Informazione


Medvedev ha messo in dubbio la salute mentale di Obama

18 Ott 2014

Dmitrij Medvedev ha espresso la sua preoccupazione per lo stato mentale di Barack Obama. Questa la dichiarazione del Primo Ministro in un'intervista con il canale televisivo americano CNBC.
Medvedev ritiene che sia triste il fatto che il presidente degli Stati Uniti, in un discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha definito la Russia la seconda più grande minaccia per l'umanità.
«Elencando le minacce che affliggono l'umanità o le sfide che l'umanità ha di fronte, al primo posto ha messo la malattia -  la febbre Ebola, al secondo posto la Federazione Russa e solo al terzo lo «Stato islamico» (ISIS). «Io non voglio nemmeno commentare questa affermazione, è triste, è una sorta di aberrazione del cervello» ha detto dell’intervento di Obama Dmitrij Medvedev.
Il Primo Ministro russo ritiene che a questi livelli non sia possibile riavviare (i rapporti)

Fonte: http://tvzvezda.ru/news/vstrane_i_mire/content/201410151210-7qtm.htm





Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia Onlus aderisce al seguente

APPELLO PER UNA MOBILITAZIONE ANTIMILITARISTA A PISA

ed invita a partecipare alle iniziative promosse in questo ambito:
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LE GUERRE D’AGGRESSIONE CONTRO I POPOLI DELL’EST E DEL MEDIO ORIENTE PARTONO DA PISA. FERMIAMOLE!

Appello


A 100 anni dalla prima guerra mondiale l’Unione Europea si è circondata da una serie di conflitti che, per contemporaneità e gravità, non ha precedenti nella Storia recente.

Dalla Libia (distrutta dall’intervento delle forze aeree francesi, britanniche, statunitensi e italiane) all’Ucraina (sconvolta da una pressione esterna della NATO, dell’Unione Europea e degli USA che dura da un oltre un decennio) siamo di fronte ad un vero e proprio “arco di guerra” che si stringe sempre più intorno ai paesi europei e all’Italia.
I responsabili di questo bagno di sangue, che prosegue dal 1991 (anno della prima aggressione all’Iraq) disgregando interi Stati sovrani – Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Libia, Siria – e lasciando sul terreno milioni di morti sono gli stessi: Gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la loro alleanza militare, la NATO.

Di nuovo, in forme originali rispetto a 100 anni fa, le potenze colonialiste e imperialiste rispondono alla crisi cercando di strappare ai paesi emergenti e concorrenti dell'imperialismo euratlantico, potenzialmente antagonisti (Russia, Cina e paesi a loro alleati) territori, risorse naturali e mano d’opera a basso costo con la forza bruta, riportando l’intera umanità sull’orlo del baratro di un conflitto generalizzato.

In questa corsa alla guerra, la nuova classe dominante renziana non intende perdere un millimetro di spazio rispetto agli alleati/competitori europei, utilizzando al meglio il ruolo della neo ministra degli Esteri UE Federica Mogherini e della Ministra della Difesa Roberta Pinotti, impegnate attivamente a sostenere la presenza europea e italiana in ogni fronte
di guerra, dall’Ucraina alla Libia.

In questo quadro s’inserisce il rafforzamento del ruolo delle basi militari di stanza nel nostro paese. Nella nostra città, grazie al supporto attivo delle amministrazioni locali, in questi anni alcune sgradite presenze (la base USA di Camp Darby, il nuovo Hub aeroportuale dentro l’aeroporto militare Dell’Oro, la caserma dei paracadutisti Gamerra) si sono progressivamente potenziate.

È di queste settimane la notizia di un’ulteriore rafforzamento di questa presenza bellica sui nostri territori, con la costituzione alla caserma Gamerra di Pisa del Comando delle forze speciali dell’esercito (Comfose), che unifica il 9° Reggimento d’assalto Col Moschin, il 185° Reggimento Folgore di Livorno, il 28° Reggimento comunicazioni operative Pavia di stanza a Pesaro e il 4° Reggimento alpini paracadutisti Ranger con sede a Verona. A questi si aggiungerà il 26° Reparto elicotteri per operazioni speciali, destinato a trasformarsi in 3° Reggimento elicotteri per operazioni speciali.

Il Comfose sarà un centro di addestramento di "truppe combattenti", operative e pronte ad intervenire negli scenari di guerra aperti, che si rifornirà alla base statunitense e si proietterà nei vari scenari bellici attraverso l’Hub aeroportuale, trasformando il nostro territorio in una vera e propria base di lancio per ogni aggressione
contro Stati e popoli situati nel quadrante geografico d’interesse per la NATO, in sostanza metà del globo terracqueo.

Un impegno militare di enormi dimensioni per il quale si prevedono grandi investimenti economici, a favore dei quali Il governo Renzi si è messo al lavoro. 
L’attuale Presidente del Consiglio, durante il Summit Nato dello scorso 3 – 4 settembre si è impegnato ad aumentare la spesa militare italiana dall’attuale 1,2% al 2% del PIL 

In euro la spesa italiana per la «difesa» è oggi di circa 70 milioni di euro al giorno. 

Con l’impegno di Renzi di fronte agli alleati atlantici (scavalcando l’oramai inutile Parlamento italiano) farà salire la spesa militare del nostro paese a oltre 100 milioni di euro al giorno.

In un momento nel quale la disoccupazione tocca percentuali senza precedenti, l’intero sistema di welfare, insieme a salari e diritti, sono sottoposti a un attacco mortale, i lavoratori italiani dovranno pagare questa incredibile somma a sostegno di uno spaventoso meccanismo di morte, contro il quale chiamiamo alla mobilitazione tutti i militanti contro la guerra, i sinceri pacifisti e le realtà che continuano a battersi contro le aggressioni occidentali in Est Europa, in Medio ed estremo Oriente.

I promotori del presente appello propongono per le prossime settimane una serie d’iniziative sul territorio di Pisa e provincia, al fine di ricomporre un fronte di forze coerentemente schierate contro la militarizzazione dei nostri territori. 

Per 

lo scioglimento del Comando delle forze speciali dell’esercito (Comfose),

la trasformazione dell’aeroporto militare Dall’Oro in Hub esclusivamente civile

la chiusura della base USA di Camp Darby,

l’uscita dell’Italia dalla NATO, 

lo storno delle immense risorse pubbliche usate per le spese militari a favore del rilancio dell’occupazione e del potenziamento dei servizi sociali (ospedali, trasporti, scuole, Università)

invitiamo tutte le realtà interessate a comunicarci tempestivamente la loro adesione all’appello e alla serie di iniziative che di seguito elenchiamo: 

presidio / conferenza stampa di fronte alla caserma Gamerra di Pisa, sabato 25 ottobre ore 12

assemblea – dibattito giovedì 30 ottobre sui temi toccati dall’appello, alla quale saranno invitati esponenti locali e nazionali impegnati nelle mobilitazioni antimilitariste 

mobilitazione antimilitarista martedì 4 novembre ( festa delle forze armate e ricorrenza della fine della 1° guerra mondiale) in centro città.

Promotori: Rete dei Comunisti, Coordinamento No Hub, Ross@ Pisa, Partito della Rifondazione Comunista Pisa, Comitato No Camp Darby, Rete Disarmiamoli!, circolo agorà Pisa, Casa della Pace – Roma, Rete No War Roma.
Manlio Dinucci, saggista e giornalista – Angelo Baracca, docente Università di Firenze – Nella Ginatempo, ativista no war, Patrick Boylan, Peacelink / Statunitensi per la Pace e la Giustizia - Giuseppe Aragno, storico, Franco Dinelli, ricercatore CNR.

Per adesioni: contropiano.pisa@... cell. 3384014989






“Pyongyang arresta calciatori”, ma non è vero: nella bufala sono caduti tutti, anche noi


La "notizia" era stata riportata in Italia da "Nessuno Tocchi Caino", associazione attiva da anni per l'abolizione della pena di morte nel mondo. Che l'aveva ripresa da National Report, sito satirico statunitense

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10/18/calcio-nazionale-corea-del-nord-ko-con-seul-giocatori-arrestati-rischio-esecuzione/1159834/


Le autorità della Corea del Nord non hanno arrestato i giocatori della propria nazionale di calcio in seguito alla sconfitta rimediata contro quella della Corea del Sud il 2 ottobre. In compagnia di diverse testate, abbiamo considerato attendibile la “notizia”, fuorviati anche dal fatto che la circostanza era stata riportata in Italia da “Nessuno Tocchi Caino”, associazione attiva da anni per l’abolizione della pena di morte nel mondo. Che ha ripreso la presunta notizia da National Report, sito satirico statunitense. E anche noi ci siamo cascati.

Dopo la partita, riferiva l’associazione, gli atleti sarebbero stati scortati fino a un bus in attesa con il quale sarebbero stati poi trasferiti in una prigione di massima sicurezza. “Nessuno Tocchi Caino”, citata dalle agenzie di stampa, aveva ripreso la notizia dal National Report, che a sua volta citava il Rodong Sinmun, organo ufficiale del regime di Pyongyang. Secondo il sito Usa, il giornale avrebbe messo all’indice la squadra in un articolo di prima pagina, pubblicando foto dei giocatori sotto il titolo: “Gli uomini che ci hanno abbandonato”. L’articolo avrebbe descritto la “vergognosa” prestazione della squadra e si sarebbe schierato a favore dell’esecuzione dei calciatori.






http://megachip.globalist.it/Secure/Detail_News_Display?ID=110873&typeb=0

Dal PD ai nuovi nazisti: la coscienza tramortita dall'Impero

Cosa ha spinto esponenti PD ad appoggiare combattenti nazisti e tagliagole jihadisti? La metabolizzazione della sinistra nel corpo di un Impero pronto alla guerra. [Piotr]

Redazione
giovedì 16 ottobre 2014

di Piotr.

Quando l'ho visto sono rimasto scioccato. È un'esperienza dura vedere questo brevissimo documento filmato di Pandora TV. Ma è un'esperienza necessaria. Oso dire che è obbligatorio guardarlo. Perché ciò che lì accade ci è vicino nello spazio e purtroppo non ci sarà lontano nel tempo. Si tratta del massacro di Odessa.
Invito a non essere bambini e a guardarlo: http://www.pandoratv.it/?p=635
L'avete visto? Bene. Una volta avremmo detto "E' una strage nazista". Esatto! Anche adesso è così. Solo che non lo si può dire. Invece noi che siamo politicamente scorretti lo diciamo e lo motiviamo in modo semplice: sono ben tre i dicasteri di Kiev in mano a esponenti di Svoboda (Pubblica Istruzione, Ecologia e Risorse Naturali, Politiche agricole e alimentari). Inoltre è di Svoboda il vicepremierato e il Consiglio Nazionale Sicurezza e Difesa (che comprende Difesa e Forze Armate - il vicesegretario è sempre un nazista, ma di altra parrocchia). Il ministero della Gioventù e dello Sport è invece in mano all'Assemblea Nazionale Ucraina - Autodifesa del Popolo Ucraino (UNA-UNSO) così come la commissione anticorruzione nazionale. 
Svoboda è il partito dei neonazisti galiziani, il suo simbolo sono le dita della mano che formano un tridente (il tridente è lo stemma dell'Ucraina), ma tra i suoi militanti è anche diffusa la svastica e sue varianti come il Wolfsangel, che vedete qui sotto, simbolo del nucleo originario di Svoboda, il Partito Social-Nazionale di Ucraina, usato anche dagli aderenti di Settore Destro.

[FOTO: Il Wolfsangel in parata e, a destra, in azione durante il golpe di Kiev. Bella gente.]

Questo partito ha un libello ideologico intitolato "Nazionalsocialismo" ispirato al capo delle Camice Brune, Ernst Röhm e a Joseph Goebbels. Il loro slogan è "Liberiamoci dal giogo ebraico-moscovita". Coerentemente, definiscono l'attrice ucraina Mila Kunis una "scrofa" perché di madre ebrea e padre russo. UNA-UNSO è un'organizzazione paramilitare di estrema destra addestrata in basi NATO in Polonia fin dai tempi della guerra in Bosnia. È forse più un reparto militare della NATO che un partito politico. Questa formazione fa parte della federazione Settore Destro. 
E adesso vediamo cosa succede a casa nostra. 
Una cosa sulle prime sconcertante, anche se a un secondo scrutinio si rivela essere un necessario e coerente esito di una politica precisa. Ad ogni modo ho cercato conferme nella pubblicistica. E, come vedrete, le ho trovate senza fatica. E nessuna di provenienza "antimperialista".

Il PD lo scorso 14 settembre ha organizzato a Buscate, in provincia di Milano, la prima "Festa dell'Unità ucraina", con la collaborazione dell'Associazione Maidan, il patrocinio del Console ucraino a Milano, Andriy Kartysh, e il supporto del Sindaco di Buscate, Maria Teresa Pisoni. Sul palco si sono succeduti Matteo Cazzulani"Responsabile per i rapporti del PD metropolitano milanese con i Partiti democratici e progressisti nel Mondo", la giornalista Anna Zafesova, il saggista Massimiliano Di Pasquale, il "reduce del Maidan" Mauro Voerzio e il Presidente dell'Associazione MaidanFabio Prevedello.


Benissimo. Ma chi è Mauro Voerzio? Ufficialmente "tour operator" si dedica a facilitare e coordinare l'invio di italiani a combattere nelle fila dei battaglioni ucraini di volontari nazisti. Questi battaglioni sono i maggiori responsabili dei massacri di civili e delle esecuzioni a sangue freddo dei prigionieri (qui e qui). E hanno sulla coscienza Odessa.

Mauro Voerzio, questo illustre ospite alla kermesse del PD a Buscate (una vera e propria "prima assoluta nazionale"), contemporaneamente ne organizzava una tutta sua a Milano col nobile fine di raccogliere fondi per la Guardia Nazionale dell'Ucraina, tramite l'AssociazioneEuropea Italia-Ucraina MaidanTale Guardia Nazionale ha tra i suoi reparti il famigerato "Battaglione Azov", nato col patrocinio deldeputato nazista (e in aggiunta indagato per pedofilia) Oleg Ljashko e sponsorizzato dall'oligarca ucraino-cipriota-israeliano Igor Kolomojskij (il politico e giornalista russo-israeliano, Avigdor Eskin ha dichiarato: "Sarebbe giusto che la comunità ebraica lo facesse decadere da ogni carica e lo espellesse da tutte le sue organizzazioni ... È intollerabile che un nostro correligionario dia soldi a persone che indossano la svastica nazista.").

[FOTO: http://megachip.globalist.it/QFC/NewsExtra_220067.jpg ]

E chi ha co-fondato con Voerzio questa benemerita associazione? Tirate a indovinare. Ma sì, proprio Fabio Prevedello l'altro illustre ospite della "Festa dell'Unità ucraina" targata politicamente PD.
Così è. Un semplice dato di fatto. Ma visto che l'attività degli illustri ospiti non era un mistero (li hanno scelti non a caso), vale la proprietà transitiva. E quindi questi semplici dati di fatto costituiscono una catena che con solo tre gradi di separazione ci porta dal PD metropolitano milanese ai battaglioni nazisti in Ucraina

Ma c'è un ancor più inquietante prolungamento, o diramazione. State un po' a sentire.

Se Prevedello e Voerzio erano gli illustri ospiti del PD a Buscate, chi era invece l'illustre ospite della parallela kermesse milanese della loro associazione? Be', qui siamo all'apoteosi. Era Francesco Saverio Fontana, alias François Fontaine, alias Stan.

Ecco alcune sue significative dichiarazioni:
1. "Da giovane militavo in Avanguardia Nazionale [era infatti amico di Delle Chiaie]. Sognavo un giorno di prendere parte a una vera rivoluzione patriottica. Questa è la mia ultima opportunità per farlo: come potevo lasciarmela sfuggire?".2. "Non c'è spazio per i sentimentalismi. Questa è la guerra. Sono qui per uccidere".3. "Ero a Odessa il giorno del rogo".

Eccolo qui sotto alla kermesse degli ospiti del PD milanese (è quello col Wolfsangel al braccio). Mettendo insieme le sue dichiarazioni, la domanda che viene spontanea è: l'ultima affermazione è un dato di fatto o è orgoglio mal celato?

[FOTO: http://megachip.globalist.it/QFC/NewsExtra_220068.jpg ]

Finiamo alla grande con il piddino Matteo Cazzulani. Questo individuo ha un pallino per l'Ucraina. Fece parte, assieme all'eurodeputato piddino Gianni Pittella, di una missione europea a Kiev alla vigilia del golpe. Tornò con le idee molto chiare: occorre strappare a tutti i costi l'Ucraina dalla sfera d'influenza russa.

La verità è che Viktor Janukovyč era già abbondantemente filoccidentale e l'Ucraina era già abbondantemente nel campo economico europeo. Aveva però pensato che rimanere in una posizione di cuscinetto in termini geopolitici, e parzialmente in termini economici, sarebbe stato vantaggioso per lui e per l'Ucraina. Mai conti furono più sbagliati! Non aveva capito che l'epoca della globalizzazione stava velocemente concludendosi per aprire quella dei blocchi contrapposti, sia economicamente sia geopoliticamente. 
Cioè quel tipo di fase che portò alla Seconda Guerra Mondiale. 
Quindi è del tutto falso che Janukovyč fosse filo-russo. È invece del tutto vero che il golpe di Kiev serviva a perfezionare la separazione dell'Europa dall'Est, iniziata con le guerre dei Balcani e proseguita con le "primavere arabe", e nel contempo alzare un vallo militare [1].
Dalle sue dichiarazioni, Cazzulani sembra un esecutore ligio di questa strategia, che ovviamente non ha nulla a che vedere con gli interessi italiani ed europei. 
È quasi inutile sottolineare che la coppia Cazzulani-Pittella è stata grande sostenitrice "umanitaria" di Yulia Tymoshenko, l'oligarca così democratica che subito dopo il golpe nazista che l'ha rimessa in sella ha dichiarato che i Russi in Ucraina dovevano essere sterminati con le armi nucleari (nella pagina linkata c'è anche un video dove, pensando di non essere registrata, la Tymoshenko suggerisce di attaccare i veterani russi della guerra antinazista). Questa è la criminale il cui ritratto campeggiava a Roma in piazza del Campidoglio come vittima della repressione e su cui tutti eravamo invitati a piangere e a indignarci.
Come si vede non è assolutamente un caso che il Cazzulani e i patron di neonazisti Voerzio e  Prevedello si siano trovati assieme sul palco di Buscate, benedetti dal PD milanese. Dio li fa e poi il PD li accoppia.
In questo caso la volontà dei soggetti è chiarissima. Posso invece lasciare il beneficio dell'ignoranza riguardo un altro vergognoso palco dove il PD si accoppiò ai più alti livelli (Bersani, all'epoca segretario) con un estremista anti-Assad, reo, in senso tecnico, di crimini di guerra (uccisione di prigionieri - storia rivelata dal New York Times).

Cosa è successo è stato già raccontato e quindi non lo ripeto. Resta il fatto che anche se concediamo il beneficio dell'ignoranza, il PD non ha mai fatto atto di costrizione né chiesto scusa, quanto meno ai famigliari dei soldati siriani uccisi dall'ospite dell'allora suo segretario.

Dovrebbe essere molto interessante per la magistratura italiana valutare in punta di diritto (internazionale e interno) se chi fa strage fra i siriani e gli ucraini debba o non debba essere arrestato una volta rientrato in Italia. Ma così finora non è stato. Quanto durerà lo scudo di omertà e alte protezioni che salvaguarda la soldataglia di ventura del XXI secolo?.

A questo punto è necessario chiedere a tutta la sinistra cosa non ha funzionato nel proprio apparato critico per arrivare a una situazione in cui gli stessi che parlano (totalmente a vanvera) di "antifascismo", che vanno in piazza (sempre più stancamente) il 25 aprile a celebrare la liberazione dal giogo nazifascista, poi sostengono forze criminali vomitevoli, dichiaratamente e orgogliosamente naziste, al punto che qualcuno di loro a livello governativo, come il ministro Roberta Pinotti (ex PCI-PDS-DS e ora PD), in maggio era pronto a inviare i nostri soldati a combattere a fianco di battaglioni con la svastica proprio contro chi storicamente sconfisse il nazismo. 
Da un certo punto di vista non è altro che il ripetersi della Storia, un ritorno alle origini: la sinistra può servire coscientemente interessi reazionari. Lo ha sempre fatto, come è dimostrato dall'uccisione della comunista Rosa Luxemburg da parte del più grande partito di sinistra europeo di allora, il Partito Socialdemocratico Tedesco. È triste, ci siamo illusi, ma non possiamo dire che sia una sorpresa.

Per intenderci, d'ora in avanti mi riferirò alla sinistra col termine "progressisti" e al comunismo con quella di "movimento per l'emancipazione". Due cose distinte. 

Oltre alla macro-giustificazione storica, occorre cercare di capire i micro-processi, quelli in cui siamo coinvolti tutti noi. Ed è qui che la distinzione precedente entra in gioco.
Ripensiamo alla povera donna incinta trucidata a Odessa da questi ratti schifosi, a quella ragazza violentata e poi bruciata e a queste due vittime, una giovanissima madre con la figlioletta, morte sotto i bombardamenti governativi a Gorlovka, Ucraina orientale.

[ FOTO: http://megachip.globalist.it/QFC/NewsExtra_220069.jpg ]

La pubblicazione di queste foto su un blog italiano ha richiamato commenti come i seguenti: «Ecco, ora non potrete più sbandierare il tricolore russo», «Due filo russe di meno».

So che vi chiedo uno sforzo, ma concentratevi per qualche secondo su queste tre situazioni, provate a ricostruire come è andata, le grida, il terrore, il dolore, la morte.

Coraggio!
L'avete fatto?

Bene. Ecco allora uno spunto di riflessione che sembra di primo acchito stravagante ma invece è molto pertinente: queste nefandezze sono le prodezze degli amici delle Femen
Non è un'accusa generica o una metafora, è un dato di fatto documentato. 
Come altro si può interpretare il simbolo del partito nazista Svoboda fatto da una delle fondatrici e militanti carismatiche delle Femen, Sasha Shevchenko, accanto sorridente a Edouard Iholnikov, capo del settore giovanile di Svoboda a Kiev?

[FOTO: http://megachip.globalist.it/QFC/NewsExtra_220070.jpg ]

Perché tiro in ballo le Femen? Perché rappresentano in un certo senso la sintesi di varie tecnologie usate dall'Impero per lo sterminio di ogni neurone critico. 
Qui infatti entrano in gioco - nominalmente - la corporeità, la femminilità, i diritti di genere, l'uguaglianza, la contro-morale anti-borghese, il diritto al dissenso, la lotta per la democrazia, insomma tutti temi che per la sinistra hanno un valore costituente (almeno a parole). 
Così, quello delle Femen, al pari di altri fenomeni come le Pussy Riot, diventa un vero e proprio "case study" per capire come l'ideologia imperiale abbia lavorato nelle nostre coscienze, l'abilità con cui ha usato i nostri simboli, la nostra grammatica, i nostri sogni, i nostri programmi per inocularci la sua immagine di mondo e farci deragliare. Una capacità mefistofelica.
Non è forse geniale questo Impero che massacra e mette in galera i suoi Occupy Wall Street e poi sponsorizza un movimento di protesta a Hong Kong e lo chiama "Occupy central"? 
È sfrontato, ma geniale.
Ecco di nuovo i nostri simboli, la nostra grammatica, i nostri programmi al lavoro, ma in senso imperiale, non emancipatorio. Un senso, cioè, che al più può essere considerato "progressista".

Ma nemmeno questa è una novità. Abbiamo il Vaticano giusto dall'altra parte del Tevere, un'istituzione la cui storia è la testimonianza che anche le parole di un Salvatore nato in una stalla, nemico dei potenti, che ordina di non uccidere, possono essere messe al servizio di voraci, di potenti e di assassini

Così come l'imperatore Costantino ha rivoltato l'alterità cristiana, il suo essere anti-Storia, in uno strumento di egemonia e di costruzione della Storia, l'Impero attuale ha fatto la stessa cosa con l'alterità comunista degradatasi a pseudo-alterità di sinistra (e questo degrado è un lato sia soggettivo sia di classe del processo che dobbiamo analizzare).

Possiamo appioppare un termine a questo meccanismo: "Metabolizzazione costantiniana".

Occorre poi capire con quali mezzi è avvenuta questa metabolizzazione (uso il passato perché è un processo già molto avanti, quasi concluso), come ha agito nelle nostre esistenze, nei nostri convincimenti, nelle grammatiche della nostra vita.
Non è solo una questione rigidamente razionale di cause-effetti. È, di pari grado, una questione di coscienza.
E non è nascondendo la testa sotto la sabbia che si evita di fare i conti con la propria coscienza. Alla fine saremo costretti a cercare di capire se una coscienza ce l'abbiamo oppure no

Siamo infatti di fronte a un punto di non ritorno, un punto in cui la domanda sarà secca: "Ce l'ho o non ce l'ho una coscienza?" 

Dobbiamo capire perché dopo Odessa nessuno di noi ha sentito il bisogno di andare in piazza a urlare il proprio sdegno. A dire: "Basta! Mai coi nazisti! Non vogliamo un governo nazista in Europa! Basta coi loro alleati in Italia, maestri di cinismo e nemici della Costituzione!".
Perché non lo abbiamo fatto? Perché ancora non sentiamo il bisogno di farlo? Non lo sapevamo? Ce lo hanno tenuto nascosto? Be', adesso lo sappiamo! Eccome se lo sappiamo!

Vogliamo ancora distogliere lo sguardo, far finta di non vedere perché ci spaventa troppo riconoscere che seguivamo il nostro avversario? Ma non ci aveva già avvertito Bertold Brecht: «Quando è l'ora di marciare molti non sanno che il nemico marcia alla loro testa»?

Poteva capitare, lo abbiamo sempre saputo. 

E ora che quel brutto momento è arrivato per davvero che facciamo? Gli scongiuri? Vogliamo illuderci che sia uno sbaglio passeggero? La vogliamo buttare nella pattumiera questa deleteria categoria di "sbaglio"? Una politica cosciente e prolungata, anzi, preparata, non è uno "sbaglio", così come Odessa non è un "eccesso", ma un programma. 

Badate, ad esempio, che da Wikileaks si evince benissimo che il nostro ministro degli Esteri da anni collabora alla politica estera della Nato, benché debba dire che Federica Mogherini non sia assolutamente la peggiore di tutti e, anzi, posso ancora sperare in un suo soprassalto di dignità democratica (suvvia, Federica!). Comunque è persino infantile scandalizzarsi: con che altri criteri si dovrebbe nominare il ministro degli Esteri di un Paese appiattito sulla Nato, che dalla Nato accetta ogni sfregio alla sua Costituzione nata dalla Resistenza? La più bella del mondo, dicevamo, te lo ricordi Federica Mogherini? Ma era un'altra epoca geologica.
Vogliamo continuare a fare i bambini che chiudono gli occhi pensando di non essere visti, pensando cioè che il mondo rimane fuori?
Non c'è nulla di più penoso che vedere un adulto che si comporta da bambino di fronte a una situazione tragica, dove ci sono centinaia di migliaia di persone che chiedono un aiuto, il nostro aiuto. Sono quasi tutti donne, bambini e vecchi. Massacrati.
Tra loro, tra poco, ci potranno essere le nostre donne, i nostri bambini e i nostri vecchi. Non crediate di cavarvela mettendo la testa sotto la sabbia per non prendere decisioni. Ci saranno anche loro nella conta e prima di quanto si pensi o si speri.

Si è ormai messa a punto l'Eurogendfor, la gendarmeria europea che sarà al di sopra di ogni legalità e di ogni diritto nazionale. Per ora si prevede il suo utilizzo in "aree di crisi" (prego, spiegare i confini delle "aree di crisi"). 
Non conoscevate questa istituzione? Non sapete allora nemmeno delle raccomandazioni del Parlamento Europeo in base alle quali in Valsusa vengono inviati reparti degli Alpini reduci dall'Afghanistan e i ragazzi No-Tav sono trattati come terroristi (e ad aprire la via fu il giudice Caselli, una punta di diamante dello schieramento progressista - riprova che progresso ed emancipazione possono entrare in rotta di collisione). 
Perché in Italia siamo solerti ad eseguire le più sconce direttive della UE. Anzi, spesso le anticipiamo e persino le peggioriamo, come il pareggio in bilancio nella Costituzione, non solo non richiesto obbligatoriamente dal Patto di Stabilità, ma persino decretato prima dell'approvazione del patto stesso! 
Attenzione dunque, perché tra non molto il G8 di Genova sarà ricordato come Disneyland.

Accanto alle vecchie e nuove forze di repressione agiranno verosimilmente squadracce di picchiatori. Se nazisti italiani possono andare a uccidere in Ucraina, perché nazisti ucraini non possono colpire scomodi bersagli in Italia? Stesso discorso per gli jihadisti. Il "timore" dei governi occidentali per il loro rientro può rivelarsi essere in realtà una minaccia a chi ha orecchie per intendere. Le intimidazioni in Italia contro chi denuncia le loro nefandezze in Medioriente e Ucraina sono iniziate da tempo e questa doppia arma imperiale nazi-fondamentalista ha grandi potenzialità. Difficilmente l'Impero la sprecherà - a meno che il suo uso diventi troppo controproducente e generi delle reazioni non previste - perché siamo a un punto talmente concitato della crisi che l'Impero non fa più nemmeno in tempo a costruire menzogne ben confezionate. Gliene è saltata una dopo l'altra a un ritmo crescente: le armi di distruzione di massa di Saddam, i bombardamenti di Gheddafi, le armi chimiche di Assad, l'indipendenza dell'ISIS, e via mentendo, nonostante la loro immensa potenza di fuoco propagandistica e ideologica.
Ciò che inquieta e preoccupa è che all'Impero sembra che nemmeno gli importi più di essere sbugiardato. Siamo al punto che lo sbugiardamento viene anticipato con una rivendicazione, come quando la televisione di proprietà della Casa Saudita dichiara che l'ISIS è di fatto un reparto militare operativo saudita comandato da un membro della Casa.
Sembra quindi che oggi metabolizzare le nostre menti non interessi più di tanto all'Impero. Perché? Non credo che si possa gioirne più di tanto, paradossalmente, perché è un altro segnale dello show-down.
Si dà ormai per scontato che la macchina propagandistica della Terza Guerra Mondiale faccia acqua, molta acqua. Non possono farci nulla, almeno per tre motivi. Il primo, purtroppo, è che sanno che le prossime mosse saranno tali da non avere alcuna possibilità di essere giustificate, se non come pura volontà di potenza. In secondo luogo, hanno troppi fronti aperti, devono preparare troppe provocazioni e quindi ormai si fa un tanto al chilo, come viene viene. Infine hanno contro la macchina informativa di sei settimi dell'umanità, che delle loro fandonie non ne possono più. Quindi danno per scontato che troppe coscienze si risveglieranno. Coscienze morse a sangue dalla crisi. E quindi, ecco le contromisure. E per quanto questa UE ci stia antipatica, dobbiamo ammettere che l'Europa non arrivava a questo punto se non sapeva che si sta per giungere a uno scontro durissimo nazionale e internazionale.

Ma tutto ciò si può evitare. Non è facile, non è immediato, la frenata prima del baratro può essere a singhiozzo, anzi sicuramente lo sarà, con scossoni, urti, sballottamenti. Tuttavia possiamo frenare questa locomotiva impazzita prima che ci trascini tutti nel burrone. Innanzitutto siamo moltissimi di più dei pazzi alla sua guida. 
Basta rendersene conto ed evitare di bloccare tutto con distinguo dogmatici e suddivisioni ridicole.

In secondo luogo le loro tecniche di persuasione hanno iniziato la fase dei rendimenti decrescenti e ne hanno paura. E credo, infine, che anche molti ai piani alti inizino ad essere spaventati dalla macchina mostruosa che hanno messo in moto.

[FOTO: http://megachip.globalist.it/QFC/NewsExtra_220071.jpg ]

NOTA: 
[1]. In un'epoca di caos sistemico, il risultato di decisioni e azioni anche di ampio respiro hanno effetti che possono essere valutati solo di volta in volta, perché anche le grandi linee strategiche, utili per una prima lettura, non hanno nulla di veramente definito e definitivo. Non di rado ciò è stato descritto come mancanza di una "grand strategy". Inoltre un'azione e una decisione non hanno un unico scopo e, ovviamente, possono avere effetti contraddittori. Nello specifico, le guerre dei Balcani inizialmente avevano uno scopo di penetrazione nel continente eurasiatico, perché la situazione di allora poteva far ritenere praticabile quell'obiettivo strategico. Le successive "primavere arabe" riflettevano più una strategia di accerchiamentodei grandi competitor internazionali degli USA. Infine la crisi ucraina sembra a tutti gli effetti l'applicazione di una nuova strategia, alternativa a quella di penetrazione, per ora accantonata, ovvero una strategia di contrapposizione di un potente blocco occidentale contro il blocco orientale e le sue diramazioni latino-americane. Ogni revisione della strategia precedente solitamente lascia dietro di sé detriti caotici dovuti al rapido mutare degli originali obiettivi di precedenti azioni.



(italiano / english / srpskohrvatski)

Putin: "Obamin pristup Rusiji je neprijateljski"

L'intervista integrale di Putin al giornale Politika, in cui si parla del pericolo neonazista in Europa e si condanna il tentativo degli Usa di accerchiare la Russia

1) Vladimir Putin ha accusato l'Ucraina e Lettonia dell'espansione del neonazismo (Vesti.ru)
2) Putin: Nazi virus ‘vaccine’ losing effect in Europe (RT / Politika)
3) ЕКСКЛУЗИВНИ ИНТЕРВЈУ: ВЛАДИМИР ПУТИН, председник Руске Федерације (Politika, 16/10/2014)


READ/ LISTEN/ SEE ALSO:

Interview with Sergei Glaziev - Advisor to President Putin (http://vineyardsaker.blogspot.com - 19/ago/2014 - Subtitles in english, french,german, and korean)
TRAD: la traduzione italiana per iscritto dell’intervista tratta dal sito «Informare per Resistere» 

Sergej Naryshkin, da 3 anni presidente della Duma, all’Italia: tra Europa e Russia gli interessi Usa (Marc Innaro, 17 settembre 2014)

La Russia non "punirà" l’Occidente con sanzioni di ritorsione (18/9/2014)

Putin: Russia’s isolation is ‘absurd & illusory goal’ (RT / Politika, October 15, 2014)

FLASHBACKS: 

Intervista a Putin rilasciata nel 2004 (Pandora TV)

Putin si scaglia contro i revisionisti della Seconda Guerra Mondiale

Putin Says Legal Initiative to Counter Nazism Timely (RIA Novosti, 3/7/2014)
http://en.ria.ru/russia/20140703/190798678/Putin-Says-Legal-Initiative-to-Counter-Nazism-Timely.html
or https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8034

Discorso di Vladimir Putin ai rappresentanti del corpo diplomatico / Putin spricht: USA wollen die Welt in eine Weltkaserne verwandeln
1 Juli 2014. Ansprache des russischen Präsidenten Wladimir Putin vor der Versammlung der Diplomaten und Botschafter des russischen Außenministeriums in Moskau. Ausschnitte. 
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=WVQsoIcevLI

Putin vs. Obama
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/7938


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Vladimir Putin ha accusato l'Ucraina e Lettonia dell'espansione del neonazismo



15/10/2014

Opporsi alla glorificazione del nazismo - è il nostro dovere comune, ha dichiarato il Presidente russo Vladimir Putin in un'intervista al quotidiano serbo "Politika", intervista data alla vigilia della sua visita a Belgrado per partecipare agli eventi dedicati al 70° anniversario della liberazione della capitale serba dagli invasori nazisti.
 
"Oggi il nostro dovere comune - opporsi alla glorificazione del nazismo" ha detto Putin. "Resistere saldamente ai tentativi di rivedere i risultati della seconda guerra mondiale. Combattere coerentemente tutte le forme e manifestazioni di razzismo, xenofobia, nazionalismo aggressivo e sciovinismo". Il leader russo ha espresso il convincimento che il contributo alla soluzione di questi problemi arriverà anche dalla celebrazione dell'anniversario a Belgrado ideato per essere un'ulteriore manifestazione della sincera amicizia dei due popoli basata su sentimenti di reciproca simpatia, rispetto e vicinanza spirituale, nonché la fratellenza dei due eserciti durante la seconda guerra mondiale. "Ci auguriamo che la conservazione della memoria storica continuerà e ci aiuterà, d'ora in avanti, a rafforzare la pace, la stabilità e la prosperità dello spazio comune europeo" ha detto il Presidente.
 
Inoltre ha espresso la sua gratitudine alla leadership serba per l'invito a visitare il paese e prendere parte alle celebrazioni. "Siamo sinceramente grati agli amici serbi per il rispetto della memoria dei soldati sovietici, che, insieme con i soldati dell'Esercito di Liberazione Popolare della Jugoslavia (AVNOJ), combatterono contro gli occupanti nazisti" ha detto il capo dello Stato. Ha ricordato come durante la seconda guerra mondiale sul territorio della ex Jugoslavia siano stati uccisi, feriti o dispersi più di 31 mila soldati e ufficiali dell'Armata Rossa. Circa 6.000 cittadini sovietici combatterono contro gli invasori nelle file dell'AVNOJ. Impresa ha portato alla nostra vittoria comune sul nazismo e rimarrà per sempre nella memoria collettiva come un esempio di coraggio e forza di volontà indomabile, di servizio disinteressato alla Patria" cita il capo dello Stato la TASS
 
"Purtroppo il "vaccino" dal virus nazista prodotto dal Processo di Norimberga in alcuni paesi europei ha perso forza. Ne sono testimonianza vivente le aperte manifestazioni di neonazismo che sono diventate abituali in Lettonia e negli altri paesi baltici" ha detto il Presidente russo. Putin ha proseguito dicendo che "di particolare preoccupazione a questo riguardo è la situazione in Ucraina, dove nel mese di febbraio si è avuto un colpo di stato anticostituzionale alla guida del quale si sono posti i nazionalisti e gli altri gruppi radicali".
 
Il Capo dello Stato ha detto che 70 anni fa, i popoli della Russia e della Serbia "insieme hanno schiacciato la criminale ideologia di odio che minacciava l'esistenza della civiltà".Anche oggi, a suo parere "è importante che la gente nei diversi paesi, nei diversi continenti ricordino quali conseguenze terribili possono provocare la fiducia nella propria eccezionalità, i tentativi con qualsiasi mezzo volti a raggiungere obiettivi geopolitici dubbi trascurando le elementari norme del diritto e della morale". "Tutto deve essere fatto per prevenire tali tragedie in futuro" ha concluso Putin.
 


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Putin: Nazi virus ‘vaccine’ losing effect in Europe

Published time: October 15, 2014

The coup d’état in Ukraine is a worrying example of growing neo-Nazi tendencies in Eastern Europe, Russian President Vladimir Putin told a Serbian newspaper. He stressed that “open manifestations” of neo-Nazism are also commonplace in Baltic states.

READ MORE: Putin: Russia’s isolation is ‘absurd and illusory goal’

“Regrettably, in some European countries the Nazi virus 'vaccine' created at the Nuremberg Tribunal is losing its effect. This is clearly demonstrated by open manifestations of neo-Nazism that have already become commonplace in Latvia and other Baltic states,” Putin told Politika newspaper ahead of his visit to Serbia. “The situation in Ukraine, where nationalists and other radical groups provoked an anti-constitutional coup d’état in February, causes particular concern in this respect.”

Below is the full text of the interview.

Politika:You are coming to Belgrade to take part in the celebrations commemorating the 70th anniversary of the city’s liberation from occupation by Nazi Germany. Why, in your view, are such commemoration events important today?

Vladimir Putin: First of all, I would like to thank the Serbian leadership for the invitation to visit Serbia and take part in the celebrations commemorating the 70th anniversary of the liberation of Belgrade from occupation by Nazi Germany.

We are truly grateful to our Serbian friends for the way they treasure the memory of the Soviet soldiers who fought together with the National Liberation Army of Yugoslavia against Hitler’s occupation troops. During World War II, over 31,000 Red Army officers and soldiers were killed, wounded or went missing on the territory of former Yugoslavia. About 6,000 Soviet citizens fought against the invaders in the ranks of the National Liberation Army. Their courage brought our common victory over Nazism closer and will always be remembered by our peoples as an example of bravery, unyielding determination and selfless service to one’s homeland.

It is hard to overestimate the importance of the upcoming events. Seventy years ago, our nations joined forces to defeat the criminal ideology of hatred for humanity, which threatened the very existence of our civilization. And today it's also important that people in different countries and on different continents remember what terrible consequences may result from the belief in one’s exceptionality, attempts to achieve dubious geopolitical goals, no matter by what means, and disregard for basic norms of law and morality. We must do everything in our power to prevent such tragedies in the future.

Regrettably, in some European countries the Nazi virus “vaccine” created at the Nuremberg Tribunal is losing its effect. This is clearly demonstrated by open manifestations of neo-Nazism that have already become commonplace in Latvia and other Baltic states. The situation in Ukraine, where nationalists and other radical groups provoked an anti-constitutional coup d’état in February, causes particular concern in this respect.

Today, it is our shared duty to combat the glorification of Nazism. We must firmly oppose the attempts to revise the results of WWII and consistently combat any forms and manifestations of racism, xenophobia, aggressive nationalism and chauvinism.

I am sure that the anniversary celebrations in Belgrade, which are to become another manifestation of the sincere friendship between our nations based on the feelings of mutual affinity and respect, on spiritual kinship, on brotherhood in arms in the years of WWII, will also contribute to addressing these challenges. We hope that the preservation of historical memory will continue to help us strengthen peace, stability and welfare of the common European space together.

Politika:How do you see the Russian-Serbian relations today? What has been achieved during the past 20 years and what future trends in the interaction between the two countries do you foresee?

Vladimir Putin: Serbia has always been and still is one of Russia’s key partners in southeastern Europe. Our nations are united by centuries-long traditions of friendship and fruitful cooperation. Their development is fostered by common interests in such spheres as politics, the economy, culture and many others.

Today, Russian-Serbian relations are on the rise. In 2013, President of Serbia Tomislav Nikolic and I signed the Interstate Declaration on Strategic Partnership, reaffirming our shared intention to promote large-scale collaboration in all key areas.

We have maintained active political contacts to discuss relevant bilateral and international issues in the spirit of confidence and agree on joint practical steps. Our governments cooperate closely within the United Nations, OSCE, the Council of Europe and many other organizations.

We are satisfied with the consistent progress in our economic relations bolstered by the existing free trade regime between our countries. In 2013, our mutual trade grew by 15 percent amounting to $1.97 billion, and, in the first six months of 2014, it increased by another 16.5 percent to $1.2 billion. We expect it to reach $2 billion by the end of this year.

A positive trend continues in the field of investment as well. The total amount of Russian investments in Serbia has exceeded $3 billion. Most of these funds have been invested in the strategically-important energy industry. One example of successful cooperation is the energy giant Petroleum Industry of Serbia, which has turned from a loss-making enterprise into a major contributor to the Serbian state budget. The South Stream project will provide Serbia with more than 2 billion euro in new investments and significantly strengthen the country’s energy security.

Serbia’s rail infrastructure is being rebuilt and upgraded with the participation of the Russian Railways and our support in the form of loans.

I am pleased to see Serbian businesses play an active part in the promising Russian market. For example, they supply high-quality agricultural and industrial products.

I would like to note another important area of our bilateral cooperation. In recent years, the Russian-Serbian Humanitarian Centre in Nis has taken part in disaster response operations in the Balkans on several occasions. Last May, Russian rescuers helped to evacuate people during a severe flood. Russian Emergencies Ministry aircraft made several flights to deliver more than 140 tonnes in humanitarian aid to Serbia.

The growing mutual interest of Russian and Serbian people in our countries’ history and culture is also evidence of deepening humanitarian relations. This autumn, Serbia is hosting Days of Russian Spiritual Culture with great success. The central event is the exhibition titled Russia and Serbia. History of Spiritual Connections, 14th-19th Century. We plan to expand cultural, educational, scientific and youth exchanges, and to promote tourism and sports events.

I am confident that my upcoming visit to Belgrade will give a new boost to the traditionally friendly Russian-Serbian relations, which will continue to grow and strengthen from year to year.

Politika:There is currently a great deal of speculation regarding the possible reduction in the supplies of Russian gas to Europe because of Ukraine's debt. Should European consumers get ready for a cold winter? What about the future of the South Stream project, which is of great interest to Serbia?

Vladimir Putin: First of all, I would like to stress that Russia is meeting its obligations in full with regard to gas supplies to European consumers. We intend to further deepen our cooperation with the EU in the energy sector, where we are natural partners, on a transparent and predictable basis.

Since the beginning of the 21st century, we have successfully implemented a number of major projects together with our European partners. This includes the Nord Stream pipeline, which is an important factor in minimizing transit risks and ensuring uninterrupted gas supplies to Europe. Over recent months, Gazprom has been actively increasing gas reserves in European underground gas storage facilities. These measures are aimed to prevent transit disruptions and meet peak demand in winter.

Naturally, we are aware of the risks generated by the Ukrainian crisis. We were forced to interrupt gas supplies to Ukraine last June because the Kiev authorities refused to pay for gas supplies they had already received. In late summer and early autumn, we held a series of consultations in a three-party format with the participation of Russia, the EU and Ukraine, where we discussed possible mutually-acceptable solutions to the problem of the Ukrainian gas debt settlement, resumption of gas supplies to Ukraine - which had been stopped by the Ukrainian side itself - and continuous hydrocarbon transit to Europe. We are ready to continue constructive talks on these issues.

As for the future of Russian gas exports to Europe, the problem of transit across the Ukrainian territory remains. One of the more obvious solutions might be to diversify the delivery routes. In this regard, we hope that the European Commission will finally make a decision in the nearest future about the use of the OPAL gas pipeline at full capacity.

In addition, we need to resolve the deadlock concerning the South Stream. We are convinced that this project will significantly contribute to integrated energy security in Europe. It will benefit everybody, Russia as well as European consumers, including Serbia.

Politika:In your opinion, what is the ultimate objective of the sanctions against Russia, imposed by the EU and the United States? How long will they last, in your view, and how much harm can they do to Russia?

Vladimir Putin: This question should be addressed to the EU and the United States, whose reasoning is hard to understand. Any unbiased person knows that it was not Russia who staged the coup d’état in Ukraine, which led to the grave internal political crisis and a split in society. An unconstitutional seizure of power was the starting point for the subsequent events, including the ones in Crimea. The people of Crimea, seeing the complexity and unpredictability of the situation and in order to protect their rights to their native language, culture and history, decided to hold a referendum in full compliance with the UN Charter, as a result of which the peninsula re-joined Russia.

Our partners should be well aware that attempts to put pressure on Russia with unilateral and illegitimate restrictive measures will not bring about a settlement, but rather impede the dialogue. How can we talk about de-escalation in Ukraine while the decisions on new sanctions are introduced almost simultaneously with the agreements on the peace process? If the main goal is to isolate our country, it’s an absurd and illusory goal. It is obviously impossible to achieve it, but the economic health of Europe and the world can be seriously undermined.

With regard to the duration of the restriction measures, it also depends on the United States and the European Union. For our part, we will adopt a balanced approach to assessing the risks and impact of the sanctions and respond to them proceeding from our national interests. It is obvious that the decline in mutual confidence is bound to have a negative impact on both the international business climate in general and on the operation of European and American companies in Russia, bearing in mind that such companies will find it difficult to recover from reputational damage. In addition, it will make other countries think carefully whether it is wise to invest their funds in the American banking system and increase their dependence on economic cooperation with the United States.

Politika:What do you think the future holds for Russian-Ukrainian relations? Will the United States and Russia re-establish a strategic partnership after all that has happened, or will they build their relations in a different way?

Vladimir Putin: As for Russia, its relations with Ukraine have always played and will continue to play a very important role. Our nations are inextricably linked by common spiritual, cultural and civilizational roots. We were part of a single state for centuries, and that huge historical experience and millions of intertwined fates cannot be dismissed or forgotten.

Despite the current difficult stage in Russian-Ukrainian relations, we are interested in progressive, equitable and mutually-beneficial cooperation with our Ukrainian partners. In practice, this will become possible after sustainable peace and stability are achieved in Ukraine. Therefore, we hope to see an end to the protracted deep political and economic crisis.

Today, there is a real opportunity to end the armed confrontation, which actually amounts to a civil war. The first steps in this direction have already been made. It is vital to start a real intra-Ukrainian dialogue as soon as possible involving representatives from all the regions and political forces. This approach was documented in the Geneva Statement of April 17. Such a nationwide dialogue must focus on Ukraine’s constitutional structure and the future of the country, where all the citizens with no exception will live comfortably and in safety.

As for Russian-US ties, our aim has always been to build open partnership relations with the United States. In return, however, we have seen various reservations and attempts to interfere in our domestic affairs.

Everything that has happened since the beginning of this year is even more disturbing. Washington actively supported the Maidan protests, and when its Kiev henchmen antagonized a large part of Ukraine through rabid nationalism and plunged the country into a civil war, it blamed Russia for provoking the crisis.

Now President Barack Obama in his speech at the UN General Assembly named the “Russian aggression in Europe” as one of the three major threats facing humanity today alongside with the deadly Ebola virus and the Islamic State. Together with the sanctions against entire sectors of our economy, this approach can be called nothing but hostile.

The United States went so far as to declare the suspension of our cooperation in space exploration and nuclear energy. They also suspended the activity of the Russia-US Bilateral Presidential Commission established in 2009, which comprised 21 working groups dedicated, among other things, to combating terrorism and drug trafficking.

At the same time, this is not the first downturn in relations between our countries. We hope that our partners will realize the futility of attempts to blackmail Russia and remember what consequences discord between major nuclear powers could bring for strategic stability. For our part, we are ready to develop constructive cooperation based on the principles of equality and genuine respect for each others' interests.



=== 3 ===


СВЕТ

ЕКСКЛУЗИВНИ ИНТЕРВЈУ: ВЛАДИМИР ПУТИН, председник Руске Федерације


Обамин приступ Русији је непријатељски


Руско-српски односи су у успону. – Западне санкције натераће многе земље да преиспитају колико је паметно поверавати своја средства америчком банкарском систему


У првом интервјуу неком медију на постјугословенском простору, председник Руске Федерације Владимир Владимирович Путин истакао је значај достојног обележавања великих антифашистичких јубилеја попут 70. годишњице ослобођења Београда. Правећи отворену алузију на савремени политички контекст и односе са Сједињеним Америчким Државама, Путин је истакао да „убеђеност у властиту изузетност“ може да доведе до стравичних последица. 

То није први пут да руски председник у неком страном медију критикује америчко уверење у сопствену изузетност – учинио је то пре годину дана у „Њујорк тајмсу” – али никада пре „убеђеност у властиту изузетност“ није ставио у исту раван са злочиначком идеологијом која је срушена пре седамдесет година.

Због велике заузетости, Владимир Путин је на питања „Политике” одговорио електронским путем, што му је последњих година обичај кад даје интервјуе писаним медијима. 

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Како гледате на руско-српске односе данас? Шта се на том плану постигло у последњих 20 година и каква су ваша очекивања за будућност?

Србија је увек била и остаје један од кључних партнера Русије на југоистоку Европе. Наше земље и народе уједињује вишевековна традиција пријатељства и плодне сарадње. Развоју таквих односа доприносе заједнички интереси у политици, привреди, култури, као и у другим сферама живота. Данас су руско-српски односи у успону. То ми је омогућило да са председником Томиславом Николићем 2013. потпишем међудржавну Декларацију о стратешком партнерству, која је потврдила заједничко усмерење према развоју свеобухватне сарадње у свим кључним областима. Подржавамо активне политичке контакте током којих са поверењем разматрамо актуелна билатерална питања и међународне проблеме, договарамо се о заједничким практичким корацима. Наше државе тесно сарађују у УН, ОЕБС-у, Савету Европе и у више других организација.

Да ли сте задовољни садашњим степеном сарадње Србије и Русије?

Задовољни смо доследним развојем економских веза, чему доприносии постојећи режим слободне трговине између наше две земље. У 2013. години узајамна робна размена се повећала за 15 одсто и износила је 1,97 милијарди долара, а само после прве половине 2014. године робна размена је повећаназа још 16,5 одсто, односно само за тај период она већ износи 1,2 милијарде долара. Процењујемо да ће вредност робне размене, према резултатима из прве половине ове године, износити две милијарде долара.

Позитивна динамика се огледа и у сфери инвестиција. Свеукупни опсег руских улагања у Србију надмашио је износ од три милијарде долара. Темељни део ових средстава је усмерен у стратешки важну енергетску привредну грану. Најбољи пример наше успешне сарадње јесте компанија „Нафтна индустрија Србије“, која се из предузећа губиташа претворила у главног платишу –пуниоца српског државног буџета. Реализација пројекта „Јужни ток“ мора да донесе Србији више од две милијарде евра нових улагања, али и да суштински појача енергетску сигурност земље.Уз учешће отвореног деоничког друштва „Руске железнице“ и нашу кредитну подршку остварују се и пројекти реновирања и модернизације железничке инфраструктуре Србије.Говори се о могућем смањивању испорука руског гаса за Европу због дуговања Украјине. Да ли европске потрошаче очекује хладна зима?

Пре свега желим да истакнем да Русија потпуно испуњава своје обавезе у вези са испоруком гаса европским потрошачима. Усмерени смо према даљем продубљивању сарадње са ЕУ у сфери енергетике, где смо и природни партнери на транспарентној и предвидљивој основи. Почев од 2000. године заједно са европским партнерима успели смо да остваримо низ значајних пројеката, укључујући „Северни ток“, који омогућавају да се минимизирају транзитни ризици и да се обезбеди непрекидно снабдевање гасом европских земаља. Током последњих месеци „Гаспром“ убрзано повећава залихе гаса у европским подземним складиштима. Ове мере су предузете да би се спречили прекиди у транзиту гаса и да се обезбеде комфорнији услови за превазилажење врхунца потрошње у зимском периоду. Наравно, несумњиво узимамо у обзир и ризик који је у вези са кризним појавама у Украјини. Били смо приморани да прекинемо испоруке гаса Украјини у јуну ове године јер су кијевске власти одбиле да плаћају већ испоручени гас. Крајем лета и почетком јесени ове године одржан је низ интензивних консултација у трилатералном формату Русија–ЕУ–Украјина, током којих су  разматрани могући узајамно прихватљиви расплети о питањима регулисања украјинског дуговања за гас, поновног покретања испорука горива за Украјину, што је суспендовала сама украјинска страна, и стабилног транзита угљоводоника – енергената за Европу. Спремни смо за наставак конструктивних преговора по овим темама. Но, ако говоримо о даљим перспективама извоза гаса из Русије за Европу онда је очигледно да проблем транзита преко украјинске територије још увек постоји. Једна од очигледних одлука јесте диверзификација маршрута испорука –транзита. У вези с тим рачунамо да ће Европска комисија у скорије време регулисати коначно питање о коришћењу у пуном капацитету гасовода ОПАЛ.

Каква је будућност пројекта „Јужни ток“, за чију је реализацију Србија врло заинтересована?

Неопходно је деблокирање ситуације са „Јужним током“. Убеђени смо да ће овај пројекат дати битан допринос свеобухватној енергетској безбедности Европе. Од тога ће добити сви, и Русија и европски потрошачи, укључујући и Србију.

Шта је по вашем мишљењу крајњи циљ економских санкција ЕУ и САД против Русије?

Ово питање било би исправније да поставите САД и ЕУ, чију је логику тешко схватити. За било ког човека који нема предубеђења јасно је да није Русија потпомагала државни удар у Украјини, државни удар који је довео до тренутне и озбиљне унутрашњополитичке кризе и до цивилног раскола. Управо антиуставно преузимање власти на јуриш постало је полазна тачка за наредне догађаје, укључујући и догађаје на Криму. Разумевши компликован и непредвидљив развој ситуације становници Крима, бранећи своје право на матерњи језик, културу и историју, одлучили су, у пуном складу са Повељом УН,да одрже референдум, а према резултатима тог референдума полуострво Крим се ујединило са Русијом. Зато наши партнери морају прецизно да разумеју да сви покушаји притиска на Русију, преко једностраних нелегитимних и рестриктивних корака, не приближавају уређење наших односа већ само отежавају дијалог.

О каквој тежњи према деескалацији сукоба у Украјини може да се говори, ако се одлуке о новим пакетима санкција доносе и санкције уводе скоро истовремено са постизањем договора о покретању мировног процеса? Ако је главни циљ изоловање наше земље, онда је то сасвим апсурдан и илузорни циљ. Јасно је да је тај циљ немогуће остварити, иако, наравно, привредном здрављу Европе, па и читавог света при свему томе може да буде нанесена велика штета.

До када те санкције против Русије могу да трају и колико могу да нашкоде Русији?

Што се тиче рокова трајања рестриктивних мера, то такође зависи од САД и ЕУ. Са наше стране, ми ћемо избалансирано приступати процењивању ризика и последица примене санкција, па ћемо на њих реаговати полазећи од националних интереса. Очигледно је да снижење узајамног поверења не може а да не изврши негативан утицај како генерално на међународну пословну климу, тако и на делатност европских и америчких компанија у Русији, за које неће бити лако да ликвидирају штету свом угледу. Истовремено ће се и друге земље замислити колико је паметно поверавати своја средства америчком банкарском систему и јачати зависност од економске кооперације са САД.

Како видите будућност руско-украјинских односа?

За Русију су односи с Украјином одувек били и даље ће бити од великог значаја. Наши народи су нераскидиво везани заједничким духовним, културним и цивилизацијским коренима. У току више столећа смо живели у јединственој држави па ово огромно историјско искуство, узајамну повезаност милиона судбина није могуће прецртати, нити заборавити. И поред тога што је сада настала компликована етапа у руско-украјинским односима, заинтересовани смо за прогресивну, равноправну и узајамно корисну сарадњу с украјинским партнерима. У пракси ће то бити могуће након постизања стабилног мира и стабилизације ситуације у Украјини. Зато се и надамо превазилажењу продужене дубоке политичке и економске кризе. Јер, данас се појавила стварна могућност за престанак оружаног сукоба, а фактички грађанског рата. Први кораци у овом правцу су већ направљени. Неопходно је што пре почети реални дијалог унутар Украјине уз учешће представника свих регија, свих политичких снага. Такав приступ је забележен у Женевској изјави од 17. априла ове године. У оквирима таквог општенационалног дијалога потребно је предметно расправити питања о уставном поретку и будућности земље,у којој ће сви држављани Украјине без изузетка моћи да комфорно и безбедно живе.

Хоће ли између Русије и САД после свега што се догодило опет бити стратешког партнерства, или ће односи бити постављени на неке друге основе?

Што се тиче перспектива руско-америчких веза, увек смо тежили отвореним, партнерским односима са САД. Међутим, заузврат смо од стране САД добијали различите примедбе и покушаје мешања у наше унутрашње послове, а оно што се дешава од почетка ове године депримира још више. Вашингтон је активно подржао „Мајдан“ у Кијеву, те је, након што су његови штићеници у Кијеву својим разузданим национализмом изазвали нерасположење значајног дела Украјине и бацили земљу у грађански рат, почео да криви Русију да је она испровоцирала кризу. Затим је и председник Барак Обама са трибине Генералне скупштине УН укључио „руску агресију у Европи“ у списак три главне претње за човечанство данас, заједно са смртоносном грозницом еболом и терористичком групом „Исламска држава“.

Заједно са ограничењима усмереним против целих сектора наше привреде, такав приступ је тешко назвати другачије него непријатељским.

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Важан центар у Нишу

Драго ми је да и српски предузетници енергично освајају перспективно руско тржиште, испоручују квалитетне пољопривредне и индустријске производе. Но, желео бих да истакнем још једну важну сферу билатералне сарадње. Стручњаци руско-српског хуманитарног центра у Нишу током последњих година више пута су учествовали у санацији последица ванредних ситуација на Балкану. У мају ове године, у време великих поплава, руски спасиоци су помагали у евакуацији становника поплављених подручја. Путем неколико летова авиона Министарства Русије за ванредне ситуације у Србију је допремљено више од 140 тона руске хуманитарне помоћи. Дакле, доказ растућих узајамних интереса држављана Русије и Србије, нису само хуманитарни контакти, ту је и област културе. Током јесени ове године у Србији се успешно одвијају Дани руске духовне културе, централни догађај је изложба „Русија и Србија. Историја духовних веза XIV–XIX век“. Желимо да проширимо праксу културних, образовних, научних и омладинских размена, да подстичемо туристичка путовања и спортске догађаје.Сигуран сам да ће посета Београду дати нови озбиљан подстицај традиционално пријатељским руско-српским односима. Који ће из године у годину расти и јачати.

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Неразумно уцењивање Русије

У САД је дошлои до јавних изјава о суспендовању сарадње са нама у освајању свемира и у нуклеарној енергетици. Американци су замрзли делатност руско-америчке Председничке комисије која је била формирана 2009. године и у чији је састав улазила 21 радна група, укључујући и оне које су се бавиле питањима борбе против тероризма и нелегалног промета дроге.

Али садашње захлађење у односима између наших земаља није прво. Надамо се да ће партнери схватити неразумност покушаја да уцењују Русију, те да ће се сетити чиме је бременита неслога између две велике нуклеарне државе кад је стратешка стабилност света у питању. Са наше стране, спремни смо за развој конструктивне сарадње на принципима равноправности и стварног поштовања интереса једних и других...

Мирослав Лазански
објављено: 16.10.2014.




(srpskohrvatski / english / italiano)

Fantomas colpisce ancora

L'apprendista-imperialista stregone ci regala uno spauracchio dopo l'altro: da Bin Laden all'ISIS, e si prepara Al-Fadhli…


0) Inicijative i linkovi

1) ISIS e la fabbrica dei Fantomas (di Adolfo Marino - lunedì 22 settembre 2014)
La produzione di mostri globali va avanti. La fase Bin Laden è finita, il Califfo pare sgonfio per giustificare grossi interventi, si prepari Al-Fadhli…

2) Un miliardo di euro rubato al Fisco italiano e "regalato" a Bin Laden (24 settembre 2014)
Secondo la procura di Milano, grazie a finte vendite di "carbon credit" un'azienda italiana ha frodato più di un miliardo di euro al Fisco. Quei soldi sono finiti ai fondamentalisti islamici…

3) Washington e il mondo stanno realmente facendo guerra all’Isis, oppure… (di Franco Fracassi, 10 ottobre 2014)
In Siria bombardati edifici vuoti e… raffinerie. Morti sotto le bombe solo 14 miliziani dell’Isis. Mentre risulta distrutta quasi tutta la capacità energetica di del regime di Assad. E ancora. Per l’Intelligence Usa l’Isis non rappresenta alcun pericolo. Allora, chi stiamo bombardando?

4) Rat protiv terorizma stvara terorizam (Garikai Chengu, 19/9/2014)
Kako su Sjedinjene Države doprinijele stvaranju Al Qaede i Isisa

5) Perché il mondo sta ignorando la rivoluzione dei Curdi in Siria? (David Graeber, The Guardian)
Nel bel mezzo della zona di guerra siriana un esperimento democratico sta venendo seriamente minacciato dall’Isis. Che il mondo intero ne sia all’oscuro è uno scandalo…

6) BALCANI: I jihadisti? I figli delle fondazioni di beneficienza (Lavdrim Lita, 12 settembre 2014)
In Kosovo, oggi le autorità di sicurezza hanno eseguito altri arresti eccellenti tra quali 12 imam di note moschee di Pristina e  Mitrovica che reclutavano militanti per combattere a fianco dei gruppi islamisti in Siria e in Iraq…


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Inicijative:


Radnička Fronta: Podrška solidarnosti Rožavi (sirijskom Kurdistanu) i Kobaneu - prosvjed u Zagrebu, ispred turske ambasade, subota 14 sati
http://www.advance.hr/vijesti/radnicka-fronta-podrska-solidarnosti-rozavi-sirijskom-kurdistanu-i-kobaneu-prosvjed-u-zagrebu-ispred-turske-ambasade-subota-14-sati/


Guarda / leggi anche:


Strano sceneggiato che ripropone lo stesso video della decapitazione


Handzar and Skanderbeg reloaded


Woman who found the ISIS execution video! (CNN) 03/set/2014
Rita Katz says that her organization released the beheading of Stephen Sotloff video 'before ISIS had a chance to' - " we actually had that video beforehand and were able to beat them (ISIS) with the release " - Woman who found the ISIS execution video…

Who is Behind the Islamic State (ISIL) Beheadings? Probing the SITE Intelligence Group
By Prof. James F. Tracy - Global Research, September 15, 2014
http://www.globalresearch.ca/who-is-behind-the-islamic-state-is-beheadings-probing-the-site-intelligence-group/5402082
TRAD: Chi c’è dietro le decapitazioni dello Stato islamico (SIIL)? Il Group Intelligence SITE
http://aurorasito.wordpress.com/2014/09/18/chi-ce-dietro-le-decapitazioni-dello-stato-islamico-isil-il-group-intelligence-site/

David Cameron, ISIS e Londonistan (di Germana Leoni - sabato 20 settembre 2014)
David Cameron si stupisce che esista un esercito di jihadisti con centinaia di cittadini britannici. Gli rinfreschiamo la memoria sul Londonistan…
http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=109674&typeb=0&David-Cameron-ISIS-e-Londonistan

Turkey accused of colluding with Isis to oppose Syrian Kurds and Assad following surprise release of 49 hostages
PATRICK COCKBURN - Sunday 21 September 2014
http://www.independent.co.uk/news/world/middle-east/turkey-accused-of-colluding-with-isis-to-oppose-syrian-kurds-and-assad-following-surprise-release-of-49-hostages-9747394.html
TRAD.: La Turchia è collusa con l'ISIS? Mistero sul sorprendente rilascio di 49 diplomatici turchi
http://www.controlacrisi.org/notizia/Conflitti/2014/9/23/42428-la-turchia-e-collusa-con-lisis-mistero-sul-sorprendente/

Turchia senza ostaggi ora alla verifica dell’impegno anti jihad (Ennio Remondino, 21 settembre 2014)
http://www.remocontro.it/2014/09/21/turchia-ostaggi-verifica-dell-impegno-anti-jihad/

Qui compose l’« Émirat islamique » ? (par  Thierry Meyssan, 22/9/2014)
http://www.voltairenet.org/article185337.html

Les États-Unis et le CCG bombardent des objectifs inconnus en Syrie (Réseau Voltaire, 22/9/2014)
http://www.voltairenet.org/article185400.html

Nota del Dipartimento Esteri del Pdci su Isil e bombardamenti Usa in Iraq e Siria (24 settembre 2014)
http://www.comunisti-italiani.it/2014/09/24/nota-del-dipartimento-esteri-del-pdci-su-isil-e-bombardamenti-usa-in-iraq-e-siria/

Turchia e Califfo come si fa tra Stati scambio di prigionieri (Ennio Remondino, 24 settembre 2014)
http://www.remocontro.it/2014/09/24/turchia-califfo-come-si-fa-scambio-prigionieri/

Raids US en coordination avec la Syrie… mensonges et secrets ! (25 septembre 2014, Mouna Alno-Nakhal)
http://reseauinternational.net/raids-us-en-coordination-syrie-mensonges-secrets/
TRAD: Raid USA in coordinamento con la Siria… bugie e segreti! (Nasser Kandil - al-Bina - 24/09/2014)
http://aurorasito.wordpress.com/2014/09/26/raid-usa-in-coordinamento-con-la-siria-bugie-e-segreti/

ISIS and the USA: Expansion and Resistance by Decapitation (by James Petras - 09.26.2014)
http://petras.lahaine.org/?p=2005
TRAD: ISIS e Stati Uniti: La propaganda delle decapitazioni (di James Petras | petras.lahaine.org - 26/09/2014)
http://www.resistenze.org/sito/te/cu/li/culiei30-015080.htm

Le provocazioni web su San Pietro ma ora Kobane sta morendo (di Aldo Madia & redazione, 13/10/2014)
http://www.remocontro.it/2014/10/13/provocazioni-web-san-pietro-kobane-sta-morendo/

La Turchia interviene nel conflitto che vede protagonista l'Isis… e lo fa bombardando i curdi del Pkk che resistono!

Turkish warplanes bomb PKK in southeast Turkey (Tuesday, October 14, 2014)
http://english.al-akhbar.com/content/turkey-warplanes-bomb-kurds

La construction médiatique des « djihadistes » (Saïd Bouamama, 13 octobre 2014)
http://michelcollon.info/La-construction-mediatique-des.html?lang=fr

Ci sono anche cittadini francesi di origine ebraica tra gli oltre 1.000 jihadisti partiti da Parigi per sostenere lo Stato Islamico. Lo conferma Haaretz, quotidiano israeliano:

More Jews have joined Islamic State, French official says (Haaretz, Oct. 14, 2014)
A handful of Jews, some converts to Islam, among 1,000 French citizens who have joined jihad, Channel 2 reports…
http://www.haaretz.com/1.620751?v=55724AB951D16D37051F2D8D4D6F5597

Alcuni degli jihadisti dell'Isis uccisi dalle milizie popolari curde erano in realtà agenti dei servizi segreti turchi:

ISIS fighters killed by Kurds were members of Turkish MIT (Intelligence Services) (October 14, 2014)
http://themuslimissue.wordpress.com/2014/10/14/isis-fighters-killed-by-kurds-were-members-of-turkish-mit-intelligence-services/


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VIDEO: http://www.youtube.com/watch?v=JWAlJ5IkKMY

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http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=109781&typeb=0

ISIS e la fabbrica dei Fantomas

La produzione di mostri globali va avanti. La fase Bin Laden è finita, il Califfo pare sgonfio per giustificare grossi interventi, si prepari Al-Fadhli. [Pandora TV - A. Marino]

di Adolfo Marino
lunedì 22 settembre 2014

Si sgonfia il califfato dell'ISIS. e arriva il nuovo Fantomas.
In poche settimane il "califfato virtuale" dell'ISIS è assurto a nemico pubblico numero uno. Complice una spettacolarizzazione ben orchestrata per quanto prontamente decostruita. Che fosse un mostro di stagione nella galleria delle minacce terroristiche alla sicurezza globale?

Un analista attento come Lucio Caracciolo sull'ultimo numero di Limes parla di "modesto peso specifico del califfato".  Una sorta di "miraggio" da non sottovalutare in un ambiente - il deserto - nel quale le illusioni ottiche hanno il loro peso. Perché "a occhi ingenui o interessati paiono più reali della realtà".

In un'operazione con tutti i crismi dell'ufficialità, con una sorta di tic nervoso neo-colonialista allo Stato Islamico è stato anche attribuito un territorio con dei confini. Facendone ipso facto un'entità para-statuale (vuota) che si estende su smisurate aree desertiche. Scambia petrolio e reperti archeologici contro armi: prassi abituale da quelle parti. Una minaccia che quindi di per sé non appare sufficiente per giustificare l'intervento in Iraq e in Siria da parte degli Stati Uniti. Non come vorrebbe il Pentagono, almeno.

Ancora più difficile per i pifferai del Dipartimento di Stato tirarsi dietro gli oltre quaranta stati membri della coalizione anti-ISISbattezzata a Parigi, un pasticciaccio brutto del quale fanno parte anche il Qatar, l'Arabia saudita e gli Emirati che dell'ISIS sono fra i principali finanziatori. Per non parlare delle foto di qualche annetto fa del falco repubblicano John McCain a braccetto con esponenti di spicco del califfato medesimo. Contraddizioni fisiologiche per chi bazzica certi scenari internazionali.

Il modesto peso specifico dell'ISIS è implicito anche nei numeri della missione autorizzata la settimana scorsa da Congresso e Senato. Obama ha in fine licenza di fornire logistica e armi a qualche manipolo di "ribelli moderati siriani". Quegli stessi ribelli che la CIA confidenzialmente chiama "i nostri pagliacci".

E' vero che un Obama sempre più triste, solitario e finale potrà mettere su nei prossimi 12 mesi una milizia di circa 5mila "pagliacci" moderati siriani per combattere i 30mila uomini del califfato. Ma è un'aritmetica zoppicante, dove non poche unità mancano all'appello. Basti ricordare che Bush padre nella prima guerra del golfo era sbarcato con 150mila marines. Certo, erano altri tempi.
Parabola rapida quella dell'ISIL o ISIS infine ridotto a IS, Stato Islamico.

Sic transit IS(IS) ed ecco la nuova minaccia globale, che con un lancio stampa di tutto rispetto ha trovato posto sulla prima pagina di uno dei più autorevoli quotidiani del panorama internazionale.
Il New York Times presenta oggi Khorasan, la cellula di terroristi attiva in Siria che secondo l'intelligence americana costituisce "una minaccia più diretta per gli Stati Uniti e l'Europa", suscettibili di subire un attacco terroristico sul loro territorio. Secondo quanto riportato dal NYT, fonti ufficiali della CIA hanno dichiarato che "l'attenzione sull'ISIS avrebbe distorto il quadro della minaccia terroristica emersa dal caos della guerra civile in Siria e che minacce più immediate provengono ancora da gruppi terroristici tradizionali come Khorasan".

A capo di Khorasan vi sarebbe Muhsin Al-Fadhli, militante di Al-Qa'ida originario del Kuwait, che secondo il Dipartimento di Stato americano faceva parte del cerchio magico di Osama Bin Laden. Così intimo da essere tra i pochi (oltre alla CIA) al corrente in anticipo degli attentati dell'11 settembre. 
Nel 2002 Al-Fadhli avrebbe fornito appoggio a un attentato contro una petroliera francese al largo delle coste dello Yemen.
Una trama più che da spy-story da sequel di quart'ordine. Mushin al Fadhli, benché avvolto nell'ombra per ammissione dello stesso New York Times, oggi avrebbe 33 anni - età carica di simbolismo evangelico. Quindi sarebbe stato appena ventenne - un vero enfant prodige - quando fra pochi eletti condivideva con Bin Laden in persona i piani segretissimi degli attentati alle Torri gemelle e al Pentagono. E pare che la CIA lo tenga sott'occhio addirittura da una decina d'anni. Un pedigree da far impallidire il califfo dell'ISIS, Al-Baghdadi, ridotto in poche settimane al rango di figurante sbiadito rispetto al nuovo, terrificante Fantomas.




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Fonte: pagina facebook "Premio Goebbels per la disinformazione", 24/9/2014
https://www.facebook.com/premiogoebbels/posts/1547377768829070?ref=notif

<< Cittadini israeliani coinvolti nell'inchiesta su una mega-truffa al Fisco per finanziare il terrorismo jihadista. Non vi mette qualche pulce nell'orecchio? >>

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http://www.today.it/mondo/frode-fisco-italia-bin-laden.html

Un miliardo di euro rubato al Fisco italiano e "regalato" a Bin Laden

Secondo la procura di Milano, grazie a finte vendite di "carbon credit" un'azienda italiana ha frodato più di un miliardo di euro al Fisco. Quei soldi sono finiti ai fondamentalisti islamici

Redazione 24 settembre 2014


Un miliardo di euro rubato al Fisco italiano e "regalato" a Bin Laden

MILANO - Ci sono voluti anni per dare una ragione al terrore di una commercialista milanese. E per spiegare quelle carte, intestate a una società milanese, ritrovate nel 2010 in un covo dei talebani al confine tra Afghanistan e Pakistan. Ma alla fine una spiegazione è stata trovata, ed è stata fatta luce su un incredibile giro di affari tra aziende italiane e fondamentalisti islamici. 

Secondo un'indagine della Procura di Milano oltre un miliardo di euro di Iva sarebbe stato frodato al fisco italiano per andare a finanziare i gruppi terroristici del Medio Oriente. Secondo quanto ricostruito dal "Corriere della Sera", si sarebbe trattato di una colossale truffa fiscale sui certificati ambientali, che sarebbe provata da documenti trovati nel 2010 in un rifugio afghano.

I servizi segreti delle forze Nato non trovarono in quel nascondiglio, come si aspettavano, Osama Bin Laden. Ma scoprirono un bel po' di informazioni utili a smascherare un'organizzazione che sottraeva fondi al fisco proprio per finanziare i terroristi islamici. 

A dare il là alle ricerche era stata la segnalazione di una commercialista spaventata. Le sue ricostruzioni avevano permesso l'incriminazione di trentotto indagati e il sequestro di ottanta milioni di euro, con la Procura milanese che era andata a colpire un'associazione criminale anglo-pakistana e una franco-israeliana che, tra il 2009 e il 2012, sarebbero riuscite a sottrarre all'Italia più di un miliardo di euro di Iva. 

I documenti relativi alla maxi-frode erano in un rifugio non lontano da quello dove, il 2 maggio 2011, gli americani uccisero il Re del Terrore, e portavano a Imran Yakub Ahmed, pakistano, quarant'anni, passaporto inglese, amministratore della milanese "Sf Energy Trading spa". Era proprio questa la società finita nel mirino dei procuratori dopo la denuncia della commercialista, che era rimasta scioccata dalla facilità con cui la "Sf Energy" guadagnava lavorando per società intestate a prestanome cinesi e italiani che vendevano e compravano migliaia di carbon credit, certificati ambientali che possono essere negoziati dalle aziende che producono meno gas-serra rispetto al tetto assegnato dall'accordo di Kyoto. 

Secondo quanto ricostruito dalla procura, le organizzazioni acquistavano i certificati con società fittizie che producevano solo fatture. Acquistavano senza pagare l'Iva, l'aggiungevano e vendevano i certificati ad altre società, anch'esse fittizie, intermediarie con gli ingari acquirenti finali. Incassavano l'Iva, chiudevano i battenti e sparivano nel nulla, dirottando i soldi su conti correnti tra Cipro e Hong Kong. Destinazione finale dei soldi: i fondamentalisti islamici.



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http://popoffquotidiano.it/2014/10/10/washington-e-il-mondo-stanno-realmente-facendo-guerra-allisis-oppure/

Washington e il mondo stanno realmente facendo guerra all’Isis, oppure…

10 ottobre 2014

In Siria bombardati edifici vuoti e… raffinerie. Morti sotto le bombe solo 14 miliziani dell’Isis. Mentre risulta distrutta quasi tutta la capacità energetica di del regime di Assad. E ancora. Per l’Intelligence Usa l’Isis non rappresenta alcun pericolo. Allora, chi stiamo bombardando?

di Franco Fracassi

Hanno distrutto alcuni edifici vuoti, ucciso quattordici presunti terroristi e messo fuori uso dodici raffinerie. «Un mese di bombardamenti a tappeto non hanno prodotto altro. Come si può pretendere di sconfiggere un’armata di terroristi esclusivamente bombardando dal cielo, e affidando l’offensiva di terra a quattro scalzacani curdi, che si trovano a fronteggiare un’armata ben più potente. In Iraq e in Siria sta andando in scena una farsa». E se all’opinione del capo delle forze armate Usa (il generale William Mayyville) si aggiunge quella dell’esperto di servizi segreti statunitensi per conto dell’autorevole rivista “Foreign Policy’s” Shane Harris («Non esistono informazioni credibili che dimostrano la reale pericolosità internazionale dello Stato Islamico. Lo dicono i nostri servizi segreti, lo dice lo stesso Obama»), allora ci si chiede: perché il mondo sta bombardando l’Iraq e la Siria?

Prendiamo il bombardamento alla città siriana di Raqqa, tacciata di essere la base operativa dell’Isis. L’inviato del giornale turco “Hurriyet” ha scritto: «Quando i bombardieri americani hanno iniziato a sganciare bombe quelli dell’Isis erano già scappati. Del resto, avrebbero anche potuto non farlo, visto che gli attacchi erano diretti altrove». Già scappati? «Erano stati avvertiti dall’Intelligence, dalla Cia, che continua ad avere rapporti con loro», ha spiegato a Popoff l’ex funzionario della Central Intelligence Agency Joseph Trento.

Quindi, cos’hanno colpito le bombe sganciate su Raqqa? «I bombardamenti a Raqqa hanno distrutto alcuni edifici vuoti, tra cui l’ex sede dell’MI6 (i servizi britannici) divenuta sede dei Fratelli musulmani. Nessun edificio colpito apparteneva all’Isis. Distrutte anche dodici raffinerie. La maggior parte delle vittime sono civili. E solo quattordici erano miliziani dello Stato Islamico», si legge sul rapporto redatto dall’Osservatorio siriano per i diritti dell’Uomo.

Robert Baer è stato per oltre due decenni a capo della divisione Medio Oriente della Cia. La sua base era a Beirut e conosce meglio di chiunque altro la situazione sul campo. Dimessosi da Langley ha scritto un libro, da cui George Clooney ha tratto il film “Syriana”. Sentito da Popoff Baer ha detto: «La strategia della Casa Bianca è chiarissima. A loro non frega niente dell’Isis. A Loro interessa l’Iraq e interessa la Siria. Stanno distruggendo le raffinerie in modo da mettere in ginocchio Assad. Obama già pensa a quello che accadrà dopo. Sa che Assad resterà al suo posto. E sa che senza quelle raffinerie l’economia siriana non si riprenderà mai. Altro che Isis pericolo globale».

Popoff in passato ha scritto dei legami tra l’Isis e gli Stati Uniti, tra l’Isis e la Nato, tra l’Isis e la Turchia. Ha scritto degli incontri tra il senatore repubblicano John McCain (uomo ombra della diplomazia Usa) e il leader dello Stato Islamico Abu Bakr al Baghdadi. Ha scritto della seduta segreta del Congresso convocata dal presidente statunitense Barak Obama per votare il finanziamento all’opposizione siriana, tra cui l’Isis. Ha scritto delle basi Nato in Turchia di Sanlurfa, Osmaniye e Karaman sono state utilizzate per addestrare l’esercito dell’Isis. Ha scritto delle armi pesanti (cannoni, carri armati eccetera) trasportati dalle fabbriche ucraine alla Turchia dai servizi segreti di Ankara per rifornire le truppe di al Baghdadi. Ha scritto della finta offensiva dei curdi iracheni (in contrasto con quella vera dei turchi iracheni) contro l’Isis nel nord dell’Iraq, con l’unico scopo di ripulire etnicamente quelle zone. Le informazioni contenute in questo articolo non aggiungono altro che un nuovo tassello alla storia.


=== 4 ===

The original article, in english:
The War on Terrorism is Terrorism. How the US Helped Create Al Qaeda and ISIS
by GARIKAI CHENGU, Counterpunch Sept 19-21, 2014
http://www.counterpunch.org/2014/09/19/how-the-us-helped-create-al-qaeda-and-isis/

TRAD. in lingua italiana:
La guerra al terrorismo è terrorismo. Come gli Stati Uniti hanno contribuito a creare Al Qaeda e ISIS
di Garikai Chengu | counterpunch.org, 19/09/2014
http://www.resistenze.org/sito/os/dg/osdgei21-015026.htm

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www.resistenze.org – osservatorio – della guerra- 21-09-2014 br. 512

Rat protiv terorizma stvara terorizam

Kako su Sjedinjene Države doprinijele stvaranju Al Qaede i Isisa
Garikai Chengu, istraživač na Sveučilištu Harvard

Upravo kao i Al Quaeda i islamska država (ISIS) predstavlja proizvod „made in the USA“, proizvedeno u Sjedinjenim Državama, odnosno ona je sredstvo terora da bi se podijelio i osvojio Srednji Istok, bogat naftnim ležištima i da bi se suzbio sve veći utjecaj Irana u toj zoni.
Činjenica, da na savjesti Sjedinjenih Država leži duga i prljava priča potpomaganja terorističkih skupina, predstavlja iznenađenje samo za one, koji prate isključivo dnevna zbivanja i ne poznaju historiju.
CIA je sklopila savezništvo s Islamom već za vrijeme Hladnog rata. Tada je Amerika gledala na svijet na sasvim jednostavan način: s jedne strane Sovjetski Savez i nacionalizam Trećeg svijeta, kojeg je Amerika uvijek smatrala sovjetskim sredstvom; s druge strane zapadne zemlje i političko-ratni Islam, koji je Amerika držala za saveznika u borbi protiv Sovjetskog Saveza.
Direktor National Security Agencay pod Ronaldom Reganom, general William Odom, nedavno je primijetio: „ U svakom slučaju Sjedinjene Države dugo su iskorištavale terorizam. Godine 1978-1979 Senat je nastojao donijeti zakon protiv međunarodnog terorizma i tada su pravni stručnjaci čak zaključili u debati, kako bi, po svim postojećim verzijama predlaganog zakona, Sjedinjene Države ipak na kraju ispale prekršitelji.“
Tokom sedamdesetih godina CIA se služila Muslimanskom braćom u Egiptu kao zastavom, bilo da bi se usprotivila širenju sovjetskog utjecaja, bilo da bi preventivno djelovala protiv širenja marksističke ideologije među arapskim masama. Sjedinjene Države otvoreno su podržavale Islamski Šerijat protiv Sukarna u Indoneziji i dale su podršku terorističkoj grupi Jamat –el - Islam protiv Zulfqara Ali Buto u Pakistanu. Na kraju, ali ne manje važna, pojavila se i Al Qaeda.
Ne smije se zaboraviti da je CIA dala život Ozami Bin Ladenu i njegovoj organizaciji, dojeći ih na vlastitim prsima tokom osamdesetih godina. Bivši britanski ministar vanjskih poslova Robin Cook, kazao je u Donjem domu, kako je „Al Qaeda“ bez ikakve sumnje, bila proizvod agencija zapadne „intelligence“. Gospodin Cook je objasnio da je „Al Qaeda“, koja bukvalno znači na arpskom kraticu za „bazu podataka“, služila kao tijelo banke informacija za milione islamskih ekstremista, izvježbanih od strane CIA-e i financiranih iz Saudijske Arabije, u cilju da poraze Ruse u Afganistanu.
Odnos Amerike sa Al Qaedom oduvijek je bio odnos ljubavi i mržnje istovremeno. Zavisno o tome da li izvjesna teroristička grupa Al Qaede u izvjesnoj regiji može poslužiti američkim interesima ili ne, State Departement Sjedinjenih Država ju je podržavao ili je ona pak postajala cilj na koji se on obrušavao. Iako odgovorni za američku vanjsku politiku tvrde da su oni protivnici islamskog ekstremizma, oni su ga ipak umjetno i znalački stvorili i pomagali kao oruđe američke vanjske politike.
Islamska država“koja je bila njihovo posljednje oružje, upravo kao i Al Qaeda, sad se okrenula protiv njih. ISIS se našao osvijetljen reflektorima na svjetskoj međunarodnoj pozornici nakon što su njegovi mangupi počeli sjeći glave američkim novinarima. U ovom je času jedna takva teroristička skupina u stanju da drži pod kontrolom teritorij po veličini jednak Ujedinjenom Kraljevstvu.
Da bi se uspjelo shvatiti kako to da se Islamska država tako naglo povećala i razvila treba pogledati korijene te organizacije, stvorene od Sjedinjenih Država. Invazija i okupacija Iraka 2003 od strane SAD-a stvorila je preduvjete na osnovu kojih su najradikalnije sunitske grupe mogle u to vrijeme pustiti na tom tlu duboke korijene. Sjedinjene Države su prilično neoprezno razbile državni aparat Sadama Huseina, koji je bio potpuno laički i nadomjestile ga aparatom uprave u kojem su šiti bili većina. Američka okupacija na kraju je stvorila veliku nezaposlenost u sunitskim krajevima, odgurnuvši socijalizam i zatvorivši fabrike i nadomjestivši sve to naivnim uvjerenjem da će čarobna ruka slobodnog tržišta uspjeti stvoriti nova radna mjesta. Pod šitskim režimom, kojeg su podržavale Sjedinjene Države, radnička klasa, koju su sačinjavali suniti, izgubila je na stotine hiljada radnih mjesta. Za razliku od bijelih Afrikanera u Južnoj Africi, kojima je bilo dopušteno da sačuvaju vlastito bogatstvo nakon promjene režima, suniti, koji su pripadali višoj ili čak vlasničkoj klasi, bili su sistematski razvlašćeni, oduzeti su im njihovi posjedi i izgubili su svaki politički utjecaj. Umjesto da promovira vjersku integraciju i jedinstvo, američka politika u Iraku dovela je do usijanja sektaške podjele i stvorila plodno tlo za sve veće nezadovoljstvo sunita, a to je nezadovoljstvo dovelo do toga da je Al Quaeda pustila duboko korijenje u Iraku.
Islamska država Iraka i Sirije (ISIS) uobičajeno je nosila drugo ime: Al Qaeda u Iraku. Nakon 2010 ta je skupina promijenila vlastiti naziv i preusmjerila svoju aktivnost na Siriju.
U ovome se času u Siriji vode tri rata: rat između vlade i pobunjenika, drugi rat između Irana i Saudijske Arabije i još rat između SAD-a i Rusije. I u toj trećoj bitci novog Hladnog rata Sjedinjene Države dotjerale su dotle da svjesno preuzmu rizik da naoružaju islamske pobunjenike u Siriji, jer je sirijski predsjednik Bašar al-Asad ključni saveznik Rusije. Nastupio je vrlo neugodan obrat, kad su se mnogi od tih sirijskih pobunjenika sasvim jasno pokazali kako su upravo oni ti mangupi ISIS-a, koji se otvoreno tuku s oružjem M 16 proizvedenim u SAD-u.
Američka politika na Srednjem Istoku vrti se oko nafte i oko Izraela. Invazija Iraka djelomično je utažila žeđ Washingtona za naftom, ali avionski napadi, koji su sada u toku, na Siriju, kao i ekonomske sankcije protiv Irana usko su povezane s Izraelom. Cilj je lištiti bliske neprijatelje Izraela, Hezbolahe u Libanonu i Palestince u Siriji, koji su uglavnom uz Hamas, za njih ključne sirijske i iranske podrške.
ISIS nije samo instrument terora, kojim se služe Amerikanci, kako bi svrgnuli sirijsku vladu; on služi i vršenju pritiska na Iran.
Posljednji put je Iran napao neku drugu naciju 1738. Otkad je Iran stekao nezavisnost od engleske domovine, odnosno još od 1776, Sjedinjene Države bile su angažirane u 53 invaziona ratna pohoda. Nasuprot onom u što bi ratni pokliči zapadnih medija htjeli uvjeriti vlastite čitatelje i slušatelje, Iran sasvim jasno ne predstavlja nikakvu prijetnju sigurnosti u regiji, dok Washington to nesumnjivo predstavlja. Jedan informativni izvještaj, objavljen 2012, kojeg su odobrile svih šesnaest agencija za Intelligence SAD-a, tvrdi da je Iran prekinuo svoj nuklearni program naoružanja još godine 2003. Istini za volju, bilo kakva nuklearna ambicija Irana, stvarna ili zamišljena, rezultat je amričkog neprijateljstva prema Iranu, dok ni u kom slučaju ne vrijedi obrnuto.
Amerika upotrebljava ISIS na tri načina: da bi napadala vlastite neprijatelje na Srednjem Istoku, da bi stvorila pretekst za vojnu intervenciju SAD-a u inoizemstvu, a na unutrašnjem planu da bi stvorila umjetno izazvan strah zbog prijetnje nacionalnoj sigurnosti, koja treba da opravda ekspanziju bez premca invazivnog nadgledanja i kontroliranja svih građana.
Šireći s jedne strane tajnost vladinih odluka, a s druge strane kontrolu, vlada predsjednika Obame povećava vlastitu moć nadgledanja i špijuniranja vlastitih građana, dok istovremeno smanjuje mogućnost tih istih građana da nadgledaju i kontroliraju vladu. A terorizam je čista isprika, kako bi se opravdala masovna kontrola, odnosno kako bi se suzbile masovne pobune.
Na takozvani „rat protiv terorizma“ treba gledati kao ono što on ustvari jeste: izgovor kako bi se zadržala opasno predimenzionirana ratna mašinerija. Dvije najveće i najutjecajnije interesne grupacije u vanjskoj politici Sjedinjenih Država jesu izraelski lobby, koji upravlja američkom politikom na Bliskom Istoku, i vojno-industrijski kompleks, koji se koristi u profitnim terminima akcijama prve grupacije. Otkad je George W. Bush objavio „rat protiv terora“ u oktobru mjesecu 2001, ta je djelatnost koštala američke poreske obveznike 6.6 triliona /6.600 milijardi/ američkih dolara i hiljade i hiljade sinova i kćeri poginulih u ratu: ali, istovremeno, ti su ratovi donijeli milijarde dolara vojnoj eliti Washigtona.
Ustvari, sedamdeset poduzeća i privatnih ivestitora u Americi dobili su na natječajima poslove vrijedne 27 milijardi dolara od perioda početka rata u Iraku i u Afganistanu do vremena od posljednje tri godine, a ovo su podaci nedavnog istraživanja „Center for The Public Integrity“ (Centra za javno poštenje, bilj. prev). Prema toj studiji oko 75 % tih privatnih poduzeća imalo je kao zaposlenike ili kao članove Upravnog Odbora ljude koji su radili ili pak bili usko povezani sa izvršnim organima republikanske ili demokratske administracije, sa članovima Kongresa ili sa ljudima na najvišim položajima u vojnom sektoru.
Jedan izvještaj iz 1997 godine, koji je izradilo Ministarstvo obrane Sjedinjenih Država tvrdi „podaci pokazuju jaku povezanost između umiješanosti Sjedinjenih Država u inozemstvu i povećanja teroriastičkih napada“. Istina je da jedini način na koji SAD mogu pobijediti u „ratu protiv terorizma“ jeste da prestanu davati teroristima motive i sredstva da ovi napadaju Ameriku. Terorizam je simptom; američki imperijalizam na Srednjem Istoku je rak. Jednostavno rečeno rat protiv terorizma je i sam terorizam; samo što se te terorističke akcije vode na daleko višoj ljestvici, uz upotrebu avionskih vojnih udara i raketa.


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http://www.controlacrisi.org/notizia/Conflitti/2014/10/10/42625-perche-il-mondo-sta-ignorando-la-rivoluzione-dei-curdi-in/


Perché il mondo sta ignorando la rivoluzione dei Curdi in Siria?

Nel bel mezzo della zona di guerra siriana un esperimento democratico sta venendo seriamente minacciato dall’Isis. Che il mondo intero ne sia all’oscuro è uno scandalo.

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Nel 1937, mio padre si arruolò volontario per combattere nelle Brigate Internazionali in difesa della Repubblica Spagnola. Quello che sarebbe stato un colpo di Stato fascista era stato temporaneamente fermato da un sollevamento dei lavoratori, condotto da anarchici e socialisti, e nella maggior parte della Spagna ne seguì una genuina rivoluzione sociale, portando intere città sotto il controllo di sistemi di democrazia diretta, le fabbriche sotto la gestione operaia e le donne ad assumere sempre più potere.

I rivoluzionari spagnoli speravano di creare la visione di una società libera cui il mondo intero avrebbe potuto ispirarsi. Invece, i poteri mondiali dichiararono una politica di “non intervento” e mantennero un rigoroso embargo nei confronti della repubblica, persino dopo che Hitler e Mussolini, apparenti sostenitori di tale politica di “non intervento”, iniziarono a fare affluire truppe e armi per rinforzare la fazione fascista. Il risultato fu quello di anni di guerra civile terminati con la soppressione della rivoluzione e quello che fu uno dei più sanguinosi massacri del secolo.

Non avrei mai pensato di vedere, nel corso della mia vita, la stessa cosa accadere nuovamente. Ovviamente, nessun evento storico accade realmente due volte. Ci sono infinite differenze fra quello che accadde in Spagna nel 1936 e quello che sta accadendo ora in Rojava, le tre province a larga maggioranza curda nel nord della Siria. Ma alcune delle somiglianze sono così stringenti, e così preoccupanti, che credo sia un dovere morale per me, in quanto cresciuto in una famiglia le cui idee politiche furono in molti modi definite dalla Rivoluzione spagnola, dire: non possiamo fare sì che tutto ciò finisca ancora una volta allo stesso modo.

La regione autonoma del Rojava, così come esiste oggi, è uno dei pochi raggi di luce – un raggio di luce molto luminoso, a dire il vero – a emergere dalla tragedia della Rivoluzione siriana. Dopo aver scacciato gli agenti del regime di Assad nel 2011, e nonostante l’ostilità di quasi tutti i suoi vicini, il Rojava non solo ha mantenuto la sua indipendenza, ma si è configurato come un considerevole esperimento democratico. Sono state create assemblee popolari che costituiscono il supremo organo decisionale, consigli che rispettano un attento equilibrio etnico (in ogni municipalità, per esempio, le tre cariche più importanti devono essere ricoperte da un curdo, un arabo e un assiro o armeno cristiano, e almeno uno dei tre deve essere una donna), ci sono consigli delle donne e dei giovani, e, in un richiamo degno di nota alle Mujeres Libres (Donne Libere) della Spagna, un’armata composta esclusivamente da donne, la milizia “YJA Star” (l’”Unione delle donne libere”, la cui stella nel nome si riferisce all’antica dea mesopotamica Ishtar), che ha condotto una larga parte delle operazioni di combattimento contro le forze dello Stato Islamico.

Come può qualcosa come tutto questo accadere ed essere tuttavia perlopiù ignorato dalla comunità internazionale, persino, almeno in gran parte, dalla sinistra internazionale? Principalmente, sembra, perché il partito rivoluzionario del Rojava, il PYD, lavora in alleanza con il turco Partito Curdo dei Lavoratori (PKK), un movimento combattente marxista impegnato sin dagli anni Settanta in una lunga guerra contro lo Stato turco. La Nato, gli Stati Uniti e l’Unione Europea lo classificano ufficialmente come “organizzazione terroristica”. Nel frattempo, l’opinione di sinistra lo descrive spesso come Stalinista.

Ma, in realtà, il PKK non assomiglia neppure lontanamente al vecchio, organizzato verticalmente, partito Leninista che era una volta. La sua evoluzione interna, e la conversione intellettuale del suo fondatore, Abdullah Ocalan, detenuto in un’isola-prigione turca dal 1999, lo hanno condotto a cambiare radicalmente i propri scopi e le proprie tattiche.

Il PKK ha dichiarato che esso non cerca nemmeno più di creare uno Stato curdo. Invece, ispirato in parte dalla visione dell’ecologista sociale e anarchico Murray Bookchin, ha adottato una visione di “municipalismo libertario”, invitando i curdi a formare libere comunità basate sull’autogoverno, basate sui principi della democrazia diretta, che si federeranno tra loro aldilà dei confini nazionali – che si spera che col tempo diventino sempre più privi di significato. In questo modo, suggeriscono i curdi, la loro lotta potrebbe diventare un modello per un movimento globale verso una radicale e genuina democrazia, un’economia cooperativa e la graduale dissoluzione dello stato-nazione burocratico.

A partire dal 2005 il PKK, ispirato dalla strategia dei ribelli zapatisti in Chiapas, ha dichiarato un cessate il fuoco unilaterale nei confronti dello Stato turco e ha iniziato a concentrare i propri sforzi nello sviluppo di strutture democratiche nei territori di cui già ha il controllo. Alcuni si sono chiesti quanto realmente sinceri siano questi sforzi. Ovviamente, elementi autoritari rimangono. Ma quello che è successo in Rojava, dove la Rivoluzione siriana ha dato ai curdi radicali la possibilità di condurre tali esperimenti su territori ampi e confinanti fra loro, suggerisce che tutto ciò è tutt’altro che un’operazione di facciata. Sono stati formati consigli, assemblee e milizie popolari, le proprietà del regime sono state trasformate in cooperative condotte dai lavoratori – e tutto nonostante i continui attacchi dalle forze fasciste dell’ISIS. Il risultato combacia perfettamente con ogni definizione possibile di “rivoluzione sociale”. Nel Medio Oriente, almeno, tali sforzi sono stati notati: particolarmente dopo che il PKK e le forze del Rojava per combattere efficacemente e con successo nei territori dell’ISIS in Iraq per salvare migliaia di rifugiati Yezidi intrappolati sul Monte Sinjar dopo che le locali milizie peshmerga avevano abbandonato il campo di battaglia. Queste azioni sono state ampiamente celebrate nella regione, ma, significativamente, non fecero affatto notizia sulla stampa europea o nord-americana.

Ora, l’ISIS è tornato, con una gran quantità di carri armati americani e di artiglieria pesante sottratti alle forze irachene, per vendicarsi contro molte di quelle stesse milizie rivoluzionarie a Kobané, dichiarando la loro intenzione di massacrare e ridurre in schiavitù – si, letteralmente ridurre in schiavitù – l’intera popolazione civile. Nel frattempo, l’armata turca staziona sui confini, impedendo che rinforzi e munizioni raggiungano i difensori, e gli aeroplani americani ronzano sopra la testa compiendo occasionali, simbolici bombardamenti dall’effetto di una puntura di spillo, giusto per poter dire che non è vero che non fanno niente contro un gruppo in guerra con i difensori di uno dei più grandi esperimenti democratici mondiali.

Se oggi c’è un analogo dei Falangisti assassini e superficialmente devoti di Franco, chi potrebbe essere se non l’ISIS? Se c’è un analogo delle Mujeres Libres di Spagna, chi potrebbero essere se non le coraggiose donne che difendono le barricate a Kobané? Davvero il mondo – e questa volta, cosa più scandalosa di tutte, la sinistra internazionale, si sta rendendo complice del lasciare che la storia ripeta se stessa?

Fonte: The Guardian

http://www.theguardian.com/commentisfree/2014/oct/08/why-world-ignoring-revolutionary-kurds-syria-isis

traduzione di Federico Vernarelli



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BALCANI: I jihadisti? I figli delle fondazioni di beneficienza


Posted 12 SETTEMBRE 2014 in BALCANI OCCIDENTALI with 0 COMMENTS 
di Lavdrim Lita


In questi mesi sulla scena del terrorismo fondamentalista è apparso l’ISIS, ovvero Stato Islamico di Iraq e Siria cha ha scavalcato per ferocia mediatica anche al-Qaeda. Non è una notizia nuova che migliaia di giovani musulmani da ogni parte del mondo, compresa l’Europa e Stati Uniti, si trovino in Siria e Iraq per combattere la loro “jihad”. Ovviamente ci sono anche i giovani dai paesi dei Balcani occidentali che sono uniti alle formazioni jihadiste dalle più diverse sigle. Anche se i musulmani dei Balcani rimangono la più moderata delle popolazioni musulmane nel mondo, una minoranza esigua è stata indottrinata nelle forme più estreme dell’Islam, nelle scuole dei fratelli musulmani.

Sul web spopola la figura di Lavdrim Muhaxheri, indicato come comandante di una sedicente “brigata balcanica” dei tagliateste dell’ISIS, e che avrebbe ai suoi ordini jihadisti da Serbia, Albania, Macedonia, Kosovo, Montenegro e Bosnia.
Ciò non è un caso. La crescita dell’islamismo militante nel Balcani occidentali è il risultato di sforzi a lungo termine di persone legate col filo del terrorismo e che hanno radicalizzato frange della popolazione locale.

Nel corso degli ultimi decenni, alcuni movimenti islamisti nei paesi dei Balcani occidentali hanno creato un’infrastruttura sofisticata, composto da rifugi sicuri in villaggi isolati e nelle moschee controllate da imam radicali. Ma anche una vasta gamma di mezzi elettronici e di stampa online, che si propagano notizie da vari fronti del jihad e propaganda politica.

Tutti questi organizzazioni sono stati finanziati dai donator

(Message over 64 KB, truncated)



IN ITALIA L'APOLOGIA DI FASCISMO E' VIETATA… SOLO QUANDO E' PER FINTA ?


Da: Ribelli della Montagna <ribellidellamontagna  @inventati.org>
Oggetto: Ma a Lovere e a Rovetta nessuno ha visto nulla...
Data: 12 ottobre 2014 05:06:19 CEST


La scorsa domenica, a Bergamo, un giovane ha pensato di manifestare il proprio dissenso nei confronti del presidio omofobo delle Sentinelle in piedi vestendosi ironicamente da nazista dell'Illinois di bluesbrothersiana memoria e citando il film di Charlie Chaplin "Il grande dittatore".

Caricato in macchina da agenti della Digos, è stato portato in Questura, schedato e denunciato per apologia di fascismo. XXX - siamo sicuri sia stato denunciato o che lo abbia solo inizialmente richiesto il gip. 

A questo punto noi ci chiediamo cosa guardassero gli agenti della Digos e dei Carabinieri presenti in forza a Rovetta e Lovere lo scorso maggio quando non una, ma 200 persone commemoravano i propri "martiri" con saluti romani e vessilli richiamanti il nazismo ed il fascismo.

Ricordiamo infine ai distratti funzionari della Digos di Bergamo e al Prefetto che una recente sentenza della Corte di Cassazione (prima sezione penale della Suprema Corte, sentenza 37577) ha condannato due neofascisti per i gesti del «ventennio» stabilendo che ci sono ancora rischi di «rigurgiti» antidemocratici - come indicano tanti recenti episodi avvenuti in Italia ed Europa - che rendono necessario mantenere in vigore la legge Scelba che vieta la ricostituzione del partito fascista e gesti come il «saluto romano».

 

I Ribelli della Montagna


VEDI ANCHE:

Lovere e Rovetta: alcune valutazioni dopo i presidi antifascisti (I Ribelli della Montagna, 22 Giugno 2014)
…ennesima sconfitta delle Istituzioni libere e democratiche nate dalla lotta di Resistenza…

Si traveste da nazista contro le ‘sentinelle’, fermato dalla Digos (Luca Fiore, 6 Ottobre 2014)

“Sentinelle in piedi”, un’intervista al finto nazista fermato per apologia di fascismo (http://www.vice.com/ , 7 Ottobre 2014)



(italiano / english)

The lessons of World War I

1) Jean Bricmont: The easy lesson of World War I
2) Roberto Sidoli: Lenin e la prima guerra mondiale


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http://www.beoforum.rs/en/all-activities-of-belgrade-forum-for-the-world-of-equals/64-the-great-war-and-the-beginning-of-a-new-world/383-jean-bricmont-the-easy-lesson-of-world-war-i.html


There at least two things that are easier to start than to end: a love affair and a war. No participant in WWI expected it to last as long as it it did or to have the consequences that it had. All the empires that participated in the war were destroyed, including eventually the British and French ones.

Not only that, but one war leads to another. The British philosopher and logician Bertrand Russell remarked that the desire of the European monarchs to crush the French Revolution led to Napoleon; the Napoleonic wars produced German nationalism that itself led to Bismarck, the French defeat at Sedan and the annexation of Alsace-Lorraine. That in turn fueled French revanchism that gave rise, after World War I, to the Versailles Treaty, whose inequities gave a strong boost to Nazism and Hitler. Russell ended the story there, but it continues. Hitler's defeat gave rise to the Cold War and the creation of Israel. The Western “victory” in the Cold War led to the current desire to crush Russia once and for all. As for Israel, its creation produced endless strife and an intractable situation in the Middle East.

What is the way out of this dialectic? I would suggest the idea of institutional pacifism. Not pacifism in the sense of refusing violence under any circumstance, or as amoral exhortation, but in the sense of building institutions that can help the preservation of peace. The United Nations and its charter, at least as it was originally conceived, is probably the best example of such an institution.

The very starting point of the United Nations was to save humankind from “the scourge of war”, with reference to the two World Wars. This goal was to be achieved by defending the principle of the equal sovereignty of all states, in order to prevent Great Powers from intervening militarily against weaker ones, regardless of the pretext. But since there is no international police to enforce international law, it can only be enforced by a balance of power and, most importantly, by the pressure of the citizens of the various countries to constrain their governments to adhere to common rules.

However, the way the end of the Cold war was interpreted in the West, as an unilateral victory of Good against Evil, led to a total disregard for international law or even for caution and diplomacy in the West. This was a consequence of the ideology of human rights and of the right of humanitarian military intervention that was developed by influential Western intellectuals, starting from the mid-70's, who were often supporters of Israel, which may seem odd given Israel's human rights record.

This “right” of humanitarian intervention has been universally rejected by the majority of mankind, for example at the South Summit in Havana in April 2000 or at the meeting of the Non Aligned Movement in Kuala Lumpur in February 2003, shortly before the US attack on Iraq, which issued the following declaration: “The Heads of State or Government reiterated the rejection by the Non-Aligned Movement of the so-called ‘right’ of humanitarian intervention, which has no basis either in United Nations Charter or in international law” and “also observed similarities between the new expression ‘responsibility to protect’ and ‘humanitarian intervention’ and requested the Co-ordinating Bureau to carefully study and consider the expression ‘the responsibility to protect’ and its implications on the basis of the principles of non-interference and non-intervention as well as the respect for territorial integrity and national sovereignty of States.” But in the West, this right of intervention is almost universally accepted.

The reason for this opposition of views is probably that the rest of the world has a very different memory than the West about the latter's interventions in the internal affairs of other countries.

US intervention is multi-faceted but constant and always violates the spirit and often the letter of the United Nations charter. Despite claims to act on behalf of principles such as freedom and democracy, US intervention has repeatedly had disastrous consequences: not only the millions of deaths caused by direct and indirect wars, in Indochina, Central America, Southern Africa and the Middle East, but also the lost opportunities, the “killing of hope” for hundreds of millions of people who might have benefited from progressive social policies initiated by people like Arbenz in Guatemala, Goulart in Brazil, Allende in Chile, Lumumba in the Congo, Mossadegh in Iran, the Sandinistas in Nicaragua, or Chavez in Venezuela, who have been systematically subverted, overthrown or killed with full Western support.

But that is not all. Every aggressive action led by the United States creates a reaction. Deployment of an anti-missile shield produces more missiles, not less. Bombing civilians – whether deliberately or by so-called “collateral damage” – produces more armed resistance, not less. Trying to overthrow or subvert governments produces more internal repression, not less. Encouraging secessionist minorities by giving them the often false impression that the sole Superpower will come to their rescue in case they are repressed, leads to more violence, hatred and death, not less. Surrounding a country with military bases produces more defense spending by that country, not less. The possession of nuclear weapons by Israel encourages other states of the Middle East to acquire such weapons.

The ideology of humanitarian intervention is actually part of a long history of Western attitudes towards the rest of the World. When Western colonialists landed on the shores of the Americas, Africa or Eastern Asia, they were shocked by what we would now call violations of human rights, and which they called “barbaric mores” – human sacrifices, cannibalism, women forced to bind their feet. Time and again, such indignation, sincere or calculating, has been used to justify or to cover up the crimes of the Western powers: the slave trade, the extermination of indigenous peoples and the systematic stealing of land and resources. This attitude of
righteous indignation continues to this day and is at the root of the claim that the West has a “right to intervene” and a “right to protect”, while turning a blind eye
to oppressive regimes considered “our friends”, to endless militarization and wars, and to massive exploitation of labor and resources.

The West should learn from its past history. What would that mean concretely? Well, first of all, guaranteeing the strict respect for international law on the part of Western powers, implementing the UN resolutions concerning Israel, dismantling the worldwide US empire of bases as well as NATO, ceasing all threats concerning the unilateral use of force, lifting unilateral sanctions, stopping all interference in the internal affairs of other States, in particular all operations of “democracy promotion”, “color” revolutions, and the exploitation of the politics of minorities. This necessary respect for national sovereignty means that the ultimate sovereign of each nation state is the people of that state, whose right to replace unjust governments cannot be taken over by supposedly benevolent outsiders.

Proponents of humanitarian intervention claim that this is interventionism is done by the international community. But nowadays, there is no such thing as a genuine international community. Actually, nothing can better illustrate the hypocrisy of the the human right ideology than the contrast between the West's reaction to Kosovo's demands for independence and to the Eastern Ukrainian's demand for autonomy. There is refusal to negotiate in both cases, but with total support for independence in one case and total opposition to autonomy in the other.

The promoters of humanitarian intervention present it as the beginning of a new era; but in fact it is the end of an old one. The major social transformation of the 20th century has been decolonization. It continues today in the elaboration of a genuinely democratic, multipolar world, one where the sun will have set on the US empire, just as it did on the old European ones.

The viewpoints expressed here are shared by millions of people in the “West”. This is unfortunately not reflected in our media. In the recent anti-Russian hysterical campaigns, our media seem to have totally abandoned the critical spirit of the Enlightenment that the West claims to uphold. The human rights ideology, which portrays us as being good versus them being bad, has the characteristic of all religious faiths, and is particularly fanatic. Let us not forget, among all the criticisms of secularism that I have heard here, that in World War I, all sides thought that they had God on their side, although, a far as I know, the Almighty was not kind enough to let us know on which side he was. Maybe he was too busy putting in heaven and hell the souls of the deceased soldiers who died invoking his name. The human rights ideology has replaced the old faiths, but it functions as a religion, and is the basis of a new nationalism, the one of the US and of the EU.

Some people think that all this ideological agitation and warmongering is due to rational economic calculations by cynical profiteers. I think this view is too optimistic and ignores, to quote Russell again, “the ocean of human folly upon which the fragile barque of human reason insecurely floats”. Wars have been waged for all kinds of non-economic reasons, such as religion or revenge, or simply to display power.

If the citizens of the West do not manage to mobilize themselves against their governments and their media in order to stop the current madness, it will be up to other countries to fulfill that role. It is to be hoped that they can achieve that task without adding another bloody chapter to the history that started with the desire of the European monarchs to crush the French Revolution.

Jean Bricmont



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Lenin e la prima guerra mondiale


di Roberto Sidoli, dell’Associazione Primo Ottobre di amicizia Italia-Cina

Il testo della relazione presentata all’assemblea di Bellinzona (Svizzera) tenutasi l’11 ottobre 2014 e organizzata dal Movimento Svizzero per la Pace.

Il primo conflitto planetario imperialistico non scoppiò nel luglio/agosto del 1914 per errore umano o pura casualità: come ha giustamente notato David Stevenson nel suo libro “La grande guerra” (p. 43), la tesi della guerra per errore “è oggi insostenibile” anche solo tenendo a mente la distanza temporale di più di un mese creatasi nel 1914 tra il celebre attentato di Sarajevo e lo scoppio effettivo delle ostilità sul suolo europeo.

Non fu certo una guerra divampata a “caldo”…

Inoltre la prima guerra mondiale non si sviluppò certo per assenza o scarsità di processi di globalizzazione, di compenetrazione economica tra le nazioni in conflitto, anzi. Sempre Stevenson, lontano anni-luce da qualunque simpatia comunista e marxista, ha sottolineato un punto fermo ormai assodato dalla storiografia contemporanea notando che “gli anni che precedettero il 1914 conobbero livelli di interdipendenza economica che non si ripeterono più fino a ben oltre la seconda guerra mondiale” e al 1960, visto che proprio nel 1913 le esportazioni/importazioni valevano e pesavano per circa un quarto del prodotto nazionale lordo tedesco, britannico e francese di quel tempo (Stevenson, op. cit., pp. 40-41).

La guerra del 1914-18 invece scoppiò principalmente per lo scontro mortale in atto da tempo tra due gruppi imperialisti contrapposti, quello anglofrancese (e russo) e l’alleanza tedesco-austriaca, a causa del loro conflitto antagonista per il dominio politico-economico, per il controllo dei mercati, delle sfere d’influenza e delle fonti di energia/materie prime su scala europea e mondiale, risultando – come notò giustamente Lenin – una battaglia senza limiti per decidere quale delle due “bande di briganti” dovesse egemonizzare il mondo, il blocco anglofrancese o viceversa quello tedesco.

Grazie anche all’eccellente studio effettuato nel 1993 da Paul Kennedy rispetto all’antagonismo anglo-tedesco nel Ventesimo secolo, persino alcuni storici anticomunisti negli ultimi decenni hanno in parte dovuto prendere atto della validità dell’analisi leninista rispetto alle cause fondamentali del primo macello planetario, focalizzando a modo loro l’attenzione sulla “weltpolitik” condotta tra il 1890 e il 1914 dai circoli dirigenti dell’imperialismo tedesco, con l’imperatore Guglielmo II in testa, in qualità di mandatario politico della frazione politica egemone in quel periodo storico all’interno della borghesia e dell’apparato statale della Germania.

Ad esempio Stevenson, sulla scia di Paul Kennedy, ha posto l’accento sul piano strategico via via elaborato dall’imperialismo tedesco dal 1890 al 1914 e teso a ottenere progressivamente l’egemonia planetaria, focalizzando l’attenzione sulla “nuova iniziativa intrapresa a partire dagli ultimi anni Novanta del XIX secolo, conosciuta come politica mondiale o weltpolitik. La sicurezza continentale ora non bastava più, e Guglielmo II e i suoi consiglieri affermavano con ostentazione il diritto della Germania ad avere voce in capitolo nell’impero ottomano (dove dichiarò di essere il protettore dei musulmani), in Cina (dove la Germania acquisì un diritto sul porto di Tsingtao, nella baia di Chiao Chou) e in Sud Africa (dove Guglielmo II sostenne gli afrikaner contro i tentativi britannici di controllarli, inviando nel 1896 un telegramma di sostegno a Paul Kruger, presidente del Transvaal).

La manifestazione più concreta di weltpolitik furono però le leggi navali del 1898 e 1900. Con l’approvazione del Reichstag, il ministro della Marina di Guglielmo II, Alfred von Tirpitz, iniziò la costruzione di una nuova flotta di corazzate studiate per operazioni nel Mare del Nord”. (D. Stevenson, op. cit., p. 56)

Un’analisi corretta, che tuttavia non prende nel giusto esame la weltpolitik opposta e antagonista che era stata condotta anche dalla borghesia inglese, tesa e finalizzata da secoli al processo di costruzione di un’egemonia britannica su scala planetaria e rispetto a buona parte del mondo extraeuropeo, attraverso l’utilizzo della supremazia incontrastato sul piano marittimo-militare via via a partire dal 1713.

Nel 1890-1914, in altri termini, l’imperialismo inglese risultava da tempo come la principale potenza imperialistica su scala mondiale, a capo di una rete planetaria capillare di oppressione politica e di sfruttamento economico-finanziario che estendeva la sua sinistra tela dal Canada alla Cina e a Hong Kong, passando per buona parte dell’America Latina, dell’Africa e per il controllo dell’intero subcontinente indiano, attuali Pakistan e Sri Lanka inclusi; la weltpolitik inglese, altrettanto feroce e spietata di quella tedesca, nel periodo precedente all’estate del 1914 aveva l’obiettivo strategico di difendere a qualunque costo l’egemonia coloniale e neocoloniale (ad esempio nei confronti del Portogallo e dell’Argentina di quel tempo) britannica contro quello che dal 1898-1900 risultava ormai il suo nemico principale, l’aggressivo e sempre più potente imperialismo tedesco, anche a costo di allearsi a tal fine con un precedente e scomodo “nemico storico” dell’Inghilterra, e cioè quella Russia zarista con cui Londra aveva avviato in precedenza una sotterranea ma sanguinosa lotta (il “Great Game”) per l’egemonia sull’Asia centrale, dal 1835 al 1905.

Lo scontro internazionale, divenuto mortale e irreversibile dal 1907 in poi, tra la weltpolitik tedesca e quella speculare dell’imperialismo britannico risulta la chiave di lettura decisiva delle origini e cause principali della prima guerra mondiale: un’asse e una matrice fondamentale a cui, dal 1898 in poi, si aggiunsero e aggregarono via via anche gli altri conflitti e contraddizioni interimperialistiche, a partire da quelle esistenti tra Francia e Germania per il controllo dell’Europa occidentale (Belgio e Alsazia – Lorena in testa) e tra Russia e Austria, per l’egemonia politica-economica nei Balcani.

Anche lo storico anticomunista N. Ferguson, nel suo libro intitolato “La verità taciuta”, ha riconosciuto in parte tale “fatto testardo” ammettendo le pesanti responsabilità – spesso sottaciute, se non negate del tutto – dell’imperialismo britannico nello e per lo scoppio della prima guerra mondiale.

Andando controcorrente rispetto al trend principale della storiografia occidentale, Ferguson ha notato ad esempio che era scorretta, e in gran parte falsa, la tesi ufficiale dell’imperialismo britannico per cui i suoi circoli dirigenti – allora il governo inglese risultava di matrice liberale ed era guidato da Herbert Asquith, con al suo interno forti personalità quali Winston Churchill (ministro della marina militare britannica) e lord Grey, l’astuto ministro degli esteri di quel tempo – nei fatidici giorni compresi tra il 23 luglio e il 4 agosto del 1914 scelsero di entrare in guerra per difendere il “povero” Belgio, invaso dalla potenza militare tedesca a dispetto della sua neutralità di facciata.

Invece Ferguson dimostrò, in base alle stesse dichiarazioni di Churchill e Grey, come la posta in palio per l’imperialismo britannico risultasse assai diversa e di ben altro spessore, e cioè che a loro avviso la Gran Bretagna “non potesse, per la nostra stessa salvezza e indipendenza, permettere che la Francia fosse sconfitta come risultato di un atto di aggressione da parte della Germania”. Secondo Churchill un tiranno continentale mirava al dominio del mondo. Nelle sue memorie Grey abbracciava le due tesi. «Il nostro ingresso in guerra immediato e compatto», ricordava, «era dovuto all’invasione del Belgio». Ma la mia sensazione istintiva era che dovessimo accorrere in aiuto della Francia. Se la Gran Bretagna fosse rimasta in disparte, allora la Germania avrebbe dominato su tutta l’Europa e l’Asia minore, perché i turchi si sarebbero schierati con la Germania vittoriosa. Stare in disparte avrebbe significato il dominio della Germania, la sottomissione della Francia e della Russia, l’isolamento della Gran Bretagna, l’odio per lei sia da parte di chi ne aveva temuto l’intervento sia da parte di chi lo aveva desiderato e in ultima analisi che la Germania avrebbe avuto mano libera sul continente. Secondo K. M. Wilson questo argomento egoistico era più importante del destino del Belgio, che era enfatizzato dal governo principalmente per placare gli scrupoli di ministri di gabinetto tentennanti e per tenere l’opposizione al suo posto. Più di ogni altra cosa la guerra fu combattuta perché era nell’interesse della Gran Bretagna difendere la Francia e la Russia e impedire il consolidamento dell’Europa sotto un unico regime potenzialmente ostile”. (Ferguson, “La verità taciuta”, p. 34)

La posta in palio, come aveva notato giustamente Lenin dal suo esilio in Svizzera, paese in cui il geniale rivoluzionario russo era arrivato nell’agosto del 1914 e poco dopo lo scoppio delle ostilità, risultava pertanto l’egemonia politica ed economica su scala europea e mondiale: in una polemica del 1916 con il bolscevico Juri Pjatakov, Lenin annotò con esplicita approvazione “un eccellente definizione” (sue parole testuali) elaborata da Karl Kautsky poco prima dello scoppio della guerra, indicante che “in una guerra tra Germania e Inghilterra la questione non è la democrazia, ma il dominio mondiale, lo sfruttamento del mondo” (V.I. Lenin “Intorno a una caricatura del marxismo e all’economicismo imperialista”).

Sempre evidenziando la responsabilità dell’imperialismo britannico nel lungo processo politico, militare ed economico che dal 1898 al 1914 portò all’avvio del primo conflitto mondiale, Ferguson ha sottolineato altresì come a partire dal 1905 la politica estera britannica ebbe come suo fulcro l’individuazione (corretta) dell’imperialismo tedesco come nemico principale su scala mondiale, da indebolire a ogni costo e anche alleandosi con quella Russia zarista con cui Londra si era scontrata, direttamente o indirettamente, per almeno un secolo in Europa e in Asia centrale: anche alleandosi con un nemico storico della Gran Bretagna, come ammise apertamente fin dal 1906 il sopracitato lord Grey, ministero degli esteri inglese dal 1905 al 1916.

Rispetto a tale direttiva strategica di Grey e dell’imperialismo britannico, di cui il ministro degli esteri del tempo costituiva un fedele mandatario politico, Ferguson ha sottolineato come “la diminuzione della potenza russa in seguito alla sconfitta con il Giappone e alla rivoluzione del 1905 gli rese le cose facili. In queste circostanze poté contare sull’appoggio dell’opposizione per i tagli alle spese per la difesa dell’India e in tal modo sbarazzarsi di quelli che, al Ministero della Guerra e al governo dell’India, continuavano a pensare che la Russia fosse la vera minaccia alla frontiera nord-occidentale. Trovò anche un appoggio (e assai qualificato) nel colonnello William Robertson del Dipartimento di informazione del Ministero della Guerra, che si batté contro l’aumento degli impegni militari della Gran Bretagna in Persia o al confine afghano quando la Germania era la minaccia militare più seria”.

Con notevole lucidità proprio Roberston notò che “per secoli in passato ci siamo opposti a tutte le potenze che a turno avevano aspirato alla supremazia continentale; e nel contempo, e come conseguenza, abbiamo ravvivato la nostra sfera di supremazia imperiale. Un nuovo predominio sta ora crescendo, il cui centro di gravità è Berlino. Qualunque cosa ci aiuti a opporci a questo pericolo nuovo e formidabile sarebbe di inestimabile valore per noi”.

Questo offrì a Grey l’occasione di attuare profondi mutamenti nella politica estera inglese.

Gli accordi immediati conclusi (tra la Russia e la Gran Bretagna) il 31 agosto 1907 riguardavano il Tibet e la Persia. Il primo divenne uno stato cuscinetto; l’altra fu divisa in sfere di influenza, il nord alla Russia, il centro neutrale e il sud-est alla Gran Bretagna. Con le parole di Eyre Crowe, la finzione di una Persia unita e indipendente doveva essere sacrificata pur di evitare qualsiasi lite con la Russia. Per secoli in passato – per usare l’espressione di Robertson – la Gran Bretagna aveva anche cercato di opporsi all’estensione russa nei Dardanelli e anche in Persia e in Afghanistan. Ora, per il bene dei buoni rapporti con la Russia, tutto questo poteva essere abbandonato. Se le questioni asiatiche si sistemano favorevolmente, disse Grey al sottosegretario di Stato Sir Arthur Nicholson, i russi non avranno guai con noi riguardo all’ingresso del Mar Nero. La vecchia politica di chiuderle in faccia gli Stretti e rinfacciarle il suo peso a ogni conferenza delle potenze sarebbe stata abbandonata, anche se Grey rifiutò di dire con precisione quando.

Allo scopo di rafforzare il ruolo della Russia di contrappeso alla Germania su terra, Grey arrivò persino a manifestare segni di incoraggiamento alle tradizionali ambizioni russe nei Balcani”. (Ferguson, op. cit., pp. 111-112).

“Supremazia imperiale”; accordi russo-inglesi per la spartizione dell’Iran e del Tibet; individuazione da parte di Londra del “nuovo predominio” imperiale che “sta crescendo a Berlino” e l’asserita necessità, per l’imperialismo britannico, di “opporsi a questo pericolo nuovo e formidabile”: sembra quasi che il geniale marxista Lenin avesse avuto superpoteri tali da permettergli di conoscere in segreto le reali motivazioni strategiche degli imperialismi britannico e tedesco tra il 1898 e il 1914, quando egli iniziò a elaborare compiutamente in terra svizzera la sua analisi dell’imperialismo.

Lenin comprese infatti alla perfezione come la guerra del 1914 fosse la prosecuzione della politica con altri mezzi, con mezzi violenti (Clausewitz), e che la politica condotta dai nuclei dirigenti politici delle diverse potenze – ivi compresi gli Stati Uniti e il Giappone – dopo il 1870 e fino al 1914 fosse una politica imperialistica e “l’espressione concentrata” di precisi interessi economici della borghesia e del capitale finanziario: una tesi innegabile che è stata confermata in seguito da un secolo di altre esperienze concrete, di invasioni e occupazioni imperialistiche, di guerre più o meno sotterranee tra le grandi potenze e, non certo ultimo fattore per importanza, dal secondo conflitto mondiale.

A questo punto si può ormai passare a individuare alcune tesi e punti fermi, importanti ma di regola poco noti, del processo di analisi sull’imperialismo effettuata da Lenin.

Non mi riferisco alla sua ormai classica definizione dell’imperialismo, intesa correttamente come “stadio monopolistico del capitalismo” con i suoi “cinque principali contrassegni” e cioè:

  1. “La concentrazione della produzione del capitale, che ha raggiunto un grado talmente alto di sviluppo da creare i monopoli (trust, multinazionali, ecc.) con funzione decisiva nella vita economica;
  2. La fusione del capitale bancario col capitale industriale e il formarsi, sulla base di questo “capitale finanziario” di un’oligarchia finanziaria (credo che qui in Svizzera, ma non certo solo da voi, tale definizione leninista risulti ormai particolarmente chiara e veritiera…);
  3. La grande importanza acquisita dall’esportazione di capitale in confronto con l’esportazione di merci;
  4. Il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali, che si ripartiscono il mondo (le multinazionali, gli istituti finanziari e le compagnie di assicurazione che operano su scala mondiale, ecc.);
  5. La compiuta ripartizione della terra, di tutto il nostro pianeta, “tra le più grandi potenze capitalistiche” (V. I. Lenin, “Imperialismo, fase suprema del capitalismo” (cap. VII).

Dal 1914-16 fino ad oggi, un secolo intero di esperienze storiche concrete e ripetute ha mostrato via via la validità e l’esattezza del processo di definizione leninista rispetto all’imperialismo. Mi soffermerò pertanto su altri “anelli” e “reti” teoriche di Lenin, a partire dall’individuazione geniale da parte sua della tendenza generale allo sviluppo diseguale all’interno delle potenze capitalistiche: un tema che buona parte della sinistra “antagonista” preferisce non affrontare perché troppo legata alle tesi leniniste (non di Stalin, anche se riprese con determinazione dal leader comunista georgiano) sulla possibilità di una rivoluzione socialista in un solo paese e – a determinate condizioni – della possibile costruzione del socialismo anche in un solo paese.

Lenin notò acutamente, nel suo “Imperialismo” del 1916, che la praxis concreta del 1870-1916 mostrava chiaramente come le diverse potenze imperialistiche si sviluppassero sul piano economico (e militare, militar-tecnologico, di conseguenza) con ritmi e tassi di sviluppo assai diversi, acquisendo saggi di incremento del loro potenziale globale economico (e militar-tecnologico) molto differenti tra loro: un’asimmetria profonda che non solo costituiva una realtà innegabile sul piano mondiale ma, anche e simultaneamente, una sorta di profonda “faglia tettonica” profonda, che con il tempo preparava in modo cumulativo e continuo dei veri e propri “terremoti” e dei salti di qualità rispetto al concreto rapporto di forze e alla correlazione di potenza concreta tra le diverse potenze imperialistiche, facendo in modo che alcune di esse risultassero in declino relativo rispetto ad altre, invece collocatesi via via in una posizione politicamente vantaggiosa di ascesa relativa rispetto alle prime.

Tale era il caso concreto della Germania, in ascesa rispetto alla declinante potenza mondiale “numero uno” britannica nel periodo compreso tra il 1870 e il 1914: uno studioso anticomunista come Stevenson ha ammesso ad esempio che se in termini di produzione di acciaio la Germania nel 1870 fabbricava solo la metà dell’output britannico in tale settore strategico, già nel 1913 il rapporto di forza ormai risultava rovesciato a favore dei tedeschi, con una produzione doppia rispetto a quella dell’imperialismo inglese.

Un’ulteriore conseguenza e sottoprodotto della legge dello sviluppo diseguale dell’imperialismo, nelle sue reti e filiali nazionali, risultava un tasso crescente di instabilità e di tensioni politico economiche tra le diverse potenze imperialistiche, un sempre più elevato – in rapporto mediato con i diversi ritmi di sviluppo economici e tecnologici, sia in campo civile che militare – livello di conflittualità tra di loro, particolarmente evidente tra gli stati in ascesa (relativa) e declino (relativo) e, a maggior ragione, tra le grandi potenze imperialiste in via di declino relativo e quelle invece in fase di “sorpasso” rispetto a queste ultime: un fenomeno già notato, in un ben diverso contesto strategico, dal grande storico greco Tucidide, rispetto allo scontro pluridecennale avvenuto tra la potenza (in ascesa) dell’Atene schiavista del V secolo a.C. e quella di Sparta, in declino relativo.

La legge dello sviluppo diseguale nel 1870-1914 ridisegnò via via (e ridisegna tuttora) i rapporti di forza globali tra le diverse potenze imperialistiche, provocando nel medio e lungo periodo sia una trasformazione delle loro strategie generali e delle loro aspettative, ambizioni e appetiti politico-economici che una crescita parallela delle tensioni e degli scontri al loro interno, in una prima fase sotto forma “molecolare” (Gramsci) e in seguito attraverso un processo articolato che culminava in salti di qualità e fasi di “scoppio” esplosivo: le guerre imperialistiche, pertanto, costituiscono a loro volta uno dei sottoprodotti anche della legge dello sviluppo diseguale, assieme a quella concorrenza e conflittualità “normale” (Marx, Manifesto del Partito Comunista) esistente costantemente nei rapporti tra le diverse potenze borghesi, fin dai lontani tempi degli scontri tra le protocapitalistiche città marinare di Genova, Pisa e Venezia nel 1200/1400..

Sarebbe altresì utile a mio avviso, come di Massimo Leoni e Daniele Burgio, necessaria un’analisi specifica rispetto a tale tematica, come del resto sulla tesi del 1915 di Lenin (“Sulla parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa”) per cui “l’ineguaglianza dello sviluppo economico e politico è una legge assoluta del capitalismo e risulta che è possibile il trionfo del socialismo all’inizio in alcuni paesi o anche in un solo paese capitalistico, preso separatamente”.

Sarebbe altresì utile lo studio dell’applicazione da parte di Lenin della teoria dello sviluppo diseguale anche al movimento operaio, con lo spostamento progressivo del centro di gravità rivoluzionario da occidente verso oriente: dall’Inghilterra del cartismo (1830-1846) alla Francia del 1848-1871, fino al periodo in cui dopo il 1871 (si legga lo scritto di Lenin “La terza Internazionale e il suo posto nella storia”) il movimento operaio tedesco conquistò per quattro decenni l’egemonia nel movimento operaio internazionale, quando ancora la Germania risultava assai indietro rispetto all’Inghilterra e alla Francia dal punto di vista dello sviluppo capitalistico, fino al nuovo “passaggio di testimone” rivoluzionario dalla Germania alla Russia nel 1905-1917, quando” (e per un lungo periodo…) “l’egemonia nell’Internazionale rivoluzionaria proletaria” passò alla “Russia arretrata” sul piano economico, come sottolineò Lenin nel 1919.

Ma queste due tematiche ci porterebbero troppo lontano: meglio tornare al processo di analisi dell’imperialismo.

Strettamente collegata alla tendenza e allo sviluppo diseguale, un’altra stimolante categoria e “rete” di interpretazione leninista del processo di sviluppo/decadenza contraddittoria dell’imperialismo, con la sua continua dinamica di competizione globale (tendenza che si confronta costantemente con la controtendenza dell’interdipendenza economica tra le diverse potenze mondiali) risulta la tendenza alla distribuzione diseguale: e cioè l’asimmetria esistente nel processo di acquisizione dei “territori” e delle sfere di influenza specifiche da parte delle diverse potenze imperialistiche, in base a diseguali e mutevoli rapporti di forza.

Come notò giustamente Lenin, il processo su scala planetaria di acquisizione brigantesca e predatoria delle sfere di influenza dal 1870 si verifica sempre in base ai rapporti di forza economici e militari, diseguali e asimmetrici, creatisi via via tra le diverse potenze mondiali; correlazioni di potenza che tra l’altro via via si modificano continuamente, in base alla legge dello sviluppo diseguale sopra esaminata. Rileggiamoci il grande rivoluzionario russo quando, nel capitolo VI del suo Imperialismo, egli vide chiaramente come “tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo la spartizione del mondo fosse ormai totale. I possedimenti coloniali crebbero a dismisura dopo il 1876, da 40 a 65 milioni di chilometri quadrati, cioè ben più di una volta e mezza. Questo aumento ascende per le sei grandi potenze a 25 milioni di chilometri quadrati, vale a dire una volta e mezzo la superficie della madre patria (16,5 milioni).

Nel 1876 tre Stati non avevano alcuna colonia, e un altro, la Francia, quasi nessuna. Nel 1914 quasi quattro paesi possedevano colonie per 14,1 milioni di chilometri quadrati, cioè circa una volta e mezza l’Europa, con una popolazione di circa 100 milioni di uomini. Pertanto l’ineguaglianza dell’estensione dei possedimenti coloniali è molto grande. Se si confrontano, per esempio, la Francia, la Germania e il Giappone, che non differiscono molto per superficie e popolazione, risulta che la Francia ha acquistato come superficie quasi tre volte più di colonie che la Germania e il Giappone presi insieme. Ma la Francia all’inizio del detto periodo era assai più ricca di capitale finanziario che non, forse, la Germania e il Giappone presi insieme. Oltre alle condizioni economiche, e in base a queste, influiscono sulla grandezza del possesso coloniale anche le condizioni geografiche, ed altre. Benché negli ultimi decenni sia avvenuto, sotto l’influenza della grande industria, dello scambio e del capitale finanziario, un forte livellamento in tutto il mondo, e si siano pareggiate nei vari paesi le condizioni di economia e di vita, tuttavia persistono non poche differenze. Tra i sei paesi summenzionati troviamo dei giovani paesi capitalisti in rapidissimo progresso, come l’America, la Germania e il Giappone; altri in cui il capitalismo è antico, e che negli ultimi tempi si sono sviluppati assai più lentamente dei primi, come la Francia e l’Inghilterra e infine un paese, la Russia, il più arretrato nei riguardi economici, dove il più recente capitalismo imperialista è, per così dire, avviluppato da una fitta rete di rapporti precapitalistici”.

Nel IX capitolo dell’“Imperialismo” Lenin elaborò le conclusioni – corrette e inevitabili – di tale analisi notando che “in regime capitalistico non si può pensare a nessun’altra base per la ripartizione delle sfere di interesse e di influenza, delle colonie, ecc. che non sia la valutazione della potenza dei partecipanti alla spartizione, della loro generale potenza economica, finanziaria, militare, ecc. Ma i rapporti di forza si modificano, nei partecipanti alla spartizione, difformemente, giacché in regime capitalista non può darsi sviluppo uniforme di tutte le singole imprese, trust, rami d’industria, paesi, ecc. Mezzo secolo fa” (nel 1866) “la Germania avrebbe fatto pietà, se si fosse confrontata la sua potenza capitalistica con quella dell’Inghilterra d’allora: e così il Giappone rispetto alla Russia. Si può immaginare che i rapporti di forza tra le potenze imperialistiche rimangano immutati? Assolutamente no”.

In questo campo specifico, e cioè nel mutevole e contraddittorio processo di distribuzione del “bottino” e delle sfere d’influenza tra i “predatori” e i diversi briganti imperialistici, vige costantemente la dura legge dei rapporti di forza politico-militari, economico-tecnologici e finanziari, con la derivata “legge di Brenno” e il suo esplicito “guai ai vinti”: giustamente Lenin sottolineò, anche nel suo scritto “Sulla parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa”, che “in regime capitalistico non è possibile altra base, altro principio di spartizione che la forza”, aggiungendo subito che “per mettere alla prova la forza reale di un paese capitalistico, non c’è e non può esservi altro mezzo che la guerra”.

Sarebbe interessante nel prossimo futuro, sviluppare un’analisi comparata tra la situazione esistente nel mondo attorno al 1914 e quella attuale, utilizzando in modo creativo e non dogmatico gli splendidi criteri di analisi leninista rispetto a tematiche ancora sconosciute al grande rivoluzionario russo, quali ad esempio:

  • il processo di creazione su vasta scala, dopo l’agosto del 1945, di tremende armi di distruzione di massa (atomiche, chimiche e batteriologiche);
  • la diffusione multipolare delle armi nucleari e lo “stallo atomico” che ne è derivato, a partire dal 1945-57 e fino ai nostri giorni;
  • il tentativo statunitense di superare a proprio vantaggio egemonico tale particolare “stallo atomico” e la mutua distruzione assicurata (MAD) attraverso la corsa al riarmo nello spazio e le guerre stellari di Reagan, Clinton e Obama;
  • il declino relativo – a tratti assoluto – dell’imperialismo statunitense dal 1965 fino ai nostri giorni;
  • l’emergere nel 2010 di una nuova potenza “numero 1” a livello economico nel nostro pianeta, e cioè la Cina (prevalentemente) socialista, come ammesso persino da un rapporto della Banca Mondiale dell’aprile 2014;
  • la strategia cinese tesa ad evitare che il veloce declino e il probabile/prossimo collasso del capitalismo statunitense trascini di nuovo il mondo in un terzo e apocalittico scenario bellico-atomico, nell’”ipotesi Armageddon”;
  • la “controstrategia del caos” elaborata e attuata dagli attuali dirigenti politici statunitensi, tesa a creare il disordine generalizzato e a innescare con mezzi proteiformi dalle spirali, crescenti di tensione in alcune aree strategiche del globo: Siria e Iraq (con i terroristi dell’ISIS armati e foraggiati per anni dagli USA), Venezuela, Argentina (i “fondi avvoltoio” made in USA), Ucraina e l’appoggio statunitense ai nazisti della zona, isole di Diaoyu poste al confine tra la Cina e il Giappone, Hong Kong nell’autunno del 2014, ecc.;
  • la “guerra informatica” condotta su scala planetaria (Echelon, caso Snowden) dall’imperialismo statunitense e dai suoi alleati contro le potenze non-anglosassoni, in particolar modo la Cina;
  • il continuo spionaggio aereo effettuato dagli USA ai confini marittimi della Cina, provocando ad arte seri problemi con Pechino (come nel 2001 e nell’agosto del 2004).

C’è spazio per un dibattito ampio e per una profonda riflessione tra i marxisti. Voglio però subito sottolineare il dato politico centrale per il genere umano e i lavoratori di tutto il mondo, e cioè che attualmente – come nel 1913 e nei primi mesi del 1914 – il pericolo di una guerra mondiale risulta purtroppo tutt’altro che escluso, a causa fondamentalmente dell’imperialismo statunitense e dell’attuale disastrosa weltpolitik di Washington.

Dobbiamo alzare subito, e di molto, il livello di guardia e non creare illusioni tra le masse.

Forse molti compagni sono a conoscenza che nel 1914 lo studioso Norman Angell arrivò fino al punto di sostenere, in buona fede, che una guerra mondiale non risultava possibile a causa delle fitte relazioni economiche esistenti tra le diverse potenze mondiali e delle disastrose conseguenze di un eventuale conflitto bellico su vasta scala: il tutto solo pochi mesi prima dell’agosto del 1914, nel suo libro intitolato In modo involontariamente ironico “La grande illusione”. Si tratta di una “grande illusione” e di una tesi che è stata ripresa molto meno in buona fede seppur con un identico fallimento teorico, da Thomas L. Friedman nel 1999 con la sua teoria “del McDonald’s antiguerra”, tesa ad addormentare le coscienze dei lavoratori.

Secondo Friedman, infatti, non risultava possibile una guerra fra nazioni al cui interno operassero dei punti di vendita McDonald’s: dopo soli pochi mesi, tuttavia, gli USA patria dei McDonald’s bombardarono a tappeto con i suoi alleati – Italia in testa – la Jugoslavia, proprio mentre a Belgrado potevano essere acquistati e venduti da alcuni anni i prodotti della sopracitata multinazionale statunitense.

Era solo fumo negli occhi e una forma di inganno contro la volontà di pace dei popoli. Tutto questo ciarpame – come del resto le tesi sulla presunta “fine della storia”, elaborate nel 1992 da Fukujama – si è dimostrato in breve tempo solo una forma illusoria di spazzatura ideologica e culturale, ma in ogni caso bisogna sviluppare tra i giovani e i lavoratori la coscienza collettiva della gravità oggettiva dell’attuale situazione politica planetaria, contraddistinta da un sinistro disegno globale statunitense che rischia di provocare fin da subito almeno una terza guerra mondiale “spezzettata”, secondo il giudizio parziale ma interessante espresso nell’agosto del 2014 dal leader indiscusso del Vaticano.

Siamo ancora in tempo per fermare tale opzione e la deriva bellico-nucleare, soprattutto grazie al contropotere globale ormai esercitato su scala globale dai paesi Brics, con in testa la Cina popolare, ma a tal fine serve anche un nuovo livello di sviluppo della mobilitazione delle masse popolari e della classe operaia dell’Europa, possibile e utilissima ma anche se non scontata: bisogna lottare assieme e su scala europea contro i focolai di guerra e contro la dissennata corsa al riarmo di marca statunitense, accettata anche dalla borghesia europea italiana, come nel caso dei costosissimi F-35.

Come ha notato D. Stevenson rispetto al tragico 1914 e al periodo storico che preparò il primo macello mondiale, “un ciclo di preparativi militari in perenne aumento” (ripeto: un ciclo di preparativi militari in perenne aumento) “fu un elemento essenziale della congiuntura che condusse al disastro. La corsa agli armamenti era un prerequisito necessario dello scoppio delle ostilità”.

A mio avviso la lotta su scala internazionale contro le spese militari e i nuovi armamenti, a partire da F-35 e “guerre stellari”, assieme alla battaglia per spegnere i principali focolai di guerra costituiscono i due primi “anelli” della catena che devono afferrare i comunisti europei per contribuire a scongiurare il reale, concreto pericolo di guerra generalizzata che grava tuttora sul genere umano.




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Ucraina antifascista: le più recenti iniziative

0) LINKS E BREVI
1) VERONA 15/10: Con l'Ucraina antifascista
2) MILANO 16/10: Presidio in Piazza della Scala
3) OSTIA LIDO (Roma) 18/10: Ucraina e scenari internazionali
4) UDINE 18/10: Presidio contro la guerra nel sud-est dell'Ucraina
5) F.I.R.: Fermare la guerra in Ucraina subito! Nessuna tolleranza per le forze nazifasciste! /
International Federation of Resistance Fighters (FIR): Stop the war in Ukraine now! No tolerance for neo-fascist forces!
6) L'ANPI di Vittorio Veneto indice iniziativa di sostegno al nazieuropeismo ucraino, poi fa dietrofront
7) Nasce il Partito Comunista nella Repubblica Popolare di Donetsk / Communist Party created in Donetsk People’s Republic
8) CRONACHE DELLA CAROVANA ANTIFASCISTA DELLA BANDA BASSOTTI
9) L'iniziativa sulla crisi ucraina a Napoli del 13 settembre. Report e link video youtube


=== 0: LINKS ===

Porre fine al terrore politico e all'arbitrio in Ucraina. Libertà ai prigionieri politici!
19 Settembre 2014 - Dichiarazione del 48° Congresso straordinario del Partito Comunista di Ucraina
http://www.marx21.it/comunisti-oggi/in-europa/24505-porre-fine-al-terrore-politico-e-allarbitrio-in-ucraina-liberta-ai-prigionieri-politici.html#

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Il Partito dei Comunisti Italiani a Mosca 
25 Settembre 2014 - Il PdCI a Mosca per consultazioni, scambi di opinione e di informazione sulla situazione internazionale; e per iniziative congiunte di cooperazione e di solidarietà con l'Ucraina antifascista…
http://www.marx21.it/comunisti-oggi/nel-mondo/24534-il-partito-dei-comunisti-italiani-a-mosca.html#sthash.6GE6BGbJ.dpuf

VIDEO - intervista a Fausto Sorini: http://www.youtube.com/watch?v=Xo_8_Js3gnU#t=97

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Изложба о хуманитарној катастрофи у Украјини
Част нам је да Вас позовемо на свечано отварање изложбе фотографија „Хуманитарна катастрофа на југоистоку Украјине“, које ће се одржати у четвртак, 2. октобра 2014. године, у 12 часова, у холу Дома синдиката у Београду, улица Дечанска бр.14.
Изложба је посвећена хуманитарној катастрофи у градовима Одеса, Луганск, Доњецк и другим местима на југоистоку Украјине, који су захваћени грађанским ратом.
Изложба је отворена сваког дана од 2. до 6. октобра, од 9 – 19 часова.

ОТВАРЕНА ИЗЛОЖБA О ХУМАНИТАРНОЈ КАТАСТРОФИ НА ЈУГОИСТОКУ УКРАЈИНЕ (четвртак, 02 октобар 2014)
http://www.beoforum.rs/saopstenja-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/604-foto-izlozba-2014-10-2.html

Године лудила (2. октобар 2014.) НЕКА  ЗЛА  ПРЕСТАНУ!

Живадин Јовановић : На отварању изложбе о хуманитарној катастрофи на Југо-истоку Украјине (четвртак, 02 октобар 2014)

ФОТОГРАФИЈЕ СА ОТВАРАЊА ИЗЛОЖБЕ МОЖЕТЕ ПОГЛЕДАТИ ОВДЕ: 

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‘La guerra informativa per l’Ucraina’ – Ironia di un programma satirico tedesco
05/10/2014 - Sul Canale della TV Tedesca “ZDF” è andato in onda un programma satirico proposto dal gruppo teatrale “Napalm” che ha fatto una azzeccatissima rappresentazione di come venga gestita la guerra informativa sulla crisi in Ucraina…


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Irruzione dei nazieuropeisti ucraini ad una iniziativa a Madrid

In Spagna i "nazionalisti" ucraini con bandiere ucraine, dello Trizub e Svoboda sono apparsi in sala a gridare "Gloria all'Ucraina!", "Gloria agli eroi" durante una mostra ed un seminario all'università a Madrid che commemorava le vittime del 2 maggio a Odessa, in presenza dei testimoni della tragedia.
Secondo i testimoni dell'accaduto i banderisti hanno cercato di far saltare il seminario e la mostra dicendo che nessuno può disonorare Pravyi Sektor, incolpando i filo-russi della stage a Odessa. Il tutto era accaduto davanti agli occhi di cirda 400 persone. Il casino è finito con l'espellere dei banderisti dalla sala…
Fonte: pagina FB di Irina Osipova, 10/10/2014 ( https://www.facebook.com/osipova/posts/10153270351173136 )


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Le peripezie di una traduttrice (ucraina) antifascista (11 Ottobre 2014)

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La Duma di Stato russa chiede un'inchiesta internazionale sui crimini contro la popolazione del Sud Est dell'Ucraina
11 Ottobre 2014 - da www.duma.gov.ru [ http://www.duma.gov.ru/news/273/831707/%20 ]
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Parigi, 11 Ottobre 2014: Manifestazione di protesta contro il regime stragista di Kiev ed in sostegno della Novorossiya

France: "Never forget!" Paris demo urges unity against 'Ukraine Nazism' (RT, 11/10/2014)
Around 50 people rallied on Paris' Esplanade of Human Rights on Saturday in support of French soldiers who have joined a French-Serbian brigade of the self-proclaimed Lugansk and Donetsk People's Republics' militia. 
Demonstrators held signs reading "Stop the genocide in Ukraine" and "No to the Kiev junta! NATO out of Ukraine!" in solidarity with the people of the Donbass region.
The demonstration was called by the French-Donbass Committee and featured an exhibition with photographs of Novorossia militia fighters.


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Forum on Ukraine repression and resistance (By Terri Kay / WW, October 13, 2014 - from Berkeley, California)


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Verona, 15 ottobre 2014
Sala Lucchi

CON L'UCRAINA ANTIFASCISTA

Introduce e coordina 
Marco Santopadre, giornalista di Contropiano
Tavola Rotonda con
Giorgio Cremaschi, Direzione Nazionale Ross@
Francesco Maringiò, Direzione Nazionale PdCI
Denis Valenti, Direzione Nazionale Partito Comunista
con la testimonianza di
Serghey Markhel, sopravvissuto della strage di Odessa,
in viaggio per l'Europa con una mostra fotografica per raccontare la verità


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CON L'UCRAINA ANTIFASCISTA
GIOVEDI 16 OTTOBRE - ORE 18
PIAZZA DELLA SCALA – MILANO

poroscenko con la sua junta piena di nazisti deve andarsene dalla nostra città, medaglia d'oro della resistenza !
siamo contro gli u.s.a. che usano fascisti e jihadisti, devastando i popoli, per asservire le nazioni:
jugoslavia, afghanistan, iraq, libia, siria, ucraina, venezuela  ce l’hanno insegnato.
chiediamo che l’italia non finanzi il governo ucraino che ha bombardato le città e si serve anche dei nazisti contro la popolazione civile del donbass.
chiediamo a giuliano pisapia di esprimersi su chi governa con i neonazisti.
le sanzioni economiche verso la russia ci si stanno ritorcendo contro con gravi danni al commercio ed alla nostra agricoltura, e con un aumento dei costi di gas ed elettricità che colpiranno maggiormente i ceti meno abbienti.
PRESIDIO
ANTIFASCISTA  ED ANTIMPERIALISTA
Chiamiamo quindi alla mobilitazione tutte le organizzazioni democratiche e i cittadini antifascisti amanti della pace e soprattutto tutti i lavoratori, poiché la guerra è contro il lavoro e tocca ai lavoratori fermarla.

COMITATO CONTRO LA GUERRA - MILANO




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Ostia Lido (Roma), 18 ottobre 2014

ore 10:00 presso: Sala Consiliare "Massimo Di Somma", Municipio X
Piazza della Stazione Vecchia 26

UCRAINA E SCENARI INTERNAZIONALI

ne parliamo con:
Giulietto Chiesa - pres. di Alternativa e fondatore di Pandora TV
Giulio Paparella - Ass. Romana "No Guerra" / Con il Donbass Antinazista

Promuovono:
PRC Acilia
M5S Roma13



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Udine. Presidio contro la guerra nel sud-est dell'Ucraina

Sabato 18 ottobre una delegazione di antifascisti russi ed ucraini manifesterà contro la guerra fascista in Ucraina davanti al Municipio di Udine

Invitiamo tutti gli antifascisti italiani a portare la loro solidarietà

Appuntamento a Udine il 18/10 alle 15.00 in Via Nicolò Lionello, 1


Il golpe fascista in Ucraina e il genocidio in atto delle minoranza russofone del Donbass fa parte della stessa strategia di destabilizzazione che abbiamo già visto all'opera in Iraq, in Libia, in Afghanistan, in Palestina.

La giunta golpista di Kiev, in cui siedono, per la prima volta in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale, quattro ministri che rivendicano orgogliosamente la propria matrice nazista, ha inviato nel Donbass l’esercito e le squadre paramilitari neonaziste di Settore destro per stroncare la resistenza popolare al nazismo con ogni mezzo: stragi, agguati, esecuzioni sommarie e nuovi campi di concentramento.

Da sei mesi vengono usati carri armati e lanciamissili per colpire i civili e le loro abitazioni, gli ospedali, gli orfanotrofi e le scuole. 

Oltre 20 mila cittadini del Donbass sono stati uccisi dalle milizie fasciste negli ultimi sei mesi. Alcuni sono stati giustiziati e sepolti in fosse comuni, cosa che è stata denunciata anche dagli osservatori OCSE, ma che non ha trovato eco sui mezzi d’informazione italiani, aprioristicamente schierati dalla parte dei golpisti e nazisti oggi al potere a Kiev, per compiacere gli appetiti imperialisti degli Stati Uniti e della UE.

SOSTENIAMO LA POPOLAZIONE DEL DONBASS
CON L’UCRAINA ANTIFASCISTA
MORTE AL NAZISMO. LIBERTÀ AI POPOLI!


Ross@ (Resistenza, Opposizione, Socialismo, Solidarietà, Antifascismo)
Comitato veneto di solidarietà con il Donbass antinazista




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(Fonte: ANPI Torino, 19 settembre 2014
N.B. L'ANPI a livello nazionale aderisce ufficialmente alla FIR ed esprime anche due componenti nell'Esecutivo )

FERMARE LA GUERRA IN UCRAINA SUBITO! NESSUNA TOLLERANZA PER LE FORZE NAZIFASCISTE!

La Federazione Internazionale dei Combattenti della Resistenza - associazione antifascista FIR - chiede all'attuale governo dell'Ucraina di fermare immediatamente la guerra civile contro il suo popolo nell'est del paese. 
I resoconti delle attività militari - svolte anche contro i civili - e l'annuncio del presidente Poroshenko che intende "dare una lezione" ai "separatisti", rendono chiaro il fatto che ogni ulteriore opposizione all'attuale governo verrebbe contrastata con violenza efferata.
Questi crimini contro il proprio popolo sono resi possibili anche a causa del governo degli Stati Uniti d'America e dell'Unione Europea, che dal maggio 2014 hanno stabilito continuamente nuove sanzioni contro la Russia, paese accusato di supportare i separatisti, e che ora si trovano in una situazione letale e tollerano di fatto questi massacri.
Se l'OSCE ha ancora un signifcato politico in Europa, deve dimostrarlo adesso e deve fare del suo meglio per porre fine alla guerra..
La pace in Ucraina è possibile solo se l'influenza politica e militare di forze apertamente nazifasciste e ultranazionaliste quali "Settore Destro" o il partito "Svoboda" vengono fermate. Questi gruppi sono contrari nelle proprie affermazioni e nelle proprie azioni ai valori e ai fondamenti di un'Europa democratica. Non può accadere e non può essere accettato che gruppi di questo tipo si trovino in posizioni di responsabilità nel nuovo governo ucraino.
Finché i fascisti a Kiev siedono nei posti di potere, nessun governo europeo dovrebbe essere autorizzato a dare supporto all'attuale governo in ucraina.
Chiediamo ai membri del neo eletto parlamento europeo di disegnare in modo netto una "linea rossa" su questa questione politica.
Altrimenti, la tolleranza nei confronti dei nazifascisti potrebbe diventare un modello per altri paesi europei.

Federazione Internazionale dei Combattenti per la Resistenza (FIR)

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International Federation of Resistance Fighters (FIR): Stop the war in Ukraine now! No tolerance for neo-fascist forces!

The International Federation of resistance Fighters (FIR) – Association of Antifascists calls the actual government of Ukraine to stop the civil war against the own people in eastern Ukraine immediately. 
The reports on the military activities – even against civilians – and the announcement of President Poroschenko to take revenge against all “separatists” make it clear that any opposition against the current government should be fought with intensive violence.
Those crimes against the own people are possible because the government of the U.S. and the European Union, which decided in may 2014 every minute a new sanction against Russia, because this country was blamed to support the separatists, now are in a death-mans situation and tolerate in fact these massacres. Should OSCE have a political significance in Europa then it must be proved now and OSCE must do its best to finish the war.
Peace in Ukraine is only possible, if the political and military influence of open fascists and ultra-nationalist forces e.g. the “right sector” or the party “Svoboda” can be stopped. These groups are contrary in their statements and their activities to the values and the basics of a democratic Europe. It cannot be and it is not acceptable, that such groups are in responsible positions of the new Ukraine government.
As long as fascists in Kiev are sitting on seats of power no European government should be allowed to give support to the current government in Ukraine.
We call the members of the newly elected European Parliament to draw “red line” on this political issue. Otherwise, the tolerance of fascists could become a model for other European countries.

International Federation of resistance Fighters (FIR)


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L'ANPI di Vittorio Veneto ha cancellato il vergognoso evento sull'Ucraina programmato per il 18 ottobre

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Fonte: pagina FB "Premio Goebbels per la disinformazione", 11/10/2014
https://www.facebook.com/premiogoebbels

<< La notizia non è ancora confermata al 100%, ma pare che l'Anpi di Vittorio Veneto si sia decisa ad annullare la vergognosa iniziativa sull'Ucraina programmata per il 18 ottobre. Un evento a cui erano stati invitati a relazionare i noti sostenitori del regime golpista di Kiev Massimiliano Di Pasquale ed Anna Zafesova (nostro Premio Goebbels alla carriera). A paventare questa ipotesi è lo stesso Di Pasquale, con un post scritto su una pagina dei fan italiani dei nazisti di EuroMaidan. Inoltre, la locandina dell'evento è stata rimossa dalla pagina Facebook della sezione dell'Anpi di Vittorio Veneto. Se fosse così, questa sarebbe un'importante vittoria per tutti gli antifascisti che hanno protestato contro la grave decisione assunta dalla sezione di Vittorio Veneto, che offende la memoria dei partigiani caduti. 
No al fascismo ucraino! Con la Resistenza del Donbass, senza se e senza ma! >>

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Fonte: pagina FB "Premio Goebbels per la disinformazione", 12/10/2014

La notizia è confermata. L'Anpi di Vittorio Veneto ha cancellato il vergognoso evento sull'Ucraina programmato per il 18 ottobre, a cui avrebbero dovuto partecipare i Goebbels sostenitori del regime neonazista di Kiev Anna Zafesova e Massimiliano Di Pasquale. È una vittoria dei veri antifascisti, ottenuta grazie alle proteste e la mobilitazione in rete di centinaia di persone che non potevano accettare questa grave offesa alla memoria della Resistenza e dei partigiani caduti. 
Riportiamo la versione integrale del comunicato dell'Anpi di Vittorio Veneto. 

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Il comunicato dell’annullamento

La prevista conferenza "Ucraina: terra di confine?" del 18 ottobre, è stata annullata in quanto i giornalisti invitati, hanno ritirato la loro disponibilità ad essere presenti, visto il clima che si è venuto a creare attorno all'evento.
Riteniamo doveroso, alla luce delle prese di posizione contro l'iniziativa, ribadire quanto segue:
- l'incontro è stato organizzato con le associazioni "Mondo in cammino" e "Senza Frontiere" per rispondere alle esigenze manifestate dai nostri associati, di avere informazioni maggiori rispetto a quanto sta succedendo in Ucraina. Si è deciso di aderire alla proposta di contattare i due giornalisti, Zafesova e De Pasquale, con i quali Mondo in Cammino aveva già tenuto delle conferenze sullo stesso argomento (es. Oderzo, nei mesi scorsi).
.- si era consapevoli della complessità, della delicatezza dell'argomento e del fatto che in questi casi è difficile cogliere la "verità"; 
altrettanta consapevolezza c'è stata nella scelta degli oratori, noti come professionisti seri e conoscitori del tema, con una visione personale che poteva non essere condivisa da tutti e che sarebbe emersa durante la loro esposizione (come sarebbe successo con qualsiasi altro oratore), ma convinti che la gestione complessiva dell'Assemblea e il dibattito, ci avrebbero consentito di equilibrare le posizioni e di evidenziare la nostra.
- La nostra posizione, appunto, è in linea con quella dell'Anpi nazionale: libertà e pace per tutti i popoli, scelta libera del proprio destino senza pressioni esterne, sempre frutto di interessi economici e di potere che esulano dai bisogni reali delle persone. Ma anche
disponibilità ad affrontare le tematiche attuali senza condizionamenti e con onestà intellettuale che è sinonimo di libertà da pregiudizi e stereotipi, di rispetto per le posizioni che divergono e di coraggio nell'ammettere che "tutto" è relativo. L'unico punto sul quale siamo fermamente convinti è che nessun tipo di populismo autoritario, soprattutto filo-nazista, può aiutare l'Ucraina, e/o qualsiasi altro paese, a uscire dalla crisi in cui versa.
- I valori di fondo che ispirano la nostra attività, mutuati dalla Resistenza e confluiti nella Costituzione, sono il faro che dà senso alle nostre scelte e che a volte riteniamo superfluo sottolineare proprio perché sono "dentro" il nostro agire: giustizia sociale, democrazia, uguaglianza .....antifascismo, anti tutti i fascismi, vecchi e nuovi, che soggiogano le menti e i corpi in nome di false verità e discutibili ideali. Anche quelli, che sotto spoglie antagoniste, condizionano la libera discussione.
- Nel difficile momento attuale, il compito delle sezioni Anpi non è facile: oltre a coltivare la memoria come esempio per il presente, possiamo dare il nostro contributo alla conoscenza e all'approfondimento dei fatti attuali per consolidare lo spirito critico, la capacità di scelte mirate e consapevoli e per stimolare la partecipazione attiva alla vita sociale del paese. Ed è quello che cerchiamo di fare, con umiltà ma con attenzione e rigore, vorremmo che anche chi si è permesso di darci "dei suggerimenti" facesse altrettanto.

Il Direttivo della sezione Anpi Div. N. Nannetti


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Annullato il Convegno di Vittorio Veneto sulla crisi ucraina

Il Convegno intitolato Ucraina: terra di confine? previsto per sabato prossimo e organizzato dalla sez. Anpi di Vittorio Veneto, con la partecipazione di giornalisti e opinionisti vicini alla causa del nazionalismo ucraino, senza contrappesi e contraddittori, è stato annullato. Le motivazioni sono state addotte nel comunicato stampa diramato l’11 u. s. dal Direttivo della sezione stessa. La notizia aveva comprensibilmente suscitato clamore e proteste: per una volta ancora, a seguito del Convegno di Cadoneghe del 17 febbraio su Foibe e Confine orientale, invece tenutosi, articolazioni locali della nostra Associazione esprimevano il proposito di legittimare personaggi e sodalizi da sempre ostili all’Antifascismo, danneggiando seriamente l’immagine dell’Anpi. All’esterno non è contemplabile che si tratti di iniziative locali, ragion per cui, specialmente oggi con i social, ove tutto diviene fonte autorevole, si è immediatamente passati a trarre delle conclusioni generali sull’Associazione. Ne sono sortiti lettere e interventi, non tutti, va da sé, disinteressati. Se in molti sostengono giustamente che l’Anpi non debba in alcun modo supportare un nazionalismo come quello ucraino, coi suoi diretti, e fattivi, riferimenti al collaborazionismo filonazista nella Seconda guerra mondiale (si pensi alle famigerate SS ucraine che hanno seminato terrore e morte in tutta Europa, Italia compresa); altri, cui l’Antifascismo non può interessare di meno, hanno colto l’occasione per intorbidire le acque e infangare. È il caso del provocatore e calunniatore Alessandro Lattanzio, il cui post sul suo blog rossobruno “Aurora”, intitolato Anche l’Anpi al fianco dei nazisti ucraini, è stato il più condiviso e divulgato nella rete.

Non bisogna dar pretesti a questi diffamatori. L’annullamento di questo Convegno è un passo avanti. È bene che l’Anpi promuova una seria riflessione sull’argomento in oggetto e, in linea con le sue prerogative e il suo Statuto, sostenga la causa delle organizzazioni antifasciste che si stanno battendo contro la giunta golpista di Kiev, nel ricordo dell’immenso tributo di sangue dato dalle popolazioni sovietiche per la sconfitta del nazifascismo.

Silvio Antonini

Presidente Cp Anpi Viterbo


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Fonte: pagina FB "Comitato per il Donbass Antinazista", 10/10/2014
https://www.facebook.com/1464626327135220/photos/a.1464626383801881.1073741825.1464626327135220/1495434520721067/?type=1&theater
 
<< La notizia che aspettavamo da tanto tempo! Finalmente è stato fondato il #PartitoComunista nella Repubblica Popolare di #Donetsk con a capo l'attuale Presidente del Soviet Supremo della DNR, Boris Litvinov.
Il compagno Litvinov ha detto che supporterà Alexander #Zakharchenko per la carica di presidente della #DNR.
Il Partito Comunista è il primo partito politico mai costituito nella storia della #Novorossiya, le altre organizzazioni si presentano tutt'oggi sotto forma di movimenti. >>

VIDEO: www.youtube.com/watch?v=icAT8qMH4IQ

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http://en.tass.ru/world/753337

Communist Party created in Donetsk People’s Republic (October 08, 2014)
 
DONETSK, October 8. /TASS/. The Communist Party has been created in the self-proclaimed Donetsk People’s Republic.
Its founding congress was held in the republic on Wednesday.
Chairman of the DPR Supreme Council Boris Litvinov was proclaimed leader of the party.
He said the Communists would support DPR Prime Minister Alexander Zakharchenko’s candidature at the upcoming elections for premiership.
This is the first party in the history of the self-proclaimed republic. Other political organizations were set up in the form of public movement.

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Ukraine: The DPR just formed its OWN Communist Party (RT, 8/ott/2014)

The Communist Party of DPR became the first political party to officially form in the self-proclaimed Donetsk People's Republic (DPR) in Donetsk on Wednesday. The new Communist Party of DPR held a press conference where Boris Litvinov, currently the chairman of the Supreme Council of DPR, became the new party leader.
Litvinov said he would support the candidacy of Alexander Zakharchenko in the upcoming elections on November 2. Earlier today, Zakharchenko submitted his resignation as Prime Minister of the self-proclaimed region.



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UCRAINA: LA CAROVANA ANTIFASCISTA ALLA VOLTA DELLA NOVOROSSIJA


La Carovana Antifascista è in viaggio oggi, 26 settembre, alla volta della Novorossiya  con l’intenzione di portare aiuti umanitari ed esprimere solidarietà  nell’est dell’Ucraina a chi resiste agli attacchi  delle milizie dell’estrema destra ormai entrate a pieno regime nelle forze regolari del governo di Kiev.

Oltre questo obbiettivo dichiarato è quello di riuscire a portare in occidente corrispondenze dal fronte che possano aiutare a comprendere il fenomeno senza affidarsi ai media occidentali schierati apertamente con il governo Ucraino.

Per questo vi proponiamo di seguito una corrispondenza effettuata nel pomeriggio di oggi con Ilaria  , compagna italiana della Carovana Antifascista internazionale che vede anche diversi altri compagni in viaggio provenienti dai Paesi Baschi, Spagna e una delegazione dalla Grecia. Ascolta o scarica il contributo [http://www.radiondadurto.org/wp-content/uploads/2014/09/carovanaantifascista-primocollegamento26settembre.mp3]

Di seguito anche il primo scritto dei compagni e compagne realizzato il 25 settembre

Carovana Antifascista: questo è solo l’inizio…

Differenti compagni giunti da diverse parti d’Europa si sono uniti alla Carovana Antifascista verso la Novorossjia.
La maggior parte di noi si incontra per la prima volta in questi giorni per questa iniziativa di solidarietà lanciata dai compagni della Banda Bassotti.

Siamo coscienti di essere forse solo un granello di sabbia nell’ingranaggio di un’ Europa dove soffiano impetuosi i venti di guerra e di un’Unione che non disdegna di usare i neo-nazisti come punta di lancia per espandere la sua egemonia verso est.  Ma pensiamo che sia solo l’inizio e noi incominciamo col fare la nostra parte. Sperando che ciò che facciamo più che catalizzare l’attenzione su di noi, la indirizzi a ciò che succede oltre i Carpazi.

Le parziali difficoltà linguistiche e la mancata conoscenza reciproca tra di noi sono facilmente superate dallo spirito che anima la nostra presenza qui, dove ogni angolo della città comunica la volontà di non dimenticare il prezzo pagato per sconfiggere il nazi-fascismo.

Oggi come allora, c’è chi armi in pugno sta combattendo la peste bruna sostenuta ora in forme differenti da Usa e UE: sono i partigiani del Donbass. Per parafrasare un poeta comunista tedesco, il grembo che ha partorito quel mostro è ancora fecondo e lo sarà finché il capitalismo rimarrà in vita.   Sta a noi contribuire a seppellirlo, e per questo cominciando a comprendere pienamente la posta in gioco della ”partita”che si è aperta in Ucraina. 

Il settembre moscovita assomiglia più al nostro inverno.
Sui pali per strada, come nei vari sottopassaggi della metro del centro cittadino appaiono ovunque  adesivi per una manifestazione che si terrà il 27 settembre nella capitale russa, così come in altre città, in sostegno alla resistenza del Donbass, organizzata dalla coalizione antifascista anti-Maidan.  In differenti punti della città, nei gazebo fuori dalla metro, si raccolgono beni di prima necessità da portare alle popolazioni colpite dalla furia dell’esercito ucraino e delle formazioni militari neo-naziste.  É molto frequente incontrare per strada persone che portano ben in vista il nastro di S.Giorgio, sulla borsetta o sullo specchietto retrovisore piuttosto che in altri punti, tutti segni di una attenzione e di una solidarietà piuttosto diffusa. Molte t shirt in vendita ironizzano sull’accresciuta aggressività statunitense mostrando “l’orso russo” paziente ma preparato a controbattere le pressioni americane.

Sui media russi la situazione delle Repubbliche Popolari del Donbass ha una parte rilevante, diremmo centrale e “apre” regolarmente i telegiornali. Da delle prime conversazioni con alcuni giornalisti e attivisti di recente ritorno dal Donbass, siamo stati informati delle atrocità che i nazisti dei battaglioni Azov e Aidar (quest’ultimo interamente composto da nazisti europei) hanno compiuto nelle area abbandonate durante la ritirata nei giorni scorsi. Mentre ancora si combatte per la conquista della città di importanza strategica di Mariupol, le violenze inumane perpetrate nei confronti della popolazione civile e dei resistenti segnano un definitivo punto di non ritorno nella lotta di resistenza delle terre del Donabass, che oramai non può che assumere la parola d’ordine, o indipendenza o morte.     
Questo è ciò che abbiamo potuto constatare in questi giorni a Mosca.

Una buona premessa per chi si appresta ad affrontare una esperienza come la nostra, dove la vigilanza è alta sin dal primo giorno a causa delle possibili provocazioni fasciste di cui già il concerto moscovita avrebbe potuto essere teatro, nonostante l’impeccabile apparato di sicurezza garantito dai compagni antifascisti moscoviti.
Durante il concerto la bandiera delle Repubbliche Popolari “campeggia” sul muro.

Partiamo con poche certezze per Donetzk russa insieme ad un convoglio umanitario, ma sappiamo da che parte stare e questo per ora ci basta.



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UCRAINA: PROSEGUE IL SUO VIAGGIO LA CAROVANA ANTIFASCISTA


Prosegue il suo viaggio la Carovana Antifascista, che abbiamo seguito già ieri e che continueremo a seguire nel suo viaggio nel Donbass.

Dal confine, da Donetsk russa, vi proponiamo la corrispondenza di oggi, 27 settembre, con Alfredo, compagno della carovana. Ascolta o scarica [http://www.radiondadurto.org/wp-content/uploads/2014/09/rec0927-162218.mp3]

Di seguito vi proponiamo anche il secondo comunicato realizzato da compagni e compagne in viaggio.

CAROVANA ANTIFASCISTA: IL VIAGGIO CONTINUA.

Continua il lungo viaggio della carovana antifascista verso il Donbass. Siamo sul pullman da questa mattina per raggiungere Donetsk russa (sul confine con la Novorossjia), a circa 200 chilometri dall’omonima capitale di una delle due Repubbliche Popolari della Novorossjia.

Il viaggio è molto lungo e solo all’alba o poco prima arriveremo alla nostra destinazione dove, dopo qualche ora di sonno si aprirà un nuovo capitolo per il nostro viaggio.

Nonostante la stanchezza per le 15 ore di tragitto (e ne mancano almeno ancora tre!), restano negli occhi e nel cuore le immagini delle soste che abbiamo fatto fino a qui, in cui siamo stati accolti ed accompagnati. Ci siamo fermati in diversi punti per salutare compagni locali e per caricare sui camion del convoglio umanitario altri beni di prima necessità da portare alle popolazioni dell’est dell’Ucraina.

Ad ogni sosta i compagni della Banda Bassotti hanno suonato alcune canzoni di resistenza italiane e russe che abbiamo cantato tutti insieme in un simbolico abbraccio internazionalista. Abbiamo ricevuto una torta di benvenuto dagli abitanti di Tula e calorosi ringraziamenti da tutti gli altri.

Sappiamo già che non si terrà il previsto concerto della Banda a Rostov sul Don e molte cose sono ancora da definire, ma a questo penseremo domani. Per il momento resta la convinzione di essere parte di qualcosa di importante per rompere l’isolamento politico e mediatico della resistenza del Donbass.

Ognuno di noi si porta dietro una storia e le lunghe ore di viaggio si trasformano in un confronto politico continuo. La curiosità per ciò che sta succedendo nei nostri paesi di provenienza e i motivi che ci hanno spinto ad unirci alla carovana sono tutt’altro che banali e scontati. Fili che si intrecciano e visioni che si confrontano, scanditi da canzoni.

In uno di questi momenti abbiamo avuto l’occasione di ascoltare la storia di R., uno dei membri della carovana della delegazione proveniente dalla penisola iberica. La sua storia ci ha colpito particolarmente perchè racconta molto di cosa sta accadendo ora nel Donbass. R. ha 33 anni, è un lavoratore precario di Madrid, e lo scorso agosto ha deciso di lasciare i suoi amici e compagni e andare a supportare la popolazione di Lugansk nella sua lotta contro l’aggressione del governo di Kiev e dei battaglioni nazisti. Agosto è stato probabilmente il mese più difficile dallo scoppio del conflitto. Iniziato con un’offensiva delle forze golpiste e nazifasciste, che a tratti aveva lasciato presagire perfino l’imminente caduta delle due città roccaforti della resistenza Lugansk e Donetsk, e terminato con la contro offensiva delle milizie popolari che ha costretto le forze golpiste e i suoi protettori, gli USA e l’UE, ha trattare freneticamente per un cessate il fuoco. R. si è fermato a Lugansk per tutto il mese di agosto testimoniando con i propri occhi le violenze perpetrate dalle truppe di Kiev e dai nazifascisti. Bombordamenti contro popolazioni inermi seguiti da repentine ritirate, finalizzate unicamente a mietere più vittime possibile e a terrorizzare la popolazione civile, evitando lo scorso frontale con le milizie, sono stati una prassi consueta in particolare dei battaglioni di volontari nazisti. Una volta tornato in Spagna, R. non ha potuto e voluto tenersi per se tutto il sangue e la violenza di cui per un mese è stato testimone. Ha deciso di continuare ad agire anche se in altre forme. Da settembre, in costante contatto con i governi delle repubbliche popolari e con attivisti presenti in Donbass, sta raccogliendo materiale e documentazione sulle violenze di cui è stato testimone per presentare alla Audienci national richiesta di incriminazione per crimini contro l’umanità per Poroshenko, il presidente del governo golpista di Kiev. 

Per un macabro scherzo del destino, proprio in questi giorni in cui R. sta tornando nel Donbass per ricevere dal governo delle repubbliche la documentazione necessaria per avviare la procedura legale, emergono le notizie del ritrovamento di tre fosse comuni nei pressi di Donetsk. Uno di quei battaglioni responsabile di questo scempio, forse quello che si è macchiato finora dei crimini più efferati, il battaglione Donbass, comandato da un certo Semyon Semyonchenko (chiaramente uno pseudonimo), che proprio oggi ha fatto ritorno da un lungo viaggio negli USA dove ha “avuto incontri proficui con senatori democratici e repubblicani” che gli hanno garantito il supporto finanziario e militare degli States. Con questo gesto gli USA, spalleggiati dall’UE, mostrano in che modo cercheranno di garantire la risoluzione del conflitto nel Donbass, attraverso il supporto dei nazisti e le violenze efferate contro la popolazione civile e i resistenti.



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2 Ottobre 2014 

COMUNICATO DELLA BANDA BASSOTTI - FROM RUSSIA WITH LOVE

Eccoci di nuovo qui. Abbiamo vissuto un esperienza indimenticabile. Per qualche giorno avevamo interrotto le comunicazioni, per motivi che spiegheremo più avanti. Il nostro viaggio dal nostro arrivo a Donetsk in Russia ha preso una piega molto complicata. La situazione nelle ultime due settimane si era modificata. Dagli accordi di Minsk, con la cosiddetta INESISTENTE tregua, sono stati chiusi tutti i varchi, ufficiali e non ufficiali. Praticamente impossibile entrare senza essere autorizzati. Il nostro arrivo era stato molto pubblicizzato. Su tutti i maggiori media russi è uscita la notizia della Carovana Antifascista. Interviste e molto altro hanno fatto si che il nostro arrivo non passasse certo inosservato. Abbiamo sentito sulla nostra pelle che il Popolo Russo e il Popolo della Novarossija ci amava per quello che stavano facendo. Ma la possibilità di entrare come era stato programmato, non è stata praticabile. Nei giorni che siamo stati a Donetsk sono venuti a trovarci Parlamentari di Lugansk e Donetsk della Novarossija. Hanno tentato anche loro di portarci all'interno. I nostri contatti del Comando Militare della Novarossija hanno avuto problemi a raggiungerci dove eravamo alloggiati. La guerra ha molte problematiche che è difficile comprendere. . Un viaggio di 40 km per un miliziano che deve raggiungerci, diventa un viaggio di 150 km tra buche scavate dalle bombe e con il costante pericolo di un imboscata.

I giorni di permanenza a Donetsk sono passati tra mille idee, mille ipotesi per entrare, legalmente e illegalmente. Anche l'equilibrio della Carovana ha avuto momenti delicati. Ma possiamo dire che tutti hanno fatto la loro parte e mai abbiamo avuto dubbi e ripensamenti. Alla fine tre piccole delegazioni della Carovana Antifascista sono comparse in Novarossija. Una a Donetsk, una a Lugansk ed una a Stahanov. Hanno portato il nostro cuore e la nostra rabbia nelle Terre del Donbass. Per pubblicare questo comunicato abbiamo aspettato che quelli di Donetsk riuscissero ad uscire e tornare in Russia e poi a casa loro. Per questo avevamo interrotto le comunicazioni. La sera prima di partire i nostri Fratelli e Sorelle del Comando Militare sono riusciti a raggiungerci nel nostro ostello. Li abbiamo accolti con le lacrime agli occhi e con loro abbiamo festeggiato tutta la notte. Canti, balli e abbracci in una comunicazione senza problemi linguistici. Abbiamo consegnato a loro materiali, soldi e la Solidarietà Antifascista della Società Civile, quella delle persone che lavorano, della Classe Operaia. Una notte che rimarrà per sempre nelle nostre vite come il resto di questo viaggio. Per dovere di cronaca vogliamo ringraziare i nostri fratelli e sorelle di Mosca che ci hanno aiutato senza se e senza ma nel nostro viaggio, ringraziamo il Popolo Russo che ci ha accolto come fratelli. Ci ha fatto sentire a casa nostra. Chiudiamo questo comunicato con la notizia che presto ci saranno altre novità è che la Carovana Antifascista non ha di certo finito il suo viaggio...

BANDA BASSOTTI - ROMA ottobre 2014 - PIANETA TERRA


--- LE FOTOGRAFIE:

CAROVANA ANTIFASCISTA - L'ACCOGLIENZA

CAROVANA ANTIFASCISTA - CONCERTO A MOSCA

CAROVANA ANTIFASCISTA - CONFINATI AL CONFINE!


--- I VIDEO:

Comunicato n.1 (25/9/2014)
Mosca

Comunicato n.2 (26/9/2014)
Mosca. In partenza con la carovana di aiuti umanitari.

Comunicato n.3 (26/9/2014)
Mosca. Si parte direzione sud

Comunicato n.4 (27/9/2014)
Doneck. Appena arrivati

Comunicato n.5 (28/9/2014)
Donetz…ancora nulla...

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Carovana antifascista e concerto Banda Bassotti a Donetsk (regione di Rostov, Russia)
Servizio trasmesso dal principale Tg russo, del canale Rossija 1. E due interviste con David Cacchione, della banda, e Vladimiro Vaia della carovana 
VIDEO: https://www.youtub

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(deutsch / english / italiano)

Giornalisti venduti

1) Udo Ulfkotte: Gekaufte Journalisten / LINKS
2) Giornalisti venduti. E' il titolo del libro d'un famoso giornalista tedesco: Udo Ulfkotte


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http://www.kopp-verlag.de/Gekaufte-Journalisten.htm?websale8=kopp-verlag&pi=939100

Udo Ulfkotte

Gekaufte Journalisten

Gebunden, 336 Seiten
Verlag: Kopp Verlag
Artikelnummer: 939100 

Preis: 22,95 €


• Beschreibung

Journalisten manipulieren uns im Interesse der Mächtigen

Haben auch Sie das Gefühl, häufig manipuliert und von den Medien belogen zu werden? Dann geht es Ihnen wie der Mehrheit der Deutschen. Bislang galt es als »Verschwörungstheorie«, dass Leitmedien uns Bürger mit Propagandatechniken gezielt manipulieren. Jetzt enthüllt ein Insider, was wirklich hinter den Kulissen passiert. 

Der Journalist Udo Ulfkotte schämt sich heute dafür, dass er 17 Jahre für die Frankfurter Allgemeine Zeitung gearbeitet hat. Bevor der Autor die geheimen Netzwerke der Macht enthüllt, übt er konsequent Selbstkritik. Er dokumentiert hier zum ersten Mal, wie er für seine Berichterstattung in der FAZ geschmiert und die Korruption gefördert wurde. Und er enthüllt, warum Meinungsführer tendenziös berichten und wie der verlängerte Arm der NATO-Pressestelle Kriege medial vorbereitet. Wie selbstverständlich wurde auch der Autor in die Netzwerke amerikanischer Eliteorganisationen aufgenommen, erhielt im Gegenzug für positive Berichterstattung in den USA sogar eine Ehrenbürgerurkunde. 

In diesem Buch erfahren Sie, in welchen Lobbyorganisationen welche Journalisten vertreten sind. Der Autor nennt Hunderte Namen und blickt auch hinter die Kulissen jener Organisationen, welche unsere Medien propagandistisch einseitig beeinflussen, etwa: Atlantik-Brücke, Trilaterale Kommission, German Marshall FundAmerican Council on GermanyAmerican Academy, Aspen Institute und Institut für Europäische Politik. Enthüllt werden zudem die geheimdienstlichen Hintergründe zu Lobbygruppen, die Propagandatechniken und die Formulare, mit denen man etwa bei der US-Botschaft Fördergelder für Projekte zur gezielten Beeinflussung der öffentlichen Meinung in Deutschland abrufen kann. 

Wenn die CIA vorgibt, was geschrieben wird

Können Sie sich vorstellen, dass Geheimdienstmitarbeiter in Redaktionen Texte verfassen, welche dann im redaktionellen Teil unter den Namen bekannter Journalisten veröffentlicht werden? Wissen Sie, welche Journalisten welcher Medien für ihre Berichterstattung geschmiert wurden? Und haben Sie eine ungefähre Vorstellung davon, wie renommierte »Journalistenpreise« vergeben werden? Da geht es im Hintergrund zu wie bei den einstigen Ehrungen der »Helden der Arbeit« in der früheren DDR - da wird Propagandaarbeit ausgezeichnet. Vom Journalisten zum Propagandisten ist es nicht weit. Wenn Sie dieses Buch gelesen haben, werden Sie unsere Zeitungen mit ganz anderen Augen sehen, den Fernseher öfter einfach abschalten und auch wissen, was Sie dem Radio noch glauben können: fast nichts. Denn Ulfkotte schreibt auch penibel auf, welcher Sender welcher politischen Partei gehört und welche Journalisten wie beeinflusst werden. Sie erkennen, wie Sie manipuliert werden - und Sie wissen, von wem und warum. Am Ende wird klar: Meinungsvielfalt wird jetzt nur noch simuliert. Denn unsere »Nachrichten« sind häufig reine Gehirnwäsche.

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Online kaufen: 
http://www.kopp-verlag.de/Gekaufte-Journalisten.htm?websale8=kopp-verlag&pi=939100
http://www.amazon.de/Gekaufte-Journalisten-Udo-Ulfkotte/dp/3864451434

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Gekaufte Journalisten
http://www.gekaufte-journalisten.de

Udo Ulfkotte Webseite
http://www.ulfkotte.de

Gekaufte Journalisten - Udo Ulfkotte - Wie ich lernte zu lügen (RT 25/set/2014)
Russia Today berichtet über Udo Ulfkottes Buch "Gekaufte Journalisten", das von deutschen Leitmedien handelt, die von US-Geheimdiensten und NATO gesteuert und gekauft sind…
VIDEO: http://www.youtube.com/watch?v=9icc16ISLmo

Dr Udo Ulfkotte, journalist and author, on RT (RT 29/set/2014)
(RT intervista Udo Ulfkotte, il giornalista tedesco che ha ammesso di essere stato pagato per anni dalla Cia per mentire e disinformare)
VIDEO: http://www.youtube.com/watch?v=yp-Wh77wt1o


=== 2 ===

http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=110008&typeb=0

Giornalisti venduti

E' il titolo del libro d'un famoso giornalista tedesco. Ammette d'esser sempre stato pagato dalla CIA per fare propaganda e disinformazione. Il pluralismo? E' finzione.

Redazione - giovedì 25 settembre 2014 07:34
informare.over-blog.it


di Gianni Candotto
In Germania il libro di Udo Ulfkotte"Gekaufte Journalisten" (traduzione letterale "Giornalisti comprati"), uscito pochi giorni fa, ha raggiunto immediatamente il primo posto in classifica delle vendite.
Ulfkotte per 17 anni è stato un importante corrispondente esteri della Frankfurter Allgemeine Zeitung, uno dei principali quotidiani tedeschi, un giornalista vincitore di premi importanti, ha insegnato all'università, è stato membro del centro studi Konrad Adenauer Foundation (ora il più noto gruppo intellettuale a sostegno della Merkel) e per tutti quegli anni è stato a libro paga della CIA
"Sono stato giornalista per circa 25 anni e sono stato istruito a mentire, tradire e non dire la verità al pubblico" così ha affermato Ulfkotte intervistato da Russia Today.
Il libro inizia con una dura autocritica e il pentimento per essere stato per anni un manipolatore delle notizie e poi continua spiegando il sistema di corruzione dell'opinione pubblica.Prima di tutto, scrive, è necessario rendere "autorevole" il giornalista a libro paga, facendo riportare i suoi articoli, dandogli copertura internazionale e premiando i suoi libri, l'autore si dilunga, infatti, su come molti premi letterari non siano altro che premi alla fedeltà propagandistica dell'autore che li pubblica "non molto differentemente dal premio "eroe del lavoro" nella ex Germania dell'est comunista".
Successivamente rivela centinaia di nomi e di volti dietro le quinte, che tramite le loro organizzazioni, dall'Aspen Institute, alla Commissione Trilaterale, all'Istituto per le politiche Europee, alla German Marshall Found,  all'American Council in Germania, all'American Academy, all'Atlantic Bridge, servono a influenzare mediante una propaganda mirata l'opinione pubblica.
L'ultimo capitolo del libro è una serie di esempi di pura propaganda nella stampa tedesca, di come certe notizie vengano date con il solo scopo di influenzare il pensiero dei tedeschi a favore degli interessi di Washington. 
Ulfkotte chiude il libro con questa frase: "la diversità di opinioni [nei giornali] è una pura finzione, i nostri messaggi sono spesso puro lavaggio del cervello" (Meinungsvielfalt wird jetzt nur noch simuliert, denn unsere Nachrichten sind häufig reine Gehirnwäsche)




(deutsch / italiano)

40 anni di RDT, 25 anni dopo

1) Zurück in die Knechtschaft / 40 anni di RDT, 25 anni dopo (Vladimiro Giacché, jW 6/10/2014)
2) Hans Modrow, intervista a un protagonista della DDR (15 Novembre 2013)
3) Segnalazione libro: ERICH HONECKER - APPUNTI DAL CARCERE


Leggi anche:

Su “Anschluss. L’annessione. L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa”, di Vladimiro Giacché

Erich Honecker: Discorso-Autodifesa pronunciato davanti al Tribunale di Berlino
http://digilander.libero.it/lajugoslaviavivra/CRJ/DOCS/honeck.html


=== 1 ===


DDR 1989 

Zurück in die Knechtschaft

40 Jahre Aufbau einer sozialistischen Wirtschaft und ihre profitorientierte Zerstörung für und durch das westdeutsche Kapital 

Vladimiro Giacché
6 Okt 2014

Die Legende von einer 1989 – besser noch: seit jeher – »bank­rotten« ostdeutschen Volkswirtschaft ist heute ein Gemeinplatz geworden, nicht nur in Deutschland. Doch sie ist falsch. Die ökonomischen Schwierigkeiten der DDR machten aus ihr noch längst keine »marode Wirtschaft«, auch die in 40 Jahren erreichten Ergebnisse können sich sehen lassen. Trotz sehr schlechter Ausgangsbedingungen.
Die Geschichte der DDR beginnt mit einem vom Krieg weitenteils zerstörten Land. Anders als Westdeutschland fehlt es ihm an Rohstoffen, und es muss obendrein fast die gesamte Last der Kriegsreparationen tragen, die auf Beschluss der Siegermächte an die Sowjetunion zu entrichten sind. In D-Mark von 1953 gerechnet, betrugen die von der DDR bezahlten Reparationen 99,1 Milliarden, gegenüber 2,1 Milliarden, die die BRD aufbrachte. Ein Verhältnis also von 98 zu 2. Pro Einwohner berechnet, ist das Missverhältnis noch krasser: 130 zu 1. Der Bremer Professor Arno Peters ermittelte 1989, was die BRD an die DDR unter Berücksichtigung der Zinsen zu zahlen hätte: 727,1 Milliarden D-Mark.

Diese enorme Last hat die unzureichende Kapitalausstattung der DDR verschärft und so ihre Akkumulationsrate gesenkt. Ein anderes für die DDR ungünstiges Element war, bis 1961, die Abwanderung von zwei Millionen Menschen – etwa 20 Prozent der Arbeitskräfte – nach Westen. Alles in allem ungünstig war auch die Einbindung in den Rat für gegenseitige Wirtschaftshilfe (RGW), der – mit Ausnahme der CSSR und der DDR selbst – aus Volkswirtschaften bestand, die hinter den westlichen zurücklagen und, vor allem, vom Weltmarkt abgeschnitten waren. Zu dieser Abschottung vom Weltmarkt hat die BRD nicht wenig beigetragen. Deren »Hallstein-Doktrin« sah den Abbruch der diplomatischen Beziehungen zu den Ländern vor, welche die DDR anerkannten. Schließlich war auch bis zuletzt das westliche Technologieembargo in Kraft, das die DDR zwang, viele Güter selbst herzustellen, die sie günstiger hätte einkaufen können. Die positiven Faktoren der Zugehörigkeit zum RGW waren der Zugang zum sowjetischen Markt, was für die Serienproduktion von Maschinen ideal war, und der Einkauf von Erdöl zu Preisen, die jahrelang unter denen des Weltmarkts lagen. Beides jedoch konnte jene negativen Seiten nicht ausgleichen.

Wirtschaftsstrategien der DDR

Das Wirtschaftssystem der DDR war anfangs gemäß dem sowjetischen Modell rigide zentralisiert. Ein solches System hatte in den ersten Jahren des Wiederaufbaus seine Vorzüge, aber eignete sich im Lauf der Zeit immer weniger für ein industriell entwickeltes Land wie die DDR. Vor allem hätten die Unternehmen größere Autonomie gebraucht, auch im Rahmen der Planwirtschaft. So kam es in den frühen 1960ern zum wichtigsten Versuch einer Wirtschaftsreform: Er wurde von Walter Ulbricht, damals Vorsitzender des Staatsrats der DDR, entschieden unterstützt. Das »Neue Ökonomische System der Planung und Leitung« sah die Einführung von Marktmechanismen und materielle Anreize für Unternehmen und Werktätige vor. Damit sollten die Interessen der Wirtschaftssubjekte mit denen des Systems in Einklang gebracht werden.

Diese Reform hat wichtige wirtschaftliche Ergebnisse gezeitigt: Von 1964 bis 1970 wuchs das Bruttoinlandsprodukt (BIP) im Durchschnitt um jährlich fünf Prozent, und die Akkumulationsrate lag ab 1965 bei über 20 Prozent. Doch die Reform stieß auf zwei Hindernisse: Das System hätte sich auf objektive Kriterien für die Preisbildung stützen müssen (um Werte, Gewinne und Verluste berechnen zu können); doch die Preise wurden administrativ festgelegt und bildeten sich nicht durch Nachfrage und Angebot heraus. Daher waren sie kein zuverlässiger Maßstab. Das schwerwiegendere Problem war, dass unabhängige Entscheidungen der Wirtschaftseinheiten zu Lasten der zentralen Wirtschaftsleitung gehen mussten und die ganze Architektur des Systems in Frage stellten, einschließlich der führenden Rolle der Partei bei der Lenkung der Wirtschaft. Dies war die Klippe, an der der Reformversuch scheiterte – und mit ihm Ulbricht.

Mit Honecker kam es zu einem wirtschaftspolitischen Kurswechsel. Seine Politik hatte drei Kernpunkte: Erstens die »Einheit von Wirtschafts- und Sozialpolitik«, die eine strikte Verbindung von Wirtschaftswachstum und Erhöhung der Einkommen vorsah. Zweitens die Betonung der Rolle der Arbeiterklasse als »führender Kraft der Gesellschaft«, woraus die Beseitigung der letzten Privatunternehmen abgeleitet wurde. Drittens ein großes Wohnungsbauprogramm. Der zweite Punkt war ein schwerer Fehler. Er hat die DDR-Wirtschaft um etwa 11.000 vitale Unternehmen beraubt und die zentrale Planung nur erschwert. Der erste und dritte Punkt waren ein ehrgeiziger Plan zur Verteilung des Reichtums, der teilweise verwirklicht wurde und nicht unbeträchtlich zum Wohlergehen der Bevölkerung beitrug. Der Preis dafür war aber hoch.

Es zeigten sich drei negative Erscheinungen: Erstens gingen der private Konsum und die Investitionen in den Wohnungsbau auf Kosten der Investitionen in die Industrie. So fiel der Anteil der Akkumulation am Volkseinkommen von 29 Prozent 1970 auf 21 im Jahr 1988, der der produktiven Akkumulation von 16 auf neun Prozent. Dies schlug sich in der Überalterung des Maschinenparks und in unzureichenden Investitionen in die Infrastruktur nieder. Da aber die Akkumulationsrate für das Wachstum wesentlich ist, wurden damit die für die »Einheit von Wirtschafts- und Sozialpolitik« nötigen Wachstumsraten beeinträchtigt.

Zweitens belasteten die Preissubventionen (die Preise waren für viele auch nicht notwendige Güter auf dem Niveau von 1944, in einigen Fällen sogar von 1936 eingefroren) den Staatshaushalt immer stärker. 1988 wurden für diese Leistungen 30 Prozent des Etats gebraucht. Die Subventionen konnten nicht mehr aus den Gewinnen der volkseigenen Unternehmen finanziert werden und zwangen den Staat zu wachsender Verschuldung. Daher erhöhten sich die Schulden in harter Währung, mit steigenden Ausgaben für die Zinsen, auch wegen der drastischen Erhöhung der Zinssätze infolge der restriktiven Geldpolitik der USA.

Die 1980er Jahre sind gekennzeichnet durch die Nichterfüllung der Pläne, durch zunehmenden Verschleiß der Industrieanlagen und unzureichende Investitionen in die Infrastruktur, ins Gesundheitswesen und in den Umweltschutz. Doch die Wirtschaft der DDR wuchs weiterhin, wenn auch verlangsamt. Das Pro-Kopf-Einkommen Ende der 1980er lag leicht unter dem Großbritanniens und weit über dem Spaniens. Was die Exporte angeht (zu über 90 Prozent Industrieerzeugnisse), lag die DDR an 16. Stelle weltweit, an zehnter in Europa. Über die Hälfte des Volkseinkommens resultierte aus dem Export.

In den 1980ern lag die Industrieproduktion je Einwohner über der aller anderen Länder Osteuropas (sie war fast doppelt so hoch wie die Ungarns und mehr als doppelt so hoch wie die Polens). Die Sozialleistungen und sozialen Dienste waren überdies weit umfangreicher als im Westen. Neun von zehn Kindern im Vorschulalter besuchten Kinderkrippen und -gärten. Es gab Vollbeschäftigung, auch der Frauen: 92 Prozent der Frauen im erwerbsfähigen Alter hatten Arbeit. Der Schulbesuch war kostenlos und für alle garantiert.

Am 7. Oktober 1989 war die DDR das wirtschaftlich entwickeltste Land Osteuropas. Sie hatte eine Auslandsschuld von 20 Milliarden D-Mark (eine lächerlich geringe Summe, verglichen mit der heutigen Verschuldung der Staaten Europas, einschließlich Deutschlands), war aber alles andere als »pleite«, wie ständig behauptet wird.

900 Milliarden Mark

Was nach diesem 7. Oktober geschehen ist, ist bekannt. Ablösung Honeckers, Fall der Mauer, die Märzwahlen 1990, die der Ost-CDU und ihren Verbündeten einen haushohen Sieg bescherten, die Währungsunion mit dem Westen im Juli und die politische im Oktober 1990.

Um die Entwicklung der Wirtschaft Ostdeutschlands in den letzten 25 Jahren zu verstehen, muss man von der Währungsunion ausgehen. Die wurde nicht nur ohne irgendeine Übergangsfrist vollzogen, sondern auch zu einem Umtauschkurs von eins zu eins für die laufenden Posten (während die übliche Rate eins zu 4,44 war). Der damalige Bundesbankpräsident Karl Otto Pöhl meinte Jahre später: »Das war eine Rosskur, die keine Wirtschaft aushält.« Tatsächlich verloren die DDR-Unternehmen mit der Währungsunion auf einen Schlag die Märkte der BRD und anderer Länder des Westens (weil die Preisvorteile des alten Wechselkurses wegfielen), die Märkte des Ostens, mit denen der Austausch jetzt in einer harten Währung (bei gleichzeitiger substantieller Preiserhöhung) erfolgen musste, und einen Großteil des Binnenmarktes, der von günstigeren Produkten aus Westdeutschland regelrecht überschwemmt wurde.

Und nicht nur das. Im Juli 1990 wurden die staatlichen Fabriken und Unternehmen der DDR unter Verwaltung der Treuhandanstalt gestellt. Ihre Privatisierung bekam absoluten Vorrang, auch vor der Sanierung. Zahllose Betriebe wurden liquidiert, und 87 Prozent der privatisierten kamen in westdeutsche Hände. Bestenfalls wurden die im Osten Filialbetriebe von Westkonzernen. Schlimmerenfalls werden sie gekauft und dichtgemacht, um Konkurrenten auszuschalten und um mit ihren Grundstücken und Immobilien zu spekulieren. Das Ergebnis war eine Vernichtung gesellschaftlichen Reichtums von ungeheurem Ausmaß. Am 19. Oktober 1990 veranschlagte der damalige Präsident der Treuhand, Detlev Karsten Rohwedder, den Wert des zur Privatisierung anstehenden »ganzen Salats« auf 600 Milliarden DM; als die Treuhand Ende 1994 ihre Pforten schloss, wurde statt dessen ein Minus von 256 Milliarden angegeben: Werte von rund 900 Milliarden waren vernichtet worden.

Noch höher waren die sozialen Kosten. Nach amtlichen Schätzungen waren Ende 1989/Anfang 1990 in den dann unter die Kontrolle der Treuhand geratenen Unternehmen 4,1 Millionen Menschen beschäftigt. Ende 1994 waren davon nur noch 104.000 geblieben. Die Treuhand pries als einen großen Erfolg die von den Käufern der privatisierten Unternehmen versprochenen anderthalb Millionen Arbeitsplätze. Selbst wenn wir diese Zahl für bare Münze nehmen, heißt das, dass die Treuhand innerhalb von vier Jahren zweieinhalb Millionen Arbeitsplätze vernichtet hat!

Schädliche Folgen für die Ostunternehmen hatte auch die Entscheidung, die durchlaufenden Posten zwischen Staat, staatlichen Banken und ebensolchen Unternehmen der DDR als regelrechte Kredite zu betrachten. Diese sogenannten Altschulden stellten eine weitere ungeheure Belastung für die beteiligten Unternehmen und ein phantastisches Geschenk für die Westbanken dar, welche die Ostbanken zu einem lächerlich niedrigen Preis (insgesamt 824 Millionen D-Mark) erworben hatten. Die »Altschulden« betrafen nicht nur die Industriebetriebe. Hinzuweisen ist auch auf die Kredite für das Wohnungswesen, über 20 Milliarden D-Mark, und für die Landwirtschaftlichen Produktionsgenossenschaften (LPG) von rund acht Milliarden. Es verdient festgehalten zu werden, dass es ungeachtet ihrer anfangs unzureichenden Kapitalausstattung und dieser weiteren Belastung vielen Genossenschaften gelang durchzuhalten. Heute weisen sie wirtschaftliche Ergebnisse auf, die im Schnitt besser sind als die der landwirtschaftlichen Betriebe des Westens.

Eine weitere schwerwiegende Entscheidung mit negativen Folgen war der Grundsatz »Rückgabe vor Entschädigung«, demzufolge alle Eigentümer (von Grundstücken, Gebäuden oder Betrieben), die in den 40 Jahren der DDR enteignet worden waren, ein Recht auf den ehemaligen Besitz haben sollten. Daraus ergaben sich 2,17 Millionen Restitutionsfälle. Eine Maßnahme von derart schwerwiegenden Folgen ist ohne Beispiel, hat aber einen ganz einfachen Grund: 40 Jahre Geschichte sollten ausgelöscht werden. Und natürlich beginnend bei den Eigentumsverhältnissen.

Zusammenbruch und Stagnation

Die Folge der wirtschaftlichen »Vereinigung« für Ostdeutschland lässt sich in wenigen Zahlen darstellen: Binnen zweier Jahre, von 1989 bis 1991, ging das BIP um 44, die Industrieproduktion um 65 Prozent zurück. Offiziell (also registriert in den Arbeitsämtern) wurden 830.000 Menschen arbeitslos. Vor allem aber sank die Zahl der Beschäftigten um über zwei Millionen von 8,9 Millionen 1989 auf 6,8 Millionen 1991.

Der Einbruch des BIP, besonders 1990 und 1991, war gravierend. Kein einziges Land Osteuropas hat noch schlechter abgeschnitten. Und das gilt auch für die folgenden Jahre. Das mittlere jährliche Wachstum in den neuen Bundesländern von 1990 bis 2004 lag unter einem Prozent, weit niedriger als in den anderen ehemals sozialistischen Ländern. Dasselbe gilt auch für die nachfolgende Zeit, mit Ungarn als einziger Ausnahme.

Ebenso aussagekräftig ist der Vergleich zwischen dem BIP pro Kopf zwischen Ost- und Westdeutschland. 1989 betrug das BIP je Einwohner in der DDR 55 Prozent von dem der BRD, 1991 nur noch 33 Prozent. In den folgenden Jahren verkürzte sich der Abstand: 1995 sind wir bei 60 Prozent angelangt. Doch von da an verkleinerte sich die Kluft nur noch schwach. Noch 2009, also fast 20 Jahre nach der Vereinigung, betrug das BIP je Einwohner im Osten kaum mehr als zwei Drittel dessen der BRD. Betrachtet man den Beitrag Ostdeutschlands zum deutschen BIP insgesamt, so liegt dieser noch heute unter dem von 1989. Und nimmt ab: Er lag 1989 bei 11,6 Prozent, 2007 bei 11,5 Prozent, 2011 bei elf Prozent.

Zu den spektakulärsten Veränderungen, die sich in der ostdeutschen Wirtschaft nach der Währungsunion vollzogen, gehört die Entwicklung der Exporte. Diese brachen in nur zwei Jahren um 56 Prozent ein: von über 41,1 Milliarden DM 1989 auf gerade noch 17,9 Milliarden 1991. Mehr als halbiert hatten sich auch die Ausfuhren in die Länder Ostmitteleuropas, die zusammen mit der UdSSR zwei Drittel des DDR-Außenhandels ausmachten: in diesem Fall von 28,9 Milliarden 1989 auf 11,9 Milliarden 1991. Und 1994 fielen sie auf nur noch 16 Prozent des 1989 erreichten Niveaus. Der Einbruch ist so massiv, dass er sich auf den Gesamtwert der deutschen Ausfuhren nach Osteuropa auswirkt. Erst 1995 erreicht der deutsche Export dorthin praktisch wieder das Niveau von 1989: rund 61 Milliarden, gegenüber 61,4 Milliarden. Doch die ostdeutschen Exporte sind nun auf fünf Milliarden eingebrochen, und die ostdeutsche Ausfuhrquote wird fast vollständig vom Westen übernommen, der im selben Zeitraum seine Exporte von 31,8 Milliarden auf 56 Milliarden (auf 176 Prozent) steigert.
Auch die Deindustrialisierung vollzog sich äußerst schnell. Schon Ende 1991 produzierte die ostdeutsche Industrie wertmäßig nur noch ein Drittel dessen, was sie vor der »Wende« von 1989 erzeugt hatte.

Von Ende 1989 bis zum Frühjahr 1992 wurden 3,7 Millionen Vollzeitarbeitsplätze vernichtet. Und von 1992 bis 2009 gingen weitere anderthalb Millionen verloren. Ein Teil davon wurde in Teilzeitarbeitsplätze und unterbezahlte Beschäftigung umgewandelt. Andere Betroffene mussten das Heer der Arbeitslosen verstärken. 2008 lebte in Ostdeutschland ein Sechstel der Bevölkerung Deutschlands – aber die Hälfte der Arbeitslosen. Einer Studie der Beratungsfirma PricewaterhouseCoopers zufolge, von der die Thüringer Allgemeine am 27. August 2014 berichtete, wird sich die Beschäftigtenzahl im Osten bis 2030 um weitere zehn Prozent verringern.

Von 1989 bis 2006 sind 4,1 Millionen Menschen aus Ostdeutschland abgewandert, doppelt so viele wie in den zehn Jahren vor dem Mauerbau 1961. Die gesamte zwischendeutsche Wanderungsbilanz (die also auch die vom Westen in den Osten gezogenen Personen enthält) liegt natürlich niedriger, bleibt aber beeindruckend: 1,74 Millionen Menschen, 10,5 Prozent der ostdeutschen Ausgangsbevölkerung.
Der Geburtenrückgang hat, zusammen mit der Abwanderung, zu einem Rückgang der Bevölkerung geführt, wie es ihn im Herzen Europas seit dem Dreißigjährigen Krieg nicht mehr gab. Darauf hat 2003 der brandenburgische Wissenschaftsminister Steffen Reiche (SPD) hingewiesen.

Eine weiteres Phänomen fällt jedem auf, der die Länder der ehemaligen DDR besucht: die Entvölkerung der Städte, vor allem jener, die industrielle Zentren waren. Zu den Folgen zählt eine ungeheure Menge leerstehender Wohnungen. Sie wurde 2003 von Manfred Stolpe (SPD), damals Bundesminister für Verkehr, Bau- und Wohnungswesen, auf 1,3 Millionen geschätzt. Die Lösung? Die Bauten einfach abreißen. So wurde aus dem Aufbau Ost über den Abbau seiner Industrien der Rückbau Ost.
Und die berühmten Transferzahlungen nach Ostdeutschland? Dazu schrieb der französische Publizist Guillaume Duval: »Die staatlichen Transferzahlungen, über die sich die Westdeutschen so beklagen«, seien in Wirklichkeit »überwiegend an den Westen in Form von Gütern und Dienstleistungen zurückgeflossen«. Ostdeutschland ist so zu einem gestützten Wirtschaftsgebiet geworden, dessen Konsum, bezahlt mit Transfers der Steuerzahler, die Westunternehmen bereichert.

Tricks zum Verschleiern

Schon 2003 schrieb der neoliberale Ifo-Präsident Hans-Werner Sinn, dass »man die wirtschaftliche Vereinigung der beiden Landesteile als gescheitert ansehen kann«. Wer heute das Gegenteil »beweisen« möchte, muss zu statistischen Tricks greifen. Wie etwa dem, als Vergleichsjahr für die Berechnung verschiedener ökonomischer Indikatoren das Jahr 1991 zu nehmen, das Jahr des Tiefpunkts der ostdeutschen Wirtschaft: Auf diese Weise erscheint dann »ein Niveau, das unterhalb des DDR-Standes von 1989 liegt, noch als Verbesserung«, so der Ostdeutschlandforscher Ulrich Busch. Genau das hat jetzt, am 30. September, der Chefökonom der KfW-Bank, Jörg Zeuner, gemacht, um seine surreale Behauptung zu begründen: »Wir können heute über das zweite deutsche Wirtschaftswunder reden.«

Trotz aller Spielereien mit Zahlen und Wörtern fällt es schwer, die Dauerstagnation und die Kluft zum Westen zu verbergen. Einige Ökonomen schätzen, dass es noch mindestens 30 Jahre dauern wird, bis der Westen eingeholt ist, andere gehen von 100 Jahren aus. Die von der Regierung genannten Ziele nehmen sich recht bescheiden aus: Wenn von der Anpassung der Lebensverhältnisse die Rede ist, dient nicht mehr der Westdurchschnitt als Maßstab, sondern dessen strukturschwache Regionen, und um den Ostdurchschnitt zu heben, wird ganz Berlin zu den östlichen Bundesländern gerechnet.
»Der Osten wird auf absehbare Zeit den Anschluss an den Westen nicht schaffen«, meinte Joachim Ragnitz vom Dresdner Ifo-Institut am 4. Mai dieses Jahres in der Welt am Sonntag. Und dies ist der Preis, den die Bürgerinnen und Bürger des Ostens für den raschen politischen Anschluss der DDR an die BRD zu zahlen haben.

Aus dem Italienischen übersetzt von Hermann Kopp



--- IN ITALIANO:

http://www.marx21.it/internazionale/europa/24584-la-rivincita-del-capitale-40-anni-di-rdt-25-anni-dopo.html

La rivincita del capitale: 40 anni di RDT, 25 anni dopo

7 Ottobre 2014

di Vladimiro Giacché (in esclusiva per Junge Welt e Marx21.it)

[articolo pubblicato su “Junge Welt” col titolo: “Zurück in die Knechtschaft” (trad. tedesca di Hermann Kopp)]

La leggenda di una economia tedesco-orientale al disastro nel 1989 – anzi: da sempre disastrosa - è ormai diventata senso comune, non solo in Germania. Ma è falsa. Non soltanto le difficoltà economiche della Repubblica Democratica Tedesca non ne facevano una “economia decotta” (“marode Wirtschaft”), ma i risultati raggiunti in 40 anni di storia vanno considerati tutt'altro che trascurabili. A dispetto di condizioni di partenza e di contesto estremamente sfavorevoli.

La storia della RDT inizia il 7 ottobre 1949 con un paese semidistrutto dalla guerra. A differenza della Germania Ovest, è privo di materie prime e per giunta deve sopportare quasi per intero il peso delle riparazioni di guerra decise dai vincitori e dovute all’Unione Sovietica. Siccome la RFT smise molto presto di onorare le sue obbligazioni, le riparazioni pagate dalla RDT finirono per ammontare a 99,1 miliardi (DM del 1953) contro i 2,1 miliardi pagati dalla RFT. Un rapporto di 98 a 2. Calcolata per abitante, la sproporzione è ancora maggiore: 130 a 1. Nel 1989 il prof. Arno Peters calcolò quanto avrebbe dovuto pagare la RFT alla RDT per pareggiare il conto, computando gli interessi: 727,1 miliardi DM del 1989.

Questo enorme peso aggravò la scarsità di capitali della RDT e ne condizionò il futuro, rallentandone il tasso di accumulazione. Un altro elemento sfavorevole per la RDT fu rappresentato, sino al 1961, dall’emigrazione all’Ovest di 2 milioni di persone (circa il 20% della forza lavoro complessiva). Complessivamente sfavorevole fu anche l'integrazione nel COMECON, composto da economie – salvo la Cecoslovacchia e la stessa RDT – più arretrate di quelle occidentali, ma soprattutto tagliato fuori dal mercato mondiale. Alla segregazione dal mercato mondiale contribuì non poco la RFT, con la cosiddetta “dottrina Hallstein”, che prevedeva l’interruzione dei rapporti diplomatici con i Paesi che avessero riconosciuto la RDT. Infine, sino all’ultimo restò in vigore l’embargo occidentale sull'alta tecnologia, che costrinse la RDT a costruire da sé molti prodotti che in teoria sarebbe costato di meno comprare. I fattori positivi dell’integrazione nel COMECON, rappresentati dall’accesso al mercato sovietico, che consentiva economie di scala ideali per la produzione in serie di macchinari, e l’acquisto del petrolio per anni al di sotto dei prezzi internazionali, non sono tali da controbilanciare quei lati negativi.

Le vicende dell’economia della RDT

Il sistema economico della RDT fu inizialmente rigidamente centralizzato, sul modello sovietico. Questo sistema diede frutti positivi nei primi anni della ricostruzione, ma col passare degli anni si adattò sempre meno a un paese industrialmente avanzato quale la RDT. Si pose in particolare il problema di lasciare maggiore autonomia alle imprese, pur nella cornice dell'economia pianificata.

Nacque così il più importante tentativo di riforma del sistema economico della RDT: esso trovò il convinto sostegno di Walter Ulbricht, allora segretario della SED, e fu effettuato nei primi anni Sessanta. Il “Nuovo sistema economico di pianificazione e direzione” prevedeva l'introduzione di meccanismi di mercato e sistemi di incentivazione materiali per imprese e lavoratori: l’obiettivo era far sì che l’interesse dei singoli attori economici coincidesse con quello del sistema.

La riforma produsse risultati economici importanti: dal 1964 al 1970 la crescita del reddito nazionale fu in media del 5% annuo, e il tasso di accumulazione dal 1965 superò il 20%. Ma essa incontrò due problemi. Il primo era che il sistema avrebbe dovuto basarsi su misure oggettive dei prezzi (per poter determinare valori, profitti e perdite); ma i prezzi erano fissati in maniera amministrativa, e non fondati sul rapporto tra domanda e offerta: e quindi non rappresentavano un metro di misura affidabile. Il secondo e più grave problema consisteva nel rischio che l’ammissione di decisioni indipendenti delle entità economiche, oltre a comportare limitazioni all’amministrazione economica centrale, vulnerasse l’architettura del sistema, ivi incluso il ruolo guida del partito nell’indirizzare l’attività economica. Fu questo lo scoglio su cui si infranse il tentativo di riforma e fini la leadership di Ulbricht.

La politica di Honecker rappresentò un’inversione di rotta rispetto alle riforme economiche. Tre i cardini di questa politica. Primo: l’“unità della politica economica e sociale”, che prevedeva una corrispondenza tra crescita economica (prevista al 4% annuo) e aumento dei redditi. Secondo: la sottolineatura del ruolo della classe operaia come “forza dirigente della società”, da cui si fece discendere la liquidazione delle imprese private ancora presenti. Terzo: un grande piano di edilizia popolare.

Il secondo punto era un grave errore che privò l’economia della RDT di circa 11.000 imprese vitali che svolgevano un ruolo importante e complicò i compiti della pianificazione centrale. Il primo e il terzo punto rappresentavano un piano ambizioso di distribuzione della ricchezza, che in parte fu realizzato ed ebbe effetti non trascurabili in termini di benessere per la popolazione. Il prezzo però fu molto elevato.

Si ebbero infatti tre fenomeni negativi.

In primo luogo, i consumi e gli investimenti in edilizia andarono a scapito degli investimenti produttivi nel settore manifatturiero. La quota dell’accumulazione nel reddito nazionale scese dal 29% del 1970 al 21% del 1988, quella dell’accumulazione produttiva dal 16% al 9%. Questo si tradusse in un invecchiamento dei macchinari e in insufficienti investimenti infrastrutturali. E siccome il tasso di accumulazione è essenziale per la crescita futura, venivano così pregiudicati gli stessi tassi di crescita necessari per sostenere l’“unità di politica economica e sociale”.

In secondo luogo si ebbe una crescita ininterrotta, nel bilancio dello Stato, del peso dei prezzi sovvenzionati (tenuti fermi, anche per molti generi non essenziali, ai livelli del 1944 e in qualche caso del 1936), che giunsero al 30% del bilancio nel 1988. Queste sovvenzioni non poterono più essere finanziate con i profitti delle imprese statali e costrinsero lo Stato a un crescente indebitamento.

Crebbe quindi, in terzo luogo, il debito in valuta pregiata, con una spesa sempre più onerosa per interessi, anche a causa del drastico aumento dei tassi di interesse causato dalla stretta monetaria attuata da Volcker negli USA a partire dal 1979.

Gli anni Ottanta sono caratterizzati dal non adempimento dei piani, da una crescente usura degli impianti e da insufficienti investimenti nelle infrastrutture, nella sanità e nella protezione dell’ambiente. L’economia della RDT continuò però a crescere, sia pure a tassi inferiori. Il reddito pro capite a fine anni Ottanta era di poco inferiore a quello della Gran Bretagna e molto superiore a quello della Spagna. Quanto a volume delle esportazioni (per oltre il 90% costituite da prodotti industriali), la RDT era al 16mo posto a livello mondiale e al 10mo posto in Europa. Da esse traeva oltre il 50% del proprio reddito nazionale.

Negli anni Ottanta la produzione industriale per abitante era superiore a quella di tutti gli altri Paesi dell'Est (quasi doppia di quella dell'Ungheria e più che doppia di quella polacca). Prestazioni e servizi sociali, d'altra parte, erano molto più estesi che ad Ovest. Gli asili ospitavano più di 9 bambini in età prescolare su 10. C'era la piena occupazione, anche femminile: lavorava il 92 % delle donne in età da lavoro. La scuola era gratuita e garantita a tutti.

Il 7 ottobre 1989 la RDT era il paese economicamente più avanzato tra i paesi dell'Europa Orientale. Aveva 20 miliardi di marchi di debiti con l'estero, ma era tutt'altro che "in bancarotta” (“pleite”), come invece si continua a sostenere (20 miliardi di marchi sono una cifra ridicola se confrontata con i debiti pubblici odierni degli Stati europei, Germania inclusa).

900 miliardi di marchi svaniti nel nulla

Quanto accadde dopo quel 7 ottobre è noto. Destituzione di Honecker, apertura del Muro, le elezioni del marzo 1990 che consegnano una vittoria schiacciante alla CDU dell'Est e ai suoi alleati, l'unione monetaria con l'Ovest nel luglio del 1990 e quella politica nell'ottobre dello stesso anno.

Per capire la traiettoria dell'economia dell'Est della Germania in questi ultimi 25 anni bisogna partire proprio dall'unione monetaria, che fu effettuata non soltanto senza alcun periodo di transizione, ma al tasso di conversione di 1 a 1 per i prezzi correnti (mentre il tasso in uso per i commerci tra le due Germanie era di 1 a 4,44). L'allora presidente della Bundesbank Karl Otto Pöhl ebbe a dire anni dopo che in questo modo la RDT fu sottoposta a “una cura da cavallo che nessuna economia sarebbe in grado di sostenere". In effetti le imprese della RDT persero con l’unione monetaria, in un colpo solo, il mercato della RFT e dei Paesi occidentali (per i quali veniva meno la convenienza di prezzo sino ad allora in essere), i mercati dell’Est, rispetto ai quali le transazioni ora avvenivano attraverso una valuta forte (e quindi anche in questo caso con una crescita sostanziale dei prezzi), e gran parte del mercato interno, che venne letteralmente invaso dai prodotti più convenienti della Germania Ovest.

Non basta. Nel luglio 1990 le fabbriche e imprese statali della RDT vengono conferite alla Treuhandanstalt. La privatizzazione è considerata priorità assoluta, anche rispetto al risanamento. Moltissime imprese vengono liquidate, e l'87% di quelle privatizzate finisce in mano a imprese tedesco-occidentali. Nella migliore delle ipotesi, le imprese dell'Est divennero filiali di quelle dell'Ovest. Nella peggiore, furono comprate e chiuse per eliminare concorrenti e per speculare su terreni e immobili di pertinenza. Il risultato fu una distruzione di ricchezza sociale di enormi proporzioni. Se il 19 ottobre 1990 l’allora presidente della Treuhand, Rohwedder, aveva potuto indicare in 600 miliardi di marchi il valore "dell’intera insalata” da privatizzare, quando a fine 1994 la Treuhand chiuse i battenti al posto di quella cifra era comparso un buco di 256 miliardi: era stato distrutto valore per circa 900 miliardi di marchi.

Ancora maggiori furono i costi sociali. Secondo stime governative tra fine 1989 e inizio 1990 le imprese poi passate sotto il controllo della Treuhand occupavano 4 milioni e 100 mila lavoratori. Alla fine del 1994 ne restavano appena 104.000. La Treuhand vantava come un grande successo il milione e mezzo di posti di lavoro promessi dagli acquirenti delle imprese privatizzate. Anche volendo prendere per buono questo dato, in 4 anni di attività la Treuhand ha distrutto 2 milioni e mezzo di posti di lavoro.

Ulteriori danni alle imprese dell'Est derivarono dalla decisione di considerare come veri e propri crediti le partite di giro tra lo Stato, le banche pubbliche e le imprese statali della RDT: questi cosiddetti “vecchi debiti” (“Altschulden”) costituirono un ulteriore pesantissimo onere per le imprese interessate e un fantastico regalo alle banche dell'Ovest che avevano acquistato le banche dell'Est a un prezzo risibile (824 milioni di marchi in tutto). I “vecchi debiti” non riguardarono soltanto le imprese industriali. Vanno ricordati anche i crediti per l’edilizia, superiori ai 20 miliardi di marchi, e quelli delle cooperative agricole, di circa 8 miliardi di marchi. È degno di nota che, nonostante la sottocapitalizzazione di partenza e questo onere ulteriore molte cooperative siano comunque riuscite a resistere e oggi evidenzino risultati economici in media migliori delle imprese agricole dell'Ovest.

Un'ulteriore decisione gravida di conseguenze negative riguardò il “principio di restituzione” (“Rückgabe vor Entschädigung”), in base al quale tutti i proprietari (di terre, case o imprese) espropriati dallo Stato durante i 40 anni di esistenza della RDT avrebbero avuto diritto alla restituzione del bene nazionalizzato. Si ebbero 2,17 milioni di cause per restituzione. La ratio di un provvedimento dalle conseguenze così gravi da restare un unicum nella storia contemporanea è molto semplice: la cancellazione di 40 anni di storia. A cominciare, ovviamente, dai rapporti di proprietà.

Collasso economico e stagnazione

L’impatto dell’unificazione economica sulla Germania Est è sintetizzabile in poche cifre. In due anni, dal 1989 al 1991, il prodotto interno lordo segna un -44%, la produzione industriale addirittura -65%; i disoccupati ufficiali (quelli registrati negli uffici del lavoro) sono 830.000; ma, soprattutto, il numero degli occupati scende di oltre 2 milioni di unità (2.095.000), dagli 8,9 milioni del 1989 ai 6,8 milioni del 1991.

Il crollo del prodotto interno lordo nel 1990 e 1991, in particolare, è impressionante. Nessuno tra i paesi dell’Est ha fatto di peggio. Se estendiamo il confronto agli anni successivi, il risultato non cambia. La crescita media annua della ex-RDT dal 1990 al 2004 è stata inferiore al punto percentuale. Negli altri paesi ex-socialisti è stata decisamente superiore. Lo stesso vale per il periodo successivo, con la sola eccezione dell’Ungheria.

Altrettanto eloquente è il confronto tra il pil pro capite della ex-Germania Est e quello dell’Ovest. Se nel 1989 il pil per abitante della RDT era pari al 55% della RFT, nel 1991 crolla al 33%; negli anni successivi le distanze si accorciano e si giunge al 60% del 1995; da allora, però, il divario non si riduce sensibilmente: ancora nel 2009, a 20 anni dall’unificazione, il pil pro capite dell’Est non era di molto superiore ai due terzi di quello della RFT. Se si considerano le cose dal punto di vista del contributo della Germania Est al prodotto interno lordo tedesco complessivo, esso è ancora oggi inferiore a quello del 1989, e in calo: se allora era pari all’11,6%, nel 2007, 18 anni dopo, era dell’11,5%; e nel 2011 è stato pari all’11%.

Tra i cambiamenti più spettacolari verificatisi nell’economia della Germania Est dopo l’unione monetaria, un posto di rilievo, per ampiezza e rapidità del processo, spetta alla dinamica delle esportazioni. Esse crollarono in soli 2 anni del 56%: dagli oltre 41,1 miliardi di marchi (ovest) del 1989 agli appena 17,9 miliardi nel 1991. Più che dimezzate anche le esportazioni verso i paesi dell’Europa centro-orientale, che assieme alla Russia rappresentavano i due terzi delle esportazioni della RDT: in questo caso si passa dai 28,9 miliardi del 1989 agli 11,9 del 1991. Ma nel 1994 esse scenderanno addirittura al 16% del livello del 1989. Il crollo è talmente accentuato da ripercuotersi sul valore globale delle esportazioni tedesche nei paesi dell’Est. Soltanto nel 1995 l'export tedesco verso l’Europa dell'est torna praticamente al livello del 1989: 61 miliardi contro i 61,4 dell’89. Ma nel frattempo le esportazioni della RDT sono crollate ad appena 5 miliardi, ossia al 17% del valore originario, e la quota è stata conquistata dall’Ovest, che nello stesso periodo passa da 31,8 miliardi di esportazioni a 56 miliardi (+176%).

Il processo di deindustrializzazione fu anch’esso estremamente rapido. A fine 1991 la produzione industriale era ormai un terzo di quella precedente la “svolta” dell’89.

Dalla fine dell'89 alla primavera 1992 furono distrutti 3,7 milioni di posti di lavoro a tempo indeterminato. E tra il 1992 e il 2009 è andato perduto un altro milione e mezzo di posti di lavoro a tempo pieno, il 27% del totale. Una parte di essi si è trasformata in posti di lavoro a part-time e sottopagati. Un’altra parte è andata a infoltire le schiere dei disoccupati. Oggi nella ex Germania Est vive un sesto della popolazione della Germania, ma la metà dei disoccupati. Nelle famiglie dell’Est c’è una percentuale di disoccupati doppia rispetto all’Ovest. E secondo uno studio della società di consulenza PricewaterhouseCoopers riportato il 27 agosto di quest'anno dalla "Thüringer Allgemeine" il numero degli occupati ad Est diminuirà di un altro 10 per cento entro il 2030.

Quanto all’emigrazione, i flussi di popolazione in uscita tra il 1989 e il 2006 hanno interessato 4,1 milioni di persone, il doppio di coloro che erano emigrati nei 10 anni precedenti la costruzione del Muro nel 1961. Il saldo complessivo (ossia anche tenendo conto delle persone trasferitesi dall’Ovest all’Est) risulta inferiore ma comunque impressionante: 1 milione e 740 mila persone. Si tratta del 10,5% della popolazione di partenza. Il trend non si è invertito negli anni successivi.

La denatalità, assieme all’emigrazione, ha contribuito a determinare un calo della popolazione che nel cuore dell'Europa non si conosceva dai tempi della Guerra dei Trent'anni: lo ha denunciato già nel 2003 l'allora ministro della cultura del Brandeburgo, Steffen Reiche, dell’SPD.

Ma c’è un altro fenomeno che balza agli occhi con immediata evidenza a chiunque visiti i territori che furono la Germania Est: lo spopolamento delle città, e di gran parte di quelli che erano stati centri industriali. Tra le conseguenze, un’enorme quantità di immobili vuoti, stimati nel 2003 da Manfred Stolpe – all’epoca ministro dei trasporti e dell’edilizia – in 1,3 milioni. La soluzione? Abbattere i palazzi in eccesso. In Germania hanno coniato un termine per questo: “Rückbau” (“decostruire”). In questo modo la “ricostruzione dell’Est” (“Aufbau Ost”), passando per la distruzione (“Abbau”) delle industrie dell'Est, diventa “decostruzione” (“Rückbau”) dell’Est.

E i famosi trasferimenti all'Est della Germania di cui tanto si parla? In merito il pubblicista francese Guillaume Duval ha osservato: "i trasferimenti pubblici verso l'Est di cui i tedeschi dell'Ovest si lamentano" in realtà sono stati "in misura preponderante riciclati all'Ovest nella forma di acquisto di beni e servizi". La Germania Est è infatti divenuta un'economia assistita, i cui consumi - pagati coi trasferimenti del governo federale - arricchiscono le imprese dell'Ovest.

I trucchi per nascondere il disastro

Nel 2000 Hans-Werner Sinn poteva dichiarare che "l'unificazione dal punto di vista economico è fallita". Chi oggi vuole dimostrare il contrario è costretto a fare ricorso a trucchi statistici. Come quello di utilizzare l'anno 1991, il punto più basso dell'economia della Germania dell'Est, come anno di partenza per i calcoli dei diversi indicatori economici: in questo modo – è stato osservato – “anche un livello che si trova al di sotto della situazione della RDT del 1989 sembra un miglioramento" (U. Busch). Ancora il 30 settembre ha fatto uso di questo trucchetto il capo-economista del KfW, Jörg Zeuner, per argomentare la sua surreale affermazione secondo cui “oggi possiamo parlare del secondo miracolo economico tedesco”.

Ma per quanto si giochi coi numeri e con le parole è difficile nascondere una realtà di sostanziale stagnazione, e comunque il mancato raggiungimento degli standard economici dell'Ovest. Alcuni economisti stimano che il processo di convergenza durerà almeno altri 30 anni, altri 100. Intanto gli obiettivi fissati dal governo si fanno più modesti: l’adeguamento delle condizioni di vita da conseguire non è ormai più riferito alla media dei Länder dell’Ovest, ma a quelli in ritardo di sviluppo (“strukturschwach”); e nel computo dei Länder dell’Est viene inclusa l’intera città di Berlino per alzare la media.

La verità l'ha detta Joachim Ragnitz, dell'Ifo-Institut di Dresda, il 4 maggio scorso, in una sede insospettabile come il quotidiano "Welt am Sonntag": “L’Est non riuscirà in tempi prevedibili ad agganciare l’Ovest”. In tedesco la formulazione per “mancare l’aggancio” è “den Anschluss nicht schaffen”. Ma “Anschluss” è anche il termine che indica l’“annessione”. Il mancato “Anschluss” economico è il prezzo pagato dai cittadini dell’Est per il rapido “Anschluss” politico della RDT alla RFT.


=== 2 ===

http://www.ilbecco.it/cultura-2/storia/item/869-hans-modrow,-intervista-a-un-protagonista-della-ddr.html

Hans Modrow, intervista a un protagonista della DDR

L'esperienza della Repubblica Democratica Tedesca, del socialismo realizzato in un Paese dell'Europa occidentale, non cessa di suscitare interesse e non solo tra storici, “ostalgici” e cultori del libero mercato. Anche a sinistra il muro di Berlino ha segnato una divisione tra le culture politiche, tra libertari e centralisti, tra riformatori ed ortodossi con, in mezzo, innumerevoli sfumature ideologiche e numerose vie nazionali al socialismo. Riteniamo che la riflessione storica vada sposata, quando possibile, con l'ascolto diretto di quanti quella storia l'hanno vissuta e contribuito a scriverla.
Sull'esperienza del socialismo in terra tedesca abbiamo intervistato il dott. Hans Modrow, attualmente Presidente del Consiglio degli Anziani di Die Linke è stato per lungo tempo dirigente della FDJ e del SED (di cui fu Segretario distrettuale a Dresda), membro della Volkskammer tedesco-democratica dal 1958 al 1990, ultimo Capo di Governo della RDT ad essere membro del SED, Presidente del SED-PDS dal 1989 al 1990, vicesegretario e poi Presidente onorario del PDS, deputato al Bundestag dal 1990 al 1994 ed eurodeputato dal 1999 al 2004.
1) Presidente, lei è stato l'ultimo Presidente del Consiglio dei Ministri della RDT ad appartenere al SED (Partito di Unità Socialista di Germania), può raccontarci con quale animo affrontò quei quattro mesi di governo e quali considera le maggiori iniziative da lei intraprese?
Il Governo è entrato in carica il 17 novembre, dopo che, il 9 novembre, il confine - o come diremmo oggi il Muro - era caduto. In primo luogo era necessario prendere iniziative al fine di garantire la stabilità e per prevenire la violenza.Entrambi i blocchi militari - il Patto di Varsavia e la NATO - si fronteggiavano ancora con ostilità, ciò in RDT avrebbe potuto scatenare la violenza od un conflitto interno e esterno. Noi, come ha dimostrato il Capodanno 1989/1990, assicurammo la stabilità.
Quando fu chiaro che l'Unione Sovietica non avrebbe più garantito l'ulteriore esistenza della RDT, divenne necessario iniziare un processo di unificazione dei due stati tedeschi sorti dopo la guerra.
Il 30 gennaio 1990, a Mosca, il mio “Piano in tre fasi“ per l'unificazione della Germania trovò consenso al tavolo delle trattative. Vi era accordo anche sulla richiesta di una Germania militarmente neutrale.
Una settimana dopo - il 9 febbraio 1990 - in un incontro con il Segretario di Stato americano Baker, Gorbacev abbandonò questa posizione affermando che una Germania unificata sarebbe stata un paese NATO, permettendo così l'ampliamento della NATO fin quasi ai confini con la Russia.
Vi è ancora, io credo, un'immagine distorta del mio Governo. Io stesso parto dal presupposto che quello fosse un importante periodo di transizione, ciò che è accaduto dall'aprile 1990, è stata la consegna della vecchia RDT alla vecchia RFT.
L'unificazione statale del 1990 ha creato una “dualità” che mostra ancora oggi le sue conseguenze negative.
2) La Treuhand, la grande holding “amministratore fiduciario” delle imprese e dei beni del popolo tedesco-democratico si è tramutata da strumento sorto per colmare un vuoto giuridico rispetto al patrimonio della RDT nella nuova Germania in un gigantesco liquidatore: a distanza di oltre vent'anni da quegli eventi può darci un giudizio su quella vicenda?
Nel marzo 1990 il governo della RDT ha deliberato l'istituzione - accompagnandone la formazione - della Treuhand al fine di tutelare il patrimonio pubblico. Nel giugno 1990 il governo della RDT (Presidente del Consiglio era Lothar de Maizière della CDU dell'Est, ultimo capo di Governo della RDT ndr) ha intrapreso una trasformazione radicale della Treuhand. In quel momento c'è stato il primo passo verso la liquidazione della holding, o meglio, l'acquisizione delle proprietà del popolo tedesco-democratico da parte di aziende dell'Ovest. L'85% di ciò che era proprietà nazionale è finito in RFT, il 10% ad investitori stranieri e unicamente il 5% - perlopiù piccole imprese - è rimasto nelle mani di cittadini dell'Est.  Possiamo definirla la più imponente operazione di espropriazione che la storia europea abbia mai conosciuto, vi sono stati numerosi episodi criminali perseguiti solo in pochi casi. L'obiettivo politico era la deindustrializzazione della vecchia RDT: questo è stato il compito assunto dalla Treuhand, anche a costo di ricorrere alla criminalità economica.
3) Nelle suoi scritti dal carcere, usciti recentemente anche in italiano, Erich Honecker ha espresso giudizi tutt'altro che lusinghieri per un certo gruppo dirigente del SED di cui anche lei faceva parte. Può descriverci i suoi rapporti con Honecker e come si vissero nel vertice del SED gli ultimi due anni di vita della RDT?
Conosco quell'opera, ma non concordo con gran parte delle descrizioni di Erich Honecker. Si potrebbe dire con una breve formula che fino al quarantesimo anniversario della RDT tutto fosse in ordine, che nel suo discorso durante la cerimonia diede il giusto orientamento per superare le difficoltà e che a ciò seguì solo il tradimento.
La realtà non è purtroppo questa. Honecker parlò con Gorbacev e poi Gorbacev con tutto il Politburo, per entrambi varrebbe la massima: “chi arriva troppo tardi è punito dalla vita!“.
Il 18 ottobre 1989 Honecker si è dimesso da tutti i suoi ruoli ed ha proposto che Egon Krenz venisse scelto come Segretario Generale della SED, Presidente del Consiglio di Stato e del Consiglio di Difesa Nazionale. Non c'è stata nessuna caduta bensì, essenzialmente, la continuazione della politica del Politburo. Solo due stretti collaboratori di Erich Honecker, Günter Mittag e Joachim Herrmann vennero esclusi. In attesa della riunione del Comitato Centrale della SED dall'8 all'11 novembre si creò un vuoto di potere nel partito e nella direzione dello Stato e solo con la costituzione di un nuovo governo dal 13 al 17 novembre si ritornò alla stabilità.
Io oggi rispetto Erich Honecker come un uomo che ha combattuto contro il fascismo tedesco, ma so che nel gennaio-febbraio ci sono stati da parte sua degli sforzi per rimuovermi da ogni incarico senza che ciò fosse previsto dalle deliberazioni del Politburo.
Venne formulata e fatta circolare in tutti i distretti una critica molto forte alla mia condotta. Fino al quarantesimo anniversario della RDT i Segretari di distretto della SED cercarono di non ricevere le medesime critiche in quanto il loro incarico era a rischio.


MALATTIE PROFESSIONALI

Sono già quindicimila i militari croati, già combattenti per lo squartamento della Jugoslavia e la pulizia etnica delle Krajine (la cosiddetta "Guerra patriottica"), ammalatisi di cancro.

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RAK UBIJA HRVATSKE "BRANITELJE": Više od 15.000 učesnika "domovinskog rata" umrlo od raka!


4/10/2014

Iako iz Ministarstva ratnih veterana još nema službenih podataka o tome je li i u kojoj meri stopa obolevanja i smrtnosti kod ratnih veterana veća nego stopa kod opšte populacije, iz udruženja ratnih veterana uvereni su da ih bolest, nažalost, kosi znatno više nego što je to slučaj s ostalim delom populacije, prenosi “Slobodna Dalmacija”.

Najpogubniji je rak, za šta je, po njihovom mišljenju, glavni uzrok stres kojim su bili godinama izloženi, a stanje se, upozoravaju, iz godine u godinu dramatično pogoršava. Iz Udruženja obolelih od leukemije i limfoma, koje okuplja ratne veterane s malignom dijagnozom, poručuju kako je, po njihovim saznanjima, do danas od raka umrlo čak oko 15 hiljada učesnika rata, dok je ukupna brojka umrlih ratnih veterana preskočila 30 hiljada.

PET DO SEDAM GODINA

 Od 1998. do 2010. službena brojka Ministarstva ratnih veterana o broju umrlih od raka iznosila je nešto više od 8000, no podaci kojima se danas raspolaže pokazuju kako se brojke dramatično povećavaju i do danas se ta brojka gotovo udvostručila.

Najveći broj učesnika rata obolio je u razdoblju od pet do sedam godina nakon završetka rata, a ima i slučajeva kada se bolest javlja i nakon deset godina. Uglavnom se radi o teškim oblicima raka – ističe Emil Vibović, predsednik Udruženja obolelih od leukemije i limfoma, ratni veteran koji je nakon rata i sam obolio i lečio se od leukemije.

Ministarstvo je, prošle godine objavilo podatke kako je u spomenutom razdoblju umrlo 24.249 hrvatskih ratnih veterana, a prosečna starost umrlih bila je 50,9 godina. Najviše ih je, konkretno njih 8093, umrlo od raka, a na drugom mestu uzročnika smrtnosti su bolesti srca i krvnih sudova koje su odnele 6923 života.

Radi se o podacima iz studije Ministarstva, Hrvatskog zavoda za javno zdravlje i Medicinskog fakulteta u Zagrebu, koja je, u sklopu projekta “Praćenje smrtnosti i oboljevanja hrvatskih ratnih veterana iz Domovinskog rata“, obuhvatio 501.701 učesnika rata.

Iz Ministarstva su juče za “Slobodnu dalmaciju” odgovorili kako u ovoj fazi projekta HZJZ spaja baze podataka, nakon čega će se na Medicinskom fakultetu provesti analiza, koja će pokazati može li se govoriti o značajnom porastu pojave tumora među populacijom koja je učestvovala u ratu. Rezultati projekta, napominju u Ministartstvu, očekuju se krajem godine.

No, “nestrpljivi” ratni veterani s koji su za “Slobodnu Dalmaciju” pričali sproveli su svoju, grubu, neslužbenu analizu, koja potvrđuje njihove sumnje o znatno većoj stopi smrtnosti od raka. Na to, objašnjavaju, pre svega ukazuje činjenica da su u opštoj populaciji na prvom mestu uzroka smrtnosti bolesti srca i krvnih sudova, a na drugom mestu rak, dok je kod ratnih veterana situacija obrnuta.

PISALI JOSIPOVIĆU

Analizom iznesenih podataka iz Ministarstva dolazi se do prosečne stope smrtnosti od raka u populaciji ratnih veterana u posmatranih 13 godina od 124,2 umrlih na sto hiljada osoba, što je znatno veća brojka od prosečne stope iz statistike HZJZ-a, koja za to razdoblje iznosi 97,4.

Sagovornici “Slobodne Dalmacije”,  pri ovoj analizi za poređenje su uzeli HZJZ-ovu standardizovanu stopu smrtnosti od raka za starost od nula do 64 godine na sto hiljada stanovnika, s obzirom na to da umrli ratni veterani nisu bili stariji od 64 godine.

(Telegraf.rs)