Informazione

Newsletter 2006/05/30 - A Son of Germany

BERLIN/AUSCHWITZ/VATICAN CITY (Own report) - In a speech, which was
widely felt to be outrageous, the head of the Roman Catholic Church,
the German Pope Benedict XVI, described the murderers of National
Socialist Germany as a "gang of criminals". He asserted that the
German people were delivered into the hands of this gang and "abused"
by them. The Pope made these claims during a visit to the former
concentration camp at Auschwitz and provoked international protest.
According to the French press, he gave the impression that he wanted
to acquit his countrymen of every responsibility. This sort of self-
exculpation goes largely uncriticised in Germany and has the approval
of wide sections of society. Whilst Ratzinger prayed for historical
and heavenly forgiveness for the mass of Germans ("unser Volk"), he
sharply attacked some of his former enemies in the anti-Hitler
coalition. The Pope was a one-time member of occupation forces under
the Nazi regime. Ratzinger said that the "blood sacrifice of Russian
soldiers" had a "dual significance" because it had served "a new
dictatorship". Similar views are widespread in the German and
international revisionist scene. They apply to the troops who
liberated Auschwitz on 27th January 1945 and who fought alongside the
Western powers until the successful taking of the Berlin Reichstag
Ratzinger has already given credence to revisionist opinion, which is
directed against the legal international agreements of the Potsdam
Accord.

http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/56000


Newsletter vom 30.05.2006 - Deutscher Sohn

BERLIN/OSWIECIM/VATIKANSTADT (Eigener Bericht) - In einer als
empörend empfundenen Rede hat das Oberhaupt der katholischen Kirche,
der deutsche Papst Benedikt XVI., die Mordtaten des
nationalsozialistischen Deutschland einer "Schar von Verbrechern"
zugeschrieben. Dieser "Schar" seien die Deutschen ausgeliefert
gewesen und wurden "mißbraucht", behauptete der deutsche Papst bei
einer Reise in das frühere Konzentrationslager Auschwitz. Die
Äußerungen rufen internationalen Widerspruch hervor. Der deutsche
Papst erwecke den Eindruck, er wolle seine Landsleute von jeder
Verantwortung freisprechen, heißt es in der französischen Presse. Die
Selbstentschuldungen bleiben in der Bundesrepublik weitgehend
unkritisiert und treffen auf das Einverständnis breiter
Gesellschaftsgruppen. Während Ratzinger für die Masse der Deutschen
("unser Volk") historisches und göttliches Vergeben erbat, griff der
Papst, ein früherer Besatzungssoldat im Dienst des NS-Regimes, seine
damaligen Gegner der Anti-Hitler-Koalition in Auschwitz scharf an:
Das "Blutopfer der russischen Soldaten" habe eine "Doppelbedeutung",
da es "einer neuen Diktatur" gedient hätte, sagte Ratzinger. Ähnliche
Thesen werden in der deutschen und internationalen Revisionisten-
Szene vertreten. Sie gelten den Truppen, die das Konzentrationslager
Auschwitz am 27. Januar 1945 befreiten und gemeinsam mit den Soldaten
der Westmächte bis zur erfolgreichen Eroberung des Berliner
Reichstags kämpften. Revisionistische Anklänge, die sich auch gegen
die völkerrechtlichen Vereinbarungen des Potsdamer Abkommens richten,
hat Ratzinger bereits früher erkennen lassen.

http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/56378


Lettre d'information du 30/05/2006 - Fils allemand

BERLIN/OSWIECIM/LE VATICAN (Compte-rendu de la rédaction) - Dans un
discours ressenti comme soulevant l'indignation, le chef de l'église
catholique, le pape allemand Benoît XVI à imputé les crimes de
l'Allemagne nazie à une "horde de criminels". Les allemands auraient
été à la merci de cette "horde", et ont été "abusés", prétend le pape
allemand au cours d'un voyage à l'ancien camp de concentration
d'Auschwitz. La déclaration suscite l'opposition internationale.
Selon la presse française, le pape allemand donnerait l'impression de
vouloir dédouaner de leur responsabilité ses compatriotes. Les auto-
dédouanements ne suscitent, dans la plupart des cas, aucune critique
et rencontrent l'acquiescement de larges pans de la population.
Pendant que Ratzinger s'emploie a demander pour la masse des
allemands ("notre peuple") le pardon historique et divin, cet ancien
soldat des forces d'occupation, qui ayant été au service du régime
nazi, en profite pour attaquer virulemment ses ennemis de l'époque de
la coalition contre Hitler: "Le sang versé des soldats russes" a une
"double signification", puisqu'il aurait servi "une nouvelle
dictature", selon Ratzinger. Des thèses similaires sont également
reprises dans la scène révisionniste. Elles sot destinées aux troupes
qui ont libéré le camp de concentration d'Auschwitz le 27. Janvier
1945 et qui, conjointement avec les forces occidentales, ont combattu
jusqu'à la prise du Reichstag. Ratzinger avait déjà mis au grand jour
des relents révisionnistes, qui étaient notamment dirigées contre les
dispositions relatives aux droits des peuples de l'accord
de Potsdam.

http://www.german-foreign-policy.com/fr/fulltext/55879

Sull'ambiguo ruolo delle ONG e la "difesa dei diritti umani"

1) La sinistra, la propaganda di guerra e l'11 settembre. Intervista
a J. Elsaesser

2) Médecins sans frontières allo specchio (da Il Manifesto)


=== 1 ===

--- In aa-info @yahoogroups.com, "Renato Caputo" ha scritto:

di Paolo Jormi Bianchi

l'intervista è uscita in forma ridotta su La Rinascita della Sinistra

La sinistra, la propaganda di guerra e l'11 settembre - 9-3-06

(206 letture)

Intervista a Juergen Elsaesser

Sorridente, gioviale, chiacchera e fuma una sigaretta durante
una pausa nei lavori di un convegno in via Nazionale, a Roma. Ci
appare così Juergen Elsaesser, giornalista, scrittore, intellettuale
della sinistra tedesca, esperto di propaganda di guerra e di conflitti
balcanici. Da lui vogliamo qualche risposta sul nostro tempo e sulle
sfide che si parano di fronte alla sinistra europea. Perché Elsaesser
è autore di una dozzina di libri su questioni di politica estera,
specialmente incentrati sui retroscena del conflitto balcanico. In
Italia ha pubblicato " Menzogne di Guerra. Le bugie della NATO e le
loro vittime nel conflitto per il Kosovo " (Napoli, La Città del Sole,
2002) una delle pochissime opere dedicate alla disinformazione
strategica e ai crimini di guerra della NATO. Scrive su diversi
periodici della sinistra di lingua tedesca, tra i quali il quotidiano
di Berlino "Junge Welt" ed il settimanale "Freitag".

Mr. Elsaesser, lei ha recentemente affermato che la strategia
occidentale della propaganda di guerra si può sintetizzare in quattro
punti, quattro "procedure standard". Ce le vuole riassumere?

Il mio modello di riferimento è l'intervento Nato nei Balcani,
ma ogni conflitto passato, presente e del prossimo futuro sembra fare
affidamento sulla medesima strategia:
1- Di fronte ad un conflitto in corso o che si è deciso di
avviare, l'aggressore innanzitutto demonizza una delle parti in
conflitto o comunque dipinge come "male assoluto" chi ha avuto la
disgrazia di essere scelto come suo opponente. La Nato dipinse come
male assoluto i serbi nei Balcani, accusandoli di essere la sola parte
"colpevole" nel conflitto che era in corso, e ignorò come anche
croati, musulmani e albanesi commettessero atrocità.
2 - Viene scelto/creato un "trigger event", un evento
scatenante: deve servire a coinvolgere quante più forze internazionali
nel conflitto che è in corso o che si vuole avviare. Serve
sostanzialmente a creare la giustificazione per un "intervento
umanitario". La strage nel villaggio kosovaro di Racak del 1999 è un
buon esempio: i serbi vennero accusati di aver massacrato
deliberatamente 45 innocenti albanesi, sebbene oggi sappiamo che la
maggior parte delle vittime erano in realtà membri delle milizie
irregolari albanesi dell'Uck e che il massacro era in realtà un
combattimento, che aveva avuto dei vinti e dei vincitori. Tuttavia
grande clamore venne alimentato attorno a questa vicenda, per
giustificare l'intervento della Nato che ha portato allo spodestamento
e alla cattura di Slobodan Milosevic. Racak fu il "trigger event".
3 - Si fa un uso/abuso di retorica antifascista. Tutte le
aggressioni perpetrate dall'occidente prima del 1989 venivano
giustificate in funzione anticomunista. Dopo il crollo del muro ora
sono giustificate in funzione antifascista: Saddam, Milosevic,
Ahmadinejad. tutti sono dei novelli Hitler e la loro politica è
dipinta come un ritorno del nazismo sotto nuove spoglie. Ciò che è più
triste è che spesso l'intervento militare viene giustificato con la
volontà di prevenire un nuovo Olocausto, viene fatto cioè un abuso a
fini bellici della più grande tragedia della storia, che ha visto lo
sterminio di 6 milioni di ebrei ad opera dei nazisti tedeschi. Questa
verità storica, questo genocidio è usato per giustificare nuovi
genocidi. E questo è intollerabile. Quello che sto dicendo è che
quella tragedia è entrata in un meccanismo di procedure standard
legate alla propaganda di guerra, e questo è terribile, e criminale.
4 - Si finanziano Organizzazioni Non Governative perché siano,
più o meno consapevolmente, strumenti di propaganda che preparino il
terreno e successivamente giustifichino gli interventi militari.
Medecins sans Frontieres , Journalists without Borders , Human Rights
Watch : la vera difficoltà per il movimento per la pace e per la
sinistra dei paesi occidentali è quella di vedere attraverso questo
inganno e smascherarlo. Alcune di queste Ong sono molto critiche verso
l'amministrazione Bush, come ad esempio Human Rights Watch . Ma questa
Ong è finanziata dal multimiliardario americano George Soros, vicino
ai democratici, ed è solo per questo che contesta il presidente
repubblicano. Non ha affatto una vocazione antimperialista ed è dalla
parte degli interessi statunitensi al 100%. Analoghi finanziamenti
imbarazzanti si possono riscontrare dietro alle altre Ong che ho citato.

La sua analisi si concentra molto sul concetto di retorica. La
retorica del male assoluto, la reorica dell'antifascismo, persino la
retorica dei diritti umani: su questo si basa la propaganda di guerra.
Ma c'è una nuova retorica imperante ai giorni nostri: è quella dell'11
settembre.

Voglio fare anche io ricorso alla figura di Hitler, come fa chi
punta il dito di volta in volta contro i nemici dell'occidente: io
paragonerei gli eventi del 11 settembre del 2001 all'incendio del
parlamento tedesco, il Reichstag nel 1933. Hitler accusò i comunisti
di quel disastro e sfruttò la situazione per la sua ascesa al potere,
cancellando la democrazia e i diritti civili. Con l'11 settembre si è
identificato il "male assoluto" nella matrice islamica degli
attentati, ed è stato introdotto il Patriot Act , una legge che come
il Reichstagsbrandverordnung, il "decreto dell'incendio del Reichstag"
- fatto firmare da Hitler subito dopo il disastro all'allora
presidente della Repubblica di Weimar, Von Hindenburg - limita le
libertà dei cittadini.

Il dibattito tra gli storici solleva seri dubbi che l'incendio
del Reichstag sia stato compiuto dai comunisti.

...allo stesso modo esistono diverse prove che nei tragici eventi
dell'11 settembre sono coinvolti servizi segreti occidentali.

Nel suo ultimo libro - "Come la Djihad giunse in Europa", non
ancora edito in Italia - lei dimostra che Osama bin Laden ricevette un
passaporto dal governo di Sarajevo, e che i suoi seguaci hanno
combattuto nei Balcani a fianco dei musulmani. Scrive anche che alcuni
di coloro che hanno partecipato agli attentati di New York e
Washington sono stati seguiti e assistiti dai servizi segreti
americani nei loro spostamenti dalla Serbia al resto d'Europa, ad
esempio ad Amburgo, dove hanno organizzato gli attacchi dell'11
settembre. Qui siamo un po' oltre la propaganda, non trova?

Era dal gennaio del 2000 che Al-Hazmi e Al-Mihdhar, due
dirottatori che si sono schiantati sul Pentagono con il volo 77
dell'American airlines, erano nella lista delle persone da tenere
sotto controllo da parte dell'Fbi e della Cia, ed erano persino
disponibili le loro foto segnaletiche. I due terroristi hanno
soggiornato negli Usa per circa 20 mesi affittando appartamenti e
automobili, aprendo conti correnti bancari, il tutto usando i loro
veri nomi. Hanno persino vissuto per diverse settimane a San Diego con
un informatore dell'Fbi. Tuttavia nessuno li ha fermati prima che
mettessero a segno i loro propositi. Tutto questo non è nel mio libro,
ma lo ha scritto il mio connazionale ed ex ministro della repubblica
federale tedesca Andreas Von Buelow, un profondo conoscitore del mondo
dei servizi segreti: li ha infatti studiati da una posizione
privilegiata. Per me questa è una delle vicende più significative che
testimoniano il ruolo decisivo dei servizi segreti occidentali negli
attentati dell'11 settembre 2001.

Mr. Elsaesser, lei ha descritto una serie di procedure standard
di propaganda, che garantiscono sempre alle "forze della coalizione"
di turno di poter muovere guerra. L'ultima applicazione di queste
procedure si è avuta in occasione dell'11 settembre del 2001, e ben
due guerre sono state perpetrate in nome della reazione al terrore. Ma
secondo lei che resistenza può opporre il comune cittadino e con quali
armi può rispondere la sinistra pacifista?

È necessario ovviamente continuare a cercare di smascherare ogni
menzogna, e questo è compito del giornalismo. Ma è sulle fonti da cui
si attingono le informazioni che bisogna concentrare l'attenzione. È
bene iniziare a non considerare più come fonti affidabili diverse
organizzazioni non governative che - pochi ci fanno caso - vengono
finanziate dagli interessi occidentali. Le guerre nei Balcani hanno
dimostrato come alcune di queste Ong, in determinate occasioni,
abbiano svolto il ruolo di vere e proprie portavoce della Nato,
favorendo la visione atlantica e manichea del complesso panorama
balcanico, e denuciando a senso unico atrocità e delitti, favorendo la
demonizzazione di una sola delle parti in conflitto. Anche il mondo
della sinistra deve assumere delle contromisure. È importante
stabilire contatti diretti con i governi che si trovano sotto la
pressione ostile della propaganda occidentale. Senza sposare tesi
ridicole e dichiarazioni sconsiderate come quelle di Ahmadinejad,
sarebbe comunque opportuno, per esempio, istituire un canale diretto
con le autorità di Teheran. Non per solidarizzare, ma per sapere di
prima mano quali sono le parole che vengono pronunciate, e non doversi
basare su interpretazioni occidentali che molto spesso sono
mistificazioni che preparano il terreno a conflitti armati. Infine, un
suggerimento per tutti è quello di non ricorrere alla storia per
giustificare quello che scriviamo e che diciamo. Chi fa propaganda di
guerra abusa delle vittime dell'Olocausto. Noi dovremmo invece evitare
di partecipare a questo macabro gioco e cercare di fare informazione
evitando moralismi e impropri paralleli storici. Dovermmo attenerci ai
fatti, alla verità, a quello che sta accadendo ora e adesso. È questo
il nostro dovere.


di Paolo Jormi Bianchi

l'intervista è uscita in forma ridotta su La Rinascita della Sinistra


--- Fine messaggio inoltrato ---


=== 2 ===

(I ripensamenti critici su "aiuto umanitario e politiche imperiali"
sono benvenuti, ma certe persistenti rimozioni lasciano l'amaro in
bocca e danno da pensare. "Médecins sans frontières" non erano quelli
che nel maggio 1999, subito dopo aver preso il Nobel per la Pace,
*espellevano* la loro sezione greca "colpevole" di avere fornito
aiuti agli jugoslavi bombardati dalla NATO? AM)

il manifesto
18 Maggio 2006

intervista
Médecins sans frontières allo specchio

Aiuto umanitario e politiche imperiali

Rony Brauman, ex presidente di Msf, rilegge criticamente l'esperienza
«umanitaria» e «neutralista», con le ong sempre più subordinate alla
realpolitik

Anna Maria Merlo

Mentre le ong che dipendono finanziamente dagli Usa hanno dovuto
accettare di ritirarsi dalla Palestina, in seguito alla vittoria di
Hamas il 25 gennaio scorso, Médecins sans frontières rifiuta di
trasformarsi in ausiliaria dei diplomatici. Il rifiuto di fare la
cernita tra le «buone» e le «cattive» vittime, così catalogate
dall'ideologia politica dominante, è uno dei principi fondatori di
Msf, la più emblematica delle organizzazioni di intervento di
emergenza nel mondo, che nel '99 è stata insignita del Nobel per la
pace.
Figura centrale dell'azione umanitaria, Rony Brauman, che dal '77 è
impegnato nel campo degli aiuti internazionali dopo alcuni anni di
militanza politica gauchista, dall'82 al '94 è stato presidente di
Msf. Nel corso deglmi anni, ha elaborato una visione critica
dell'aiuto umanitario, che spesso lo ha portato a prendere posizioni
in contrasto con la vulgata dominante in questo campo, che lui
condanna come «retorica umanitaria». Ha appena pubblicato un libro
molto problematico, «Penser dans l'urgence. Parcours critique d'un
humanitaire - entretiens avec Catherine Portevin» (Seuil, 267 pag.,
21 ), che parte dall'analisi dell'origine dell'umanitario prendendo
due «modelli»: da un lato quello della Croce rossa, che nasce nella
guerra, dall'altro quello che Brauman definisce «di sanità
coloniale», una faccia dell'imperialismo coloniale.

L'aiuto umanitario è oggetto di grande successo, attira persone,
soldi, il numero delle ong si moltiplica. Perché? Secondo lei,
l'impegno umanitario è venuto a sostituire un vuoto creato dal
declino dell'impegno politico?

Certo, il successo dell'umanitario negli ultimi 20-25 anni è anche
segno del declino del politico. Ha però anche dei meriti propri, che
non dobbiamo dimenticare. Fino ad allora, la politica aveva sempre
fatto una selezione tra i «buoni» e i «cattivi» morti, le vittime che
meritavano di essere commemorate e quelle che invece venivano gettate
nella pattumiera della storia. Il problema è che questa visione può
anche diventare un'ideologia, cioè una visione del mondo costruita
attraverso una sola idea. Per esempio, la divisione in ogni
avvenimento tra vittime, soccorritori e criminali, in tre ruoli
distinti, può portare a una descrizione del mondo altrettanto
manichea di quella che prevaleva ai tempi della guerra fredda. Di qui
la necessità, secondo me, di pensare l'umanitario non solo dal punto
di vista tecnico, pratico, ma anche filosofico e politico.

Lei dice che bisogna trovare il senso dell'azione. Ma come farlo, ora
che l'immagine domina e produce emozione? Prendiamo l'esempio dello
tsunami del Natale 2004.

La forza dell'immagine si sostituisce al discorso. Sullo tsunami, Msf
disse che i soldi raccolti erano troppi. A giusto titolo, lo tsunami
ha sollevato grande emozione, per ragioni legittime e molto
comprensibili. Anch'io, pure abituato a situazioni di emergenza, sono
rimasto scioccato. Ma subito è stato chiaro che c'erano sul posto
enormi soccorsi, mentre i bisogni dell'emergenza non erano così
forti. Le organizzazioni umanitarie dell'Onu e le ong hanno accettato
di lasciarsi spingere all'attivismo dai media e dall'opinione
pubblica. Una posizione totalmente sterile, che non portava a nulla
se non a nutrire l'idea dell'onnipotenza dei soldi e dei soccorsi. Si
trattava di un vero e propio spreco, quando quello di cui avrebero
avuto bisogno le vittime era una distribuzione dei soldi.

Oltre al dominio delle immagini che determinano le ondate di emozione
mondiale, l'aiuto umanitario soffre anche di un'altra evoluzione
contemporanea, ben più grave: l'avvento delle «guerre umanitarie».
Come sta influendo questa ideologia?

«Guerra umanitaria» è un non senso: la guerra uccide, l'umanitario
salva la gente. Una contraddizione in termini, molto pericolosa,
perché se vengono dichiarate delle guerre a nome della vita, del
bene, della morale, possono in fretta diventare guerre illimitate. Ho
però l'impressione che dopo il Kosovo questa idea di guerra
umanitaria sia in declino. Anche se ora c'è l'Iraq, che un po' le
assomiglia, perché guerra del Kosovo e guerra in Iraq sono accomunate
dalla menzogna di origine: per l'Iraq, sulle armi di distruzione di
massa, mentre per il Kosovo era direttamente la questione umanitaria
(il supposto piano Ferro di cavallo di programmazione del genocidio
degli albanesi).

L'idea di smascherare la propaganda è stata presente fin dall'origine
di Msf ?

All'origine Msf era un gruppo di medici che volevano porter lavorare
in situazione di emergenza. C'era anche l'aspirazione a una libertà
di parola che non era possibile alla Croce rossa. Msf nasce due anni
dopo il Biafra - l'origine è appunto in quella crisi, anche se poi
negli anni '70 Msf non denuncerà nulla e con il tempo si capirà che
in Biafra non c'era stato un genocidio, ma una guerra civile molto
crudele, fomentata dalla rivalità franco-britannica in Africa. Questo
episodio fondatore del Biafra mostra le difficoltà legate alla
denuncia e alla presa di parola pubblica. E' facile parlare, ma è
anche facile trovarsi invischiati in una propaganda che non si è
stati capaci di disvelare. A volte, questo porta gli umanitari a
diventare complici dei criminali, credendo di denunciare altri
criminali. Qui sta il mio motivo di dissenso con Bernard Kouchner: la
nozione di testimonianza è interessante, ma deve essere riflessa. Le
ong umanitarie possono diventare, in questo senso, parte del
problema, invece di esserne la soluzione: come in Etiopia
nell'84-'85, dove si è visto che l'aiuto poteva essere usato contro i
suoi destinatari e i protagonisti dell'aiuto integrati al sistema di
oppressione. O in Ruanda nel '94, dove la crisi umanitaria è
diventata sinomino di crimine perfetto, dove ci sarebero solo
vittime, perché ha permesso di non chiamare il genocidio con il suo
nome: un genocidio in diretta, malgrado l'idea nella quale
giornalisti e umanitari amano cullarsi, cioè la suppsta garanzia che
l'informazione, l'immagine, la sensibilizzazione dell'opinione
pubblica offrirebbero contro un genocidio.

La proclamata neutralità dell'intervento umanitario è quindi
problematica?

La neutralità non è un principio umanitario, ma diplomatico. Per
un'organizzazione come Msf la neutralità consiste, né più né meno, in
un'esigenza di neutralizzazione dei luoghi di soccorso, che significa
che non devono essere obiettivi di combattimento. Il solo principio
veramente utile, secondo me, è il principio di imparzialità, che non
ha nulla a che vedere con la neutralità, anche se a volte vengono
confusi. L'imparzialità è: a ognuno secondo i suoi bisogni. Il resto
segue. Non aiuteremo più o meno quelli perché sono più simpatici,
alleati della Francia o no, perché hanno la pelle più scura o più
chiara, perché hanno la religione buona o quella cattiva, ma in
funzione dei loro bisogni. E' questo un principio che deve restare al
cuore dell'azione umanitaria in situazione di guerra. Con
discernimento, però: se non mi interrogo sulla sofferenza che devo
curare, cioè sul senso dei miei atti, posso diventare il medico di un
campo di torturatori.

Come pensa che evolverà l'ormai grande macchina dell'aiuto umanitario?

Non so cosa sarà l'avvenire. L'umanitario ha molte cose da fare, da
dire, ma la professionalizzazione tecnica che è stata molto
importante negli ultimi 10 anni deve accompagnarsi con uno sforzo di
riflessione sui punti forti e sui limiti. L'umanitario non può
accontentarsi di essere un dispiegamento di mezzi e di servizi.
L'occidente si riacquista l'anima a colpi di euro: è il credere alla
virtù miracolosa dei soldi che è sviante. Su questo gli umanitari
dovranno riflettere.

Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia aderisce ed invita a
dare la massima diffusione all'appello che segue, attraverso il quale
è promossa per il 2 giugno a Roma, con partenza alle ore 10.00, una
manifestazione per la pace e contro la parata militare.
Il corteo, al quale invitiamo tutti a partecipare, partirà da Castel
S. Angelo e, passando per il lungotevere, arriverà a Ponte Garibaldi
e si concluderà a Largo Argentina.

---

LA POLITICA PRENDA IL POSTO DELLE ARMI.
BASTA CON LA PARATA MILITARE, BASTA CON LE MISSIONI MILITARI


Associazioni, movimenti, reti, sindacati, singole cittadine e
cittadini hanno lanciato un appello per chiedere al nuovo Governo un
netto segnale di discontinuità con il passato. Il rispetto
dell'articolo 11 della Costituzione, il ripudio della guerra,
l'affermazione di una cultura di pace, di giustizia e convivenza,
devono diventare il cuore dell'azione del governo in politica estera.

Di seguito il testo dell'appello, con le richieste avanzate al
Governo e l'elenco delle prime adesioni:


LA POLITICA PRENDA IL POSTO DELLE ARMI.

BASTA CON LA PARATA MILITARE, BASTA CON LE MISSIONI MILITARI

Il 2 giugno l'Italia celebra la Repubblica, nata dalla Resistenza e
fondata sulla Costituzione. Entro il 30 giugno il nuovo Parlamento
dovrà votare sul rifinanziamento delle missioni militari all'estero.

La Costituzione Italiana e i diritti sociali che garantisce a tutti i
cittadini e le cittadine sono sotto attacco. Il ripudio della guerra
da essa sancito è stato stracciato dai precedenti governi, che hanno
trascinato il paese in guerre e occupazioni.

Siamo tutti impegnati a respingere gli attacchi alla Costituzione
votando NO al referendum costituzionale del 25-26 giugno, e a
difendere l'articolo 11.

Noi chiediamo al Presidente della Repubblica e al Governo che sta per
insediarsi di sospendere la parata militare prevista per il 2 giugno.

Il pianeta è attraversato da guerre, violenze, barbarie inaudite che
ci impongono ogni giorno vittime e sofferenza. Enormi risorse sono
sperperate in armamenti, mentre la povertà aumenta ovunque. Il
diritto a vivere in pace e dignità spetta a tutti gli esseri umani.

Non vogliamo l'esaltazione degli eserciti , ma la fine di qualsiasi
logica militare e militarista ; la diffusione di una cultura di pace,
di giustizia e di convivenza.

Chiediamo al nuovo Governo e al nuovo Parlamento di iniziare la
legislatura dando un segnale forte di inversione culturale rispetto
alla militarizzazione della società e della politica: si smetta di
coprire il ruolo delle forze armate impegnati in operazioni di guerra
e in occupazioni con la maschera degli interventi umanitari e di
peace-keeping.

Il lavoro umanitario e per la pace condotto quotidianamente da
migliaia e migliaia di civili impegnati in operazioni di soccorso e
di prevenzione dei conflitti non ha nulla a che fare con le armi e
con gli eserciti.

E' urgente che l'Italia separi le proprie responsabilità
dall'occupazione illegale dell'Iraq e dalla guerra permanente e si
impegni con una forte iniziativa diplomatica per ristabilire
sovranità, pace e convivenza nell'area.

E' urgente che si pronunci contro qualsiasi intervento militare
contro l'Iran, si impegni per un piano generale di disarmo nucleare,
per la fine dell'occupazione in Palestina e una pace giusta in Medio
Oriente.

Chiediamo che non siano rifinanziate le missioni in Iraq e in
Afghanistan, che si ritirino immediatamente i soldati italiani e
ridiscutendo tutte le missioni militari italiane all'estero.

La politica prenda il posto delle armi. L'Italia costruisca la pace
con la pace.

Per questo ci impegniamo a mobilitazioni diffuse il 2 giugno, che
verranno decise città per città, e prepariamo da subito la
mobilitazione sotto il Parlamento, con delegazioni nazionali, in
occasione del voto sul rifinanziamento delle missioni militari che si
terrà prima della fine di giugno.


Arci
ArciLesbica
Associazione Amici Aiuto Tossicodipendenti, Perignano
Associazione Bhalobasa Onlus, Perignano
Associazione Culturale Punto Rosso
Associazione Insieme Zajedno
Associazione Obiettori Nonviolenti
Associazione per la Pace
Attac Italia
Action-roma
Bastaguerra
Brescia Social Forum
Campagna Nazionale Stop Bolkestein
Capitanata Social Forum
Casa della Pace, Roma
CEPES, Palermo
CGIL Puglia
Cobas
Comitato Pace, Disarmo, Smilitarizzazione, Napoli
Commisione Comunale Pace del Comune di Bagno a Ripoli
Cooperativa Sociale il Delfino, Perignano
Emergency
Fermiamo la guerra, Firenze
Fiom
Firenze Social Forum
FLC-CGIL Università di Firenze
Fonti di Pace Onlus
Forum Mondiale delle Alternative
Forum Sociale di Modena
Giovani Comuniste/i di Verona, Ancona, Villafranca, Brescia
Gruppo Bastaguerra Milano
I gruppi di Camera e Senato di Rifondazione Comunista
ICS
Italia-Cuba di Livorno
Laboratorio per la Democrazia, Firenze
Libera
Marcia mondiale delle donne contro le violenze e la povertà
Nuestramerica
Piazzadimaggio, Brescia
Redazione Terrelibere.org
Rete Artisti
Rete dei Forum e dei movimenti toscani
Rete del Chiapas Ribelle, Roma
Rivista Alternative
Rivista Guerre&Pace
RSU Ateneo fiorentino
Senza confine
Sincobas
Sinistra Critica
Socialismo XXI
Statunitensi contro la guerra, Firenze
Tavola della Pace, Pontedera
U.S. Citizens for Peace & Justice, Roma
Un Ponte per...
area del Prc "Essere comunisti"
L'Ernesto,rivista comunista



Adesioni individuali


Alidina Marchettini, Firenze
Anna Nocentini, Gruppo Consiliare Rifondazione Comune Firenze
Antonio Bruno, forum verso la sinistra europea Liguria
Antonio Moscato, professore Università Lecce
Aurelio Macciò, Genova
Domenico Jervolino, ordinario università di Napoli
Donato Antoniello, Segretario SAS Fisac CGIL Rivoli
Eliana Brizio, Cuneo
Gianni Mello Torino
Gigi Malabarba, senatore
Gino Barsella
Giuseppe Gonella, forum sociale del ponente genovese
John Gilbert, Presidente Direttivo FLC-CGIL Toscana
Laura Tussi, Docente-ricercatrice, Milano
Leonardo Pieri, Gruppo Consiliare Rifondazione Comune di Firenze
Lidia Menapace, senatrice
Luciano Muhlbauer, Consigliere Regionale Lombardia
Mario Frusi, Cuneo
Michele Rubino e Marina Rossi, Forlì
Paola Girando, Cuneo
Pap Mbaye Diaw, Gruppo Consiliare Rifondazione Comune di Firenze
Rita Guglielmetti, direttivo nazionale CGIL
Rita Lavaggi, forum ambientalista Liguria
Sandro Morelli - direttore Quale Stato, FLP-CGIL
Sergio Bellavista, Segretario Regionale Fiom Cgil Emilia Romagna
Sergio Deggiovanni, Consigliere comunale Brisighella
Vittorio Agnoletto, europarlamentare
Walter Assini, Consigliere comunale PRC Quinzano d'Oglio
Claudio Grassi,senatore PRC
Alberto Burgio, deputato PRC
Gianluigi Pegolo, deputato PRC
Fosco Giannini,senatore PRC

(english / deutsch / italiano)

P. Handke und H. Heine. Völkerverständigung? Nicht mit Serbien!

1. Per un comitato a sostegno di P. Handke in Italia (Grimaldi / Zambon)

2. So let's talk about Yugoslavia! (P. Handke)

3. SPD-Ratsfraktion Düsseldorf gegen Preisverliehung / Meuteopfer des
Tages: Peter Handke / Zu Handke. Eine Erklärung

"Der Heine-Preis sei zudem kein reiner Literaturpreis. Er diene auch
der Völkerverständigung. Aber doch bitte nicht der mit Serbien... Wir
werden auf der Sitzung des Rates der Landeshauptstadt Düsseldorf am
22. Juni für die Vergabe des Heinrich-Heine-Preises 2006 an Peter
Handke stimmen."


=== 1 ===

Cari compagni, vi inoltro con urgenza questo messaggio dell'editore
Zambon.
E' successo che a Peter Handke, dopo la vergogna del teatro di
Parigi, in Germania hanno proposto di ritirare il più prestigioso
premio culturale-letterario tedesco, Heinrich Heine Preis. L'iniziale
proposta di ritirare il Premio ad Handke è stata avanzata dal "più
autorevole" quotidiano tedesco, Frankfurter Allgemeine Zeitung. La
discussione è in corso. Converrebbe che anche da noi partisse
un'iniziativa lungo le linee di Zambon.
Fulvio Grimaldi

----- Original Message -----
From: Zambon
Sent: Tuesday, May 30, 2006 6:59 PM
Subject: Fw: Antw: H Heine Preis an Handke

> (...) mentre i partiti presenti al consiglio comunale di düsseldorf
> avevano deciso -quasi all'unanimitá- di revocare il premio ad
> handke alla prossima seduta, É SUCCESSO INVECE CHE IL SINDACO
> DEMOCRISTIANO (NON C'È PIÙ RELIGIONE!) SI É OPPOSTO FEROCEMENTE AD
> UNA SIMILE REVOCA
> LA SITUAZIONE É APERTA AD OGNI SOLUZIONE
> LA RADIO NON PARLA D'ALTRO ORMAI DA ORE
> noi pensiamo di dar vita ad un comitato di solidarietà con Handke
> qui in germania; pensi che sia possibile fare qualcosa di simile in
> italia?...


=== 2 ===

So let's talk about Yugoslavia!

Liberation (French Daily: Tuesday, May 10, 2006)

Finally, after more than a decade of one-way journalistic language that
in no way made sense, an opening seems to have been created in France in
the press (1), and perhaps not only in France, to speak about things
differently - or simply to start speaking - about Yugoslavia.

A debate, a discussion, a discourse ? A fruitful discussion seems to
have
become possible, a general questioning, of reports that speak for
themselves... Previously: nothing, and still more nothing? defamations
instead of a debate, expressed by exclusively prefabricated words,
repeated ad infinitum, used like an automatic weapon.

So let's enlarge this breach or opening, the springtime of words. Let us
at last hear one another instead of screaming and snarling launched from
two enemy camps. But also, let's no longer tolerate beings (?), evil (!)
spirits (?), who, with respect to the tragic Yugoslav problem, continue
firing word-bullets like "revisionism," "apartheid," "Hitler," "bloody
dictatorship," etc. Let's stop all the comparisons and all the parallels
made about the wars in Yugoslavia. Let's stick to the facts which, like
the facts of a civil war, unleashed or at least co-produced by European
bad faith or, at least, ignorance, already punctured, are terrible
enough
from all sides. Let's stop comparing Slobodan Milosevic to Hitler. Let's
stop comparing him and his wife Mira Markovic to Macbeth and his Lady
and
let's stop drawing parallels between the couple and the dictator
Ceaucescu and his wife Elena. And let's never again use the expression
"concentration camps" for the camps established during the war of
succession in Yugoslavia.

True: intolerable camps existed between 1992 and 1995 on the
territory of
the Yugoslav Republics, chiefly in Bosnia. Let's stop the exclusive and
mechanical association of these camps with the Bosnian Serbs: there were
also Croat and Muslim camps, and the crimes committed in these camps are
and will be judged by The Hague Tribunal. And finally, let's stop
associating massacres (of which there were many in Srebrenica in July
1995, and are in fact by far the most abominable) to Serbian forces or
paramilitaries. Let's also listen finally to the survivors of the
massacres committed by Muslims in the numerous Serbian villages that
surround Srebrenica, the Muslim town, massacres committed over and over
again during the three years before the fall of Srebrenica, massacres
led
by the commander of Srebrenica, leading in July 1995 to infernal
vengeance, to eternal shame for those Bosnian Serbs responsible for it
for the great butchery, and for once the oft-repeated word is in its
proper place in the phrase "the greatest in Europe since World War II,"
while adding, nevertheless, this piece of information: that all the
soldiers or Muslim men from Srebrenica who fled from Bosnia into Serbia
by crossing the Drina River, the border between the two States, fled to
Serbia, the country that was at the time under Milosevic's rule, and
that
all these soldiers who arrived in Serbia, a so-called enemy, were saved.
No butchery or massacre there.

Yes, let's listen, after having listened to the "Mothers of Srebrenica,"
let's also listen to the mothers or one single mother from the
village of
Kravica, Serbian, close by, recount the Orthodox Christmas massacre in
1992-1993, committed by Muslim forces from Srebrenica, a massacre also
conducted against the women and children of Kravica (the only crime for
which the word genocide is appropriate).

And let's stop blindly associating the "snipers" of Sarajevo with "the
Serbs": most of the French members of the UN peacekeeping force who were
killed in Sarajevo were victims of Muslim gunmen. And let's stop
associating the siege (horrible, stupid, incomprehensible) of Sarajevo
exclusively with the Bosnian Serbs: in Sarajevo during 1992-1995,
tens of
thousands of the Serbian population remained blockaded in central
neighborhoods like Grbavica, which were in turn put under siege - and
how! - by Muslim forces. And let's stop attributing rapes exclusively to
Serbs. And let's stop connecting words unilaterally, like one of
Pavlov's
dogs. Let's enlarge the opening. May the breach never again be choked by
rotten and poisoned words. Evil spirits out. Leave language once and for
all. Let's learn the art of the question, let's make a trip to the
sonorous land, in the name of Yugoslavia, in the name of another Europe.
Long live the other Europe! Long live Yugoslavia! Zivela Jugoslavia.

(1) See, among other things, the articles by Brigitte Salino and d'Anne
Weber in Le Monde, May 4, 2006; the commentary by Piere Macrabru in Le
Figaro, which was published on the same day; and the appeal made by
Christian Salmon in Liberation on May 5, 2006.


Translated by Milo Yelesiyevich [ Courtesy of Michel Collon:
http://www.michelcollon.info ]


=== 3 ===

>> -----Ursprüngliche Nachricht-----
>> Von: Annette Steller [mailto:annette.steller@...]
>> Gesendet: Dienstag, 30. Mai 2006 17:03
>> An: ronald.koch@...
>> Betreff: Antw: H Heine Preis an Handke
>>
>> Sehr geehrter Herr Koch,
>> ich kann Ihre Meinung durchaus nachvollziehen. In der
>> augenblicklichen Situation wird die Diskussion sicher eher
>> undifferenziert geführt. Sie müssen allerdings berücksichtigen,
>> dass der Heine - Preis kein Literaturpreis ist , sondern an
>> Persönlichkeiten vergeben werden soll, die sich besonders für die
>> Grundrechte eingesetzt haben, wie Heine es tat.
>> Mit seinem Auftritt bei der Beerdigung von Milosevic hat Handke
>> einem Menschen seine Referenz erwiesen, der die Grundrechte mit
>> Füßen getreten hat. Deswegen unsere Entscheidung.
>> Mit freundl. Gruß
>> Annette Steller
>>
>> Annette Steller
>> Geschäftsführerin
>>
>> SPD-Ratsfraktion
>> Zollstr.4
>> 40213 Düsseldorf
>>
>> T: + 49 (0) 211 - 89 931 67
>> F: + 49 (0) 211 - 13 28 97
>> mailto: annette.steller@...
>>

>>>>> ronald.koch - 30.05.2006 17:00

>> Sehr geehrte Frau Steller,
>>
>> ich kann und will der Entscheidung Ihrer Fraktion, Herrn Handke
>> das Preisgeld für den H Heine Preis nicht frei geben zu wollen,
>> nicht folgen.
>> Leben wir denn schon wieder in einer Gesellschaft der Zensur? Darf
>> Herr Handke seine Meinung nicht frei äußern? Ist sein
>> literarisches Werk obsolet oder darf nicht mehr gedruckt werden
>> (das ist nämlich der nächste Schritt), nur weil er dem
>> veröffentlichten Mainstream nicht folgt? Nein und nochmals nein,
>> die FAZ und Konsorten können und dürfen nicht bestimmen, wer
>> welchen Preis bekommt. Es ist wirklich nicht zu fassen, dass Sie
>> sich zum Werkzeug dieser Feuilleton Schreiberlinge machen. Wer
>> bestimmt, was wertvolle Literatur ist? Reich Ranicki, Karasek und
>> andere Säcke?
>>
>> Mit unfreundlichem Gruß
>>
>> Ronald Koch
>>
>> Fachbuchautor, Lektor, Übersetzer und jemand, der Handke schätzt.

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http://www.jungewelt.de/2006/05-27/050.php?sstr=Handke

27.05.2006 / Ansichten / Seite 8

Meuteopfer des Tages: Peter Handke

Die Vergabe des Heinrich-Heine-Preises an den österreichischen
Schriftsteller Peter Handke hat in der veröffentlichen Meinung
erwartungsgemäß kein positives Echo gefunden. »Trotz Milosevic:
Handke erhält den Heine Preis«, geiferte Caroline Fetscher im
Berliner Tagesspiegel. 50000 Euro mache der Preis aus, rechnete sie
vor – »Steuergelder, die nun in Handkes Tasche fließen sollen«. Wo
doch des Dichters Kasse schon sehr klamm gewesen sei. Die
Preisverleiher erscheinen als Embargobrecher, die sich ihrer
Verpflichtung, Handke das literarische Handwerk zu legen und ihn in
die Knie zu zwingen, entziehen. Denn bei Milosevic, dem sich der
Kärntner Dichter mit slowenischen Wurzeln »nahe fühlte«, wie er an
dessen Grab bekundete, hört sich die Meinungsfreiheit auf.

Die Begründung der Juroren, Handke verfolge »eigensinnig wie Heinrich
Heine den Weg zu einer offenen Wahrheit«, empfindet Hans-Christoph
Buch wie blanken Hohn. Sei doch Heine unberirrbar »gegen nationalen
Chauvinismus, für Freiheit und Toleranz« eingetreten. Heine, der sich
Karl Marx nahe fühlte, hat sicher eine andere Vorstellung von
Freiheit und Toleranz gehabt als die heutige Journalistenmeute, die
einen Schriftsteller, der Serbien Gerechtigkeit widerfahren lassen
will, in den moralischen und finanziellen Ruin hetzen möchte. Und die
Heine, würden sie ihm Gerechtigkeit widerfahren lassen, das
Naheverhältnis zu jenem Mann verübeln müßten, den sie als den
Begründer des »kommunistischen Totalitarismus« betrachten, dessen
letzte Schreckensfigur sie in Slobodan Milosevic zu sehen glaubten.

Empört wirft der Mann von Welt Handke vor, während des Kosovo-Krieges
NATO-Piloten als »Marschmenschen« und »grüne Killer« beschimpft zu
haben. In politisch korrektem Debattenstil wird die inhaltliche
Substanz dieser Aussage erst gar nicht mehr erörtert, sondern als
jeder Erörterung unwürdig denunziert. Die bombige
NATO-»Friedensmission« als Kriegsverbrechen zu benennen, ist offenbar
keine Meinung, sondern ein serbisches Kriegsverbrechen. Meilenweit,
so Buch, habe sich Peter Handke vom Konsens der Zivilgesellschaft
entfernt, der da lautet: Wer nicht mit den Wölfen heult, hat die
Klappe zu halten.

(wp)

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http://www.jungewelt.de/2006/06-01/022.php?sstr=Handke

01.06.2006 / Abgeschrieben / Seite 13

Zu Handke. Eine Erklärung

Zur Debatte um die Vergabe des Heinrich-Heine-Preises 2006 an Peter
Handke erklären die Ratsmitglieder Adelgunde Kahl und Frank
Laubenburg für die Linke Liste Düsseldorf:

»Ja, Düsseldorf begeht ein Heine-Jahr. Und feiert Heine. Feiert
Heine? Feiert Heines Todestag, den 150. Feiert Heines Tod? Wie vor
150 Jahren?
Hat immer nur Ärger gemacht und macht ihn jetzt wieder. Dabei war
doch alles so schön geplant: Der große Literat wird gefeiert, nach
dem man ihn gevierteilt hat: in eben jenen großen Literaten und in
den etwas spleenerten Menschen mit den merkwürdigen politischen
Ansichten, in den Juden und in den in Armut und Krankheit Darbenden,
den Unverstandenen, der auch unverstehbar blieb. Vier Heines,
zusammensetzbar nach Belieben.
Die Lebenden lassen sich nicht so einfach vierteilen.
Das merkt man jetzt an Handke: der sei, unumstritten, ein großartiger
Schriftsteller, nur was er schreibe, das sei unmöglich.
Der Heine-Preis sei zudem kein reiner Literaturpreis. Er diene auch
der Völkerverständigung. Aber doch bitte nicht der mit Serbien.
Und weil, was Handke geschrieben hat, nicht hergibt, was man braucht,
wird gerüchtet.
Antisemitisch, den Holocaust verharmlosend, habe er geschrieben. Das
zieht fast immer und kam von der FDP. Die kennt sich da aus.
Und noch schlimmer: Ganz viel habe er, Handke, einfach nicht
geschrieben. Über die Kriegsverbrechen Serbiens beispielsweise. Sagt
die SPD. Dabei hat sie, die SPD, doch extra damals diesen
Hufeisenplan erfunden. Kann Handke doch mal drüber schreiben, liegt
doch im Bereich der Dichtung.
Da müsse man mal, so die Grünen, die ›Geisteshaltung‹ von Handke
genauer untersuchen. Hat der Joschka eigentlich noch Kontakte nach
Syrien? Hier ist das ja immer so kompliziert mit den entsprechenden
Befragungen.
Es sei nicht im Sinne Heines, wenn der Rat der Stadt einen Heine-
Preis an Peter Handke vergäbe, sagen sie alle zusammen.
Das stimmt: Heine wäre es sicherlich nicht recht, daß dieser Rat
einen Preis vergibt, der seinen, Heines, Namen trägt.
Spätestens in den letzten Tagen hat Peter Handke sich also verdient
gemacht. Um Heinrich Heine und um den nach ihm benannten Preis.
Denn Handke hat auf die von ihm gestellten Fragen nach der Wahrheit
die Antworten derer erhalten, die den völkerrechtswidrigen
Angriffskrieg gegen Jugoslawien angezettelt haben und das so gern
vergessen machen möchten.
Wir werden auf der Sitzung des Rates der Landeshauptstadt Düsseldorf
am 22. Juni für die Vergabe des Heinrich-Heine-Preises 2006 an Peter
Handke stimmen.«