Informazione

"A BAS LE MUR!, VIVE LE MUR!"

"A bas le Mur!" criait Washington pendant des années, contre le Mur de
Berlin.

"Vive le Mur!" crie Washington aujourd'hui pour soutenir les crimes de
Sharon.

"Vive le Mur!" crie Washington depuis cinquante ans pour interdire la
réunification de la Corée.

"Vive le Mur!" crie Washington en se barricadant pour empêcher des
Mexicains pauvres de venir récupérer un tout petit peu de ce que les
multinationales US leur ont pris.

La morale de cette histoire ? C'est qu'ils n'en ont pas. Kissinger (un
connaisseur) disait : "Les grandes puissances n'ont pas de principes.
Seulement des intérêts."

Michel Collon

IRAQ = JUGOSLAVIJA / 9


Anno: 2004

FALLUJA COME ORADOUR, LIDICE, KRAGUJEVAC, MARZABOTTO, GHETTO DI VARSAVIA


Roma, aprile - Mentre il mondo commemora un genocidio di dieci anni fa,
quello del Ruanda, si assiste a un altro massacro a cui non si reagisce
con lo sdegno dovuto.

Evidentemente e' piu' facile istituire Giorni della memoria e dedicare
un minuto di silenzio in memoria delle vittime a distanza di tanti
anni, che non intervenire per far cessare un crimine che si svolge in
diretta, per di piu' commesso dal Paese piu' potente del pianeta con
cui molti governanti del mondo si dichiarano solidali.

Ma d'altronde, quando la barbarie imperversava per l'Europa, la sorte
del Ghetto di Varsavia, i settemila studenti e insegnanti sterminati a
Kragujevac (Jugoslavia), il massacro di Lidice (Cecoslovacchia), per
punire la citta' che ha reso il mondo un posto migliore eliminando un
tal Heydrich, l'esecuzione in una chiesa di Oradour sur Glane (Francia)
di 250 tra studenti e insegnanti, oppure la carneficina di Marzabotto,
avevano forse suscitato immediatamente rifiuto e sdegno per quello che
era stato commesso?

Certo che no.

Scandalizzarsi, rivoltarsi, solidarizzare, denunciare e commemorare
quanto e' accaduto, e' molto piu' comodo quando il responsabile del
crimine non e' piu' in grado di nuocere.

Per questa ragione i crimini continuano ad essere commessi e anche in
un'epoca in cui l'informazione permette di avere un quadro immediato di
quello che sta succedendo anche dall'altra parte del mondo, si
preferisce esporsi il meno possibile.

Quello che sta accadendo da alcuni giorni a Falluja per mano delle
forze americane, non e' un'operazione militare, anche se si vuole
presentarla come tale, ma e' un'operazione terroristica.

Quando si prende in ostaggio una citta' di oltre centocinquantamila
abitanti, le si tagliano acqua e luce e si va all'attacco con tutti i
mezzi militari disponibili, senza rispetto nemmeno per i luoghi di
culto, per piegare alla propria volonta' una comunita', si commette un
atto terroristico.

Nel caso di Falluja possiamo parlare di rappresaglia terroristica,
proprio come nel caso di quelle localita' europee appena ricordate,
dove bisognava infliggere una lezione alla popolazione, dopo che quella
aveva manifestato ostilita', perche' non osasse piu' opporsi ai disegni
del conquistatore.

Che cosa puo' interessare al bambino iracheno assassinato da una
pallottola di un marine o da un razzo lanciato da un Apache, se la
coalizione ha portato la liberta' e la democrazia sulle rive del Tigri
e dell'Eufrate: a lui ha saputo regalare solo la morte.

E che nessuno osi parlare di operazione di pace: non si va in un altro
Paese armati a imporre una volonta' che non e' mai stata legittimata
ne' dalla comunita' internazionale, ne' dal popolo occupato. Come
nessuno ha il diritto di nascondersi dietro la scusa che terroristi e
assassini usano donne e bambini per ripararsi dietro e sparare sui
bravi militari giunti in Iraq per creare un futuro migliore agli
iracheni. Il militare, anche se deve rispettare gli ordini, ha una
propria coscienza e deve sapere che quello non e' il suo Paese e se
rischia di scalfire anche un solo civile, ha il dovere di non farlo.

Nel secondo dopoguerra si e' voluto spesso ricordare quei soldati
tedeschi i quali, a rischio della propria vita, hanno detto no, quando
si trattava di commettere dei crimini. Di recente diversi ufficiali
israeliani hanno avuto il coraggio e la rettitudine morale, rifiutando
di partecipare alle campagne criminali contro il popolo palestinese.
Gli esempi quindi non mancano.

E' una straordinaria coincidenza che esattamente a un anno dalla caduta
di Saddam Hussein, la coalizione della prepotenza si trovi a
fronteggiare una popolazione irachena decisamente insoddisfatta, per
non usare un altro termine. Una popolazione che sta superando le
divisioni religiose, vista la colonna di aiuti inviata alla gente di
Falluja dalle moschee sciite e sunnite di Baghdad. Si fa presto a dire
che coloro che si sono rivoltati a Baghdad, a Mosul, a Bassora, a Kut,
a Najaf, a Falluja, a Ramadi, a Karbala, a Tikrit, a Samarra, a Kirkuk,
a Kufa, sono una minoranza di assassini e terroristi con i quali non ci
sara' mai nessuna trattativa. Se questa posizione dell'amministrazione
americana non dovesse cambiare: gli Stati Uniti sono gia' a un nuovo
Vietnam.

Alla rabbia dei sunniti, che hanno visto tramontare il loro potere,
alla paura dei cristiani, che hanno visto crescere e rendersi
aggressiva la militanza islamica, all'ansia dei turcomanni, che vivono
nel terrore di diventare sudditi di un'amministrazione curda, si e'
aggiunta la determinazione degli sciiti di scegliere da soli il futuro
e non accettare intromissioni americane. Non ci vuole nulla, perche' il
diffuso malcontento si sommi.

Moqtada al Sadr sicuramente non rappresenta la maggioranza degli sciiti
iracheni, ma il grande ayatollah Ali al Sistani si. Quest'ultimo ha
chiesto a piu' riprese elezioni generali il piu' velocemente possibile
e l'amministrazione del Paese da affidare, nel frattempo, alle Nazioni
unite.
Certamente l'esito del voto gli Usa non lo potranno influenzare e
tantomeno esigere garanzie per il futuro, ne' per se stessi, ne' per
gli "amici". Che gli Stati Uniti facciano fatica ad accettare questo,
dopo il prezzo pagato per l'invasione del Paese e senza la certezza che
l'Iraq possa diventare una base per Washington e un partner per Tel
Aviv, particolare assai importante, e' piu' che comprensibile.

Ma sarebbe proprio compito degli alleati degli Stati Uniti, europei in
testa, a far comprendere alla Casa Bianca che il danno e' stato fatto:
il calcolo si e' rivelato sbagliato, come l'intelligence sulle armi di
distruzione di massa o la presenza di al Qaeda, il livello di ostilita'
dell'opinione pubblica irachena ha raggiunto livelli di guardia, un
autentico cortile del terrore e' emerso in Medio Oriente in quel Paese
che sarebbe stato liberato, destabilizzando ulteriormente la regione, e
che per la salvaguardia della stabilita' internazionale, la sovranita'
va restituita subito agli iracheni.

La redazione di Arabmonitor

http://www.arabmonitor.info

From: Alberto Tarozzi
Subject: kragujevac dalla guerra al dopoguerra

dall'archivio di zivkica nedanovska, sulla trasformazione di kragujevac
da citta (e fabbrica) superbombardata a progetto di megacentro di
trattamento dei rifiuti.

alberto.


1.FONTE: Eko-forum Belgrado

2.TITOLO: Kragujevac non vuole i rifiuti pericolosi

3.AUTORE: “Blic” Belgrado / N.Radisic

4.SITO INTERNET: http://www.ekoforum.org.yu/

5.NUMERO DI PAGINE:1

6.DATA:10.03.2004.

L’ordine del Governo, in carica fino a poco tempo fa, al Ministero per
la protezione dell’ambiente, che si faccia il primo passo verso la
costruzione del Centro della Repubblica per il trattamento dei rifiuti
pericolosi (chimici) a Kragujevac, ha suscitato le reazioni fortissime
della regione serba di Sumadija. Infatti, nonostante il fatto che la
Camera regionale dell’economia e cinque reparti della fabbrica
”Zastava” abbiano rifiutato, l’ultimo giorno di gennaio, una proposta
del genere, dal Governo due giorni fa è arrivato il decreto che vuole
che “si cominci l’elaborazione di uno studio di fattibilità per la
costruzione di questi impianti”.
Come e' scritto in questo documento, si prevede che il Centro - per il
trattamento dei rifiuti chimici nonchè dei rifiuti sanitari-infettivi -
sia costruito a Kragujevac, nei reparti  della “Zastava”
“Zastava-Vozila” e “Zastava-Oruzje”, e anche sul terreno usato
dall’Esercito della SerbiaMontenegro a Divosten, vicino a Kragujevac.
Il Centro dovrebbe essere composto da tre parti: la prima parte sarebbe
per il trattamento fisico-chimico, la seconda per il trattamento
termico e la terza per il deposito, esteso su una superficie di 50
ettari.
Nell’atto ufficiale del Governo serbo, che ha firmato fra gli altri
anche l’ex-ministra per l'ambiente A. Mihajlov, si cita “che la
Municipalità di Kragujevac ha approvato l’elaborazione di uno studio di
fattibilità, mentre un quarto della Vojvodina ha rifiutato non solo la
stessa elaborazione, ma anche la costruzione del Centro per il
trattamento dei rifiuti pericolosi sul territorio della Vojvodina.”
Nella costruzione del Centro sarebbero investiti circa 100 milioni di
euro, ed il reddito annuale raggiungerebbe la somma di 10 milioni di
euro. I funzionari del Comune, nonchè della fabbrica”Zastava”,
affermano di non essere stati affatto consultati in proposito, e di
essere assolutamente contrari a un’idea del genere, prima di tutto
perchè gli stessi cittadini non  vorrebbero la costruzione del Centro.
La ditta francese di consulenza, “Sofreco”, ha partecipato alla scelta
della località per il Centro per i rifiuti pericolosi. Fra le dieci
città, ne sono state scelte due, Novi Sad e Kragujevac. Dopo la
reazione fortissima dalla Vojvodina, “nel gioco” è rimasta solo la
città di Kragujevac, che dovrebbe avere l'onere di lavorare i rifiuti
provenienti da tutta la Serbia. Secondo i dati ufficiali, in Serbia si
producono 350.000 tonnellate di rifiuti pericolosi e 9.630 tonnellate
di rifiuti sanitari. Nell’arco degli ultimi dieci anni, in Serbia sono
state depositate 300 tonnellate di rifiuti sanitari, anche se si valuta
che le quantità vere siano dieci volte maggiori. La distruzione di una
sola tonnellata di rifiuti sanitari all’estero costa tra i 1.200 ed i
2.000 euro.


[revisione del testo a cura di AM]

http://www.thespoof.com/news/spoof.cfm?headline=s2i2951#this

THE SPOOF
"The Spoof is the leading satire newspaper on the internet providing an
irreverent and satirical slant to the current big news stories."


Multicultural Kosovo: US Police Officers Killed by UN Forces


Written by alex palamedes

KOSOVSKA MITROVICA: Three UN police officers - two American women and a
Jordanian - were killed in northern Kosovo and 11 others were injured
after a quarrel between Anglo-Saxon and Arab UN officers about US
policy in the middle east led to an exchange of gunfire.

Last month the province displayed its multicultural fuctioning as
ethnic majority Albanian muslims lit candles in over 30 Serb Orthodox
churches to mark the Serb rescue of a drowning Albanian child, despite
the then UN police spokesman Derek Chappell's insistence that Serbs
were not involved in the incident.

"Seven victims of the shooting, (all of them) UN police, arrived at the
hospital, six of them were seriously injured," Milan Ivanovic, the
deputy director of the hospital in Serb north of the ethnically-divided
town said.

"An American woman died immediately from her wounds, four others are in
the operation room," he told reporters. "The injured were hit in the
chest or the abdomen, four of them are women and two are men, one an
Australian national."

"Maybe this began spontaneously but, after the beginning, certain
extremist groups had an opportunity to orchestrate," said Harri
Holkeri, the UN representative who is the chief administrator of
Kosovo. Using his now customary breathless rhetoric, he said that a
multi-ethnic police force, like society in general, could function even
when its members held divergent
cultural, political and religious views. The only exception he knew of
was wealthy Cyprus, where ethnic Turks and Greeks had too much in
common for the international community to permit them to live in a
fully unified state.

"This attack was organised," a U.S. policeman guarding the wounded at
Mitrovica hospital told Reuters. "I'm sorry that none of the services
was able to prevent it..." he added, without elaborating on who might
have organised an attack, or why.

"Everything started when the Middle Eastern guys told the American
police officers that the US has occupied Iraq like every other country.
The Americans were pissed off by these accusations," reported an
Anglo-Saxon policeman. "Suddenly one Jordanian started shooting." He
expressed bewilderment at the Jordanians' hostility in the light of
recent progress towards peace in the middle east made by President Bush
and Israel's Sharon.

The Serbian news agency Beta quoted anonymous sources saying that four
Jordanian nationals working as UN police officers had been arrested
after the incident and were being questioned at UN police heaquarters
south of Kosovska Mitrovica.

Last month a UN police officer was killed in a shoot-out with unknown
assailants speaking Serbian with an Albanian accent. The number of UN
policemen killed by Albanian assailants has fuelled concerns from the
international community about a backlash by Albanians determined to
press
their demand for independence from NATO five years after NATO drove
Serb forces from the province. After the murders of thousands of
remaining Serbs, antifascist Albanians and other minority groups,
Belgrade, home to 100,000 ethnic Albanians, is now pushing for autonomy
or partition. Its requests, however, have been rebutted by the UN, the
EU, and the USA, as they have been since 1996 when first proposed by
the Milosevic regime.

Lieutenant-Colonel Jim Moran, a spokesman for the peacekeeping force
KFOR, again declared: "I don't think we will have any more problems."
One Albanian translator working for KFOR echoed his remarks claiming,
"I just want to kill all Serbs and their families."

Following President Bush's comments on Iraqi WMD, Lieutenant-Colonel
Moran added that he happenned to believe mass graves would still be
found in Kosovo. At that point, the wisdom of maintaining huge US
military bases in Kosovo and Bosnia would be made clear. In the past,
American intelligence agents like William Walker may have facilitated
the fabrication of reports of death camps, massacres, and the use of
Albanian children as blood banks for the Yugoslav Army, but the
European press and the American people should keep faith in the
principle of humanitarian intervention. Even radical leftist groups had
been fooled into claiming bombing Yugoslavia worsened rather than
precipated population flight from Kosovo. Recent events in Fallujah
demonstrated that people spontaneously flee bombs.

French intellectuals, marking a shift from their 1990s support of
American intervention in Yugoslavia, are now predicting the demise of
the American Empire. "It was all lies," said Pierre-Marie Gallois, a
retired general and close adviser to the de Gaulle regime. "In order to
build their empire, states had to be destroyed," Gallois adds, which
explains why the United States was set on undermining the Soviet Union
and Yugoslavia. France should rebuke the Germans and the Americans, and
join with "our traditional allies," Russia and Serbia.

The White House will issue a statement later today. The President, a
spokesman said, has not been woken. The Jordanian stock market is
expected to fall dramatically when it re-opens on Monday.