Informazione


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IN DIFESA DELLA JUGOSLAVIA
Il j'accuse di Slobodan Milosevic 
di fronte al "Tribunale ad hoc" dell'Aia" 
(Ed. Zambon 2005, 10 euro)

Tutte le informazioni sul libro, appena uscito, alle pagine:

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(The following essay in the original english version:
Milosevic’s Death In The Propaganda System  -  By Edward S. Herman and David Peterson


La morte di Milosevic e il sistema di propaganda dei media


di Edward S. Herman e David Peterson


Pubblicato in Z Magazine nel maggio 2006


(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)


“Il ventre dal quale è uscita la bestia immonda è ancora fecondo!”  Bertolt Brecht


La morte dell’ex Presidente della Jugoslavia Slobodan Milosevic, avvenuta l’11 marzo 2006 nella sua cella della prigione all’Aja, veniva salutata allo stesso modo dai circoli politici Occidentali e dal sistema dei media, con una profusione di cattiveria che rifletteva il ruolo di demonio che gli era stato assegnato dalla fabbrica del mito (in questo caso, negativo; n.d.tr.) negli ultimi 15 anni.  Milosevic era un “mostro,” un “sociopatico,” e un “criminale di guerra che aveva mandato in rovina l’Europa sud-orientale durante l’ultimo periodo del ventesimo secolo”.

L’ex Ambasciatore USA alle Nazioni Unite e uno degli artefici determinanti della politica dell’era Clinton per l’area Balcanica, Richard Holbrooke, inviava di prima mattina il seguente cablogramma a “News Network”: “Milosevic ha scatenato quattro guerre. Le ha perse tutte. La più grande di queste è stata quella di Bosnia, dove sono morte più di 300.000 persone, ed ha prodotto due milioni e mezzo di senza tetto. E noi lo abbiamo bombardato solo nell’agosto e nel settembre del 1995. Avremmo dovuto farlo molto prima.”[1]

Durante quel giorno, e nei dieci giorni successivi la sua morte, venivano usati termini come “Macellaio dei Balcani” e “Macellaio di Belgrado” per dozzine e forse per centinaia di volte, per parlare solo dei media USA ( ma con uso diffuso anche all’estero).[2]

Milosevic era il demonio inserito fra due cicli di demonizzazione di Saddam Hussein (1990-1991 e 2002-2006). Allora, il “Macellaio dei Balcani” veniva elevato allo stesso pantheon dei mostri designati ufficialmente, come il “Macellaio di Baghdad”, mentre un altro soggetto come Ariel Sharon, anche se la sua invasione del Libano del 1982 e le conseguenti stragi di Sabra e Shatila da lui dirette venivano citate dal Tribunale Internazionale per i Crimini nella ex Jugoslavia (ICTY, o Tribunale per la Jugoslavia) come esempio emblematico di “genocidio”, [3] rimane un uomo di stato onorato, un “uomo di pace”, e certamente non verrà mai definito come il “Macellaio di Tel Aviv.”

Il fondamento politico di questi epiteti assume maggior chiarezza in quanto Milosevic era stato il partner di Richard Holbrooke per il conseguimento degli accordi di  Pace di  Dayton  del 1995, con i leaders Serbo-Bosniaci Ratko Mladic e Radovan Karadzic, in seguito considerati suoi compagni di scellerataggini, ed inoltre imputati dall’ICTY come criminali di guerra.

La gente continua a chiedersi se Milosevic si stia adoperando positivamente per un accordo di pace,” così dichiarava Holbrooke a Dayton. “È impossibile rispondere adesso a questa domanda. Tutti noi sappiamo come lui si sia ben adoperato su tutto... negli ultimi quattro mesi.” [4]

Parimenti, Saddam Hussein era stato un partner degli Stati Uniti e della Gran Bretagna per tutti gli anni ’80, ricevendo appoggio economico, aiuti militari e sostegno diplomatico da parte di questa coalizione Anglo-Americana. Allora non vi erano state designazioni di “macellaio”, sebbene proprio in questo periodo il comportamento di Saddam risultasse dei più implacabili e usasse realmente allora “armi di distruzione di massa”, comunque sempre con il sostegno dell’Occidente. Il suo risultare esente dal linguaggio offensivo e diffamatorio, così come da sanzioni, bombardamenti, processi presso corti internazionali di giustizia, derivava dall’offerta dei suoi servigi considerata positivamente, e naturalmente le stesse esenzioni venivano attribuite alla potenza che era in grado di guidare e/o di usare questi leaders subalterni![5]

Per quel che concerne Milosevic, inizialmente le sue imputazioni per crimini di guerra da parte dell’ ICTY, il 22 maggio 1999, non riguardavano per nulla la questione Bosniaca – si fondavano solamente su una sua supposta “autorità superiore” e sulla responsabilità di 344 morti in Kosovo, ma 299 di queste erano avvenute dopo che la NATO aveva dato inizio alla sua guerra di bombardamenti contro la Jugoslavia, il 24 marzo 1999. [6]

La Croazia e la Bosnia sono state tirate in ballo dalla Pubblica Accusa dell’ICTY solo diversi mesi dopo il rapimento di Milosevic del 28 giugno 2001 e il suo trasferimento all’Aja,  probabilmente per il fatto che il numero dei corpi trovati in Kosovo dopo la fine della guerra di bombardamenti era deludentemente piccolo e certamente non sufficiente a sostenere un’accusa di “genocidio” [7]

Ecco dunque la Croazia e specialmente la Bosnia, anche se questo faceva sorgere un potenziale numero di problemi, e si presentava l’imbarazzo di aver aspettato sei anni per affibbiare a Milosevic la nomea di anima nera per questi casi, e per giunta veniva sollevato il problema del suo ruolo costruttivo a Dayton e dei suoi precedenti sforzi per la pace (descritti più avanti).

Comunque, il Tribunale può contare sul sistema mediatico che non crea attenzione su questi scomodi argomenti, e di questi argomenti voi non troverete traccia sul New York Times nei numerosi articoli di Marlise Simons sul processo a Milosevic. [8]

Rispetto ai numerosi problemi, l’atteggiamento troppo favorevole a resoconti demonizzanti da parte del sistema dei media avveniva ad alto livello.                                                                                                          

Per il Kosovo, i Dipartimenti della Difesa e di Stato degli USA a varie riprese avevano dichiarato durante la guerra di bombardamenti che 100.000, 225.000 e in una conferenza stampa addirittura 500.000 Albanesi Kosovari erano stati uccisi dall’esercito Jugoslavo.[9] Alla fine il numero si riduceva a 11.000, sebbene dopo una ricerca eccezionalmente intensiva venivano trovati solo circa 4.000 corpi, compresi un numero imprecisato di corpi di combattenti e di vittime delle azioni della NATO e dell’UCK (Esercito di Liberazione del Kosovo); e fino ai primi di marzo 2006 solo 2.398 persone delle liste della Croce Rossa risultavano ancora scomparse.[10]

Mai vi è stato qualche cenno di criticismo nel sistema dei media sui numeri gonfiati forniti ufficialmente dagli USA, non vi è stato mai alcun dubbio espresso sull’esattezza della cifra di 11.000 morti, sebbene questa cifra fosse fornita da fonti di provata inaffidabilità e fosse del 70% più alta della cifra ufficiale dei corpi, comprendente anche quelli dell’elenco degli scomparsi, complessivamente una cifra pari a 6.398.

Sul New York Times, Michael Ignatieff spiegava che se il numero dei corpi trovati era stato inferiore agli 11.000, allora la causa era dovuta al fatto che i Serbi avevano rimosso i cadaveri.[11] Costui non ha spiegato mai che il numero dei corpi e degli scomparsi complessivamente era crollato ben sotto agli 11.000, ma non aveva nulla da preoccuparsi: quando si ha a che fare con un nemico da demonizzare, tutto va bene.

Nel gennaio 1993, ufficiali Bosniaco-Musulmani andavano asserendo che 200.000 o, qualche volta, un numero più alto di Musulmani di Bosnia erano stati massacrati dai Serbi, [12] e malgrado le cifre fossero non verificate ed emesse da una fonte prevenuta, questi numeri venivano immediatamente accettati e resi ufficiali dal sistema mediatico e da quei giornalisti che conducevano la campagna in favore della guerra, come David Rieff, Ignatieff, Christopher Hitchens, Ed Vulliamy.

Le valutazioni al ribasso, sotto i 100.000, dell’ex funzionario del Dipartimento di Stato George Kenney e di altri che avevano accesso ai dati di intelligence, venivano semplicemente ignorate. Comunque, nel 2003, uno studio di Ewa Tabeau e Jakub Bijak, ricercatori per conto dell’Unità  Demografica dell’Ufficio della Pubblica Accusa dell’ICTY, e una successiva ricerca di Mirsad Tokaca, del Centro Documentazioni e Ricerche di base a Sarajevo e finanziato dai governi della Bosnia e della Norvegia, entrambi concordavano su una stima complessiva di morti Bosniaci dell’ordine dei 100.000.[13] Secondo lo studio di Tabeau-Bijak, solo 55.000 fra questi erano di civili, compresi più di 16.000 Serbi.

Certamente si tratta di numeri non trascurabili, ma molto meno dei 200.000 (o più) Musulmani di Bosnia soddisfacenti ad appagare la smania di montare un caso sul fatto che quelli fossero stati vittime di “genocidio” e per giustificare l’intensa concentrazione di attenzione su questa area di uccisioni in confronto ad altre, alcune delle quali vedevano implicati numeri di vittime a sette cifre.[14]

Si dovrebbe sottolineare che allora vi era stata come una sfida a rivendicare il numero degli ammazzamenti avvenuti durante il massacro di Srebrenica, che dagli eventi del luglio 1995 era rimasto costante sugli 8.000. In questo caso, come in Kosovo, il numero dei corpi trovati nei dintorni precipitava ben al disotto del numero complessivo inizialmente reclamato ( e a lungo sostenuto) – solamente circa 2.600, compreso un numero imprecisato di vittime che potevano essere state uccise in azione o prima del luglio 1995.

Altre prove in appoggio alla cifra di 8.000 sono state insignificanti, e malgrado la dichiarazione di Madeleine Albright dell’agosto 1995 che “noi vi osserveremo” via satellite, nessuna prova satellitare di rimozione o riseppellimento di corpi mai è stata fornita all’opinione pubblica. Vi è un buon motivo che questo non sia stato possibile farlo, che vi siano state certamente centinaia di esecuzioni e forse un migliaio o più, la cifra di 8.000 resta un costrutto politico ed eminentemente criticabile.[15]

Ma dubitare sui resoconti su Srebrenica è pericoloso e anche approvare il lavoro di chi ha sollevato una qualsivoglia questione in merito può scatenare aggressioni.  Questo ha avuto drammatica evidenza in un’intervista a Noam Chomsky da parte di Emma Brockes, pubblicata nel Guardian di Londra il 31 ottobre 2005, dove il titolo dell’intestazione dell’intervista recitava: [16] "The Greatest Intellectual? (Il più grande fra gli intellettuali?)"

Domanda: Lei si è pentito di sostenere coloro i quali affermano che il massacro di Srebrenica è ingigantito? 
Risposta: Il mio solo rammarico è quello di non averlo fatto con una più opportuna energia.

Le virgolette venivano utilizzate dalla Brockes e dal The Guardian nell’affermazione aggiuntiva della Brockes, che Chomsky avesse dichiarato che “durante la guerra di Bosnia il ‘massacro’ di Srebrenica era stato probabilmente ingigantito,” dopo di che lei sogghigna con un uso puerile di virgolette, utilizzato fuori dell’intero contesto dell’intervista – le virgolette non vengono usate nelle interviste verbali – nelle presunte osservazioni di Chomsky sulle enfatizzazioni del massacro. Chomsky aveva fatto le lodi del libro di Diana Johnstone Fools' Crusade – La crociata dei folli, e aveva sottoscritto una lettera che stigmatizzava la decisione Svedese di non pubblicarlo. La  Brockes andava dicendo che la Johnstone aveva affermato che il numero dei giustiziati a Srebrenica era stato “gonfiato esageratamente”, ma la Johnstone non aveva mai fatto uso di questi termini, mai aveva negato le esecuzioni, e aveva speso molto del suo argomentare su Srebrenica rispetto al suo contesto e sull’uso strumentale delle rivendicazioni del massacro presentate. Comunque, è illuminante considerare come ogni accenno al fatto che la cifra di 8.000 sia stata gonfiata non sia cosa lecita e sia da condannare, senza ulteriori discussioni.

Le false affermazioni della Brockes erano risultate sufficientemente palesi e numerose, tanto che The Guardian pubblicava un serie di commenti dal titolo “Correzioni e chiarimenti” e rimuoveva l’intervista dal suo sito web.[17] Per contro, questo provocava una risposta furibonda da parte di quella che possiamo definire come la “Lobby del Genocidio Bosniaco”, un insieme ben organizzato di istituzioni ed individui che fanno riferimento a George Soros, ai governi Occidentali e ad altri, che attaccano qualsiasi argomentazione sfidi il resoconto degli avvenimenti stabilito ufficialmente. Una delle più importanti reazioni alle “correzioni” era stata una lettera sottofirmata da 25 scrittori ed analisti politici, un gruppo di affiliati alle organizzazioni della Lobby -  il Balkan Investigative Reporting Network (che pubblica Balkan Insight), il Bosnian Institute, e l’Institute for War and Peace Reporting – e giornalisti come David Rieff, David Rohde, e Ed Vulliamy; tutti insieme contestavano le “correzioni” e pretendevano il loro ritiro da parte del The Guardian.[18]

Forse la più evidente caratteristica di questa lettera era l’uso delle parole “revisionismo” e “negazionismo” con riferimento ad ogni interrogativo sul numero stabilito, e il considerare ogni accento di dubbio come intollerabile. L’“autorità” su questo argomento, se vi fosse stato “genocidio”, era l’ICTY , “un tribunale internazionale insediato dalle Nazioni Unite” – quindi presumibilmente un organismo indipendente ed autorevole, malgrado le tante prove che evidenziavano il contrario ( vedi più avanti). Particolare interessante, lo stesso ICTY indicava che la cifra di 8.000 esecuzioni poteva essere stata gonfiata, dato che i suoi giudici avevano dichiarato che le prove “suggerivano” solo che la maggior parte dei 7.000-8.000 classificati come “scomparsi” potevano essere stati giustiziati o altresì morti in combattimento, e che la cifra possibile di giustiziati poteva aggirarsi solo sui 3.600-4.100, e così i giudici andavano ad appartenere alle categorie del “revisionismo” e del “negazionismo”.[19]

Naturalmente, anche i documenti relativi allo studio Tabeau-Bijak e la ricerca di Tokaca coordinata dal Centro Documentazioni e Ricerche costituivano casi nitidi di “revisionismo” e di “negazionismo”, secondo l’uso peculiare della Lobby di questi termini. Ma, dato il fatto che il lavoro dei primi aveva avuto il sostegno dello stesso ICTY e i secondi quello dei governi di Bosnia e Norvegia, l’analogo ricorso della Lobby a questo tipo di accuse non poteva essere messo in atto.   In questo caso la strada scelta è stato il silenzio, una strada presa anche dal sistema dei mezzi di informazione e dai funzionari Statunitensi.[20]

Per i media di tutto il mondo, una ricerca base di dati Nexis per i primi undici giorni a partire dalla morte di Milosevic [21] svela che il prezzo delle morti riportato nelle guerre in Bosnia-Erzegovina, o complessivamente nella ex Jugoslavia, veniva dichiarato essere di 200.000, o più, in almeno 202 differenti articoli, ( ad esempio, notiziari, necrologi, editoriali), e di 100.000 solo in 13 articoli.  Anzi, in almeno 99 differenti articoli, il prezzo delle morti veniva valutato essere di 250.000; e di 300.000 in non meno di 27 differenti documenti. Per i soli mezzi di informazione USA il rapporto era di 76 a 2. Sebbene la conclusione dei ricercatori dell’ICTY, come pure di quelli del Governo della Bosnia, fosse che una cifra sull’intorno delle 100.000 vittime era una stima più accurata per le morti della guerra in Bosnia, questa cifra quasi mai veniva citata in documenti e commenti sulla guerra.

Questo rende testimonianza dell’inveterato pregiudizio dei media, e che il prezzo di morte fornito da fonti dell’establishment abbastanza erudite non è stato in grado di scalzare le vecchie cifre più elevate, dichiarate in precedenza dai funzionari Musulmani di Bosnia, notoriamente privi di scrupoli.[23]

I giornalisti odiano abbandonare i numeri che tanto bene hanno consentito ad alimentare i loro pregiudizi!


L’ICTY come braccio politico della NATO


Prima di prendere in esame le accuse che Milosevic ha dovuto affrontare nel suo processo, consentiteci di esaminare più attentamente l’organismo che ha mosso queste accuse, questa “corte internazionale istituita dalle Nazioni Unite”. Naturalmente risulta un fatto interessante, che gli Stati Uniti, leaders nell’organizzare e nel sostenere l’ICTY, hanno rifiutato di avere qualsiasi rapporto con la Corte Criminale Internazionale, ICC, di recente istituzione, presumibilmente per il fatto che questo tribunale rappresenta una minaccia di “politicizzazione”. [24] Commentatori obiettivi potrebbero chiedersi se il problema con l’ICC possa essere individuato nel fatto che l’ICC è meno soggetto al controllo Statunitense dell’ICTY, e se il merito dell’ICTY dal punto di vista degli USA possa essere stato quello di essere dominato dagli stessi Stati Uniti, e quindi la politicizzazione avviene in una conveniente direzione. Questo problema non si pone per i fautori dell’ICTY, come i 25 firmatari della lettera al The Guardian  pro Brockes, o a Marlise Simons et al., in buona sostanza perché l’influenza dominante degli USA è considerata da loro come naturale, appropriata, e sicuramente usata per fini giusti. Il termine “politicizzazione” in questi casi di profondo pregiudizio interiorizzato non viene usato, più dei termini come “aggressione” o “terrorismo”.

Di fatto, la politicizzazione dell’ICTY è stata totale attraverso l’iniziale organizzazione, la fornitura del personale, i finanziamenti, e il controllo minuzioso del personale ai vertici attraverso alti funzionari della NATO, [25] con le potenze della NATO che forniscono ( o nascondono [26]) informazioni e servono come braccio poliziesco dell’ICTY, e, più essenzialmente, attraverso le azioni dell’ICTY strettamente conformate con le richieste della NATO.

Il ruolo politico dell’ICTY è stato perfino apertamente ammesso dall’ex giurista del Dipartimento di Stato Michael Scharf, che dichiarava nel 1999 che l’organizzazione era considerata dal governo come “poco più di uno strumento di pubbliche relazioni”, utile perfino “per isolare diplomaticamente i leaders da colpevolizzare” e per “rafforzare la volontà politica internazionale ad applicare sanzioni economiche o l’uso della forza.” [27] Il Professore di Diritto all’Università di York Michael Mandel ha esposto in modo persuasivo il caso nel suo How America Gets Away With Murder - (Come l’America la fa sempre franca), che l’ICTY era stato insediato “come uno strumento di opposizione al processo di pace e per giustificare la soluzione militare a cui loro, i dirigenti USA, accordavano la preferenza.”[28]  Il giurista puntualizzava come il funzionario del Dipartimento di Stato Lawrence Eagleburger aveva definito i leaders al vertice della Serbia come criminali di guerra già nel dicembre 1992, poco prima che l’ICTY venisse creato nel 1993, e che funzionari USA già utilizzavano la supposta criminalità Serba per sovvertire i piani di pace che erano sotto considerazione nel 1992 e nel 1993. L’argomentazione era che “la giustizia” non poteva dare strada alla convenienza politica e al raggiungimento di obiettivi, come quello di portare a termine un conflitto senza più combattere. “In altre parole, il progetto per un tribunale per crimini di guerra veniva usato dagli Americani per giustificare la loro intenzione di entrare in guerra, con i conseguenti danni collaterali e tutto il resto, stigmatizzando come Nazisti i nemici che si erano prefigurati.”[29]

L’evidenza delle accuse di Mandel sta nell’evidenza della storia.

Gli Stati Uniti e Izetbegovic hanno fatto naufragare l’importante accordo di pace di Lisbona del febbraio 1992, ed hanno contribuito ad ostacolare la pace che si voleva realizzare attraverso i piani Vance-Owen ed Owen-Stoltenberg, come descritto nella memoria di David Owen, Balkan Odyssey.[30] Questo programma di prevenzione della pace ha permesso la continuazione delle guerre Bosniache per quasi quattro anni, con la conclusione degli accordi di  Dayton che hanno ridotto la Bosnia ad una provincia coloniale della NATO.

Durante la rincorsa verso la guerra in Kosovo, il lavoro dell’ICTY si adattava veramente in modo stretto al piano di guerra della NATO (e in buona sostanza degli USA). Quando la NATO dette inizio alla pianificazione della guerra nel giugno 1998, l’ICTY scatenava una campagna parallela di accuse ben pubblicizzate e di inchieste sulle azioni dei Serbi in Kosovo e di denunce del comportamento dei Serbi.[31] In relazione ad uno degli avvenimenti cardine di preparazione alla guerra, le uccisioni a Racak del 15 gennaio 1999, il procuratore capo dell’ICTY Louise Arbour, immediatamente il giorno successivo, si precipitava sulla scena per cercare confessioni, dichiarando all’istante che si trattava di un “crimine di guerra”, solo sulla base di una comunicazione con il rappresentante USA e OSCE William Walker.[32] Due mesi più tardi, il 31 marzo 1999, proprio una settimana dopo l’inizio della guerra di bombardamenti, la Arbour teneva una conferenza stampa per rendere pubblica la messa in stato di accusa in precedenza stabilita di Zeljko Raznatovic ("Arkan"), un procedimento giudiziario preparato ben prima del settembre 1997, ma reso pubblico in tempo giusto, quando serviva necessariamente alla propaganda delle potenze della NATO. [33]

La messa in stato di accusa di Milosevic e di altri quattro dirigenti il 22 maggio 1999 ( sebbene non resa pubblica fino al 27 maggio),[34] costituiva un punto alto nei servizi di pubbliche relazioni dell’ICTY resi alla NATO, e chiaramente era stata fatta in collaborazione con funzionari NATO.[35] Avveniva nel bel mezzo della guerra di 78 giorni di bombardamenti della NATO contro la Jugoslavia, e più in particolare nel periodo in cui la NATO aveva dato inizio ai bombardamenti contro impianti ed infrastrutture civili della Serbia. Questa ultima fase aveva provocato inquietudine e dure critiche anche nei paesi NATO, e dunque l’atto di accusa serviva nell’ambito delle pubbliche relazioni a distrarre l’attenzione dalla nuova tornata di bombardamenti NATO, e a direzionarla verso l’infamia dei dirigenti della nazione presa di mira.  Clinton, Madeleine Albright e James Rubin immediatamente richiamavano l’attenzione su questa implicazione, e la Albright dichiarava che gli atti di accusa “facevano chiarezza al mondo e all’opinione pubblica nei nostri paesi che questa politica della NATO è giustificata, dati i crimini commessi, ed inoltre penso che questo ci consentirà di portare a termine tutti questi processi [traduzione: bombardamenti]” [36]

La messa in stato di accusa veniva imbastita in modo affrettato, basata su informazioni fornite alla pubblica accusa dell’ICTY dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, entrambi parti interessate, informazioni per ammissione dello stesso Tribunale non verificate (malgrado la dichiarazione del procuratore Arbour del 20 aprile 1999 che “Noi siamo soggetti a regole probatorie estremamente stringenti con riguardo alla ammissibilità e alla credibilità di quello che noi andremo a produrre in aula; sicuramente non sarà promosso alcun caso contro qualsiasi persona sulla base di accuse non provate, prive di sostanza, non verificabili, non avvalorate.”[37]). La sua natura politica era ulteriormente indicata dalle affermazioni della Arbour al momento in cui emetteva l’atto di accusa dato che “le prove per cui questo atto formale di accusa è stato confermato sollevano seri problemi sulla adeguatezza degli accusati ad essere considerati degni di fiducia persino in un qualsiasi affare commerciale, figurarsi poi in un accordo di pace.” Naturalmente, Milosevic e i suoi colleghi accusati non erano ancora stati processati e condannati, ma sebbene la Arbour ammettesse che gli accusati “avevano il diritto alla presunzione di innocenza fino a quando non fossero stati condannati,” le “prove” in questo caso (non verificate dall’ICTY) esigevano che questa norma  fosse messa da parte! [38]

Ancora prima, nel luglio 1995, l’ ICTY aveva messo in stato di accusa Mladic e Karadzic per il loro ruolo durante la guerra in Bosnia-Erzegovina, compresa l’accusa di “genocidio” per il comportamento dei loro subordinati nelle varie strutture di detenzione con riferimento al 1992. Quattro mesi più tardi, a metà novembre, l’ICTY estendeva questo procedimento a coprire un secondo capo di accusa di “genocidio” per Srebrenica, ben prima che i fatti relativi alle accuse fossero stati raccolti e verificati dall’ICTY, e questo era funzionale all’esclusione di questi due ufficiali Serbo-Bosniaci dal processo di pace di Dayton .[39]

Da sottolineare come l’atto formale di accusa “segnasse un passaggio fondamentale”, visto che l’allora Presidente dell’ICTY  Antonio Cassese esplicitava chiaramente il suo obiettivo politico in un’intervista ad un quotidiano Italiano, L'Unità. “La messa in stato di accusa comporta che questi gentiluomini non saranno in grado di partecipare ai negoziati di pace,” così Cassese metteva in rilievo. “Vogliamo proprio vedere chi si siederà ora al tavolo dei negoziati con degli uomini accusati di genocidio.”[40]

Come Scharf aveva fatto notare nel 1999, uno degli scopi della creazione dell’ICTY era stato “di isolare diplomaticamente i leaders nemici”, un obiettivo politico, non uno scopo giudiziale.[41]

Mentre la Arbour era estremamente allerta rispetto al crimine di guerra di Racak non comprovato, offrendo subito i suoi servizi il giorno successivo, quando Michael Mandel le aveva presentato un dossier di tre volumi sui crimini di guerra della NATO, questo portava via a lei e alla sua succeditrice Carla del Ponte un anno intero per considerare il caso, con alla fine la del Ponte dichiarare che una verifica preliminare aveva riscontrato che questa serie di accuse non aveva ancora fornito una base per aprire una inchiesta!

Un documento interno aveva dichiarato che con solo 495 vittime “semplicemente non esiste in questo caso prova del fondamento di un crimine essenziale per accuse di genocidio o di crimini contro l’umanità,” sebbene appena 45 morti di Racak avessero indotto la  Arbour ad una mozione aggressiva, e la messa in stato di accusa di Milosevic del 22 maggio 1999 presentasse una lista di sole 344 vittime, non verificate dall’ICTY.[42]

L’ “indipendenza” dell’ICTY veniva ulteriormente messa in luce dal fatto che il principale esperto della del Ponte nello sviluppo del caso sulla mancata inchiesta indicava che lui aveva fatto assegnamento sulle rassegne stampa dei paesi della NATO come fonti di informazione, considerandole “generalmente affidabili e che fornivano delucidazioni in modo onesto.” [43]

Siamo costretti a ricordarvi le assicurazioni della pubblica accusatrice Arbour, citate in precedenza, che il suo ufficio applicava solo “regole probatorie estremamente stringenti”, che escludevano “accuse prive di sostanza, non verificabili, non avvalorate”, però con la netta esclusione delle accuse contro i suoi (e della del Ponte) datori di lavoro della NATO.

Queste prove evidenti della subordinazione politica dell’ICTY, come pure le induzioni ai crimini di guerra – i bombardamenti di impianti civili della Serbia venivano accentuati immediatamente in seguito alla messa in stato di accusa di Milosevic alla fine di maggio 1999 – e la sua ridicola impostazione per non investigare anche sui crimini di guerra della NATO, avrebbero dovuto gettare il discredito sull’ICTY come istituzione supposta giudiziale, se noi non avessimo a che fare con una macchina propagandistica ben lubrificata che può far ingoiare ogni cosa in nome del portare “giustizia” contro un nemico demonizzato. E la demonizzazione è facile avendo a che fare con una guerra civile, dove vi sono molte vittime di ingiustizie e/o di scuri politiche da brandire. Il trucco è quello di scegliere le vittime giuste, passarle in rassegna in gran numero e con ricchezza di emozioni, permettere un uso illimitato di prove per sentito dire, [44] attribuire le loro sofferenze allo scellerato demonio, stracciare il contesto e riscrivere la storia, e ne risulterà in maniera lampante che la “giustizia” deve richiedere la testa del demonio.


Le accuse contro Milosevic


Nella demonizzazione di Milosevic, alcune delle più importanti affermazioni sostenenti il suo status demoniaco venivano formulate attraverso le accuse spiegate dettagliatamente nei diversi procedimenti processuali, [45] insieme alle prove prodotte in appoggio a queste accuse. Tutte queste erano state o divenivano le premesse del sistema di informazioni e dei membri della Lobby.

Torniamo a queste accuse e analizziamo come oggi si sostengono, avendo l’accusa alla fine di febbraio 2004 portato a termine i suoi argomenti processuali, e avendo Milosevic impostato la sua difesa dalla fine di agosto 2004, bloccata poi dalla sua morte.[46]


1. Autore di quattro guerre ed orchestratore di queste guerre.

Centrale nel processo dell’ICTY, e di fatto reiterata in tutti gli articoli sulla sua morte, è l’affermazione che Milosevic non era solamente responsabile personalmente per le guerre dei Balcani degli anni Novanta, ma che forse era per queste l’unico responsabile. Infatti i processi a Milosevic sono pieni  zeppi di accuse che lui aveva partecipato ad “una associazione a delinquere come co-esecutore materiale,” e che, in relazione al territorio in discussione (Kosovo, Croazia, o Bosnia), lo “scopo” di ognuna di queste imprese criminali era la “espulsione di una porzione sostanziale delle,” o la “rimozione violenta della maggioranza delle,” o la “rimozione forzata e permanente della maggioranza delle,” popolazioni di etnia non-Serba da ciascun territorio, o di “assicurare un continuo controllo Serbo,” o di creare un “nuovo stato dominato dai Serbi” – la cosiddetta “Grande Serbia”, cosa che ha mandato in estasi i commentatori Occidentali.[47] Milosevic “portava la responsabilità della disgregazione della Jugoslavia... e delle conseguenti guerre,” questo sosteneva costantemente Misha Glenny in tutta una serie di necrologi su Milosevic.[48] Anche Richard Holbrooke riassumeva il concetto di demonio in una rubrica giornalistica, la morte di Milosevic in una cella della sua prigione, “sapendo che non avrebbe mai più visto la libertà”, era una “giusta fine per uno che aveva scatenato quattro guerre (perdendole tutte), causando 300.000 morti, lasciando senza casa più di due milioni di persone, e mandando in pezzi i Balcani.” [49] Dopo la morte di Milosevic, sentimenti di questo tipo costituivano un refrain quasi costante nei mezzi di informazione Occidentali. Gli altri nazionalismi che erano venuti a galla in queste guerre erano stati presumibilmente una reazione; solo quello di Milosevic e dei Serbi era stato la causa scatenante.

Questa interpretazione da diabolico scellerato nella storia recente dei Balcani non è semplicemente sciocca, ma viene contraddetta da un gran numero di testimonianze.

Per prima cosa, falsifica il ruolo degli altri nazionalismi nei Balcani – il nazionalismo Croato era forte e i suoi fautori come il Presidente Franjo Tudjman bramavano e progettavano la secessione ben prima dell’andata al potere di Milosevic [50]; e la spinta del Presidente Musulmano di Bosnia Alija Izetbegovic's verso la dominazione Musulmana in Bosnia datava da tanto tempo prima, dalla sua Dichiarazione Islamica del 1970.[51]

Secondariamente, viene esagerato il nazionalismo di Milosevic, questo sì risposta alle minacce percepite verso gli interessi Serbi e ai sentimenti nazionalisti scaturiti dalle altre componenti; e i famosi discorsi di Milosevic ultra-nazionalisti del 1987 e del 1989 non sono stati assolutamente ultra-nazionalisti. In vari passaggi di questi discorsi, veniva sottolineata l’importanza della “fratellanza e dell’unità” per la sopravvivenza della Jugoslavia; Milosevic metteva in guardia contro tutte le forme di “separatismo e di nazionalismo” come anti-moderne e contorivoluzionarie; ed invocava una mutua tolleranza e “la completa uguaglianza fra tutte le nazioni” all’interno di una Jugoslavia multinazionale, usando un linguaggio accuratamente censurato negli articoli di informazione su questi discorsi.[52] Fra i miti costruiti per spiegare la dissoluzione della Jugoslavia e la sua incorporazione nell’assetto dell’ Occidente, sicuramente quello che accusa Milosevic di aver usato questi due discorsi per attizzare i fuochi del nazionalismo che avrebbero accompagnato il crollo della Jugoslavia si classifica come il più resistente.

Terzo, questo punto di vista sottovaluta grossolanamente il ruolo della Germania, degli Stati Uniti e delle altre potenze straniere nel provocare e nel sottoscrivere le guerre. La Germania ha aperto la strada incoraggiando la Slovenia e la Croazia alla secessione dalla Jugoslavia, in violazione degli accordi di Helsinki e della Costituzione Jugoslava. Ogni azione dell’esercito Jugoslavo ad impedire questa secessione illegale e per proteggere l’integrità dello stato comune di Jugoslavia doveva essere considerata come una “reazione”, e la Germania e i leaders dei paesi secessionisti dovevano essere visti come “artefici” delle guerre successive.

Quarto, le grandi potenze erano inoltre pesantemente responsabili per queste guerre a causa del loro rifiuto a permettere ai “popoli” all’interno di queste repubbliche nate artificialmente e secessioniste di trasferirsi e di rimanere con la Jugoslavia o di essere incorporate pacificamente nella Serbia o nella Croazia. La Commissione Badinter (1991-1992) promossa dalla Unione Europea si era dichiarata contraria a tale separazione, sebbene considerasse plausibile il diritto alla secessione, e quindi la secessione delle repubbliche veniva per lo meno giustificata da questa Commissione. Questa dichiarazione imposta dall’esterno risultava gravemente responsabile per le lotte e le pulizie etniche che ne seguirono.

Quinto, Milosevic, alla fine di giugno 1991, al tempo della secessione della Slovenia, era Presidente della Serbia, ma non della Jugoslavia, e non aveva avuto nulla a che vedere con la reazione dell’esercito Jugoslavo.[53] Questa reazione era stata disordinata ed estremamente modesta, con scaramucce che erano durate solo una decina di giorni. Ma che “guerra”! E per la responsabilità di Milosevic per la guerra in Kosovo, ora è chiaro che gli Stati Uniti e i loro alleati, e fra questi anche l’ICTY, stavano preparandosi alla guerra già dall’aprile 1998, [54] con gli Stati Uniti che alla fine porgevano aiuto all’UCK (KLA-Esercito di Liberazione del Kosovo) e fornivano a costoro ragione di pensare che la NATO alla fine sarebbe arrivata in loro aiuto con un intervento militare diretto. Inoltre, risulta ben fondato che la conferenza di pace di Rambouillet del 1999 era una frode, con la “sbarra” deliberatamente sollevata per assicurare l’emarginazione e il rifiuto della Jugoslavia e per giustificare un’aggressione militare.[55] Milosevic non aveva dato inizio a questa guerra, erano stati gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO a farlo, e avevano fatto questo in evidente violazione della Carta delle Nazioni Unite.


2. Il piano per creare una “Grande Serbia”

Nella serie di accuse dell’ICTY a  Milosevic, l’affermazione che egli aveva messo in atto tutti gli sforzi per dare luogo alla “Grande Serbia” si impone fortemente come giustificazione delle guerre Jugoslave.  Sei anni fa, Tim Judah scriveva che era una “crudele ironia” che tutto fosse cominciato con la parola d’ordine “Tutti i Serbi in un Solo Stato”; e in un necrologio sul Washington Post dello scorso marzo si leggeva ancora che “l’impegno di Milosevic di unificare tutti i Serbi in un unico Stato si era rivelato come una ironica promessa.” [56

(Message over 64 KB, truncated)


ALTO ADIGE: TERRORISTI IN ESILIO CHIEDONO AUTODECISIONE



Continua a suscitare polemiche il progetto di legge costituzionale,
presentato e poi ritirato, dal senatore a vita Francesco Cossiga per
concedere il diritto di autodeterminazione ai sudtirolesi. Ora lo
chiedono quattro famosi terroristi in esilio in Austria e Germania.

Si tratta dei cosiddetti “quattro bravi ragazzi della val Pusteria” -
Siegfied Steger, Josef Forer, Heinrich Oberleiter ed Heinrich
Oberlechner - che da oltre 45 anni vivono all'estero dove si erano
rifugiati dopo una serie di gravi attentati degli anni Sessanta per
cui erano stati condannati in contumacia in Italia.

I quattro - fa sapere il movimento giovanile dell'Union fer
Suedtirol, il partito di Eva Klotz che ha accolto con entusiasmo
l’iniziativa di Cossiga - sono presentati come “combattenti per la
liberta”.

I quattro affermano che il loro obiettivo “è sempre stato
l'autodeterminazione”, per tornare all'Austria, del popolo
sudtirolese, “e non l'autonomia” che c'’è oggi.

La proposta di legge di Cossiga viene così presentata come una
“occasione storica” e invitano la Sud Tiroler Volkspartei (SVP) ad
“assumersi la propria storica responsabilità” nei confronti del
popolo sudtirolese.



(Fonte: NEWSLETTER DI MISTERI D'ITALIA - Anno 7 - Numero 111 - 3
giugno 2006

http://www.misteriditalia.com - http://www.misteriditalia.it )


(english / italiano)

La UE garante della irregolarità del referendum montenegrino

1. E. Guskova: Un futuro da protettorato per il Montenegro

2. T. DI Francesco: Levante o «Grande Puglia»? / Milo wanted

3. A. Rossini: Podgorica, grazie Lipka

4. NEWS: UE, USA, NATO E OSCE GIUBILANO 

5. LA UE GARANTISCE LA IRREGOLARITÀ DEL REFERENDUM: RIGETTATI TUTTI I RICORSI
MONTENEGRO: 'UNIONISTS' LODGE 241 COMPLAINTS ON REFERENDUM RESULTS 


=== 1 ===

www.resistenze.org - popoli resistenti - serbia - 25-05-06


Un futuro da protettorato per il Montenegro

Intervista a Elena Guskova

22 maggio 2006

In merito al risultato del  referendum che ha sancito (di stretta e sospetta misura e con brogli certificati, ma “coperti” da USA, NATO e UE) la vittoria dei fautori dell’“indipendenza” e della rottura dell’unione con la Serbia, Ivan Preobrazhenskij, redattore del sito russo “Strana.ru”, ha intervistato Elena Guskova, storica dell’Accademia russa delle scienze.

D. Come si spiegano i risultati del referendum in Montenegro e l’imminente separazione dalla Serbia?

R. Da tempo affermo che i sostenitori del “Si” avrebbero vinto. In primo luogo, per ottenere tale risultato sono state investite grandi risorse amministrative. In secondo luogo, il referendum ha ottenuto il sostegno di organizzazioni internazionali e dell’UE. E ai sostenitori del referendum è stata fatta una grande concessione: lo sbarramento del 55% dei partecipanti alla votazione. Inoltre, Milo Djukanovic gode del grande sostegno dell’America, e la stessa campagna elettorale è stata organizzata in modo che si creassero le migliori condizioni per il ritorno nel paese di coloro che avrebbero votato “Si” e si frapponessero ostacoli al rientro di quelli che sostengono l’unione tra Serbia e Montenegro.

D. Ciò significa che si sono create difficoltà alla frontiera amministrativa con la Serbia?

R. Non tanto alla frontiera, dal momento che è sempre possibile attraversarla in automobile. E’ sulla linea aerea Belgrado-Podgorica che sono stati cancellati i voli. Gli aerei sono stati dirottati in Europa, per trasportare la diaspora ivi residente. Questa gente in maggioranza ha votato per la separazione. E’ vero che la dirigenza di Belgrado ha organizzato il viaggio, concedendo biglietti gratuiti a coloro che volevano andare dalla Serbia in Montenegro. Ma non c’è paragone tra il numero di coloro che ne hanno approfittato e gli aerei partiti dai paesi europei.
Inoltre, Milo Djukanovic, certamente, ha potuto contare anche sugli albanesi e sui musulmani. Senza dubbio, a questi dovrà fare concessioni. E in futuro ciò potrebbe far loro alzare la voce, dal momento che gli albanesi hanno propri progetti: essi aspirano all’unificazione di tutti i territori dell’ex Jugoslavia a maggioranza albanese. Vale a dire, oltre al Kosovo-Metohja, che tutti conoscono, il sud della Serbia, parte della Macedonia e del Montenegro. “La questione albanese” in Montenegro si è già manifestata, ed è ovvio che ora rappresenti oggetto di trattativa.
(...)

D. E’ possibile che i sostenitori dell’unita con la Serbia o la Belgrado ufficiale esigano un nuovo conteggio dei voti?

R. Ritengo che Belgrado non lo farà, anche se i partigiani dell’unità del paese all’interno del Montenegro lo richiedessero. Molti esempi, come le elezioni in Ucraina e in altri paesi dello spazio post-sovietico, testimoniano del fatto che tali rivendicazioni non si concretizzano mai.

D. Quale sarà ora il destino del Montenegro indipendente? L’Unione Europea verrà incontro alle sue aspirazioni e lo accoglierà quale membro a pieno diritto?

R. Il Montenegro è un territorio economicamente molto arretrato. Esso spera di poter vivere solo con il turismo, ma per ottenere che la repubblica diventi un centro del turismo europeo e mondiale sarebbe necessario investire molti soldi. Il Montenegro non ne possiede. Podgorica ha vissuto a spese delle sovvenzioni dell’UE e di altre organizzazioni internazionali. Ma se tali sovvenzioni venissero meno, per il Montenegro si prospetterebbero tempi duri. Io penso che esso verrà a trovarsi nelle condizioni di un protettorato, con la presenza di basi militari NATO. Del resto, sul territorio dell’ex Jugoslavia esistono protettorati di diverso livello, e il Montenegro non sarà un’eccezione. Sarà costretto a cedere una parte della propria sovranità in cambio di quell’indipendenza a cui tanto sembra aspirare.

D. C’è la possibilità che sul territorio di questo nuovo stato sovrano si manifestino conflitti armati simili a quelli della Macedonia o del Kosovo?

R. Con la minoranza albanese si, è possibile.

D. Quali problemi investiranno la Serbia con l’uscita del Montenegro dalla federazione?

R. Belgrado perde lo sbocco sul mare, ma ciò non rappresenta una tragedia. Si potrà trovare un accordo. Piuttosto la Serbia ritirerà i capitali investiti per lo sviluppo del Montenegro, per il funzionamento degli organi congiunti di potere. Per il Montenegro sarà un colpo. Le repubbliche dovranno dividere le proprietà, al Montenegro toccherà pagare le spese di tutte le rappresentanze diplomatiche. Il Montenegro inoltre fino ad ora ha mandato gratuitamente i suoi ragazzi a studiare a Belgrado. Si acutizzerà il problema della ricerca di un posto di lavoro, dal momento che in Montenegro è difficile trovarlo.
Per quanto riguarda la Serbia, anch’essa dovrà affrontare non minori problemi. Oggi si trova in ginocchio e ha perso parte della propria sovranità. Il paese non risolve autonomamente le questioni della propria politica interna ed estera. Questa non viene decisa a Belgrado, che deve molto semplicemente seguire la strada che le viene indicata. Quando alla Serbia tocca consegnare tutti coloro che bisogna affidare al Tribunale dell’Aja, quando sul suo territorio possono stazionare le truppe della NATO (e un trattato in tal senso è già stato siglato), quando possono essere sottratte tutte le ricchezze del suo territorio, ecco che non ha più molto senso affrettarsi ad invitare la Serbia nell’UE e che l’Europa sussidi la sua economia.
Ma, nonostante tutto, la Serbia è un paese forte ed ha ancora la possibilità di riprendersi. E quando la Serbia risorgerà, allora incontrerà nuovamente l’interesse dei propri vicini, che torneranno a rivolgersi ad essa, come era già successo all’inizio degli anni ’20 dello scorso secolo.

D. La stampa occidentale scrive della possibilità che, sull’onda di sentimenti revanscisti, i nazionalisti possano tornare al potere in Serbia, e alcuni analisti addirittura accennano al fatto che sia L’UE stessa a provocare consapevolmente tale processo, per potere abbattere il regime radicale e finalmente privare Belgrado della propria sovranità…

R. Oggi l’UE dispone di un gran numero di strumenti che le permettono di controllare i processi politici nei paesi dell’ex Jugoslavia. A cominciare dalla firma sotto dettatura delle leggi elettorali, per finire con il cambiamento dei leader di partiti politici non graditi e persino di presidenti, come è successo in Bosnia e Erzegovina. Per questo io penso che l’Europa non teme l’avvento dei nazionalisti al potere: essa è già in grado di confrontarsi con loro. Sebbene, per la verità, la Serbia sia alquanto imprevedibile rispetto ad altri paesi della regione. Al momento è difficile aspettarsi l’avvento al potere di forze che non rispondano agli interessi delle organizzazioni europee.
Per quanto riguarda la provocazione a cui faceva cenno, credo all’Europa non convenga. Dietro ai nazionalisti potrebbe sollevarsi tutto il popolo. Perché l’Europa dovrebbe fare questo, se già è in grado di indirizzare la politica del paese? La sovranità della Serbia nella politica interna ed estera, anche in prospettiva, è perduta. Del futuro del paese dispongono NATO, UE e USA. Hanno propri rappresentanti in tutte le strutture del potere statale del paese. Per questo possiamo affermare che la Serbia è completamente diretta dall’esterno (...)

Traduzione dal russo per www.resistenze.org di Mauro Gemma


=== 2 ===

Il Manifesto 21/5/06

Levante o «Grande Puglia»?

T. D. F.

Sarà per via dei passati legami della casa reale italiana, sarà per la vicinanza. Sarà per l’irrefrenabile «brava gente» verso i traffici spesso incofessabili con il nuovo Est. Ma l’attenzione e l’attesa per i risultati del referendum in Montenegro sono fortissime. Del resto ancora fino a quattro anni fa il governo di Podgorica teneva aperto a Roma una «rappresentanza», quasi un’ambasciata alternativa, con tanto di connivenze con settori governativi italiani. Come da un anno non manca la promozione autonoma del «mare solo montenegrino» verso il mercato delle vacanze italiane. Un’attesa particolare è quella della Puglia e delle sue realtà istituzionali informali, come le locali sedi della Rai. Ieri nel solito appuntamento del settimanale televisivo «Levante», è andata in onda la «preoccupazione della comunità internazionale» e «l’appuntamento politico più importante degli ultimi anni nei Balcani», con tanto di servizio sull’ex centrocampista del Milan Dejan Savicevic, che (diciamo noi) ha capovolto la sua posizione da filo-unione con la Serbia di solo un anno fa, forse attratto dal miraggio - Moggi anche lì? - di un ruolo autonomo nei campionati di calcio, mondiali e non, saltato però ieri, vista la decisione che ai mondiali di calcio, secessione o no, sarà accetta solo la squadra della Serbia e Montenegro. Ma sta di fatto che «Levante» per tutto l’arco di un anno di trasmissioni ha promosso l’indipendenza del Montenegro con interviste e servizi, naturalmente non raccontando mai i «guai» giudiziari verso la magistratura di Bari del primo ministro montenegrino, Milo Djukanovic, che ne è il principale sostenitore. Con tanta rappresentazione di «gggente» favorevole alla secessione da Belgrado. Ma Niki Vendola sa che, mentre lui promuove democrazia e rapporti eguali con i paesi balcanici massacrati dalle lor mafie nazionaliste edalla nostra guerra Nato, la sede Rai con «Levante» va verso una sorta di annessione montenegrina, verso il traguardo della «Grande Puglia»?

Milo wanted

T.D.F.

Un paradosso. Fu l’attuale premier Milo Djukanovic, anche all’epoca premier, a sostenere nell’aprile 1992 un referendum favorevole all’unità del Montenegro con la Serbia. La sua nascita politica è nel 1989 dopo la «rivoluzione antiburocratica» dentro la Lega dei comunisti, quando si schierò con Slobodan Milosevic che all’epoca ritoccava l’autonomia del Kosovo. Djukanovic durante la guerra con la Slovenia e Croazia e poi in Bosnia fu sempre fedelissimo del potere a Belgrado. Il suo Partito democratico di sinistra, era nella coalizione con il partito socialista di Milosevic. Ruppe con Milosevic nel 1997 quando vinse le presidenziali a Podgorica contro Momir Bulatovic, nuovo fedelissimo del regime. Durante la sua presidenza si allungano ombre pesanti sul suo operato. Siamo al dopo-Dayton, è finito ufficialmente l’embargo contro Belgrado, ma il suo ruolo di diverso interlocutore per i traffici utili al sostegno del paese, invece che indebolirsi si rafforza. E l’Occidente tollera tutto. Arriviamo al 1998-1999 con la crisi del Kosovo, Djukanovic diventa l’interlocutore della Nato e del segretario di stato Usa Madeleine Albright che favorisce la secessione per indebolire Milosevic. Si apre a Roma un ufficio di «rappresentanza» montenegrino. Ma in Italia la magistratura apre un’inchiesta incriminandolo per «associazione mafiosa» con Camorra e Sacra Corona Unita. Dopo i cambiamenti democratici a Belgrado la sua volontà di secessione si rafforza, mentre si riduce l’appoggio Usa arrivano ingenti capitali russi di dubbia provenienza.


=== 3 ===

il manifesto
24 Maggio 2006

Podgorica, grazie Lipka

Andrea Rossini

Podgorica - Il presidente della Commissione referendaria del Montenegro, lo slovacco Frantisek Lipka, ha annunciato ieri mattina in conferenza stampa i risultati ufficiali del voto. L'annuncio è arrivato nonostante il disaccordo nella Commissione municipale di Podgorica sulle operazioni in 37 seggi della capitale, e relative a circa 19.000 schede, come aveva detto lo stesso Lipka lunedì sera in Parlamento. I rappresentanti unionisti avevano diramato poche ore prima un duro comunicato per denunciare irregolarità, chiedendo il riconteggio dei voti. La posizione del blocco unionista non ha trovato spazio ieri sulla tv di stato, ma apriva la prima pagina del quotidiano Dan: «L'opposizione non riconosce i risultati».
Lunedì sera, a 24 ore dalla chiusura dei seggi, l'incertezza sui risultati ufficiali non prometteva nulla di buono. Le Commissioni municipali avrebbero dovuto comunicare a quella referendaria i dati definitivi entro le 21.00, ma le contestazioni a Podgorica lo hanno impedito. Lipka, dopo una nottata di negoziati, ha deciso ieri mattina di sciogliere il nodo gordiano sostituendosi alla Commissione di Podgorica e utilizzando i poteri (c.d. zlatni glas, voto d'oro) attribuitogli dalla legge.
Ora la partita è tutta politica, dato che sembra poco probabile che i risultati del voto, considerato regolare dai 3.400 osservatori internazionali e locali, siano in discussione. Secondo Lipka, per alcuni membri della Commissione municipale di Podgorica i rapporti sul voto non sono stati fatti in maniera appropriata. Il rappresentante internazionale ha però ricordato che tutti i comitati di seggio erano paritetici e che tutti i rapporti sarebbero dovuti essere controfirmati prima di essere presentati al livello superiore (municipale). Resta il fatto grave però che i risultati ufficiali sono stati promulgati d'autorità. Insomma, grazie Lipka!
Lipka, dopo aver ricordato ai giornalisti che le regole del referendum erano state accettate dai leader di entrambi i blocchi e sono state rispettate nel corso di tutto il processo elettorale, ha quindi dichiarato questa mattina che 230.711 montenegrini si sono espressi a favore dell'indipendenza, per un totale del 55,50% dei votanti. 184.954 hanno invece scelto l'Unione (44,50%). Per quanto riguarda i seggi contestati a Podgorica, sarebbero relativi a 18.267 voti totali. Di questi, 10.297 sono a favore dell'indipendenza (56,37%), mentre 7.970 per l'Unione (43,63%). I risultati finali di Podgorica sarebbero quindi 60.626 per il Sì (indipendenza) e 52.345 per il No. In tutto il Montenegro hanno votato 419.236 persone, l'86,49% degli aventi diritto (484.718).
Per l'annuncio dei risultati definitivi, la Commissione repubblicana deve ora attendere tre giorni per ricevere eventuali contestazioni, alle quali dovrà rispondere entro 24 ore. Sabato sarà quindi dichiarato ufficialmente il risultato del referendum. Dopo questo termine si aprirà per la piccola patria adriatica la strada del riconoscimento internazionale. Il presidente montenegrino Filip Vujanovic ha detto che il primo atto dopo la proclamazione dei risultati ufficiali sarà lo stabilimento di relazioni con Bruxelles e con Belgrado. E da Belgrado sono arrivate ieri le prime prese di posizione «forti»: il presidente serbo Boris Tadic (di origini montenegrine) ha dichiarato che «sarà il primo funzionario serbo ad andare in Montenegro per congratularsi»; mentre il premier Vojislav Kostunica, favorevole all'unione di stato, è stato meno entusiasta, pur dichiarandosi pronto a riconosceri i risultati definitivi sui quali però «non dovrà restare neanche l'ombra del dubbio».
Il Montenegro è calmo, dopo i festeggiamenti di domenica notte a Podgorica e di lunedì a Cetinje, la prosecuzione di una situazione di incertezza non era auspicabile evidentemente per nessuno. Nel tardo pomeriggio di lunedì di fronte alla sede del partito Socialista Popolare (unionista), alcuni giovani davano voce al proprio risentimento e volontà di rivalsa contro un voto «irregolare» e contro «gli albanesi», che in grande maggioranza hanno votato per l'indipendenza.


=== 4 ===

MONTENEGRO: REFERENDUM, DJUKANOVIC PROCLAMA VITTORIA (3)

(ANSA-AFP) - PODGORICA, 22 MAG - ''Voglio ringraziare tutti quelli che hanno creduto al ripristino dell'indipendenza'', ha aggiunto Djukanovic. ''Ringrazio l'Unione europea, che ha contribuito all' organizzazione di questo processo (...) e spero che continuera' ad aiutarci nel nostro cammino per integrarci in Europa'', ha proseguito. ''Il Montenegro e' un nuovo Stato indipendente, un nuovo membro dell'Onu che pretende, nel piu' breve tempo possibile, di diventare un membro a pieno titolo della comunita' dei popoli europei'', ha sottolineato il primo ministro. I fautori del mantenimento dell'unione con la Serbia non hanno finora riconosciuto la vittoria dei loro avversari. ''Il risultato non e' definitivo finche' la Commissione per il referendum non l'annuncera' e tutti l'avranno accettato'', ha detto il leader dell'opposizione unionista, Predrag Bulatovic. Invitando ad aspettare il risultato ufficiale, Bulatovic ha ammesso, citando dati parziali, che gli indipendentisti sono in testa, ma al di sotto della soglia del 55% richiesta. ''Il risultato finale sara' comunicato dalla Commissione per il referendum della Repubblica'', ha insistito. ''Ogni voto e' importante ed e' molto importante convalidare il risultato finale di questo referendum'', ha concluso Bulatovic. Dal canto suo, il diplomatico slovacco Frantisek Lipka, capo della Commissione per il referendum, confida di poter annuciare stamani (lunedi') i primi risultati. ''Credo di poter essere in grado di annunciare risultati preliminari lunedi' alle 10'', ha dichiarato in nottata in un incontro con la stampa. Il tasso di partecipazione - ha precisato Lipka - e' stato dell'86,1%, ma la cifra potrebbe ancora ''cambiare un poco''. (ANSA-AFP). DIG
22/05/2006 03:37 

MONTENEGRO: REFERENDUM, COMMISSIONE CONFERMA INDIPENDENZA

(ANSA) - (ANSA) - PODGORICA, 22 MAG - La Commissione elettorale di Podgorica, presieduta dal rappresentante dell'Ue Frantisek Lipka, ha confermato oggi la vittoria dei si' all' indipendenza dalla Serbia nel referendum sull'autodeterminazione svoltosi ieri nella piccola repubblica ex jugoslava del Montenegro. Secondo i dati ufficiali preliminari resi noti stamattina, i voti favorevoli al divorzio sono stati pari al 55,4% (qualche decimale in piu' rispetto alla maggioranza qualificata concordata con i mediatori europei per il via libera alla secessione), mentre i no si sono fermati al 44,6%. (ANSA). LR
22/05/2006 10:16 

MONTENEGRO: REFERENDUM, COMMISSIONE CONFERMA INDIPENDENZA (2)

(ANSA) - PODGORICA, 22 MAG - Lipka ha precisato che i dati riguardano tutti i seggi tranne 45 (su oltre 1.120). In totale, resta da controllare il voto di non piu' 25.000 elettori, cifra che non appare in grado di modificare il risultato. Il presidente ha aggiunto che l'affluenza finale e' stata fissata all'86,3% dei circa 485.000 montenegrini aventi diritto al voto e ha sottolineato che alla commissione ''non sono pervenute denunce di irregolarita' significative''. Gia' nella notte il premier montenegrino, Milo Djukanovic, capofila della battaglia indipendentista, aveva proclamato la vittoria del suo schieramento, dopo alcune proiezioni favorevoli. Il leader dell'opposizione unionista, il socialista Predrag Bulatovic, aveva tuttavia contestato i dati delle proiezioni, ipotizzando che il fronte del no fosse stato in effetti sconfitto, ma con un margine (54% contro 46, a suo dire) insufficiente a consentire la proclamazione d'indipendenza. Lo stesso Bulatovic si era tuttavia rimesso al verdetto ufficiale odierno della commissione elettorale di Lipka. (ANSA). COR-LR
22/05/2006 10:31 

Montenegro : Nato; risultato referendum pienamente legittimo

Bruxelles - Il segretario generale dell'Alleanza Atlantica, Jaap de Hoop Scheffer, si "congratula a nome della Nato con le autorità e il popolo del Montenegro per aver svolto un referendum libero, equo, ed ordinato", il cui risultato è "pienamente legittimo". E' quanto si legge in una nota diffusa a Bruxelles dalla stessa Alleanza Atlantica. La missione di osservatori dell'Osce inviata nella piccola repubblica balcanica, prosegue l'olandese, "ha concluso che i risultati riflettono la volontà del popolo" montenegrino di
raggiungere l'indipendenza dalla Serbia. L'alta affluenza registrata alle urne, pari all'86,3% degli elettori, "da piena legittimità ad un risultato che la Nato riconosce", sottolinea ancora il capo della Nato che invita inoltre "tutte le parti politiche e i cittadini a rispettare l'esito del referendum". Belgrado e Podgorica, auspica ancora de Hoop Scheffer, "devono adesso cominciare a discutere le numerose questioni bilaterali per cui serve una soluzione".
L'Alleanza, conclude, "è determinata a mantenere buone relazioni con entrambi i governi".
 
(Fonte: http://www.contropiano.org/ - 22/5/06)

MONTENEGRO: SOLANA, ORA BELGRADO-PODGORICA PARLINO TRA LORO

(ANSA) - BRUXELLES, 22 MAG - Ora e' molto importante che Serbia e Montenegro ''parlino tra di loro'': lo ha detto l'Alto rappresentante Ue alla politica estera, Javier Solana, commentando la vittoria dei 'si'' nel referendum sull' indipendenza in Montenegro. In un incontro con la stampa insieme al segretario generale della Nato, Jaap De Hoop Scheffer, Solana ha sottolineato che l'Ue ''rispettara''' il risultato del voto, che comunque - ha precisato - non e' ancora ufficiale. Rispondendo alla domanda di un cronista sui prossimi passi dell'Ue con il Montenegro dopo il voto sull'indipendenza, Solana ha risposto che in questa fase e' piu' importante che Serbia e Montenegro ''parlino tra di loro'', e che la Ue e' comunque ''pronta a cooperare''. Quale dato molto positivo del referendum, sia Solana sia Scheffer hanno sottolineato ''l'alta affluenza'' e il fatto che ''non ci siano stati incidenti, che sottolinea la maturita' e responsabilita''' del popolo montenegrino.(ANSA). RIG
22/05/2006 12:30 

MONTENEGRO: BRUXELLES, VOTO NELLA CALMA ORA GUARDARE A UE

(ANSA) - BRUXELLES, 22 MAR - La Commissione europea ''si rallegra del rapporto preliminare'' sul risultato del referendum in Montenegro, voto che ''si e' svolto nella calma con un eccellente affluenza''. Lo ha sottolineato in una nota il commissario all' allargamento, Olli Rehn, precisando che ''i primi risultati evidenziano che i 'si'' all'indipendenza hanno vinto'' ''Come gia' detto in precedenza, qualsiasi risultato verra' accettato'', ha aggiunto Rehn, augurandosi che ora il Montenegro ''costruisca la sua indipendenza sulla base dei principi europei''. (ANSA) GIT-RIG
22/05/2006 12:42 

MONTENEGRO: OSCE, REFERENDUM CONFORME A NORME INTERNAZIONALI

(ANSA) - VIENNA, 22 MAG - Il referendum sull'indipendenza in Montenegro si e' svolto ''in conformita' con le norme dell'Osce, del Consiglio d'Europa e con altri standard internazionali per processi elettorali democratici''. E' quanto dichiara l'organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) in un comunicato diffuso oggi sul sito internet dell'organizzazione che ha sede a Vienna. Il referendum ha ''dato agli elettori l'autentica possibilita' di decidere sul futuro status attraverso un processo di democrazia diretta'', afferma la missione internazionale degli osservatori oggi a Podgorica. Bisogna ''congratularsi con la popolazione del Montenegro per l'approccio costruttivo nel prendere questa decisione storica'', ha detto il capo della missione Nevgzat Yalcintas secondo il comunicato. (ANSA). RED
22/05/2006 14:19

MONTENEGRO: REFERENDUM, I PASSI DELL'INDIPENDENZA / ANSA

(ANSA) - BELGRADO, 22 MAG - Avverra' per gradi, prevedibilmente a partire da giugno, e si protrarra' per diversi mesi il cammino del Montenegro - reduce dal referendum di ieri - verso la piena indipendenza dalla Serbia e la riconquista di quella sovranita' persa dalla dinastia dei Petrovic nel 1918. Il primo passo, dopo la certificazione ufficiale del risultato referendario, e' atteso per il 5 giugno prossimo, con l'invio del rapporto finale della commissione elettorale al parlamento locale di Podgorica. Spettera' poi a quest'ultimo dichiarare formalmente l'indipendenza e avviare le necessarie modifiche legislative e costituzionali. Di fatto autonomo in molti campi gia' da tempo, il Montenegro potra' attribuirsi dopo la proclamazione di sovranita' anche i residui poteri lasciati finora nelle mani del governo federale dell'Unione di Serbia e Montenegro, nata nel 2003 sulle ceneri di cio' che restava della Jugoslavia di Slobodan Milosevic. In particolare i poteri in materia di politica estera, difesa, dogane e diritti delle minoranze. Tutti questi passaggi dovranno essere peraltro coordinati in qualche modo col governo serbo. Sul piano internazionale, il primo tassello di rilievo e' previsto invece per settembre, con la richiesta di adesione all'Onu. Ma non sara' che l'inizio. In base agli accordi che diedero vita alla Serbia-Montenegro, erede legale dell'Unione sara' Belgrado, poiche' l'eredita' spetta al Paese che 'subisce' la secessione altrui e non a quello che la proclama. Podgorica dovra' quindi riaccreditarsi un po' dappertutto. Dopo l'Onu, e' in scaletta l'avvio delle trattative con l'Osce e di quelle con Fmi, Wto e Banca Mondiale. Nel frattempo - secondo le promesse del premier, Milo Djukanovic - il Montenegro cerchera' di dare impulso anche e soprattutto al cammino d'integrazione euro-atlantica. Un obiettivo che dovra' passare attraverso l'apertura dei negoziati preliminari di associazione e stabilizzazione (Asa) con l'Unione Europea, che Bruxelles ha aperto nei mesi scorsi con l'intera Unione, salvo poi congelarli come ritorsione di fronte alla mancata cattura e consegna alla giustizia internazionale degli ultimi criminali di guerra serbi alla macchia: primo fra tutti il famigerato ex comandante serbo-bosniaco Ratko Mladic. A proposito del negoziato con Ue e Nato, da Bruxelles si e' fatto pero' sapere - proprio in queste ore - che l'argomento potra' essere affrontato col nuovo Montenegro indipendente soltanto dopo che Podgorica avra' saputo dirimere il contenzioso bilaterale con Belgrado in materia di separazione. Ultimo tema, quello delle federazioni sportive. In alcuni casi il divorzio e' gia' un dato di fatto. In altri si trattera' di stabilirne le tappe: per il calcio, sport nazionale in entrambe le repubbliche, vi sara' tuttavia una proroga. Qualificatasi per la fase finale dei prossimi mondiali con i colori della Serbia-Montenegro, la nazionale di Dejan Stankovic (serbo) e Mirko Vucinic (montenegrino) partecipera' a Germania 2006 sotto questa bandiera: seppure ormai ammainata. (ANSA). LR
22/05/2006 15:25

MONTENEGRO: UE, DOPO DIVORZIO OGNUNO PER LA SUA STRADA /ANSA

(di Martino Rigacci). (ANSA) - BRUXELLES, 22 MAG - L'Ue si adegua, non contesta e, anzi, accoglie un voto che cambia la geografia dell'Europa: il divorzio via referendum del Montenegro dalla Serbia e' stato ricevuto senza tentennamenti, oltre che con un respiro di sollievo, da Bruxelles. Trattandosi di un evento dal quale poteva nascere - come e' poi avvenuto - un nuovo Stato nel cuore del Vecchio Continente, Bruxelles ha seguito passo passo il voto, avendo di fatto gia' pronta l'impalcatura giuridica-istituzionale per dialogare separatamente con Belgrado e Podgorica. Le reazioni europee al 'si'' all'indipendenza montenegrina hanno messo in risalto tre punti chiave: non ci sono stati incidenti - fatto per niente scontato trattandosi di un'area ad alta instabilita' quali i Balcani -, l'affluenza alle urne e' stata molto alta e, soprattutto, il pieno rispetto da parte europea del risultato. Anche se con tonalita' diverse, questi punti sono stati rilevati dall'Alto rappresentante Ue alla politica estera, Javier Solana, dalla Commissione europea e dal segretario generale Nato, Jaap De Hoop Scheffer. Nel sottolineare la ''legittimita''' del processo elettorale - poco prima della conferma da parte dell'Osce che il voto e' ''in conformita' agli standard internazionali'' - Solana ha in particolare ricordato che il 'si'' ha superato la soglia fissata dall'Ue, e cioe' il 55% dei voti. DUE VELOCITA'. A questo punto, il lungo e complicato processo di avvicinamento della Serbia e del Montenegro all'Europa si separa, ed e' probabile che Podgorica correra' piu' velocemente di Belgrado. Cio' per varie ragioni: sia perche' il Montenegro e' un paese molto piccolo (appena 650 mila persone) ed e' quindi piu' facilmente 'digeribile' per Bruxelles, sia perche' Belgrado deve ancora fare i conti con l'arresto dell'ex generale serbo bosniaco Ratko Mladic, questione che e' una vera palla al piede per le ambizioni serbe di entrare, un giorno, nell'Ue. Altrettanto chiaro e' stato Scheffer, che ha sottolineato come i governi di entrambe le parti devono quanto prima iniziare a discutere ''le numerose questioni bilaterali che richiedono una soluzione''. Alla domanda su quando l'Europa intenda intavolare negoziati per giungere ad un'accordo di stabilizzazione e associazione (Asa) con il paese di Milo Djukanovic, Solana ha confermato il sostegno Ue, pur precisando con forza che in questa fase di transizione il vero punto chiave e' che Serbia e Montenegro ''parlino tra di loro''. Su un piano strettamente operativo, la Commissione Ue dovra' ora avere dai Venticinque un nuovo mandato per poter negoziare separatamente con le due capitali. Ovviamente, le trattative di Bruxelles con Podgorica non verranno azzerate, visto che la Commissione manterra' in vita gran parte del lavoro gia' svolto nelle trattative - ora congelate per il caso Mladic - con l'unita' statale Serbia/Montenegro. CI VUOLE DIALOGO BELGRADO-PODGORICA. Solana ha inoltre colto l'occasione per ricordare quanto sia importante garantire la stabilita' nei Balcani, area nella quale l'Ue e' coinvolta' da ''molti anni, con molta energia e risorse''. Rispondendo a quello che in effetti e' la domanda del momento nel complesso scacchiere balcanico - e cioe' la definizione del futuro status del Kosovo - Scheffer ha rifiutato di tracciare un parallelismo tra il voto montenegrino e la situazione nella provincia serba: e proprio l'eventuale riconoscimento dell' indipendenza del Kosovo e' il prossimo delicato appuntamento che i Balcani presentano all'Ue. (ANSA) RIG
22/05/2006 17:56 

MONTENEGRO: UE; BORRELL, ORA PREVALGA LA COOPERAZIONE

(ANSA) - BRUXELLES, 22 MAG - Dopo la vittoria del si' nel referendum sull'indipendenza ''e' ora essenziale per Montenegro e Serbia, e per l'intera regione, che i negoziati sulla separazione comincino in uno spirito di grande cooperazione e di mutuo rispetto''. E' quanto scrive il presidente del Parlamento europeo Josep Borrell in un messaggio inviato al primo ministro di Montenegro Milo Djukanovic, con il quale si felicita per il risultato del voto che, ''secondo gli osservatori del Parlamento europeo si e' svolto in grande trasparenza e con una larga partecipazione''. Borrell aggiunge l'augurio di successo ''in tutte le sfide future sulla strada che porta all'Unione europea''. (ANSA). COM-VS
22/05/2006 19:31 

MONTENEGRO: SI' A INDIPENDENZA, CON PLACET EUROPEO / ANSA

(di Alessandro Logroscino). (ANSA) - BELGRADO, 22 MAG - Sventolano i vessilli con l'aquila bicefala del Montenegro indipendente, oggi, da Podgorica all'antica capitale Cetinje. Sventolano per celebrare la vittoria dei si' al divorzio dalla Serbia - suggellata oggi dai dati ufficiali - nel referendum svoltosi ieri nella piu' piccola delle repubbliche ex jugoslave. Una competizione che lascia dietro di se' entusiasmi di piazza, qualche malcontento e non poche incognite, a partire dalla reazione politica del governo serbo. Ma sul cui esito si sciolgono anche gli ultimi dubbi, mentre a rassicurare gli animi non manca la conferma del ministero della difesa di Belgrado sulla volonta' di assoluta non interferenza delle forze armate federali, ove mai qualcuno avesse immaginato un bis su scala ridotta delle tragedie balcaniche degli anni '90. A confermare le proiezioni che fin dalla serata di ieri avevano annunciato il successo del fronte secessionista guidato dal premier e uomo forte di Podgorica, Milo Djukanovic, sono arrivate oggi le cifre della commissione elettorale: presieduta - a titolo di inedita garanzia - da uno diplomatico straniero, lo slovacco Frantisek Lipka, indicato dall'Unione europea. I numeri snocciolati da Lipka hanno attribuito il 55,4% delle schede al si'. Un pugno di decimali in piu' rispetto alla maggioranza qualificata concordata con la comunita' internazionale per il via libera alla secessione, ma comunque ampiamente al di sopra del 50% dei votanti e quasi 11 punti avanti all'opposizione unionista (feRma al 44,6%), schierata in difesa dei legami con la sorella maggiore serba e dell'ultimo spezzone di Stato erede della defunta Jugoslavia. Numeri che non cancellano la divisione etnico-regionale dei due campi avversi. E che tuttavia trovano conforto e legittimazione nell'alta affluenza alle urne (86,3% dei 485.000 aventi diritto) e nel placet degli osservatori internazionali. ''L'indipendenza del nostro Paese e' stata ripristinata dalla volonta' della maggioranza dei cittadini'', ha esultato il premier Djiukanovic, vero trionfatore del referendum, tornando oggi ad arringare i suoi dopo aver proclamato la vittoria fin dalla notte precedente, sulla scorta degli exit poll. Parole che hanno segnato l'inizio di un secondo giro di feste e caroselli d'auto a Podgorica, in attesa del grande raduno organizzato nella vecchia capitale Cetinje: nella piazza intitolata a quel re Nikola Petrovic che fu ultimo sovrano del Montenegro indipendente fino al 1918, oltre che padre della regina Elena d'Italia, consorte di Vittorio Emanuele III. Per Djukanovic, la riconquistata sovranita' del Paese significa disponibilita' a ''proseguire la collaborazione con la Serbia su basi nuove''. Ma soprattutto prelude a un piu' rapido cammino verso l'Ue e la Nato, libero dai vincoli rappresentati dalla politica del governo di Belgrado, a cominciare dalle inadempienze sulla consegna al Tribunale dell'Aja di Ratko Mladic e degli ultimi ricercati per crimini di guerra dell'era Milosevic. ''Confidiamo che il Montenegro possa essere candidato (all'ingresso nell'Ue) subito dopo Bulgaria, Romania e Croazia'', ha dichiarato il primo ministro, sorvolando sulle incertezze di chi ancora dubita della tenuta economica e delle garanzie di legalita' del suo micro-regno. Affermazioni alle quali si sono contrapposti gli esponenti unionisti, scettici sul futuro e aggrappati a un'estrema richiesta di riconteggio delle schede. Ma comunque pronti - come ha detto infine uno dei loro leader - ad accettare i risultati definitivi della commissione elettorale. Risultati la cui attendibilita' e' stata garantita da Lipka, con l'esclusione di ''irregolarita' significative''. E certificata anche dagli osservatori dell'Osce, secondo cui il processo referendario montenegrino si e' svolto ''nel rispetto degli standard democratici internazionali''. Di ''legittimita' fuori discussione'' ha parlato pure l'emissario dell'Ue a Podgorica, Miroslav Lajcak, aggiungendo che il voto di ieri ''apre a un riconoscimento internazionale del Montenegro''. Fermo restando il tono prudente di Bruxelles a proposito del battesimo di negoziati separati con Podgorica (dopo il congelamento a causa del caso Mladic di quelli avviati nei mesi scorsi con l'Unione di Serbia e Montenegro), rinviandone l'esame fino a quando la dirigenza montenegrina non avra' fissato con Belgrado tutte le tappe del divorzio. Del resto e' a Belgrado che la comunita' mondiale guarda in queste ore. Lajcak vi giungera' domani con la speranza di strappare al coriaceo premier serbo Vojislav Kostunica - da sempre ostile alla secessione, malgrado lo scarso rimpianto che l'Unione sembra ingenerare nella stessa opinione pubblica serba - un riconoscimento in tempi brevi del nuovo Montenegro. ''Il nostro piu' grande desiderio e' che la Serbia sia il primo Paese a riconoscerci'', ha fatto sapere Djukanovic, felicitato finora dai capi di governo di tutti gli altri Paesi ex jugoslavi con l'eccezione proprio di Kostunica. Un silenzio, quello del premier serbo, da cui peraltro gia' si distanziano le voci di esponenti del suo stesso governo, come l'eccentrico ministro degli esteri, Vuk Draskovic, secondo cui il Montenegro va riconosciuto e la Serbia puo' rifondarsi come monarchia costituzionale affidata agli eredi della dinastia nazionale dei Karageorgevic. E persino la voce del tribuno dell'opposizione ultranazionalista Tomislav Nikolic, a giudizio del quale la secessione del Montenegro e' una fatto ''pericoloso e doloroso'': ma in ogni modo un fatto acquisito che, ''come il resto del mondo, anche la Serbia alla fine riconoscera'''. (ANSA). LR
22/05/2006 19:38 

MONTENEGRO: REFERENDUM, INDIPENDENZA PUNTO E A CAPO / ANSA

(di Alessandro Logroscino) (ANSA) - BELGRADO, 23 MAG - E' l'ora del riconoscimento per il nuovo Montenegro indipendente nato dal referendum di domenica scorsa e dalla volonta' di scissione dello Stato unitario con la Serbia, ultimo retaggio dell'ex Jugoslavia. (...) Con poco piu' di 2.000 voti di vantaggio rispetto alla soglia di garanzia del 55% concordata con i mediatori dell'Unione Europea per dare il via libera alla secessione, ma anche con una netta maggioranza assoluta e un vantaggio di quasi 50.000 voti (11 punti tondi) sullo schieramento del no. Schieramento che non si da' ancora per vinto. Ma che, pur avendo tre giorni di tempo per presentare ulteriori contestazioni, appare rassegnato. ''Vogliamo chiarire tutti i dubbi e verificare se il risultato rappresenta davvero la volonta' dei cittadini o un intrigo di regime'', ha ripetuto stasera il numero due dell'opposizione, Predrag Popovic, senza tuttavia confermare l'invio della sbandierata richiesta di ricalcolo generale delle schede alla commissione elettorale, presieduta dal diplomatico slovacco Frantisek Lipka. Alla necessita' di allontanare le ultime ombre si aggrappano pure i vertici politici della Serbia, sondati oggi a Belgrado dall'emissario dell'Ue Miroslav Lajcak sulla disponibilita' a riconoscere in tempi brevi l'indipendenza del piccolo Paese fratello. Disponibilita' che non e' stata negata, ma rinviata alla pubblicazione ufficiale dei risultati. Il piu' coriaceo, al solito, e' sembrato il premier nazional- patriottico Vojislav Kostunica, secondo cui ''la Serbia e' pronta ad accettare entrambi i risultati'' del referendum, ma solo dopo gli ultimi controlli, poiche' vuole che ''non ci siano ombre''. Una sottolineatura che d'altronde non gli ha impedito di assicurare che ''il divorzio non sarebbe in ogni caso un grande problema'', anche perche' gli accordi garantiscono alla Serbia ''la piena eredita' dei diritti internazionali dell' Unione'': incluso, e' sottinteso, quello della sovranita' sulla provincia a maggioranza albanese del Kosovo, animata a sua volta da rivendicazioni indipendentistiche, ma assai piu' cara, rispetto al Montenegro, alle radici storiche e religiose serbe. Piu' conciliante il presidente della Serbia, il 'liberale' Boris Tadic, il quale ha ricordato a Lajcak d'essersi battuto ''per il mantenimento di uno Stato unitario'', ma si e' dichiarato ''pronto ad accettare la decisione della maggioranza del popolo montenegrino'' non appena la commissione avra' ''pubblicato i risultati definitivi e sciolto tutti i dubbi''. Una posizione che pone il capo dello Stato in singolare contraddizione col suo stesso padre: l'anziano accademico nazionalista Ljubomir Tadic, esponente di un comitato unionista che bolla la consultazione montenegrina come ''una frode''. Affermazioni che non toccano comunque le cancellerie di mezzo mondo, disposte ormai a sbilanciarsi nella sostanza, se non ancora nella forma, nell'accoglimento dell'ennesimo micro-Stato balcanico che riemerge dal passato. Come conferma l'apertura del commissario europeo all'allargamento, Olli Rehn, all'ipotesi di un avvio di trattative col Montenegro verso un accordo di associazione e stabilizzazione separato dal negoziato inaugurato mesi fa dall'Ue con Belgrado e poi congelato per le inadempienze del governo serbo in materia di consegna degli ultimi ricercati per crimini di guerra dell'era Milosevic. O ancora l'intervento dell'ambasciatore Usa a Belgrado, Michael Polt, sulla volonta' di Washington di fare ''passi concreti per la definizione delle relazioni'' con Podgorica dopo che il processo referendario - elogiato come ''libero e corretto'' dal Dipartimento di Stato - sara' concluso. Di fatto si trattera' di aspettare i tre giorni previsti dalla legge per l'esame lamentele e proteste presentate in extremis. Poi la documentazione passera' al parlamento locale, per una proclamazione formale di sovranita' attesa ai primi di giugno. Uno sbocco che anche la Russia - storica patrona ortodossa del Montenegro prima ancora che della Serbia e partner economico emergente della Repubblica adriatica - si e' detta in queste ore pronta ad accettare di buon grado. A rinverdire gli antichi vincoli tra lo sterminato impero dei Romanov e il piccolo regno di Cetinje dei Petrovic che un secolo fa spingevano Nicola del Montenegro ad affermare spavaldo: ''Io e mio cugino lo zar abbiamo un esercito di un milione e 10.000 uomini''. (ANSA). LR
23/05/2006 19:28 


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il manifesto - 26 Maggio 2006

Montenegro Gli «unionisti» ricorrono contro vittoria del sì

L'opposizione unionista ha formalizzato ieri la sua ultima chance di ricorso contro i risultati del referendum che domenica scorsa ha sancito la vittoria dei sì all'indipendenza del Montenegro e alla dissoluzione dello Stato unitario con la Serbia, estremo retaggio della vecchia Jugoslavia. Il reclamo, ha riferito in una conferenza stampa a Podgorica il numero due del fronte del no, Predrag Popovic comprende 241 obiezioni sul conteggio, relativi a 187 seggi (su un totale di 1.120). I voti contestati, in totale, sono quasi 120.000 e si aggiungono a quelli di circa 5.000 montenegrini residenti in Serbia che secondo gli oppositori non avrebbero dovuto essere ammessi alle urne. Secondo la procedura, il ricorso verrà esaminato oggi dalle commissioni elettorali - locali e repubblicane - e riceverà una prima risposta entro sabato.


MONTENEGRO: 'UNIONISTS' LODGE 241 COMPLAINTS ON REFERENDUM RESULTS 

AKI - May 25, 2006

Podgorica, 25 May (AKI) - The 'unionist bloc', which voted against
Montenegro independence in Sunday's referendum, said on Thursday that it
has lodged 241 complaints to municipal referendum commissions, claiming
irregularities in the voting. A bloc leader Predrag Popovic said that
the number of voters at contested polling places amounted to 120,000 and
that it could change the final outcome of the referendum in which,
according to preliminary results, "independists", led by Prime Minister
Milo Djukanovic won 55.5 per cent of votes.
Popovic said the municipal referendum commissions have to rule on the
complaints by nine o’clock today, after which the complaints go to
republican referendum commission, chaired by Czech diplomat Frantisek
Lipka.
The president of Podgorica municipal referendum commission Cedo
Kaludjerovic said that 50 complaints were lodged in the capital itself,
comprising 30,000 voters.
He said that the complaints were justified, but that the municipal
commission would most likely not be able to reach a consensus decision,
because both blocs are equally represented in the body. In such a case,
complaints would go to republican commission in which Lipka’s voice
would prevail.
The "unionists" have complained of irregularities mostly in ethnic
Albanian populated areas, saying many voters came from abroad and voted
illegally with false documents.
They also presented a list of 2,671 independence supporters, who reside
in Serbia, but who voted in the referendum. Montenegro's election law
banned some 300,000 Montenegrins living in Serbia from voting,
suspecting they would oppose independence.
Another "unionist" leader, Predrag Bulatovic, said he had asked the
European Union representative at the referendum, Slovak diplomat
Miroslav Lajcak, to intervene, because in many municipalities the
"unionists" were denied access to electoral lists to determine
irregularities. In ethnic Albanian town of Rozaje, where "unionists"
claim gross violation, president of the local referendum went abroad and
was unavailable, said Bulatovic.
"I appeal to you to intervene and make possible to our bloc to realize
its right to check the election material, before things take undesirable
turn," Bulatovic told Lajcak on Wednesday. "In case we don’t realize
these rights, I’m afraid it might have negative effects on further
developments in Montenegro," he warned.
Lajcak on Wednesday accused the "unionists" of "irresponsible behaviour"
for insisting on irregularities. Lipka has to proclaim final official
results on Tuesday, after which the unsatisfied party can appeal to
Montenegro Constitutional court. But Popovic said they would not take
that step, because there was no point appealing to the court controlled
by Djukanovic. (Vpr/Aki)

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MONTENEGRO: REFERENDUM; INVIATO UE, CONTESTAZIONI NON SERIE

(ANSA) - BELGRADO, 25 MAG - Il plenipotenziario dell'Ue in Montenegro, il diplomatico slovacco Miroslav Lajcak, ha liquidato come ''prive di serieta''' le residue contestazioni dell'opposizione unionista sul risultato del referendum che domenica ha suggellato l'indipendenza del piccolo Paese adriatico e la sua separazione dalla Serbia. In dichiarazioni riportate oggi dall'agenzia belgradese Vip, Lajcak si e' mostrato irritato per le ultime schermaglie degli unionisti. ''Tutte le storie su una falsificazione del voto sono totalmente prive di serieta''', ha tagliato corto, riconoscendo all'opposizione il diritto di presentare reclami, ma ''non quello di esprimere verdetti che spettano alla Commissione elettorale repubblicana e alla Corte costiuzionale''. Il leader del fronte del no all'indipendenza, il socialista Predrag Bulazovic, ha replicato all'emissario dell'Ue invitandolo a ''non far pressione sul nostro schieramento e a non chiederci di rinunciare ai diritti che legge ci da'''. L'ultima richiesta dell'opposizione riguarda le schede di circa 5000 elettori montenegrini che non avrebbero avuto il diritto di votare in quanto residenti di fatto in Serbia. Una contestazione bollata peraltro come fasulla dal vittorioso fronte del si' guidato dal premier locale Milo Djukanovic. In base ai dati completi dello scrutinio, resi noti due giorni fa dalla Commissione elettorale, il si' all'indipendenza ha ottenuto il 55,5% dei voti, mezzo punto in piu' della maggioranza qualificata richiesta per la secessione e 11 punti in piu' rispetto al no. Prima della ufficializzazione finale di questo risultato, la Commissione ha fissato tre giorni di tempo per l'esame degli ultimi reclami: termine che scadra' domani, senza che sia emersa alcuna concreta possibilita' di una revisione dell'esito elettorale. (ANSA). LR
25/05/2006 12:46

MONTENEGRO:REFERENDUM, FORMALIZZATO RICORSO FINALE UNIONISTI

(ANSA) - PODGORICA, 25 MAG - L'opposizione unionista ha formalizzato oggi pomeriggio la sua ultima chance di ricorso contro i risultati del referendum che domenica scorsa ha sancito la vittoria dei si' all'indipendenza del Montenegro e alla dissoluzione dello Stato unitario con la Serbia, estremo retaggio della vecchia Jugoslavia. Il reclamo, ha riferito in una conferenza stampa a Podgorica il numero due del fronte del no, Predrag Popovic comprende 241 obiezioni sul conteggio, relativi a 187 seggi (su un totale di 1.120). I voti contestati, in totale, sono quasi 120.000 e si aggiungono a quelli di circa 5000 montenegrini residenti in Serbia che secondo gli oppositori non avrebbero dovuto essere ammessi alle urne. Secondo la procedura, il ricorso verra' esaminato domani dalle commissioni elettorali - locali e repubblicane - e ricevera' una prima risposta entro sabato. Poi gli oppositori potranno fare ulteriore appello alla Corte suprema e a quella costituzionale, ma negano di volerlo fare. I vari passaggi dovrebbero richiedere in ogni caso al massimo un paio di settimane. Poi i risultati - se, come tutto lascia credere, verranno confermati - passeranno al parlamento per la presa d'atto e la proclamazione ufficiale d'indipendenza. Secondo i dati della Commissione elettorale repubblicana, resi noti due giorni fa, i si' alla secessione dalla Serbia sono stati pari al 55,5% dei votanti, mezzo punto in piu' della maggioranza qualificata necessaria e 11 punti in piu' rispetto ai no. Un esito sostanzialmente accolto dalla comunita' internazionale, ma che il governo della Serbia ha detto di voler riconoscere solo dopo la pubblicazione definitiva. Sui vari ricorsi presentati o ventilati dall'opposizione si e' intanto gia' pronunciato il mediatore e garante dell'Ue per il referendum montenegrino, Miroslav Lajcak, che ha liquidato come ''totalmente privi di serieta''' i sospetti su un presunto rovesciamento del risultato.(ANSA). COR-LR
25/05/2006 19:01

MONTENEGRO: REFERENDUM, PRIMI RICORSI GIA' BOCCIATI

(ANSA) - PODGORICA, 26 MAG - Sono stati gia' bocciati i primi ricorsi dell'opposizione unionista contro l'esito del referendum svoltosi domenica nella piccola repubblica ex jugoslava del Montenegro che ha segnato la vittoria dei si' all'indipendenza e alla dissoluzione dello Stato unitario con la Serbia. Lo scrive il giornale 'Vijesti', annunciando anche un'imminente visita rasserenatrice a Podgorica (forse domani) del presidente serbo Boris Tadic, uno dei leader di Belgrado piu' pronti a esprimere disponibilita' a un rapido riconoscimento dell'indipendenza montenegrina, sulla scia della comunita' internazionale. Dopo l'annuncio dei dati completi dello scrutinio, che hanno attribuito al si' un 55,5% di consensi (mezzo punto in piu' della maggioranza concordata con i mediatori dell'Ue per dare il via libera alla secessione e 11 punti in piu' rispetto al no), le procedure verso la pubblicazione ufficiale del risultato prevedono in questi giorni l'esame dei reclami. L'opposizione ne ha sottoposti diverse decine su presunte irregolarita' denunciate in 187 seggi (su 1.120). Reclami che in parte sono stati gia' respinti dalla commissione elettorale repubblicana - presieduta da un garante straniero, il diplomatico slovacco indicato dall'Ue Frantisek Lipka -, secondo quanto riferisce oggi Vijesti, aggiungendo che sul tavolo resta a questo punto un centinaio di obiezioni presentate all'ultimo momento e ancora da vagliare: un compito che potrebbe richiedere qualche giorno in piu' del previsto e concludersi all'inizio della prossima settimana, salvo che gli unionisti non decidano di fare appello ulteriore alla Corte suprema e quella costituzionale, organi nei quali hanno peraltro gia' detto di non nutrire fiducia. L'intera schermaglia appare ormai una vicenda pro-forma. Il capo negoziatore dell'Ue per la questione montenegrina, Miroslav Lajcak, ha gia' affermato di ritenere ''totalmente prive di serieta''' le contestazioni, mentre la stampa locale da' per probabile le dimissioni dello stesso leader dell'opposizione unionista, il socialista Predrag Bulatovic, non appena il risultato sara' definitivamente pubblicato. Ad allentare le residue tensioni potrebbe contribuire la preannunciata visita a Podgorica del presidente serbo Tadic. Anche se il premier montenegrino, Milo Djukanovic, capofila dello schieramento indipendentista, accusa proprio il primo ministro di Belgrado, Vojislav Kostunica, d'aver ispirato i velleitari ricorsi dell'opposizione di Podgorica. Mentre dalla Serbia non mancano gli strepiti di chi, come il tribuno dell'opposizione ultranazionalista Tomislav Nikolic, arriva a bollare il referendum tenutosi in Montenegro come ''un furto realizzato con la complicita' dell'Unione Europea''. (ANSA). COR*LR
26/05/2006 12:51

MONTENEGRO: REFERENDUM; STOP A RICORSI, 200 RESPINTI / ANSA

(ANSA) - BELGRADO, 29 MAG - La commissione elettorale repubblicana del Montenegro, presieduta dal rappresentante slovacco dell'Ue, Frantisek Lipka, ha formalizzato il rigetto di tutti i ricorsi avanzati contro il referendum che domenica 21 ha sancito la scelta dell'indipendenza p

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http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/5750/1/51/

I desaparecidos serbi di Sarajevo

30.05.2006 - Da Sarajevo, scrive Massimo Moratti
Il governo bosniaco accoglie la richiesta di istituire una
Commissione d’inchiesta sui crimini commessi a danno di civili serbi
durante l’assedio. Ricerca della verità e manovre politiche a pochi
mesi dalle elezioni


Giovedì sera, con un sorprendente voltafaccia, il presidente del
Consiglio dei Ministri della Bosnia ed Erzegovina ha accolto la
richiesta da parte dei delegati serbi alla Camera dei rappresentanti,
e ha deciso la formazione di una commissione di investigazione che
faccia luce sulle sofferenze dei cittadini di Sarajevo durante il
conflitto, e in particolare sul destino dei serbi della città che,
secondo quanto sostenuto da più parti in Republika Srspka, sono stati
fatti oggetto di violenze, assassini e sparizioni forzate durante il
conflitto.

La Bosnia comincia ad affrontare il suo passato

La questione non è nuova e l’Osservatorio sui Balcani l’aveva già
trattata un anno fa (vedi “I buchi neri di Sarajevo”). Capita però in
un momento in cui la Bosnia sta lentamente riconsiderando gli
avvenimenti del suo passato e aprendo gli scheletri nei suoi armadi.
Quasi non passa settimana infatti senza che persone indiziate per
crimini guerra vengano arrestate dalle forze di polizia locali o
dalla SIPA, l’agenzia statale per la protezione e l’investigazione.
L’omertà e la protezione che circondavano le persone indiziate per
crimini di guerra stanno velocemente cedendo il passo alla necessità
di portare a giudizio i criminali di guerra, e alla convinzione che
non vi siano scusanti per tali crimini. La War Crimes Chamber di
Sarajevo ha iniziato a emettere le prime sentenze per crimini
commessi a Foca, Samardzic, e a Rogatica, Paunovic: 13 e 20 anni
rispettivamente per l’omicidio e le torture di uomini e donne durante
il conflitto.

Si comincia ad investigare e parlare con maggior libertà di tali
episodi. E Sarajevo dovrebbe essere la prossima città sottoposta ad
una commissione di investigazione come lo fu Srebrenica due anni fa.
Le premesse sono le stesse. 3 anni fa la Human Rights Chamber della
Bosnia ed Erzegovina emise una decisione di importanza fondamentale
su Srebrenica. Nel 2003 infatti, la Chamber accolse il ricorso delle
famiglie degli scomparsi di Srebrenica e ordinò alle autorità della
Republika Srpska (RS) di investigare a fondo le circostanze relative
alla caduta dell’enclave. Dopo mesi di insistenze e l’intervento
decisivo dell’Alto Rappresentante, la Republika Srpska pubblicò il
rapporto su Srebrenica che portò alle scuse ufficiali del Presidente
della RS Cavic nei confronti delle vittime ed è la prima ammissione
ufficiale da parte delle autorità della RS dei crimini di Srebrenica.
Allo stesso tempo, però, anche le famiglie degli scomparsi serbi di
Sarajevo (e di molte altre città bosniache) si rivolsero agli organi
giudiziari, come la Corte Costituzionale e la Commissione per i
Diritti Umani (che nel frattempo aveva sostituito la Chamber)
cercando una risposta alle loro richieste di verità. E puntualmente
sia la Commissione che la Corte risposero dando ragione alle
richieste dei familiari e ordinando delle investigazioni dettagliate
sulla scomparsa di queste persone.

Le richieste dei Serbi di Sarajevo

In particolare i serbi di Sarajevo, quelli che si sono rifugiati
nella RS, da circa un anno chiedono che venga istituita una
commissione per investigare sui crimini commessi nella capitale
contro i serbi durante l’assedio. Alcuni di questi episodi sono già
stati investigati dalle autorità giudiziarie del cantone di Sarajevo,
come gli omicidi di Kazani e l’operato del famigerato Caco, anche se
le autorità di Sarajevo hanno avuto la mano relativamente leggera nel
comminare condanne. Ma vi sono altri episodi oscuri a Sarajevo che
devono essere investigati, come appunto è stato sottolineato nelle
decisioni della Commissione per i Diritti Umani e dalla Corte
Costituzionale. Cittadini serbi rapiti dalle proprie case dalle
formazioni paramilitari di Juka Prazina e Caco e mai più rivisti:
sono questi i tipici casi dei desaparecidos “serbi” di Sarajevo che
sono finiti di fronte agli organi giudiziari.

Nonostante le decisioni della Commissione per i Diritti Umani e della
Corte Costituzionale siano vincolanti per tutte le autorità
bosniache, tali decisioni non sono state implementate e spesso le
famiglie degli scomparsi vengono informate, in modo piuttosto
sommario, che non è stato possibile rintracciare i loro familiari.
Tali risposte creano risentimento da parte serba nei confronti della
comunità internazionale che non reagisce alla mancata implementazione
di queste decisioni, mentre per Srebrenica prima e per il caso di
Avdo Palic, l’Alto Rappresentante aveva ordinato la formazione di
commissione di inchiesta speciali.

La parola ai politici...

Da alcuni mesi, quindi, i rappresentanti serbi alle istituzioni
comuni hanno avanzato le proprie richieste in modo sempre più deciso
e hanno iniziato a chiedere la creazione di una Commissione speciale
per investigare Sarajevo. In tal senso, vi è anche una conclusione
del Parlamento della Bosnia ed Erzegovina, emanata più di due anni fa.

La patata bollente è stata colta al balzo da Milorad Dodik, premier
della RS, e da Nikola Spiric, presidente della Camera dei
rappresentanti della Bosnia ed Erzegovina. Dodik e Spiric, leader dei
Social Democratici Indipedenti in RS, hanno deciso di far proprie le
istanze dei serbi di Sarajevo e sostenerli nella loro richiesta di
investigazione. L’occasione, purtroppo, si presta molto bene ad
essere sfruttata politicamente: con la campagna elettorale che
avanza, Dodik teme di perder voti a destra e quindi si rivolge alle
famiglie degli scomparsi e alle loro associazioni, tradizionali
sostenitori del partito democratico serbo (SDS), che appare
indebolito. La possibilità poi di avere una commissione per Sarajevo
permette di mettere Sarajevo sullo stesso piano di Srebrenica, e
quindi di far vedere che crimini sono stati commessi da entrambe le
parti.

Ma la questione di Sarajevo è anche servita a ricompattare i
parlamentari serbi negli organi comuni. Quando, la settimana scorsa,
Adnan Terzic aveva detto di no alla creazione di una Commissione per
investigare i crimini di Sarajevo, proponendo invece una Commissione
a livello nazionale che investigasse le sofferenze di tutti i
cittadini della Bosnia ed Erzegovina, i parlamentari serbi erano
insorti e si erano ritirati dalle istituzioni comuni, fino al punto
di richiedere la rimozione di Terzic stesso. I membri serbi del
Consiglio dei Ministri avevano fatto lo stesso e le istituzioni
comuni si erano trovate improvvisamente paralizzate.

Sono dunque bastati pochi giorni a Terzic per cambiare idea e
rimangiarsi la parola. La commissione per Sarajevo sarà composta da
10 membri, (3 per ogni popolo costituente e 1 per gli altri) e sarà
sostenuta e supportata dal Ministero per i Diritti Umani. Tale
commissione dovrebbe essere il preludio per altre future commissioni
create per investigare casi simili avvenuti nelle varie città della
Bosnia ed Erzegovina.

Se da un lato questo sembra essere un processo salutare, quello di
affrontare il passato, il procedere per commissioni durante la
campagna elettorale sembra presentare il rischio di manipolazioni
politiche e dell’utilizzo a scopi politici delle scoperte di tali
commissioni, cosa che potrebbe ridurre la legittimità di questi
organismi e far loro perder l’indipendenza.