicare un testo così sui generis.


Pubblicato Maggio 16, 2006 12:21 AM

ALTRO CHE "ADDIO ALLE ARMI" !


L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà
degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali.

(Articolo 11 Costituzione Italiana)


...questo non autorizza certo a pensare, come sembra dedurre Riotta,
che l'Italia stia per modificare il suo atteggiamento generale verso
le missioni di pace o l'impegno per la difesa dei diritti umani e per
la gestione delle crisi. Abbiamo impegni importanti in Afghanistan;
abbiamo una presenza decisiva nei Balcani; siamo — non da ieri, ma
dagli anni in cui il centrosinistra era al governo — uno dei Paesi
più impegnati nel mondo con le proprie forze armate: il sesto per
numero di militari impiegati all' estero. Altro che addio alle armi!
I nostri soldati e i nostri carabinieri hanno guadagnato all'Italia
il rispetto della comunità internazionale, servendo con grande
coraggio e capacità. E continueranno a farlo con il governo di
centrosinistra.

(Massimo D'Alema
sul Corriere della Sera del 30/5/2006
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2006/05_Maggio/30/
dalema.shtml
segnalato da A. Liscia)

E' di circa una settimana fa la notizia dell'assegnazione a Peter
Handke, da parte della giuria, del premio Heinrich Heine consistente
nella somma di 50000 Euro che dovevano essere consegnati all'insigne
letterato austriaco a dicembre prossimo a Düsseldorf (si veda http://it.
groups.yahoo.com/group/jugoinfo/message/544).
La longa manus (pelosa) del circo del politically correct non è stata
certo ferma nemmeno stavolta. La consigliera comunale dei Verdi
tedeschi (il partito di Joska Fischer, tra i più slavofobi e attivi nel
fomentare lo squartamento della Jugoslavia) Karin Trepke ha dichiarato
che intende esercitare il diritto del consiglio comunale di Düsseldorf
di sovvertire il verdetto della giuria e revocare l'assegnazione del
premio al "serbo" Handke "amico del genocida Milosevic".
Come era facile prevedere in Germania si è sollevato un vespaio di
polemiche, sull'onda di quanto avvenuto recentemente in Francia dopo la
cancellazione di una pièce teatrale del perseguitato autore austriaco.

Di seguito una raccolta di articoli in inglese.

==New York Times== http://www.nytimes.com/2006/05/31/arts/31arts.html

Council to Revoke Handke's Prize

The city council in Düsseldorf, Germany, will vote next week to
override the jury that chose the avant-garde Austrian author Peter
Handke to receive the $50,000 Heinrich Heine Prize for literature,
Agence France-Presse reported yesterday. Karin Trepke, a Green Party
member of the council, said it planned to exercise its right to
overrule the jury. Mr. Handke has been under fire for his sympathies
for the Yugoslav leader Slobodan Milosevic, who died in March in The
Hague while on trial for genocide and war crimes.

==Deutche Welle== http://www.dw-world.de/dw/article/0,2144,2036907,00.
html

German Politicians to Block Prize for Milosevic Sympathizer
Local politicians in Düsseldorf are likely to block plans to award the
prestigious Heinrich Heine Prize to Austrian writer Peter Handke, who
has been criticized for his support of late Serb leader Slobodan
Milosevic.

Members of the Düsseldorf city council's four major parties, the
Christian Democrats, the Social Democrats, the Free Democrats and the
Greens all said they would vote against awarding the prize to Handke.

The writer had been named as the winner by a jury last week. But the
city council, which gives the prize money of 50,000 euros ($64,190),
must approve their decision. A vote has been scheduled for June 22.

"We're not going to make the money available," said one city council
member.

What's the damage?

Editorialists were divided on the likely decision to withhold the
prize.

"No one is going to dispute that this is an open affront against the
jury," wrote the left-wing Frankfurter Rundschau. "But first of all,
the jury was not united when doubts about the nomination arose. And
secondly, the damage for Düsseldorf would be even bigger if it accepted
honoring Handke in the name of Heine."

Writers at Berlin's left-wing die tageszeitung saw things differently.

"Heine doesn't deserve Handke and Handke doesn't deserve the Heine
Prize," it wrote. "But there's no doubt that Heine would have rejected
the political control of a jury. This form of censorship would be much
worse than awarding the prize to the wrong person."

The move to honor Handke came just a month after France's foremost
theater company decided not to stage one of his plays because of a
eulogy he delivered for Milosevic, the former Yugoslav president and
alleged war criminal who died in March. Handke had described Milosevic
as "a man who defended his people."

While Handke, who lives in France, refused to comment on the
controversy regarding the decision to award him the prize, he answered
his critics in an op-ed piece in the Frankfurter Allgemeine Zeitung on
Tuesday.

"Nowhere in my work I have called Slobodan Milosevic 'one' or 'the'
victim," he wrote.

==CBC Arts (Canada)==http://www.cbc.
ca/story/arts/national/2006/05/30/peter-handke.html

German controversy over award for author Peter Handke

A political and cultural row is brewing in Germany over a decision to
award the Heinrich Heine literature prize to Peter Handke, the Austrian
author who courted controversy with his eulogy at the funeral of
Slobodan Milosevic.

The Austrian author was named winner of the 50,000-euro ($70,745)
prize, given by the city of Duesseldorf.

But political and literary leaders are arguing whether the writer,
known for his pro-Serbian statements and writings, should be allowed to
receive the prize. Handke produced a travelogue in 1996 that showed
sympathy for the Serbs as victims of the Balkan wars.

Earlier this month, the Parisian theatre company Comédie-Française
withdrew his play Voyage to the Sonorous Land or the Art of Asking from
its 2006-07 season following his appearance at Milosevic's funeral.

"For my soul and my conscience it was impossible to welcome this
person into my theatre," company administrator Marcel Bozonnet said,
adding that to host someone's work in the theatre was "an act of
recognition, of love."

Milosovic died in prison in the Hague in March, while awaiting trial
for war crimes.

At Milosevic's funeral, Handke paid respect to him as "a man who
defended his people."

Some of his defenders have argued the words of Handke's eulogy were
mistranslated.

The jury for the Heine prize said that "in his work, Peter Handke
obstinately follows the path to an open truth. He sets his poetic gaze
onto the world regardless of the public opinion and its rituals."

But Germany's Green Party Leader Fritz Kuhn has urged Duesseldorf to
overturn the decision of its jury and stop Handke from collecting the
award.

It is a "scandal" to honour Handke with the prize, and a slap in the
face of the victims of former Serb strongman Milosevic, he said.

The Duesseldorf city council is considering whether to demand a new
decision from the jury, whose choice was not unanimous.

Journalist and feminist critic Alice Schwarzer defended what she saw
as Handke's courageous opposition to the political mainstream. "In a
time of general demonization of Serbia, he risked positioning himself
against the one-sided allocation of blame," Schwarzer said.

Handke wrote the experimental play Offending the Audience and the
novel The Goalie's Anxiety at the Penalty Kick, but may be best known
for writing the novel Wings of Desire, which was turned into a film by
Wim Wenders.

"Why don't people just open . . . my works instead of accusing me?"
Handke said in an interview with Le Monde after the Comédie-Française
decision.

"I wrote about the Serbs, because no one was writing about them, even
if I also think about the Croat and Muslim victims," said the writer,
who lives in France.






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"Dovere della sinistra far guerra a un dittatore"

Intervista a Walter Veltroni
su La Repubblica 1 aprile '99

"Da mesi parlo della Birmania, del Ruanda, di Cuba e dei dissidenti
sbattuti in galera da Castro, o ricordavo a Jang Zemin in visita in
Italia le esecuzioni degli oppositori in Cina. Adesso si vede qual è
il filo conduttore di questa politica: il tentativo di costruire una
Sinistra che faccia dei diritti umani il suo nuovo
'internazionalismo', come ha detto Tony Blair alla convention dei
socialisti europei a Milano. Una nuova coscienza dei disastri
umanitari, del dolore, della catastrofe che c'è in tante parti del
mondo. Il Kosovo, per colpa di Milosevic, è oggi la parte più
devastata da questo flagello. Per farlo finire, purtroppo, la
comunità internazionale è costretta ad usare lo strumento estremo, i
bombardamenti"

Walter Veltroni
http://www.democraticidisinistra.it/interviste/veltroni010499.htm

"La sinistra italiana che sosteneva il principio della non ingerenza
e della sovranità nazionale sta facendo un grande salto di maturità.
Una sinistra nuova che capisce che ci sono valori, principi e diritti
che non possono essere cancellati. Tra i giovani, tra gli studenti
c'è la consapevolezza che quando ci sono centinaia di migliaia di
persone che scappano può essere necessario usare la forza per aiutare
i deboli. Si parla della guerra giusta ma io vorrei introdurre il
concetto della pace giusta. Finché ci sono la diaspora, la pulizia
etnica, gli stupri, le decapitazioni, non c'è pace, anche se i
bombardieri tacciono"

Walter Veltroni
http://www.democraticidisinistra.it/interviste/
intervista_veltroni1004.htm

"Stavano avvenendo cose di fronte alle quali non ci si può più
limitare alla compassione e alla condanna: le decapitazioni, le fosse
comuni, lo sterminio. Vedi, a quelli che l'altro giorno sono venuti
davanti a Montecitorio con gli ulivi insanguinati, io potrei dire:
dov'eravate, amici, dov'erano i vostri fiori quando i serbi compivano
atrocità e uccidevano 300 mila esseri umani in Bosnia?"

Intervista a Walter Veltroni su l'Unità 29 marzo '99
http://www.democraticidisinistra.it/interviste/veltroni290399.htm


(Fonte: https://www.cnj.it/24MARZO99/politico.htm#velmel )