Informazione
Perché dobbiamo uscire dalla NATO / Why we must get out of NATO (Appello)
https://www.cnj.it/INIZIATIVE/usciredallanato2014.htm
La “globalizzazione” – termine che, già noto prima, viene abbondantemente utilizzato a partire dagli anni ‘90, dopo il crollo dell’URSS e l’apertura alle potenze capitaliste occidentali di un vasto mercato in aree che in precedenza erano controllate e regolate da un potere politico orientato al socialismo – non è neutrale, non significa la libera espansione del mercato mondiale su una base di parità, ma è essenzialmente una “globalizzazione imperialista”, che intende imporre in tutto il mondo il modello capitalista neoliberista, gli interessi dei grandi monopoli occidentali, privando molti paesi delle loro risorse. E quando alcuni paesi hanno resistito, cercando il proprio percorso di auto-sviluppo, le potenze occidentali, guidate dagli Stati Uniti, hanno fatto ricorso all’aggressione militare (Iraq, Serbia, Libia, Siria …), come al tempo del grande Lenin (in quest’anno ricordiamo il 90° anniversario della sua morte), quando ha elaborato la categoria scientifica di “imperialismo”…
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L'invio in Iraq di una squadriglia di aerei da combattimento, come i Tornado, fa entrare l'Italia di nuovo in guerra dopo quelle contro la Libia e quella ancora in corso in Afghanistan.
Inoltre assai ambigue ed oscure risultano essere le reali finalità di questa guerra. La motivazione ufficiale è quella di partecipare ad una coalizione che combatte l'ISIS, coalizione di cui però fanno parte stati, come l'Arabia Saudita il Qatar e gli USA, che hanno in passato creato e finanziato l'ISIS e altre formazioni estremiste e terroristiche, o che continuano a finanziare e sostenere tali formazioni, apertamente come la Turchia, o sotto banco come l’Arabia Saudita.
Ben fondata è l'ipotesi che il vero scopo di questa operazione sia interferire pesantemente nella politica interna di stati sovrani come Iraq e Siria e sabotare e porre ostacoli alle uniche forze che finora hanno combattuto efficacemente l'ISIS e gli altri gruppi estremisti, come il Governo e l'Esercito Nazionale della Siria e le formazioni kurde affiliate o simpatizzanti del PKK (considerate invece da USA e UE come "terroriste").
Per sconfiggere i terroristi non serve bombardare. Devono invece essere eliminate le complicità e chiusi i canali – peraltro già ben noti - attraverso cui l’ISIS e altre formazioni estremiste ricevono armi e rifornimenti e vendono il petrolio dei pozzi occupati. Di fatto finora i bombardamenti sono serviti sostanzialmente solo a distruggere importanti infrastrutture in Siria ed Iraq, essenziali per la sopravvivenza stessa di quei paesi.
La Rete No War invita tutti i parlamentari amanti della legalità e della pace ad opporsi a questo ulteriore disegno bellico dalle ambigue finalità, come sembra sia stato fatto finora solo dai parlamentari di 5Stelle, cui va in questo caso tutto il nostro sostegno.
Il rinnovo e il potenziamento della flotta da guerra della Marina Militare ha ottenuto il via libera definitivo dal Parlamento. Entrambe le commissioni Difesa – oggi (giovedì 4 dicembre) anche quella della Camera – hanno dato parere favorevole, con il solo voto contrario di Sel e Cinquestelle, al programma ventennale da 5,4 miliardi di euro già stanziati dalla legge di stabilità dell’anno scorso per la costruzione di una nuova portaerei, dieci pattugliatori/lanciamissili (destinati a diventare sedici), una gigantesca nave appoggio e due piccole unità veloci da assalto. Il finanziamento del programma, non a carico della Difesa ma del ministero dello Sviluppo Economico, aumenterà progressivamente di anno in anno: 140 milioni nel 2015, 470 milioni nel 2016, 690 milioni nel 2017 e così via.
Non è chiaro se all’ammodernamento della flotta sia destinato anche il contributo del ministero dello Sviluppo economico da 770 milioni (53 ogni anno, ex comma 38 dell’articolo 1 della legge n. 147 del 2013) che compare nella Tabella E della legge di stabilità attualmente in fase di approvazione. Se così fosse, il costo complessivo del programma navale supererebbe i 6 miliardi. Stando a questo documento parlamentare (leggi) sembrerebbe proprio così: “Ulteriori contributi ventennali nel settore navale sono stati autorizzati dal successivo comma 38 dell’articolo 1 della legge n. 147 del 2013”. Abbiamo chiesto chiarimenti allo Stato Maggiore della Marina, ma non ne abbiamo ancora ricevuti. Se questi soldi non fossero destinati al programma navale, sarebbe interessante capire a cosa serviranno.
La nuova campagna acquisti della Marina, fortemente voluta dal capo di Stato Maggiore, ammiraglio Giuseppe de Giorgi, appare molto ambiziosa, soprattutto considerando che va a completare l’ammodernamento della flotta già avviato con le portaerei Cavour (1,5 miliardi), le dieci fregate Fremm (5,7 miliardi, le ultime due dovrebbero essere finanziate entro aprile), le due fregate Orizzonte (1,5 miliardi), i quattro nuovi sommergibili U212 (1,9 miliardi), la nuova nave supporto forze speciali (finanziata pure con 50 milioni del ministero dell’Istruzione via Cnr), più ottanta nuovi elicotteri da assalto NH90 e EH101 (3 miliardi) e, almeno nelle intenzioni, quindici cacciabombardieri F35B (2/3 miliardi almeno).
“La Marina ha presentato al Parlamento informazioni limitate e riduttive su queste nuove navi”, denuncia Luca Frusone, membro Cinquestelle della commissione Difesa della Camera, spiegando che i dettagli tecnici sono stati forniti alla stampa specializzata ma non al Parlamento. “Lo Stato Maggiore ha parlato di una portaelicotteri tipo la Garibaldi ma, in realtà, per stazza si tratta di una seconda portaerei tipo Cavour, che potrà anche imbarcare aerei a decollo verticale come gli F35 visto che una delle cinque piattaforme di atterraggio è stata appositamente studiata a questo scopo. E i quattro pattugliatoti polivalenti in versione ‘full combat’ saranno dotati di un arsenale missilistico degno di una fregata. Ma chi dobbiamo invadere con tutte queste navi da guerra?”.
Anni fa altri ammiragli chiesero e ottennero la poderosa portaerei Cavour sostenendo che fosse indispensabile per la difesa dei nostri interessi nazionali. Da quando è entrata in servizio, cinque anni fa, questo costosissimo mastodonte è rimasto inutilizzato perché la Marina non può permettersi il suo esorbitante costo di esercizio (circa 200 mila euro al giorno): finora, quindi, è stata utilizzata solo per due missioni di promozione commerciale spesate dalle aziende italiane (Fincantieri, Finmeccanica, Eni) che se ne sono servite come fiera galleggiante del ‘made in Italy’ una prima volta in Brasile nel 2010 (con una puntata umanitaria ad Haiti) e recentemente in Medio Oriente e in Africa.
L'Italia non ripudia.... La Commissione esteri del Senato si schiera per l'intervento. Nel silenzio generale
http://ilmanifesto.info/roma-si-accoda-alla-guerra-contro-lo-stato-islamico-in-siria/
Il Senato autorizza l'intervento militare italiano in Siria
http://contropiano.org/internazionale/item/27972-il-senato-autorizza-l-intervento-militare-italiano-in-siria
di Manlio Dinucci | da il manifesto, 7 dicembre
La Commissione esteri del Senato, in una risoluzione sulla Siria (Doc. XXIV, n. 43), ha impegnato il governo a «sostenere in tutti i modi, incluso quello militare, l’azione della coalizione internazionale»: in altre parole, ha autorizzato (con voto favorevole PD-Pdl e contrario di Sel e 5Stelle) un intervento militare diretto dell’Italia in Siria.
La crisi siriana – sostiene la premessa approvata invece anche da Sel e con l’astensione di 5Stelle – si è trasformata in guerra civile «per la chiara e riconosciuta responsabilità del regime del presidente Assad», creando «il terreno ideale per il rafforzamento dell’estremismo fondamentalista armato, in particolare di quello del Daesh» (Isis) che costituisce oggi «una minaccia all’integrità territoriale dei paesi dell’area, oltre che una delle maggiori sfide contemporanee alla sicurezza, alla democrazia e alla libertà».
Sono stati in realtà gli Usa e i maggiori alleati Nato a finanziare, armare e addestrare in Libia nel 2011 gruppi islamici fino a poco prima definiti terroristi, tra cui i primi nuclei del futuro Isis; a rifornirli di armi attraverso una rete organizzata dalla Cia (documentata da un’inchiesta del New York Times nel marzo 2013) quando, dopo aver contribuito a rovesciare Gheddafi, sono passati in Siria per rovesciare Assad; sono stati sempre gli Usa e la Nato ad agevolare l’offensiva dell’Isis in Iraq (nel momento in cui il governo al-Maliki si allontanava da Washington, avvicinandosi a Pechino e a Mosca).
Vi sono su questo molte prove. Ad esempio la foto del senatore Usa John McCain, in missione in Siria per conto della Casa Bianca, che incontra nel maggio 2013 Ibrahim al-Badri, il «califfo» a capo dell’Isis. O il servizio televisivo trasmesso pochi giorni fa dalla tedesca Deutsche Welle, che mostra come centinaia di tir attraversano ogni giorno senza alcun controllo il confine fra Turchia e Siria, trasbordando carichi diretti a Raqqa, base delle operazioni Isis in Siria.
La Commissione del Senato sostiene inoltre che l’intervento militare in Siria, effettuato dalla coalizione internazionale di cui fa parte l’Italia, è autorizzato dalle risoluzioni 2170 e 2178 del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Mentre in realtà esse stabiliscono solo l’obbligo dei paesi membri dell’Onu di prevenire il reclutamento, l’organizzazione, il trasporto e l’equipaggiamento di individui che si recano in altri Stati allo scopo di attuare atti terroristici (cosa che fanno proprio Usa e Nato).
L’intervento militare degli Stati uniti e di loro alleati in Siria non è quindi autorizzato dal Consiglio di sicurezza. E, incentrato apparentemente sull’Isis (in realtà funzionale alla strategia Usa/Nato), esso mira alla completa demolizione della Siria, finora impedita dalla resistenza interna e dalla mediazione russa in cambio del disarmo chimico di Damasco, e alla rioccupazione dell’Iraq. In questa guerra può entrare ora anche l’Italia.
Pare proprio che qualsiasi tentativo di modifica, che sia per inserire nuovamente anche il Senato nella decisione o quantomeno per innalzare il quorum necessario alla dichiarazione, verrà respinto dal Governo Renzi alla Camera, dove la discussione giace attualmente in Commissione Affari Costituzionali, come già successo al Senato. Il risultato, per certi versi paradossale, sarebbe quello di avere un accesso più facile ad una decisione grave come questa, addirittura rendendola meno difficile da prendere della già nominata elezione del Capo dello Stato. Inoltre l’effetto combinato con la riforma della legge elettorale, anch’essa sul tavolo parlamentare, ci potrebbe proiettare in una situazione per cui una minoranza non solo dell’elettorato ma anche del totale dei voti espressi, grazie al premio di maggioranza, potrebbe permettersi una dichiarazione di guerra in assoluta autonomia rispetto al resto del Paese.
Chiaramente non stiamo dicendo che la riforma istituzionale attualmente in discussione abbia come obiettivo principale quello di permettere ad un prossimo governo di poter andare a far la guerra facilmente in giro per il mondo… Ed oltretutto è ormai passato il tempo in cui i conflitti bellici venivano dichiarati formalmente dagli ambasciatori, con una sorta di antico galateo tra Stati. Ormai viviamo in un mondo dalla conflittualità liquida e diffusa, in cui la parola d’ordine per le frizioni politico-economiche è «bassa intensità» con il minore coinvolgimento possibile degli apparati pubblici e statali. Eppure dal punto di vista squisitamente politico si tratta di un passaggio problematico e non banale. Perché ancora una volta, come accade per molte altre questioni fondamentali nella vita del Paese e dei suoi Cittadini, si impoverisce il confronto politico riducendo la questione ad una decisione presa in ambiti ristretti e con una estremizzazione dell’idea di «vertice». Si continua insomma verso quella vocazione leaderistica che ha drogato la politica italiana negli ultimi anni per cui tutto appare sacrificato all’altare della cosiddetta «governabilità» o meglio ancora del decisionismo. Anche su un tema, come quello della guerra e della pace, in cui invece la riflessione calma e approfondita dovrebbe essere naturale ed imprescindibile.
Una modifica di prospettiva che sta avvenendo ad un secolo esatto di distanza dal primo conflitto mondiale: la sanguinosa Grande Guerra di cui tutti oggi ricordano orrori e distruzioni. Ma forse questo ricordo è celebrato solo perché siamo (solo in Italia) tranquillamente lontani nel tempo da morti, sangue, fame e conseguenze negative. Vogliamo davvero un modello di società in cui le decisioni più gravi ed importanti vengano prese in poco tempo e sulla base di un mandato conferito da una minoranza del Paese? Speriamo proprio di no. Ed anche per questo sarà opportuno che il mondo della Pace e della nonviolenza si faccia sentire con forza su questo ennesimo tentativo pasticciato di indebolire i capisaldi della nostra Carta Costituzionale.
Il Senato degli Stati Uniti ha accolto con favore la ratifica dell'”Ukraine Freedom Support Act”. L’atto, che deve ancora essere autorizzato dalla Casa Bianca, prevede la fornitura di servizi di sorveglianza, armi radar e anti-carro per l’esercito ucraino. L’aiuto militare degli Stati Uniti sarà del valore di 350 milioni di dollari.
http://www.ilfarosulmondo.it/usa-il-senato-approva-fornitura-di-armi-allesercito-ucraino/
13/12/2014: Jatsenjuk a Bruxelles per concordare l’avvicinamento di Kiev alla NATO
http://comunicati.russia.it/jazenjuk-e-andato-a-bruxelles-per-concordare-l-avvicinamento-di-kiev-alla-nato.html
By Prof Michel Chossudovsky – Global Research, December 05, 2014
NUOVA LEGISLAZIONE AMERICANA PREPARA IL TERRENO PER LA GUERRA ALLA RUSSIA?
- di prof. Michel Chossudovsky -
L’America è in marcia verso la guerra. Se è vero che uno scenario di terza guerra mondiale è stato nei piani del Pentagono per più di 10 anni, ora però le azioni militari contro la Russia vengono contemplate sul “piano operativo”.
Allo stesso modo, sia il Senato che la Camera hanno introdotto nuova legislazione che legittima la condotta di guerra contro la Russia. Non abbiamo a che fare con una “guerra fredda”. Non prevale nessuna delle salvaguardie in vigore in quell’epoca. Si è verificata una rottura diplomatica tra Oriente e Occidente, abbinata a un’estesa propaganda bellica. A loro volta, le Nazioni Unite hanno chiuso gli occhi di fronte ai crimini di guerra commessi dall’alleanza militare occidentale.
L’adozione di un’importante legge da parte della Camera statunitense, avvenuta il 4 dicembre, fornirà (qualora venga approvata in Senato) al presidente e comandante supremo il via libera per iniziare, senza approvazione del congresso, un processo di confronto militare con la Russia.
E’ in questione la sicurezza globale. Questo voto storico, che potrebbe influenzare le vite di centinaia di milioni di persone in tutto il mondo, quasi non è stato riportato dai media.
Il mondo è a un bivio pericoloso. Mosca ha risposto alle minacce di USA e NATO. I suoi confini sono minacciati. Il 3 dicembre, il ministro della difesa della Federazione Russa ha annunciato l’inaugurazione di un nuovo ente politico-militare che assumerebbe il potere nel caso di guerra. (Vedi: Russia launches ‘wartime government’ HQ in major military upgrade ).
Cronologia dei preparativi di guerra
A maggio 2014 è stato introdotto al Senato l’Atto di Prevenzione dell’Aggressione Russa (RAPA, S 2277) che invoca la militarizzazione dell’Europa orientale e degli stati baltici e lo stazionamento permanente di truppe USA e NATO sulle soglie della Russia.
Se è vero che la risoluzione S 2277 è all’esame del Comitato per le Relazioni Estere del Senato, le sue premesse essenziali sono però già in corso d’implementazione. In luglio, il comandante della NATO in Europa, generale Philip Breedlove, ha richiesto di “rifornire una base in Polonia con abbastanza armi, munizioni e provviste da supportare un rapido schieramento di migliaia di soldati contro la Russia” (RT, 24 luglio) […]
In ottobre si sono svolte esercitazioni USA-NATO negli stati baltici. All’inizio di novembre si è tenuto un secondo round di esercitazioni sia negli stati baltici che in Europa orientale. Tra queste, le esercitazioni NATO “Spada di ferro” in Lituania, a cui hanno partecipato 9 stati membri.
Secondo Mosca le esercitazioni servivano ad “aumentare la prontezza operativa” e a trasferire infrastrutture militari NATO ai confini russi. In risposta a tale schieramento NATO, anche la Russia ha condotto ad inizio novembre estese esercitazioni nel Mare di Barents per testare tutta la sua triade nucleare composta di bombardieri strategici, sottomarini e missili balistici intercontinentali.
La risoluzione H.Res. 758
Il 18 novembre è stata introdotta alla Camera l’importante risoluzione H.Res. 758, il cui nocciolo consiste nel dipingere la Russia come un aggressore che ha invaso l’Ucraina e nell’invocare contro di essa l’azione militare. ( https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=VptXR5bPNe4 )
[…] Se la risoluzione 758 dovesse diventare legge, di fatto fornirebbe al presidente degli Stati Uniti il via libera per dichiarare guerra alla Federazione Russa senza l’autorizzazione formale del Congresso. In questo senso potrebbe essere interpretata come “lievemente incostituzionale”, in quanto contravviene alla sostanza dell’articolo 1, sezione 8 della Costituzione statunitense, che assegna “il potere di dichiarare guerra” al Congresso.
La risoluzione sollecita il presidente degli Stati Uniti, in consulta con il Congresso, a:
“condurre una revisione della forza, prontezza e responsabilità delle forze armate statunitensi e delle forze di altri membri NATO, per stabilire se i contributi e le azioni di ciascuno siano sufficienti ad assolvere gli obblighi di difesa collettiva previsti dall’articolo 5 del Trattato Nord-Atlantico, e di specificare le misure necessarie a rimediare eventuali deficienze.”
Questo suggerisce che gli USA stiano contemplando l’uso della dottrina di sicurezza collettiva della NATO (art. 5) in vista dello scatenamento di un confronto militare con la Federazione Russa. L’articolo 5 è un meccanismo imposto dagli USA all’Europa occidentale. Esso costringe gli stati membri della NATO, in gran parte europei, a muovere guerra per conto di Washington.
Inoltre si sta prendendo in considerazione un referendum sull’adesione dell’Ucraina alla NATO. Nel caso l’Ucraina ne diventasse membro e/o ridefinisse i suoi accordi di sicurezza con la NATO, potrebbe venire invocato l’articolo 5 per giustificare una guerra contro la Russia.
Legislazione rapida
La velocità con cui questa legislazione è stata adottata è insolita nella storia del Congresso statunitense. La risoluzione 758 è stata introdotta il 18 novembre, passata in gran fretta al Comitato Affari Esteri e tornata subito all’intera Camera per il dibattito e l’adozione. Appena 16 giorni dopo essere stata introdotta dal deputato Kinzinger (Illinois) è stata adottata con 411 voti favorevoli e 10 contrari nella mattinata del 4 dicembre. I membri del Congresso sono burattini. Il loro voto è controllato dalle lobby di Washington. Per gli appaltatori della difesa, Wall Street e i magnati del petrolio texani, “la guerra fa bene agli affari”. […]
Il blackout dei media
Uno si aspetterebbe che questa decisione storica sia stata ampiamente trattata dai media. Al contrario c’è stato un totale blackout: i media nazionali non hanno parlato della risoluzione 758. Nessuno ha osato riflettere sulle sue drammatiche implicazioni, il suo impatto sulla “sicurezza globale”. La terza guerra mondiale non è notizia da prima pagina.
E, senza copertura mediatica delle preparazioni belliche, il pubblico resta ignaro dell’importanza di tale decisione del Congresso.
Passate parola. Invertite la rotta verso la guerra. […]
Fonte: Global Research
Traduzione: Anacronista
L'arte della guerra. La rubrica settimanale di Manlio Dinucci
In tal modo la risoluzione cancella tutta la storia della penetrazione Usa/Nato in Ucraina, fino al putsch di piazza Maidan organizzato per suscitare la reazione dei russi di Ucraina e della Federazione Russa, riportando l’Europa a una nuova guerra fredda. La risoluzione chiama quindi il Presidente a fornire al governo ucraino armi, addestramento e intelligence, e contemporaneamente a rivedere «lo stato di prontezza delle forze armate Usa e Nato».
Accusando la Russia di violare il Trattato Inf, che nel 1991 ha eliminato in Europa i missili nucleari a gittata intermedia lanciati da terra (tra cui quelli Usa schierati a Comiso), la risoluzione sollecita il Presidente a «rivedere l’utilità del Trattato Inf per gli interessi degli Stati uniti» con la possibilità di «ritirarsi dal Trattato» (non a caso nel momento in cui gli Usa ammodernano le armi nucleari che mantengono in Europa, Italia compresa). La risoluzione sollecita inoltre il Presidente a verificare se ciascun alleato è in grado di contribuire all’«autodifesa collettiva in base all’articolo 5 del Trattato nord-atlantico».
Tale articolo, che obbliga tutti i membri dell’Alleanza a intervenire se uno di loro è attaccato, viene esteso di fatto oggi anche all’Ucraina, pur non essendo ancora ufficialmente membro della Nato. Gli alleati vengono direttamente sollecitati, nella risoluzione, a «fornire la loro piena quota di risorse necessarie alla difesa collettiva», cioè ad accrescere la spesa militare in base all’impegno preso di portarla come minimo al 2% del pil. Il che implica per l’Italia un aumento dagli attuali 52 milioni di euro al giorno, secondo i dati ufficiali della Nato (72 secondo il Sipri [ http://www.ilmanifesto.info/cento-milioni-di-euro-al-giorno-in-armi/ ]), a oltre 100 milioni di euro al giorno.
Sul piano economico, per «ridurre la capacità della Russia di usare le forniture energetiche quale mezzo di pressione», la risoluzione chiama l’Unione europea a «sostenere le iniziative di diversificazione energetica» intraprese dagli Usa, in particolare «l’aumento delle esportazioni di gas naturale e altri tipi di energia dagli Stati uniti» verso la Ue, l’Ucraina e altri paesi europei. In altre parole, chiama la Ue a rinunciare all’importazione di gas russo (e per questo gli Usa hanno affossato il gasdotto «South Stream») per importare quello liquefatto (tra l’altro molto più caro) fornito dalle multinazionali statunitensi.
La risoluzione infine chiama il Presidente a sviluppare una strategia per «produrre e diffondere informazioni in lingua russa in paesi con significativi settori di popolazione che parlano russo», massimizzando l’uso delle emitenti «Voce dell’America» e «Radio Europa Libera/Radio Libertà» attraverso «partnership pubblico-private» con media nazionali. Rilanciando così in Europa l’isterismo propagandistico della guerra fredda.
Questo, in sintesi, il contenuto della Risoluzione 758 che, dopo che sarà stata approvata anche dal Senato, diverrà una vera e propria legge per l’attuale e le future amministrazioni. E allo stesso tempo una dichiarazione ufficiale di guerra alla Russia che, attraverso la Nato, riporta l’Europa in prima linea di un nuovo pericoloso confronto militare.
https://www.cnj.it/INIZIATIVE/usciredallanato2014.htm
Roman Herzog, Antje Vollmer, Wim Wenders, Gerhard Schröder und viele weitere fordern in einem Appell zum Dialog mit Russland auf. ZEIT ONLINE dokumentiert den Aufruf… (5. Dezember 2014)
In Germania ex presidenti, politici, artisti, industriali lanciano un potente appello per la distensione in Europa. I loro colleghi italiani tacciono (di Pino Cabras, 8 dicembre 2014)
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59015
Џорџ Ф. Кенен, један од твораца спољне политике САД је након Другог светског рата још 1948. године написао: ”Морамо бити крајње опрезни када говоримо о нашој водећој улози у Азији… Ми поседујемо око 50% богатстава овог света, али чинимо само 6,3% светског становништва… Наш стварни задатак у следећој декади се састоји у изналажењу такаве форме односа која ће нам допустити да задржимо ову разлику у благостању, и да при томе значајније не умањимо нашу националну безбедност…Мораћемо да свудa усредсредимо пажњу на апсолутно своје националне циљеве… Треба да прекинемо са праксом да говоримо о нејасним, нереалним циљевима као што су људска права, подизање животног стандарда и демократизацији. Није далеко дан када ће наше деловање усмеравати трезвена идеја моћи.”
У апсолутне националне циљеве САД спада и обезбеђивање сировина и тржишта. Сједињене Америчке Државе су, додуше супротно Кененовом савету, многе ратове које су водиле после Другог светског рата оправдавале причом о људским правима и демократизацији, али се у стварности увек радило и још увек се ради о тржиштима и изворима сировина. Како би оставриле своје интересе и војним путем, САД располажу највећом војном силом света. Према подацима Штокхолмског института за мир СИПРИ за 2013. годину, САД су су са својих 685 милијарди долара војних издатака евидентно испред Кине са њених 188 милијарди и Русије са 88 милијарди долара. НАТО чланице заједно располажу са 1000 милијарди долара за војни сектор, а ипак се осећају да их Русија са својих 88 милијарди веома угрожава. Овом претњом се, као и у доба Хладног рата, оправдава кампања за повећање издатака за наоружање која се тренутно води у немачким медијима.
И у сукобу у Украјини ради се о сировинама и тржиштима
Барак Обама је на заседању Скупштине УН 24. септембра 2014. изјавио да конфликт у Украјини доказује колико је Русија велика опасност за Европу. Некадашњи државни секретар владе Роналда Регана, Пол Крег Робертс, коментарисо је овај говор овако: ”Апсолутно је непојмљиво да председник Сједињених Америчких Држава стаје пред целокупну светску заједницу да прича о стварима за које сви знају да су еклатантне лажи... Када Вашингтон баца бомбе и током тринаест година без објаве рата напада седам земаља онда то није агресија. У питању је агресија тек онда када Русија усвоји петицију Крима о уједињењу са Русијом за коју је гласало 97 процената становништва.”
И у конфликту у Украјини ради се о сировинама и тржиштима. Тако је примерице амерички концерн „Шеворн“ добио право да експлоатише гас добијен фрекингом, а Хантер Бајден, син америчког заменика председника Џоа Бајдена, члaн je директоријума једне украјинске корпорације за производњу гаса. У процесу ширења НАТО ка Истоку Киев је изостао из сфере утицаја Сједињених Држава, а то више није смело да остане тако.
Овакву спољну политику коју Америка спроводи десетинама година Вили Вимер, државни секретар парламента у Министарству одбране владе Хелмута Кола и дугогодишњи заменик председника ОЕБС-а, коментарише на следећи начин: ”Прво су Сједињене Америчке Државе приморале Уједњене Нације да прихвате НАТО као војни сервис који спроводи њихове безбедносно-политичких мере. Али, даљи циљ који је следила Америка ишао је и иде у другом смеру. Уједињене Нације је требало да буду до те мере маргинализоване да би убрзо могло да се догоди да НАТО, којим доминирају САД, заузме глобалну позицију коју имају Уједињене Нације.”
НАТО нема будућност као пуки инструмент наметања америчких интереса
Хелмут Шмит је, према Теу Зомеру, некадашњем руководиоцу Штаба за планирање у Министарству одбране, пре неког времена, размишљајући на сличан начин, на питање шта су данас смисао и сврха НАТО одговорио: ”У стварности НАТО је излишан.” Објективно гледано, у случају западног савеза ради се у крајњој линији о чистом инструменту америчке глобалне стратегије. Као пуки инструмент наметања америчких интереса НАТО нема будућност. Глобални интервенционизам не може бити његов имепратив.
И на Блиском Истоку су већ деценијама у питању искључиво сировине и тржишта. Све владе Сједињених Државо су покушавале да, у различитим формама, Америци обезбеде премоћ у Југозападној Азији када је у питању било обезбеђивање приступа изворима нафте. Као што знамо, оне нису биле нарочито скрупулозне приликом избора својих средстава. Оне су наоружале талибане, диктатора Садама Хусеина или ИДИЛ да би на крају водиле ратове против њих. Када данас заменик председника САД Џо Бајден оптужује савезнике Америке на Блиском Истоку да су наоружали ИДИЛ и кривицу сваљује на Турску, Саудијску Арабију и Уједињене Арапске Емирате, прећуткује чињеницу да су ови савезници САД уствари деловали као продужена рука америчке политике.
Они који данас својим трупама или испорукама оружја подржавају војне интервенције Сједињених Држава везују се за ону америчку спољну политику која је од Другог светског рата до данас око целе земаљске кугле за собом оставила траг милиона мртвих. У дискусијама око учешћа Бундесвера у војним интервенцијама последњих година не ради се у првој линији о томе да се спасу људски животи, већ суштински о питању не подржава ли Бундесвер ову америчку политику обезбеђивања сировина и тржишта.
Спрега партија система и немачких медија
До сада је немачка партија ЛЕВИЦА одбијала да буде учесник овакве политике. Због тога је партије система ЦДУ, ЦСУ, СПД, ФДП и Зелени, скупа са немачким медијима, годинама нападају, захтевајући да коначно почне да води ”одговорну” спољну политику. Петер Шол-Латур у својој посмртно објављеној књизи ”Проклетство злог дела” пише о улози медија: ”Глобална кампања дезинформисања америчких пропагандних института, којој је успело да најтемељније изманипулише европску медијску сцену, може некоме да изгледа сасвим оправданом, ако се ради о томе да се превари непријатељ... Али, она постаје кобна када се њени аутори запетљају у мрежу сопствених лажи и опсесивних представа, када потпадну под сопствене фантазме.”
Аргумент који се увек потура како не смемо да пасивно гледамо како људи пате или умиру лицемеран је и лажан. Западна заједница негованих вредности пасивно посматра мање више сваки дан како људи умиру од глади и болести. Избеглице се утапају, заразе попут еболе се шире, док индустријске земље ни у назнакама не размишљају о томе да за спас ових људи дају бар приближно онолико новца колико га годишње дају за војни комплекс. Просто нас изненади када видимо како се изненада пробуди сажаљење политичара и политичарки, када им се пружи прилика да се заложе за војну инервенцију, оставши при томе потпуно неосетљиви док гледају свакодневну глад, смрт и болест или дављење избеглица у светским морима.
Политичка левица у Европи могла је да одахне када је папа Фрања установио: ”Оваква привреда убија.” Ту привреду ЛЕВИЦА назива капитализмом. Пре скоро једног столећа француски социјалиста Жан Жорес је написао: ”Капитализам носи у себи рат као што облак носи кишу.” Другачије формулисано: Да би се обезбедиле сировине и тржишта у оваквом привредном систему ће увек бити употребљена војна сила.
Савремени француски социјалисти су из свог сећања протерали Жана Жореса исто онако као што су немачке социјалдемократе протерале Вилија Бранта чија је одлучујућа реченица у његовом говору приликом доделе Нобелове награде за мир гласила: ”Рат није ultima ratio већ ultima irratio.” У међувремену су војне интервенције постале неодвојив део спољне политике СПД.
”ЛЕВИЦА је интернационалистичка странка мира”
Седиште ЛЕВИЦЕ је у Дому Карла Либкнехта. Њени чланови осећају дуг према наслеђу Карла Либкнехта: ”Крај ратовима!” ЛЕВИЦА себе види као део ове традиције, уневши у свој програм став: ”ЛЕВИЦА је интернационалистичка странка мира која се бори против насиља.”
Meђутим, Грегор Гизи и још неколико политичара ЛЕВИЦЕ, које медији славе као ”реформаторе”, покушавају да се реше наслеђа Карла Либкнехта у програму ЛЕВИЦЕ. При томе они су бацили око на учешће у влади црвено-црвено-зелене коалиције. СПД и Зелени су условили састављање такве заједничке савезне владе одустајањем ЛЕВИЦЕ од њених миротворних политичких принципа.
Међутим, самосвесна политика изгледа другачије. Захтевима попут оног ”Напоље из Авганистана!” и ”Не извозу оружја!” ЛЕВИЦА је добила на изборима. И данданас већина грађана Савезне Републике одбија извоз оружја и војне интервенције Бундесвера у иностранству. ЛЕВИЦА има бољи одговор на питање: ”Хоћете ли да пасивно посматрамо како људи умиру?” Помозите, шаљите лекаре и болничарке уместо војника, храну и лекове уместо оружја. То је миротворна алтернатива војсци која ратује.”
То је и понуда ЛЕВИЦЕ СПД-у и Зеленим за формирање заједничке савезне владе. Ако би се социјалдемократе вратиле на пут Вилија Бранта, ништа не би било на путу сарадњи на пољу спољне политике. Таква спољна политка би, у духу политике попуштања затегнутости, била у споразумевању са Русијом које је у елементарном интересу Немаца. Одустајање од примене силе, добросуседски односи, попуштање затегнутости, заједничка безбедност су увек примеренији у обезбеђивању мира него што су то извоз оружја, интервенционистички ратови, кршење међународног права или санкције.
На хиљаде убистава дроновима да би се осигурали геостратешки интереси САД империје
Чак и када би све наведено и било тачно, зар не постоји обавеза да се помогне, ако треба и оружјем, људима попут Јесида, Курда или многих других народа којима је последњих година претило уништење? Само, коју војну интервенцију је могла да наложи Организација Уједињених Нација да би заштитила становништво Вијетнама од рата, када су Сједињене Америчке Државе користиле напалм бомбе и када су страдали милиони људи? Коју војну интервенцију је она могла да нареди у циљу заштите становништва у Ираку чији број жртава једна америчка студија процењује на пола милиона?
Само у случају када би се САД потчиниле одлукама реформисане ОУН – а оне су тренутно од тога удаљене светлосне године - могли бисмо да замислимо формирање светске полиције која би могла да спречи насиље на начин како то раде полиције у националним државама. Све док САД имају освајање извора сировина и тржишта за циљ своје спољне политике, сва размишљања да се светски мир и право могу поново успоставити војним средствима не спадају у домен реалне политике. То су сањарије људи који нису у стању да анализирају светске структуре моћи или неће да виде да најмоћнију војну силу на кугли земаљској води председник који је, да би осигурао геостратешке интересе имерије САД, наредио на хиљаде смакнућа дроновима и који је о себи изјавио: ”Добар сам у убијању људи.”
Kaнтов категорички императив: ”Делај само у складу са оном максимом чије придржавање омогућава твоје хтење да она постане општи закон” је прикладано упутство за делање када светске државе желе да живе у миру једне са другима. Придржавање међународног права, одрицање од силе, разоружање, заједничка безбедност и добросуседство следе овај императив, док спољна политика која има за циљ да освоји сировине и тржишта, ако сама оцени да треба, и војним средствима увек води у нове ратове.
Аутор је бивши председник СПД-а, касније странке ЛЕВИЦА. Данас је вођа фракције ЛЕВИЦЕ у Сарланду.
Превод са немачког: Бранка Јовановић
Una recensione da “Il Manifesto” del 17 settembre 2014 di Simone Pieranni
Saggi. «Se dici guerra…», un volume collettivo per le edizioni Kappa Vu. I mutamenti geopolitici testimoniano il declino dell’impero Usa e l’incapacità dell’Europa di una propria politica estera autonoma
Il recente vertice Nato a Newport, in Galles, considerato il più importante dalla costituzione dell’Alleanza Atlantica, ha confermato in modo clamoroso molte delle riflessioni e analisi contenute in Se dici guerra… basi militari, tecnologie e profitti (a cura di Gregorio Piccin, edizioni Kappa Vu, 12 euro).
Il volume è una raccolta di interventi sui conflitti bellici inanellati da un filo conduttore, la totale subalternità di Italia ed Europa alla Nato e agli Stati uniti. Si tratta di un dato confermato, del resto, anche nell’ultimo meeting «atlantico». Dovendo occuparsi di Ucraina e di Isis, a fare la parte del padrone è stato Barack Obama, capace di dettare la linea tanto sull’Ucraina, quanto sulla «coalizione» extra Nato che dovrà annientare la nuova organizzazione islamista che imperversa nelle regione tra Iraq e Siria (creata però proprio da chi ha finanziato «i ribelli» contro Assad in Siria). Ci sono molti punti che il libro coglie in pieno. In primo luogo, la subalternità italiana alla Nato.
Come scrive Giuseppe Casarrubea, nel capitolo «La Nato e gli eserciti Stay behind in Italia», la situazione italiana «è caratterizzata dall’assenza di una precisa identità democratica e dal suo perfetto allineamento strategico militare con la visione statunitense del mondo» Per quanto l’idea di un fronte comune europeo, «non c’è chi non veda come l’attuale concezione di questa idea sia progressivamente decaduta, supposto che abbia mai avuto una sua consistente forza reale».
Come spiega bene Manlio Dinucci, una firma presente in tema di armi, guerre e Alleanza Atlantica sul manifesto, nel capitolo «Il riorientamento strategico della Nato dopo la guerra fredda» la scomparsa dell’Urss e del suo blocco di alleanza ha creato un primo momento di svolta, dando vita nella regione europea ed euroasiatica «ad una situazione completamente nuova». La Nato amplia la propria concezione si sicurezza, muta i suoi concetti strategici, puntando a coinvolgere altri paesi oltre quelli nord atlantici. Si comincia così a delineare la «Grande Nato». L’Italia, naturalmente, par tecipa. «Tale strategia — scrive Dinucci — è fatta propria anche dall’Italia quando sotto il sesto governo Andreotti partecipa alla guerra del Golfo: i Tornado dell’Aeronautica italiana effettuano 226 sortite per complessive 589 ore di volo».
Sembra una vita fa. C’era l’America dei Bush; Washington era uscita vincitrice dal confronto con l’Unione Sovietica e poteva ancora affermare l’unilateralità imperiale degli Usa. Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti. L’impero americano è in declino, mentre altri stati affermano la propria politica di potenza. Il mondo è cioè diventato multipolare. In mezzo ci sono state le guerre jugoslave, l’11 settembre, le primavere arabe. E oggi, l’Ucraina, rappresenta in pieno i cambiamenti epocali del mondo e la volontà statunitense nel perseguire la sua politica di potenza, utilizzando come pedine in una scacchiera tanti altri paesi, compresa l’Europa, compresa l’Italia. Secondo Dinucci, «l’operazione condotta dalla Nato in Ucraina inizia già nel 1991». Non riuscendo l’operazione di adesione dell’Ucraina nell’Alleanza atlantica, gli Stati uniti hanno iniziato a tessere quelle reti di collaborazione militare, teste di ponte per agenti Cia e un lavorio ben più denso di natura politica.
La nuova strategia Usa è spiegata dal segretario della difesa americana Chuckel Hagel. Le operazioni americane, spiega Hagel, «non intendono più essere coinvolte in grandi e lunghe operazioni di stabilità oltremare, come in Iraq o Afghanistan». Ormai la guerra si fa con squadre speciali, con droni, con la creazione di quelle condizioni «per destabilizzare i paesi e preparare successivamente attacchi militari mirati». Nel volume ci sono altri spunti di riflessione, ad esempio il ruolo dei sindacati all’interno dell’economia della spesa militare, che come richiesto da Obama a Newport aumenterà anche in Italia.
Gianni Alioti scrive sul ruolo del sindacalismo italiano, che per l’autore si è «più volte messo in gioco sulle contraddizioni di natura etica e politica, alla base della produzione e del commercio di armamenti. Lavorando, insieme ai movimenti pacifisti e antimilitaristi, sui temi del disarmo e del controllo dell’export e agendo in molti casi per la diversificazione e riconversione nel civile delle industrie a produzione militare». Argomento più che mai attuale, dato il previsto aumento delle spese militari in Italia. La guerra è un evento nefasto, come abbiamo appreso dai racconti dei nostri nonni, padri e madri. Guerra è fame, sofferenza e morte: una terribile realtà che le moderne armi provano invece ad annullare, riducendo i conflitti bellici a un buon business o a una lotta di civiltà.
Come specifica nell’introduzione Tommaso Di Francesco, «è nato un nuovo giornalismo embedded, al seguito collaterale degli eserciti sul campo, una generazione di inviati di guerra, come se la guerra fosse un evento naturale oggettivo e non un evento umano sulq uale avere un punto di vista contrario». Questi sono i meccanismi da sradicare e di cui invece «avere cura». Perché, si chiede Di Francesco, «non c’è ancora una generazione che rivendichi «il ruolo di inviati «contro» la guerra?».
It was the prospect of Ukraine being drawn into the western military alliance that triggered conflict in the first place…
http://www.theguardian.com/commentisfree/2014/sep/03/nato-peace-threat-ukraine-military-conflict
di Seumas Milne
Per i guerrafondai occidentali è un buon momento per stare in Galles. Un'alleanza militare che per anni ha lottato per giustificare la sua stessa esistenza ha preparato una fitta agenda per il suo vertice a Newport. La Nato può anche non essere al centro dei piani diBarack Obama e David Cameron per far decollare l'intervento in Medio Oriente e cancellare il cosiddetto pericolo dello Stato islamico ma dopo 13 anni di sanguinosa occupazione dell'Afghanistan e un nefasto intervento militare in Libia, l'alleanza occidentale ha finalmente un nemico che sembra adattarsi perfettamente alle sue strategie. Passando per l'ex repubblica sovietica dell'Estonia di oggi, il presidente degli Stati Uniti ha dichiarato che la Nato è pronta a difendere l'Europa da una "aggressione russa".
Il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen - che nel 2003 dichiarò, così come il primo ministro danese, che "l'Iraq possiede armi di distruzione di massa ... lo sappiamo" - ha rilasciato le immagini satellitari che dimostrerebbero la supposta invasione dell'Ucraina da parte della Russia. Per non essere da meno, il primo ministro britannico ha paragonato Vladimir Putin a Hitler.
Il vertice ha in programma la costituzione di una forza di reazione rapida da dispiegare in Europa orientale per scoraggiare Mosca. La Gran Bretagna sta inviando truppe in Ucraina per esercitazioni militari. A Washington, i falchi del Congresso stanno chiedendo a gran voce una pacificazione e un intervento per dare all'Ucraina "una forza combattente più capace di resistere" alla Russia.
Ogni speranza per un accordo su il cessate il fuoco venuto dal presidente dell'Ucraina come via per porre fine al conflitto è naufragata nel momento in cui il suo primo ministro, Arsenij Yatseniuk - un favorito americano a Kiev - ha descritto la Russia come uno "stato terrorista" e, incoraggiato da Rasmussen, ha chiesto che all'Ucraina sia consentito di aderire alla NATO. Ma fu proprio la minaccia che l'Ucraina potesse entrare in un'alleanza militare ostile alla Russia, e nonostante l'opposizione della maggior parte degli ucraini e del governo da essi eletto, che innescò questa crisi.
Invece di mantenere la pace, è stata proprio la Nato la causa dell'escalation delle tensioni e della guerra. Che è quanto la Nato fa da quando è stata fondata nel 1949, al culmine della guerra fredda, sei anni prima del Patto di Varsavia, come un trattato di difesa contro la minaccia sovietica. Si è spesso affermato che l'alleanza ha mantenuto la pace in Europa per 40 anni, quando in realtà non c'è la minima prova che l'Unione Sovietica abbia mai pensato di attaccare.
Dopo il crollo dell'URSS, il Patto di Varsavia è stato debitamente sciolto. Lo stesso non è accaduto per la NATO, pur essendo venuta meno la ragione apparente per la sua esistenza. Se la pace fosse stata veramente il suo fine, si sarebbe potuto utilmente trasformarla in un accordo di sicurezza collettiva a cui far partecipare anche la Russia, sotto l'egida delle Nazioni Unite.
La NATO si è posta invece nuovamente "out of area" assegnandosi il mandato a fare la guerra unilaterale, dalla Jugoslavia in Afghanistan e in Libia, come avanguardia di un nuovo ordine mondiale dominato dagli Stati Uniti. In Europa ha gettato le basi per la guerra in Ucraina rompendo l'impegno tra Stati Uniti e Mosca eprocedendo inesorabilmente verso un'espansione ad Est: prima nei paesi dell'ex Patto di Varsavia, poi nei territori della ex Unione Sovietica.
Ma il "grande premio", come il capo della fondazione statunitense National Endowment for Democracy ha ammesso l'anno scorso, è stato la divisione etnica dell'Ucraina. Dopo che l'Unione Europea siglò un trattato militare unilaterale con l'Ucraina che escludeva un accordo coi russi - che il corrotto ma regolarmente eletto presidente dell'Ucraina rifiutò di firmare e per questo fu rovesciato da un vero e proprio colpo di stato sostenuto dagli Stati Uniti - divenne quasi paranoico per la Russia vedere l'acquisizione dello stato confinante come una minaccia ai suoi interessi fondamentali.
Sei mesi dopo, nell'Ucraina orientale la resistenza filorussa alle forze nazionaliste di Kiev appoggiate dalla Nato è diventata una guerra su vasta scala. Ci sono stati migliaia di morti e violazioni dei diritti umani da entrambe le parti, mentre le truppe governative e i loro ausiliari irregolari bombardano aree civili e rapiscono, detengono e torturano in massa i sospetti separatisti.
Le forze ucraine sostenute dai governi occidentali sono gruppi come ilbattaglione neo-nazista Azov, il cui simbolo è il "dente di lupo" usato dagli assaltatori di guerra nazisti. Il regime di Kiev, sempre più repressivo, sta ora tentando perfino di vietare il partito comunista ucraino, che ha ottenuto il 13% dei voti alle ultime elezioni parlamentari.
D'altronde la Nato, che spesso in passato ha avuto tra i suoi membri anche governi fascisti, non è mai stata troppo esigente in fatto di democrazia. Le prove portate a sostegno delle sue affermazioni sull'invasione dell'Ucraina orientale da parte delle truppe russe sono inconsistenti. Le forniture di armi e gli interventi segreti a sostegno dei ribelli del Donbass - comprese le forze speciali e irregolari - sono un'altra cosa.
Ma questo è esattamente ciò che le potenze della NATO, come Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia sono state impegnate a fare in tutto il mondo per anni, dal Nicaragua alla Siria e in Somalia. L'idea poi che la Russia abbia inventato una nuova forma di "guerra ibrida" in Ucraina è quanto meno bizzarra.
Ciò non vuol dire che la guerra per procura tra la Nato e la Russia in Ucraina non sia brutta e pericolosa. Ma non è necessario avere alcuna simpatia per l'autoritarismo oligarchico di Putin per riconoscere che la NATO e l'UE, non la Russia, hanno scatenato questa crisi e che sono le stesse potenze occidentali che resistono alla soluzione negoziata che è l'unica via d'uscita, per paura di apparire deboli.
Tale soluzione dovrà includere come minimo l'autonomia federale, la parità di diritti per le minoranze e la neutralità militare, in altre parole, no Nato. Con l'aumento dello spargimento di sangue e il centro di gravità politico di Kiev spostato sempre più a destra l'economia dell'Ucraina sta implodendo, solo i suoi sponsor occidentali possono fare qualcosa. L'alternativa, dopo la Crimea, è l'escalation e la disintegrazione.
La Nato ama considerarsi come una comunità internazionale. In realtà si tratta di un club militare interventista ed espansionista degli stati ricchi del mondo e i loro satelliti sono utilizzati per far rispettare gli interessi strategici ed economici occidentali.
(3 settembre 2014)
Link articolo originale: http://www.theguardian.com/commentisfree/2014/sep/03/nato-peace-threat-ukraine-military-conflict
Traduzione di Pier Francesco De Iulio per Megachip.info
© Illustration: Matt Kenyon.
НАТО НИЈЕ ЧУВАР МИРА
Међународна федерација отпора и антифашиста ФИР, са седиштем у Берлину, чији је агилни и угледни члан СУБНОР Србије, упутила је апел светској јавности.
„Поводом 100-годишњице почетка Првог светског рата и 75. годишњице агресије хилеровске Немачке на Пољску 1. септембра 1939. године као почетак Другог светског рата, Међународна федерација бораца отпора (ФИР), кровна асоцијација организација некадашњих бораца отпора, партизана, чланица антихитлеровске коалиције, прогањаних од нацистичког режима, и данашњи антифашисти из 25 европских земаља и Израела – позива мировне покрете, политичке групе и владе на заједничке активности за нову међународну политику мира.
Ратови од 1914-18. и 1939-45. нису били резултат ни „месечара“ нити „коалиције тоталитарних режима“, него доказ о битки за империјалистичке интересе, за моћ и утицај у Европи и свету.
После ослобођења од фашизма 1945. године, антихитлеровска коалиција је покушала да одлукама Потсдамске конференције и стварањем ОУН изгради нове међународне односе и искључи рат из живота народа. Потсећамо да је задњих 40 година, кроз политичке активности народа и држава ОЕБС-а, успешан био процес елиминисања опасности од рата у Европи.
Од времена рата у Југославији и грађанског рата у Украјини, можемо видети да је опасност у садашњој Европи реална. Мада се чују другачији гласови од оних 1914. и 1939. године, ипак су присутни и нарастајући интереси за продор силе и утицаја у регионе са природним ресурсима и сировинама.
НАТО присваја себи право за утицај и активности на глобалном нивоу, наводно ради „одбране западних вредности“, док су повреде људских права и масовна убијања у току због материјалног богатства. Игнорише се и право на самоопредељење народа.
Као „Весник мира“, добитник великог признања светске заједнице народа, позивамо ОУН, међународне организације и друштвене снаге да подрже иницијативе за нову политику мира.То укључује признавање права на егзистенцију свих земаља и примену равноправног међународног поретка. Посебан допринос би могле да пруже земље ЕУ ако одбаце милитантну спољну политику.
У том смислу позивамо снаге мира, партије, синдикате и критичаре глобализације да буду активни у акцији, у гласањима и објашњавањима нове међународне политике мира.
ФИР позива своје чланице да учествују у таквим иницијативама с обзиром на своја историјска искуства“ – стоји у поруци Извршног комитета Међународне федерације отпора и антифашиста.
2) Trieste: i “boia” ucraini della Risiera di San Sabba / Demjanjuk condannato: «Contribuì allo sterminio»
http://ukraineantifascistsolidarity.wordpress.com/2014/11/17/london-antifascists-gather-to-protest-remembrance-of-ukrainian-war-time-nazi-collaborators/
http://www.civg.it/index.php?option=com_content&view=article&id=488:il-tragico-anniversario-di-talerhof&catid=2:non-categorizzato
- Scritto da Georgij Poljakov
"Il passato non è mai morto. Non è nemmeno passato ".
William Faulkner, Requiem per una monaca
Sono passati un centinaio di anni da quando è stato creato il primo campo di concentramento in Europa (1): in Galizia, destinato ai russi e ai credenti ortodossi.
Il 4 Settembre 2014 ha segnato il centenario della tragedia dei campi di concentramento di Talerhof [Thalerhof] e Terezin [Theresienstadt], dove decine di migliaia di vittime hanno trovato una morte violenta, martirizzati per la loro fede ortodossa, per il rifiuto di tradire le proprie convinzioni, per il rifiuto di chiamarsi ucraini.
L'Anno 2014 – carico di presentimenti e di violenza – coincide in modo molto simbolico con due anniversari tragici della nostra storia; cento anni dall'inizio della prima guerra mondiale, e cento anni da quando il sangue dei martiri è stato versato nei campi di concentramento di Terezin e Talerhof. Sì, il 4 settembre 1914, quando cancelli dell'inferno di Talerhof si sono spalancati, è diventato un giorno di dolore, non solo per i russini ortodossi della Transcarpazia, vittime di una tirannia orribile per mano dei servi del Vaticano, ma per l'intero universo russo nel suo complesso. Non è un puro caso che la prima mega-guerra e il primo campo di concentramento abbiano contaminato contemporaneamente la nostra esistenza, come due corna di Satana: l'improvviso attacco infido che ha portato allo sterminio di creature di Dio su scala inimmaginabile. La guerra e il campo – creati nella stessa fabbrica, con sede negli inferi, sono divenuti i principali strumenti di annientamento della razza umana nell'era industriale.
Nel 1914-1917 il governo dell'Austria-Ungheria, con il sostegno esplicito della Germania e con la partecipazione diretta della Polonia, si è impegnato nello sterminio sistematico delle popolazioni ortodosse di Transcarpazia, Galizia e Bucovina. I ricercatori hanno stimato che la popolazione russina dell'Impero austro-ungarico contrava tra 3,1 e 4,5 milioni di persone all'inizio del XX secolo. Queste persone sono state sottoposte alle peggiori persecuzioni, scherni, umiliazioni, torture e orribili stragi. Decine di migliaia di russini hanno pagato con la vita la loro fedeltà alla loro fede e al loro patrimonio, per il loro diritto a rimanere russi.
La seconda metà del XIX secolo aveva visto la rinascita della cultura russina in Austria-Ungheria. Il popolo ancora una volta divenne consapevole del proprio posto in una cultura pan-russa, di appartenere a un indivisibile universo – dalla Kamchatka alle montagne dei Carpazi russi. In realtà, la leadership delle organizzazioni nazionali russine in Bucovina, Galizia e Transcarpazia era nelle mani dei partigiani dell'idea di una "grande" Russia unita. Chiamare se stessi o altri "ucraini" non era un dato etnico, ma piuttosto una sorta di etichetta politica, che descriveva la minoranza anti-russa.
I governanti dell'impero austro-ungarico, profondamente preoccupati da un'improvvisa rinascita dell'Ortodossia, risposero con arresti di massa tra i russi di Transcarpazia e Bucovina. Come antidoto ai sentimenti filo-russi il governo imperiale aveva creato, e quindi incoraggiato, la crescita della cosiddetta "scoperta etnica di sé" – le nozioni di etnicità "ucraina" e di nazione ucraina tra le parti della popolazione sensibili a tale sovversione. Gli "ucraini" sono stati così creati da menti polacche e austriache come mezzo per spostare i fedeli ortodossi verso una variante artificiale del cattolicesimo e un nuovo linguaggio "ucraino" creato artificialmente. Ma i campi di concentramento di Terezin e Talerhof hanno mostrato il vero volto della '"illuminata" reazione cattolica europea alla rinascita della fede ortodossa nel loro cortile. Questa è stata la reazione del prototipo della moderna Unione Europea, non ancora coperta dalla foglia di fico della "tolleranza" e simili inutili verbosità, contro la rinascita dell'universo russo, la Terza Roma scelta da Dio, la Santa Rus'.
Nel libro scritto da Javorskij, dal titolo "Il terrore in Galizia nel 1914-15", leggiamo questa terribile testimonianza: "Arrestavano chiunque, senza un giusto processo, chiunque si definiva russo, che portava un nome russo; chiunque teneva, anche in segreto, un giornale russo, un libro, un'icona o addirittura una cartolina. Hanno arrestato allo stesso modo intellettuali o contadini, uomini o donne, anziani o bambini, malati o sani. I loro obiettivi principali erano, ovviamente, i chierici ortodossi, i sacerdoti – quei capi disinteressati di congregazioni, "il sale della terra", l'essenza delle terre galiziano-russe. Hanno sostenuto il peso della crudeltà – tormentati, torturati, derisi, incessantemente inviati di prigione in prigione, a morire di fame e di sete, picchiati fino a quando perdevano i sensi, incatenati, giustiziati per fucilazione o per impiccagione... innumerevoli vittime innocenti, sofferenze senza limiti, il martirio di bagni di sangue, fiumi di lacrime degli orfani".
Questo è stato un genocidio, una pulizia etnica diretta ai russi, agli ortodossi. Avevano luogo su base regolare rastrellamenti di interi villaggi, uomini, donne, anziani, bambini... Oltre 100.000 russini etnici sono stati fisicamente sterminati dall'Impero. È un fatto significativo che, fino all'inverno del 1915, il campo di concentramento di Talerhof non aveva caserme. I detenuti hanno vissuto i loro ultimi giorni a cielo aperto, con sole, pioggia o neve. Sono stati impiccati, fucilati o uccisi a colpi di baionetta. Prima delle esecuzioni sono stati sottoposti a orribili torture - dita, labbra, orecchie tagliate. Altri 150.000 sono morti negli stessi campi – non per le esecuzioni, ma di malattia, freddo e fame. Centinaia di migliaia sono riusciti a fuggire andando in esilio. L'unico "crimine" di chi era perseguitato: il rifiuto di diventare "ucraini", il rifiuto di riconoscere il papa come loro sovrano, il rifiuto di tradire la loro fedeltà alla fede ortodossa, all'etnia e alla lingua russa.
Questo terribile crimine non è qualcosa che all'Europa moderna piace ricordare. Uno dei pochi memoriali, una lapide nel cimitero Lichakovskij a Leopoli, ha inciso sulla pietra: "Alle vittime di Talerhof – Rus' galiziana". Allora, la Russia non era intervenuta per salvare la vita dei propri fratelli in Ucraina occidentale. Ora, un secolo dopo, la storia si ripete; gli eventi seguono il vecchio scenario familiare di un'imminente tragedia. La guerra e i campi [di filtrazione], come due corna, puntano ancora una volta su vittime familiari, identificate da due tratti – russi e ortodossi. Nei mille anni del permanente stato di guerra tra ortodossia e cattolicesimo, Oriente e Occidente, Cristo e Anticristo, il secolo scorso è stato il più sanguinoso di tutti. Mentre scriviamo queste righe, orde di nuovi Cainsi, ucraini fratricidi e posseduti, stanno versando il sangue dei loro fratelli nel Donbass, e nuovi campi di filtraggio sono in costruzione a Zhdanovka (regione di Donetsk) e Martynovka (nei pressi di Nikolaev). Secondo le dichiarazioni ufficiali, queste allusive strutture, circondate da alte mura e filo spinato, sono destinate a "ospitare temporaneamente gli immigrati clandestini." Ma Mikhail Koval, un generale di alto rango dell'esercito ucraino, ha dichiarato pubblicamente un obiettivo diverso: "Effettueremo una filtrazione completa della popolazione. Dovremo utilizzare alcune tecniche di filtrazione per assicurarci che nessuno, comprese le donne, che nutra simpatie separatiste rimanga... Naturalmente separeremo gli uomini e le donne per il trattamento .... Dopo la filtrazione re-insedieremo quelli ritenuti affidabili in regioni remote... Daremo un'occhiata da vicino anche a tutti i partecipanti alla "guerra delle informazioni". Le nostre forze speciali compiranno la ricerca dei computer, dei collegamenti telefonici, degli amici ... "
Così il 1914 si ripete. La Russia troverà questa volta la forza spirituale e il coraggio di alzarsi e fermare l'attacco da parte delle forze delle tenebre? Il giorno del nostro giudizio dipende dal risultato.
Nota
(1) In Europa, ma non nel mondo: i primi 'campi di concentramento' moderni sono stati stabiliti dagli inglesi durante la seconda guerra boera.
Traduzione Padre Ambrogio - da ortodossiatorino
Per saperne di più: http://italian.ruvr.ru/radio_broadcast/53659446/53659702/
Ephraim Zuroff principale cacciatore di criminali nazisti, getta una grave accusa sulla nuova dirigenza ucraina
Il regime nazionalista e russofobo installatosi a Kiev con il golpe di febbraio continua la sua opera di revisione della storia dell'Ucraina cancellando feste e celebrazioni ereditate dall'epoca sovietica ed improntate ad un sentimento antifascista e sostituendole con nuove giornate dedicate ai leader e ai movimenti ultranazionalisti che negli anni '40 del secolo scorso collaborarono attivamente con gli invasori tedeschi e sparsero il terrore nel paese dando la caccia a comunisti, antifascisti, russi ed esponenti delle minoranze. Naturalmente il sistema d'istruzione ucraino non poteva rimanere immune da quest'ondata revisionista, con il governo che ha deciso di cancellare la dizione di 'grande guerra patriottica' in riferimento alla resistenza dei popoli dell'Unione Sovietica - Ucraina compresa - contro i nazifascisti. Di seguito la notizia per come è stata riportata dall'agenzia di stampa Interfax:
Il Ministero dell'Istruzione e della Scienza dell'Ucraina appoggia pienamente l'idea dell'Istituto della Memoria Nazionale di sostituire la dizione "Grande Guerra Patriottica" con "Seconda Guerra Mondiale", ha detto il Ministro dell'Istruzione Sergej Kvit.
"Personalmente lo sostengo, perché il mondo intero lo considera una tragedia. Si tratta della Seconda guerra mondiale. Per l'Ucraina quella non fu una Grande Guerra Patriottica. L'Ucraina fu vittima di una contesa tra stati totalitari. Naturalmente, i libri di testo attuali, quelli che sono, sono. Stiamo parlando dei nuovi libri di testo. E' una questione che riguarda gli storici; non si tratta del fatto che un funzionario incarica un altro di non far menzione. E' una questione che pongono gli storici. Verranno organizzati concorsi e ne usciranno i libri di testo", ha detto Kvit ai giornalisti, mercoledì, prima di iniziare la riunione di governo.
Alla vigilia il direttore dell'Istituto ucraino della Memoria Nazionale Vladimir Vyatrovic ha detto all'ucraina "Vesti", che dai libri di testo scolastici saranno rimosse "tutte le conseguenze della propaganda sovietica" e, soprattutto, "il mito della Grande Guerra Patriottica".
"Per noi, la seconda guerra mondiale è iniziata il 1 settembre 1939, e non abbiamo alcun diritto di restringerla alla Grande Guerra Patriottica – essa è stata molto peggiore e più tragica di quanto abbia cercato di dimostrare la propaganda sovietica" - ha detto Vyatrovic.
Una fonte del Ministero della Pubblica Istruzione ha dichiarato che "i programmi stanno già cambiando, ma per i nuovi libri di testo per ora non ci sono i sono soldi."
"Vesti" ricorda che con il presidente Viktor Yushchenko, il termine "Grande Guerra Patriottica" era già stato abolito, ma con Viktor Yanukovic era di nuovo comparso nei libri di testo.
fonte: Interfax.ru (Traduzione di Fabrizio Poggi)
In Ucraina occidentale esortano a non frequentare la Chiesa del Patriarcato di Mosca
http://comunicati.russia.it/in-ucraina-occidentale-esortano-a-non-frequentare-la-chiesa-del-patriarcato-di-mosca.html
7/10/2014 – Nella regione di Rivne nel quadro della campagna anti-russi i radicali stanno iniziando un’azione punitiva contro il clero.
Studenti ed insegnanti dell’Università nazionale ucraina "Accademia Ostrozhkij" hanno distribuito volantini che invitavano a non visitare le chiese sono la giurisdizione della Chiesa ortodossa russa. I radicali stanno preparando un'azione punitiva diretta contro questi rappresentanti del clero.
- Ogni centesimo lasciato alla Chiesa del Patriarcato di Mosca è una pallottola per un soldato ucraino! Ucraina! Ogni candela accesa in una chiesa di Mosca è un bruciato vivo come tuo marito, fratello o sposo! viene detto in un volantino.
I radicali hanno avvertito i fedeli che il 14 ottobre nella regione si terranno azioni punitive contro il clero delle chiese del Patriarcato di Mosca. Tra l'altro, in quel giorno i cristiani ortodossi celebrano la grande festa della Protezione del Velo della Santa Vergine. Nelle chiese della Chiesa ortodossa russa e in tutto il mondo tradizionalmente si svolgo funzioni religiose pubbliche e processioni.
Ricordiamo come in Ucraina ci sono tre Chiese ortodosse, di cui solo una è canonica, la Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Mosca. Le altre due la Chiesa del Patriarcato di Kiev e la Chiesa ortodossa autocefala ucraina da quasi 30 anni chiedono il riconoscimento ufficiale in tutto il mondo cristiano.
FONTE: http://lifenews.ru/news/142197
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Indottrinamento razzista dei bambini da parte della parlamentare Irina Farion
19/ott/2014 – Irina Farion, membro del parlamento ucraino e del partito filo nazista "Svoboda", entra in una scuola materna di Leopoli ed esorta i bambini di 3/4 anni ad usare i loro nomi in un modo "ucraino". "Tu sei Olena, non Aliona. Se vuoi essere Aliona, dovresti preparare le valigie ed andartene in Russia" - Dice la Farion ad una bambina. A marzo 2014, la nazista Farion è stata presa in considerazione per l'incarico di Ministro degli Affari Culturali dell'Ucraina.
Bandera, uno dei leader del movimento ultra-nazionalista Ucraino durante la seconda guerra mondiale, i cui membri collaborarono con i nazisti ed "operarono" nel campo di concentramento "Babi Yar" di Kiev, viene adesso chiamato "Eroe dell'Ucraina".
https://www.facebook.com/ucrainaantifascista/posts/712083102206280
Gorlovka 1941-2014
Fonte: pagina FB "Con l'Ucraina antifascista", 15/11/2014
https://www.facebook.com/ucrainaantifascista/posts/725213800893210
<< Continua la "tregua" nel Donbass, e con essa la strage dei bambini: a Gorlovka, nella Rep. Popolare di Donetsk, in seguito ai bombardamenti con i mezzi di artiglieria pesante GRAD, ieri sera sono state uccise sei persone, tra cui una bambina di quattro anni e un ragazzino di nove anni.
I fascisti ucraini hanno come sempre accade preso di mira quartieri residenziali, per contrinuare a disseminare morte e terrore tra la popolazione civile.
Per chi sottovaluta o irride il riferimento all'antifascismo della resistenza del Donbass, ricordiamo che queste zone furono teatro di durissimi combattimenti tra i sovietici e le truppe nazifasciste. Nel dettaglio, proprio la città di Gorlovka nell'autunno del 1941cadde sotto l'occupazione del Corpo di Spedizione Italiano in Russia, poi confluito nell'ARMIR, nella scellerata e criminale operazione di Mussolini contro l'URSS. >>
Fonti: http://itar-tass.com/mezhdunarodnaya-panorama/1574330
TESTO E VIDEO: http://www.tribunaitalia.it/2014/11/15/ucraina-donbass-bombardamenti-a-gorlovka-nuovi-morti-a-nord-di-donetsk-video-foto/
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Kiev distrugge intenzionalmente le chiese ortodosse del Donbass
29/11/2014 – Gli occupanti ucraini distruggono in modo mirato le chiese ortodosse del Donbass. Di questo informa, parlando in una conferenza stampa a Donezk, il vice-presidente del Supremo Consiglio della Repubblica popolare Denis Pushilin
Il vice presidente ha sottolineato che, dall'inizio delle operazioni punitive sul territorio del Donezk sono state distrutte, in tutto o in parte, 62 chiese di proprietà della Chiesa Ortodossa Ucraina del patriarcato di Mosca.
Pushilin ha sottolineato come questi dati il governo della RPD li abbia forniti al Metropolita di Donezk e Mariupol Ilarion, che si è rivolto alla dirigenza della RPD con la richiesta di evacuazione delle campane.
In precedenza, in rete, con riferimento a fonti presso la sede della «ATO» si ha avuto informazioni sull’ordine di distruzione delle chiese nel Donbass, allo scopo di costringere gli abitanti locali a sentire la loro «natura sbagliata» e sentirsi «abbandonati da Dio», ricorda il sito antifashist.com.
Fonte: http://novorossia.su/ru/node/10227
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Speciale Pandora TV (9/12/2014)
La sconcertante educazione al patriottismo in una scuola a Mykolaïv, Ucraina occidentale. Con il commento di Giulietto Chiesa.
http://www.pandoratv.it/?p=2461
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=TXhI0My9CSY
Secondo gli impegni assunti dal governo nel quadro dell’Alleanza, la spesa militare italiana dovrà essere portata a oltre 100 milioni di euro al giorno.
È un colossale esborso di denaro pubblico, sottratto alle spese sociali, che potrebbe essere fortemente ridotto se l’Italia uscisse dalla Nato.
L’Alleanza Atlantica persegue una strategia espansionistica e aggressiva.
Dopo la fine della guerra fredda, ha demolito con la guerra la Federazione Jugoslava; ha inglobato tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia, tre dell’ex Urss e due della ex Jugoslavia; ha occupato militarmente l’Afghanistan; ha demolito con la guerra la Libia e tentato di fare lo stesso con la Siria.
Ha addestrato forze neofasciste e neonaziste ucraine, organizzando il putsch di piazza Maidan che ha riportato l’Europa a una situazione analoga a quella della guerra fredda, provocando un nuovo pericoloso confronto con la Russia.
Ha iniziato a proiettare le sue forze militari nell’Oceano Indiano nel quadro di una strategia che mira alla regione Asia-Pacifico, provocando un confronto militare con la Cina.
In tale quadro, le forze armate italiane vengono proiettate in paesi esterni all’area dell’Alleanza, per missioni internazionali che, anche quando vengono definite di «peacekeeping», sono guerre finalizzate alla demolizione di interi Stati (come già avvenuto con la Federazione Jugoslava e la Libia).
Uscendo dalla Nato, l’Italia si sgancerebbe da questa strategia di guerra permanente, che viola la nostra Costituzione, in particolare l’Art. 11, e danneggia i nostri reali interessi nazionali.
L’appartenenza alla Nato priva la Repubblica italiana della capacità di effettuare scelte autonome di politica estera e militare, decise democraticamente dal Parlamento sulla base dei principi costituzionali.
La più alta carica militare della Nato, quella di Comandante supremo alleato in Europa, spetta sempre a un generale statunitense nominato dal presidente degli Stati uniti. E anche gli altri comandi chiave della Nato sono affidati ad alti ufficiali statunitensi. La Nato è perciò, di fatto, sotto il comando degli Stati uniti che la usano per i loro fini militari, politici ed economici.
L’appartenenza alla Nato rafforza quindi la sudditanza dell’Italia agli Stati uniti, esemplificata dalla rete di basi militari Usa/Nato sul nostro territorio che ha trasformato il nostro paese in una sorta di portaerei statunitense nel Mediterraneo.
Particolarmente grave è il fatto che, in alcune di queste basi, vi sono bombe nucleari statunitensi e che anche piloti italiani vengono addestrati al loro uso. L’Italia viola in tal modo il Trattato di non-proliferazione nucleare, che ha sottoscritto e ratificato.
L’Italia, uscendo dalla Nato, riacquisterebbe la piena sovranità: sarebbe così in grado di svolgere la funzione di ponte di pace sia verso Sud che verso Est.
Sostieni la campagna per l'uscita dell'Italia dalla NATO.
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(VERSIONE IN INGLESE)
Why we must get out of NATO
Italy, as part of NATO, must allocate an average of $65 million a day to military spending, according to official NATO data, although the number according to SIPRI is $90 million per day. According to the commitments made by the government in the framework of the Alliance, Italian military spending will increase to over $120 million per day (100 million euro). This is a huge outlay of public funds that decreases funds available for social services. This loss could be greatly reduced if Italy were to get out of NATO.
The Atlantic Alliance pursues an expansionist and aggressive strategy. After the end of the Cold War, NATO led a war that demolished the Yugoslav Federation; it has incorporated all the countries of the former Warsaw Pact, three from the former Soviet Union and two from the former Yugoslavia; it has militarily occupied Afghanistan; and NATO has waged a war that demolished Libya and tried to do the same with Syria.
NATO has trained Ukrainian neo-fascist and neo-Nazi forces, while organizing the Maidan Square putsch that brought Europe to a situation similar to that of the Cold War, causing a new dangerous confrontation with Russia. NATO started to project its military forces in the Indian Ocean as part of a strategy aimed at the Asia-Pacific, provoking a military confrontation with China.
In this framework, the Italian armed forces are deployed to countries outside the Alliance for international missions. Even when these are defined as “peacekeeping,” they are wars aimed at the demolition of entire states (as was the case with the Yugoslav Federation and Libya).
If Italy gets out of NATO, it would extract itself from this strategy of permanent war, which violates our Constitution — in particular Art. 11 — and damages our real national interests.
NATO membership deprives the Italian Republic of its ability to make autonomous choices for foreign and military policy, democratically adopted by Parliament on the basis of Constitutional principles. The highest military post of NATO, that of Supreme Allied Commander in Europe, is always filled by a U.S. general appointed by the president of the United States. And the other key NATO commands are entrusted to senior U.S. officials. Thus NATO is under the command of the United States, which uses it for its own military, political and economic ends.
NATO membership reinforces Italy’s subjection to the United States, exemplified by the network of U.S./NATO military bases in our country that has turned our country into a U.S. aircraft carrier in the Mediterranean. Particularly serious is the fact that, on some of these bases there are U.S. nuclear bombs and that Italian pilots are also trained how to use them. Italy thus violates the Non-Proliferation Treaty, which it has signed and ratified.
By getting out of NATO, Italy would regain its full sovereignty: it would then be able to act as a bridge of peace both to the South and toward the East.
Support the campaign to get Italy out of NATO.
PEACE NEEDS YOU, TOO.
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(Translation: John Catalinotto)
PASSATO, presente e futuro del movimento CONTRO LA GUERRA
EDT | solidarite-internationale-pcf.fr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
02/12/2014
Il 2 dicembre 1914, Karl Liebknecht, deputato socialdemocratico (SPD), è l'unico a votare contro i crediti di guerra al Reichstag, il Parlamento tedesco.
Il 4 agosto precedente, si era levato per la prima volta contro questi prestiti denunciando il carattere imperialista della guerra iniziata. Ma, conformandosi alla disciplina del gruppo socialdemocratico, non aveva votato contro.
Dopo 4 mesi di macelleria, Liebknecht supera l'ostacolo ed esprime il suo voto contrario, con un atto di grande coraggio che diventa storico. Egli rompe con la Sacra Unione tedesca e smentisce la SPD, unendosi al Partito socialdemocratico russo, guidato da Lenin, e ad alcuni dirigenti di partiti socialisti europei nel rifiuto e nella denuncia della guerra imperialista, conformandosi alle risoluzioni, calpestate dagli apparati riformisti dell'Internazionale socialista, tra cui quelle del Congresso straordinario di Basilea del novembre 1912 in cui si legge:
"Se viene minacciata una guerra, è un dovere della classe operaia dei paesi coinvolti, è un dovere dei loro rappresentanti in Parlamento, con l'assistenza dell'Ufficio internazionale, di compiere ogni sforzo per impedire la guerra con tutti i mezzi che si ritengono più opportuni e che variano naturalmente dall'acutezza della lotta di classe e dalla situazione politica generale. Qualora la guerra scoppiasse comunque, essi hanno il dovere di interferire per farla cessare rapidamente e usare con tutta la loro forza la crisi politica ed economica creata dalla guerra, per mobilitare gli strati popolari più profondi e affrettare la caduta del dominazione capitalista".
Riportiamo nel seguito la traduzione dell'intervento Karl Liebknecht nel Reichstag il 2 dicembre 1914. Nel 1916 fu imprigionato. Con Rosa Luxemburg e altri, il 1° gennaio 1919 Liebknecht stava per fondare, e diventare dirigente, del Partito comunista tedesco (KPD). Il 15 gennaio 1919, saranno entrambi vilmente e brutalmente assassinati durante la rivolta Spartachista dalle forze di repressione guidate dal socialdemocratico Noske.
Dichiarazione di Karl Liebknecht al Reichstag il 2 dicembre 1914
"Motivo il mio voto al progetto che ci è oggi sottoposto nel modo seguente.
"Questa guerra, che nessuna delle popolazioni coinvolte ha voluto, non è scoppiata per il bene del popolo tedesco o di altri popoli. Questa è una guerra imperialista, una guerra per la dominazione capitalista del mercato mondiale e per il dominio politico dei paesi importanti per portarvi il capitale industriale e bancario. Dal punto di vista del rilancio degli armamenti, è una guerra preventiva causata congiuntamente dai partiti della guerra tedeschi e austriaci nella oscurità del semi-assolutismo e della diplomazia segreta.
"E' anche un'impresa di carattere bonapartista tendente a demoralizzare, a distruggere il movimento operaio in crescita. E' quello che hanno dimostrato, con chiarezza sempre maggiore e, nonostante una cinica messa in scena destinata ad indurre in errore le coscienze, gli eventi degli ultimi mesi.
"La parola d'ordine tedesca: 'contro lo zarismo', proprio come la parola d'ordine inglese e francese: 'contro il militarismo', è servita come mezzo per attivare gli istinti più nobili, le tradizioni e le speranze rivoluzionarie del popolo a vantaggio dell'odio contro i popoli. Complice dello zarismo, la Germania, fino a ora modello della reazione politica, non ha nessuna qualità per svolgere il ruolo di liberatrice dei popoli.
"La liberazione del popolo russo, come del popolo tedesco deve essere l'opera di questi popoli stessi.
"Questa guerra non è una guerra difensiva per la Germania. Il suo carattere storico e la sequenza degli avvenimenti ci vietano di fidarci di un governo capitalista, quando dichiara di chiedere i crediti per la difesa della patria.
"Una pace rapida e che non umili nessuno, una pace senza conquiste, questo è quello che bisogna esigere. Ogni sforzo diretto in questo senso deve essere ben accolto. Solo l'affermazione continua e simultanea di questa volontà in tutti i paesi belligeranti potrà fermare il sanguinoso massacro prima del completo esaurimento di tutte le popolazioni interessate.
"Solo la pace basata sulla solidarietà internazionale della classe operaia e sulla libertà di tutti i popoli può essere una pace duratura. E' in questo senso che il proletariato di tutti i paesi deve compiere, anche durante la guerra, uno sforzo socialista per la pace.
"Acconsento ai crediti fin tanto che siano richiesti per opere capaci di superare la miseria esistente, anche se li trovo del tutto inadeguati.
"Sono anche d'accordo con tutto ciò che è fatto in favore della sorte dei nostri fratelli sui campi di battaglia, in favore dei feriti e dei malati per i quali io sento la più ardente compassione. Anche in questo caso, niente che venga chiesto sarà troppo ai miei occhi.
"Ma la mia protesta va contro la guerra, contro quelli che ne sono responsabili, quelli che la dirigono; va alla politica capitalistica che l'ha generata; la mia protesta è diretta contro i fini capitalisti che la guerra persegue, contro i piani di annessione, contro la violazione della neutralità del Belgio e del Lussemburgo, contro la dittatura militare, contro l'oblio completo dei doveri sociali e politici di cui si rendono colpevoli, anche oggi, il governo e le classi dominanti.
"Ed è per questo che respingo la richiesta dei crediti militari."
Karl Liebknecht
Berlino, 2 dicembre 1914
La quantità di appelli e documenti che si stanno moltiplicando sin dalle prime settimane di settembre, appena alla ripresa dell'ordinaria attività politica, sulle questioni della guerra e della pace, colpisce per molti motivi. Innanzitutto, la reciproca auto-referenzialità: una tale quantità di prese di posizione corrisponde ad una analoga mole di sigle, reti e tavoli, che lasciano l'impressione di una fatica ad incontrarsi davvero, sul terreno dell'analisi e della sintesi e di conseguenza a confrontare le reciproche differenze, di orientamenti e proposte, e tentare una efficace convergenza. Poi, non secondaria per importanza, la ricerca della via breve: il tentativo cioè di scavalcare le differenze mantenendo sul generico le prese di posizione e di giudizio, con l'obiettivo di offrire un ambiente accogliente per il numero più ampio di soggetti, evitando però, al tempo stesso, la fatica di confrontarsi nel merito e la chiarezza delle posizioni da assumere e da proporre pubblicamente.
Queste contraddizioni possono certo essere il prodotto dell'ambizione di conciliare le differenze e di costruire reti inclusive, con l'obiettivo di ricomporre ad unità, quanto più larga e rappresentativa possibile, le forze, ampiamente divise e frammentate, di quello che una volta chiamavamo “movimento per la pace e contro la guerra” o, più chiaramente, “contro la guerra senza se e senza ma”. Obiettivo giusto e necessario, per una ricomposizione strategica ed inderogabile. L'interrogativo che nasce è piuttosto se questa strada, oltreché percorribile, sia anche efficace: se serva cioè evitare il confronto nel merito, la fatica dell'approfondire e dell'argomentare, e mettere tra parentesi differenze talvolta sostanziali, per conseguire lo scopo del “tutti in piazza, tutti insieme”. Gli esempi, d'altro canto, non mancano. Ha sollevato molta discussione, all'interno del movimento per la pace, l'appello che promuove la prossima “Marcia della Pace” Perugia-Assisi (19 ottobre) che, pur ponendo alcuni obiettivi chiari (il riconoscimento del diritto umano alla pace, la risoluzione pacifica dei conflitti, il rafforzamento democratico delle istituzioni internazionali), non menziona nessuno degli scenari di guerra in corso e non esprime nessuna valutazione sul ruolo delle potenze occidentali, non ultima l'Italia, nei fronti di guerra aperti.
La manifestazione di Firenze “Un Passo di Pace” (21 settembre), nel suo appello, ha il merito di segnalare il no alla guerra e la difesa delle vittime come prioritari, insieme con gli obiettivi storici delle campagne nonviolente (soluzione politica dei conflitti, disarmo e difesa civile non armata e nonviolenta), ma basta scorrere l'elenco dei soggetti animatori per intravedere differenze non da poco sulla valutazione della situazione nei diversi fronti della nuova guerra mondiale, dalla Siria all'Ucraina.
A sinistra, sul versante politico, si riflettono tutte queste incertezze e contraddizioni. Il documento del gruppo di lavoro «Mediterraneo, Pace, Migranti, Relazioni Europee» de “L'Altra Europa” verso la manifestazione del 21 settembre, da una parte riconosce il ruolo nefasto delle potenze imperialiste e delle petro-monarchie del Golfo nell'addestrare e finanziare, in Siria e in ogni dove, ogni sorta di banda, dall'altra, si attarda nel rammarico per il «mancato appoggio ai democratici in Siria», senza specificare in cosa sarebbe dovuto consistere questo appoggio e quali forze democratiche si sarebbe dovuto appoggiare. Non di rado, anche le forze reputate “moderate” nell'opposizione al governo siriano hanno invocato l'intervento armato per scalzare l'odiato Assad, mentre oggi sembrano del tutto ai margini, specie all'indomani della saldatura tra diversi fronti jihadisti e dello sfaldamento della Coalizione Nazionale Siriana, eterogenea galassia, ben poco non-violenta, finanziata dagli Stati Uniti e dagli “Amici della Siria”, che come afferma, addirittura, “Repubblica” «si è rivelata incapace di rappresentare un'alternativa al governo di Damasco, anche soltanto dall’esilio».
Il doppio standard della politica euro-atlantica impedisce, purtroppo, di riconoscere che, in Siria, alle ultime elezioni parlamentari (maggio 2012) ha votato il 51% degli aventi diritto, mentre alle ultime elezioni presidenziali (giugno 2014) ha votato il 73%, di cui l'89% per il presidente uscente. Tutti “al soldo del regime”?
Occorrerebbe forse un minimo di attenzione e un minimo di coraggio in più, nell'approfondire le questioni collegandosi ai popoli che resistono all'aggressione dell'imperialismo, e nel sottrarsi ad un giudizio mainstreaming che, seppure comodo e confortante, quasi mai centra il punto e riesce a cogliere nel segno.
Gianmarco Pisa
Si fanno poi solo delle chiacchiere banali sul controllo del commercio degli armamenti. L'unico punto di una certa rilevanza all'interno di un documento – ripetiamo: sciatto e generico – è una presa di posizione contro il MUOS.
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Entro pochi giorni la decisione sul trasferimento in Italia del Memoriale di Auschwitz
Pubblichiamo integralmente il testo di un comunicato diffuso nella tarda mattinata del 21 ottobre 2014 dall'ANED.
La direzione del Museo statale del Lager di Auschwitz ha disposto dal luglio 2012 la chiusura del Blocco 21 del Lager che ospita il Memoriale ai deportati italiani realizzato per conto dell’Associazione degli ex deportati nel 1979 rendendolo inaccessibile al pubblico, e oggi ne ha ordinato lo smantellamento. Si tratta di un’eccezionale e innovativa opera d’arte, forse la prima multimediale contemporanea, frutto dell’ingegno e della passione di uomini di indiscusso valore internazionale, come Primo Levi, Lodovico Belgiojoso, Luigi Nono, Nelo Risi, Pupino Samonà e altri.
L’Associazione che riunisce gli ex deportati, i familiari dei deportati uccisi e chi intende salvaguardare la memoria della deportazione denuncia che nessuno dei governi che si sono succeduti dal 2008 a oggi ha ottemperato all’elementare dovere di difendere quell’opera d’arte, rilevante bene culturale che ha onorato l’Italia nel mondo, dal tentativo di una prevaricazione politica su un’opera di cultura. Una prevaricazione tanto più grave, in quanto attuata da un paese nostro partner nell'Unione Europea.
La libertà di pensiero e di espressione di cui godiamo nel nostro paese e in Europa discendono anche dal sacrificio e dal martirio degli 8000 ebrei e dei 32000 uomini e donne italiani deportati perché oppositori del fascismo e del nazismo, ma l’Italia nulla ha fatto contro una violazione dell’espressione artistica e della verità storica proprio là dove tanti deportati hanno sofferto e sono stati uccisi.
L’ANED, proprietaria esclusiva del Memoriale, ha rigettato e rigetta con riprovazione ogni tentativo di riscrivere la storia e ogni ipotesi di censura dell’opera, che va salvaguardata nella sua integrità, nel rispetto del progetto originario.
Preso atto con indignazione ed enorme rammarico dell’impossibilità indisponibilità della Direzione del Museo di Auschwitz di continuare a accogliere il Memoriale italiano proprio mentre si preparano le celebrazioni del 70° della liberazione, l’ANED ha in corso avanzati negoziati con la Presidenza del Consiglio, con la Regione Toscana e con alcuni Comuni per salvare il Memoriale trovandogli una nuova dignitosa collocazione in Italia, dove possa continuare a testimoniare la Memoria della Deportazione ed essere meta di pellegrinaggi, soprattutto da parte di scuole di ogni ordine e grado.
Rispettando i tempi imposti dalla direzione del Museo, che ha disposto lo smantellamento dell’opera entro il prossimo mese di novembre, l’ANED conferma che entro fine ottobre deciderà tra le diverse opzioni, con l’obiettivo di riallestire ed esporre nuovamente al pubblico l’opera al più presto, e comunque entro il 2015.
L’Aned rivendica il diritto dell’Italia a mantenere anche in avvenire una propria installazione al Blocco 21 del campo di Auschwitz e conferma il proprio inalienabile diritto di concorrere alla progettazione e alla realizzazione del nuovo allestimento, nel ricordo di tutti i deportati italiani.
La Presidenza Nazionale dell’ANED
http://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2014/11/18/shoah-appello-dei-ricercator-salviamo-memoriale-italiano-auschwitz-foto_pQgervAmqE7YFDOvz0y96L.html?refresh_ce
No alla rimozione del memoriale italiano dal campo di sterminio di Auschwitz. A schierarsi senza mezzi termini per il mantenimento del Memoriale italiano nel Blocco 21 "elemento integrante dell'opera, che rischia di essere trasferito dalla sua sede naturale per volontà e decisione del Museo di Auschwitz, del governo Polacco e per il disinteresse del governo Italiano" l'Associazione Gherush92, Committee for Human Rights, organizzazione di ricercatori e professionisti che gode dello status di consulente speciale per il consiglio Economico e Sociale delle nazioni Unite e che svolge progetti di educazione allo sviluppo, diritti umani e risoluzione dei conflitti.
Secondo l'Associazione la rimozione del Memoriale "è un crimine contro l’umanità, una violazione del diritto internazionale e dei diritti umani". "Il Memoriale Italiano - spiega all'Adnkronos Valentina Sereni, presidente di Gehrush92 - è la più importante e rappresentativa opera d’arte italiana del Novecento, il cui valore è riconosciuto, fra gli altri, dall’Accademia di Brera. E’ realizzato contestualmente alla dichiarazione di Auschwitz sito Unesco 1979, ne fa parte integrante e, pertanto, è patrimonio mondiale dell’umanità".
"Non è un’istallazione museale temporanea - sottolinea - ma un’opera d’arte monumentale di importanza internazionale, plastica, pittorica, musicale, testuale ideata e realizzata da artisti di attestata esperienza e comprovata celebrità. Il suo contesto naturale, il Blocco 21 e il campo di Auschwitz, è parte dell’opera d’arte così come i testi, le pitture, la musica, l’architettura del monumento".
Il Memoriale in onore degli Italiani caduti nei campi di sterminio nazisti, voluto dall’Associazione nazionale ex deportati politici nei campi nazisti, è stato realizzato grazie alla collaborazione di alcuni importanti nomi della cultura italiana del Novecento. Il progetto architettonico è dello studio BBPR e inserisce nelBlocco 21 di Auschwitz I una lunga spirale all’interno della quale il visitatore cammina come in un tunnel. La spirale è rivestita all’interno con una tela composta da 23 strisce dipinte da Pupino Samonà seguendo la traccia di un testo scritto da Primo Levi. Dalla passerella lignea che conduce il visitatore nel tunnel sale la musica di Luigi Nono, Ricorda cosa ti hanno fatto in Auschwitz. Nelo Risi contribuì alla realizzazione con la sua competenza di regista.
Secondo l'Associazione "l’idea stessa che il Museo di Auschwitz desideri rimuovere l’opera perché a suo avviso sarebbero oggi da privilegiare installazioni di natura descrittiva o pedagogica non dovrebbe entrare in conflitto con le installazioni del passato. Si rischia - avverte Sereni - di sconfinare in una deriva ideologica mai palesata a parole. Se la presenza della falce e martello nel Memoriale danno fastidio così come l’immagine di Antonio Gramsci lo si dicesse apertamente aprendo un dibattito sulla storia".
"Un dibattito - conclude Sereni - che potrebbe essere chiuso subito da due considerazioni che prescindono da qualsiasi valutazione sul socialismo reale: è innegabile che Auschwitz sia stato liberato dall’Armata Rossa e che Antonio Gramsci sia stato un perseguitato politico e uno dei principali intellettuali europei del ‘900".
La rimozione dell’opera d’arte dal suo naturale contesto, quindi, secondo l'Associazione, "equivale alla distruzione dell’opera stessa, creata per aggiungere ad un luogo della memoria l’ulteriore e dolorosa diretta testimonianza di artisti deportati nei campi di sterminio. Come si può ipotizzare di sfrattare le parole di Primo Levi da quel luogo? Come si può concepire che un capolavoro dell’arte contemporanea, il cui valore potrebbe essere paragonato alla Guernica di Picasso, possa essere estirpato dal solo e unico luogo in cui la sua efficacia artistica, storica, emotiva può essere esercitata?".
"Dal 2011 - ricorda la presidente di Gherush92 che nei giorni scorsi ha incontrato rappresentanti del governo polacco per bloccare la rimozione del Memoriale e ottenere la sua immediata riapertura al pubblico - è impedito l’accesso del pubblico all’opera. Tale inspiegabile censura - evidenzia Sereni - costituisce una forma di revisionismo storico di base politico-ideologica in un luogo dedicato alla memoria e il governo polacco dovrebbe tenere in considerazione che impedire l’accesso e la fruibilità dell’opera è una conclamata violazione dei Diritti Umani così come sanciti dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo".
Dicendosi "sconcertati dalla leggerezza con cui il governo Italiano sta gestendo la situazione" l'associazione chiede "che tutti i governi e le organizzazioni internazionali interessate si adoperino per l’immediata riapertura del Memoriale Italiano con la garanzia che l’installazione non sia rimossa ma al contrario sia considerata ciò che è: un’inestimabile opera della memoria patrimonio dell’umanità". Gherush92 si appella quindi al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, alla Corte Penale Internazionale, alla Corte Internazionale di Giustizia, all’Unesco, al Governo Polacco e al Governo Italiano affinché il Memoriale Italiano non venga rimosso dal Blocco 21 del Campo di Sterminio di Auschwitz
INVIA CON LA TUA FIRMA E I TUOI DATI ISTITUZIONALI IL SEGUENTE MESSAGGIO IN CHIARO (cioè come A), ai seguenti indirizzi: segrmin.gentiloni@...; centromessaggi@...; ambaroma@...
gherush92@... , Stefania.Quaglio@... , redazione.internet@... , erica.dadda@...
***
On.le Paolo Gentiloni
Ambasciatore della Repubblica di Polonia in Italia
ambaroma@...
Premesso che:
- il Memoriale Italiano di Auschwitz ricorda e celebra tutti gli italiani, donne e uomini ebrei, rom, omosessuali, dissidenti politici, deportati nei campi di concentramento nazisti, fra i quali gli stessi autori dell’opera d’arte;
- il Memoriale, e la sua collocazione nel Blocco 21, possiede un alto valore artistico, educativo e di testimonianza diretta;
- il Memoriale è stato ideato e realizzato contestualmente alla dichiarazione di Auschwitz sito UNESCO 1979, e, facendone parte integrante, va considerato patrimonio mondiale dell’umanità;
- strappare il Memoriale dal suo contesto naturale, il campo di sterminio di Auschwitz, per trasferirlo altrove coincide con la distruzione dell’opera e del suo significato;
- i motivi ideologici e politici, che hanno portato alla censura e alla chiusura del Memoriale e che spingono verso la sua rimozione, sono anacronistici ed inammissibili: con essi si cancellano dati e responsabilità storiche, incontrovertibili, dello sterminio e della liberazione, di cui il Memoriale stesso è un documento;
- ravvedo nella rimozione del Memoriale violazioni dei Diritti Umani, del Diritto Internazionale, del Diritto di Proprietà Intellettuale e della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo nonché una violazione della Convenzione Internazionale per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale dell’UNESCO e un crimine di distruzione di beni culturali ed artistici.
Chiedo che:
il Memoriale non venga rimosso dal Blocco 21 del Campo di Sterminio di Auschwitz, sua parte integrante, e che venga immediatamente riaperto al pubblico, restaurato e integrato con apparati didattici esplicativi e congrui.
VIDEO: http://www.youtube.com/watch?v=JPt7cpIwWkM
Sabato 22 novembre, in collaborazione con il Partito Comunista (PC) e l'Ambasciata della Repubblica Democratica Popolare di Corea, si è svolta a Roma una conferenza-seminario internazionale sul tema “RDPC, politica di pace e proposte”.
Oltre al PC italiano e ai rappresentanti dell'ambasciata della RDPC, all'incontro ha partecipato un imponente numero di rappresentanti di organizzazioni che coltivano l'amicizia tra i propri paesi di origine e la Corea; i rappresentanti del GAMADI (Gruppo Atei Materialisti Dialettici); e i rappresentanti dei partiti di sinistra europei.
La prima parte della conferenza è stata dedicata all'operato del dirigente nordcoreano Kim Jong Il, in occasione del terzo anniversario della sua scomparsa, che si compie il 17 dicembre. Gli interventi hanno voluto delineare la sua vita, le qualità di statista e la dedizione all'idea dello Juche.
La seconda parte è stata dedicata alla situazione attuale del paese, nel contesto delle costanti aggressive pressioni, minacce e provocazioni da parte degli USA. Nonostante le conseguenze derivanti da tale situazione, la RDPC è oggi un paese in intensa edificazione, che si è impossessato della tecnologia nucleare e che sviluppa un programma spaziale. Queste conquiste sono possibili grazie alla forte solidarietà e amore per l'indipendenza, formatisi attraverso lo Juche.
Un dettaglio interessante menzionato: il Partito Comunista Coreano è stato il primo a porre sulla propria bandiera, accanto alla falce e martello, una penna, simbolo di scienza e cultura.
Gli intervenuti sono stati unanimi nel riconoscere la RDPC come paese socialista con economia pianificata, adattata alle esigenze della popolazione e ideata con una regolamentazione legale in difesa della salute, dell'ambiente e dell'acqua.
Particolarmente interessante è stata la testimonianza dei molti presenti che hanno visitato il paese, anche più volte. Tutti hanno parlato della dinamica e ampiezza dell'edificazione notata. Hanno testimoniato dell'aumento di appartamenti, scuole, asili, stabili industriali, enti sanitari, e delle centinaia di edifici in costruzione, nel periodo trascorso tra due o più visite. Hanno evidenziato anche l'ampiezza dell'osservazione, consentita dal trasporto garantito in qualsiasi località abbiano voluto visitare, con scorta governativa, inclusa l'escursione dedicata al programma nucleare, privilegio garantito all'ingegnere nucleare Massimo Zucchetti, membro del Comitato Scienziate e Scienziati contro la guerra.
I presenti hanno attribuito questa dinamica di sviluppo a due parametri: l'idea dello Juche, che promuove l'autosufficienza con l'obiettivo di mantenere la vera indipendenza, senza però rifiutare la cooperazione e lo scambio di beni su un piano di parità; e lo stato dell'esercito. Oltre alla funzione primaria di difesa dei confini e sovranità del paese, l'esercito partecipa attivamente a tutti i progetti di edificazione.
Il messaggio fondamentale della conferenza si potrebbe riassumere con l'aver presentato in modo argomentato, in base alle proprie testimonianze oculari, un segmento della situazione nella RDPC che si differenzia radicalmente dallo stereotipo inoltrato dai media "mainstream" in mano ai centri finanziari del grande capitale.
Vladimir Kapuralin (presidente SRP – Partito Socialista dei Lavoratori, Croazia)
http://www.nkpj.org.rs/clanci-sr/tekst157.php
ДЕЛЕГАЦИЈА ИЗ ДНР КОРЕЈЕ У ПОСЕТИ НКПЈ
20. новембра 2014. делегација Демократске Народне Републике Кореје и Радничке партије Кореје боравила је у званичној посети Новој комунистичкој партији Југославије (НКПЈ).
Састанку у седишту НКПЈ присуствовали су са стране корејске делегације амасадор ДНР Кореје у Букурешту друг Ким Сон Гјонг и секретар амбасаде друг Ким Џон Селунд, док је са стране НКПЈ делегацију предводио Генерални секретар друг Батрић Мијовић уз Извршног секретар друга Александра Бањанца, члана Секретаријата НКПЈ Живомира Станковића и Првог секретара СКОЈ-а друга Александра Ђенића.
Састанак је представљао добру прилику да се стекне увид у различите видове империјалистичких махинација, лажи и интензивирања атака на ДНР Кореју, земљу која не пристаје да функционише по диктату империјалиста, у првом реду америчких империјалиста. Другови из амбасаде ДНР Кореје су пренели делегацији НКПЈ своја гледишта на те притиске које су довели у везу с актуелним дешавањима у свету, у Украјини, на Блиском Истоку, у Курдистану, Либији... Упркос тешким околностима ДНР Кореја остаје самоуверена у исправност свог пута и изградње социјализма, од чега не одустаје ни ново руководство предвођено Ким Џонг Уном. Руководство партије и државе је посвећено усавршењу и расту животног стандарда свог народа, посвећено је развоју економије и одрбрани земље, свесни да од њих данас не би остао ни камен на камену да нису изградили моћни одбрамбени систем и моћну армију.
У настојањима да се успешно одбрани од насртаја империјалиста који постоје од оснивања ове социјалистичке републике, ДНР Кореја велику захвалност дугује и својим искреним пријатељима у свету који је подржавају и солидаришу се с њом. На састанку је посебно истакнута улога НКПЈ у том погледу, као и генерално велика солидарност с народом Србије. Поновљено је да ДНР Кореја с гнушањем одбацује тзв. независност Косова, пројекат империјалиста за дестабилизацију и тлачење региона, наше државе и свих народа који живе на овом подручју.
Како је ово био уједно и опроштајни састанак с амбасадором Ким Сон Гјонгом који прелази на нове задатке, делегација НКПЈ му је пожелела нове бројне успехе у раду у циљу прогреса и солидарности народа који се боре против империјализма. Наставак успешне сарадње између наших партија ће се наставити посредством амбасаде ДНР Кореје која је, подсећамо, после пуча 2000. године измештена из Србије, и тренутно је амбасада у Букурешту надлежна и за територију Србије.
Секретаријат НКПЈ,
Београд,
21.11.2014
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https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8166
http://www.anpi.it/sulla-condanna-del-nazismo-non-ci-possono-essere-dubbi/
Si è appreso, nei giorni scorsi, che in una Commissione dell’ONU è stato posto in votazione un documento di condanna del nazismo. Gli Stati si sono divisi; il documento è stato approvato, ma con significativi voti contrari e/o di astensione.
Ci ha colpito - spiega il presidente nazionale dell'Anpi, Carlo Smuraglia - in particolare, vedere i Paesi europei, a partire dall’Italia, schierati sulla linea dell’astensione, così come il vedere, tra i voti contrari, anche quello degli Stati Uniti.
Le spiegazioni sono assolutamente insufficienti. Sulla condanna del nazismo, soprattutto in una fase in cui ci sono tanti rigurgiti di neo-nazismo, non ci possono essere dubbi, esitazioni o contrarietà, perché si è trattato di quello che alcuni hanno definito come “ il male assoluto” e tutti dovrebbero essere impegnati a non dimenticarlo.
In particolare - sottolinea il presidente nazionale dell'Anpi, Carlo Smuraglia - ci sembra grave che non si sia pronunciata a favore l’Europa (e, per quanto ci riguarda più da vicino, l’Italia), che ha vissuto praticamente in tutti gli Stati, l’orrore, la brutalità, la violazione dei diritti umani, da parte del nazismo. Non ci possono essere ragioni di opportunità, e tanto meno ragioni collegate alle presunte finalità di chi ha promosso l’iniziativa, che possano valere, in questo caso.
Quand’anche si dubitasse delle ragioni che hanno indotto a formulare quella proposta e quand’anche si ritenesse che anche lo Stato proponente meriterebbe un giudizio severo, per quanto riguarda i diritti umani, questo non toglierebbe che si trattava di esprimere una condanna severa del fenomeno nazista. Contro il nazismo e il fascismo, dopo le terribili esperienze vissute in Italia e in Europa, non si può fare a meno di schierarsi sempre in qualunque occasione; altrimenti perfino questa doverosa condanna rischierebbe di finire in un limbo di ambiguità, francamente non ammissibile e non accettabile quando si tratta di fenomeni devastanti come il nazismo.
Comitato Provinciale di Alessandria
L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato lo scorso 22 novembre una mozione presentata dalla Russia che condanna i tentativi di glorificazione dell'ideologia del nazismo e la conseguente negazione dei crimini di guerra commessi dalla Germania nazista.
La Risoluzione esprime "profonda preoccupazione per la glorificazione in qualsiasi forma del movimento nazista, neo-nazista e degli ex membri dell'organizzazione "Waffen SS", anche attraverso la costruzione di monumenti e memoriali e l'organizzazione di manifestazioni pubbliche".
Il documento rileva anche l'aumento del numero di attacchi razzisti in tutto il mondo.
Una iniziativa giusta, si dirà, visti i continui rigurgiti fascisti e nazisti ai quali si assiste sempre più spesso in diversi quadranti del mondo.
E invece no. Perché solo 115 dei Paesi rappresentati alle Nazioni Unite hanno votato a favore della mozione, mentre in passato il numero dei sì era stato assai più consistente, ad esempio 130 due anni fa. Incredibilmente ben 55 delegati, tra i quali il Governo italiano, si sono astenuti e 3 rappresentanti - quelli degli Stati Uniti, Canada e Ucraina - hanno addirittura votato contro.
La Vicepresidente nazionale dell'ANPI, Carla Nespolo ha inviato il seguente comunicato stampa, condiviso dall'ANPI Provinciale di Alessandria.
" L'astensione del Governo Italiano sulla risoluzione dell' ONU, approvata a maggioranza, che sancisce il rifiuto del neonazismo nel mondo e respinge "ogni forma di negazione dei crimini nazisti", è un atto grave e inaccettabile.
L'Italia è il Paese in cui la Resistenza al fascismo e al nazismo è stata tra le più forti ed estese d'Europa.
La Costituzione Italiana è, per specifica decisione dei Padri Costituenti, una Costituzione Antifascista.
Tanti partigiani, tanti giovani e tante donne, hanno lottato, sofferto e in molti casi hanno lasciato la vita, per sconfiggere nazismo e fascismo.
Vergognosa è l'astensione dell'Italia!
Il fatto che tanti altri Paesi Europei si siano astenuti, rappresenta una svolta pericolosa e regressiva nella stessa politica estera europea, ma non giustifica in alcun modo la scelta del Governo Italiano che ancora una volta ha rinunciato ad un ruolo di protagonista in Europa.
La decisione degli Stati Uniti d'America, del Canada e dell'Ucraina, di votare contro tale risoluzione, se mai, dimostra un'inaccettabile subalternità europea ed italiana, alla volontà americana.
Nè vale a giustificare tale scelta, il fatto che tale risoluzione sia stata proposta dalla Russia.
Tra l'altro si tratta di un documento molto simile ad altri, presentati nel 2011e nel 2012, e sempre votati all'unanimità o quasi, dall'Assemblea dell'ONU.
Persino Israele, Paese notoriamente amico degli Stati Uniti, ha votato a favore del rifiuto dell'ideologia fascista e nazista.
L'Italia si è astenuta! E questo è inaccettabile e deplorevole.
L'ANPI eleva alta e forte la propria voce, contro tale voto, che umilia la nostra storia democratica e offende la Resistenza, i suoi protagonisti e i suoi valori."
Decisione infame ma notevole, visto che la risoluzione includeva anche la condanna di “ogni forma di negazione dei crimini nazisti”, a cominciare naturalmente dall'Olocausto.
Dalle cancellerie europee si dirà - forse, come tardiva giustificazione - che questa risoluzione, presentata dalla Russia, era poco più che una ripetizione di analoghe risoluzioni approvate all'unanimità o quasi dall'Assemblea dell'Onu (già nel 2010 e nel 2012); e che, quindi, si trattava stavolta solo di una furbesca mossa propagandistica del Cremlino per raccogliere una condanna indiretta del nuovo regime ucraino, sorto dal golpe sponsorizzato da Stati Uniti e Unione Europea.
Possiamo senza sforzo convenire. Ma proprio questa motivazione rivela il peso tutto ideologicodella svolta pro-nazista della Ue, che con questo voto si sposta in blocco dal fronte democratico antinazista e quello “neutrale”, ovvero indifferente. O peggio.
In pratica questa motivazione spiega che “il merito” non conta nulla (la condanna del nazismo), la cosa più importante è contrastare l'avversario (la Russia) e sostenere l'alleato (l'Ucraina di Poroshenko e Pravy Sektor).
Non ci sono dunque più valori di libertà da difendere, non c'è più il “male assoluto”? Diciamo che con questo voto il concetto di “male assoluto”, storicamente e unitariamente identificato nel nazifascismo, non possiede più dei contorni valoriali riconosciuti e riconoscibili da tutti; ma diventa semplicemente l'etichetta da affibbiare al “nemico di turno”. L'integralismo islamico-sunnita dell'Isis può essere nominato come il nuovo "male assoluto", mentre i nazifascisti in carne-ossa-spranghe-fucili – in qualsiasi paese alleato dell'Occidente – non lo sono più. Se per caso ci fossero nei nazifascisti in un paese dichiarato “nemico” allora quello stigma potrebbe tornare nuovamente di moda; ma solo per il campo nemico, non per “i nostri alleati”.
Questa svolta ha una lunga storia, che data ormai dall'inizio degli anni '80. Durante tutto questo periodo lo stigma nazista ha continuato ad essere usato, anche a sproposito, per indicare il nemico di turno. Ricordiamo soltanto alcuni di questi “nuovi Hitler” che hanno costellato i discorsi dei presidenti statunitensi e quindi anche le prime pagine dei media occidentali. Il derelitto Noriega, agente Cia caduto in disgrazia e dittatore di Panama, è stato il primo ad avere avuto il dubbio onore di essere etichettato in questo modo. Poi è diventato un riflesso condizionato e irriflesso della propaganda, investendo Saddam Hussein (più volte, fino alla morte), Milosevic, Gheddafi, iraniani, dittatorelli africani o asiatici; con qualche penoso quanto infame tentativo di estendere lo stigma anche su rivoluzionari di sinistra (Chavez, per esempio), presto rientrato per manifesta insussistenza.
Questo voto di Stati Uniti e Unione Europea all'Onu mette perciò fine a una chiave retorica che ha caratterizzato tutto il dopoguerra occidentale e dichiara la fine dell'unità (molto conflittuale, naturalmente) del mondo nato dalla guerra contro il nazifascismo. Da oggi in poi “l'Occidente” dichiara di prepararsi a combattere "l'Oriente" e quindi annulla al proprio interno i confini – non sempre molto rigidi – entro cui erano stati rinchiusi i nazifascisti. C'è bisogno anche di topi e carogne, di criminali e serial killer, se questo è l'obiettivo...
Ci sembra notevole che questa svolta avvenga sotto l'egida del “primo presidente afroamericano” della storia. E' una prova che "il mito della razza" era effettivamente solo un mito bastardo ("la razza ce l'hanno i cani", disse la più immensa testa del '900). E ci sembra notevole anche il fatto che sia stata così repentina da spiazzare anche il principale alleato occidentale in Medio Oriente. Israele ha infatto votato a favore della mozione russa; con tutta la buona volontà criminale del suo governo, infatti, proprio non poteva votare contro o astenersi su una condanna dei killer dell'Olocausto.
Ci sembra altresì interessante (per essere notevoli ci vuole un po' di statura) che questa svolta non abbia ricevuto, fin qui, alcuna espressione critica da parte del primo presidente della Repubblica proveniente dalle fila dell'ex Pci. Sempre sollecito ad esternare il proprio pensiero su ogni aspetto dell'attualità politica, dovremmo interpretare il suo silenzio - se perpetuato - come assenso. Con tutte le conseguenze del caso, anche sul piano della sua stessa legittimità costituzionale. Su Renzi e i suoi ministri, invece, la Costituzione esprime già un giudizio implicito, anche se irriferibile...
Il mondo che va alla guerra non ha più bisogno delle vesti idologiche adottate – spesso a fatica e per opportunismo – in tempi di “pace armata”. E l'anima più vera del nazismo – lo sterminio industrializzato – è assolutamente “interna” alla logica del capitale. Quindi, può benissimo esser tollerata. Potrebbe persino tornare utile, se non si troveranno soluzioni “liberal-democratiche” alla crisi...
p.s. Il documento dell'Onu con il voto di ogni paese: Y=yes, N=no, A=astenuto
http://www.resistenze.org/sito/os/ip/osipem29-015449.htm
Klodian Muco* | economiaepolitica.it
24/11/2014
Le riflessioni sulla perdita di competitività delle imprese italiane sui mercati internazionali sono da lungo tempo all'ordine del giorno. Si è soliti attribuire questa situazione alla pressione fiscale eccessiva e al costo del lavoro nel mercato italiano. Su questa rivista sono spesso apparsi dei contributi che hanno individuato le ragioni di questo tracollo in altri fattori, come l'assenza di una vera politica industriale e delle innovazioni. Fatto sta che le imprese italiane spesso spostano la produzione in altri paesi: le aziende che operano nei settori ad alta intensità di lavoro non specializzato cercano situazioni in cui il costo del lavoro sia minore.
I lavori empirici più recenti identificano il costo del lavoro come il fattore più importante per spiegare la frammentazione internazionale della produzione; così facendo una parte degli insegnamenti tipici del ragionamento di Marx tornano implicitamente alla luce (si veda ad esempio il lavoro di Helg e Tajoli, 2005).
Quando si parla del costo del lavoro, non bisogna concentrarsi solo sul salario, perché ad esempio non sempre un salario molto basso coincide con un costo del lavoro molto basso. Infatti, nell'ultimo decennio oltre ventisettemila aziende italiane hanno delocalizzato la produzione all'estero, creando oltre 1.5 milioni di posti di lavoro esteri e lasciando allo stato una fattura da 15 miliardi di euro per gli ammortizzatori sociali (1).
A ben vedere, soltanto il 10% di queste aziende sono andate oltre i confini europei (soprattutto in Asia) mentre la restante parte sono rimaste in Europa, in Austria, Svizzera, Germania, e soprattutto nei paesi balcanici i quali nell'ultimo decennio stanno dimostrando una forte potenzialità di crescita e appaiono sufficientemente stabili sotto l'aspetto istituzionale.
Nel 2010 come accaduto per altri Paesi dell'Europa anche i paesi balcanici hanno risentito degli squilibri causati dalla crisi economica e finanziaria internazionale con ripercussioni pesanti sulle economie sia in termini di crescita sia in termini di debito pubblico accumulato. Per uscire da questa crisi la maggior parte di essi ha intrapreso con risultati piuttosto positivi, un processo di riforme interne, teso ad avvicinare i suoi impianti istituzionali, amministrativi e giuridici agli standard occidentali. La Slovenia e la Croazia sono diventati anche parte dell'UE (2).
Come accaduto per la Francia e la Germania, anche una buona parte delle imprese italiane hanno spostato la produzione nell'area balcanica. Ciò è dipeso anche dal rapporto che l'Italia ha con i paesi dell'area balcanica per tradizione politica e per posizione geografica.
Le caratteristiche socio-economiche italiane e quelle dell'altra sponda dell'adriatico appaiono molto diverse: infatti, le economie dei paesi balcanici sono di dimensione molto modeste se paragonate all'Italia: il PIL nominale complessivo di questi paesi è 191 miliardi di dollari, circa un decimo di quello italiano che è pari 2029 miliardi di dollari (FMI, 2012). Sotto il profilo demografico, l'area balcanica ha circa quarantuno milioni di abitanti, circa il settanta percento dell'Italia (BM, 2012).
Secondo un studio condotto dalla Confindustria Balcani (3) nel 2012, il salario medio in Romania è di 350 euro mentre in Albania è ancora più basso, 250 euro. Il salario medio nell'area balcanica è di 411 euro, circa tre volte in meno rispetto al salario medio in Italia. Ma il livello dei salari non è l'unico vantaggio per spostare la produzione nell'area balcanica. Anche le condizioni fiscali sono molto attraenti per gli imprenditori stranieri. Per queste ragioni un grande numero di imprese italiane si è spostato nell'area in questione: 17.700 imprese di cui 15.700 solo in Romania. Nelle imprese italiane con sede nell'area balcanica lavorano oltre 900.000 persone, di cui 800.000 soltanto in Romania (Confindustria Balcani, 2012). Questo trend negli ultimi anni sta cambiando: secondo stime non ufficiali, l'entrata della Romania nell'UE ha determinato la "fuga" delle imprese italiane in altri paesi non aderenti all'UE, come per esempio l'Albania.
Il capitale va a caccia di condizioni istituzionali più consone all'estrazione del plusvalore, avrebbe detto Marx. In effetti, questo fenomeno fa riflettere molto: le aziende che spostano la produzione all'Est non chiedono solo una manodopera a bassissimo costo e relativamente specializzata ma vogliono anche una manodopera poco tutelata. Le imprese che oggi delocalizzano in Albania non cercano competenze professionali particolari, che spesso e volentieri sono mantenute nel paese d'origine. Le imprese italiane spostano la produzione in Albania per sfruttare il basso costo del lavoro; per sfruttare la vicinanza geografica, infatti un ordine nell'area balcanica arriva in Italia entro 48 ore; il prodotto spesso viene ultimato in Italia e raramente viene emesso sul mercato dell'area balcanica (4). Ai vantaggi legati al basso costo del lavoro si aggiungono quelli legati all'impianto normativo. Inoltre, gli imprenditori spesso affermano che il mercato dell'area balcanica non facente parte dell'UE è una realtà in espansione e ricca di potenzialità, soprattutto per i settori labor intensive come ad esempio il mercato del Call-Center e dell'abbigliamento tessile. Ma va aggiunto che nei balcani non si spostano solo imprese interessate a una concorrenza di prezzo; anche imprese come GEOX, Benetton, Armani che fanno concorrenza qualitativa hanno spostato una parte rilevante della loro produzione nell'area balcanica.
Dunque, l'area balcanica offre enormi possibilità per l'economia italiana sia dal punto di vista commerciale, visto che parliamo di un mercato di oltre 40 milioni di consumatori, sia dal punto di vista della produzione e della delocalizzazione. Secondo alcune stime fate da Confindustria Bulgaria, l'export italiano verso l'area balcanica nel 2008, ha sfiorato il valore di 19 miliardi di euro per attestarsi a 17,67 nel 2012 (sostanzialmente il medesimo valore delle esportazioni italiane verso i paesi BRIC, pari a 17,35 miliardi di euro nel 2012). Durante questo periodo si nota un calo generale delle quote d'esportazione dell'Italia verso i paesi aderenti all'UE: le quote verso la Romania sono passate da 6,22 miliardi (2008) a 5.81 miliardi (2012); quelle verso la Bulgaria da 1,93 miliardi di euro (2008) a 1,59 miliardi di euro (2012) e per finire quelle verso la Croazia da 3,13 miliardi di euro (2008) a 1.98 miliardi di euro (2012). Invece, le quote d'esportazione verso i paesi balcanici non aderenti all'UE sono aumentate progressivamente.
Contemporaneamente, stando ai dati riportati dall'UNCTAD, l'Italia costituisce un mercato di sbocco di primaria importanza per tutti i paesi dell'area in questione, con una quota che supera il 15% e in alcuni casi il 50% (è il caso dell'Albania). Il surplus commerciale dell'Italia con l'area balcanica nel 2012 ha superato la quota dei tre miliardi di euro.
Un altro aspetto da indagare consiste nel fatto che le aziende che delocalizzano la produzione nei Balcani non sempre creano un legame duraturo con il paese di arrivo. Non emergono insomma quelle che Hirshman definiva connessioni a monte e a valle: nel paese ospitante le delocalizzazioni straniere – anche quelle italiane – aiutano ad aumentare velocemente l'occupazione, ma l'impatto sulla crescita economica balcanica spesso non è rilevante. Infatti i nostri imprenditori e gli altri che investono da quelle parti restano fin quando un altro paese non offra maggiori occasioni di profitto, e ciò certo non garantisce uno sviluppo sostenibile e duraturo.
* Università dell'Insubria e University of Gjirokastra
1) Soltanto la FIAT negli ultimi anni ha tagliato oltre 15000 dipendenti in Italia per sostenere le assunzioni in altri paesi come USA, Polonia ecc; la GEOX che conta 30000 dipendenti in giro per il mondo, in Italia ha soltanto 2000 dipendenti.
2) L'integrazione all'UE è considerata nel dibattito politico interno ai paesi balcanici l'unica soluzione per ottenere una crescita economica sostenibile.
3) Confindustria Balcani nasce nell'ottobre del 2010 per riunire le associazioni di imprese italiane nell'area sotto l'egida di Confindustria.
4) Secondo un'indagine svolta dall'United Nations Conference on Trade and Development e Roland Berger Strategy Consultans sulle strategie di delocalizzazione delle imprese europee, il 40% di queste imprese pratica l'outsourcing.
MILIONI DI EURO PER LA PULIZIA ETNICA
https://aurorasito.wordpress.com/2014/10/17/putin-il-vaccino-al-virus-nazista-perde-efficacia-in-europa/
http://www.politika.rs/rubrike/Svet/Obamin-pristup-Rusiji-je-neprijateljski.sr.html
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=3EXToQnI75g
Include: Top 10 powerful quotes from Putin’s historic Crimea address (March 19, 2014)
Putin si scaglia contro i revisionisti della Seconda Guerra Mondiale
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8034
http://www.tribunodelpopolo.it/russia-putin-si-scaglia-contro-i-revisionisti-della-seconda-guerra-mondiale/
http://en.ria.ru/russia/20140703/190798678/Putin-Says-Legal-Initiative-to-Counter-Nazism-Timely.html
http://comunicati.russia.it/vladimir-putin-ha-accusato-l-ucraina-e-lettonia-dell-espansione-del-neonazismo.html
http://rt.com/politics/official-word/196284-ukraine-putin-nazi-europe/
Intervista del presidente della Federazione Russa Vladimir Putin
Tanjug | 04. 12. 2014.
Rusija veruje u sebe, u to da mnogo može i da će sve ostvariti, rekao je danas ruski predsednik Vladimir Putin, ističući da Rusija nije dozvolila sebi da ide putem raspada po jugoslovenskom scenariju.
Ruski predsednik je kazao da je "besmisleno razgovarati sa Rusijom sa pozicija sile" i naveo da ni Adolfu Hitleru nije uspelo da rasturi i uništi zemlju. "Svi treba da se sete čime se to završava", kazao je on.
Putin je rekao i da SAD uvek direktno ili "iza kulisa" utiču na odnose Rusije sa susednim zemljama.
"Nekada ne znaš s kim je bolje da razgovaraš - sa vladama nekih država ili direktno sa njihovim američkim pokroviteljima i sponzorima", dodao je predsednik Rusije.
Zahvaljujći Rusima na podršci i solidarnosti u trenucima kada se rešava
budućnost, Putin je rekao da je razgovor sa Rusijom sa pozicija sile besmislen.
Obraćajući se pred Federalnom skupštinom Rusije Putin je rekao da politika obuzdavanja Rusije nije smišljena juče, već da se uvek sprovodi svaki put kada neko smatra da je Rusija postala suviše samostalna, preneo je TAS S.
Putin je ponovio da sankcije štete svima, pa i onima koji ih uvode, kao i da Moskva ne namerava da ruši odnose sa Evropom i Amerikom.
Nazivajući objedinjenje Krima i Sevastopolja sa Rusijom istorijskim, Putin je rekao da za Rusiju Krim ima ogroman civilizacijski i sakralni značaj i da su se tako Rusi prema tome odnosili i odnosiće se uvek.
Prema Putinovim rečima, svaki narod ima neotuđivao pravo na sopstveni put razvoja i Rusija će se uvek prema tome postaviti sa uvažavanjem.
To se, kako je istakao, odnosi i na Ukrajinu, ali je nazvao licemerjem da se razgovorima o ljudskim pravima prikriva prevrat u Ukrajini.
Ne treba "političariti", već pružiti pomoć Ukrajini u reformama, rekao je Putin i dodao da njegove zapadne kolege "ne žure to da učine".
Pritom je naveo da je Rusija kreditirala privredu Ukrajine za 32,5-33,5 milijardi dolara u poslednje vreme.
Neće biti trke za naoružanje
"Mi ne nameravamo da ulazimo u skupu trku u naoružanju, ali ćemo pri tom sigurno i garantovano osigurati odbambenu sposobnost naše države u novim uslovima. To će biti učinjeno. Postoje i mogućnosti i nestandardna rešenja", kazao je Putin u Kremlju u godišnjem obraćanju naciji.
Dodao je da "tu nema sumnje" i da će to "biti učinjeno".
"Niko neće uspeti da postigne vojnu nadmoćnost nad Rusijom. Naša armija je savremena, sposobna, ljubazna, ali strašna. Za zaštitu naše slobode imamo dovoljno i snage i volje i hrabrosti", rekao je Putin, propraćen gromkim aplauzom.
Rekao je da će se Rusija truditi da u svetu "širi pravu istinu o zemlji, kako bi svi videli pravu sliku, a ne lažnu i falsifikovanu".
Ovo je 11. Putinovo obraćanje, a u Kremlju se okupilo više od hiljadu zvanica - poslanici gornjeg i donjeg doma, članovi vlade, rukovodioci Ustavnog i Vrhovnog suda, gubernatori, predsednici skupština subjekata Federacije, predstavnici tradicionalnih konfesija, čelnici vodećih medija i društveni i javni radnici.
Rusija ima i kapital i naučnu bazu i talente
Predsednik Rusije izjavio je da će Rusija "biti otvorena za svet, investicije i zajedničke projekte". "To zavisi od nas samih. Ne treba očekivati da se posreći.
On je kazao da Rusija ima i kapital i naučnu bazu i talente, što je "najbolji odgovor za spoljašnja ograničenja i unutrašnje probleme".
Kako je istakao Putin, Rusija treba u inostranstvu da kupuje samo "zaista unikatne produkte i tehnologiju" i da se orijentiše na domaće proizvodjače. Posebno je istakao važnost zamene strane tehnologije domaćom.
On je za jak pad rublje okrivio špekulante i zatražio od centralne banke i vlade da "sprovedu oštre koordinisane mere", kako bi špekulanti prestali da igraju na plavajućem kursu rublje.
"Uveren sam, da svega toga ne bi bilo, izmislili bi neki drugi povod da zaustave mogućnosti rastuće Rusije, da utiču. Politika zadržavanja se primenjuje decenijama. Čim mi postanemo jaki, ona se primenjuje", rekao je Putin.
In primo luogo perché si cerca di spacciare il flusso di denaro che arriverà al Fronte Nazionale come un "regalo ricevuto da Mosca", quando invece è un PRESTITO richiesto da un soggetto di diritto privato (un partito) ad una banca privata straniera, da restituire con relativi interessi. Questa è una pratica comunissima in Francia e nei paesi in cui non esiste o è limitato il finanziamento pubblico dei partiti (tema che metterebbe un articolato ragionamento a parte, al di là del populismo e strillate travagliste): decine di forze politiche e movimenti, strangolati dai debiti accumulati per gestire l'apparato , sono ricorsi a prestiti o, addirittura, a richieste di contributi volontari ad "imprenditori", magnati e padroni del vapore vari (guardate, per esempio, l'elenco dei finanziatori della Leopolda di Renzi).
In secondo luogo, perché si cerca di far passare una semi-sconosciuta banca russa per un'articolazione diretta del potere del Cremlino e di Putin e Medvedev. Perfino i Goebbels del Corriere sono costretti a dire che la First Czech Russian Bank, cioè chi sta concedendo il prestito alla Le Pen, è "un piccolo istituto russo di proprietà di Roman Yakubovich Popov". Insomma, una specie di Cassa di risparmio "alla buona" delle nostre parti. Un minuscolo topolino rispetto ai colossi russi come Sberbank, VTB, Bank of Moscow, Rosbank, Nomos-bank, Uralsib, TransCreditBank e Vozrozhdenie Bank, che rientrano tra le 500 banche più solide al mondo ( http://m.it.rbth.com/economia/2013/02/21/banche_russe_nella_top500_22219.html )
Ma per i nostri disinformatori al servizio della Nato, gli stessi che stanno nascondendo la notizia della vergognosa astensione dell'Italia e di tutti i paesi UE sulla mozione all'ONU contro la glorificazione del nazismo, adesso "Putin sta finanziando i partiti fascisti, razzisti e xenofobi europei".
https://www.facebook.com/premiogoebbels/posts/1572859539614226
"La banca di Putin e Medvedev finanzia i fascisti del Fronte Nazionale francese". Questa è la notizia che è rimbalzata sui media occidentali embedded in queste ore. Abbiamo già scritto sul tema, ma ci torniamo volentieri.
Reputando superfluo sottolineare che questa pagina non ha nessuna simpatia per la Le Pen, il Fronte Nazionale ed gruppi di estrema destra e neofascisti, e neppure per i banchieri, ribadiamo che le cose non sono andate proprio come scritto dai Goebbels della disinformazione. Cioè, si tratta: 1) di un prestito, non un contributo o una sovvenzione, rilasciato da una banca privata ad un soggetto privato (un partito) ed il governo russo non c'entra nulla; 2) di un prestito rilasciato da una banca a capitale misto russo e ceco (e che la Repubblica Ceca è un paese UE e Nato). A questo, aggiungiamo che, se la "First Czech Russian Bank" fosse realmente la "banca ufficiale del Cremlino", Putin e Medvedev sarebbero proprio dei dilettanti allo sbaraglio, visto che si tratta di un istituto bancario di serie C o D, che occupa solo il 42esimo posto nella graduatoria (che alleghiamo) del rating delle banche russe.
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ore 15.00-15.45 in SALA CORALLO (data la breve durata si raccomanda puntualità)
Presentazione del libro di
UOMINI E NON UOMINI
La guerra in Bosnia Erzegovina nella testimonianza di un ufficiale jugoslavo
(Zambon 2013)
Intervengono:
NE' PACE NE' GIUSTIZIA NEI BALCANI
Sulla vera natura del "Tribunale ad hoc" scrivevamo nel 2005 (8): «La "giustizia" del "Tribunale ad hoc" è dunque quella di una parte in causa contro l'altra: il contrario esatto del super partes. Il TPIJ, analogamente al famigerato Tribunale Speciale dell'Italia fascista, è uno strumento politico totalmente sotto controllo dei vincitori, cioè degli aggressori, devastatori ed invasori della Jugoslavia.» Ci confortava nel giudizio la sincera dichiarazione di Jamie Shea, portavoce della NATO durante i bombardamenti sulla Jugoslavia della primavera del 1999: «La NATO è amica del Tribunale, è la NATO che detiene per conto del Tribunale i criminali di guerra sotto accusa… Sono i paesi della NATO che hanno procurato i fondi per istituire il Tribunale, noi siamo tra i più grandi finanziatori.»
La gran parte di queste pratiche è puntualmente confermata nel suo libro da Goran Jelisic, il quale porta quei casi esemplari che sono le sue esperienze dirette. Esperienze drammatiche, a fronte delle quali chiunque impazzirebbe. Jelisic invece raccoglie il suo dolore, i suoi shock, e riesce a farne un libro, a rivendicare semplicemente la umanità sua e dei suoi compagni di prigione, anche quelli di diverso colore politico-etnico. Di qui il titolo, poiché «esistono solo due nazioni: gli uomini e i non uomini» (p.87). E sulla base di questo spontaneo senso di umanità in carcere si fraternizza spesso (non sempre) anche con il nemico di ieri.
Jelisic spiega ulteriori discutibili prassi adottate dal "Tribunale". Racconta casi precisi, di testimoni "imboccati" dai giudici, o del modo in cui vengono imposti gli avvocati difensori e come questi ultimi inducano l'imputato a commettere errori dei quali pagherà poi care le conseguenze. Fa alcuni esempi di materiale probatorio grossolanamente falsificato (addirittura estratti da un film di Arnold Schwarzenegger: p.223). Jelisic racconta come gli inquirenti cercarono in tutti i modi di fagli dire che a Brcko erano stati uccisi seimila musulmani: «Ero sbalordito da tale richiesta. In seguito, ogni volta che volevano spingermi a dire qualcosa, spegnevano la telecamera. Si vedeva che avevano una bella esperienza d'interrogatori nei servizi segreti o come agenti» (p.144; p.170). Jelisic spiega che di fronte a sue "ammissioni" era sempre pronto uno sconto di pena… Alcune sue presunte vittime verranno però invece ritrovate vive e vegete (p.169; p.308).
E' particolarmente importante l'informazione che Jelisic fornisce sulla sua vicenda "italiana". Innanzitutto, dopo la condanna egli è stato arbitrariamente assegnato ad una prigione italiana nonostante garanzie affatto diverse che gli erano state date. In Italia è passato per sei prigioni diverse, e si trova adesso a Massa, dove deve terminare di scontare una condanna a 30 anni (fino al 2028). Sebbene abbia fatto domanda per ottenere tre anni di indulto, concessi a tutti i detenuti dello Stato italiano, questi gli sono stati rifiutati con la motivazione che avrebbe commesso il crimine di genocidio, reato da cui invece è stato assolto; i suoi ricorsi non ottengono nemmeno risposta. Gli sono stati negati anche i permessi che invece, nelle carceri estere, sono stati spesso concessi ad altri condannati dell'Aia. Dal 2006, anno d'inizio del lavoro di traduzione e riscrittura delle sue memorie, la curatrice del libro non ha mai ottenuto il permesso di incontrarlo.
Per riprendere una riflessione su queste vergogne, poco dibattute e quasi per nulla denunciate anche nei settori della sinistra più coerente e cosciente, la prossima occasione utile si presenterà a Roma, Lunedì 8 dicembre 2014 nell'ambito della Fiera della piccola editoria "Più Libri Più Liberi" (Palazzo dei Congressi dell'EUR, alle ore 15.00 in Sala Corallo). Lì, il libro di Goran Jelisic sarà presentato dal prefattore Aldo Bernardini (emerito di Diritto Internazionale all'Università di Teramo) e dalla curatrice Jean Toschi Marazzani Visconti (scrittrice e saggista).
https://www.cnj.it/documentazione/kosova.htm#eulex2012
A cura di Jean Toschi Marazzani Visconti
Prefazione di Aldo Bernardini, docente di Diritto Internazionale, Università di Teramo
Postfazione dell’Avv. Ugo Giannangeli
Francoforte: Zambon 2013
Formato: 130x210 Pagg. 320 - prezzo 15,00 € - ISBN 978-88-87826-91-3
La scheda del libro: https://www.cnj.it/documentazione/SchedeLibri/scheda-jelisic.pdf
L’avvocato inglese Maria Bamieh è molto decisa e le sue accuse determinate, precise. Quindi, o la donna soffre di qualche disturbo che la fa sentire vittima, o un bel pezzo di uffici giudiziari di Eulex in Kosovo dovrebbero essere trasferiti semplicemente in carcere. O clinica o galera. Quando?
L’alternativa è drammatica e seppellisce comunque la credibilità residua della missione giudiziaria europea in Kosovo: o clinica psichiatrica o prigione. Il sito inglese ‘dailymail.co.uk’ ovviamente dà attenzione e credito alla denunci fatta dalla sua concittadina. Con un disegno kosoro di fattura anglosassone meritevole di attenzione: «Quindici anni dopo il conflitto, il Kosovo rimane una regione senza legge, con gangster, politici corrotti e criminali di guerra che minacciano l’integrità delle frontiere dell’UE». Traduzione dall’inglese, sia chiaro, pur se il Kosovo è prodotto americano.
Riassunto dei fatti: l’avvocato inglese Maria Bamieh è stata per sei anni inquirente con Eulex in Kosovo. Dava la caccia ai corrotti e se li è scoperti in casa (dice lei). Avvia un’indagine sui suoi stessi colleghi. Allontanati dal lavoro? No, loro restano inquirenti e giudici. Lei, la denunciante, è invece allontanata dall’incarico e da Eulex. Dicono sia perché ora è testimone di un eventuale crimine. Nel frattempo, in attesa dell’inchiesta ‘severissima’ promessa da Lady Pesch, il discredito sull’intera missione internazionale Ue in quella terra decisamente problematica, dilaga e seppellisce.
L’avvocata messa da parte ha tempo da vendere e qualche conto da saldare. In più sa come e dove colpire. E’ il suo mestiere. In tempi di crisi l’argomento ‘soldi’ è decisivo. «In questa missione la maggior del personale è di fatto part-time, ma ottiene uno stipendio a tempo pieno. Scompaiono il giovedì o venerdì mattina, volano a casa e riappaiono nel pomeriggio di lunedì o martedì mattina». Decisamente pelandroni i Signori Giudici Eulex. Fanno come i parlamentari in Italia. Nel frattempo l’Unione europea ha investito nella missione 750 milioni di fondi di fondi comunitaria. Tanti euro.
C’è già un’indagine ufficiale dell’Unione europea sulla vicenda, ma procede lenta. Forse perché lavorano tre giorni la settimana? Interessante come sono nato i sospetti della signora Bamieh. Un alto funzionario del ministero della salute del Kosovo finisce in carcere per corruzione. Tangenti chieste ad aziende farmaceutiche. S’è visto ben di peggio. Ad Ilir Tolaj, il detenuto, qualcuno fa arrivare in carcere un telefono: per passare il tempo. La guastafeste britannica se ne accorge e fa intercettare le telefonate del detenuto. E ne escono fuori delle belle. Anzi, delle brutte, bruttissime.
Tolaj riceveva chiamate di presunti intermediari del giudice italiano Francesco Florit e del procuratore capo, la cecoslovacca Jaroslava Novotna. Magistrati comprensivi pronti ad aiutare, dicono gli intermediari, lasciando intendere di un dovere di gratitudine concreta. Intermediari di corruzione o millantatori del nome di due integerrimi magistrati? Non lo sappiamo. Altri banditi ‘confessano’ alla avvocata british la richiesta di 300mila euro da parte dell’italiano. Prove decisive, per quanto noto ancora nessuna. Di certo soltanto la marea di fango su persone e sulle istituzioni.
Published: 22:05 GMT, 22 November 2014 | Updated: 14:41 GMT, 23 November 2014
When British lawyer Maria Bamieh was given the chance to help rebuild war-torn Kosovo with an elite EU anti-crime and corruption unit three years ago she jumped at the chance.
Fifteen years after the conflict, Kosovo remains a lawless region, with gangsters, corrupt politicians and war criminals threatening the integrity of the EU borders.
But Bamieh could hardly have known she would soon be demanding a corruption investigation into her own colleagues – or that she would then be escorted out of her office after becoming a whistleblower, and abruptly suspended.
Today, six years after taking the job, the 55-year-old says the investigations unit, known as Eulex, failed to pursue her allegations thoroughly and instead chose to ‘punish’ her for speaking out.
‘I have been subject to a campaign of victimisation and my career with Eulex is over. I may well not work again,’ she told The Mail on Sunday.
‘More to the point this affair raises wider questions about what Eulex has achieved over the six years of its existence and at what cost to the EU and the British taxpayer.
'Our money is going into this mission and most of the staff work part-time but get a full-time salary. They disappear on Thursday or Friday morning, fly home and reappear on Monday afternoon or Tuesday morning.’
Her worrying story has not only rocked the anti-corruption unit, which has so far swallowed £750million of EU money, but could – if her allegations stick – envelop the EU in a major corruption scandal.
There is already an official EU investigation into the affair. Ms Bamieh’s concerns reached a head during an investigation into a senior civil servant at the Kosovan health ministry.
The man, Ilir Tolaj, had been arrested and held in prison amid allegations he had demanded bribes from pharmaceutical companies in return for official contracts. He had also smuggled a phone into his cell.
‘I got a court order to intercept his calls because he was not entitled to have that phone,’ says Ms Bamieh. ‘We monitored the calls.’ And the results, gathered in May and June 2012, were disturbing.
It became clear Tolaj was taking calls from people claiming to be intermediaries or go-betweens between Italian judge Francesco Florit, who was seconded to Eulex, and Bamieh’s boss, the Czech chief prosecutor Jaroslava Novotna.
The intermediaries told Tolaj that the Italian judge would ‘do everything to help because he thinks that man [Tolaj] deserves to be helped.’
Bamieh was alarmed to find she was herself the subject of these illegal discussions. It was claimed, for example, that the Italian judge, had described Bamieh as ‘very difficult’ and that Florit had suggested he would get Bamieh replaced.
Another of the middlemen told Tolaj he would hold a meeting with Bamieh’s boss, her ‘chief… the Czech lady’. In one call, Tolaj offers the observation that, ‘I will analyse and see whether I can afford it or not’. The implication was all too clear: two senior colleagues in Eulex could well be compromised, wittingly or otherwise. Florit and Novotna have denied any wrongdoing to The Mail on Sunday.
Ms Bamieh continued: ‘I could not investigate or prosecute Novotna or Florit because I cannot be a prosecutor and witness.’
Eventually, she says, despite the concerns she had raised, she realised there was no proper investigation.
Her suspicions grew stronger when she was approached by two men convicted of a 2009 bomb attack in the Kosovan capital Pristina amid allegations of a feud between a gangster and a police officer for the hand of a pop singer. It resulted in a fatal explosion.
The two convicted men, it seemed, had made their own approaches to the Italian judge. She said: ‘They told me they had paid money to Florit... and one of the family made a statement how he went to Albania with his lawyer to do negotiations with Florit and they were told that €300,000 was only enough for one of them to be cleared.
But when I reported this all that happened was that I got punished. I began to be subject to a series of investigations for trivial offences such as car parking. In reality no one got investigated.’
Eventually she went on Kosovan television to outline her claims.
Kosovo broke away from Yugoslavia in 1999 and became a UN protectorate after its bloody war, which pitched the Serb minority against the majority ethnic Albanians. In 2008 the ethnic Albanian-led parliament declared unilateral independence and the UN unit was replaced by Eulex that same year.
Ms Bamieh claims she asked for protection because of her role as a whistleblower but when Eulux was downsized she was made redundant.
Although reinstated on appeal, she was suspended and escorted out of the Eulex headquarters last month after repeating her allegations.
Eulex accused her of leaking documents to the press, a charge Bamieh denies. Now back in London, the mother of one said: ‘I only went to the press after the story came out to clear my name.’
Eulex has announced a fresh investigation but in a sign of Brussels impatience with the unit the EU’s new foreign policy chief Federica Mogherini has despatched a lawyer to oversee the investigation.
‘For God’s sake, they need to call a lawyer to say how an anti-corruption unit should deal with corruption!’ she said. ‘They are meant to be a rule of law mission.’
Richard Howitt, Labour MEP for East of England, said he had met senior EU officials about the case. ‘These allegations are credible and very serious,’ he said. ‘The EU has to have zero tolerance to corruption. It is clear the existing investigation is inadequate. It appears it could be a cover-up. Maria Bamieh has been let down badly.’