Informazione

(english / italiano / po slovensko)

Slovenia: tra NATO ed UE

(NOTA: la Slovenia, che e' stata inglobata nella NATO da poche
settimane, sara' annessa alla UE il primo maggio...)


1. NATO:
* Sistem KOLEKTIVNE NEVARNOSTI !!!
(http://komunist.free.fr/)
* Altri link

2. IZBRISANI / CANCELLATI:
* Izjava KP Slovenije povodom referenduma o "izbrisanima"
(http://komunist.free.fr/)
* Selezioni dispacci ANSA sul REFERENDUM e sulle sue conseguenze in
politica interna
* Franco Juri, ex sottosegretario agli esteri in Slovenia, fornisce un
chiaro quadro della situazione dei “cancellati”. E denuncia, all’alba
dell’entrata nell’UE della Slovenia, il silenzio delle istituzioni
europee
(Osservatorio Balcani, 20/04/2004)
* Altri link

3. EKONOMSKI GENOCID / SITUAZIONE SOCIALE:
* KPS podpira stavkajoče delavce!
(http://komunist.free.fr/)
* Altri link


=== LINK IMPORTANTI ===


Dal nostro archivio:

CACCIA ITALIANI SORVOLANO LA SLOVENIA
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3450

Tutti nella NATO !
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3371

Slovenia nella NATO / Varni v NATU:
una vignetta degli amici sloveni di "Mladina"
https://www.cnj.it/immagini/VarnivNATU.pdf

"Izbrisani", "erased", cancellati
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3365

Le micidiali conseguenze della secessione dalla Jugoslavia per
l'economia della piccola repubblica
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3204

Le micidiali conseguenze della liberalizzazione dell'economia:
Delocalizzazione ad est: la manodopera slovena è troppo cara
http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.notizia&NewsID=2722


Altri link:

Workers Strike at Comet Factory (by Luka Pregelj)
http://www.marxist.com/Europe/slovenia_strike.html

NATO Secretary General at the Slovenian Parliament: Welcome to the NATO
family
http://www.nato.int/docu/speech/2004/s040423a.htm

Slovenes poised to reject citizenship for the 'erased'
(by Vesna Peric Zimonjic)
http://news.independent.co.uk/low_res/
story.jsp?story=508499&host=3&dir=73

Slovenia accused of cynical move to deny rights to minorities (by Vesna
Peric Zimonjic)
http://news.independent.co.uk/low_res/
story.jsp?story=507464&host=3&dir=73

Komunisticna Partija Slovenije
http://users.volja.net/mrmilan/kps.htm


=== 1 : NATO ===


http://komunist.free.fr/

Arhiva : : Februar 2004.


NATO sistem KOLEKTIVNE NEVARNOSTI !!!

24.2.2004

Parlamentarni IZDAJALCI so z NEZAKONITO ratifikacijo severno
atlantskega sporazuma zagrešili akt VELEIZDAJE !!!

Na referendumu so za NATO glasovali strahopetci, zmanipulirani in
prestrašeni volivci!

Slovenski vojaki naj bodo branilci domovine ne pa janičarji tujim
imperialistom! Profesionalna vojska ni narodna vojska, motiv
profesionalnih vojakov je denar in adrenalinski avanturizem ne pa
obramba naroda.

Iz izjave generalnega sekretarja KPS Dr. Mareka Lenardiča:

Glede NATA morajo balkanski narodi misliti predvsem nase,to pa pomeni,
da ni dopustno nobeno članstvo, ki pomeni kakršnokoli obliko
sodelovanja, ki bi bilo drugačno od tistega iz časa SFRJ. Protizakonito
je prizadevanje grupe haških preiskovancev iz Slovenije, da bi se
približali NATU v zameno za preprečenje obtožb v Haagu. Slovenija je že
članica Partnerstva za mir in redno članstvo ne bi bilo niti v skladu s
slovensko Ustavo niti s konferenco o Jugoslaviji-SFRJ kakor tudi ne z
AVNOJ-em in drugimi mednarodnimi konferencami.

Rudolf

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Altri link:

CACCIA ITALIANI SORVOLANO LA SLOVENIA
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3450

Tutti nella NATO !
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3371

Slovenia nella NATO / Varni v NATU:
una vignetta degli amici sloveni di "Mladina"
https://www.cnj.it/immagini/VarnivNATU.pdf

NATO Secretary General at the Slovenian Parliament: Welcome to the NATO
family
http://www.nato.int/docu/speech/2004/s040423a.htm


=== 2 : IZBRISANI / CANCELLATI ===


http://komunist.free.fr/arhiva/apr2004/kps.html

Izjava v obrambo izbrisanih

Izjava KP Slovenije povodom referenduma o "izbrisanima".


Komunistična partija Slovenije je zgrožena in zaskrbljena nad stanjem
preganjanih in izbrisanih ter izraža tudi najodločnejši protest oz.
obsoja strukture desnih sil zaradi izvajanja politike izbrisanih in da
pri tem ne pomislijo na žrtve, nedolžne, oškodovane in druge brate in
sestre na Slovenskem.

27.03.2004.

KOMUNISTIČNA PARTIJA SLOVENIJE
CENTRALNI KOMITE

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SLOVENIA: REFERENDUM, 90 % CONTRO RIAMMISSIONE CANCELLATI

(ANSA) - LUBIANA, 4 APR - Secondo i primi risultati parziali il 90
per cento degli elettori sloveni si e' pronunciato contro la legge di
riammissione alla cittadinanza slovena dei ''cancellati'', quei
cittadini non sloveni che, nel 1991, dopo la proclamazione
dell'indipendenza non chiesero la cittadinanza perdendo ogni diritto
costituzionale. L'affluenza alle urne e' stata del 30 per cento
circa , ma non inficia il risultato perche' la legge slovena non
prevede il quorum. Il capo della commissione elettorale Marko Golobik
ha dichiarato che ''in base al 15 per cento delle schede scrutinate
il 90 per cento degli elettori ha votato contro la riammissione dei
cancellati''. Il quesito riguarda 4200 dei 18.000 che dal 1992 vivono
in Slovenia senza senza alcuno status legale. Il referendum e'
stato voluto dall'opposizione di centrodestra capeggiata da Janez
Jansa dopo una legge del parlamento e una pronuncia favorevole della
Corte Costituzionale. La maggioranza di centrosinistra ha chiesto
alla cittadinanza di non andare a votare ''perche' - ha detto il
governo- non si puo' sottoporre al voto una norma sui diritti
umani''. Non si sono recati alle urne il presidente della
Repubblica Janez Drnovsek, il primo ministro Anton Rop e neppure l'ex
capo dello stato Milan Kucan che giorni fa ha dichiarato che ''la
Corte costituzionale ha sempre ragione, anche se i cittadini non sono
d'accordo''. Commentando i primi risultati Jansa, leader del
partito social-liberale, di centrodestra, ha chiesto le dimissioni
del ministro dell' interno Rade Bohinc. (ANSA) VD
04/04/2004 20:52

SLOVENIA: CANCELLATI, ESCONO DAL GOVERNO TRE MINISTRI SLS

(ANSA) - LUBIANA, 7 APR - Tre ministri del Partito popolare (Sls)
hanno formalizzato oggi l'uscita dal governo di centrosinistra guidato
dal primo ministro Anton Rop per protesta contro gli alleati della
maggioranza che hanno deciso di concedere la cittadinanza ai
''cancellati'', i non sloveni che dal 1992 non hanno uno status
legale. Lo hanno reso noto fonti locali Si tratta del ministro
della giustizia Ivan Bizjak, dell'agricoltura Franci But e dei
trasporti Jakob Presecnik che oggi hanno presentato la lettera di
dimissioni a Rop ufficializzando la decisione presa giorni fa dal
leader del Sls Janez Podbnik. Il primo ministro decidera' la loro
sostituzione entro nei prossimi giorni. L'uscita del Sls e' stata
provocata dalla decisione del governo di restituire ai cancellati i
diritti civili in base anche alla sentenza favorevole della Corte
Costituzionale. Nel referendum sui cancellati, voluto dai partiti
d'opposizione, che si e' tenuto domenica, ha vinto il centrodestra
con oltre il 90 percento di voti contrari. Nonostante l'esito del
referendum il ministero degli interni, in mancanza di una
legislazione piu' precisa, continuera' a distribuire i certificati di
cittadinanza considerando inappellabile la sentenza della Corte
Costituzionale. (ANSA) COR*VD 07/04/2004 18:00

SLOVENIA: VERSO DESTITUZIONE MINISTRO ESTERI RUPEL

(ANSA) - LUBIANA, 15 APR - Il premier sloveno Anton Rop decidera' la
settimana prossima se destituire il ministro degli esteri Dimitrij
Rupel, che si e' opposto alle nuove nomine ministeriali lanciando una
sfida al primo ministro, a due settimane dall'ingresso nell'Unione
Europea e a due mesi dalle elezioni europee. Lo scrive oggi la stampa
slovena.
Tra i cinque nuovi ministri che andranno a sostituire i posti lasciati
vuoti dal Partito popolare (Sls) che la settimana scorsa e' uscito
dalla coalizione di centrosinistra, c'e' anche Zdenka Cerar, attuale
procuratore generale, nominata da Rop al ministero della giustizia.
Rupel si e' fortemente opposto a questa nomina decisa dal suo partito,
i liberaldemocratici (Lds), poiche' l'anno scorso Cerar aveva
autorizzato un'inchiesta contro di lui per abuso d'ufficio e conflitto
d'interessi.
Il ministro e' stato poi prosciolto dal sospetto di aver illegalmente
favorito la fondazione dell' 'Accademia diplomatica di Portorose', dove
lui stesso avrebbe dovuto insegnare, a scapito di altri istituti.
Secondo il quotidiano di Lubiana 'Delo' a Rop non resta altro che
sostituire Rupel, se, davanti a due scadenze elettorali, vuole
rafforzare la sua credibilita', come ha fatto espellendo dal governo il
Partito popolare che si era opposto alla politica di reintegrazione dei
'cancellati', circa 18.000 persone originarie dalle repubbliche dell'ex
Jugoslavia, che al momento dell'indipendenza della Slovenia hanno perso
ogni status legale.
Il giornale 'Dnevnik' scrive che nel partito di Rop sono convinti che
Rupel gia' da sei mesi stia ''civettando'' con il centrodestra e
''lavorando sistematicamente contro il suo partito e a favore di Janez
Jansa'', leader del Partito democratico (Sds) e capo dell'opposizione.
La decisione di Rop non sara' facile, anche perche' Rupel gode di un
non trascurabile consenso tra gli elettori come uno dei fautori
all'indipendenza del paese nel 1991. La situazione sta creando nuove
divisioni interne e non e' da escludere una nuova crisi di governo.
(ANSA). COR-VD 15/04/2004 18:09

SLOVENIA: RIMPASTO GOVERNO, SOSTITUITI CINQUE MINISTRI

(ANSA) - LUBIANA, 20 APR - Il parlamento sloveno ha approvato oggi un
rimpasto del governo di centro sinistra votando la fiducia a cinque
nuovi ministri. Lo riferiscono i media sloveni. Milan Cvikl, agli
affari europei, e Matej Lahovnik, all'economia, sostituiscono i due
ministri che hanno lasciato il governo per nuovi incarichi presso la
Commissione europea, a dieci giorni dall'adesione della Slovenia
all'Ue. La nomina degli altri tre, Zdenka Cerar alla giustizia,
Marko Pavlih ai trasporti e Milan Pogacnik all'agricoltura, chiude
una crisi di governo apertasi due settimane quando il premier Anton
Rop ha escluso dalla coalizione il Partito popolare (Sls).
L'Sls si era opposto alla politica di reintegrazione dei
'cancellati', circa 18.000 persone originarie dalle repubbliche
dell'ex Jugoslavia, che al momento dell'indipendenza della Slovenia
hanno perso ogni status legale. I cinque neo ministri hanno
ottenuto la fiducia di 51 deputati, mentre 25, dei 71 presenti in
aula, hanno votato contro la loro nomina. Il governo di Rop,
composto dal Partito liberaldemocratico (Lds) e da altri due partiti
di centro sinistra, dispone di una maggioranza di 49 deputati su 90.
Le elezioni politiche si terranno il prossimo autunno, ma le
europee, in programma per giugno, saranno per la Slovenia un
importante test elettorale . (ANSA). COR-VD
20/04/2004 15:03

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http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.notizia&NewsID=3000

Slovenia: cancellati, vergognoso silenzio della Commissione europea

Franco Juri, ex sottosegretario agli esteri in Slovenia, fornisce un
chiaro quadro della situazione dei “cancellati”. E denuncia, all’alba
dell’entrata nell’UE della Slovenia, il silenzio delle istituzioni
europee.

(20/04/2004)

Di Franco Juri

In merito al caso dei "cancellati" ed al referendum xenofobo voluto dai
partiti della destra in Slovenia e' opportuno chiarire e completare l'
informazione da voi segnalata con quanto segue: Domenica 4 aprile
circa il 31% dell' elettorato sloveno ha aderito al referendum voluto
dai partiti della destra slovena per annullare la cosiddetta "legge
tecnica sui cancellati", proposta dal governo per risolvere
(parzialmente) l' annosa questione di quanti, nel 1992, persero, senza
preavviso alcuno, il diritto di residenza nella Repubblica di Slovenia.

Nel 1999 la Corte costituzionale aveva infatti giudicato la
"cancellazione" della residenza per 18 mila persone residenti in
Slovenia al momento della dichiarazione di indipendenza, avvenuto nel
‘92 ad opera del Ministero degli interni, come anticostituzionale e
illegale. Tale decisione fu ribadita ulteriormente nel 2003 quando la
stessa Corte costituzionale decretò l' obbligo del riconoscimento
retroattivo dei diritti alienati. Secondo i giudici costituzionali il
ministero degli interni avrebbe dovuto rimediare alla propria grave
violazione, compiuta nel 1992, emettendo immediatamente e senza iter
legali particolari delle delibere con cui i diritti venivano
riconosciuti con la dovuta retroattività.

I "cancellati" infatti nel 1992 persero ogni diritto che la legge
riconosce agli stranieri con residenza (non quello alla cittadinanza,
che non concerne la questione dei cancellati), quindi i diritti
sociali, quelli di lavoro, di assistenza sanitaria , mentre venne loro
imposto persino l' obbligo del visto turistico ogni tre mesi per poter
risiedere in casa propria. I 18 mila in questione erano cittadini
jugoslavi residenti in Slovenia che per diversissime circostanze non
regolarono il proprio status di cittadinanza (o non vollero farlo)
entro i 6 mesi contemplati dalla legge dopo l' indipendenza per chi non
era nato in Slovenia. Ciò li escluse dalla categoria di nuovi cittadini
il che e' comprensibile e su cui nessuno obietta . Ma altresì li
escluse - a loro insaputa e in flagrante violazione delle leggi - anche
dalla categoria di cittadini stranieri con residenza in Slovenia.

Non vennero ne espulsi , ne considerati "persona non grata" ... vennero
semplicemente "cancellati". Non esistevano più. Lo stato non aveva nei
loro confronti alcun dovere. La cancellazione era ovviamente avvenuta
solo a danno degli stranieri "jugoslavi" e non di altri. Le conseguenze
umane di questa cancellazione furono inaudite. Migliaia furono i casi
di disperazione; per fare un esempio: una "cancellata" ricoverata d'
urgenza per partorire, si vide negato il figlio neonato perché la sua
assicurazione sanitaria era stata cancellata con lei. Non avendo soldi
con cui pagare l' operazione-parto il bambino rimase in ospedale quale
"ostaggio". Di casi kafkiani ce ne furono moltissimi nel corso dei 10 e
più anni di esistenza precaria cui furono relegati i cancellati. A
parlarne nel 1994 fu solo il settimanale Mladina e il professor Ljubo
Bavcon, eminenza del diritto, che mise al corrente del problema le più
alte autorità slovene, informando sull' insostenibile situazione che si
era creata per 18 mila persone all' indomani della "pulizia etnica
amministrativa" voluta dal primo governo della Slovenia indipendente
(Demos).

A questo punto inizia la controffensiva dell' opposizione di destra. Lo
stesso governo opta per il non rispetto delle decisioni della Corte
costituzionale, cercando il compromesso con la destra xenofoba. Nel
tentativo di soddisfare l' opposizione e un' opinione pubblica
deliberatamente incitata da alcuni leader politici e parte dei media
contro "gli speculatori antisloveni che vorrebbero soltanto arricchirsi
a danno degli Sloveni" sia il presidente della repubblica Janez
Drnovšek, che quello del parlamento Borut Pahor che lo stesso Premier
Anton Rop mantengono un atteggiamento estremamente ambiguo. Il Ministro
degli interni invece escogita la "legge tecnica" il cui scopo e di
ridurre di 4 volte il numero degli aventi diritto ai diritti
retroattivi. La rinuncia del governo di mettere in pratica direttamente
le decisioni della Corte costituzionale, emettendo le delibere, e il
varo della "legge tecnica" offre cosi' ai partiti xenofobi (il Partito
democratico sloveno di Janez Janša (SDS), la Nuova Slovenia (NSI) di
Andrej Bajuk, il Partito popolare (SLS) di Janez Podobnik (questi tre
membri del Partito Popolare Europeo) e l' ultranazionalista Partito
Nazionale Sloveno (SNS) di Zmago Jelinčič, l' occasione per indire un
referendum dai forti connotati xenofobi ma le cui vere intenzioni si
celano dietro l' opposizione ad una "legge tecnica" considerata carente
anche dagli stessi cancellati in quanto fortemente restrittiva. Il
referendum si rivela così pretestuale e occasione preelettorale per l'
opposizione.

Nemmeno il fatto che la legge in questione sia diventata obsoleta, dato
che il governo ha optato per il pieno rispetto di quanto deciso dai
giudici costituzionali ed ha avviato l' emissione delle delibere che
riconoscono ai cancellati già in regola dal ‘99 anche i diritti
retroattivi, è riuscito ad evitare il referendum. Questo si traduce
così in una prova di forza politica tra l' elettorato fedele alla
destra e ostile ad ogni riconoscimento dei diritti per cancellati e
quello che considera la consultazione inutile e dannosa, in quanto
nelle finalità lede i diritti costituzionali e umani dei cancellati. In
Slovenia non c' e' il quorum e così il referendum viene stravinto dai
primi. I partiti del centrosinistra e i movimenti favorevoli ai diritti
umani avevano invece sostenuto il boicottaggio spiegandolo con l'
illegittimità dei referendum usati a danno di diritti
costituzionalmente garantiti. E già si prospettano altri due simili
referendum, sempre voluti dalla compagine capeggiata da Janez Janša;
quello contro una legge di sistema sui cancellati (anch' essa proposta
dal governo per risolvere tutti i 18 mila casi ancora aperti) e quello
contro la costruzione dell' unica moschea con centro culturale
islamico, a Lubiana, da anni auspicata e richiesta dalla comunità
musulmana in Slovenia, composta soprattutto da cittadini sloveni di
origine bosniaca. Gli stessi partiti ostili ai cancellati (ed ai
diritti dei Rom e di ogni minoranza) si oppongono pure alla costruzione
della moschea. Gli stessi hanno già inoltrato richiesta di referendum
nella città di Lubiana, spiegandolo con i presunti pericoli del
terrorismo islamico. Per quanto minoranza, il 31% che ha aderito al
referendum di Janša rappresenta un non trascurabile nucleo duro di
xenofobi sui cui può contare la destra.

A favore dei diritti dei cancellati si e' schierato chiaramente l'
ombudsman sloveno e il commissario per i diritti umani del Consiglio d'
Europa Alvaro Gil Robles. Una posizione netta a favore e' stata presa
anche dall' ECRI, la commissione del Consiglio d' Europa per la lotta
al razzismo e alla discriminazione. Purtroppo (ed il fatto e'
inquietante) nessuna posizione in merito e' stata presa dalla
Commissione Europea, ne tanto meno da qualche altro organo dell' UE.
Consultato dalla stampa slovena all' indomani del vergognoso referendum
il portavoce della Commissione europea De Ojeda si e' limitato a
dichiarare laconicamente che "La Commissione non commenta il referendum
essendo questo una questione interna della Slovenia”. Un’omertà
purtroppo condivisa anche da vari governi, dal Consiglio europeo e dal
Parlamento UE.

Vedi anche:
UE-Slovenia: ti mangio in un sol boccone
La Slovenia alle porte dell’UE, un’intervista
Slovenia: scheletri nell'armadio
Allargamento: non vi sarà un'altra Cortina di ferro
Moschea a Lubjana: un covo di terroristi?

» Fonte: © Osservatorio sui Balcani

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Altri link:

"Izbrisani", "erased", cancellati
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3365

Slovenes poised to reject citizenship for the 'erased'
(by Vesna Peric Zimonjic)
http://news.independent.co.uk/low_res/
story.jsp?story=508499&host=3&dir=73

Slovenia accused of cynical move to deny rights to minorities (by Vesna
Peric Zimonjic)
http://news.independent.co.uk/low_res/
story.jsp?story=507464&host=3&dir=73


=== 3 : EKONOMSKI GENOCID ===


http://komunist.free.fr/arhiva/feb2004/kps_02.html

Arhiva : : Februar 2004.

KPS podpira stavkajoče delavce!


Sloveniji se obeta val opozorilnih stavk v gospodarstvu! Zajedalski
uzurpatorji DELODAJALCI povezani z novo nastalo divjo buržuazijo in
gospodarskimi kriminalci so namerno povzročili destrukcijo in ropanje
gospodarstva! Del odgovornosti za pojav socialne krize, družbenega
razslojevanja in naraščajoče revščine nosijo tudi sindikalni voditelji
kateri so s poganajnji in podpisi t.i. »socialnih sporazumov«
zagotovili legitimnost birokratsko-tehnokratski mafiji! Najnižji
zajamčeni osebni dohodek je dokaz institucionalizirane ekonomske
preračunljivosti politikantske estrade katera povzroča EKONOMSKI
GENOCID! Socialna politika iz rok v usta je miloščina gospodarske
mafije! Tatinske menedžerske šarlatane s politično potuho ne bomo
nikoli spoštovali ali priznali za gospodarje! Nasprotno, bliža se
čas,ko bodo kazensko odgovarjali za zatiranje in izkoriščanje delavk in
delavcev! Komunistična partija se bori za rigorozno ZAPLEMBO vsega
premoženja in kapitala pridobljenega s krajami, špekulacijami, divjim
lastninjenjem ali zlorabljanjem zakonskih nedorečenosti!

KPS ne priznava ogromnega zunanjega dolga kateri znaša 15 milijard
Evrov kar slovensko državo vodi v bankrot narod pa v izumrtje!!!
Zajedavsko špekulativni kapital tujih imperialistov ogroža obstoj vseh
narodov na območju bivše SFRJ!

Rudolf

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Altri link:

Le micidiali conseguenze della secessione dalla Jugoslavia per
l'economia della piccola repubblica
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3204

Le micidiali conseguenze della liberalizzazione dell'economia:
Delocalizzazione ad est: la manodopera slovena è troppo cara
http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.notizia&NewsID=2722

Workers Strike at Comet Factory (by Luka Pregelj)
http://www.marxist.com/Europe/slovenia_strike.html

IRAQ = JUGOSLAVIJA / 8

Un articolo di Alberto Burgio su non-violenza, diritto alla resistenza,
ed atteggiamento della sinistra di fronte alla guerra imperialista


=== ALTRI LINK ===

WASHINGTON HA TROVATO LA SOLUZIONE:
"Dividiamo l'Iraq come abbiamo fatto con la Yugoslavia!"

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3055

di Michel Collon
(traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)

en FRANCAIS:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3003
in ENGLISH:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3045

===


L'articolo di Alberto Burgio:


Dentro la discussione sulla non-violenza che dura, tra alti e bassi, da
qualche mese c’è di tutto. Non è solo una discussione politica, è anche
la manifestazione di stati d’animo, di sentimenti e passioni
sollecitate dal perdurare della guerra e dal dilagare dell’ansia che
essa porta con sé. C’è stato di tutto, a guardar bene, anche nel
dibattito interno a Rifondazione comunista, dove non di rado fa
capolino la tentazione apocalittica di sbarazzarsi della storia del
Novecento e dove pure l’esperienza «grande e terribile» del movimento
operaio e comunista assume talvolta le sembianze di una preistoria
dalla quale prendere congedo. Da ultimo, registrata l’inconsistenza di
certe posizioni, si è sostenuto che il discorso sul ripudio della
violenza ha inteso mettere in chiaro l’arcaicità di un concetto di
rivoluzione come «presa del Palazzo d’inverno». Peccato che la
consapevolezza del carattere processuale della trasformazione
rivoluzionaria stia alla base dei Quaderni di Gramsci (e della stessa
teoria marxiana delle crisi), dunque al fondamento della discussione
teorica del movimento comunista almeno da mezzo secolo a questa parte.
Ad ogni modo, meglio tardi che mai.
Insomma, molto rumore per nulla. A meno che non abbia ragione Raniero
La Valle. Il quale intende la discussione sulla non-violenza nei
termini di una forte ripresa dei temi del pacifismo. «Togliere alla
guerra asimmetrica le radici di cui si nutre nel mitico sogno di
un’unica sovranità mondiale»: questo è oggi il nucleo propositivo della
scelta non-violenta. Se ci si accorda su questa interpretazione,
allora non c’è dubbio: nessuna battaglia è più attuale e indispensabile
di questa. Dopodiché, forse, si potrebbe aggiungere qualcosa.
L’attuale quadro «politico-storico» è sorto ben prima dell’11
settembre, e cioè all’indomani della rottura del 1989-91. La fine della
Guerra fredda aveva offerto al mondo un’opportunità inedita. Si sarebbe
potuto scegliere la pace, senza che ciò minacciasse le posizioni del
vincitore. La leadership statunitense (segnatamente il padre
dell’attuale presidente americano, il che fornisce materia per qualche
meditazione intorno alla persistenza di logiche arcaiche – in senso
proprio patriarcali – nel cuore stesso della metropoli capitalistica)
volle altrimenti. Puntò tutto sul costante incremento del divario di
potenza militare, spostando su logiche di dominio l’intero asse delle
relazioni internazionali. L’emergere di altre aree di potenza globale
(l’Europa, la Cina, l’India, la stessa Russia) fu di per sé considerato
una sfida e un segno di tracotanza. Un delitto di lesa maestà. Le
guerre che si sono succedute dal ’91 ad oggi si collocano in questo
contesto, dal quale emerge un grave atto di accusa nei confronti della
dirigenza americana.
Non si tratta di essere «anti-americani», ma di onestà intellettuale.
La Valle ricorda che nel diritto internazionale, dagli albori della
modernità, gli Stati nazionali sono stati considerati titolari di uno
jus ad bellum che rientrava nelle prerogative della sovranità. Ma
quella storia si chiude con il 1945, proprio alla luce dell’esperienza
maturata nei due conflitti mondiali. Tant’è che non solo la nostra
Costituzione «sovietica», ma anche la Carta dell’Onu e il Trattato
fondativo della Nato che vi si richiama mettono la guerra offensiva
fuori legge. Ora, cos’altro è quella scatenata da Bush e dal
«socialista» Blair se non una guerra offensiva in piena regola,
senz’altra motivazione che la volontà di potenza? Cos’altro, se non una
radicale violazione del diritto internazionale e dei diritti umani?
Ogni discussione sulla violenza oggi deve muovere da questa premessa e
incentrarsi su questa denuncia, se non vuol rendersi complice
dell’ignominia.
Su un altro punto La Valle ha ragione, proprio quando descrive
l’infinita arroganza degli Stati Uniti e osserva che «anche la guerra
di difesa contro l’invasione viene dall’invasore considerata
illegittima e coloro che la combattono sono definiti “combattenti
illegali”». Si ripete (lo ricordava anche Lidia Menapace su
Liberazione) la storia dei nostri partigiani chiamati banditi dai
nazifascisti. E, proprio come sessant’anni fa, di nuovo anche le
società dei «vincitori» sono devastate dalla deriva guerresca:
sorvegliate, represse, militarizzate. Mai, dal tempo dei fascismi, la
democrazia occidentale è stata più di oggi in pericolo. Solo che, se le
cose stanno così, bisognerebbe trarne alcune conseguenze.
Perché continuare a parlare di «terrorismo», dimenticando che niente è
più terroristico di una guerra di aggressione? Perché continuare ad
agitare questa fantomatica «spirale guerra-terrorismo», accreditando la
menzogna americana di una risposta bellica al «terrorismo
internazionale»? E cosa vuol dire che «il terrorismo ristabilisce
tragicamente» lo schema dialettico cancellato dalla guerra asimmetrica
e concluderne che «la politica della non violenza deve rompere questo
schema»? Non sembra una sintesi coerente con le premesse. Parlare di
terrorismo a proposito di quanto avviene in Iraq significa – lo si
intenda o meno – far proprio un programma politico, proprio come ieri
parlare di banditi a proposito della lotta partigiana contro nazisti e
repubblichini. Gianni Vattimo ha ragione su questo punto. Se è vero che
– come anche La Valle riconosce – la «guerra degli sconfitti che non
vogliono continuare ad essere sconfitti» non può non far ricorso agli
strumenti della guerriglia, delle due l’una: o riconosciamo un diritto
alla sopraffazione agli Stati Uniti e ai loro alleati (tra cui con
infinita vergogna annoveriamo anche l’Italia, che fa giorno dopo giorno
strame della propria Costituzione), o riconosciamo il diritto dei
popoli invasi di resistere, rispondendo alla violenza nei modi in cui è
loro possibile.
Certo, l’uccisione di prigionieri ripugna alla coscienza civile (al
pari – bisogna pur dirlo – dei crimini di guerra commessi
quotidianamente dalle forze di occupazione). Ma una coscienza civile
non scantona dal fatto che la quantità è qualità e che decine di
migliaia di assassini provocati da una guerra decisa a tavolino sono un
crimine contro l’umanità (oltre che un lievito di inestinguibile
collera) incommensurabile con qualsiasi violazione delle Convenzioni di
Ginevra e dello jus publicum europaeum. È mai possibile che non ci si
accorga che associarsi al coro della «fermezza» contro il «vile
ricatto» dei rapimenti significa ripetere testualmente il commento di
Wolfowitz alla decisione di Zapatero di lasciare l’Iraq? È mai
possibile che Romano Prodi non capisca che se c’è qualcosa per cui non
si può, per nulla al mondo parlare di «unità nazionale», questo
qualcosa è proprio una guerra di occupazione?
È davvero incredibile la timidezza con cui a sinistra si commenta
quanto accade in Iraq. Ci si divide tra quanti denunciano la «barbarie»
dei rapimenti e quanti, con qualche imbarazzo, li giustificano. Tra
quanti parteggiano per la resistenza irachena e quanti non osano
pronunciarne il nome. Ma pochi levano la voce sul punto che dirime
l’intera questione. Lì noi occidentali non abbiamo alcun diritto di
stare. Invece ci stiamo, dopo avere continuato per quindici anni a
scaricare tonnellate di bombe e avere ucciso un milione di bambini con
un embargo criminale. Massacriamo, rapiniamo, devastiamo. Abbiamo le
mani e l’anima sozze di sangue innocente. E per giunta ci chiediamo
«perché ci odiano tanto». Ogni giorno in più di permanenza in Iraq
aggiunge nuove colpe inescusabili. Non c’è molto da aggiungere, il
discorso dovrebbe chiudersi qui, prima ancora di cominciare. Invece
molto ancora aggiungiamo: e che cosa, per distinguerci da Berlusconi?
Che la guerra è stata «sbagliata» (sbagliata!) ma che ora non sarebbe
opportuno «abbandonare gli iracheni a se stessi». Quanto razzismo c’è,
quanti pregiudizi tipici della cultura colonialista, in simili discorsi
– oltre che nella turpe celebrazione della «eroica morte italiana» di
Fabrizio Quattrocchi?
Concludo con una osservazione che riguarda quella parte (per fortuna
sempre meno vasta) dell’Ulivo che brilla per subalternità alla destra.
Le prese di posizione dei Prodi, dei D’Alema, dei Fassino, dei Rutelli
e di quanti come loro spaccano il capello in quattro pur di non dire un
no che dispiacerebbe all’America e all’elettorato italiano più
«moderato» destano serie preoccupazioni sul prossimo futuro di questo
paese. Non è bastato il Kosovo, come non sono bastati i disastri
accumulati negli ultimi quindici anni su tutti i terreni in cui la
sinistra ha rincorso la destra per mostrare a chi conta la propria
affidabilità. C’è da temere che la mancanza di coraggio al cospetto di
questa sporca guerra anglo-americana («una guerra sporca che fa strage
di innocenti», ha detto lo zio di uno dei civili italiani catturati in
Iraq) non sia frutto del caso, ma l’espressione dell’idea di
«modernità» che informa di sé la cultura dei gruppi dirigenti diessini
e post-democristiani. Una cultura figlia di un reaganismo appena
temperato nel segno di una sempre più improbabile «terza via» alla
Giddens.
Tutte le scelte strategiche compiute da questi gruppi dirigenti lo
testimoniano. Dalle riforme istituzionali (con il maggioritario, il
«federalismo», il presidenzialismo e lo sdoganamento delle manomissioni
della Costituzione operato alla Bicamerale) alla precarizzazione del
lavoro, dal welfare alle privatizzazioni, dalla scuola all’università,
non c’è terreno rimasto immune da questa pandemia. E non si intravedono
segni di ripensamento. Né sulla politica, né sulla guerra. Ancora un
anno fa, subito dopo l’occupazione dell’Iraq, l’on. D’Alema chiedeva a
tutta la sinistra di «appoggiare Blair», così come oggi l’Ulivo – per
bocca di Prodi – rivendica il Kosovo. Di questo bisogna discutere e con
urgenza, in vista delle imminenti scadenze elettorali. Per evitare che
– posti dinanzi all’alternativa tra l’originale e una sua copia – gli
italiani tornino a votare come nel 2001. E per evitare che l’Italia si
trovi di nuovo in una guerra decisa da un governo «progressista».
Piuttosto che di dibattere di violenza e non-violenza, si tratta di
riaprire la grande battaglia per il disarmo e la pace che riempì
Firenze in occasione del Social Forum Europeo nel novembre del 2002.
Mentre la resistenza irachena conquista nuove posizioni allontanando il
rischio di nuove aggressioni anglo-americane contro altri Stati
sovrani, è giunto il momento di rilanciare il movimento di lotta contro
la guerra imperialista.

ALBERTO BURGIO

La Rinascita 22.4.2004

http://komunist.free.fr


Arhiva : : April 2004.

Četvrti Kongres Jugoslovenskih komunista

Beograd, 17. Aprila 2004.

Građanima Srbije i Crne Gore

Poštovani Građani!

Počev od 1990 godine u Srbiji i Crnoj Gori, kao i u drugim bivšim
republikama SFRJ, neprekidno traju negativna ekonomska i politička
kretanja u kojima je ugrožena egzistencija većine građana i njihova
ljudska i nacionalna prava. U toku je totalno i temeljno socijalno
raslojavanje stanovništva, što je ubrzano dolaskom na vlast sadašnjeg
režima, koji je u taj proces uključio interese stranih sila. U stvari,
modeliranje ekonomskog, političkog i pravnog sistema i čitave društvene
nadgradnje vrši se po zahtevima i uputstvima SAD i EU. Stvoren je
politički i ekonomski sistem koji nije u stanju da sačuva celovitost i
nezavisnost Države. Zapravo, sudbina naše zemlje i njen dalji razvoj
potpuno su stavljeni u funkciju geopolitičkih, ekonomskih i vojnih
interesa EU i SAD. Rezultat takve politike je krajnje zabrinjavajuće
stanje u svim oblastima života, o čemu svedoče drastičan pad
proizvodnje, pljačkaška privatizacija i kriminalizacija društva,
masovno otpuštanje radnika, gubljenje suvereniteta Zemlje,
dezintegracija Srbije i Crne Gore i ponižavanje Naroda i Države na
svakom koraku. Razvijanje podaničkog mentaliteta kod građana, u
uslovima opsednutosti većine stanovništva egzistencijalnim problemima,
ima za posledicu gubljenje moralne snage, samopouzdanja, entuzijazma i
dostojanstva Naroda. Zato je ključno pitanje: Kako Narodu i Državi
vratiti samopouzdanje, entuzijazam i dostojanstvo?

Upravo radi traženja odgovora na postavljeno pitanje, katastrofičnog
stanja u društvu i svega onoga što smo doživeli od razbijanja SFRJ do
danas, Jugoslovenski komunisti su rešeni da, zajedno sa drugim
komunističkim i radničkim partijama i uprkos neviđenoj medijskoj
blokadi i antikomunističkoj propagandi, konačno izađu na javnu
političku scenu, sa ciljem da se opravdano nezadovoljstvo većine
građana postojećim stanjem u društvu kanališe u ORGANIZOVANU POLITIČKU
SNAGU koja će se boriti za interese eksploatisanih i ugroženih, kao i
za ekonomski i politički preporod u interesu većine građana.

Danas stranke građanske i nacionalističke desnice, kao i stranke
pseudolevice, zamajavaju građane pričama o "humanom" kapitalizmu i
"poštenoj" privatizaciji. Međutim, praksa mnogih zemalja, kao i stanje
u našoj Zemlji, jasno pokazuju da NEMA HUMANOG KAPITALIZMA NITI POŠTENE
PRIVATIZACIJE. Zato se Jugoslovenski komunisti čvrsto opredeljuju za
nastavljanje KLASNE BORBE protiv eksploatacije i neprihvatljivih
socijalnih razlika u našem društvu.

Danas su radnici u našoj Zemlji bez ikakvih prava; svedeni na poziciju
nadničara i marginalizovani na političkoj sceni. Upravo zbog takvog
stanja, komunisti će se zajedno sa Vama suprotstaviti kolonizaciji naše
Zemlje, uništavanju društvene imovine i njenoj rasprodaji putem
pljačkaške privatizacije. Moramo napraviti iskorak iz agonije i bede u
kojoj se već godinama nalazimo. Prošli, sadašnji i budući pljačkaši
društvene imovine moraju znati da ćemo KAD-TAD VRATITI "FABRIKE
RADNICIMA"! Mladi ljudi treba da se oslobode iluzije da u kapitalizmu
većina ima šansu da se obogati. Naprotiv, to mogu postići samo retki
pojedinci, najčešće na nelegalan način. dok je ogromna većina
eksploatisana i ponižavana od strane novopečenih bogataša.

U KLASNOJ BORBI, primerenoj savremenim uslovima, JUGOSLOVENSKI
KOMUNISTI ĆE SE ZALAGATI DA SVI SLOJEVI DRUŠTVA PRIBLIŽNO PODJEDNAKO
PODNOSE TERET MATERIJALNIH I DRUGIH NEVOLJA KROZ KOJE PROLAZIMO, protiv
masovnog otpuštanja radnika, za rešavanje ekonomskih i socijalnih
problema oživljavanjem proizvodnje i produktivnim zapošljavanjem, za
besplatno školovanje i lečenje, za plansko usmeravanje privrednog
razvoja, za neposredno odlučivanje građana o svim bitnim pitanjima
društva, za doslednu primenu principa ravnopravnosti naroda i
narodnosti, za očuvanje suvereniteta i teritorijalnog integriteta
Zemlje, UKLJUČUJUĆI KOSOVO I METOHIJU, za jačanje odbranbenih
sposobnosti Zemlje, protiv ulaska u NATO, za međunarodnu saradnju sa
komunističkim i radničkim partijama, a naročito u bivšim republikama
SFRJ, za postepenu dobrovoljnu reintegraciju u zajedničku jugoslovensku
državu, u međunarodnim odnosima za multipolarni svet u kome će se
odnosi zasnivati na ravnopravnoj saradnji itd.

Da bi borba za ostvarenje postavljenih ciljeva bila što uspešnija i
plodonosnija, bilo bi jako korisno da i Vi pristupite bloku
komunističkih i radničkih partija, bez obzira na nacionalnu, versku ili
neku drugu pripadnost, zato što su nam interesi zajednički: gde ću
raditi, šta ću raditi, za koliku platu, kada ću imati svoj stan, mogu
li školovati decu, mogu li se lečiti, mogu li da živim kao ČOVEK?

Radnici i svi eksploatisani treba da se ujedine u jedinstveni front u
okviru KOMUNISTIČKO-RADNIČKE LEVICE, a ne da razjedinjeni delovi
stradaju, jedan po jedan pod udarom nove kapitalističke klase. Samo
ujedinjeni možemo vratiti samopouzdanje, entuzijazam i dostojanstvo
Narodu i Državi! Zato,

POZIVAMO SVE EKSPLOATISANE, NEZAPOSLENE I UGROŽENE, KAO I SVE DRUGE
GRAĐANE KOJI PO SVOM POLITIČKOM OPREDELJENJU PRIPADAJU
KOMUNISTIČKO-RADNIČKOJ LEVICI, DA NAM SE PRIDRUŽE U KLASNOJ BORBI ZA
DRŽAVU SA SOCIJALNIM LIKOM!

Četvrti Kongres JK

Predsedavajući
Boško Stanković

http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.notizia&NewsID=2999

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Iraq: l’Albania pensa di raddoppiare le truppe


L’Albania sotto pressione statunitense pensa di raddoppiare la propria
presenza in Iraq, contraria l’opposizione. Sconvolta dagli ultimi
avvenimenti sul teatro di guerra mediorientale l’opinione pubblica,
ora, è più timorosa e meno favorevole all’impegno

(19/04/2004)

Scrive Indrit Maraku

Mentre tutto il mondo guarda preoccupato l’escalation della violenza in
Iraq, e gli alleati discutono su cosa fare con le loro truppe,
l’Albania si sta preparando a raddoppiare la sua simbolica presenza di
73 uomini. La decisione, definita da qualcuno come “pura assurdità
balcanica”, questa volta arriva dopo una richiesta da parte di
Washington. Anche se solo ufficiosamente, durante la sua ultima visita
di qualche settimana fa nella capitale statunitense, al Premier
albanese Fatos Nano è stato chiesto di aumentare l’impegno militare di
Tirana in questo Paese a 200-300 soldati. E scoppia subito la polemica.
Dopo un anno dall’invio del primo contingente delle truppe speciali
“Komando”, nella classe politica e nell’opinione pubblica cominciano a
farsi sentire le prime disapprovazioni: il costo economico sarebbe
insostenibile per l’Albania ed ora la situazione è molto più pericolosa.

L’opposizione contro

Dopo le prime notizie sui media locali, il ministro alla Difesa,
Pandeli Majko ha dovuto confermare l’ultima iniziativa albanese.
“Stiamo esaminando la possibilità di aumentare le nostre forze in Iraq
per esprimere la nostra determinazione a fianco della coalizione
internazionale che lotta per instaurare la pace” ha dichiarato Majko,
senza precisare se c’era stata una richiesta ufficiale dagli Stati
Uniti.

Un anno fa, tutta la classe politica albanese si dimostrò unita nella
sua volontà di essere al fianco degli Usa in Iraq, sperando in un
sostegno per entrare il prima possibile nella Nato. La posta in gioco
ora e cambiata e l’opposizione non sembra essere più d’accordo. “La
nostra presenza lì è simbolica – dice Besnik Mustafaj, segretario per
le relazioni con l’Estero del Partito democratico – Capisco che al
Premier Nano non importi del costo economico, ma per quanto ne so è di
7 milioni di dollari e il doppio o il triplo di questa cifra sarebbe
insostenibile” per l’Albania.

Dashamir Shehi (opposizione), a capo della Commissione parlamentare per
la difesa, dice che dal punto di vista politico non esiste alcun
problema. “Questo perché, che siano 73 uomini, o che siano 200, la
nostra decisione politica è la stessa. L’Albania resta un alleato fermo
a fianco della coalizione anti-terrorismo che opera oggi in Iraq”. Ma
quando verrà il giorno di discutere su questo in Parlamento, spiega,
“lo faremo entro la realtà albanese”.

Shehi afferma che gli ultimi sviluppi in Iraq fanno pensare “più
profondamente rispetto alla prima volta”. “Noi auspichiamo che la
permanenza delle nostre forze in Iraq sia la più breve possibile e
senza grossi rischi – aggiunge – ma sfortunatamente la situazione è
tale che la nostra permanenza possa essere prolungata e che ci possano
essere anche elementi di pericolosità”. Dal punto di vista economico,
Shehi si augura che se ci sarà un aumento del contributo albanese in
Iraq “ci sia anche un aumento del contributo finanziario dei nostri
alleati”.

Dall’indifferenza alla paura

La pomposa cerimonia dell’aprile 2003 nella piazza “Skanderbeg” che
accompagnò la partenza del primo contingente albanese per l’Iraq,
questa volta ha lasciato lo spazio alla paura e alle lacrime. A
differenza di un anno fa, gli Albanesi lo scorso 12 aprile hanno visto
in Tv le madri, le sorelle e le fidanzate dei soldati che, piangendo,
non si staccavano dai loro cari, mentre un aereo li aspettava sulla
pista militare dell’aeroporto “Madre Tereza” di Tirana. Si trattava del
terzo gruppo di truppe “Komando” che partiva per l’Iraq a dare il
cambio al contingente già presente sul posto. E improvvisamente,
l’indifferenza mostrata in tutto questo tempo si è trasformata in
angoscia. Le ostilità delle ultime settimane, i rapimenti, gli ostaggi,
le uccisioni, avevano fatto svanire quella sensazione di sicurezza,
scaturita, forse, dall’identità religiosa islamica tra la maggior parte
degli Albanesi e degli Iracheni.

Mentre in altri Paesi, anche vicini, la gente scendeva per le strade ad
esprimere la loro disapprovazione nei confronti dell’intervento armato
in Iraq, l’opinione pubblica albanese mostrava tutta la sua più grande
indifferenza. Presi a lottare contro la povertà quotidiana, nessuno si
è fermato più di tanto a pensare sui rischi della partecipazione del
proprio Paese in questo intervento. Ed è proprio su questa indifferenza
che il Governo di Tirana, ma anche più in generale la classe politica
del Paese, ha potuto fare affidamento. Il Parlamento votò all’unanimità
l’invio di truppe in Medio Oriente, vedendo i suoi 73 uomini come degli
attori sul palcoscenico iracheno; attori i quali avevano il compito di
dimostrare al mondo intero la preparazione dell’Esercito albanese,
sperando in un rapido ingresso, con tanto di tappeto rosso,
nell’Alleanza Atlantica.

E Bush raddoppia i “ringraziamenti”!

A buttare acqua sul fuoco delle polemiche ci pensa il Presidente
americano Bush in persona: in due messaggi diversi spediti al primo
ministro Fatos Nano e al Presidente della Repubblica, Alfred Moisiu, il
capo della Casa bianca ha ringraziato l’Albania per il suo contributo
in Iraq (gentilissimo… ma non esagera un po’?). “In nome del popolo
Americano desidero ringraziarvi per il fermo sostegno dell’Albania nel
raggiungere la pace e la democrazia in Iraq”, dice, aggiungendo che “le
forze albanesi hanno dimostrato nella loro missione abilità e coraggio
e noi gli siamo grati per i loro sforzi”.

Anche il capo del Dipartimento di Stato, Colin Powell, ha voluto
esprimere la sua gratitudine al suo omologo di Tirana, Kastriot Islami.
Dal canto suo, il ministro degli Esteri albanese ha preferito
rassicurare Powell per l’ennesima volta: “la vostra lettera dell’8
aprile mi dà la possibilità di confermare ancora una volta l’impegno
invariabile dell’Albania come membro della coalizione internazionale in
Iraq e nella lotta globale al terrorismo”, si legge nel messaggio
consegnato all’ambasciatore Usa a Tirana.

Ma il doppio “ringraziamento” di Bush, che tra l’altro arriva pochi
giorni dopo quello precedentemente espresso a Nano durante la visita di
quest’ultimo a Washington, punta a mettere a tacere le voci contrarie
nell’opposizione sul raddoppiamento delle truppe, specialmente dopo la
sindrome “Zapatero” che sta invadendo negli ultimi giorni l’Europa.

Ora il Governo di Tirana deve fare bene i conti: da un lato c’è la
volontà espressa agli Usa in cambio dell’adesione alla Nato; dall’altro
lato c’è il problema dell’opinione pubblica interna. Le elezioni
politiche del 2005 si avvicinano sempre di più, e uno sbaglio potrebbe
costare caro ai socialisti al potere, i quali devono sperare
nell’incolumità dei soldati albanesi sul palcoscenico iracheno. La
domanda alla quale il Premier Nano deve rispondere prima d’ogni
decisione è: il gioco vale veramente la candela?


» Fonte: © Osservatorio sui Balcani