Informazione
Quest’anno faremo brevissime deviazioni all’interno della piccola frazione montana, e dopo la commemorazione presso la ex scuola elementare, faremo ritorno a piedi all’Abbazia con un’altro piccolo sentiero che giungerà alle spalle del piccolo cimitero adiacente.
Al pranzo sui prati farà seguito la presentazione del libro “Il barbiere zoppo – 1969, una ragazza e la scoperta della Resistenza”. Gino Marchitelli, scrittore, elettricista antagonista, compagno dell’Anpi e autore del libro, ci racconterà del misterioso viaggio di una giovane alla ricerca delle sue radici; “Un romanzo avvincente, ricco di pathos e intensità emotiva […] che svela fondamentali verità sul ventennio e sugli orrori del regime nazifascista, attraverso gli occhi veri, puri e ingenui di ragazze e ragazzi in dialogo tra generazioni.” (http://www.peacelink.it/pace/a/41831.html)
“Se vorrete conoscere la Resistenza e una scrittura che non la tradisce narrandola, e se la volete proporre ad altri, questo è il libro che vi serve”. (Lidia Menapace).
Il tutto con l’accompagnamento musicale di canti della resistenza eseguiti dalle compagne e dai compagni del ‘Coro 24 marzo’ dell’Anpi intercomunale 24 marzo.
Programma:
Ore 9.30
Ritrovo presso l’Abbazia di Piobbico
Ore 10
Partenza camminata
Ore 12
Commemorazione presso la ex scuola elementare di Piobbico
Ore 13
Pranzo sui prati presso l’Abbazia di Piobbico
Ore 14.30
Presentazione del libro “Il barbiere zoppo – 1969, una ragazza e la scoperta della Resistenza” a cura di Gino Marchitelli con l’accompagnamento musicale del ‘coro 24marzo’
Info:
email: anpisarnano @ gmail.com
Pagina Fan Facebook https://www.facebook.com/anpi.sarnano/
L'associazione Nova Harmonia invita a ricordare tutti coloro che hanno contribuito in Italia, in Europa e in Russia dando la loro vita per la pace.
ANNIVERSARIO DELLA VITTORIA
NELLA GRANDE GUERRA PATRIOTTICA
Cimitero Maggiore, Milano
Lunedi, 09/05/2016 ore 10.30
Invito alle celebrazioni del 70° anniversario della Vittoria nella grande guerra patriottica che ha visto la conquista della pace grazie all’eroismo di tanti uomini e donne sovietici, tra i quali si annoverano anche molti patrioti armeni.
L’attacco a sorpresa del 21 giugno 1941, denominato “Piano Barbarossa”, travolse la resistenza sovietica,ma fu anche l’epopea della Resistenza e del sacrificio dei popoli dell’URSS. La “Grande Guerra Patria”fu condotta sotto la spinta di un acceso amor di patria e con un eccezionale sacrificio. Il trasferimento delle fabbriche e dei comandi al di là del Volga, il coraggio e la volontà dei combattenti di tutte le etnie dell’URSS, permise il passaggio dalla difensiva all’offensiva. Simbolo di tale realtà fu la storica vittoria di Stalingrado e con le battaglie dell’autunno 1944 fu portata a termine la liberazione di tutto il territorio dell’URSS. La partecipazione dell’Armenia Sovietica fu immediata e sostenuta da forti motivazioni: oltre alla determinazione a resistere al nazismo si aggiungeva il fatto che gli armeni avevano subito il genocidio del 1915 perpetrato dai Giovani Turchi alleati della Germania. L’Armenia ha inviato in guerra 600.000 uomini, 5 divisioni di fanteria, 4 marescialli, 60 generali. Fra i personaggi che più si sono distinti vi sono gli armeni del Nagorno Karabagh: Il maresciallo HOVANNES BAGHRAMIAN , il comandante in capo di truppe corazzate, HAMAZASP BABAJANYAN, il comandante di compagnia, ordine della Stella Rossa, RUBEN BAGIRYAN.Circa 300.000 militari armeni, sono deceduti nella difesa dell’Unione Sovietica.
Ma gli armeni hanno combattuto il nazismo anche all’estero, fuori dai confini dell’URSS. In Francia divenne ed è tuttora famosa la vicenda dell’Affiche Rouge (il Manifesto Rosso) che ha tappezzato l’intera Parigi in occasione dell’esecuzione di 23 resistenti del gruppo Franchi Tiratori Partigiani- Mano d’opera Immigrata (FTP-MOI) detto Gruppo Manouchian , comandato da Missak Manouchian che in 18 mesi compiono 229 azioni contro i nazisti occupanti, fra le quali famosa l’uccisione del generale SS Julius Ritter. Del gruppo facevano parte, oltre agli armeni, spagnoli, ungheresi, italiani, polacchi, francesi ed ebrei. Arrestati e condannati a morte nel 1944, furono fucilati nel forte Mont Valerien, mentre l’unica donna del gruppo viene decapitata a Stoccarda. Missak Manouchian invia alla moglie prima dell’esecuzione una lettera che servirà di ispirazione al poeta Louis Aragon, un’indimenticabile poesia cantata poi da Leo Ferè. Il regista Robert Guediguian narra le vicende dell’Affiche Rouge nel film “L’Arme du crime”, tradotto e proiettato anche in Italia. Nel 20esimo arrondissement di Parigi una via porta il nome “Rue Du Groupe Manouchian”.
Pietro Kuciukian
Consolato onorario della Repubblica d’ Armenia
Milano
Alle ore 21:00 proiezione del film "STALINGRAD"
Film :
Stalingrad (Сталингра́д) è un film del 2013 diretto da Fedor Bondarchuk, con protagonista Thomas Kretschmann.
È il primo film russo prodotto completamente con la tecnologia del 3D, ed anche il primo film non statunitense che adotta il formato IMAX.
Il film è stato selezionato per concorrere alla selezione finale per la scelta dei candidati all'Oscar del 2014 nella categoria Miglior film straniero.
La pellicola è stata presentata fuori concorso all'ottava edizione del Festival Internazionale del Film di Roma.
Da: "gherush92 @ gmail.com"
Oggetto: 9 MAGGIO GIORNATA DELLA VITTORIA
Data: 4 maggio 2016 17:05:12 CEST
IL 9 MAGGIO GIORNATA DELLA VITTORIA Il 9 maggio si celebra l'anniversario della Giornata della Vittoria, Den' Pobedy, in memoria della capitolazione della Germania nazista e dei suoi alleati, fra cui l'Italia, durante la Seconda Guerra Mondiale. L'Armata Rossa dei Lavoratori e dei Contadini, guidata da Stalin con la collaborazione di capaci generali, svolse una funzione decisiva sconfiggendo in quattro anni di violente e sanguinose battaglie la grande maggioranza delle forze della Wehrmacht, concludendo vittoriosamente il conflitto. Da allora sono trascorsi molti decenni, ma molti ancora ignorano che la liberazione dell’Europa dal nazifascismo e dai campi di sterminio è avvenuta grazie al sacrificio di quasi trenta milioni di sovietici fra soldati dell’Armata Rossa, partigiani e civili. Molti ancora ignorano che i campi di sterminio di Auschwitz, Treblinka, Belzec, Majdanek, Sobibor, e molti altri lager nazisti, furono liberati dai soldati sovietici e che gran parte dei sopravvissuti alla Shoà deve la sua sopravvivenza all'Armata Rossa. Gherush92 Committee for Human Rights |
Gherush92 Committee for Human Rights
POPOLI INGRATI E SENZA MEMORIA
OVVERO VERSO UN NUOVO FASCISMO
Agli eroi dell’Armata Rossa caduti in battaglia gloria e memoria eterna! Il Memoriale Italiano, con la sua falce e martello, ritorni ad Auschwitz!
La vittoria sovietica sul fronte orientale, di gran lunga il più duraturo, vasto e sanguinoso del secondo conflitto mondiale, mette fine al piano di espansione nazifascista e al programma razzista di sterminio dei popoli slavi, degli ebrei, dei roma, dei sinti, dei prigionieri di guerra, degli omosessuali e dei disabili e alla persecuzione di ogni opposizione politica.
A fronte di questi noti funesti avvenimenti e alle coraggiose gesta di chi vi si oppose, assistiamo oggi in Europa a percorsi diversi di rivisitazione e rielaborazione della memoria, che si distinguono per un differente uso politico della storia. Alcuni restano un ammonimento contro il nazifascismo, altri sconfinano nel revisionismo o nel negazionismo altri ancora, come il caso dell’Italia, nell’ignoranza e nell’oblio.
Così in Germania, tragico teatro finale del conflitto mondiale, i memoriali sovietici, intatti e curati con diligenza, restano, nonostante tutto, un feroce ricordo ed un monito perenne contro il passato nazista. A Berlino suonano come un obbligo le parole sul Memoriale ai Caduti Sovietici nel Parco di Treptower, dove riposano 5000 soldati dell’Armata Rossa: “Ora tutti ricorderanno che il popolo sovietico con il suo altruismo ha combattuto e salvato la civiltà europea dai criminali fascisti. Questa è stata una grande conquista del popolo sovietico verso la storia dell’umanità.” Sono un’ode alla responsabilità le parole incise sul Memoriale di Guerra Sovietico in Schönholzer Heide: “Alla memoria eterna degli eroi. … Copriti la testa! Qui sono i soldati sovietici eroi della grande Guerra dal 1941-45, deposti all’eterno riposo … Una grata umanità non dimenticherà mai le loro gesta coraggiose.”Tuonano indelebili le parole di Stalin scolpite sul Red Army Memorial: La forza dell'Armata Rossa risiede nel fatto che essa non nutre e non può nutrire alcun odio razziale contro altri popoli e quindi neppure contro il popolo tedesco; essa è educata nello spirito dell'eguaglianza di tutti i popoli e di tutte le razze, nello spirito del rispetto dei diritti degli altri popoli.”
Così anche Londra con il Soviet War Memorial che commemora il sacrificio di 27 milioni di vite tra civili e forze armate dell’Unione Sovietica che hanno combattuto con gli alleati contro il nazifascismo.
Così anche a Netanya in Israele con il Monumento all’Armata Rossa che, con le parole di Peres, “è un’opportunità per ringraziare l’Armata Rossa. Se non avesse sconfitto il mostro nazista senza dubbio non saremmo qui oggi … Nella seconda guerra mondiale l’Armata Rossa ha impedito al mondo di arrendersi”.
Così anche a Zhangjiakou in Cina, il Memoriale ai caduti delle forze alleate sovietico-mongole ricorda: “La nostra liberazione … non può essere separata dal sangue versato dai martiri sovietici della Mongolia; … eternamente commemoriamo il grande contributo da parte delle forze alleate Soviet-mongoli alla causa della liberazione del nostro paese.”
Ben altrimenti, nei paesi dell’ex Unione Sovietica i memoriali all’Armata Rossa sono divenuti impropriamente simbolo del comunismo reale e sono teatro ed oggetto di ingiusti e irrispettosi scontri politici. Così, ad esempio, a Budapest, in Ungheria, il Memoriale per l’Armata Rossa, in Piazza della Libertà, è l’ultimo monumento sovietico rimasto e, ripetutamente deturpato, crea grandi polemiche. A Praga, il Monumento ai Carristi Sovietici, che commemora la liberazione della Cecoslovacchia, è oggetto di polemiche e di ripetuti tentativi di rimozione del carro armato che, per molti, oggi rappresenta il simbolo dell’occupazione sovietica comunista. A Sofia, in Bulgaria, il Monumento all’Armata Sovietica con l’iscrizione, “Per i liberatori dell’armata sovietica da parte del grato popolo bulgaro”, nel 2011 è imbrattato da un gruppo di artisti anonimi che ha trasformato i soldati in fumetti della cultura popolare americana, con la scritta: "Al passo coi tempi". Così a Taallin in Estonia, il Memoriale all’Armata Rossa è rimosso dalle autorità nel 2007 e una manifestazione in sua difesa provoca feriti, arresti e un morto. Così a Varna in Bulgaria il Parco monumentale all’amicizia Bulgaro-Sovietica con l’iscrizione “Amici per i secoli dei secoli”, è in stato di abbandono e degrado. Così a Varsavia il Memoriale all’Armata Rossa è rimosso dalle autorità polacche.
Ancora diverso il caso dell’Italia, ex paese fascista ed invasore dell’Unione Sovietica, dove revisionismo e negazionismo si accettano con silenziosa indifferenza e finiscono nell’oblio, mancando nel nostro popolo la diffusa consapevolezza che la liberazione dal nazifascismo e dai campi di sterminio sia avvenuta grazie al sacrificio degli uomini dell’Armata Rossa. Nei decenni del dopoguerra e della guerra fredda le preoccupazioni per il presente hanno prevalso e che i principali liberatori dal nazifascismo fossero soldati sovietici dell’Armata Rossa è sottaciuto, persino dimenticato.
La recente rimozione del Memoriale Italiano dal Blocco 21 di Auschwitz è un esempio di questo tanto squallido quanto ignorante e dimentico atteggiamento. Lo spostamento non è dipeso, come qualcuno scioccamente ci vuol far credere, dal presunto scarso valore pedagogico-educativo dell’opera d’arte, non al passo dei tempi e poco esplicativa. Il Memoriale è stato rimosso per la presenza del simbolo della falce e martello. Qui la questione pedagogica è irrilevante tanto quanto la battaglia intrapresa da qualcuno contro o in difesa dell’opera d’arte. Quell’opera che, in ossequio ai reazionari, qualcun altro ha rinominato il memoriale viaggiante, vale proprio per il contenuto che esprimono i simboli rappresentati del comunismo, che ritraggono, inequivocabilmente, i liberatori dal nazifascismo che oggi si vogliono dimenticare. Per questo l’opera vale, per questo viene rimossa, per questo va ricollocata ad Auschwitz.
Il silenzioso trasferimento del Memoriale nella periferia di una città qualunque, che avviene con l’imperdonabile complicità dell’attuale Governo Italiano, (di sinistra ?), e con il consenso dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e dell’Associazione Nazionale Ex Deportati, ha reso a tutti evidente che quello di Auschwitz, con i simboli unici ed insostituibili dell’antifascismo, in effetti, non era il Memoriale italiano, e che il Governo non lo ha protetto sì per vigliacca indifferenza, ma anche perché il popolo italiano, senza memoria, non lo ha difeso, non lo ha ricordato, non lo ha persino riconosciuto.
Oggi in Europa assistiamo, impotenti, alla continuazione di razzismo e antisemitismo, di revisionismo e negazionismo o, peggio, di oblio nei luoghi della Memoria, fenomeni questi che si possono combattere proprio con quell’esperienze di resistenza e lotta che i simboli che si vanno cancellando rappresentano. I luoghi della memoria, inclusi i lager nazisti, con interventi che mirano a distorcere o cancellare eventi e risultati della liberazione dell’Europa, vengono inglobati in aree urbane, trasformati in giardini, rimossi, dimenticati. Anche l’Italia, in modo che appare incomprensibile se non per stare, con vanagloria, in carriera per i voti, o al passo con i tempi o per obbedire a indicazioni estranee, contribuisce a spazzare via la memoria dell’antifascismo e accetta di spostare il Memoriale da Auschwitz, proprio come gli altri Memoriali all’Armata Rossa che vengono deturpati o rimossi dalle piazze di Cracovia o di Budapest.
Bisogna fermare vecchi e nuovi tentativi revisionisti ricordando che nell’alleanza di un coacervo di diversi popoli, uniti sotto la bandiera dell’Armata Rossa, è nata una prodigiosa resistenza al nazifascismo che costituisce un unicum nella storia; e che senza l’Armata Rossa, matrice di ogni resistenza europea, non ci sarebbe stata la vittoria contro il nazifascismo, e non ci sarebbero stati sopravvissuti ebrei e rom in Europa.
Chiediamo con forza, vorremmo dire intimiamo, al Governo Italiano, all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e all’Associazione Nazionale ex Deportati di adoperarsi per ricollocare immediatamente il Memoriale nel Blocco 21 e perché l’intero campo di sterminio di Auschwitz sia dedicato al suo unico liberatore, l’Armata Rossa.
Delfina Piu e Valentina Sereni
Gherush92 Committee for Human Rights
"nA More Con AMore"
4a edizione! (anno 2016)
Riproponiamo l’iniziativa di ospitalità estiva con i bambini della regione jugoslava del Kosovo, in particolare con gli studenti della Scuola Primaria "Sveti Sava", provenienti da famiglie serbe residenti nel villaggio di Jasenovik, nella municipalità di Novo Brdo. Le associazioni di volontariato “Non bombe ma solo caramelle Onlus” e “Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia Onlus” ci aiuteranno in tutto ciò, insieme ad altri, amici e conoscenti preziosi e sensibili a queste iniziative.
Accoglieremo 9 ospiti, nuovi bambini di età compresa tra i 10 ed i 12 anni, che saranno accompagnati dalla loro insegnante Valentina Ristić, partecipe di passate edizioni. Il soggiorno dei ragazzi è previsto per fine agosto/settembre, sempre nella località di mare Santa Severa (provincia di Roma), dove verrà messa a disposizione a titolo volontario una struttura privata adeguata. I bambini potranno svolgere attività balneare e culturale nell’ambito di un programma di visite sul territorio e su Roma. Parteciperanno all’iniziativa minori che non presentano gravi problemi di salute e sono quindi idonei a sostenere il viaggio ed il soggiorno previsto.
L’iniziativa pertanto, anche in virtù dei positivi riscontri della scorsa esperienza, sarà finalizzata in parte alla ricreazione dei ragazzi ed in parte allo scambio sociale e culturale. L’auspicio resta quello della nascita di relazioni tra comunità, la reciproca conoscenza, il superamento dei luoghi comuni sgraditi al vivere sociale. Sperando ciò possa in qualche modo contribuire alla serenità dei ragazzi e servire da stimolo per la loro vita in una realtà difficile, che ci proponiamo sempre di far conoscere secondo una rappresentazione più vera, più onesta e dignitosa per loro e non più comoda per noi e per le nostre coscienze.
Abbiamo stimato un costo per l’iniziativa pari a circa 2.300 euro (costo edizione 2014: 2.103 euro). Dipenderà soprattutto dalle spese di viaggio, ancora da definire. Non abbiamo residui dall’edizione del 2015, ma CNJ onlus devolverà l’intero fondo 5X1000 sul reddito 2012. Con l’aiuto e la partecipazione di volontari, potremo assicurare anche il vitto per il periodo a costi contenutissimi. Abbiamo però bisogno di raccogliere ulteriori fondi e quindi, per chi può e vuole, è possibile sottoscrivere per l’iniziativa utilizzando le seguenti coordinate:
CONTO BANCOPOSTA n. 88411681 intestato a JUGOCOORD ONLUS, Roma
(IBAN: IT 40 U 07601 03200 000088411681)
causale: erogazione liberale per iniziativa Na more con amore
Per qualsiasi informazione in più o chiarimenti sulle modalità di sottoscrizione:Samantha Mengarelli, e-mail: n a m o r e c o n a m o r e @ g m a i l . c o m
Vi aggiorneremo sul programma e sugli sviluppi dell’iniziativa. Grazie per l’attenzione e un caro saluto
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - onlus
Non Bombe ma Solo Caramelle - onlus
Diario di una giovane ucraina da Majdan a oggi
Komsomolskaja Pravda sta pubblicando da alcuni giorni a puntate il diario di una giovane ucraina in cui questa, sotto il titolo “Giorni maledetti”, racconta gli avvenimenti nel paese, a partire dalla fine del 2013, fino a oggi.
Con molto azzardo KP (che non pubblica il nome della donna, “per non metterla in difficoltà”) paragona questi “Giorni maledetti” dell’Ucraina odierna a quelli descritti, pure in forma di diario, da Ivan Bunin nel 1918 e ’19, dal suo punto di vista di nemico della Rivoluzione d’Ottobre, che collaborò con l’esercito bianco nel sud della Russia, prima di fuggire in Francia.
I moderni “Giorni maledetti” non compiono analisi classiste della società ucraina, trascurano qualsiasi riferimento alle mire internazionali che hanno portato al golpe fascista del 2014 e che stanno tuttora orientando le scelte di Kiev e, soprattutto, in essi le cannonate e i bombardamenti sul Donbass risuonano appena, quel tanto che basta a spaventare i kievliani quando la guerra bussa alle porte di casa sotto forma di cartolina precetto.
Alcuni lettori di KP mettono addirittura in dubbio l’autenticità di questo “diario”. Un lettore di Ufa se ne dice impressionato ma, chiede, “non si sarebbe potuto trovare un documento simile per la nostra provincia russa: sull’aumento dei prezzi, sugli espedienti della gente per sopravvivere alla crisi, su disoccupazione, sull’immiserimento dei pensionati e l’arricchimento degli alti funzionari, sugli arbitrii di polizia e procure?”. Uno di Novosibirsk, invece, scrive che “per 20 anni in Ucraina è stata condotta una derussificazione di massa; la gioventù è stata educata su “Moskaly passati al coltello” e “morte ai nemici”, slogan ripetuti dai tantissimi collaborazionisti fuggiti al seguito dei nazisti e rientrati nel 1991, che negano il ruolo di boia di OUN-UNA-UNSO. E’ cresciuta così una generazione di assassini, che ora nel Donbass scrivono sui proiettili d’artiglieria “Crepate, bestie”, mirando a scuole, ospedali, asili, ecc. Se non sosterremo coloro che in Ucraina sono davvero nostri fratelli, per il nostro tradimento pagheranno i nostri nipoti e pronipoti”.
In sostanza, tutto il diario è estremamente soggettivo, a tratti “egoistico”, “aristocratico” e a più riprese parla di “psicosi collettiva” nel descrivere i comportamenti di molta parte della popolazione di Kiev, soprattutto nei mesi a cavallo di majdan, tra dicembre 2013 e febbraio 2014. Ciononostante, ci sembra che le sue pagine siano interessanti dal punto di vista della vita quotidiana a Kiev e della condizione materiale della popolazione ucraina, velocemente aggravatasi proprio a partire da quella “rivoluzione per l’Europa”. Ma queste pagine sono anche istruttive, in particolar modo, per certa stampa nostrana che, a due anni di distanza dal golpe, continua a parlare di una “rivoluzione” che avrebbe portato la “democrazia” e il “benessere” al popolo ucraino.
Tra parentesi e in corsivo le rare note nostre, il testo è il prodotto di una nostra sintesi di quello originale.
Majdan
Novembre 2013: Per la prima volta sono andata in majdan; per curiosità. Quanto odio per la Russia e Putin… Ho avuto paura. Gridano “Europa, Europa, Gloria all’Ucraina”. Una gigantografia di Julia Martire (Timošenko) e bandiere dell’UPA. Una presa di potere anticostituzionale, ecco ciò che accade nel paese; agli ucraini piace; e invece è proprio questo che mi spaventa. A una donna che dice che i suoi parenti a L’vov non permetteranno che il presidente Janukovič rifiuti l’accordo di associazione all’Europa, chiedo “Che cosa cambia? Loro già così sono da tanti anni in Europa: badanti, inservienti, mantenute…”. La televisione dice che in majdan è tutto tranquillo; nemmeno una parola sull’autobus ribaltato ieri dai giovani eurointegratori.
Dicembre: “il mostro si dispiega”. Autentici pogrom, dappertutto; oppure un unico immenso pogrom. Da due giorni, o forse più, penso: è possibile che i tipici gesti nazisti riaffiorino dalla memoria genetica degli ucraini, i cui antenati rimasero nei territori occupati e combatterono contro l’Armata Rossa? Oggi ero di turno (la protagonista del diario, costretta a lasciare il lavoro giornalistico, è tornata a esercitare la professione di medico sportivo) all’incontro di hokey con una squadra bielorussa; i nostri giocatori gridavano “Gloria all’Ucraina. Agli eroi gloria”: ai bielorussi non è piaciuto affatto (erano gli slogan dei banderisti al soldo delle SS, mentre un terzo della popolazione bielorussa morì sotto l’occupazione nazista). E’ evidente una psicosi collettiva di metà del paese; l’abbattimento della statua di Lenin e la testa portata in majdan, ecco, questo mi ha fatto ribollire. Nel 1941, prima di Babij Jar (l’enorme fossato a nordovest di Kiev in cui SS e milizie ucraine massacrarono più di 100.000 tra ebrei, rom, prigionieri sovietici) anche i fascisti abbatterono il monumento a Lenin e risero molto; non sto a ricordare cosa ne sia stato poi dei fascisti. Ridatemi la mia Kiev; andate a combattere a L’vov, Kolomija, Rovno, Jaremče; i kievliani non vi obbligano a usare la lingua russa e allora perché la majdan occidentale vuole imporre le proprie scelte a tutta l’Ucraina? Da dove viene tanta sozzura? E dove sono le persone normali? Che cosa stanno facendo? Perché tacciono?
Gennaio 2014: l’Ucraina si sta trasformando nella Cecenia degli anni ’90. Hanno costruito una catapulta e lanciano pietre e bottiglie molotov. Alla milizia è tuttora proibito opporre resistenza. Questa non è una rivoluzione, è un pogrom nazionalista, un ritorno alle tenebre infernali del medioevo. Gruppi di contadini in corteo. Anche la giardiniera del nostro condominio vuole andare a majdan: l’amministrazione è in ritardo con lo stipendio, mentre a majdan distribuiscono soldi e mangiare ogni giorno.
Febbraio: Culmine del sabba. Al grido di “Sieg Heil! Rudolf Hess! Hitlerjugend SS!” gli attivisti di majdan bastonano le persone. Nel 1941 mio bisnonno fu fucilato insieme a tanti ebrei a Glukhov: li aveva traditi la locale “Polizei” ucraina. Oggi gli ebrei che prendono parte al sabba dicono “Janukovič ci toglie gli affari, ora noi usiamo i banderisti per abbatterlo e poi andiamo a pulirci le mani”; davvero i i soldi vi sono più cari della memoria dei vostri avi, delle tombe su cui sputate mettendovi sotto le insegne banderiste? Gente, non farete in tempo a lavarvi le mani.
La catastrofe
Primo giorno della nuova era: E’ successo. Oggi hanno seppellito gli insorti uccisi. E’ passato il catafalco e sopra stavano quelli di Pravyj Sektor coi fucili… Canale 5 ha annunciato le dimissioni di Janukovič e loro sono esplosi in urla selvagge, si sono scordati dei funerali, si complimentavano l’un l’altro, tutti felici e contenti. Nei quartieri dormitorio di Kiev girano drappelli che pretendono dalle persone soldi per la rivoluzione; tolgono anelli e orecchini alle donne. Oggi ho parlato con un ufficiale del Berkut: è stanco, non ne può più; dice che avrebbero potuto controllare tutto, in fretta e senza tanti sforzi; i Berkut capiscono di essere stati traditi, sono diventati ostaggio della situazione.
In un rione di Kiev c’è una piccola macelleria; il proprietario, un ebreo, produceva da solo insaccati e carne, vendeva a credito. Gli hanno ricoperto interamente il negozio di svastiche e buttato all’aria la merce.
Secondo giorno: A Rovno un combattente è entrato al Consiglio municipale col kalašnikov; ho visto in TV le facce dei funzionari; impressionante; sono sicura che adotteranno le decisioni “giuste”. Con il pretesto di “esigenze rivoluzionarie” hanno svaligiato l’abitazione dell’ex vice speaker della Rada. Il presidente di Svoboda, Tjagnibok, ha proposto che sui documenti dei russi venga apposto il timbro “non cittadino ucraino”. Nelle strade svastiche dappertutto, scritte “moskaly passati al coltello” (moskaly è l’appellativo spregiativo per russi), gli ebrei d’ora in poi saranno giudei, ecc. Una catastrofe non di oggi; dura da 23 anni: questo è il suo culmine.
Marzo: La Crimea ha preso il largo, mordetevi le mani!
Primo giorno: Ora ci dicono che ucraini e russi non sono affatto fratelli. Un professore di Kiev spiega che Genghis Khan era in realtà il cosacco Bogdan e gli studenti ci credono. Ieri i popi uniati hanno predicato il pieno e definitivo annientamento della Russia e dei russi, in quanto paese e popolo diavoli. Timošenko ha scritto a Taras Ševčenko (grande poeta e nazionalista ucraino del XIX secolo): “Salute a te Taras! Oggi, in questo glorioso giorno di primavera, possiamo dire di aver adempiuto la tua volontà, il tuo comandamento”. Dio, salvami da questi mezzo idioti! Alle fermate degli autobus graffiti di svastiche e kalašnikov. Ho nostalgia di Janukovič: su questo sfondo di schizofrenia egli mi appare responsabile e adeguato.
Secondo giorno: l’oscuramento dei canali russi è una misura repressiva, soprattutto nei confronti degli anziani. Alcuni dicono “Volevamo solo cambiare in meglio la nostra vita. Pensavamo: in tre settimane risolviamo tutto. E invece ne è venuta fuori questa melma. Chi l’avrebbe immaginato…”.
Continua…
Diario di una giovane ucraina da Majdan a oggi
Donbass
Aprile: siamo in ansia – se l’est si stacca e va con la Russia (in aprile iniziarono le operazioni contro il Donbass), con chi rimaniamo noi a Kiev?
Maggio: 9 maggio (anniversario della vittoria sul nazismo) a Kiev grandina; a est “Grandine” (i razzi Grad). Ci sono uomini che urlano “Vado nel Donbass e li faccio a pezzi, li prendo a fucilate, quei katsapi-traditori”. Vado al policlinico. Anche lì un uomo sui sessant’anni urla “Che li bombardino quei katsapi!” (katsapi è un termine ancora più spregiativo di moskaly per indicare i russi: più o meno corrisponde a caprone, che è l’appellativo più offensivo nel linguaggio carcerario russo). Una donna invece grida al telefono “Dimmi: viaggiano i treni da Donetsk? Assicuratene e vieni via oggi stesso”. Non sono assolutamente staliniana, ma mi rincresce che non ci sia più un paese unico, l’Urss e il male di alcuni non riguardi anche gli altri.
Giugno: giornate infami; persino non maledette, ma semplicemente infami. Una 50enne al fitness club “Li sterminiamo quei terroristi di Donetsk; facciamo piazza pulita, come in Europa. Ora abbiamo un buon governo”. I politologi di Kiev definiscono gli 8 milioni di russi d’Ucraina “merda che sbuca da tutte le fessure, che va pulita e eliminata” e così fanno. (Nota di Komsomolskaja Pravda: i russi in Ucraina sono diminuiti: al censimento sovietico del 1989 si dichiaravano russi 11,36 milioni; già nel 2001 erano 8,33 milioni: la propaganda e le agevolazioni accordate negli studi e nel lavoro ai giovani che sceglievano la nazionalità ucraina hanno fatto breccia).
A due cantanti che si esibiscono in Russia, hanno dato alle fiamme due ristoranti e un appartamento; sui muri dell’ambasciata russa semidistrutta, corone funebri e parole irripetibili. Per tutta la mattina chiedo a qualcuno di commentare gli avvenimenti a est. Dicono “è spiacevole uccidere i civili”, ma qualcuno deve farlo. E’ il prezzo della guerra! Sono sconvolta.
Agosto: pazzia giallo-turchina. Kiev è piena di soldati: ragazzi gracili e verdognoli; sull’uniforme è cucito il gruppo sanguigno. Li stanno ingannando: non garantiranno loro nemmeno le trasfusioni. I figli dei miei vicini di casa saranno richiamati alle armi: ma quale spedizione punitiva! sono vittime della pazzia. In città, ragazze in shorts e bikini raccolgono fondi per il battaglione “Ajdar”; nelle strade sempre più ragazze in nero: è chiaro chi siano. Tutto è dipinto di giallo-turchino: capitelli, ponti, spazi gioco e alberi secolari. Appare tutto come in un dispensario psichiatrico. Gioventù patriottica in città: “la Guardia nazionale uccide a Donetsk e Lugansk. Che guerra è? A chi serve? Io non voglio partire”. Nessuno vuole partire.
Il fondo
Settembre: gli studenti di Ivano-Frank bruciano il fantoccio di Putin e gli insegnanti dirigono il coro. Hanno portato nudo in piazza il futuro deputato Gavriljuk, perché con un’accetta ha mandato in rianimazione un diciottenne richiamato alle armi. Di Gavriljuk oggi è piena l’Ucraina: beoni, aggressivi, scaltri; ecco, ora lui è in politica.
La foschia di majdan si dissipa
Ottobre: Hanno smesso di gridare “Gloria all’Ucraina”. Vasilij, il mio antennista, guarda i canali ucraini; sua moglie, originaria di Ivanovo (300 km a nordest di Mosca) guarda quelli russi e poi se li raccontano. Hanno convinto Vasilij che i russi non siano slavi e dunque vuol capire cosa sia sua moglie. Invece la mia vicina esige proprio da me che la Russia ceda all’Ucraina la regione di Voronež. Sono uscita sul balcone: ho sentito 6 volte il nome di Putin; una volta hanno detto “Che Putin ci conquisti al più presto!”. L’operazione per dividerci non pare aver successo.
14 ottobre: anniversario dell’UPA, la loro festa. Juščenko aveva attribuito il titolo di eroi a Bandera e Šukevič; Porošenko ha istituito la festa ufficiale di stato in loro onore. Per curiosità sono andata a veder la loro marcia. Gridavano “Gloria all’Ucraina”. Poco distante degli anziani giocavano a scacchi come se nulla fosse. Dai racconti del mio anziano vicino so come dietro alle mitragliatrici che falciavano gli ebrei a Babij Jar ci fossero gli ucraini, in uniforme nera con il distintivo giallo del tridente; i tedeschi si limitavano a gridare “Feuer, Feuer”. La metà dei giovani, ragazzi e ragazze, che incontro in strada portano la maglietta con quel tridente. Una specie di reincarnazione degli assassini.
Kiev è diventata un’enorme mercato delle pulci; si vende di tutto: libri, vasi, servizi, bicchieri, vecchie pellicce, mantelle, abiti dei mariti morti, quadri, ferri da stiro, posacenere (secondo le statistiche, il tenore di vita della popolazione è precipitato da +16% reale nel 2010, con 1.529 grvne di reddito medio ufficiale, a -22% nel 2015, con 2.590 grivne di reddito ufficiale). Di regola, il 1 ottobre si accendono i riscaldamenti negli ospedali; la Russia ha chiuso il gas all’Ucraina; i pazienti congelano, per non parlare dei bambini. Jatsenjuk dice che accenderà i termosifoni solo a gennaio.
Ho notato che a ogni balcone c’è una parabola, a volte anche due. Chi vogliono ingannare con il divieto dei canali russi? Ho saputo che qui da noi c’è un club hokeystico giovanile che si chiama “Berkut”, diretto da oltre un anno da un allenatore professionista di Mosca: vanno orgogliosi del nome del club e non intendono cambiarlo. Tra l’altro, gli hokeysti hanno smesso di gridare “Gloria all’Ucraina – agli eroi gloria”, come l’anno scorso. Secondo testimoni, in Crimea molte donne possono infine permettersi di mangiare carne e di comprarsi qualche vestito, mentre gli uomini girano con le magliette con l’immagine di Putin e la scritta “A chi non piaccio, è libero di spararsi”. E qui: come si fa a vivere, a lavorare? L’infermiera Nadia oggi mi ha detto, in perfetto russo con un leggerissimo accento ucraino, che a quelli come me “bisogna schiacciare la testa vuota sul muro”, perché io sarei contro l’Ucraina.
Mi hanno dato un volantino con l’immagine di Putin tracciata in nero e la scritta “Noi, semplici credenti della setta di Geova, dichiariamo che Putin è Satana. Venite alla nostra riunione. Insieme salveremo l’Ucraina”. Poi era spiegato il perché della guerra in Ucraina: “le persone hanno scordato i comandamenti. Bevono, rubano, si drogano, fornicano e tutto questo l’hanno imparato da Putin”. I tempi e le leggende non cambiano. Negli anni ’30 i tedeschi sostenevano che Cristo era un autentico ariano. Nel XXI secolo è diventato ucraino. Ho gettato via dal guardaroba ogni capo di colore bruno. Un’anziana sul taxi collettivo: “Come posso pagare 2.400 grivne per le medicine, se ne ricevo 1.600?”. (1.500 grivne è considerato il minimo di sopravvivenza. Secondo i dati dell’Istituto ucraino di demografia e ricerche sociali, il 33% degli ucraini si trova oggi oltre il limite di povertà, contro il 22% del 2013).
Sono andata in negozio per una nuova giacca. La proprietaria mi ha detto che l’attività sta fallendo e lei se ne va a cercar di lavorare in Russia. Ieri notte alla stazione, mentre aspettavo conoscenti, ho visto molti mezzi-barboni, uomini e donne, che dormivano sulle sedie; la milizia non li manda via, perché non hanno dove andare: che mostri morali bisogna essere per dire alla gente di Lugansk che lavora a Kiev, che “lo stipendio glielo paghi Janukovič oppure si tolgano di mezzo”. Ma qui la metà della gente la pensa davvero così.
Continua…
Diario di una giovane ucraina da majdan a oggi
Mobilitazione totale
Dicembre: Il respiro pesante degli anni ’90. Dal 1 dicembre non ci saranno più né treni né autobus da Kiev per il Donbass. Tutti sono scioccati alla notizia. Le ragazze ucraine dicono addio in massa all’innocenza; fu così anche nel 1941.
Un professore della facoltà di Giornalismo all’Università di Kiev dice “Gli slavi siamo noi. A ogni immondizia come i moschiti (altro appellativo spregiativo per indicare i russi) gli facciamo la festa, li trasformiamo in schiavi e poi li vendiamo ai cinesi”. In allenamento, un puck da hokey colpisce al petto un ragazzo; accorrono tre cardiologi vestiti da babbo natale; gli fanno le domande in ucraino e lui, in russo, risponde che non capisce; loro di nuovo in ucraino. Solo alla fine hanno cominciato a parlargli normalmente; ho chiesto loro perché avessero fatto così: “istruzioni”, hanno detto. Non hanno compassione per nessuno.
La gente compra le ossa al posto della carne, surrogati caseari invece del formaggio, verdure. Siamo alla povertà. Gli anni ’90 ci soffiano sul viso col loro respiro pesante. Ed è giunto il momento di comprare lampade a petrolio: a turno, tolgono la luce a rioni. Non capisco come facciano al teatro dell’operetta a gridare “Gloria all’Ucraina; agli eroi gloria”. Leggo le notizie: “Alla Rada suprema, durante la riunione del Comitato per la lotta alla corruzione, hanno rubato il tablet alla giornalista Anna Pisarenko”; commento del Ministro degli interni: “Anche tra i deputati ci sono delle persone disoneste”, per il resto, tutto bene! Il buffo è che riunendo alla Rada degenerati, cosacchi, prostitute, malati mentali e ladri vari, sono convinti che qualcosa dipenda dal governo: ma sono già 23 anni che nulla dipende dal governo. Prendiamo Kličko: lui, il sindaco di Kiev, ha trascorso il difficile e freddo autunno sul mar Morto; in Germania faceva troppo freddo. E Kiev è piena di immondizia, debiti, mezzi di trasporto non riscaldati e problemi nei condomini. Eppure ci avevano avvertito, come sarebbe stato un sindaco pugile.
In clandestinità; ora c’è come una parola d’ordine: ti offrono un cioccolatino Rošen (delle fabbriche di Porošenko) e ti dicono “lo prenda insieme al caffè”; se rispondi “da un po’ di tempo non mangio cioccolatini Rošen”, allora la conversazione ha inizio. Se invece lo accetti, silenzio.
Gennaio 2015: Ho deciso di camminare un po’ prima di andare a dormire. Nel rione dormitorio, chioschi di ogni tipo, scatole ribaltate su cui esporre la merce, “cucce per cani” in cui si vendono alcolici; lugubri uomini ubriachi e donne che fumano con strane bottiglie in mano, che parlano in uno strano miscuglio di russo e dialetto di L’vov. In centro è tutto chiuso.
Negli ospedali e policlinici di Kiev, infermiere, chirurghi, anestesiologi, rianimatori, traumatologi hanno cominciato a ricevere le cartoline precetto. Al ginnasio di mia figlia l’hanno già ricevuta anche i ragazzi che faranno 18 anni solo in primavera. Uno shock.
L’umore della gente di Kiev: “Non bisognava agire così con il Donbass”. E’ tutto un sussurrare su Mariupol, anche se in modi diversi. C’è chi vede caccia russi in cielo; c’è chi va in cerca di rifugi antiaerei. Anch’io mi sveglio con la sensazione che stiano per iniziare a bombardarci. E’ tempo che mi rivolga allo psichiatra.
Il padre della mia amica era nato a Gorlovka; era architetto e aveva costruito mezza Donetsk, tutta Gorlovka. Ha avuto così tanti premi per il suo lavoro. E’ morto di recente; mentre stava morendo non faceva che chiedere alla figlia “Lena, hanno bombardato anche tutto quello che avevo fatto io?”. Che avete da piangere, donne ucraine? Un anno fa non piangevate.
Secondo anno di pazzia
Febbraio 2015: Il giorno della loro vittoria. Teppa di majdan, drogati, bottegai, sono parificati ai veterani della Guerra patriottica; scusate, non ho parole. Come è triste Kiev. Almeno fate un’altra rivoluzione, altrimenti non ci sono che fiori appassiti e quelli nuovi per Nemtsov (Boris Nemtsov, il dissidente russo ucciso a Mosca nella notte tra il 27 e il 28 febbraio 2015. Sono noti i legami tra Nemtsov e i “rivoluzionari” ucraini: aveva partecipato alla “rivoluzione arancione” a Kiev nel 2004 ed era stato consigliere di Viktor Juščenko. Alla marcia a Mosca nel primo anniversario dell’uccisione hanno partecipato anche rappresentanti dei battaglioni neonazisti ucraini). Una mia conoscente è originaria di un villaggio fuori Kiev; dice che anche là sono arrivate le cartoline precetto, ma tutti gli uomini o sono fuggiti oppure sono disposti a farsi arrestare pur di non partire. Per la guerra partono gli imbrogliati, i “Losers” hollywoodiani e i patrioti coi soldi. Tutti sanno che è una mattanza. Il fatto curioso è che il 60% dei disertori proviene dall’Ucraina occidentale. Un anno fa erano venuti a Kiev a gridare “moskaly passati al coltello”: li avevano pagati bene. Sugli autobus vedo sempre più diciottenni richiamati: fa male guardarli. Anche due allenatori del nostro club sono stati richiamati: hanno dato loro un vecchio giubbotto antiproiettile, uniforme, kalašnikov e torcia; il resto, per non meno di mille dollari, se lo devono comprare: con un salario di 3mila grivne, cioè 100 $. Un altro, che si era fatto tutta la majdan, vuole scappare a Tjumen (uno dei maggiori centri petroliferi della Siberia) dove lo ha invitato un club minorile di hokey. Un vicino, agente di polizia, ha fatto scorta di tutto – fiammiferi, olio, sale, farina – e poi ha detto che aspetta Putin a braccia aperte, o forse scapperà in Russia con la famiglia. L’unico canale russo ufficialmente permesso, “Dožd” (tv dell’opposizione russa) trasmette discorsi di Khodorkovskij contro la Russia.
A Krivoj Rog hanno distrutto il monumento a Karl Liebknecht: avranno almeno saputo chi fosse stato? Da più di un anno mi tormenta la stessa domanda de “I giorni dei Turbin” (piece teatrale dell’ucraino Mikhail Bulgakov tratto dal suo romanzo “La guardia bianca”, sugli ufficiali bianchi durante la guerra civile) a proposito della lingua ucraina che nemmeno gli ucraini amano: “Chi ha terrorizzato la popolazione russa con questa lingua vile che non esiste al mondo?”.
Marzo: Ci minaccia la fame. I prezzi nei negozi vengono esposti in base al corso del dollaro; spesso li cambiano tre volte al giorno. La gente guarda e va via senza comprare nulla (l’inflazione è stata del 25% nel 2014; del 43% nel 2015. Da gennaio 2016 sono aumentate del 25% le tariffe energetiche, l’acqua del 15%, i prodotti alimentari dal 5 al 10%); ieri al supermarket le persone si uccidevano per comprare a 18 grivne tutto lo zucchero disponibile. Oggi costa già 27 grivne. Una donna: “E chi lo sapeva che non ci avrebbero preso in Europa? Noi ci credevamo. Dovevano dirci la verità”. Quante ce ne saranno di ottuse così? I limoni marci si vendono a 10 grivne; quelli normali a 49. Il ricamo meno caro costa al mercato 1.500 grivne, cioè la metà di un buono stipendio. Kiev è piena di smobilitati in carrozzella: uomini mutilati con le fasce insanguinate; si incontrano dappertutto…
Che c’è di nuovo?
Aprile: Cinque anni sotto le bandiere rosse. Sulle strade fuori Kiev uomini trasandati vendono succo di betulla, travasandolo in enormi e sudice brocche. Nei tronchi degli alberi sono conficcati accette e coltelli… le betulle stanno seccando: è tutto così doloroso e preoccupante. Oggi sono stata al meeting dei veterani sotto il monumento a Nikolaj Vatutin (il generale sovietico ucciso nel 1944 a Kiev da un gruppo dell’UPA – nota di KP) e le donne piangono; i veterani nascondono le decorazioni e i nastri di San Giorgio (simbolo della vittoria sul nazismo); oggi per quelle bandiere rosse sotto cui hanno combattuto tutta la guerra, ti danno cinque anni di galera. Ho chiesto: “dove sono i vostri figli, nipoti, pronipoti? Perché non sono qui con voi?”; mi hanno risposto: “Non li abbiamo voluti: temiamo per loro”.
Maggio: alla vigilia del 9 maggio hanno detto ai kievliani di starsene a casa, dato che la Guerra Patriottica non fu la guerra dell’Ucraina; l’Ucraina fu vittima del totalitarismo. Ma sono sicura che la gente andrà ugualmente. Sono andata a vedere. Sul viale della Gloria avevano cominciato a distribuire i nastri di San Giorgio; poi Pravyj Sektor ha provocato tafferugli e così hanno smesso di distribuirli. Kiev è inondata di mimetiche; incredibile, si celebra il Giorno della Vittoria sotto controllo degli eredi dei collaborazionisti! La gente marcia in silenzio, senza bandiere né simboli. Secondo le indagini demoscopiche, il 70% degli ucraini era contrario alla desovietizzazione e all’abolizione della dizione di Grande guerra patriottica. Ma ha vinto la democrazia! Nella notte la teppa ha divelto la lapide a Georgij Žukov.
Dopo che il gas è aumentato di sei volte, hanno preso il volo i prezzi dei multicooker; qualcuno dice che ora accenderà un fuoco in giardino per cucinare. La nipote di una mia conoscente, sei anni, è tornata dall’asilo e ha detto “Uccideremo tutti i russi. Aspetto solo crescere un po’”; la nonna le ha chiesto da chi lo avesse udito e la bambina “Tutti, genitori, maestra, anche noi si gridava così”.
Estate: Il giorno della marmotta. Nel 2013 e nel 2014 scrivevano “Abbasso la banda”; ora scrivono “Abbasso tutti” e cominciano a raccogliere firme per le dimissioni di Porošenko. Oggi la mia estetista mi ha raccontato che quelli di Pravyj Sektor, che ha il quartier generale qui vicino, ogni mattina raccolgono i contributi dai bottegai: a chi non paga bruciano il negozio.
Giugno: la rada vuol proibire la parola “Russia”; è una decisione coraggiosa, soprattutto in vista del default. Ieri a una riunione hanno ordinato ai giornalisti di istruire il pubblico su come preparare in casa zucchero, conserve e farina. Ai militari spediti a fare la guerra nel Donbass hanno tolto ogni agevolazione sociale: chi vorrà andare in guerra? In TV hanno mostrato un concorso di tatuaggi; ha vinto un uomo col tridente disegnato sul petto e poi sotto “Alla Moscovia!” e ancora più giù “Gloria agli eroi”. Gli hanno chiesto come mai non sia a est a far la guerra: ha risposto “E che, vi sembro stupido?”; sì, stupido, però furbo.
continua…
Diario di una giovane ucraina da majdan a oggi
Canaglia prokatsapy
Luglio-Agosto: Hanno lasciato il giornale nella cassetta postale. L’ennesimo grugno disgustoso di un candidato chiama all’ennesimo rovesciamento del governo. Nessuno prende il giornale: le pagine sono sparpagliate fuori dell’ascensore. Dicono che non sia rimasto più nulla dell’Ucraina. Sono rimaste solo le persone buone, di talento, intelligenti e, spesso, profondamente infelici, stanche degli inganni. All’uscita della metropolitana allungano loro il giornale “Banderisti”: essi voltano la faccia disgustati. Siamo andati con gli amici a fare al bagno al laghetto; sulla riva ci sono due coppie in costume da bagno. I ragazzi hanno tatuate sulle spalle svastiche e aquile: chiaro che arrivano dalla zona ATO (Anti Terrorističeskaja Operatsija). Presto inizia la scuola, ma sugli scaffali ci sono solo quaderni con l’immagine di Bandera; libri di testo senza Bandera o il “golodomor” (la carestia che tra il 1932 e ’33 sconvolse molte regioni dell’Urss, tra cui l’Ucraina, ma che i bandersti continuano a qualificare come “genocidio pianificato” da parte di Mosca) : solo questo chiedeva il Donbass, davvero non lo si poteva concedere, invece di trattarli con disprezzo e imporre loro la Galizia in tutte le salse? Oggi non ci sarebbe nessuna guerra.
Settembre: è iniziata la majdan comunale. Solo in Ucraina è possibile vedere ministri che lanciano lacrimogeni, agitano bastoni e i loro sottoposti tirano granate. Interessante: chi distribuirà le pentole sotto il palazzo del governo? Nel 2014, il deputato Ljaško distribuiva bastoni direttamente dalla propria jeep. L’ho visto coi miei occhi. La majdan comunale deve portare mestoli e pentole. Quest’anno non ci saranno altre mobilitazioni per l’esercito, tranne i coscritti. Tornano a Kiev giovani ucraini stanchi e abbattuti. Si danno a bere dappertutto e dicono di esser stati abbandonati, senza lavoro. Hanno combattuto contro la propria gente, mentre il presidente apriva nuovi negozi di dolci. Il governo obbliga tutti i neuropatologi a occuparsi della riabilitazione dei reduci dall’ATO. Per i più gravi ci sono già diagnosi non neurologiche, ma psichiche gravi; essi si definiscono assassini, vedono sangue nel letto e si vedono affogare nel sangue; urlano di notte. Ma ai medici è vietato diagnosticare l’invalidità; al massimo tossicodipendenza, alcolismo, alterazione cerebrale, contusioni.
Ottobre: il 29 settembre 1941 cominciarono le prime fucilazioni a Babij Jar. Domani Porošenko e Jatsenjuk porteranno le corone di fiori; l’ex presidente Leonid Kravčuk farà pentimento di fronte agli ebrei vittime dell’olocausto e chiamerà a uccidere i russi. Non è un manicomio? Ho visto una ragazzetta con la stella di David cucita; gli stessi ebrei oggi portano i simboli dei nazionalisti ucraini, i loro assassini. La caduta dell’Ucraina nel nazionalismo estremo purtroppo non è uno spiacevole episodio, ma una grave e profonda riformattazione della società, che ha di fronte ancora molte notti di San Bartolomeo. Ci sono le elezioni; in un seggio hanno appeso i ritratti di Putin e Medvedev. Accorrono i poliziotti in cerca dei malvagi separatisti. Medici e infermieri del mio policlinico o non sono andati a votare, oppure hanno annullato la scheda.
Decomunistizzazione
Novembre: 9 novembre – oggi è la giornata della lotta a fascismo, antisemitismo e xenofobia. Alla vigilia, a Lutsk (capoluogo della Volinja, la regione a forte minoranza ebrea e polacca che nel 1941-’43 subì le stragi più feroci da parte dei filonazisti dell’UPA) hanno imbrattato con vernice rossa e nera (i colori dell’UPA) la lapide a ricordo delle vittime dell’olocausto. Nella vicina regione di Rovno hanno dato fuoco alla chiesa ortodossa fedele al patriarcato moscovita dopo averla derubata di tutto: agivano così i nazisti con le sinagoghe negli anni ’30 e ’40. E’ arrivata una conoscente da Mariupol: seppelliscono senza piastrine di riconoscimento i morti nell’operazione ATO; sotto terra squillano i cellulari: apocalisse ucraina. Presto a Kiev la prospettiva “Flotta aerea” verrà ridenominata “Stepan Bandera”. Quando i tedeschi occuparono la città nel 1941, per prima cosa rinominarono strade e piazze, affiggendo targhe in tedesco. Lancio un’idea ai decomunistizzatori: interrare il patriarcato nemico, costruito dai cani-comunistoidi e utilizzarlo come bunker e deposito di armi per la guerra contro Russia e Crimea. Darne le chiavi a Jaroš (all’epoca, ancora leader di Pravyj Sektor). Hanno smantellato le lapidi ai generali Malinovskij e Žmačenko; hanno rotto il bassorilievo a Lunačarskij (Ministro dell’istruzione nel primo governo sovietico nel 1917 e fino al 1929). Nel centro di Kiev celebrano la giornata del “golodomor”; poco distante, saccheggiano gli uffici di Rinat Akhmetov (considerato il più ricco magnate d’Ucraina).
Harakiri politico
Dicembre: folla al museo “Taras Ševčenko” di Kiev per la mostra “Donbass: come era prima della guerra”; le persone sono scioccate: davvero era così? Per tanti anni hanno raccontato loro che là vivono dei deficienti e che bisogna “circondare il Donbass col filo spinato”. E’ comparsa una nuova organizzazione, il “Movimento di destra”, con il simbolo del battaglione “Azov”, lo Schwarze Sonne: arruolano gente per la lotta contro “l’oppressione giudeo-moskaly”. L’Ucraina ha fatto harakiri politico sotto gli occhi di tutti, spruzzando sangue sugli astanti. I pensionati sono alla fame. Assoluta atrofia della popolazione. Nelle case solo poche luci: la gente fa economia. Depressione dappertutto. Sono andata a pagare le spese condominiali: ci ammazzano. Da 25 anni non vedevo un tale odio per il governo. La gente vuole il ritorno di Janukovič: è ridicolo, anche se triste. Nel centro di Kiev hanno addobbato un abete a forma di cioccolatino “Rošen”, con palline dorate quale simbolo di gioia e felicità. Tutt’intorno, giacciono barboni; le persone passano e fanno selfie. Hanno approvato il bilancio per il Natale cattolico: roba da annichilire i cittadini. Kievliani, abituatevi ai panini con la margarina. L’economia tedesca è cresciuta nella margarina. Buon Natale, cittadini.
Il ciuffo cosacco non è più di moda
Gennaio-Febbraio 2016: Sono andata a vedere la fiaccolata dei banderisti: ragazzi, per ora non chiamo nessuno in Ucraina; per ora non ce n’è bisogno. Hanno suonato alla porta due reclamisti; alla mia richiesta di parlare in russo, hanno risposto che non lo sanno; io ho detto che non so l’ucraino e ho richiuso la porta. Non venitemi a dire che mi comporto da stupida: chiamano la mia madrelingua “gergo da bestia-kotsapy” e io dovrei sorridere? No ragazzi, non porgo l’altra guancia.
Sono tutta raggiante di dignità (il colpo di stato del 2014 è detto ufficialmente “Rivoluzione della dignità” – nota di Komsomolskaja Pravda). E’ arrivata la bolletta del riscaldamento: per un appartamento mediocre in un quartiere dormitorio, 1.154 grivne; per l’insieme delle tariffe condominiali, 7.000: quasi tre miei stipendi. La gente in massa rifiuta di pagare; aspettano le autorità con schioppi e lupare. Molti mettono i riduttori ai termosifoni, preferendo congelare, ma il governo intende vietarlo per legge. A Kiev le donne indossano tutte gli stessi paltò e cappelli sintetici e portano borse cinesi. Gli occhi spenti, gli angoli delle labbra e degli occhi abbassati. La vita è davvero scesa al livello più basso. Per quanto riguarda gli uomini, dicono che sia crollata la richiesta del ciuffo alla cosacca: nel 2014 lo portava la metà degli uomini.
Fine