Informazione

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Prossime iniziative su Ucraina e Donbass

1) Bologna 16/1: UCRAINA. LA SITUAZIONE ATTUALE
2) Rep. di San Marino, 23/1: LA ASTENSIONE DI SAN MARINO E DEI PAESI U.E. SULLA MOZIONE ONU IN MERITO ALLA GLORIFICAZIONE DEL NAZISMO
3) Novorossija, 9 Maggio: LA PROSSIMA CAROVANA DELLA BANDA BASSOTTI

4) FLASHBACK: Dichiarazione delle FARC-EP sulla Resistenza in Donbass


Leggi anche:

Controsemestre. Ai fascisti ucraini non piace che si parli di pace (Redazione Contropiano Nordest, 18 Novembre 2014) 
http://contropiano.org/politica/item/27586-controsemestre-ai-fascisti-ucraini-non-piace-che-si-parli-di-pace


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Bologna, venerdì 16 gennaio 2015
dalle ore 20 c/o Sala Polivalente GRAF
Piazza Spadolini n. 3 – Quartiere San Donato – Bologna

ANPPIA Bologna                                                                                                        

ANPI 
Com. prov. Bologna
Sezione Barca - Bologna
Sezione Lame - Bologna
Sezione Pratello - Bologna
Sezione San Donato – Bologna


UCRAINA: Situazione Attuale

Saluto di Renato Romagnoli - Presidente Anpi Provinciale Bologna
Saluto di Massimo Meliconi - Presidente Anppia Comitato di Bologna

Intervengono

Dr. ANDREA CATONE
co-direttore della rivista “MarxVentuno”, studioso di Storia Contemporanea

Prof. FRANCESCO BENVENUTI
Università di Bologna

Coordina
Dr. ANDREA MARTOCCHIA


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Repubblica di San Marino, 23 gennaio 2015, ore 17,30
Sala Conferenze - Hotel I-DESIGN - Via del Serrone, 124 - Murata 

Fonte: profilo FB di Epifanio Troìna, 5/1/2014

<< 23 gennaio a San Marino - si terrà conferenza sul voto di ASTENSIONE di San Marino e dei paesi dell’UE sulla mozione che condanna i tentativi di glorificazione dell’ideologia del nazismo e la conseguente negazione dei crimini di guerra commessi dalla Germania nazista. La Risoluzione dell'ONU esprime "profonda preoccupazione per la glorificazione in qualsiasi forma del movimento nazista, neo-nazista e degli ex membri dell'organizzazione "Waffen SS", anche attraverso la costruzione di monumenti e memoriali e l'organizzazione di manifestazioni pubbliche". 
Alla luce dei continui rigurgiti fascisti e nazisti ai quali si assiste sempre più spesso in diverse parti del mondo, l'astensione sulla risoluzione dell' ONU, approvata a maggioranza, è un atto grave e inaccettabile e dimostra la subalternità alla volontà usa. Questo è inaccettabile e deplorevole. Tale voto umilia la nostra storia democratica e offende la Resistenza, i suoi protagonisti e i suoi valori.
Si parlerà anche del Donbass e della guerra civile in atto per contrastare la giunta nazifascista di kiev. Interverrà Viktoria Shilova.
SIETE INVITATI ! >>

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Sullo stesso tema si leggano:

I neo-Nazi imperversano in Ucraina, ma il Nazismo non è più il "male assoluto"(per l'Occidente) (di M.G. Bruzzone, su La Stampa del 30/11/2014)
Una settimana fa l’assemblea generale dell’ONU ha approvato una mozione presentata dalla Russia che condanna i tentativi di glorificazione dell’ideologia nazista (...) ad astenersi sono stati i paesi dell’ Unione Europea...
http://www.lastampa.it/2014/11/30/blogs/underblog/i-neonazi-imperversano-in-ucraina-ma-il-nazismo-non-pi-il-male-assolutoper-loccidente-zftkpiBxOsdKkyAKDoZupI/pagina.html?refresh_ce

Sulla neutralità (sic) dello Stato italiano in tema di nazismo
I comunicati dell'ANPI / Sul nazismo la UE si astiene (Italo Slavo)

L'Anti-antifascismo di UE e USA
US, Canada & Ukraine vote against Russia’s anti-Nazism resolution at UN



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PTV News – Speciale – Intervista Banda Bassotti (27/12/2014)
Lo storico gruppo romano, dopo il ritorno dalla Russia, non rinuncia all’idea di una seconda Carovana antifascista verso il Donbass…
http://www.pandoratv.it/?p=2496
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=gguKcFOSTxQ

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Comunicato della Banda Bassotti (28 dic 2014)
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=oeAq3a6uYJI

Con questo Comunicato rispondiamo all'invito ufficiale da noi ricevuto il 20 ottobre 2014 a firma del Primo Ministro della Repubblica Popolare di Lugansk. L’invito ci chiedeva di tornare in Donbass per un concerto antifascista a Lugansk.

COMUNICATO DELLA BANDA BASSOTTI

Dal nostro ritorno a Roma, vediamo che continua in Donbass una falsa tregua fatta di bombardamenti su civili. Come prima muoiono civili, bambini, anziani e partigiani della Novarussjia. Vengono bombardate scuole, autobus. Impedita la vita normale dove i bambini possano tornare a scuola, dove le famiglie possano tornare ad una vita normale. Esattamente come prima della cosiddetta tregua, l'unione europea, sponsorizzata dagli usa, invia carri armati, materiale da guerra al regime di Kiev.
Riteniamo un dovere per tutti noi Antifascisti sostenere la lotta del Popolo della Novarossija.
Siamo molto legati alla Storia dell'URSS e della attuale Russia, per questo abbiamo deciso come data di una nostra visita al Donbass il 9 maggio 2015 che in tutti i Paesi figli dell'Unione Sovietica è la Festa del Giorno della Vittoria.
Con questo Comunicato annunciamo pubblicamente che la Banda Bassotti organizzerà una Carovana Antifascista per prendere parte alla Festa del Giorno della Vittoria.
In Italia festeggeremo il 25 aprile, Giorno della Liberazione e in Novarossjia il 9 maggio rendendo omaggio a tutti quei patrioti che hanno combattuto il Nazifascismo. Porteremo con noi ancora una volta le nostre canzoni, la Falce ed il Martello e la Bandiera Rossa.
Chiediamo agli Antifascisti di contribuire alla costruzione della Carovana Antifascista.

BANDA BASSOTTI - ROMA - PIANETA TERRA - dicembre 2014
NO PASARAN!

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Italian punk band to organize an “antifascist caravan” (Jan 03, 2015 - by ZugNachPankowin)
Italian punk band “Banda Bassotti” is ready for a second Carovana Antifascista…
http://www.southfront.eu/italian-punk-band-to-organize-an-antifascist-caravan/


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IN ENGLISH: FARC-EP STATEMENT ON UKRAINE
True to our anti-imperialist and anti-fascist commitment, the Revolutionary Armed Forces of Colombia-People’s Army, FARC-EP, strongly condemns the vile aggression unleashed by the Kiev regime against the workers and dissident population of Ukraine. The Ukrainian people have been caught in the crossfire by the United States and the European Union…
http://workers.us5.list-manage.com/track/click?u=40da4c2268de414b49fa829df&id=083e529502&e=6386bdc711

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http://www.nuovacolombia.net/Joomla/documenti-analisi/5665-il-fascismo-e-la-nato-non-passeranno-solidarieta-alla-resistenza-antifascista-del-donbass.html
SOLIDARIETA’ ALLA RESISTENZA ANTIFASCISTA DEL DONBASS

Fedeli alla loro vocazione antimperialista e antifascista, le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia – Esercito del Popolo, FARC-EP, condannano categoricamente la vile aggressione scatenata dal governo di Kiev contro i lavoratori e la popolazione insubordinata dell’Ucraina.
Il popolo ucraino è bersagliato dal fuoco incrociato di Stati Uniti e Unione Europea, i primi in un’escalation guerrafondaia di accerchiamento e provocazione nei confronti della Russia, e la seconda nella sua smania di annettersi l’Ucraina. Entrambi bramano un’ulteriore espansione della NATO verso l’est, certamente con il proposito, assai mal dissimulato, di impadronirsi dei corridoi e dei giacimenti minerari ed energetici.
Nessuno, sano di mente, può dubitare che dietro le cosiddette “rivoluzioni arancioni” prima, ed il golpe dei Maydan poi, ci siano i lupi imperialisti camuffati da pecorelle democratiche e difensori dei diritti umani.
Il suddetto golpe ha portato al potere una cricca oligarchica con settori neonazisti, che ha scatenato un’impressionante e violenta caccia alle streghe non soltanto contro i comunisti, ma anche ai danni degli oppositori e degli abitanti russofoni in generale.
Nonostante l’assalto, la risposta popolare si è ingigantita a partire dalla resistenza antifascista delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk, contro le quali il governo dell’oligarca Poroshenko, telediretto da Washington e Bruxelles, ha lanciato un’operazione di accerchiamento e sterminio con ogni tipo di armamento e decine di migliaia tra soldati e mercenari. Operazione che ha ucciso o ferito gravemente migliaia di persone innocenti, e che fustiga la popolazione civile del Donbass che i fascisti vogliono annichilire non solo con bombardamenti, ma anche attraverso la fame e la sete.
Nelle ultime settimane stiamo assistendo alla controffensiva armata delle milizie antifasciste capeggiate dal Fronte Popolare di Liberazione dell’Ucraina, della Novorossja e dei Subcarpazi russi, la cui lotta per la libertà e la giustizia sociale sta propinando duri colpi ai contingenti di Kiev, diversi dei quali finiscono per sbandare.
Manifestiamo la nostra solidarietà internazionalista al popolo ucraino ed ai combattenti antifascisti ed antioligarchici del Donbass, e chiamiamo i popoli del mondo a mobilitarsi per contrastare qualsiasi tentativo dell’imperialismo di imporre ulteriori guerre neocoloniali e regimi antidemocratici.
Oggi come ieri, il fascismo non passerà!

Commissione Internazionale delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia – Esercito del Popolo, FARC-EP
15 settembre 2014




(english / srpskohrvatski / deutsch / italiano)

Voci dissenzienti dalla Repubblica Ceca

1) Czech president Zeman calls Yatsenyuk ‘Premier of war’ / Il presidente ceco compara la marcia di Capodanno 2015 a Kiev a quella dei nazisti / Nationalisten-Aufmarsch in Kiew: Zeman sieht Parallele zu Hitler-Deutschland 
2) Ufficiale di Praga Marek Obrtel rifiuta le medaglie Nato / Češki veteran s KiM odbija NATO odlikovanje: « Stidim se Zapada » / ‘Ashamed to have served criminals’: Czech veteran returns NATO medals / Oberstleutnant Obrtel gibt vier Medaillen an “kriminelle Vereinigung” N.A.T.O. zurück


Vedi anche,

sulla marcia nazista-europeista del Capodanno 2015 a Kiev:

Ukraine nationalists march in Kiev to honour Bandera
Erneut Angriff auf russische Journalisten in Kiew

sulla recente polemica del presidente ceco Zeman contro le "Pussy Riot":

Czech President Faces Live Radio Ban for Use of Swearwords: Spokesperson (29.11.2014)
Czech president could face live radio ban after ‘Pussy Riot are c**ts’ remark (1/12/2014)
Tschechien: Rundfunkrat will Präsident Zeman’s Reden zensieren (von PetraPez, 2/12/2014)


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‘Premier of war’: Czech president says Yatsenyuk not seeking peaceful solution for E. Ukraine (RT, January 03, 2015)
Czech President Milos Zeman has slammed Ukrainian Prime Minister Arseny Yatsenyuk, calling him “a prime minister of war” because he is unwilling to peacefully solve the civil conflict in the country...


"Premier di guerra": il presidente della Repubblica Ceca dice Yatsenyuk non cerca una soluzione pacifica per l'Ucraina orientale

Il presidente ceco Milos Zeman ha condannato il primo ministro ucraino Arseny Yatsenyuk. Zeman dice che è "un primo ministro della guerra", perché non è disposto a risolvere pacificamente il conflitto civile, anche se Commissione europea ha raccomandato.
Yatsenyuk vuole risolvere il conflitto ucraino "con l'uso della forza", ha aggiunto il leader ceco.
Secondo Zeman, l'attuale politica di autorità di Kiev ha due "facce".
Il primo è il "volto" del presidente del paese, Petro Poroshenko, che "può essere un uomo di pace."
La seconda "volto" è quello di Yatsenyuk, che ha una posizione intransigente verso le forze di autodifesa in Ucraina orientale.
Zeman ha detto di non 'crede che il colpo di Stato di febbraio, durante la quale l'allora presidente Viktor Yanukovich è stato deposto dal potere, è stata una rivoluzione democratica a tutti.
"Maidan non era una rivoluzione democratica. Credo che l'Ucraina è in uno stato di guerra civile", ha detto Zeman.
Secondo i dati delle Nazioni Unite, almeno 4.317 persone sono state uccise e 9.921 feriti nel conflitto in Ucraina orientale, da aprile, quando le autorità di Kiev hanno lanciato una cosiddetta operazione antiterrorismo nella regione.
(trad. Peter Iiskola)

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Tschechiens Präsident spricht von "Bürgerkrieg" in der Ukraine (03.01.15)
...Während der ukrainische Präsident Petro Poroschenko ein „Mann des Friedens“ sein könnte, sei der Premier Arsenij Jazenjuk „eher ein Mann des Krieges“, der die Krise in dem Land mit Gewalt lösen wolle...
http://www.tt.com/home/9447324-91/tschechiens-pr%C3%A4sident-spricht-von-b%C3%BCrgerkrieg-in-der-ukraine.csp   
  
Tschechiens Präsident Zeman nennt Jazenjuk „Premier des Krieges“ (03.01.15)
...Zeman räumte ein, dass seine Ukraine-Äußerungen seiner eigenen Popularität in Tschechien geschadet haben, führte dies jedoch darauf zurück, dass viele Tschechen über die Ereignisse vom vergangenen Jahr in Kiew sehr schlecht informiert seien...
http://de.sputniknews.com/politik/20150103/300499346.html  

‘Something wrong with Ukraine, EU’: Czech leader condemns ‘Nazi torchlight parade’ (RT, January 04, 2015)
The chilling slogans and a flagrant demonstration of nationalist symbols during the neo-Nazi march in Kiev reminded the Czech President Milos Zeman of Hitler's Germany. He said something was “wrong” both with Ukraine and the EU which didn’t condemn it…

Falsche "Idealisierung" der Ukraine (05.01.15)
...Tschechiens Präsident Milos Zeman hat sich gegen eine »Idealisierung« der Ukraine ausgesprochen. »Viele schlecht informierte Leute idealisieren die Ukraine. Sie glauben, dass sich etwas wie eine Samtene Revolution ereignet habe«...
http://www.neues-deutschland.de/artikel/957331.falsche-idealisierung-der-ukraine.html
 
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Il presidente ceco compara una marcia dei nazionalisti ucraini per Bandera a quella dei nazisti

5/1/2015

Il presidente della Repubblica ceca, Milos Zeman, ha criticato la processione con le torce organizzata il primo gennaio scorso in Ucraina e si è dichiarato preoccupato della totale assenza di posizione dell'Ue al riguardo.
Miloš Zeman, in un'intervista alla radio Frekvence 1, ha chiamato all'attenzione sull'”estetica nazista” della processione dei nazionalisti ucraini che si è tenuta il primo gennaio. La marcia è stata organizzata in onore del leader nazionalista ucraino Stepán Bandera, figura che, secondo il presidente, era il referente di Reinhard Heydrich, capo della Gestapo e Luogotenente della Boemia e della Moravia durante la seconda guerra mondiale.  
Secondo Zeman, la processione con le torce è stata “organizzata assolutamente nella stessa maniera che le marce dei nazisti nella Germania governata da Hitler”. “Qualcosa di molto grave sta avvenendo in Ucraina. Ma è ancora peggiore il fatto che sta il tutto continui senza che l'Ue esprima la minima protesta contro queste azioni”, ha concluso.

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Nationalisten-Aufmarsch in Kiew: Zeman sieht Parallele zu Hitler-Deutschland 

05.01.2015 – Der tschechische Präsident Milos Zeman hat den jüngsten Fackelzug der Rechtsextremen in Kiew mit Aufmärschen während der Diktatur des Nationalsozialismus in Deutschland verglichen. 
„Es stimmt etwas nicht mit der Ukraine: Am 1. Januar wurden dort Aufmärsche zum Andenken an Stepan Bandera organisiert, der nebenbei gesagt wie Reinhard Heydrich (von 1941 bis 1942 stellvertretender Reichsprotektor in Böhmen und Mähren – Red.) aussieht“, sagte Zeman dem Radiosender Frekvence 1.
Der Fackelaufmarsch am 1. Januar 2015 in Kiew sei „genauso wie die Nazi-Aufmärsche zu Zeiten Hitlerdeutschlands organisiert“ worden. „Dann habe ich zu mir selbst gesagt, dass mit dieser Ukraine etwas Schlimmes passiert“, so Zeman. „Etwas Schlimmes passiert aber auch mit der Europäischen Union, von der es keinen Protest gegen diese Aktion gegeben hat.“
Am 1. Januar haben mehrere tausend Anhänger der Swoboda-Partei und des „Rechten Sektors“ in Kiew einen Fackelmarsch zum 106. Geburtstag des umstrittenen Nationalistenchefs Stepan Bandera abgehalten.


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Ufficiale di Praga rifiuta le medaglie Nato

Sta facendo molto discutere in Repubblica ceca una storia che ha come protagonista Marek Obrtel, ex ufficiale medico dell'esercito di Praga, impegnato in passato in missioni di peacekeeping in Bosnia-Erzegovina, Kosovo e Afghanistan. Obrtel che, in una lettera aperta, ha chiesto nei giorni scorsi al ministero della Difesa di Praga di riprendersi le medaglie da lui guadagnate durante le operazioni all'estero compiute nell'ambito di operazioni Nato. Un coinvolgimento di cui oggi Obrtel «si vergogna profondamente», ha scritto l'ex tenente colonnello. Questo perchè l’Alleanza atlantica si sarebbe trasformata in una «organizzazione criminale, guidata dagli Usa e dai suoi perversi interessi», la giustificazione di Obrtel, che ha poi chiarito ai media di Praga che l'impulso a riconsegnare le onorificenze è nato «dai recenti sviluppi politici» e dalla sua opposizione alle «politiche Usa verso la Russia, l'Ue e tutti i Paesi liberi». (m. man.)

03 gennaio 2015

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Na srpskohrvatskom:

Češki veteran s KiM odbija NATO odlikovanje: « Stidim se Zapada » (Ponedeljak 29.12.2014. - Beta)
Bivši češki vojni lekar, veteran iz misija na Kosovu, u BiH i Avganistanu, zatražio je od češkog ministra odbrane da mu oduzme odlikovanja NATO jer se ne slaže s politikom Zapada prema Rusiji i jer se stidi zapadnog vojnog saveza kao « zločinačke organizacije »…

Zakasnela pravda za Srbe (Sreda 31.12.2014.- J. Arsenović)
Bivši češki vojni lekar Marek Obrtel zatražio je od ministra odbrane svoje zemlje da mu oduzme NATO odlikovanja zato što se ne slaže s politikom Zapada prema Rusiji i jer se stidi Alijanse kao « zločinačke organizacije »…

Češki potpukovnik: Vraćam ordenje zločinačkoj NATO alijansi (E. V. N. | 03. januar 2015.)
Bivši češki vojni lekar, potpukovnik Marek Obrtel, koji je služio na Kosovu, u BiH i Avganistanu zatražio je u otvorenom pismu ministru odbrane da mu se ordenje oduzme…

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In english:

‘Ashamed to have served criminals’: Czech veteran returns NATO medals (RT, December 30, 2014)

Army doctor to return medals in protest against NATO (Czech News Agency / Prague Post, December 30, 2014)
Former Czech military doctor and reserve Lieutenant Colonel Marek Obrtel called on Defense Minister Martin Stropnický to strip him of the medals he received for taking part in NATO operations in protest against the U.S. policy on Russia, daily Právo writes today…
http://www.praguepost.com/czech-news/43556-monday-news-briefing-dec-30-2014

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Oberstleutnant gibt vier Medaillen an “kriminelle Vereinigung” N.A.T.O. zurück


Von PETRAPEZ  31. DEZEMBER 2014

Offener Brief an den Verteidigungsminister und die Regierung der Tschechischen Republik – Antrag auf Widerruf der Auszeichnungen in militärischen Operationen der AČR unter der Schirmherrschaft der N.A.T.O.


Es gibt sie noch, Menschen mit Gewissen, die nicht nur voller Groll in der Zimmerecke vor sich hin grummeln, sondern offen ihre Missbilligung mit einem grossen Paukenschlag über einen Militärapparat zum Ausdruck bringen, dem sie ihr Einkommen und Karriere verdankten.

Mit dieser guten Nachricht beenden wir das alte Jahr und starten zuversichtlich in das kommende. Möge dem guten Beispiel von Oberstleutnant Marek Obrtel so viel wie möglich folgen.

Marek Obrtel war tschechischer Militärarzt. Seine Einsatzgebiete waren die Kriege in Kosovo und Bosnien-Herzegovina und anderen Ländern des ehemaligen Jugoslawien sowie in Afghanistan. In Afghanistan war Obrtel Leiter des 11. tschechischen Militärkrankenhauses.

In einem dreiseitigen Brief an die tschechische Regierung und das Verteidigungsministerium, den er als Offenen Brief gleichzeitig an das Parlament weiterleitete um die Öffentlichkeit darüber in Kenntnis zu setzen, zeigte sich der Oberstleutnant tief beschämt darüber, an den internationalen Friedensmissionen der Nordatlantischen Allianz teilgenommen zu haben. Eine der Überschriften des in Abschnitte gegliederten Briefes heisst “Frost kommt aus dem Weissen Haus, das heisst von der N.A.T.O.” 

Marek Obrtel nannte darin die N.A.T.O. eine kriminelle Vereinigung mit grausamen Interessen und erbat den Modus zur Rücknahme seiner ihm verliehenen N.A.T.O.-Medaillen. Die von der U.S.A. geführte Allianz verfolge perverse Interessen und eine imperialistische Politik in künstlichen Konflikten auf der ganzen Welt auf der höchsten Stufe der Verderbtheit und des Machtrausches.

Weiter schrieb Obrtel, dass er seinen Dienst im guten Glauben mit allen ihm zur Verfügung stehenden Kräften ausführte und sein Bestes gegeben hatte, denn einen solchen Einsatz übt man nicht nur halb aus. “Aber immer mehr, besonders in Zusammenhang mit dem Kosovo-Konflikt, begann ich zu erkennen, dass unser Weg nicht richtig ist.”

Der Militärarzt schrieb weiter in dem Brief, dass jedes freie Land, das sich den Machtinteressen der U.S.A. widersetzt und seine Identität, die Ökonomie und Souveränität verteidigt, von der Landkarte getilgt werden müsse.

Der Militärarzt führte aus, dass er die Möglichkeit hatte, mit den Einheimischen zu sprechen. Dadurch wurde er in die Lage versetzt, eine Analyse und Bewertung der Situation aus allen möglichen Blickwinkeln führen zu können. 

“Immer, wenn ich das Gefühl bekam, dass “etwas nicht stimmt”, tröstete ich mich durch die Arbeit als Arzt und das es meine Aufgabe ist, den Kranken, Verletzten und Betroffenen, einschliesslich der lokalen Bevölkerung, wo unsere Truppen sie sahen, zu helfen.”

In den Gesprächen wurde Obrtel die “Absurdität” der Schritte der N.A.T.O. und die jüngsten Entwicklungen, die er als einen neuen Kalten Krieg bezeichnete, bewusst.

Das Verteidigungsministerium der Tschechischen Republik hat auf diesen Brief geantwortet, dass es kein Gesetz gibt, verliehene Medaillen wieder zurückzunehmen, aber er kann sie jederzeit zurückgeben, wenn er sie aufzugeben wünscht.

Der vollständige Brief, der auch auf die Rolle der C.I.A. und die Entwicklung der N.A.T.O. seit ihrer Gründung eingeht, wurde zwei Tage vor Weihnachten, am 22. Dezember 2014, auf der Parlamentwebsite PARLAMENTNI Liszty.cz unter “Marek Obrtel: Hluboce se stydím za zločineckou organizaci, jakou je NATO. Vracím vyznamenání” veröffentlicht.

In der Republik Tschechien wird seit Veröffentlichung des Briefes eine heftige Diskussion geführt. Dabei outen sich die Politiker, die als Kriegstreiber den Kurs der N.A.T.O. vehement verteidigen. Unter dem Artikel Veterán, který vrátil medaile a mluvil o „zločinném” NATO: Do debaty se zapojil generál a exministr obrany. A šlo se až na dřeň vom 30.Dezember 2014 kann die spannende Diskussion der Politiker in unserem Nachbarland verfolgt werden. 

Wir wünschen allen Leserinnnen und Leser ein gutes neues Jahr. Möge es uns mit vereinten Kräften gelingen, den Kriegsmoloch zu stoppen und die Verantwortlichen endlich zur Rechenschaft zu ziehen.





(fonte: mailing-list del Comitato NO NATO - vedi anche:
Sul volume "Se dici guerra" – Kappa Vu, aprile 2014 – vedi anche:
M. Dinucci è anche membro del Comitato Scientifico del Coord. Naz. per la Jugoslavia - onlus



Il riorientamento strategico della Nato dopo la guerra fredda / 2

Manlio Dinucci


La Nato alla conquista dell’Est
Nel 1999 inizia l’espansione della Nato nel territorio dell’ex Patto di Varsavia e dell’ex Unione Sovietica. L’«Alleanza Atlantica» ingloba  i primi tre paesi dell’ex Patto di Varsavia: Polonia, Repubblica ceca e Ungheria. Quindi, nel 2004, si estende ad altri sette: Estonia, Lettonia, Lituania (già parte dell’Urss); Bulgaria, Romania, Slovacchia (già parte del Patto di Varsavia); Slovenia (già parte della Repubblica iugoslava). Al vertice di Bucarest, nell’aprile 2008, viene deciso l’ingresso di Albania (un tempo membro del Patto di Varsavia) e Croazia (già parte della Repubblica iugoslava). Viene inoltre preparato l’ingresso nell’Alleanza dell’ex repubblica iugoslava di Macedonia e di  Ucraina e Georgia, già parte dell’Urss. Si afferma infine che continuerà la «politica della porta aperta» per permettere ad altri paesi ancora di entrare un giorno nella Nato. 
Gli Stati Uniti riescono così nel loro intento: sovrapporre a un’Europa basata sull’allargamento della Ue un’Europa basata sull’allargamento della Nato. Entrando nella Nato, i paesi dell’Europa orientale, comprese alcune repubbliche dell’ex Urss, vengono a essere più direttamente sotto il controllo degli Stati Uniti che mantengono nell’Alleanza una posizione predominante. Va ricordato che il Comandante supremo alleato in Europa è, per una sorta di diritto ereditario, un generale statunitense nominato dal presidente, e che tutti gli altri comandi chiave sono controllati direttamente dal Pentagono. 
Per di più, i nuovi paesi membri devono riconvertire gli armamenti e le infrastrutture militari secondo gli standard Nato: ciò avvantaggia l’industria bellica statunitense, dato che l’acquisto di armi statunitensi viene posto da Washington quale condizione per l’ammissione alla Nato. In tal modo gli Stati uniti  si assicurano una serie di strumenti militari ed economici, e quindi politici, per tenere questi paesi in posizione gregaria all’interno della Nato alle dirette dipendenze di Washington. Non solo: poiché Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Estonia, Lettonia, Lituania, Slovacchia, Slovenia, Romania e Bulgaria entrano nella Ue tra il 2004 e il 2007, Washington si assicura notevoli strumenti di pressione all’interno della stessa Unione europea per orientare le sue scelte politiche e strategiche. 

La Nato  in Afghanistan
La costituzione dell’Isaf (Forza internazionale di assistenza alla sicurezza) viene autorizzata dal Consiglio di sicurezza dell’Onu con la risoluzione 1386 del 20 dicembre 2001. Suo compito è quello di assistere l’autorità ad interim afghana a Kabul e dintorni. Secondo l’art. VII della Carta delle Nazioni unite, l'impiego delle forze armate messe a disposizione da membri dell’Onu per tali missioni deve essere stabilito dal Consiglio di sicurezza coadiuvato dal Comitato di stato maggiore, composto dai capi di stato maggiore dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza. Anche se tale comitato non esiste, l’Isaf resta fino all’agosto 2003 una missione Onu, la cui direzione viene affidata in successione a Gran Bretagna, Turchia, Germania e Olanda. 
Ma improvvisamente, l’11 agosto 2003, la Nato annuncia di aver «assunto il ruolo di leadership dell’Isaf, forza con mandato Onu». E’ un vero e proprio colpo di mano: nessuna risoluzione del Consiglio di sicurezza autorizza la Nato ad assumere la leadership, ossia il comando, dell’Isaf. Solo a cose fatte, nella risoluzione 1659 del 15 febbraio 2006, il Consiglio di sicurezza «riconosce il continuo impegno della Nato nel dirigere l’Isaf».
A guidare la missione, dall’11 agosto 2003, non è più l’Onu ma la Nato: il quartier generale Isaf viene infatti inserito nella catena di comando della Nato, che sceglie di volta in volta i generali da mettere a capo dell’Isaf. Come sottolinea un comunicato del giugno 2006, «la Nato ha assunto il comando e il coordinamento dell’Isaf  nell’agosto 2003: questa è la prima missione al di fuori dell’area euro-atlantica nella storia della Nato». La missione Isaf viene quindi di fatto inserita nella catena di comando del Pentagono. Nella stessa catena di comando sono inseriti i militari italiani assegnati all’Isaf, insieme a elicotteri e aerei, compresi i cacciabombardieri Tornado. 
Il «disegno di ordine e pace» della Nato in Afghanistan ha ben altri scopi di quelli dichiarati: non la liberazione dell’Afghanistan dai taleban, che erano stati addestrati e armati in Pakistan in una operazione concordata con la Cia per conquistare il potere a Kabul, ma l’occupazione dell’Afghanistan, area di primaria importanza strategica per gli Stati Uniti. Lo dimostrano le basi permanenti che installano qui, tra cui quelle aeree di Bagram, Kandahar e Shindand. 
Per capire il perché basta guardare la carta geografica: l’Afghanistan è al crocevia tra Medio Oriente, Asia centrale, meridionale e orientale. In quest’area (nel Golfo e nel Caspio) si trovano le maggiori riserve petrolifere del mondo. Si trovano tre grandi potenze – Cina, Russia e India – la cui forza complessiva sta crescendo e influendo sugli assetti globali. Come aveva avvertito il Pentagono nel rapporto del 30 settembre 2001, «esiste la possibilità che emerga in Asia un rivale militare con una formidabile base di risorse». Da qui la necessità di «pacificare» l’Afghanistan per disporre senza problemi del suo territorio. Ma, impegnati su troppi fronti, gli Usa non ce la fanno. Ecco quindi il coinvolgimento degli alleati Nato sotto paravento Onu, sempre agli ordini di un generale statunitense.
 
Il sostegno Nato a Israele 
Nell’aprile 2001 Israele firma al quartier generale della Nato a Bruxelles l’«accordo di sicurezza», impegnandosi a proteggere le «informazioni classificate» che riceverà nel quadro della cooperazione militare.
Nel luglio 2001 il Pentagono dà il nullaosta per la fornitura a Israele dei primi 1000 kit Jdam, realizzati dalla Boeing in collaborazione con la joint-venture italo-inglese Alenia Marconi Systems: questo nuovo sistema di guida rende «intelligenti» le bombe aeree «stupide» permettendo agli F-16 israeliani di colpire simultaneamente più obiettivi a oltre 50 km di distanza.
Nel giugno 2003 il governo italiano stipula con quello israeliano un memorandum d’intesa per la cooperazione nel settore militare e della difesa, che prevede tra l’altro lo sviluppo congiunto di un nuovo sistema di guerra elettronica. 
Nel gennaio 2004 un aereo radar Awacs della Nato atterra per la prima volta a Tel Aviv e il personale israeliano viene addestrato all’uso delle sue tecnologie.
Nel dicembre 2004 viene data notizia che la Germania fornirà a Israele altri due sottomarini Dolphin, che si aggiungeranno ai tre (di cui due regalati) consegnati negli anni ‘90. Israele può così potenziare la sua flotta di sottomarini da attacco nucleare, tenuti costantemente in navigazione nel Mediterraneo, Mar Rosso e Golfo Persico. 
Nel febbraio 2005 il segretario generale della Nato compie la prima visita ufficiale a Tel Aviv, dove incontra le massime autorità militari israeliane per «espandere la cooperazione militare». 
Nel marzo 2005 si svolge nel Mar Rosso la prima esercitazione navale congiunta Israele-Nato: il comando del gruppo navale della «Forza di risposta della Nato» è affidato alla marina italiana che vi partecipa con la fregata Bersagliere.
Nel maggio 2005, dopo essere stato ratificato al senato e alla camera, il memorandum d’intesa italo-israeliano diviene legge: viene così istituzionalizzata la cooperazione tra i ministeri della difesa e le forze armate dei due paesi riguardo l’«importazione, esportazione e transito di materiali militari», l’«organizzazione delle forze armate», la «formazione/addestramento». 
Nel maggio 2005 Israele viene ammesso quale membro dell’Assemblea parlamentare della Nato.
Nel giugno 2005 la marina israeliana partecipa a una esercitazione Nato nel Golfo di Taranto.
Nel luglio 2005 truppe israeliane partecipano per la prima volta a una esercitazione Nato «anti-terrorismo», che si svolge in Ucraina. 
Nel giugno 2006 una nave da guerra israeliana partecipa a una esercitazione Nato nel Mar Nero allo scopo di «creare una migliore interoperabilità tra la marina israeliana e le forze navali Nato».
Nell’ottobre 2006, Nato e Israele concludono un accordo che stabilisce una più stretta cooperazione israeliana al programma Nato «Dialogo mediterraneo», il cui scopo è «contribuire alla sicurezza e stabilità della regione». In tale quadro, «Nato e Israele si accordano sulle modalità del contributo israeliano all’operazione marittima della Nato Active Endeavour» (Nato/Israel Cooperation, 16 ottobre 2006). Israele viene così premiato dalla Nato per l’attacco e l’invasione del Libano. Le forze navali israeliane, che insieme a quelle aeree e terrestri hanno appena martellato il Libano con migliaia di tonnellate di bombe facendo strage di civili, vengono integrate nella operazione Nato che dovrebbe «combattere il terrorismo nel Mediterraneo». Le stesse forze navali che, bombardando la centrale elettrica di Jiyyeh sulle coste libanesi, hanno provocato una enorme marea nera diffusasi nel Mediterraneo (la cui bonifica verrà a costare centinaia di milioni di dollari), collaborano ora con la Nato per «contribuire alla sicurezza della regione».
Il 2 dicembre 2008, circa tre settimane prima dell’attacco israeliano a Gaza, la Nato ratifica il «Programma di cooperazione individuale» con Israele. Esso comprende una vasta gamma di campi in cui «Nato e Israele coopereranno pienamente»: controterrorismo, tra cui scambio di informazioni tra i servizi di intelligence; connessione di Israele al sistema elettronico Nato; cooperazione nel settore degli armamenti; aumento delle esercitazioni militari congiunte Nato-Israele; allargamento della cooperazione nella lotta contro la proliferazione nucleare (ignorando che Israele, unica potenza nucleare della regione, ha rifiutato di firmare il Trattato di non-proliferazione).
 
La Nato «a caccia di pirati» nell’Oceano Indiano   
Nell’ottobre 2008, un gruppo navale della Nato, lo Standing Nato Maritime Group 2 (Snmg2) attraversa il Canale di Suez, entrando nell’Oceano Indiano. Ne fanno parte navi da guerra di Italia, Stati uniti, Germania, Gran Bretagna, Grecia e Turchia. Lo Snmg2 è il successore della Standing Naval Force Mediterranean (Stanavformed), la forza navale permanente del Mediterraneo, costituita nel 1992 dalla Nato in base al «nuovo concetto strategico». Questo gruppo navale (il cui comando è assunto a rotazione dai paesi membri) fa parte di una delle tre componenti dello Allied Joint Force Command Naples, il cui comando è permanentemente attribuito a un ammiraglio statunitense, lo stesso che comanda le Forze navali Usa in Europa. L’area in cui opera lo Snmg2 non ha ormai più confini, in quanto esso costituisce una delle unità della «Forza di risposta della Nato», pronta a essere proiettata «per qualsiasi missione in qualsiasi parte del mondo».
Scopo ufficiale della missione dello Snmg2 nell’Oceano Indiano è condurre «operazioni anti-pirateria» lungo le coste della Somalia, scortando i mercantili che trasportano gli aiuti alimentari del World Food Program delle Nazioni Unite. In questo «sforzo umanitario», la Nato «continua a coordinare la sua assistenza con l’operazione Enduring Freedom a guida Usa». Sorge quindi il dubbio che, dietro questa missione Nato, vi sia ben altro. In Somalia, la politica statunitense sta subendo un nuovo scacco: le truppe etiopiche, qui inviate nel 2006 dopo il fallimento del tentativo della Cia di rovesciare le Corti islamiche sostenendo una coalizione «anti-terrorismo» dei signori della guerra, sono state costrette a ritirarsi dalla resistenza somala. 
Washington prepara quindi altre operazioni militari per estendere il proprio controllo alla Somalia, provocando altre disastrose conseguenze sociali. Esse sono alla base dello stesso fenomeno della pirateria, nato in seguito alla pesca illegale da parte di flotte straniere e allo scarico di sostanze tossiche nelle acque somale, che hanno rovinato i piccoli pescatori, diversi dei quali sono ricorsi alla pirateria. Nella strategia statunitense e Nato, la Somalia è importante per la sua stessa posizione geografica sulle coste dell’Oceano Indiano.  Per controllare quest’area è stata stazionata a Gibuti, all’imboccatura del Mar Rosso,  una task force statunitense.  L’intervento militare, diretto e indiretto, in questa e altre aree si intensifica ora con la nascita del Comando Africa degli Stati uniti. E’ nella sua «area di responsabilità» che viene inviato il gruppo navale Nato.
Esso ha però anche un’altra missione ufficiale: visitare alcuni paesi del Golfo persico (Kuwait, Bahrain, Qatar ed Emirati arabi uniti), partner Nato nel quadro dell’Iniziativa di cooperazione di Istanbul. Le navi da guerra della Nato vanno così ad aggiungersi alle portaerei e molte altre unità che gli Usa hanno dislocato nel Golfo e nell’Oceano Indiano, in funzione anti-Iran e per condurre, anche con l’aviazione navale, la guerra aerea in Afghanistan.  
 
(2 – continua)


Il riorientamento strategico della Nato dopo la guerra fredda / 3

Manlio Dinucci


La strategia di demolizione degli Stati 
La strategia Usa/Nato consiste nel demolire gli Stati che sono del tutto o in parte fuori del controllo degli Stati uniti e delle maggiori potenze europee, soprattutto quelli situati nelle aree ricche di petrolio e/o con una importante posizione geostrategica. Si privilegiano, nella lista delle demolizioni,  gli Stati che non hanno una forza militare tale da mettere in pericolo, con una rappresaglia, quella dei demolitori. 

L’operazione inizia infilando dei cunei nelle crepe interne, che ogni Stato ha. Nella Federazione Iugoslava, negli anni ’90, vengono fomentate le tendenze secessioniste, sostenendo e armando i settori etnici e politici  che si oppongono al governo di Belgrado. Tale operazione viene attuata facendo leva su nuovi gruppi dirigenti, spesso formati da politici passati all’opposizione per accaparrarsi dollari e posti di potere. 
Contemporaneamente si conduce una martellante campagna mediatica per presentare la guerra come necessaria per difendere i civili, minacciati di sterminio da un feroce dittatore. 

Si chiede quindi l’autorizzazione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, motivando l’intervento con la necessità di destituire il dittatore che fa strage di inermi civili (nel caso della Iugoslavia, Milosevic). Basta il timbro con scritto «si autorizzano tutte le misure necessarie» ma, se non viene dato (come nel caso della Iugoslavia), si procede lo stesso. La macchina da guerra Usa/Nato, già approntata, entra in azione con un massiccio attacco aeronavale e operazioni terrestri all’interno del paese, attorno a cui è stato fatto il vuoto con un ferreo embargo. 
 
La guerra contro la Libia
Dopo essere stata attuata contro la Federazione Iugoslava, tale strategia viene usata contro la Libia nel 2011. 
Vengono finanziati e armati i settori tribali ostili al governo di Tripoli e anche gruppi islamici fino a pochi mesi prima definiti terroristi. Vengono allo stesso tempo infiltrate in Libia forze speciali, tra cui migliaia di commandos qatariani facilmente camuffabili. L’intera operazione viene diretta dagli Stati uniti, prima tramite il Comando Africa, quindi tramite la Nato sotto comando Usa. 

Il 19 marzo 2011 inizia il bombardamento aeronavale della Libia. In sette mesi, l’aviazione Usa/Nato effettua 30mila missioni, di cui 10mila di attacco, con impiego di oltre 40mila bombe e missili. A questa guerra partecipa l’Italia con le sue basi e forze militari, stracciando il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra i due paesi. «Nel ricordo delle lotte di liberazione e del 25 aprile – dichiara il presidente Napolitano il 26 aprile 2011 – non potevamo restare indifferenti alla sanguinaria reazione del colonnello Gheddafi in Libia: di qui l'adesione dell'Italia al piano di interventi della coalizione sotto guida Nato».

Molteplici fattori rendono la Libia importante agli occhi degli Stati uniti e delle potenze europee. Le riserve petrolifere – le maggiori dell’Africa, preziose per l’alta qualità e il basso costo di estrazione – e quelle di gas naturale. Dopo che Washington abolisce nel 2003 le sanzioni in cambio dell’impegno di Gheddafi a non produrre armi di distruzione di massa, le grandi compagnie petrolifere statunitensi ed europee affluiscono in Libia con grandi aspettative, rimanendo però deluse. Il governo libico concede le licenze di sfruttamento alle compagnie straniere che lasciano alla compagnia statale libica (National Oil Corporation of Libya, Noc) la percentuale più alta del petrolio estratto: data la forte competizione, essa arriva a circa il 90%. Per di più la Noc richiede, nei contratti, che le compagnie straniere assumano personale libico anche in ruoli dirigenti. Abbattendo lo Stato libico, gli Stati uniti e le potenze europee mirano a impadronirsi di fatto della sua ricchezza energetica. 

Oltre che all’oro nero, mirano all’oro bianco libico: l’immensa riserva di acqua fossile della falda nubiana (stimata in 150mila km3), che si estende sotto Libia, Egitto, Sudan e Ciad. Quali possibilità di sviluppo essa offra lo ha dimostrato il governo libico, costruendo una rete di acquedotti lunga 4mila km per trasportare l’acqua, estratta in profondità da 1300 pozzi nel deserto, fino alle città costiere e all’oasi al Khufrah, rendendo fertili terre desertiche. Su queste riserve idriche, in prospettiva più preziose di quelle petrolifere, vogliono mettere le mani – attraverso le privatizzazioni promosse dal Fmi­ – le multinazionali dell’acqua, che controllano quasi la metà del mercato mondiale dell’acqua privatizzata.

Nel mirino Usa/Nato
 ci sono anche i fondi sovrani, i capitali che lo Stato libico ha investito all’estero. I fondi sovrani gestiti dalla Libyan Investment Authority (Lia) sono stimati in circa 70 miliardi di dollari, che salgono a oltre 150 se si includono gli investimenti esteri della Banca centrale e di altri organismi. Da quando viene costituita nel 2006, la Lia effettua in cinque anni investimenti in oltre cento società nordafricane, asiatiche, europee, nordamericane e sudamericane: holding, banche, immobiliari, industrie, compagnie petrolifere e altre. Tali fondi vengono «congelati», ossia sequestrati, dagli Stati uniti e dalle maggiori potenze europee. 

L’assalto ai fondi sovrani libici ha un impatto particolarmente forte in Africa. Qui la Libyan Arab African Investment Company ha effettuato investimenti in oltre 25 paesi, 22 dei quali nell’Africa subsahariana, programmando di accrescerli soprattuttto nei settori minerario, manifatturiero, turistico e in quello delle telecomunicazioni. Gli investimenti libici sono stati decisivi nella realizzazione del primo satellite di telecomunicazioni della Rascom  (Regional African Satellite Communications Organization) che, entrato in orbita nell’agosto 2010, permette ai paesi africani di cominciare a rendersi indipendenti dalle reti satellitari statunitensi ed europee, con un risparmio annuo di centinaia di milioni di dollari.

Ancora più importanti sono stati gli investimenti libici nella realizzazione dei tre organismi finanziari varati dall’Unione africana: la Banca africana di investimento, con sede a Tripoli; il Fondo monetario africano, con sede a Yaoundé (Camerun); la Banca centrale africana, con sede ad Abuja (Nigeria). Lo sviluppo di tali organismi potrebbe permettere ai paesi africani di sottrarsi al controllo della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale, strumenti del dominio neocoloniale, e potrebbe segnare la fine del franco Cfa, la moneta che sono costretti a usare 14 paesi africani, ex-colonie francesi. Il congelamento dei fondi libici assesta un colpo fortissimo all’intero progetto
.

Importante, per gli Usa e la Nato, la stessa posizione geografica della Libia. all’intersezione tra Mediterraneo, Africa e Medio Oriente. Va ricordato che re Idris, nel 1953, aveva concesso agli inglesi l’uso di basi aeree, navali e terrestri in Cirenaica e Tripolitania. Un accordo analogo era stato concluso nel 1954 con gli Stati uniti, che avevano ottenuto l’uso della base aerea di Wheelus Field alle porte di Tripoli. Essa era divenuta la principale base aerea statunitense nel Mediterraneo. Abolita la monarchia, la Repubblica araba libica aveva costretto nel 1970 le forze statunitensi e britanniche a evacuare le basi militari e, l'anno seguente, aveva nazionalizzato le proprietà della British Petroleum  e costretto le altre compagnie a versare allo Stato libico quote molto più alte dei profitti.

Con la guerra Usa/Nato del 2011, viene demolito lo Stato libico e assassinato lo stesso Gheddafi, attribuendo l’impresa a una «rivoluzione ispiratrice» che gli Usa si dicono fieri di sostenere, creando «una alleanza senza eguali contro la tirannia e per la libertà». Viene demolito quello Stato che, sulla sponda sud del Mediterraneo di fronte all’Italia, manteneva «alti livelli di crescita economica» (come documentava nel 2010 la stessa Banca mondiale), con un aumento medio del pil del 7,5% annuo, e registrava «alti indicatori di sviluppo umano» tra cui l’accesso universale all’istruzione primaria e secondaria e, per il 46%, a quella di livello universitario. Nonostante le disparità, il tenore di vita della popolazione libica era notevolmente più alto di quello degli altri paesi africani. Lo testimoniava il fatto che trovavano lavoro in Libia oltre due milioni di immigrati, per lo più africani.

In Libia le prime vittime sono proprio gli immigrati dall’Africa subsahariana che, perseguitati, sono costretti a fuggire. Molti, spinti dalla disperazione, tentano la traversata del Mediterraneo verso l’Europa. Quelli che vi perdono la vita sono anch’essi vittime della guerra con cui la Nato ha demolito lo Stato libico.
 
L’inizio della guerra contro la Siria
Nell’ottobre 2012 il Consiglio atlantico denuncia «gli atti aggressivi del regime siriano al confine sudorientale della Nato», pronto a far scattare l’articolo 5 che 
impegna ad assistere con la forza armata il paese membro «attaccato», la Turchia. Ma è già in atto il «non-articolo 5» – introdotto durante la guerra alla Iugolavia e applicato contro l’Afghanistan e la Libia – che autorizza operazioni non previste dall’articolo 5, al di fuori del territorio dell’Alleanza. Eloquenti sono le immagini degli edifici di Damasco e Aleppo devastati con potentissimi esplosivi: opera non di semplici ribelli, ma di professionisti della guerra infiltrati. Circa 200 specialisti delle forze d’élite britanniche Sas e Sbs – riporta il Daily Star – operano in Siria, insieme a unità statunitensi e francesi. 

La forza d’urto è costituita da una raccogliticcia armata di gruppi islamici (fino a poco prima bollati da Washington come terroristi) provenienti da Afghanistan, Bosnia, Cecenia, Libia e altri paesi. Nel gruppo di Abu Omar al-Chechen – riferisce l’inviato del Guardian ad Aleppo – gli ordini vengono dati in arabo, ma devono essere tradotti in ceceno, tagico, turco, dialetto saudita, urdu, francese e altre lingue. Forniti di passaporti falsi (specialità Cia), i combattenti affluiscono nelle province turche di Adana e Hatai, confinante con la Siria, dove la Cia ha aperto centri di formazione militare. Le armi arrivano soprattutto via Arabia Saudita e Qatar che, come in Libia, fornisce anche forze speciali. 

Il comando delle operazioni è a bordo di navi Nato nel porto di Alessandretta. A Istanbul viene aperto un centro di propaganda dove dissidenti siriani, formati dal Dipartimento di stato Usa, confezionano le notizie e i video che vengono diffusi tramite reti satellitari. La guerra Nato contro la Siria è dunque già in atto, con la motivazione ufficiale di aiutare il paese a liberarsi dal regime di Assad. Come in Libia, si è infilato un cuneo nelle fratture interne per far crollare lo Stato, strumentalizzando la tragedia delle popolazioni travolte. 

Una delle ragioni per cui si vuole colpire e occupare la Siria è il fatto che Siria, Iran e Iraq hanno firmato nel luglio 2011 un accordo per un gasdotto che, entro il 2016, dovrebbe collegare il giacimento iraniano di South Pars, il maggiore del mondo, alla Siria e quindi al Mediterraneo. La Siria, dove è stato scoperto un altro grosso giacimento presso Homs, potrebbe divenire in tal modo un hub di corridoi energetici alternativi a quelli attraverso la Turchia e altri percorsi, controllati dalle compagnie statunitensi ed europee. 
 
(3 - continua)







E' TUTTO SEMPRE SOLO COLPA DELLA RUSSIA


Nel corso del suo recente viaggio in Germania, il premier della junta golpista ucraina Jatsenjuk non ha mancato di compiacere i suoi padroni tedeschi riscrivendo a suo modo la storia e la cronaca di questi giorni. Secondo Jatsenjuk, fu l'Unione Sovietica a invadere la Germania e l'Ucraina durante la II G.M., mentre oggi la responsabilità del terrorismo islamista che ha duramente colpito la Francia è della Federazione Russa.


Fonti:

Jazenjuk ha detto che l'Unione Sovietica invase la Germania e l'Ucraina (9/1/2015)
http://comunicati.russia.it/jazenjuk-ha-detto-che-l-unione-sovietica-invase-la-germania-e-l-ucraina.html
Orig.: http://lifenews.ru/news/148125




(srpskohrvatski / english / italiano)

Bosnia: Islam contro Islam

1) Terrorismo nel Nord-Est / La storia dell'imbianchino Mesinovic arrivato a Longarone dalla Bosnia / Califfato: la rete bosniaca recluta in Italia (ott-nov 2014)
2) «Quello è mio figlio», Lidia riconosce il piccolo in tv: è nella rete dell'Isis / Ismail Davud Mesinovic, il bambino italiano con l’Isis (dic 2014)
3) IMAM BOSNIACO AGGREDITO 7 VOLTE PER LE SUE POSIZIONI ANTI-ISIS:
Bosnian imam attacked 7 times over call to stay out of Syria (AP, Jan 5, 2015) / U Trnovi nožem napadnut imam Selvedin Beganović / "Naš džihad je otvarati radna mjesta, a ne ići na strana ratišta"


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Vedi anche, sulla strage alla redazione di Charlie Hebdo:

Un colpo alla Francia e all'Europa (di Giulietto Chiesa, mercoledì 7 gennaio 2015)
Operazione in grande stile: per colpire la Francia. Per colpire l'Europa. Guardarsi dalla spiegazione più semplice, il far odiare l'Islam...

Charlie Hebdo: la guerra e la guerra santa (di Francesco Santoianni, 7/1/2015)
http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=2839

Il Punto di Giulietto Chiesa: Parigi, trappola sanguinosa
07/01/2015 – La riflessione di Giulietto Chiesa sull’attentato alla redazione di Charlie Hebdo, quali conseguenze potrebbe generare e a chi potrebbero essere utili...
http://www.pandoratv.it/?p=2575
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=p9mpDJgmncg

Vedi anche, sull'appoggio dei paesi occidentali ai tagliagole "islamisti"

Lobbysti USA a favore dell' ISIS (nov 2014)
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8153

Fantomas colpisce ancora. L'apprendista-imperialista stregone ci regala uno spauracchio dopo l'altro: da Bin Laden all'ISIS, e si prepara Al-Fadhli… (ott 2014)
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8126

Vedi anche, sulla importazione/esportazione del terrorismo islamista balcanico dapprima vezzeggiato come strumento per la distruzione della Jugoslavia:

COME LIBERARSI DEI TAGLIAGOLE DOPO AVERLI UTILIZZATI?
In campi bosniaci l’addestramento agli islamici Ue / Mujaheddin bosniaci hanno inondato la Siria / Kosovo, il nuovo "serbatoio" di estremisti islamici al di là dell'Adriatico...

I CROCIATI E GLI ASSASSINI
I nuovi jihadisti vengono dal Kosovo / L'imam Bilal Bosnic: giusto rapire le ragazze italiane / La spirale balcanica minaccia jihadista per l'Italia / Quando l'imam combatteva in Bosnia / Il vero pericolo terrorista arriva dai Balcani…
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8102

HANDZAR AND SKANDERBEG RELOADED
In Sangiaccato sfilano una trentina di giovani con le uniformi ed il "fez" dei reparti musulmani delle "SS" / I ‘nazi-islamisti’, eredità sporca dei Balcani / Arrestato il capo religioso della Grande Moschea di Pristina. Reclutava per l'ISIS / FLASHBACKS 2005--2010…
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8115

I jihadisti? I figli delle fondazioni di beneficienza (di Lavdrim Lita, 12/9/2014)
http://www.eastjournal.net/balcani-i-jihadisti-i-figli-delle-fondazioni-di-beneficienza/47524

Guerra santa, terrorismo di stato e crimine organizzato in Bosnia (di Riccardo M. Ghia per Bright Magazine, 2011)
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/7204

LA "TRASVERSALE VERDE": UN PO' DI STORIA
A cura del Coordinamento Romano per la Jugoslavia, 1998
http://digilander.iol.it/lajugoslaviavivra/CRJ/GEOPO/storia_zetra.html


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http://www.repubblica.it/cronaca/2014/10/30/news/jihad_italia_is_padova_inchiesta_terroristi-99386873/

Terrorismo nel Nord-Est, perquisite le case di 5 presunti jihadisti

Indagine della procura padovana contro cinque individui. Ipotesi di reato: associazione con fini di terrorismo internazionale e arruolamento. Si cerca di svelare la rete di contatti che ha portato alla radicalizzazione degli indagati

di GIULIANO FOSCHINI e FABIO TONACCI

30 ottobre 2014

PADOVA - Terroristi. E reclutatori. Con la testa in Italia ma con il cuore in Siria, accanto ai combattenti dell'Is. E' questa l'accusa che viene mossa dai carabinieri del Ros di Padova hanno bussato alle porte dei cinque indagati principali (quattro bosniaci e un macedone) dell'inchiesta sulla presunta nuova cellula terrorista del Nord Est.

Sono state perquisite le case dei due fondamentalisti di Belluno partiti per la Siria e finiti a combattere nelle file dell'Is: l'imbianchino bosniaco Ismar Mesinovic (morto a gennaio nei pressi di Aleppo) e Munifer Karameleski, il 26enne macedone residente a Chies D'Alpago e amico di Mesinovic (entrambi frequentatori del centro islamico Assalam di Ponte nelle Alpi). Di Karameleski si sono perse le tracce. Secondo alcuni blog stranieri sarebbe morto anche lui durante uno scontro con le milizie di Bashar al-Assad, a marzo. Ma della notizia non si è mai avuta la conferma ufficiale, dunque gli investigatori italiani ritengono che possa essere ancora vivo e non escludono un suo ritorno in Italia da reduce.

Ma non ci sono solo loro, nell'indagine avviata a gennaio dal pm Valter Ignazitto e che li vede accusati a vario titolo in base all'articolo 270 bis e quater del codice penale per associazione con fini di terrorismo anche internazionale e arruolamento. Tra i perquisiti figurano P.P., un giovane bosniaco che vive a Longarone, e altri due soggetti di religione islamica che di recente si sono radicalizzati: O.A. e V.A., entrambi residenti nel piccolo comune friulano di Azzano Decimo e assidui frequentatori del Centro di preghiera di Pordenone, dove nel 2013 potrebbero aver conosciuto Bilal Bosnic, l'imam errante salafita che si muoveva tra la Bosnia, l'Austria e il Nord Italia [ http://www.repubblica.it/esteri/2014/08/28/news/bilal_bosnic_ci_sono_italiani_nell_is_conquisteremo_il_vaticano-94559220/ ], arrestato nel settembre scorso e tuttora detenuto a Sarajevo. 

Anche Karameleski e Mesinovic, almeno in un'occasione, sono andati a pregare a Pordenone nello stesso centro culturale, prima di mollare tutto e partire per la Jihad. Mesinovic si è portato dietro anche il figlioletto di tre anni, che secondo alcune fonti straniere sarebbe stato affidato a una famiglia bosniaca in Siria, mentre la moglie cubana di Ismar è rimasta in Italia.

In particolare V.A. è ritenuto dagli inquirenti soggetto particolarmente interessante: operaio, sulla trentina, sposato con una donna slava. Ad Azzano Decimo non passa inosservato: look da predicatore islamico e parole da convinto sostenitore dell'Is. Nelle cinque abitazioni perquisite sono stati sequestrati 5 pc e varie chiavette usb e altro materiale hardware. Nei prossimi giorni saranno analizzati dai tecnici forensi della procura. Era attraverso i portatili e attraverso software quali Skype e Viber che i cinque comunicavano tra loro e con soggetti all'estero. Anche se al momento non sono state individuate conversazioni particolarmente "pericolose" o indicative di un imminente "passaggio all'azione".

Quello che gli inquirenti stanno cercando di capire è la rete di contatti che ha consentito ai due di Belluno di arrivare in Siria, passando via terra dalla Turchia. E quale sia stato il ruolo dell'imam salafita Bosnic nel percorso di radicalizzazione dei quattro uomini.

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http://ricerca.gelocal.it/corrierealpi/archivio/corrierealpi/2014/10/31/NZ_02_22.html

La storia dell'imbianchino Mesinovic arrivato a Longarone dalla Bosnia

PONTE NELLE ALPI. Dai Balcani alla Siria, via Bellunese. La storia di Ismar Mesinovic e Munifer Karamaleski è, per molti versi, simile. Mesinovic era partito da Doboj, una cittadina della Repubblica Serba di Bosnia, per stabilirsi a Longarone. Faceva l'imbianchino per un'azienda di Ponte nelle Alpi, quando ha deciso di portare chissà dove il piccolissimo Ismair e lasciare la moglie cubana Lidia Solano Herrera, per andare in Siria. È morto a gennaio, in un combattimento. La donna, che per amore si era convertita all'Islam non porta più il velo e adesso vive con la sorella. Il sindaco longaronese Roberto Padrin ha sempre detto di «non aver mai avuto problemi con i suoi vicini musulmani». Karamaleski è di Plasnica, un centro della Macedonia. Venticinquenne, sposato e padre di tre bambine, lavorava come operaio in un'ottica di Cornei Puos d'Alpago, quando ha deciso di licenziarsi, farsi cancellare dall'anagrafe del Comune di Puos e partire insieme a Mesinovic. Il sindaco di Chies d'Alpago, Gianluca Dal Borgo l'ha sempre descritto come «un ragazzo elegante e discreto. Integrato nella comunità alpagota, ma anche assiduo frequentatore della moschea Assalam». (g.s.)

31 ottobre 2014

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http://www.analisidifesa.it/2014/11/califfato-la-rete-di-reclutameno-bosniaca-attiva-in-italia/

CALIFFATO: LA RETE BOSNIACA RECLUTA IN ITALIA

di Redazione, 11 novembre 2014

di Paolo Giovannelli da Redattore Sociale del 10 novembre 2014

Era il 1992 quando l’Europa abbandonò la Bosnia al suo destino, schiacciata nella guerra fra il nazionalismo serbo e quello croato. Quell’indifferenza consentì all’Islam – anche quello integralista – di rientrare (non accadeva dai tempi degli Ottomani) nel cuore dell’Europa sulla scia di organizzazioni umanitarie islamiche, predicatori e reparti di paramilitari arabi e asiatici inviati in soccorso dei “fratelli musulmani” di Bosnia. Oggi le polizie europee danno la caccia ai presunti reclutatori bosniaci che – selezionandoli in Europa – inviano combattenti in Siria a supporto della Jihad dello Stato islamico (Is), alcuni dei quali attivi anche in Italia.

I reclutatori in Italia

Il più sospettato fra quelli passati per l’Italia, è sicuramente l’imam radicale Bilal Hussein Bosnic, 42 anni, conosciuto dai suoi come Cheb Bilal: “Ogni musulmano deve sostenere la Jihad insegnando, lottando o finanziando.
Noi musulmani crediamo che un giorno il mondo intero sarà uno Stato islamico e anche il Vaticano sarà musulmano”. Parole sue. Nel settembre scorso è stato catturato dalla Sipa, la polizia speciale del ministero per la Sicurezza di Sarajevo, che lo ha accusato di finanziare il terrorismo di matrice islamica e reclutare combattenti da inviare in Siria; per riaverlo in Italia e interrogarlo, cosa che il pm Walter Ignazitto dovrà fare, serve adesso l’apertura di una rogatoria internazionale
Un altro indagato, insieme a Veapi, sarebbe Arslan Osmanoski, sospettato di aver favorito la predicazione di Bosnic al centro islamico di Pordenone.
Tuttavia l’imam di Pordenone, Ahmed Erraji, che tira fuori dal cassetto le foto con Bilal Bosnic scattate nel maggio-giugno 2013, è certo dell’estraneità ai fatti di
Veapi e Osmanoski e ribadisce la sua condanna contro gli integralisti islamici: «Non abbiamo nulla da nascondere e vogliamo vivere in pace», afferma. Proprio in questi giorni i Ros di Padova hanno effettuato nuove perquisizioni a Longarone, a Chies d’Alpago e ad Azzano Decimo, sia a casa di Munifer Karamaleski (operaio macedone che ha lasciato Palughetto e che attualmente dovrebbe combattere in Siria) e di un italiano bellunese convertitosi all’Islam, Pierangelo Abdessalam Pierobon,
sequestrando computer, telefonini e documenti. Nei telefonini sequestrati, i Ros avrebbero trovato alcuni “selfie” fatti in compagnia dello stesso imam radicale Bilal Bosnic.  Bilal Bosnic è considerato uno dei capi del movimento dei wahabiti bosniaci (diffusosi in Bosnia-Erzegovina con la brigata El Mudžahid, nel 1992 e poi nel 1994: paramilitari ben addestrati, di origine araba o asiatica). Bosnic, che avrebbe iniziato a combattere nella guerra dei Balcani non ancora ventenne contro i serbi, ha dichiarato che ci sarebbero anche cittadini italiani (una cinquantina) tra i combattenti dello Stato islamico (Is).
In Italia ha tenuto vari incontri “di preghiera”, come nelle città di Bergamo, Pordenone e Cremona. In un video del 2012 intitolato Con chi stai insieme?, lo si può vedere al centro culturale “Restelica” di Monteroni di Siena, insieme ad un altro predicatore radicale islamico, Idriz Bilibani, quest’ultimo già arrestato dalla polizia kosovara nel 2010, probabilmente su richiesta americana. In Bosnia, dalla metà degli anni ’90, si sono consolidate roccaforti di stampo salafita-jihadista. Da tali insediamenti si sono sviluppate le reti su cui viaggiano i messaggi degli imam radicali: un pericolo non soltanto per l’area balcanica ma anche per il resto d’Europa e per l’Italia.
Nell’agosto scorso, l’imam Bosnic aveva anche giustificato il rapimento delle due cooperanti italiane, Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, definendo la loro azione come “interferenza” e aveva descritto come spia James Foley, il giornalista americano ucciso dall’Is, giustificando il suo assassinio come atto di guerra.

Gli operai italiani del Jihad

In Italia, secondo gli inquirenti, potrebbe essere stato proprio l’incitamento di Bosnic alla “guerra santa” ad aver convinto sia l’imbianchino bosniaco Ismar Mesinovic (partito dall’Italia per la Siria fra il novembre e il dicembre 2013), sia l’operaio macedone Munifer Karamaleski , frequentatore dei centri islamici di Trento e di Pordenone.
Mesinovic, nato a Doboj (Bosnia) il 22 agosto 1977, si recava a pregare al centro Assalam-Pace di Ponte nelle Alpi: è morto in Siria, a 37 anni, nei primi giorni del gennaio scorso (sembra tra il 4 e il 6 gennaio) in circostanze non chiarite. Ancora non si capisce se sia davvero caduto in combattimento; sua moglie (una cittadina cubana convertitasi all’Islam) ha dichiarato di aver saputo che il marito era stato gravemente ferito ad Aleppo, dove infuriava la battaglia fra jihadisti e le truppe del presidente siriano Assad.
La morte di Mesinovic è stata comunque provata da fotografie pubblicate in internet, sia dall’estremo saluto che i suoi confratelli hanno postato su profilo Facebook Scienza del Corano il 13 gennaio scorso. Il messaggio recita: “Io Anass Abu Jaffar (adesso indicato come indagato dalla procura di Venezia,ndr) e il Fratello Usama e il Fratello Piero con il mio carissimo fratello che è morto Rahimahu Allah che Allah gli doni il firdaws (il livello più alto del paradiso islamico, ndr). Così, sorridente voglio ricordare questo fratello morto in Siria… Morto perché il suo sogno era quello di riportare giustizia in quella terra. Morto per quelle migliaia e migliaia di donne e bambini uccisi ingiustamente.
Allah ne sa di più. Che Allah abbia misericordia della tua anima e che ti accolga nel firdaws tra i martiri). Nella foto allegata al messaggio, c’è quindi il volto di Ismar Mesinovic, imbianchino benvoluto nel bellunese, che da Longarone si era trasferito insieme alla compagna e al figlioletto in una casa di Ponte nelle Alpi.
Il 25 aprile scorso, ancora sulla Scienza del Corano, profilo prevalentemente gestito dallo stesso Annas Abu Jaffar (attualmente non più in Italia: dovrebbe essersi trasferito a Casablanca, in Marocco) è stata pubblicata anche una foto di un combattente islamico con la bandiera nera dell’Is: il commento a fianco punta sul concetto di “nazione vittoriosa”.
Parlando ancora di siti web di matrice islamico-integralista gestiti in Italia, va notato che – in concomitanza con l’arresto di Bosnic da parte della polizia di Sarajevo – a Bergamo chiudeva il sito internet “Islamsko Dzemat Bergamo” (Studio Islam) e la corrispettiva pagina Facebook, che aveva pubblicato diversi video che ritraevano lo stesso predicatore bosniaco. Sempre nello stesso periodo della partenza di Mesinovic, anche il macedone di 26 anni, Munifer Karameleski , operaio in un’industria ottica, perfettamente inserito in Italia, ha lasciato genitori e fratelli in quel di Palughetto, piccola frazione di Chies d’Alpago: destinazione Siria. Lui, almeno, sarebbe ancora vivo. Il padre, intanto, l’ha ripudiato come figlio.

Le indagini in corso. Le reazioni dei vicini, dei datori di lavoro e delle famiglie

In queste ore gli investigatori continuano a lavorare nelle province di Belluno, Treviso e Pordenone. Il loro scopo è quello di ricostruire i contatti di Mesinovic e Karameleski e le fasi del loro reclutamento, per individuare la rete di “passatori” che li hanno fatti viaggiare dal Veneto fino ai campi di battaglia siriani.
I vicini dei due, i loro datori di lavoro sono sbigottiti. Ancora non credono che quei due “bravi ragazzi”, quei due lavoratori con donne e figli possano aver fatto una fine del genere: il primo morto, forse in battaglia contro i regolari di Assad e l’altro disperso da qualche parte in Siria. C’è poi la reazione dei familiari, che non si capacitano.
Da Ponte nelle Alpi e Palughetto alla Bosnia, alla Macedonia, nessun genitore, magari formatosi culturalmente sotto il socialismo di Tito o emigrato dai Balcani in Italia per migliorare la condizione economica della propria famiglia, può accettare un figlio morto in Siria sotto la bandiera nera dell’Is.
Ma i reclutatori non si fermano: sfruttano l’ignoranza, l’impossibilità di una vita decente: sono circa 150 i cittadini bosniaci impegnati nelle guerre “di religione”, partiti dai dintorni di Sarajevo, Srebrenica, Bihac, Vogosce, Vitez. Si tratta, in gran parte, di giovani che non hanno avuto l’opportunità di studiare, che provengono da paesini montani isolati, che hanno avuto come unico riferimento “importante” un uomo che sembra loro più colto, migliore e che promette il riscatto dalla miseria, dalla loro e da quella di tutto il mondo che crede nel vero Dio e che li fa sembrare improvvisamente vincenti e in tanti: il predicatore radicale, l’uomo che li spinge al Jihad. Fino alla morte.

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Vedi anche, sui bosgnacchi in Italia:

Casa, fabbrica, jihad: così il Califfo s’infiltra nel “modello Veneto” (di Francesca Paci, 23/11/2014)
http://www.lastampa.it/2014/11/23/esteri/casa-fabbrica-jihad-cos-il-califfo-sinfiltra-nel-modello-veneto-1E1L9pHHNE3Jnuxlu6WWRO/pagina.html


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PABLO TRINCIA ALLA RICERCA DI ISMAIL, IL BAMBINO DI BELLUNO RAPITO DAL PADRE JIHADISTA (AnnoUno, 18 dic 2014)
Ismail Mesinovic è un bimbo di tre anni. Nel dicembre scorso è scomparso dalla cittadina in provincia di Belluno dove viveva, rapito dal padre che l’ha portato con sé in Siria per arruolarsi tra le fila degli jihadisti. Pablo Trincia ha seguito il loro percorso, dall’Italia alla Siria: ecco un’anticipazione del reportage in onda stasera...
http://www.announo.tv/2014/12/pablo-trincia-a-caccia-di-ismail-il-bambino-di-belluno-rapito-dal-padre-jihadista/?author_id=

Vedi gli altri servizi su AnnoUno: http://www.announo.tv/?s=ismail

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http://www.ilmattino.it/PRIMOPIANO/CRONACA/belluno-bimbo-rete-isis-ismail-la7-tv/notizie/1078433.shtml

«Quello è mio figlio», Lidia riconosce il piccolo in tv: è nella rete dell'Isis

di Olivia Bonetti - sabato 20 dicembre 2014

BELLUNO - «Ormai aspetto da un anno, devo fare qualcosa per riavere mio figlio». È per questo che Lidia Solano Herrera, mamma del piccolo Ismail Davud, nato a Belluno il 4 settembre 2011 e scomparso dal Natale scorso, ha accettato il viaggio col giornalista di La7, Pablo Trincia. Il reportage sulle tracce di suo figlio, portato via dal marito Ismar Mesinovic, poi morto mentre combatteva per l’Isis in Siria, è stato trasmesso l’altra sera ad AnnoUno su La7.
La Herrera abita a Ponte nelle Alpi: l’ultima telefonata del bimbo il 20 dicembre 2013, quando gli parlò in Bosnia dov'era col padre a trovare i parenti. Poi Mesinovic era andato in Siria per combattere col macedone Karamaleschi, partito dall’Alpago. E là il piccolo Ismail potrebbe essere ancora. Lo ha riconosciuto in una foto la mamma. Il bimbo ha lo sguardo perso nel vuoto.
È in sella a una moto di fronte a un combattente dell’Isis in tuta mimetica. Quell’uomo è Salid Kolish, combattente con cui era partito Mesinovic. La Herrera è arrivata in Turchia a 500 metri dal confine con la Siria. Sono milioni i messaggi sui social Facebook e Twitter inviati dopo la trasmissione al richiamo "Riportiamo a casa Ismail".
Lunedì la Herrera, assistita dall’avv. Piazza di Treviso, tornerà in Procura. «Diedi il consenso a mio marito di portarsi Ismail. Non è stato rapito, ma ora deve tornare dalla sua mamma».

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LE FOTO: http://youmedia.fanpage.it/gallery/aa/5497c7e7e4b0a42b4e6b891e

Ismail, il bambino italiano con l’Isis

3 anni, biondo, occhietti spenti. "Quello è mio figlio, ne sono certa". Lidia Solano Herrera, mamma del piccolo Ismail Davud, nato a Belluno il 4 settembre 2011 e scomparso dal Natale scorso, intervistata da La7, è convinta che quel bimbo sia suo figlio, dopo aver visto le foto del piccolo sui siti della propaganda jihadista. La Herrera afferma di aver parlato l'ultima volta col figlio un anno fa, il 20 dicembre 2013. Ismail era in Bosnia col padre, Ismar Mesinovic, a trovare i parenti. Poi Mesinovic era andato in Siria per combattere col macedone Karamaleschi, partito dall’Alpago. Nella immagine si vede un bambino in sella ad un moto insieme ad un combattente. Si tratta di Salid Kolish, con cui era partito Mesinovic. Il padre di Ismail nel frattempo è morto mentre combatteva con l'Isis. Ma quel bimbo è davvero Ismail? Toccherà scoprirlo Raggruppamento operativo speciale di Padova, coordinato dalla procura antiterrorismo di Venezia. (pubblicato il 22 dicembre 2014 alle ore 08:37)


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https://uk.news.yahoo.com/bosnian-imam-attacked-7-times-over-call-stay-161722154.html

Bosnian imam attacked 7 times over call to stay out of Syria

By AMEL EMRIC | Associated Press – Mon, Jan 5, 2015

TRNOVI, Bosnia-Herzegovina (AP) — The long-bearded man burst into the mosque's yard and pinned Selvedin Beganovic to the ground. Shouting "Now I will slaughter you!" he plunged a knife three times into the imam's chest and fled.
It was no random attack: Beganovic has suffered seven assaults blamed on Muslim extremists in the past year — with three just last month.
The apparent reason for the jihadi wrath? Beganovic uses his pulpit to tell the faithful in predominantly Muslim Bosnia they have no business fighting in Syria or Iraq. And he vows to keep preaching the message no matter how many times extremists try to silence him.
"That is not our war," the imam told The Associated Press in his small northwestern town. "Our jihad in Bosnia is the fight against unemployment. The care for our parents who have small pensions. The care for the socially jeopardized."
Some 150 Bosnians have joined Islamic militants in Syria or Iraq, officials estimate, with many fighting for the Islamic State group. All are apparently members of a small community that follows an ultra-conservative interpretation of Islam. Last month, a court in Bosnia charged a man believed to be the spiritual leader of the group with recruiting Bosnians to fight with Islamic militants in Syria and organizing a terrorist group.
Beganovic, who preaches every week to a full mosque, tells his followers that groups like IS are spreading a "perverted version of Islam."
"When did (the Prophet) Muhammad ever behead anyone?" he said. "When did he take a knife and slaughter an innocent journalist?"
Of Islam's 99 names for God — including The Mighty and The Avenger — the ones Beganovic likes most are The Exceedingly Merciful and The Exceedingly Gracious.
"That is what we teach our children here," he said.
Dragan Lukac, the director of federal police, blamed fighters returning from Syria's front lines for the attacks against Beganovic, which include severe beatings and knife slashes to the face, shoulders and hands. Investigators are still hunting for the attacker in last week's knife assault.
"Every person who comes back from that front line is a danger," said Lukac. "These people are able to perform attacks on citizens, on property, on state institutions."
Militant Islam was all but unknown to Bosnia's mostly secular Muslim population until the 1990s Balkans wars when Arab mercenaries turned up to help the outgunned Bosnian Muslims fend off Serb attacks. These fighters, many of whom settled in Bosnia, embraced a radical version of Islam that Bosnia's official Islamic community opposes.
The community's leader, Husein Kavazovic, has repeatedly warned Bosnians not to fall for extremist rhetoric aimed at pulling them into the fight in Syria.
"Our job is to keep repeating, to keep warning that this is evil and cannot be justified," he said.
That's exactly what Beganovic has been doing — at the risk of his life.
"These are dangerous people," he said. "Their place is in a mental institution."

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Isto procitaj:

Imam Selvedin Beganović ponovo pretučen na ulazu u džamiju (14.12.2014.)
Selvedina Beganovića, imama u Trnovi, opština Velika Kladuša, napala je nepoznata osoba na ulazu u džamiju, drugi put u pet dana, javlja Srna...
http://www.oslobodjenje.ba/vijesti/bih/imam-selvedin-beganovic-ponovo-pretucen-na-ulazu-u-dzamiju

Linkovi:
http://www.cazin.net/keywords/selvedin-beganovic/P10

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http://www.radiosarajevo.ba/novost/176227/U-Trnovi-nozem-napadnut-imam-Selvedin-Beganovic

U Trnovi nožem napadnut imam Selvedin Beganović 

02. januar 2015. u 11:42

Imam u Trnovi u opštini Velika Kladuša Selvedin Beganović ponovo je napadnut, treći put u posljednjih 25 dana, piše Srna. Napad se dogodio sinoć, prije ulaska u džamiju, javio je Dnevni avaz.

Prema istom izvoru, nepoznati napadač udario je Beganovića s leđa tvrdim predmetom u glavu, a nakon što je imam pao na zemlju pokušao ga je ubosti nožem u grudi i vrat. Napadač je pobjegao, a povrijeđeni imam je pozvao policiju.

Beganović je zadobio ubod nožem u srce koji, nasreću, nije bio dubok, te ranu na vratu.

Povrijeđeni imam je kolima hitne pomoći Doma zdravlja u Velikoj Kladuši transportovan do Kantonalne bolnice Dr. Irfan Ljubijankić u Bihaću, gdje pregledan na Odjeljenju hirurgije, ali je nakon toga na vlastiti zahtjev pušten kući.

Avaz navodi da je Beganović veoma uznemiren i u teškom psihičkom stanju, tim prije, jer je vidio napadača koji je bio bez maske na licu.

Imam Beganović poznat je javnosti po prošlogodišnjem otvorenom pismu Bilalu Bosniću, neformalnom vođi vehabijskog pokreta u BiH, u kojem je kritikovao praksu vrbovanja i slanja omladine iz BiH na sirijsko i iračko ratište.

Beganović je bio napadnut 8. i 13. decembra. On je nakon prvog napada u više izjava medijima rekao da nikoga ne optužuje i "ne upire prstom".

Kladuška policija i dalje intenzivno radi na sva tri slučaja napada na trnovskog imama.


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http://www.radiosarajevo.ba/novost/176427/imam-selvedin-beganovic-nas-dzihad-je-otvarati-radna-mjesta-a-ne-ici-na-strana-ratista

Imam Selvedin Beganović: Naš džihad je otvarati radna mjesta, a ne ići na strana ratišta 

05. januar 2015.

Iako je nekoliko puta bio meta napada svojih neistomišljenika, imam Selvedin Beganović iz džemata Trnovi, kod Velike Kladuše ne osjeća strah za sebe. Ipak brine za svoju porodicu.

Beganović je prvi put napadnut 8. decembra kada je povrijeđen u napadu nožem. Nakon toga je napadnut još dva puta. Za Anadolu Agency je kazao kako su napadi uslijedili nakon što je počeo govoriti o hanefijskom mezhebu, kada je počeo potencirati stavove institucija Islamske zajednice BiH. 

"To nije počelo prije mjesec dana nego prije 13 godina. Naime, kada sam došao u ovaj džemat znao sam na namaz ići u gradsku džamiju (Velika Kladuša) jer je ova u Trnovima znala biti prazna. Dobro, narod se nije bio sasvim vratio na svoja ognjišta. Ne hvalim se, ali sam jedan od prvih imama koji je ujedinio džemat. Vama je poznato da su ovdje bile dvije struje, na strani 'autonomije' i na strani Petog korpusa. Na Bajram 1997. godine došli su i jedni i drugi i tada smo svi otišli na Stari grad zajedno na kafu. Već tada to nije mnogima odgovaralo. Ali konkretno napadi na mene su počeli onog momenta kada sam ja počeo govoriti o hanefijskom mezhebu, koji mi praktikujemo i slijedimo, kada sam počeo potencirati stavove institucije IZ, naše priznate i poznate uleme. Napadi, prijetnje i podmetanja datiraju otad", rekao je Beganović. 

On je kazao kako su mu nakon napada ostali ožiljci na licu, rana na vratu i tri ubodne rane na prsima. Smatra da su prvi i naredna dva napada izvele dvije različite osobe. 

"Od ova tri napada, osoba koja me je prvi put napala je drukčija osoba, koja, po meni, nije znala šta radi, napad je izgledao nesposobno, nisam siguran šta je bio naumio sa mnom. Ali iz zadnja dva napada koji su bili daleko ozbiljniji, mislim da bi se moglo raditi o istoj osobi. Jer napad je napravljen smišljeno, hladnokrvno, razrađeno do u detalje", rekao je Beganović.

Imam iz Trnova je rekao da je za zadnji napad mislio "da je to to". 

"Nakon trećeg uboda on je otišao misleći da je završio sa mnom, nakon toga sam se uspio okrenuti na lijevu stranu. Imam iskustvo i u ratu, znam šta treba činiti prilikom ranjavanja, pokušao sam da dišem, hvala Bogu pluća nisu bila probijena pa sam nazvao sina telefonom i on je došao mi u pomoć", rekao je Beganović. 

Hrabri krajiški imam je dodao da se ne boji za sebe, ali da ga je strah za porodicu koja je također ugrožena. 

"Ne želim da to zvuči kao samohvala, ali Allah je taj koji je odredio moj edžel (kraj perioda jednog bića op.a.) i ja sam čvrsto uvjeren da ću živjeti do meni određenog roka. Niko drugi ne može pomjerati edžel do Allaha, ali istina, postoji u meni ogroman strah kada je u pitanju sigurnost moje porodice. Moja porodica je doista ugrožena i strah me je zbog toga", rekao je Beganović.

Na pitanje kome smeta, Beganović je rekao da ne smeta samo on, već svako ko progovori istinu. 

"Smeta i naš uvaženi reis Kavazović (reis ul-ulema IZ BiH Husein ef. Kavazović), jer on je, naprimjer, javno izjavio da su i šije muslimani pa su ga automatski određeni ljudi proglasili nevjernikom. Smeta i njegova izjava da on ne priznaje selefijski pokret. I svi drugi koji slijede našu ulemu, nešeg poglavara, smetaju kao i ja koji sam javno govorio o stavovima koji su zvanični. Ja sam niko, samo jedan mahalski hodža, i ja možda te stavove govorim samo malo glasnije nego što bi trebalo. Ja vas podsjećam, da je reis u Stocu iznio svoj stav da naša omladina ne treba da ide na strana ratišta, da se tamo dešavaju čudne stvari koje se sada i pokazuju očitim. Tamo ima oko četrdeset frakcija koji ratuju međusobno u Siriji. A naš džihad jeste da učimo, radimo, otvaramo radna mjesta i slično", bio je jasan Beganović.

On je kazao da postoji grupa ljudi koja napada instituciju IZ, pokušavaju da ocrne hodže govoreći da samo "gule narod, uzimaju pare", da na reda za Boga...

"To su podbacivanja upravo te grupe ljudi, koja je neškolovana, zbog toga i frustrirana, pa napada kompletnu instituciju IZ, a na sebe nabace arapsku nošnju, zavuku se negdje u šumu i okupe one koji ne razmišljaju svojom glavom i drže im predavanje. Suština islama kod njih je izvrnuta, a suština je odgajanje sebe, a ne odgajanje onih od čijih jezika i ruku su spašeni drugi muslimani. A Allah je u Kur'anu kazao da onaj koji ubije jednog čovjeka, ne kaže muslimana, nego jednog čovjeka, da kao da je pobio čitav svijet. Zatim kaže, da Allah hoće, on bi načinio sve ljude jedne vjere, ali nas je učinio različitima i to je njegova mudrost, koju mi svi moramo poštivati. Zatim, kod nas u BiH je potpisan mirovni sporazum, ulum emr, naši zapovjednici su ga potpisali, i mi ga moramo poštivati jer i poslanik je poštivao sporazum o nenapadanju. U Kur'anu stoji naredba da, kada nama dođe neko druge vjere, i zatraži zaštitu od muslimana, da smo mi dužni zaštitu da mu pružimo. A šta mi radimo danas?", pitao je Beganović.

Imam koji je tri puta bio meta napada ne upire prstom ni u koga, pohvalno govori o radu policije, iako nisu pronašli napadača. Takvi stavovi izazivaju čuđenje sugrađana, koji misle da nešto čuva za sebe.

"Narod će uvijek nagađati i pričati. Ja sam suzdržan samo zbog Kur'anskog ajeta koji kaže 'smutnja je gora od ubistva'. Ako uprem prstom i kažem - to su mi učinile vehabije, ta grupa ili populacija, a na kraju se ispostave da nisu oni, napravio sam smutnju. Samo zbog toga šutim. Kada me je čovjek prije deset godina, s leđa, dva puta udario šakom, ja sam ga prijavio i otvoreno prozvao, a upravo je ta populacija ljudi u pitanju. Sada, doista, u prva dva slučaja nisam vidio, pa nisam ni mogao ništa reći. Treći napad osobu sam vidio, jer je mislio da je završio sa mnom posao i ta osoba podsjeća svojim likom na tu grupu ljudi. Ali neću ništa govoriti dok policija po osnovu fotorobota ne dođe do počinioca. Drugih motiva nema. Ja nisam privrednik da imam dugove pa me ljudi ganjaju...", rekao je Beganović.

On je kazao da je isključivi motiv taj koji je napisan javno na internetu, a to znaju, kako tvrdi Beganović, i sljedbenici Hsueina Bosnića, protiv kojeg je Tužilaštvo Bosne i Hercegovine podiglo optužnicu. 

"Ja sam za Bosnića mogao reći da je on kafanski pjevač, kao što i jeste bio prije rata, ali ja nikad i ničim njega nisam vrijeđao. U svoja dva pisma sam govorio fino. Prvo, da nije uredu da neko šalje našu djecu na tuđa ratišta. I ako iko treba da ide u taj rat, onda bi bilo logičnije da idu Bilal Bosnić i Selvedin Beganović, jer mi imamo ratno iskustvo. A ta djeca koja idu na ratišta nemaju ratno iskustvo osim preko videoigrica. I drugo je što sam jedini progovorio o tome da se u Bosanskoj Bojni (Velika Kladuša na granici s Hrvatskom) kupuje zemlja i gradi centar koji će nam napraviti kao državi više problema nego i Bočinja i Maoča. Problem je što će se tu okupljati nepoznata lica, što će to biti njihov centar", rekao je Beganović.

Na pitanje hoće li mijenjati radno mjesto zbog svega što mu se dogodilo, Beganović je rekao da ima podršku džemata, i ne samo Velike Kladuše, nego i Cazina, kompletne Krajine, pa čak i dijaspore.

"Ove godine navršava se 115 godina ovog džemata, od Ibrahima ef. Topića, prvog imama koji je službovao ovdje 21 godinu i ja spadam među one koji su ostvarili dugi staž ovdje. Za svojih 18 godina koliko sam tu, samo je pet ljudi koji neće da kontaktiraju sa mnom, jer sam im jednog dana donio Buharijnu zbirku hadisa i hanefijski fikh, dokazao im da nisu upravu, na što su se oni uvrijedili. Svi ostali sa mnom lijepo progovore. Moj ostanak ovdje ne zavisi od samog mene, nego od Rijaesta, vjersko-prosvjetne službe i Nusreta ef. Abdibegovića. Ja lično se pomjerati neću, bez naredbe koju moram poštovati", rekao je Beganović.





Alla pagina:

https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8153

è contenuto l'intervento di George Soros che sarebbe apparso sulla The New York Review del 20 novembre e intitolato Wake Up, Europe.

Volevo segnalarvi non solo che l'articolo è stato ripreso sulla prima di Repubblica del 25 ottobre col titolo SALVIAMO L’UCRAINA DEI RAGAZZI ma, soprattutto, che la traduzione è stata "personalizzata" per il pubblico europeo tagliandone via un pezzo.

L'ho evidenziato in questo pezzo che ha anche la traduzione dell'ironico commento di Tyler Durden:

http://www.iskrae.eu/?p=23916

GEORGE SOROS DELIRA DALLA PRIMA PAGINA DI REPUBBLICA. TOTALMENTE ASSENTE IL PUDORE, MA NON LA LOGICA

un cordiale saluto

Raffaele Simonetti
(Milano)


http://www.iskrae.eu/?p=23916


GEORGE SOROS DELIRA DALLA PRIMA PAGINA DI REPUBBLICA. TOTALMENTE ASSENTE IL PUDORE, MA NON LA LOGICA

29 OTT 2014

di Raffaele Simonetti

Svegliati, Europa

Con un richiamo di spalla in prima pagina, Repubblica di sabato 25 ottobre ha ospitato un delirante articolo di George Soros intitolato: “SALVIAMO L’UCRAINA DEI RAGAZZI.

Chi frequenta questo sito come anche chi ha capito da altre fonti, e oramai ce ne sono parecchie e insospettabili, che la propaganda dei mezzi d’informazione sull’Ucraina quando non falsa nasconde molte cose, non avrà difficoltà a constatarlo cliccando sul riferimento e leggendo il pdf.
Immagini di militari con la svastica sull’elmetto si sono viste anche sui telegiornali della Rai.

Già il fatto che il secondo quotidiano nazionale, tendente ad apparire liberal e democratico, dia spazio allo speculatore che ha condotto (con successo) l’attacco alla lira e alla sterlina nel settembre del 1992 per intervenire sulla questione dell’Ucraina e consigliare, non si capisce a che titolo, l’Europa su cosa fare (la guerra) è scioccante, e dà l’idea della subalternità quanto meno di Repubblica, dato che non pare che altre testate ne abbiano riferito.

Sulla stampa estera l’intervento di Soros non è passato inosservato, ma ne hanno riferito il giorno stesso dei giornalisti e non ripreso pedissequamente: sul Guardian George Soros: Russia poses existential threat to Europe, su Le Monde Ukraine : «L’Europe est indirectement en guerre»; LA TRIBUNE, il secondo quotidiano economico francese, anziché parlare dell’intervento ha preferito intervistarlo: Le plan de George Soros pour sauver l’Europe.

Ma in realtà, solo scavando un po’, si trova che la faccenda è anche più sporca.

L’articolo, come detto in calce, è una traduzione e agevolmente si risale all’articolo apparso sul New York Times del 23 ottobre: Wake Up, Europe, cioè: “Svegliati, Europa”, che è il titolo del suo ultimo libro che uscirà sulla New York Review of Books e che recentemente ha presentato a Bruxelles.

Come si vede il titolo è completamente differente, ma anche il contenuto differisce alquanto dall’originale: in particolare su un “dettaglio” di non poco conto che Repubblica ha pudicamente omesso mentre questa breve ANSA, ripresa dal sito di Borsa Italiana, ha evidenziato già dal titolo.

Ucraina: George Soros esorta Ue e Fmi a prestare 20 mld $ a Kiev

(Il Sole 24 Ore Radiocor) – Milano, 23 ott – Il miliardario americano George Soros ha esortato l’Ue e il Fmi a prestare 20 miliardi di dollari all’Ucraina, ritenendola una risposta alla sfida della Russia “ai principi e valori sui quali e’ fondata l’Unione europea”. Le azioni di Mosca in Ucraina, con l’annessione della penisola di Crimea e il sostegno militare ai ribelli separatisti nell’Est del paese, rappresentano “una sfida all’esistenza stessa dell’Europa” ha affermato Soros nel corso di una conferenza stampa a Bruxelles. “Il problema e’ che ne’ i leader europei, ne’ la popolazione comprendono pienamente le implicazione di questa sfida” secondo il miliardario che ha chiesto massicci aiuti per Kiev. Dei negoziati sono in corso fra l’Ucraina e la Russia che ha tagliato le forniture di gas in giugno a fronte dei mancati pagamenti.

Tmm

(RADIOCOR) 23-10-14 18:07:31 (0640)ENE 3 NNNN

L’intervento di Soros, decodificato

Il giorno stesso dell’uscita sul New York Times ha provveduto a decodificarlo e ironizzare, sul sito Zero HedgeTyler Durden in: George Soros Slams Putin, Warns Of “Existential Threat” From Russia, Demands $20 Billion From IMF In “Russia War Effort”.

Come spiegato nella Wikipedia in inglese relativa al sito Zero Hedge, Tyler Durden è un nome collettivo usato da un gruppo di redattori, preso dall’omonimo personaggio della novella e del film Fight Club.

Articoli a firma Tyler Durden sono stati spesso ripresi dall’autorevole sito Global Research, da cui il sito resistenze.org nel marzo scorso ha tradotto l’articolo: Il prezzo della “liberazione” dell’Ucraina è stato il trasferimento del suo oro alla Fed?.

Di seguito la traduzione dell’articolo.

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GEORGE SOROS ATTACCA PUTIN, AMMONISCE SULLA “MINACCIA ESISTENZIALE” DA PARTE DELLA RUSSIA, CHIEDE 20 MILIARDI DI DOLLARI AL FMI PER LO “SFORZO BELLICO IN RUSSIA”

di Tyler Durden

Se perfino George Soros inizia a preoccuparsi e a scrivere editoriali, allora veramente Putin sta vincendo.

Di seguito i punti principali di quello che il fondatore di Open Society ha da dire sulla minaccia “esistenziale” russa nell’editoriale appena pubblicato:

L’Europa si trova ad affrontare la minaccia che la Russia pone alla sua stessa esistenza. Né i leader né i cittadini europei sono pienamente consapevoli di questo stato di cose e non sanno come affrontarlo. Attribuisco questo principalmente al fatto che l’Unione Europea in generale e l’eurozona in particolare hanno smarrito la strada dopo la crisi finanziaria del 2008.

E scaldandosi:

[L'Europa] non riesce a riconoscere che l’attacco russo all’Ucraina è un attacco indiretto all’Unione Europea ed ai suoi principi di governance. Dovrebbe essere palesemente fuori luogo che un Paese, o un’associazione di Paesi, in guerra, pratichi una politica di austerità finanziaria come continua a fare l’Unione Europea.

E scaldandosi ancora di più:

Tutte le risorse disponibili dovrebbero essere utilizzate per lo sforzo bellico, pur con la conseguenza di una rapida crescita dei deficit di bilancio.

E infine bollente:

[Il FMI] deve fornire un’immediata iniezione di liquidità di almeno 20 miliardi di dollari, con la promessa di aumentarli se richiesto. I partner dell’Ucraina devono fornire ulteriori finanziamenti condizionati all’attuazione del programma sostenuto dal FMI, a proprio rischio, in linea con le pratiche abituali.

Ecco il punto: l’”esistenziale” minaccia bellica russa è, per Soros, nient’altro che una scusa per mettere fine al tentativo di austerità (ma non fate vedere a Soros i recenti livelli da record di indebitamento dell’Europa), e tornare ai suoi livelli di spesa sfrenati.

Paradossalmente, questo è esattamente quello che abbiamo detto sarebbe accaduto, solo che i neo-con globali speravano che la guerra civile ucraina sarebbe diventata una guerra totale tra Russia e Ucraina, scatenando quindi la “spesa per la prosperità” dei Soros del mondo ["spend your way to prosperity" è un'espressione usata dal presidente Herbert Hoover nel 1936 e da Ronal Reagan nel 1976 per dire che il governo non può raggiungere la prosperità creando debito pubblico, ndt]. Per ora questo piano è fallito ed è per questo che è entrato in scena l’ISIS.

Ma non fa mai male provarci, eh George. E una cosa che non è detta è che quelli che ci guadagnerebbero di più da quest’ultima frenesia di spesa sarebbero ovviamente, avete indovinato, i miliardari come George Soros.

23 ottobre 2014

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Assente il pudore, ma non la logica

Che Soros e il suo Open Society Institute siano dietro le “rivoluzioni colorate” (Colour revolution) è ben noto e quasi rivendicato ed esibito; è stato associato almeno a proposito di Otpor in Jugoslavia, la Rivoluzione delle Rose in Georgia, quella arancione in Ucraina, quella dei tulipani in Kirghizistan e quella dei cedri in Libano.

La sua vocazione bellicosa quindi non deve sorprendere, ma piuttosto il fatto che la manifesti dalle colonne di Repubblica.

Quali potenti forze esterne possono aver agito sul capo-redattore, sul direttore Ezio Mauro e probabilmente anche più in alto per indurre alla pubblicazione di un articolo guerrafondaio che inneggia ai fascisti e ai nazisti di Kiev di cui perfino la Rai ha mostrato indossare elmetti con la svastica o altri simboli nazisti?

Probabilmente nessuna, dal momento che queste forze sono chiaramente e fortemente presenti nel Dna dell’azienda !

È un dato di fatto che Carlo De Benedetti è nel Consiglio d’Amministrazione della Banca Rothschild francese e sono ampiamente noti gli storici legami tra i Rothschild e Soros: ne diceva l’informatissimo sito MoviSol in questo articolo del febbraio 1997 Come i Rothschild controllano il Quantum Fund e lo ribadiva in quest’altro del 20 gennaio 2009: PD: “D” come Democratico o “D” come De Benedetti?, che ha addirittura un capitolo intitolato: Il Partito Democratico deve respingere l’influenza di Soros e De Benedetti , dopo aver in precedenza affermato, tra l’altro, che:

Essa, con particolare riferimento al legame che lega la casata bancaria dei Rothschild allo speculatore George Soros, si muove in Italia con il proprio primario rappresentante, l’ing. Carlo De Benedetti, per completare quel disegno di finanziarizzazione dell’intera economia italiana avviato in Italia nel 1992.

Quanto alla posizione dei Rothschild rispetto alle guerre dovrebbe togliere ogni dubbio questa dichiarazione di Amschel Mayer Rothschild riportata nell’illuminante articolo di Mauro Meggiolaro, su il Fatto Quotidiano del 19 novembre 2010: I baroni Rothschild tra carbone e eco-chic.

“La nostra politica è quella di fomentare le guerre (…) dirette in modo tale che entrambi gli schieramenti sprofondino sempre più nel loro debito e, quindi, sempre di più sotto il nostro potere“, aveva dichiarato il capostipite della famiglia Amschel Mayer Rothschild nel 1773. Oggi sembra che le cose per gli eredi non funzionino in modo molto diverso.

La libertà è una bella cosa e così pure la libertà di stampa. Usare la libertà di stampa per promuovere la guerra e/o interessi economici di un’élite non lo è affatto.

Perché quindi non avvalersi della libertà di non acquistare Repubblica ?




(english / italiano)

Oliver Stone sull’Ucraina: la verità non va in onda in Occidente

1) Dalla pagina Facebook di Oliver Stone / From Oliver Stone’s FB page
2) Oliver Stone: Le ‘Impronte digitali della CIA' su tutto il massacro di Kiev


Sullo stesso argomento si veda anche: 

Il colpo di Stato della CIA in #Ucraina, di Oliver Stone
http://www.beppegrillo.it/2015/01/il_colpo_di_sta_1.html


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Dalla pagina Facebook di Oliver Stone

Fonte: pagina FB « Con l’Ucraina antifascista », 30/12/2014 - https://www.facebook.com/ucrainaantifascista/posts/749045551843368

Grazie a Oliver Stone, ancora più persone conosceranno la verità sul golpe di Kiev. Interessante il paragone con il Venezuela.
"...Ho intervistato Viktor Yanukovych, 4 ore a Mosca per un nuovo documentario in lingua inglese prodotto dagli ucraini. Egli è stato il legittimo presidente dell'Ucraina fino a quando improvvisamente è stato rimosso, il 22 febbraio di quest'anno. I dettagli saranno nel documentario, ma sembra chiaro che i cosiddetti "tiratori" che hanno ucciso 14 uomini della polizia, feriti circa 85, e hanno ucciso 45 civili che protestavano, erano provocatori di una terza parte estera. Molti testimoni, tra cui Yanukovich e funzionari di polizia, credono che questi elementi stranieri sono stati introdotti dalle fazioni filo-occidentali - con le impronte digitali della CIA.
Ricordate il 'cambio di regime' / colpo di stato del 2002, quando Chavez è stato temporaneamente estromesso dopo che manifestanti pro e anti-Chavez sono stati colpiti da misteriosi cecchini in edifici per uffici. Assomiglia anche alla tecnica simile usata all'inizio di quest'anno in Venezuela quando il governo legalmente eletto di Maduro è stato quasi rovesciato con la violenza mirata contro i manifestanti anti-Maduro. Creare abbastanza caos, come ha fatto la CIA in Iran '53, Cile '73, e in innumerevoli altri colpi di stato, e il governo legittimo può essere rovesciato. E la tecnica del soft power americano chiamato "Regime Change 101".
In questo caso il "massacro del Maidan" è stato descritto dai media occidentali come il risultato dell'instabile, brutale governo filorusso di Yanukovich. Bisogna ricordare che Yanukovich il 21 febbraio si accordò con i partiti di opposizione e 3 ministri degli esteri dell'UE - per sbarazzarsi di lui chiedendo elezioni anticipate. Il giorno dopo il patto era già senza più valore, quando gruppi radicali neonazisti, ben armati, rhanno costretto Yanukovych a fuggire dal paese dopo ripetuti tentativi di assassinio. Il giorno successivo, è stato varato un nuovo governo filo-occidentale - immediatamente riconosciuto dagli Stati Uniti (come nel golpe contro Chavez 2002).
Una storia sporca in tutto e per tutto, ma nel tragico seguito di questo colpo di stato, l'Occidente ha mantenuto la narrazione dominante della "Russia in Crimea", mentre la vera narrazione è "USA in Ucraina." La verità non va in onda in Occidente. Si tratta di una perversione surreale della storia che sta succedendo di nuovo, come nella campagna elettorale di Bush pre-Iraq, quella delle armi di distruzione di massa. Ma credo che la verità verrà finalmente fuori in Occidente, mi auguro, in tempo per fermare un'ulteriormente follia.
Per una comprensione più ampia, vedi l'analisi di Pepe Escobar "Un nuovo arco di instabilità in Europa" che indica la crescente turbolenza nel 2015, in quanto gli Stati Uniti non possono tollerare l'idea di una qualsiasi entità economica rivale [ http://rt.com/op-edge/213303-putin-russia-sovereign-swift/ ]. Si potrebbe anche vedere la "Storia non narrata" Capitolo 10, dove discutiamo i danni degli imperi del passato, che non hanno permesso la nascita di paesi concorrenti economicamente".


Excuse my absence these past weeks. A combination of overwork, prepping the Snowden movie in Germany & England, a side trip to Moscow, and a devastating head cold have laid me low. Recovering over Christmas in California; winter sun helps.
Interviewed Viktor Yanukovych 4 hours in Moscow for new English language documentary produced by Ukrainians. He was the legitimate President of Ukraine until he suddenly wasn’t on February 22 of this year. Details to follow in the documentary, but it seems clear that the so-called ‘shooters’ who killed 14 police men, wounded some 85, and killed 45 protesting civilians, were outside third party agitators. Many witnesses, including Yanukovych and police officials, believe these foreign elements were introduced by pro-Western factions-- with CIA fingerprints on it.
Remember the Chavez ‘regime change’/coup of 2002 when he was temporarily ousted after pro and anti-Chavez demonstrators were fired upon by mysterious shooters in office buildings. Also resembles similar technique early this year in Venezuela when Maduro’s legally elected Government was almost toppled by violence aimed at anti-Maduro protestors. Create enough chaos, as the CIA did in Iran ‘53, Chile ‘73, and countless other coups, and the legitimate Government can be toppled. It’s America’s soft power technique called ‘Regime Change 101.’
In this case the “Maidan Massacre” was featured in Western media as the result of an unstable, brutal pro-Russian Yanukovych Government. You may recall Yanukovych went along with the February 21 deal with opposition parties and 3 EU foreign minsters to get rid of him by calling for early elections. The next day that deal was meaningless when well-armed, neo-Nazi radicals forced Yanukovych to flee the country with repeated assassination attempts. By the next day, a new pro-Western government was established and immediately recognized by the US (as in the Chavez 2002 coup). 
A dirty story through and through, but in the tragic aftermath of this coup, the West has maintained the dominant narrative of “Russia in Crimea” whereas the true narrative is “USA in Ukraine.” The truth is not being aired in the West. It’s a surreal perversion of history that’s going on once again, as in Bush pre-Iraq ‘WMD’ campaign. But I believe the truth will finally come out in the West, I hope, in time to stop further insanity. 
For a broader understanding, see Pepe Escobar’s analysis “The new European ‘arc of instability,’” which indicates growing turbulence in 2015, as the US cannot tolerate the idea of any rival economic entity [ http://rt.com/op-edge/213303-putin-russia-sovereign-swift/ ]. You might also see “Untold History” Chapter 10 where we discuss the dangers of past Empires which did not allow for the emergence of competing economic countries.


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Oliver Stone: Le ‘Impronte digitali della CIA' su tutto il massacro di Kiev

Il golpe di Kiev è come le operazioni CIA contro leader indesiderati in Iran, Cile e Venezuela: lo dice il regista di Platoon mentre gira un documentario in Russia

di Redazione - mercoledì 31 dicembre 2014 

Fonte: RT.com

Il colpo di stato armato a Kiev è dolorosamente simile alle operazioni fatte dalla CIA per cacciare via i leader stranieri indesiderati in Iran, Cile e Venezuela, ha affermato il regista Oliver Stone dopo aver intervistato per un documentario il presidente deposto dell’Ucraina.

[ Oliver Stone: la verità non va in onda in Occidente
31/12/2014 – Dopo le voci filtrate nelle ultime settimane, Oliver Stone ha annunciato ufficialmente che la sta lavorando a un documentario per raccontare la verità su piazza Maidan e sul colpo di stato che ha deposto Janukovyč…

Stone ha trascorso quattro ore a Mosca per parlare con Viktor Yanukovich, che fu deposto dalla sua carica nel corso del colpo di stato del febbraio 2014, come ha scritto il regista sulla sua pagina Facebook [ https://www.facebook.com/TheOliverStone/posts/901387646552202 ].

«Seguiranno i dettagli nel documentario, ma sembra già chiaro che i cosiddetti "tiratori" che hanno ucciso 14 poliziotti, ferito circa 85 persone e ucciso altri 45 civili che protestavano, erano agitatori esterni originati da una terza parte», ha affermato. «Molti testimoni, compresi funzionari di Yanukovich e ufficiali della polizia, ritengono che questi elementi stranieri siano stati introdotti da fazioni filo-occidentali: su tutto questo ci sono le impronte digitali della CIA ».

[ LEGGI TUTTO: un'inchiesta della Reuters evidenzia "gravi difetti" nell'idagine sul massacro di Maidan
Reuters investigation exposes ‘serious flaws’ in Maidan massacre probe (RT, October 10, 2014)
http://rt.com/news/195004-ukraine-maidan-sniper-investigation/ ]

Il regista ha aggiunto che gli eventi di Kiev, che hanno portato al collasso del governo ucraino e all'imposizione di uno nuovo ostile alla Russia, sono stati simili a quelli di altri paesi, da lui qualificati come «una tecnica di soft powerdell'America definibile "cambio di regime 101".»

Storicamente furono colpi di stato perpetrati dalla CIA quelli contro il primo ministro iraniano Mohammad Mossadeq nel 1953 e contro il presidente cileno Salvador Allende nel 1973: entrambi erano leader che si facevano portatori di politiche che risultavano indesiderate da Washington o dai suoi alleati.

[ LEGGI TUTTO: i cecchini di Kiev assunti dai leader di Maidan - la registrazione trapelata della telefonata della Ashton (UE)
Ucraina: la telefonata che rivela le trame Usa (ilgiornale, 19 feb 2014)
Ecco la telefonata tra Victoria Nuland, assistente del segretario di Stato per gli Affari europei, e Geoffrey Pyatt, ambasciatore americano a Kiev… Non solo "Fuck the EU"...

Più di recente c'è stato il golpe del 2002 in Venezuela, dove il presidente Hugo Chávez fu brevemente deposto «dopo che dei manifestanti pro e anti-Chávez furono colpiti da tiratori misteriosi che si trovavano in palazzi per uffici» e poi abbiamo avuto le proteste anti-governative contro il successore di Chávez, Nicolas Maduro, che «è stato quasi rovesciato con la violenza mirata contro i manifestanti anti-Maduro», come sottolinea Stone.

«Una storia sporca in tutto e per tutto, ma nel tragico seguito di questo colpo di stato, l'Occidente ha mantenuto la narrazione dominante della 'Russia in Crimea' mentre il vero racconto da fare è 'gli USA in Ucraina'. La verità non sta andando in onda in Occidente», ha scritto Stone. «È una perversione surreale della storia che si manifesta ancora una volta, così come fu nella campagna di Bush pre-Iraq sulle "armi di distruzione di massa". Ma credo che la verità verrà finalmente fuori in Occidente, me lo auguro, in tempo per fermare ulteriori follie.» 

[ RT correspondent recalls sniper-fire experience in Kiev, Ukraine (6 mar 2014)
Coming under sniper fire while covering the uprising in Kiev - RT correspondents have been recalling their experiences of what the West has hailed as "Ukraine's democratic transition". Those snipers were taking orders from figures within the opposition, who targetted both activists and police according to a leaked conversation between the EU's foreign policy chief, and Estonia's top diplomat.RT’s Alexey Yaroshevsky tells his story… 
READ MORE: http://rt.com/op-edge/ukraine-kiev-gunfire-yaroshevsky-266/
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=YuNT01JmfLw ]

Oltre al documentario sul colpo di stato ucraino, Stone sta attualmente lavorando a un film sul dissidente della NSA Edward Snowden, al quale è stato concesso asilo in Russia dopo aver rivelato la pratica di sorveglianza elettronica di massa usata dagli USA e dai suoi alleati.

Snowden rimase bloccato in transito in un aeroporto di Mosca quando il suo passaporto venne revocato e non poteva continuare il suo viaggio in America Latina. Gli Stati Uniti vogliono processarlo per le sue azioni, ma per molti attivisti per i diritti umani e per i sostenitori della privacy è un eroe valoroso, perseguitato per aver rivelato i segreti sporchi di un governo.


Fonte: http://rt.com/news/218899-stone-kiev-massacre-cia/

Traduzione per Megachip a cura di Pino Cabras.




Fonte: pagina FB « Premio Goebbels per la disinformazione », 1/1/2015
<< Ecco a voi i risultati delle votazioni relative al « Premio Goebbels dell’anno" per il 2014. Purtroppo molti voti non sono stati assegnati, vista la contemporaneità di più preferenze per il giornalista o per la testata, in ogni caso è stata una gara entusiasmante che ci ha riservato molte sorprese...
Questo è il podio relativo alle testate giornalistiche vincitrici del "Premio Goebbels dell'anno" per il 2014:
1° - "La Repubblica" (40 voti)
2° - "La Stampa" (34 voti)
3° - "Rainews24" (14 voti)
4° - "Il Fatto Quotidiano" (10 voti)
5° - "L'Unità" (9 voti)
Questo invece il podio relativo ai giornalisti vincitori del "Premio Goebbels dell'anno" per il 2014:
1° - Paolo Russo (26 voti)
2° - Anna Zafesova (21 voti)
3° - Lucia Goracci (19 voti)
4° - Lucia Annunziata (7 voti)
5° - Vittorio Zucconi (6 voti)
Siamo lieti di comunicarvi che i vincitori del « Premio Goebbels dell’anno" per il 2014 sono "La Repubblica" e Paolo Russo! >>


Il giorno 21/dic/2014, alle ore 19:44, 'Coord. Naz. per la Jugoslavia' ha scritto:


E' stato indetto il Premio Goebbels per la disinformazione dell'anno 2014

<< Quale sarà la testata che vincerà il nostro ambito trofeo? Quale invece il giornalista?
La nostra pagina intende lanciare questo concorso-sondaggio, tramite i suoi iscritti, per scegliere insieme chi saranno i vincitori del "Premio Goebbels per la disinformazione" per l'anno 2014.
Il principio è una testa, un voto. Si possono esprimere due preferenze, una per la testata, l'altra per il giornalista. Il voto è inviato tramite messaggio sulla bacheca di questo evento.
La proclamazione dei vincitori avverrà nei primi giorni del 2015.
Allora, cosa aspettate? Votate i vostri disinformatori dell'anno! >>

Se (giustamente) non volete entrare in Facebook, rispondete a questo email e provvederemo noi a comunicare il vostro voto agli organizzatori.



(francais / italiano)

Il Capodanno dell’Italia nella NATO

1) M. Dinucci: 2014 buon anno per la Nato
2) L. Mazzeo: Caccia italiani nel Baltico per operazioni Nato anti-Russia / Des avions de chasse italiens en Baltique pour les opérations antirusses de l'OTAN


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da Il manifesto del 30 dicembre 2014
www.ilmanifesto.it

L'arte della guerra
 
2014 buon anno per la Nato
 
di Manlio Dinucci
 
Il 2014, per Washington e la sua Alleanza transatlantica, rischiava di essere un anno nero soprattutto in due scenari: una Europa senza guerre dove, nonostante l’allargamento della Nato ad est, si stavano rafforzando i rapporti economici e politici tra Ue e Russia e quasi tutti gli alleati erano restii ad aumentare la spesa militare al livello richiesto dal Pentagono; un Medio Oriente dove stava fallendo la guerra Usa/Nato in Siria e l’Iraq si stava distanziando dagli Usa avvicinandosi a Cina e Russia, la cui alleanza è sempre più temuta dalla Casa Bianca.
Si avvertiva a Washington, sempre più pressante, l’esigenza di trovare una «nuova missione» per la Nato. Che puntualmente è stata trovata. Il putsch di piazza Maidan, a lungo preparato addestrando anche forze neonaziste ucraine, ha riportato l’Europa a una situazione analoga a quella della guerra fredda, provocando un nuovo confronto con la Russia. L’offensiva dell’Isis, a lungo preparata finanziando e armando gruppi islamici (alcuni dei quali prima definiti terroristi) fin dalla guerra contro la Jugoslavia e quella contro la Libia, ha permesso alle forze Usa/Nato di intervenire in Medio Oriente per demolire non l’Isis ma la Siria e per rioccupare l’Iraq.

La «nuova missione» Nato è stata ufficializzata dal Summit di settembre nel Galles, varando il «Readiness Action Plan» il cui scopo ufficiale è quello di «rispondere rapidamente e fermamente alle nuove sfide alla sicurezza», attribuite alla «aggressione militare della Russia contro l’Ucraina» e alla «crescita dell’estremismo e della conflittualità settaria in Medio Oriente e Nord Africa». Il Piano viene definito dal segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, «il più grosso rafforzamento della nostra difesa collettiva dalla fine della guerra fredda».

Come inizio, in appena tre mesi la Nato ha quadruplicato i cacciabombardieri, a duplice capacità convenzionale e nucleare, schierati nella regione baltica (un tempo parte dell’Urss); ha inviato aerei radar Awacs sull’Europa orientale e accresciuto il numero di navi da guerra nel Mar Baltico, Mar Nero e Mediterraneo; ha dispiegato in Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania forze terrestri statunitensi (comprese unità corazzate pesanti), britanniche e tedesche; ha intensificato le esercitazioni congiunte in Polonia e nei paesi baltici, portandole nel corso dell’anno a oltre 200.

Sempre in base al «Readiness Action Plan», è stato avviato il potenziamento della «Forza di risposta della Nato» costituendo «pacchetti» di unità terrestri, aeree e navali in grado di essere proiettate rapidamente in Europa orientale, Medio Oriente, Asia centrale (compreso l’Afghanistan dove la Nato resta con le sue forze speciali), Africa e altre regioni. In tale quadro sarà formata una nuova «Task force congiunta ad altissima prontezza», capace di essere «dispiegata in pochi giorni, in particolare alla periferia del territorio Nato».

Contemporaneamente è stato aperto a Riga (Lettonia) il «Centro di eccellenza di comunicazioni strategiche Nato», incaricato di condurre la nuova guerra fredda contro la Russia con vari strumenti, tra cui «operazioni informative e psicologiche». Secondo l’accordo firmato il 1° luglio presso il Comando alleato per la trasformazione (Norfolk, Virginia), fa parte del Centro di eccellenza per la nuova guerra fredda anche l’Italia, con Gran Bretagna, Germania, Polonia e le tre repubbliche baltiche.

In tal modo l’Italia e la Ue contribuiscono ad aprire la «nuova era di dialogo con Mosca» annunciata da Federica Mogherini, alto rappresentante per la politica estera della Ue.

Manlio Dinucci

Fonte
Il Manifesto (Italia)


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Caccia italiani nel Baltico per operazioni Nato anti-Russia

di Antonio Mazzeo, 31 Dicembre 2014

Il 27 dicembre quattro caccia multiruolo Eurofighter “Typhoon” dell’Aeronautica militare italiana sono giunti nella base lituana di Siauliai per partecipare alla Baltic Air Patrol (BAP), l’operazione Nato di “pattugliamento” e “vigilanza” dei cieli del Baltico e di “difesa” aerea di Estonia, Lettonia e Lituania, partner orientali dell’Alleanza atlantica. I caccia, gli equipaggi e il personale impegnati nella missione che durerà sino all’aprile 2015 provengono dal 4° Stormo dell’Aeronautica di Grosseto, dal 36° Stormo di Gioia del Colle (Bari) e dal 37° Stormo di Trapani-Birgi.

 
L’Italia assumerà il comando della BAP con i “Typhoon” a partire dal 1° gennaio 2015. Alla missione Nato parteciperanno anche quattro caccia Mig-29 delle forme armate polacche schierati anch’essi a Siauliai, quattro “Typhoon” spagnoli di base nell’aeroporto militare di Amari (Estonia), quattro cacciabombardieri belgi F-16 a Malbork (Polonia) e altri quattro velivoli d’attacco britannici attesi nel Baltico a gennaio. I caccia sostituiranno i 16 velivoli che erano stati assegnati sino ad oggi dal Comando Nato alla Baltic Air Patrol (caccia “Eurofighter” tedeschi, F-18  canadesi, F-16 olandesi e portoghesi).
 
L’Eurofigter “Typhoon” in dotazione all’Aeronautica italiana è un caccia di ultima generazione con ruolo primario di “superiorità aerea” e intercettore. Con una lunghezza di 16 metri e un’apertura alare di 11, il guerriero europeo può raggiungere la velocità massima di 2 mach (2.456 Km/h) e un’autonomia di volo di 3.700 km. Il velivolo è armato di micidiali strumenti bellici: cannoni Mauser da 27 mm; bombe a caduta libera Paveway e Mk 82, 83 e 84 da 500 a 2.000 libbre e a guida GPS JDAM; missili aria-aria, aria-superficie e antinave a guida radar e infrarossa. Con tutta probabilità, il ciclo operativo nei cieli del Baltico consentirà ai caccia italiani di testare sul campo pure il nuovo missile da crociera MBDA “Storm Shadow”, con oltre 500 chilometri di raggio d’azione, la cui integrazione come sistema d’arma del “Typhoon” è stata avviata nei mesi scorsi da Alenia-Aermacchi (Finmeccanica) nel poligono di Salto di Quirra, in Sardegna. Gli “Storm Shadow” erano stati impiegati finora solo dai cacciabombardieri “Tornado” nelle operazioni di guerra in Iraq e in Libia 2011.
 
La Nato garantisce le attività di “sicurezza” dei cieli delle Repubbliche baltiche dall’aprile 2004, sulla base di un accordo collettivo firmato con i governi di Estonia, Lettonia e Lituania. Nel 2010 Bruxelles ha deciso di prorogare le missioni di pattugliamento aereo sino alla fine del 2014, ma le Repubbliche baltiche hanno ottenuto un’ulteriore estensione della BAP sino al dicembre 2018, con la speranza tuttavia che essa ottenga alla fine lo status di “missione permanente della Nato”.
 
Ad oggi, solo 14 paesi dell’Alleanza Atlantica hanno partecipato alla Baltic Air Patrol. Con l’arrivo dei caccia di Spagna e Italia per il 37° ciclo operativo 2015, il numero degli alleati Nato raggiunge quota 16, a cui si aggiungerà presto pure l’Ungheria con i cacciabombardieri Saab “Gripen”. La grave crisi in Ucraina e l’allarme causato dalla presunta escalation delle attività dei caccia russi sul Mar Baltico, ha convinto Bruxelles a potenziare progressivamente il numero dei velivoli coinvolti nel pattugliamento del fronte orientale dell’Alleanza: dal maggio 2014 i caccia assegnati a BAP sono aumentati da quattro a sedici, mentre sempre a Siauliai sono stati trasferiti anche sei caccia F-15 ed un aerocisterna KC-135 dell’US Air Force.
 
La partecipazione dell’Aeronautica militare italiana alla Baltic Air Patrol era stata preparata da una missione ispettiva a Kaunas (Lituania) - luglio 2013 - di una delegazione guidata dal Capo del 3° Reparto dello Stato maggiore, gen. Gianni Candotti. I militari italiani si recarono successivamente nelle basi aeree di Siauliai ed Amari, per concordare con le aeronautiche di Lituania ed Estonia l’organizzazione nel 2014 di un mini deployment addestrativo con velivoli Eurofigther “per testare la risposta del sistema d’arma ai climi freddi”. Il tour italiano nel Baltico servì pure a rafforzare la partnership nel settore industriale-militare. Alla Lithuanian Air Force, tra il 2006 al 2008, Alenia Aeronautica (Finmeccanica) aveva consegnato tre velivoli da trasporto tattico C27J “Spartan”. “Il Comandante dell’Aeronautica lituana, gen. Edvardas Mazeikis, ha espresso il proprio apprezzamento per le capacità conseguite con questi velivoli di produzione italiana”, riportò una nota del Ministero della difesa, a conclusione della missione ispettiva nel Baltico. “Proprio tale capacità offre un’importante possibilità di concreta cooperazione, nell’immediato, nel settore dell’addestramento dei piloti lituani presso il National Training Center di Pisa ed, in prospettiva, per la condivisione di esperienze operative e manutentive”. Nell’autunno del 2012, un’altra azienda del gruppo Finmeccanica, Selex Sistemi Integrati, aveva fornito il sistema di gestione del combattimento (CMS) “Athena” e le centrali di tiro “Medusa” MK4/B per i nuovi pattugliatori della classe “Flyvefisken” della Marina militare lituana.
Con la partecipazione alla Baltic Air Patrol, l’Aeronautica militare vede crescere ulteriormente il proprio ruolo a livello internazionale. Attualmente i caccia italiani sono impegnati pure nel pattugliamento dei cieli dell’Islanda (a rotazione con altri partner Nato), della Slovenia e dell’Albania. Si tratta di un impegno finanziario assai oneroso che nessun partner europeo della Nato ha finora voluto assumersi. L’Aeronautica è impegnata pure nelle operazioni di guerra contro l’Isis, grazie a un velivolo per il rifornimento in volo KC-767, due aerei senza pilota “Predator A” e quattro cacciabombardieri “Tornado”, schierati in Kuwait e Iraq. Da Gibuti, in Corno d’Africa, decollano quotidianamente due droni “Predator” del 32° Stormo di Amendola (Foggia), contribuendo alle operazioni Ue e Nato contro la pirateria e di quelle delle forze armate somale contro le milizie islamico radicali Al Shabab.


=== FRANCAIS ===

mercredi 31 décembre 2014

Des avions de chasse italiens en Baltique pour les opérations antirusses de l'OTAN 

par Antonio Mazzeo 31/12/2014
Traduit par Fausto Giudice, Tlaxcala
 

Le 27 décembrequatre chasseurs multi-rôles Eurofighter "Typhoon" italiens ont atterri à la base de Siauliai en Lituanie pour participer à la Baltic Air Patrol(Patrouille aérienne baltique, BAP), l'opération de l'OTAN de «patrouille» et «surveillance» du ciel de la Baltique et de «défense» aérienne de l'Estonie, la Lettonie et la Lituaniepartenaires orientaux de l'Alliance atlantiqueLes chasseurs, les équipages et le personnel impliqués dans la mission qui durera jusqu'en avril 2015 viennent du 4ème Escadron de Grossetodu 36ème Escadron de Gioia del Colle (Bari) et du 37ème Escadron de Trapani.

L'Italie assumera le commandement de la BAP avec les «Typhoon» à partir du 1er janvier 2015.Quatre MIG-29 de l'armée polonaise, également déployé à Siauliaiquatre "Typhoon" espagnolsbasés à l'aéroport militaire d' Amari (Estonie), quatre chasseurs-bombardiers F-16 belges à Malbork(Pologne) et quatre autres appareils britanniques, attendus en janvier, participent également à la mission de l'OTANIls remplaceront les 16 avions assignés par le commandement de l'OTAN à la BAP ("Eurofighter" allemandsF-18 canadiens, F-16 néerlandais et portugais).

L' Eurofighter "Typhoon" italien est un chasseur de dernière génération ayant comme premier rôle la «supériorité aérienne» et l'interceptionAvec une longueur de 16 mètres et une envergure de 11, le guerrier européen peut atteindre une vitesse maximale de Mach 2 (2456 kilomètres/heure) et une autonomie de vol de 3700 kmL'avion est armé avec d' armes meurtrières: canons Mauser de 27mmbombes à chute libre Paveway et Mk 82, 83 et 84 de 500 à 2000 livres et JDAM à guidage GPS, missiles air-air, air-surface et anti-navires guidés par radar et infrarouge. Selon toute probabilité, le cycle d'opérations dans le ciel de la Baltique permettra aux chasseurs italiens de tester sur le terrain aussi le nouveau missile de croisière MBDA "Storm Shadow", avec plus de 500 km de rayon d'action, dont l'intégration comme système d'armement  des «Typhoon» a été mise en route ces derniers mois par Alenia Aermacchi (Finmeccanica) dans le polygone de Salto di Quirra, en Sardaigne. Les "Storm Shadow" avaient été utilisés jusqu'à présent seulement par des chasseurs-bombardiers "Tornado" dans les opérations de la guerre en Irak et en Libye en 2011.
L'OTAN garantit les activités de «sécurité» aérienne dans les États baltes depuis avril 2004, sur la base d'une convention collective signée avec les gouvernements de l'Estonie, la Lettonie et la LituanieEn 2010, Bruxelles a décidé de prolonger les missions de reconnaissance aérienne jusqu'à la fin de 2014mais les États baltes ont obtenu une nouvelle prolongation de la BAP jusqu'en décembre 2018, avec l'espoircependant, que celle-ci finira par obtenir le statut de "mission permanente de l'OTAN ".
À ce jourseuls 14 pays de l'Alliance atlantique ont participé à la BAPAvec l'arrivée de chasseurs espagnols et italiens pour le 37ème cycle d'opérations en 2015le nombre d'alliés de l'OTAN atteint16auxquels s'ajoutera bientôt la Hongrie avec les chasseurs-bombardiers Saab "Gripen". La crise en Ukraine et l'alarme causée par l'escalade alléguée des activités de la chasse russe sur la mer Baltiquea convaincu Bruxelles d' augmenter progressivement le nombre d'avions impliqués dans les patrouilles de la façade orientale de l'Alliance: depuis mai 2014 le nombre de chasseurs affectés à laBAP est passé de quatre à seize, tandis que six F-15 et un ravitailleur KC-135 de la Force aérienne US ont été aussi trasférés à Siauliai.
La participation italienne à la Patrouille aérienne Baltique avait été préparée par une mission d'inspection à Kaunas (Lituanie– en juillet 2013  d'une délégation conduite par le chef du 3ème Département de l'État-major de l'Armée de l'air, le général Gianni CandottiLes militaires italiens se sont rendus successivement dans les bases aériennes de Siauliai et d'Amaripour concorder avec les forces aériennes de Lituanie et d'Estonie l'organisation en 2014  d'un mini-déploiement d'entraînement avec des Eurofighters "pour tester la réponse du système d'armement aux climats froids". La tournée italienne dans la Baltique a également servi à renforcer le partenariat dans le secteur militaro-industrielAlenia Aeronautica (Finmeccanica) avait livré aux forces aériennes lituaniennes, entre 2006 et 2008, trois avions de transport tactique C-27J "Spartan". "Le commandant de l'Aviation lituanienne, le général Edvardas Mazeikisa exprimé sa gratitude pour les capacité obtenues avec ces avions de fabrication italienne"rapportaitune note du ministère de la Défense italienà l'issue de la mission d'inspection dans la mer Baltique"Ce sont justement ces capacités qui offrent une occasion importante de coopération concrètedans l'immédiatdans le domaine de la formation de pilotes lituaniens au Centre national de formation de Pise et, à long terme, pour le partage d'expériences opérationnelles et d'entretien". À l'automne 2012une autresociété du groupe FinmeccanicaSelex Sistemi Integratiavait fourni le système de gestion decombat (CMS) "Athena" et les centrales de tir "Medusa" MK4 / B pour les nouveaux  patrouilleursde la classe "Flyvefisken" de la Marine lituanienne.
En participant à la Patrouille aérienne baltiqueles forces aériennes italiennes voient croître encoreleur rôle à l'échelle internationale. Actuellement les chasseurs italiens sont aussi engagés dans des patrouilles aériennes au-dessus de l'Islande (en rotation avec d'autres partenaires de l'OTAN), de la Slovénie et de l'AlbanieC'est un engagement financier assez coûteux qu'aucun partenaire européen de l'OTAN n'a voulu prendre jusqu'iciL'aviation italienne est également engagée dans lesopérations de guerre contre Daeshavec un avion de ravitaillement en vol KC-767, deux drones"Predator A" et quatre chasseurs-bombardiers "Tornado", déployés au Koweït et en IrakDeDjibouti, dans la Corne de l'Afriquedeux drones décollent "Predator" du 32ème Escadrond'Amendola (Foggia) décollent quotidiennement, contribuant aux opérations de l'UE et de l'OTANcontre la piraterie et à celles des forces armées somaliennes contre la milice islamique radicale des Chabab.



SRETNA NOVA 2015. GODINA !
PRIPADNICIMA SVIH JUGOSLOVENSKIH NARODA I NARODNOSTI I JUGOSLOVENIMA ŽELIMO SRETNU ,ZDRAVU I USPEŠNU NOVU 2015. GODINU !







(fonte: mailing-list del Comitato NO NATO - vedi anche:
Sul volume "Se dici guerra" – Kappa Vu, aprile 2014 – vedi anche:
M. Dinucci è anche membro del Comitato Scientifico del Coord. Naz. per la Jugoslavia - onlus)


Da: Manlio Dinucci 
Oggetto: (ComitatoNoNato) TRACCIA STORICA DELLA NATO / PRIMA PUNTATA
Data: 26 dicembre 2014


Invio alla mailing list questa traccia storica (pubblicata in Se dici guerra, Kappa Vu, aprile 2014), che ricostruisce in termini essenziali il riorientamento strategico della Nato dopo la guerra fredda. Il testo viene suddiviso in alcune parti, inviate separatamente per facilitarne la lettura, e corredato da una serie di aggiornamenti.

Buon lavoro a tutti

Il riorientamento strategico della Nato 
dopo la guerra fredda

Manlio Dinucci

La Nato, fondata il 4 aprile 1949, comprende durante la guerra fredda sedici paesi: Stati Uniti, Canada, Belgio, Danimarca, Francia, Repubblica federale tedesca, Gran Bretagna, Grecia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Turchia. Attraverso questa alleanza, gli Stati Uniti mantengono il loro dominio sugli alleati europei, usando l’Europa come prima linea nel confronto, anche nucleare, col Patto di Varsavia. Questo, fondato il 14 maggio 1955 (sei anni dopo la Nato), comprende Unione Sovietica, Bulgaria, Cecoslovacchia, Polonia, Repubblica democratica tedesca, Romania, Ungheria, Albania (dal 1955 al 1968). 
 
Dalla guerra fredda al dopo guerra fredda
Il 9 novembre 1989 avviene il «crollo del Muro di Berlino»: è l’inizio della riunificazione tedesca che si realizza quando, il 3 ottobre 1990, la Repubblica Democratica si dissolve aderendo alla Repubblica Federale di Germania. Il 1° luglio 1991 si dissolve il Patto di Varsavia: i paesi dell’Europa centro-orientale che ne facevano parte non sono ora più alleati dell’Urss. Il 26 dicembre 1991, si dissolve la stessa Unione Sovietica: al posto di un unico Stato se ne formano quindici. 
La scomparsa dell’Urss e del suo blocco di alleanze crea, nella regione europea e centro-asiatica, una situazione geopolitica interamente nuova. Contemporaneamente, la disgregazione dell’Urss e la profonda crisi politica ed economica che investe la Russia segnano la fine della superpotenza in grado di rivaleggiare con quella statunitense.
La guerra del Golfo del 1991 è la prima guerra che, nel periodo successivo al secondo conflitto mondiale, Washington non motiva con la necessità di arginare la minacciosa avanzata del comunismo, giustificazione alla base di tutti i precedenti interventi militari statunitensi nel «terzo mondo», dalla guerra di  Corea a quella del Vietnam, dall'invasione di Grenada all'operazione contro il Nicaragua. Con questa guerra gli Stati Uniti rafforzano la loro presenza militare e influenza politica nell’area strategica del Golfo, dove si concentra gran parte delle riserve petrolifere mondiali, e allo stesso tempo lanciano ad avversari, ex-avversari e alleati un inequivocabile messaggio. Esso è contenuto nella National Security Strategy of the United States (Strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti), il documento con cui la Casa Bianca enuncia, nell’agosto 1991, la nuova strategia. 
«Nonostante l'emergere di nuovi centri di potere – sottolinea il documento a firma del presidente – gli Stati Uniti rimangono il solo Stato con una forza, una portata e un'influenza in ogni dimensione – politica, economica e militare – realmente globali. Nel Golfo abbiamo dimostrato che la leadership americana deve includere la mobilitazione della comunità mondiale per condividere il pericolo e il rischio. Ma la mancanza di altri nell'assumersi il proprio onere non ci scuserebbe. In ultima analisi, siamo responsabili verso i nostri stessi interessi e la nostra stessa coscienza, verso i nostri ideali e la nostra storia, per ciò che facciamo con la potenza in nostro possesso. Negli anni Novanta, così come per gran parte di questo secolo, non esiste alcun sostituto alla leadership americana». 
 
Il nuovo concetto strategico della Nato
Mentre riorientano la propria strategia, gli Stati Uniti premono sulla Nato perché faccia altrettanto. Per loro è della massima urgenza ridefinire non solo la strategia, ma il ruolo stesso dell’Alleanza atlantica. Con la fine della guerra fredda e il dissolvimento del Patto di Varsavia e della stessa Unione Sovietica, viene infatti meno la motivazione della «minaccia sovietica» che ha tenuto finora coesa la Nato sotto l’indiscussa leadership statunitense: vi è quindi il pericolo che gli alleati europei facciano scelte divergenti o addirittura ritengano inutile la Nato nella nuova situazione geopolitica creatasi nella regione europea. 
Il 7 novembre 1991 (dopo la prima guerra del Golfo, a cui la Nato ha partecipato non ufficialmente in quanto tale, ma con sue forze e strutture),  i capi di stato e di governo dei sedici paesi della Nato, riuniti a Roma nel Consiglio atlantico, varano «Il nuovo concetto strategico dell'Alleanza». «Contrariamente alla predominante minaccia del passato – afferma il documento – i rischi che permangono per la sicurezza dell'Alleanza sono di natura multiforme e multidirezionali, cosa che li rende difficili da prevedere e valutare. Le tensioni potrebbero portare a crisi dannose per la stabilità europea e perfino a conflitti armati, che potrebbero coinvolgere potenze esterne o espandersi sin dentro i paesi della Nato». Di fronte a questi e altri rischi, «la dimensione militare della nostra Alleanza resta un fattore essenziale, ma il fatto nuovo è che sarà più che mai al servizio di un concetto  ampio di sicurezza». Definendo il concetto di sicurezza come qualcosa che non è circoscritto all’area nord-atlantica, si comincia a delineare la «Grande Nato».  

Il «nuovo modello di difesa» dell’Italia
Tale strategia è fatta propria anche dall’Italia quando, sotto il sesto governo Andreotti, essa partecipa alla guerra del Golfo: i Tornado dell’aeronautica italiana effettuano 226 sortite per complessive 589 ore di volo, bombardando gli obiettivi indicati dal comando statunitense. E’ la prima guerra a cui partecipa la Repubblica italiana, violando l’articolo 11, uno dei principi fondamentali della propria Costituzione.
Subito dopo la guerra del Golfo, durante il settimo governo Andreotti, il ministero della difesa italiano pubblica, nell'ottobre 1991, il rapportoModello di Difesa / Lineamenti di sviluppo delle FF.AA. negli anni '90. Il documento riconfigura la collocazione geostrategica dell'Italia, definendola «elemento centrale dell'area geostrategica che si estende unitariamente dallo Stretto di Gibilterra fino al Mar Nero, collegandosi, attraverso Suez, col Mar Rosso, il Corno d'Africa e il Golfo Persico». Considerata la «significativa vulnerabilità strategica dell'Italia» soprattutto per l'approvvigionamento petrolifero, «gli obiettivi permanenti della politica di sicurezza italiana si configurano nella tutela degli interessi nazionali, nell'accezione più vasta di tali termini, ovunque sia necessario», in particolare di quegli interessi che «direttamente incidono sul sistema economico e sullo sviluppo del sistema produttivo, in quanto condizione indispensabile per la conservazione e il progresso dell'attuale assetto politico e sociale della nazione». 
Nel 1993 – mentre l’Italia sta partecipando all’operazione militare lanciata dagli Usa in Somalia, e al governo Amato subentra quello Ciampi – lo Stato maggiore della difesa dichiara che «occorre essere pronti a proiettarsi a lungo raggio» per difendere ovunque gli «interessi vitali», al fine di «garantire il progresso e il benessere nazionale mantenendo la disponibilità delle fonti e vie di rifornimento dei prodotti energetici e strategici». 
Nel 1995, durante il governo Dini, lo stato maggiore della difesa fa un ulteriore passo avanti, affermando che «la funzione delle forze armate trascende lo stretto ambito militare per assurgere anche a misura dello status e del ruolo del paese nel contesto internazionale». 
Nel 1996, durante il governo Prodi, tale concetto viene ulteriormente sviluppato nella 47a sessione del Centro alti studi della difesa. «La politica della difesa – afferma il generale Angioni – diventa uno strumento della politica della sicurezza e, quindi, della politica estera». 
Viene in tal modo istituita una nuova politica militare e, contestualmente, una nuova politica estera la quale, usando come strumento la forza militare, viola il principio costituzionale, affermato dall’Articolo 11, che «l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Questa politica, introdotta attraverso decisioni apparentemente tecniche, viene di fatto istituzionalizzata passando sulla testa di un parlamento che, in stragrande maggioranza, se ne disinteressa o non sa neppure che cosa precisamente stia avvenendo. 
 
La guerra contro la Iugoslavia
Poco tempo dopo essere stato enunciato, il «nuovo concetto strategico» viene messo in pratica nei Balcani. Nel luglio 1992 la Nato lancia la sua prima operazione di «risposta alle crisi», la Maritime Monitor, per imporre l’embargo alla Jugoslavia.  Nei Balcani, tra l‘ottobre ’92 e il marzo ’99, conduce undici operazioni: Deny Flight, Sharp Guard, Eagle Eye e altre. Il 28 febbraio 1994, durante la Deny Flight in Bosnia, la Nato effettua la prima azione di guerra nella sua storia. Viola così l’art. 5 della sua stessa carta costitutiva, poiché l’azione bellica non è motivata dall’attacco a un membro dell’Alleanza ed è effettuata fuori dalla sua area geografica. 
Spento l’incendio in Bosnia (dove il fuoco resta sotto la cenere della divisione in stati etnici), i pompieri di Washington corrono a gettare benzina sul focolaio del Kosovo, dove è in corso da anni una rivendicazione di indipendenza da parte della maggioranza albanese (un milione e 800 mila persone, in confronto a 200 mila serbi, oltre 100 mila rom e goranci). Attraverso canali sotterranei in gran parte gestiti dalla Cia, un fiume di armi e finanziamenti, tra la fine del 1998 e l’inizio del 1999, va ad alimentare l’Uck (Esercito di liberazione del Kosovo), braccio armato del movimento separatista kosovaro-albanese. Eppure, ancora nei primi mesi del 1998, il Dipartimento di stato Usa, per bocca dell’inviato Gelbart, definisce l’Uck una organizzazione terroristica. Agenti della Cia dichiareranno successivamente di «essere entrati in Kosovo nel 1998 e 1999, in veste di osservatori dell’Osce incaricati di verificare il cessate il fuoco, stabilendo collegamenti con l’Uck e dandogli manuali statunitensi di addestramento militare e consigli su come combattere l’esercito iugoslavo e la polizia serba, telefoni satellitari e apparecchi Gps, così che i comandanti della guerriglia potessero stare in contatto con la Nato e Washington». L’Uck può così scatenare un’offensiva contro le truppe federali e i civili serbi, con centinaia di attentati e rapimenti.
Mentre gli scontri tra le forze iugoslave e quelle dell’Uck provocano vittime da ambo le parti, una potente campagna politico-mediatica prepara l’opinione pubblica internazionale all’intervento della Nato, presentato come l’unico modo per fermare la «pulizia etnica» serba in Kosovo. A tale scopo viene fatta fallire l’opera di mediazione della Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) che, nell’autunno 1998, invia una sua missione in Kosovo con il compito di vagliare le possibilità di pace e fermare la guerra denunciando le violazioni. E’ a questo punto che, alla metà di gennaio 1999, viene fuori a Racak, zona controllata dall’Uck, l’«eccidio» di 45 «civili albanesi»: sono, dimostreranno in seguito i medici legali di una commissione indipendente finlandese, combattenti albanesi vittime negli scontri, non civili indifesi. Dando immediatamente per buona la versione dell’eccidio di civili, il capo della missione Osce, lo statunitense William Walzer (già agente della Cia in Salvador negli anni Ottanta), ritira la missione internazionale. I serbi vengono accusati di «pulizia etnica», nonostante che un rapporto Onu del gennaio 1999 valuti il numero di sfollati, sia albanesi che serbi e rom, in circa 60 mila, e la stessa missione Osce non abbia parlato sino a quel momento, nei suoi rapporti, di pulizia etnica. Vi sono evidentemente degli eccidi, commessi dall’una e dall’altra parte, non però la «pulizia etnica» che serve a motivare l’intervento armato degli Stati Uniti e dei loro alleati.
La guerra, denominata «Operazione forza alleata», inizia il 24 marzo 1999. Mentre gli aerei di Stati Uniti e altri paesi della Nato sganciano le prime bombe sulla Serbia e il Kosovo, il presidente democratico Clinton annuncia: «Alla fine del XX secolo, dopo due guerre mondiali e una guerra fredda, noi e i nostri alleati abbiamo la possibilità di lasciare ai nostri figli un’Europa libera, pacifica e stabile». Determinante, nella guerra, è il ruolo dell’Italia: il governo D’Alema mette il territorio italiano, in particolare gli aeroporti,  a completa disposizione delle forze armate degli Stati Uniti e altri paesi, per attuare quello che il presidente del consiglio definisce «il diritto d’ingerenza umanitaria». 
Per 78 giorni, decollando soprattutto dalle basi italiane, 1.100 aerei effettuano 38mila sortite, sganciando 23 mila bombe e missili. Il 75 per cento degli aerei e il 90 per cento delle bombe e dei missili vengono forniti dagli Stati Uniti. Statunitense è anche la rete di comunicazione, comando, controllo e intelligence (C3I) attraverso cui vengono condotte le operazioni: «Dei 2.000 obiettivi colpiti in Serbia dagli aerei della Nato – documenta successivamente il Pentagono – 1.999 vengono scelti dall’intelligence statunitense e solo uno dagli europei». 
Sistematicamente, i bombardamenti smantellano le strutture e infrastrutture della Serbia e del Kosovo, provocando vittime soprattutto tra i civili. I danni che ne derivano per la salute e l’ambiente sono inquantificabili. Solo dalla raffineria di Pancevo fuoriescono, a causa dei bombardamenti, migliaia di tonnellate di sostanze chimiche altamente tossiche (compresi diossina e mercurio). Altri danni vengono provocati dal massiccio impiego da parte della Nato di proiettili a uranio impoverito, già usati nella guerra del Golfo. 
Ai bombardamenti partecipano anche 54 aerei italiani, che compiono 1.378 sortite, attaccando gli obiettivi indicati dal comando statunitense. «Per numero di aerei siamo stati secondi solo agli Usa. ... L’Italia è un grande paese e non ci si deve stupire dell’impegno dimostrato in questa guerra», dichiara il presidente del consiglio D’Alema durante la visita compiuta il 10 giugno 1999 alla base di Amendola, sottolineando che, per i piloti che vi hanno partecipato, è stata «una grande esperienza umana e professionale».
Il 10 giugno 1999, le truppe della Federazione iugoslava cominciano a ritirarsi dal Kosovo e la Nato mette fine ai bombardamenti. La risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che assume i contenuti della pace firmata a Kumanovo in Macedonia, «autorizza stati membri e rilevanti organizzazioni internazionali a stabilire la presenza internazionale di sicurezza in Kosovo, come disposto nell’annesso 2.4». L’annesso 2.4 dispone che la presenza internazionale deve avere una «sostanziale partecipazione della Nato» ed essere dispiegata «sotto controllo e comando unificati». A chi spetti il comando lo ha già chiarito il giorno prima il presidente Clinton, sottolineando che l’accordo sul Kosovo prevede «lo spiegamento di una forza internazionale di sicurezza con la Nato come nucleo, il che significa una catena di comando unificata della Nato». «Oggi la Nato affronta la sua nuova missione: quella di governare», commenta The Washington Post
Finita la guerra, vengono inviati in Kosovo dal «Tribunale per i crimini nella ex Iugoslavia» oltre 60 agenti dell’Fbi statunitense, ma non vengono trovate tracce di eccidi tali da giustificare l’accusa di «pulizia etnica». Il Kosovo, divenuto una sorta di protettorato della Nato, viene di fatto distaccato dalla Federazione Iugoslava. Gli Usa, in aperto disprezzo degli accordi di Kumanovo, costruiscono presso Urosevac, Camp Bondsteel, la più grande base militare statunitense di tutta l’area, destinata a rimanervi per sempre. Contemporaneamente, sotto la copertura della «Forza di pace», l’ex Uck terrorizza ed espelle dal Kosovo oltre 260mila serbi, rom, albanesi «collaborazionisti» ed ebrei.
 
Il superamento dell’articolo 5 e la conferma della leadership Usa 
Mentre è in corso la guerra contro la Iugoslavia, viene convocato a Washington, il 23-25 aprile 1999, il vertice della Nato che ufficializza il «nuovo concetto strategico»: nasce «una nuova Alleanza più grande, più capace e più flessibile, impegnata nella difesa collettiva e capace di intraprendere nuove missioni, tra cui l’attivo impegno nella gestione delle crisi, incluse le operazioni di risposta alle crisi». Da alleanza che, in base all’articolo 5 del trattato del 4 aprile 1949, impegna i paesi membri ad assistere anche con la forza armata il paese membro che sia attaccato nell’area nord-atlantica, essa viene trasformata in alleanza che, in base al nuovo «concetto strategico», impegna i paesi membri anche a «condurre operazioni di risposta alle crisi non previste dall’articolo 5, al di fuori del territorio dell’Alleanza». 
A scanso di equivoci, il presidente democratico Clinton chiarisce che gli alleati nord-atlantici «riaffermano la loro prontezza ad affrontare, in appropriate circostanze, conflitti regionali al di là del territorio dei membri della Nato». Alla domanda di quale sia l’area geografica in cui la Nato è pronta a intervenire, «il Presidente si rifiuta di specificare a quale distanza la Nato intende proiettare la propria forza, dicendo che non è questione di geografia». In altre parole, la Nato intende proiettare la propria forza militare al di fuori dei propri confini non solo in Europa, ma anche in altre regioni. 
Ciò che non cambia, nella mutazione genetica della Nato, è la gerarchia all’interno dell’Alleanza. Il Comandante supremo alleato in Europa resta un generale statunitense nominato dal presidente degli Stati Uniti. Tutti gli altri comandi chiave sono controllati direttamente dal Pentagono.
La Casa Bianca dice a chiare lettere che «la Nato, come garante della sicurezza europea, deve svolgere un ruolo dirigente nel promuovere un’Europa più integrata e sicura» e che «noi manterremo in Europa circa 100 mila militari per contribuire alla stabilità regionale, sostenere i nostri vitali legami transatlantici e conservare la leadership degli Stati uniti nella Nato». Dunque, un’Europa stabile sotto la Nato e una Nato stabilmente sotto gli Stati Uniti. 
 
(1 – continua)



(english / italiano)

Serbia: economia e solidarietà

1) Serbian government slashes wages and pensions (By Paul Mitchell / WSWS, 3 October 2014)
2) Non Bombe ma Solo Caramelle: Relazione sul viaggio a Kragujevac del 16-19 ottobre 2014


Vedi anche:

Invest in Serbia (Sindikat Kragujevac, 9 dic 2014)
Vlada Srbije na CNN-u, nudi visoko obrazovane radnike sa niskom cenom rada…
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=a4dmFttPAWE

Aggiornamenti sulla destinazione dei fondi (ristrutturazione di tre scuole) raccolti a seguito delle devastanti alluvioni che hanno colpito le repubbliche jugoslave a partire da maggio di quest'anno:
https://www.cnj.it/AMICIZIA/poplava2014.htm#scuole

Il nostro archivio della documentazione rilevante sulle questioni economiche e sindacali:
https://www.cnj.it/AMICIZIA/sindacale.htm


=== 1 ===

http://www.wsws.org/en/articles/2014/10/03/serb-o03.html

Serbian government slashes wages and pensions

By Paul Mitchell 
3 October 2014


The Serbian government plans to slash public sector wages and pensions by up to 20 percent, in order to meet International Monetary Fund (IMF) conditions for a new loan. The measures will be put to the Serbian parliament in mid-October in a revised budget demanded by the IMF.

The IMF insists cuts totalling “around €400 million” (US$543 million) are the “key condition” for Serbia to get the new loan. However, reports suggest that €2 billion will need to be saved over the next three years just to keep public debt at its present level.

In the new measures announced by Prime Minister Aleksandar Vucic, public sector salaries over €211 per month will be reduced by around 10 percent while those above €844 will be reduced by 20 percent.

Pensions between €211 and €256 will be reduced by 3.1 percent, those between €256 and €295 by 6.2 percent, those over €337 by 9 percent, and those above €844 by 16 percent.

Other austerity measures being discussed include cuts to public sector jobs, raising the retirement age, reducing subsidies to and further privatisations of 153 public enterprises while providing more support to private companies, curbs to the “grey” economy, cuts to public spending, and raising Value Added Tax.

Kori Udovicki, minister for state administration and local self-management, told reporters, “We are in talks with the IMF about cutting the number of employees in public sector by 5 percent.”

“We hope to be able to meet this demand to the largest degree as workers retire, but there are concerns that we will have to lay off 25,000 people.” 

However, media reports suggest as many as 100,000 public sector workers—20 percent of the total—may be made redundant. The former finance minister, Lazar Krstic, was demanding a minimum 160,000 job cuts before he resigned earlier this year after criticising the government for not being more “radical” with its reforms.

The European Union (EU) welcomed the new measures because, of course, it had helped draft them. Freek Janmaat, head of the EU Delegation to the Republic of Serbia, said that Brussels supported the proposals as “part of the broad structural reforms which are to follow”. They are built on the recent adoption of a new labour law providing more “flexibility” in the labour market, i.e., making it easier to fire workers and reduce redundancy payments.

Serbia is in a grave economic crisis, with government ministers needing to regularly talk down the threat of bankruptcy. In 2012, the IMF suspended its loan programme because the country failed to meet its budget targets. Since then, the budget deficit has doubled to more than 8.5 percent of economic output (GDP), Europe’s highest, and public debt has risen to an enormous €20 billion (US$25.7 billion). The country is facing its third recession in five years, a situation made worse by the devastating floods earlier this year. Bankruptcy has been staved off by huge multi-billion-dollar investments from the United Arab Emirates, whose Etihad Airways bought the Serbian national airline JAT last year.

Serbia’s economic difficulties have been compounded by its political woes as it attempts to balance between its traditional ally Russia and integration into the European Union. Vucic regularly describes how “Serbia wants to be part of the EU, but does not want to destroy its relations with Russia.”

Some analysts have talked of Serbia becoming “a new Ukraine in the Balkans.”

The country gained EU candidate status in 2013 and will chair the Organisation for Security and Cooperation in Europe (OSCE) in 2015. However, the prospect of full EU membership appears to be receding—to 2020 at the earliest—due to what former European enlargement commissioner Günter Verheugen described as the EU’s “enlargement fatigue.”

In late August, an international conference on the Balkans, convened by German Chancellor Angela Merkel, attempted to dispel these concerns. But the whole affair fell flat when it was revealed that incoming European Commission President Jean-Claude Juncker failed to include an EU Enlargement Commissioner in early proposals for his new ministerial team.

Merkel, along with other EU leaders, is insisting that Serbia’s membership depends on “normalising” its relationship with the former Serbian province of Kosovo, which declared independence in 2008. However, last year’s EU-sponsored “First Agreement of Principles Governing the Normalisation of Relations between Serbia and Kosovo” has ground to a halt.

The EU and United States are above all insisting on Serbia severing its links with Russia, with which it has a free trade agreement. Earlier this year, an EU email was leaked rebuking Vucic for not imposing sanctions against Moscow, complaining that this threatened “European solidarity”. US ambassador to Serbia Michael Kirby recently spoke publicly about his concern over the invitation to Belgrade of Russian President Vladimir Putin to this month’s World War II commemorations.

Following last month’s announcement by Russia’s state-owned energy conglomerate, Gazprom, that the construction of the Serbian stretch of the South Stream gas pipeline would start in October, European Commission spokesperson Marlene Holzner declared, “If the idea is to bring gas from Russia to Europe, you have to go through European territory and as we have said for all big infrastructure… If you do business on European territory, you have to respect our legislation.”

Tensions are also brewing over the proposed privatisation of Serbia’s richest public company, the Serbian Electric Enterprise, which is attracting attention from Russia’s Inter RAO and Germany’s RWE.

Meanwhile, official unemployment remains at around 24 percent, with youth joblessness at 50 percent. The average monthly wage is a wretched €377 (US$476) and has declined by 0.8 percent in real terms since the beginning of the year. The population has decreased, despite the fact that in the 1990s during the Balkan Wars nearly one million Serbs migrated from Croatia and Bosnia-Herzegovina. By 2020, estimates suggest pensioners will make up 34 percent of the total population as young people leave in search of a better future. A recent poll suggested 78 percent of Serbian youth would like to do so.



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Il seguente resoconto del viaggio di solidarietà di Non Bombe ma solo Caramelle - Onlus a Kragujevac si può scaricare nella versione completa (formato Word, corredata di fotografie) al link: https://www.cnj.it/AMICIZIA/Relaz1014.doc 
Anche le precedenti relazioni di Non Bombe ma solo Caramelle - Onlus si possono scaricare alla URL: https://www.cnj.it/NBMSC.htm
Gallerie fotografiche ed ulteriori informazioni sono riportate alla pagina facebook http://www.facebook.com/nonbombemasolocaramelle dove è possibile trovare anche aggiornamenti successivi alle stesura del presente Resoconto, relativi ai progetti ed iniziative di solidarietà promosse dalla stessa ONLUS.

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ONLUS Non Bombe ma Solo Caramelle

Relazione sul viaggio a Kragujevac del 16-19 ottobre 2014

 

Introduzione

Care amiche e cari amici solidali, vi inviamo la relazione del viaggio che abbiamo svolto a Kragujevac circa un mese fa, per la consegna degli affidi a distanza gestiti dalla nostra ONLUS e per la verifica dei numerosi progetti che portiamo avanti insieme ad altre associazioni italiane.

In questa relazione, come d’abitudine, inseriremo alcune foto per illustrare il nostro viaggio, ma ne pubblicheremo molte di più, per ogni singolo progetto, sulla nostra pagina facebook

https://www.facebook.com/nonbombemasolocaramelle

La pagina viene aggiornata di tanto in tanto, senza precise scadenze, quando abbiamo notizie da fornire; siamo molto soddisfatti del successo che ha, con molte centinaia di visite per ogni nuovo inserimento.

Non è necessario essere iscritti a facebook per poterla visitare.

Ci sono vari siti che pubblicano di tanto in tanto le nostre relazioni, e  due siti che le pubblicano regolarmente tutte:

sul sito del Coordinamento RSU trovate tutte le notizie sulle nostre iniziative (a partire dal 1999) alla pagina:

http://www.coordinamentorsu.it/guerra.htm

I nostri resoconti sono presenti dal 2006 anche sul sito del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia, all'indirizzo:

https://www.cnj.it/NBMSC.htm

 

 

Prologo

Il viaggio comincia con il prelievo in Banca del denaro che dovemo portare con noi.

E' una operazione lunga e delicata, perchè bisogna prelevare una grossa cifra (per questo viaggio si tratta di 41100 euro) suddivisi in nove prelievi parziali, con pezzature precise, per ognuno dei vari versamenti che faremo poi arrivati a Kragujevac.

Per esempio dobbiamo prelevare

186 pezzi da 100 euro

148 da 50 euro

5 pezzi da 20 euro

85 pezzi da 10 euro

per quanto riguarda la consegna delle quote di affido, in totale 157 quote

e così via per ognuno dei progetti che dovranno essere portati avanti.

Facciamo prelievi diversi in modo tale che poi avremo ricevute specifiche per ciascuno di essi e diventa più facile leggere il bilancio a distanza di tempo.

Il problema del prelievo non finisce qui; bisogna fare un passaggio, che ci porta via mezzo pomeriggio, agli uffici doganali a Fernetti, per la dichiarazione di esportazione di valuta. Un annoiato funzionario di polizia di frontiera conta a mano queste centinaia di biglietti e controlla le pezzature (gli ci vuole quasi un'ora) e ci rilascia i documenti per la banca e per gli eventuali (mai avvenuti in tante decine di viaggi) controlli valutari alle dogane. Quasi dovessimo sentirci esportatori clandestini di valuta...

 

Cronaca del viaggio

16 ottobre 2014

Come sempre siamo in ritardo. Benchè tutto sia stato preparato con cura, il carico del  glorioso pulmino della Associazione di Solidarietà Internazionale Triestina, con il quale viaggiamo da tredici anni, si presenta laborioso. Oltre ai bagagli personali entrano nel pullmino le valigie con i medicinali destinati alla nostra farmacia sociale di Kragujevac, un frigorifero per l'ufficio del sindacato, alcuni pacchi di regali da parte di famiglie italiane alle famiglie serbe, e le bombole di ossigeno per Gilberto. Finalmente alla 9 partiamo.

Siamo in 7: Gabriella e Gilberto da Trieste, Stefano da Fiumicello, Antonio da Treviso, Giuseppina da Biella, Fabio e Gino da Montereale.

Bel tempo durante tutto il viaggio, temperatura mite, molto alta rispetto alle medie del periodo.

Ho sempre commentato questa parte del viaggio parlando del traffico scarso. Questa volta il traffico, specialmente quello commerciale, è quasi inesistente anche nelle vicinanze di grandi città come Lubiana e Zagabria. E' poi del tutto assente in Serbia; e questi sono indici che la situazione economica nei Balcani non è certo rosea.

A Belgrado, mentre noi stiamo arrivando, inizia alla presenza di Vladimir Putin la parata militare che ricorda la liberazione di Belgrado alla fine della Seconda guerra mondiale.

Questo vuol dire una città completamente bloccata. Prendiamo allora una strada che non abbiamo mai fatto, che costeggia la città ad ovest, lasciando quindi l'autostrada che abbiamo sempre percorso. Benchè la strada sia molto trafficata e a due corsie per quasi tutto il suo tracciato, ed alcuni semafori, ci troviamo senza problemi e soprattutto in un tempo ragionevole a sud della città e riprendiamo l'autostrada che in circa due ore ci porterà a destinazione.

Alle 18 e 30 arriviamo finalmente alla sede del Sindacato Samostalni, dove incontriamo i nostri amici dell’ufficio relazioni internazionali e affidi a distanza.

Consegnamo a Rajko, segretario del Samostalni, il denaro necessario per la realizzazione dei due nuovi progetti che sono abbiamo deciso di realizzare in questo viaggio, il restauro di una nuova scuola nel villaggio di Sabanta e la ricostruzione di un edificio polivalente nel paese di Desimirovac, per 4350 e 9500 euro rispettivamente (vedi più sotto per i dettagli).

Facciamo il controllo delle liste degli affidi da consegnare, ci vengono date le schede relative ai nuovi ragazzi presi in carico.

Purtroppo il numero di affidi che distribuiremo è sceso di alcune unità rispetto al passato: alcuni sottoscrittori, senza preavviso, hanno smesso di contribuire, mettendoci così in gravi difficoltà, perchè dobbiamo improvvisamente sostenere questi affidi con fondi della ONLUS destinati ad altri impegni;  ci sono però due affidatari nuovi e altri tre hanno deciso di continuare questa campagna di solidarietà cambiando l’affido, perchè i ragazzi a loro assegnati hanno finito gli studi. Comunque sul fronte degli affidi siamo in grande difficoltà, i bisogni sono enormi e le risorse molto limitate.

[FOTO: La preparazione delle buste degli affidi]

Mentre alcuni preparano le buste, altri di noi consegnano la grande quantità di medicine che ci accompagna ad ogni viaggio.

Fino a due anni fa le nostre medicine venivano consegnate al centro medico della Zastava, dove il Dottor Zika le prendeva in carico e le distribuiva gratuitamente ai lavoratori e alle loro famiglie.

Ora è andato in pensione, e ha deciso di gestire, come volontario ogni giovedì mattina la nostra "farmacia sociale" in una delle stanze a disposizione del sindacato.

Non usa il computer, riporta a mano su grandi registri le confezioni che riceve, e le consegna gratuitamente a chi ne ha bisogno, riportando i dati anagrafici e facendo firmare una ricevuta.

Il personale medico e paramedico in Serbia ha una buona preparazione, ma sanità pubblica è sicuramente carente e presenta alti dati corruttivi; le farmacia pubbliche hanno gravi carenze di medicinali, e si deve ricorrere al mercato privato, che spesso mette in commercio farmaci di provenienza molto dubbia. I costi dei medicinali sono altissimi per i redditi medi dei lavoratori, irraggiungibili per che il lavoro non ce l’ha; la nostra farmacia sociale, come tutti gli altri nostri progetti, non vuole dare risposte caritative, ma cerca di contrastare la disgregazione sociale offrendo risposte concrete ai bisogni dei gruppi sociali più deboli.

[FOTO: L’arrivo delle medicine / La loro selezione / Il Dottor Zika al lavoro / I suoi registri]

Discutiamo il programma dei due giorni successivi, che saranno densissimi di incontri e finalmente alle 22 siamo a cena.

 

17 ottobre 2014

Il primo appuntamento della mattina è alla Radio Umanitaria.

Si tratta di una radio su internet, fondata due anni fa da Branko Lukic, un invalido cieco. Sono regolarmente registrati come associazione di invalidi e come radio privata; sono ospitati in un piccolo appartamento al piano terreno di un edificio di proprietà pubblica, non ancora del tutto finito.

La radio è nata per contrastare i pregiudizi e lottare contro le discriminazioni a danno delle persone invalide, e per promuovere azioni a loro favore.

Trasmette dibattiti, testimonianze, informazioni legali  a tutela dei diritti dei disabili, e tante canzoni, soprattutto musica popolare balcanica.

Durante il nostro viaggio di aprile scorso Stefano ed io eravamo stati invitati alla sede di questa radio per un’intervista sulle nostre attività e sui motivi che ci spingono ad essere presenti a Kragujevac da ormai quindici anni.

E’ una piccola radio che trasmette via web, con l’indirizzo

http://www.uzivoradio.com/humanitarni-kragujevac.html

La cosa che ci aveva colpito ad aprile era la presenza di una scala piuttosto ripida e sconnessa all’ingresso dell’edificio, che rende pressochè impossibile l’accesso alla radio delle persone in carrozzina.

Noi fino ad ora abbiamo realizzato solo progetti che ci sono stati esplicitamente richiesti, ma in questo caso abbiamo, in modo del tutto autonomo, deciso di costruire una rampa per disabili che superasse questa barriera.

La ONLUS  Zastava Brescia per la Solidarietà Internazionale ha partecipato con noi alle spese; per questa realizzazione abbiamo speso complessivamente 1180 euro.

Oggi siamo qui, insieme al sindacato e ai rappresentanti di altre associazioni per festeggiare l’inaugurazione di questa rampa, ci sono anche alcuni giornalisti, l’assessore ai servizi sociali, una televisione locale.

Tocca a me "l’onore" di passare per la prima volta sulla rampa.

Potete vedere una breve nostra intervista (in Italiano, tradotta in Serbo dalla nostra Rajka) realizzata da una televisione locale

http://www.rtk.co.rs/kragujevac/item/19542-rampa-za-humanitarni-radio

che ci ha seguito durante la festa.

[FOTO: La scala all’ingresso del palazzo / La rampa / All’interno della radio / L’apparato tecnico]


Dopo questa visita andiamo a Gornja Sabanta, un piccolo villaggio di circa 850 abitanti nella municipalità di Pivara, sempre in comune di Kragujevac, a circa 10 chilometri dal centro. Nella scuola lavorano 15 persone, ed è frequentata da 70 alunni, suddivisi in 8 classi più la classe preparatoria (l’ultima delle classi di scuola materna).

A aprile scorso avevamo visitato la scuola del paese, che serve anche per i vicini villaggi di  Donja Sabanta, Sugubine, Velike Pcelice e Ratkovic, con circa con circa 3000 abitanti in totale.

Avevamo preso in carico i lavori di recupero edilizio di una ala della scuola, dove era presente una palestra, del tutto fatiscente, e dove esistevano dei locali abbandonati dove gli insegnati avevano proposto di realizzare due aule per l’insegnamento delle materie scientifiche.

Molte lesioni erano derivate dai bombardamenti NATO del 1999, che avavano colpito una fabbrica di munizioni che si trova ad alcuni chilometri dal paese di Gornja Sabanta.

Le scuole, i centri sociali, le associazioni di tutela per persone portatrici di handicap fisici e mentali, i campi profughi,  localizzati in zone popolari della città di Kragujevac e nei suoi villaggi periferici, ci hanno visti presenti ed interessati a dare una mano per migliorare le condizioni di vita e di studio di chi li frequenta o vi abita, per aiutare ad avere una speranza per il futuro.

Lo facciamo obbedendo alla regola di partire dagli ultimi, che sono poi i disoccupati, le loro famiglie, i loro bambini, gli anziani, gli invalidi dimenticati dal Governo e dalla società, cercando sempre di non creare discriminazioni tra gli umili, tra i poveri, per salvaguardare la loro dignità e soprattutto cercare di combattere la disgregazione sociale che sempre si presenta in situazioni così difficili. Le tante scuole dove siamo intervenuti erano sempre molto disastrate, tristi ed opprimenti

A volte le cose che facciamo dovrebbe realizzarle il Comune, o i vari  Ministeri, spesso la nostra è una operazione di totale supplenza, ma se queste cose non le facciamo noi non le fa nessuno! 

Quando arriviamo alla scuola siamo accolti in palestra da tutti gli alunni e da moltissimi genitori in una atmosfera molto festosa. Le parti ricostruite della scuola sono bellissime, assolutamente irriconoscibili rispetto al passato.  Come sempre i bambini hanno preparato un piccolo spettacolo. La bandiera della Pace è esposta in palestra.

Per motivi di spazio non posso inserire in questa relazione tutte le foto che sarebbero necessarie per illustrare i progressi fatti, vi rimando alla nostra pagina facebook, all’indirizzo

https://www.facebook.com/nonbombemasolocaramelle

al post pubblicato in data 2 settembre 2014

dove troverete le foto della scuola così come la avevamo vista noi ad aprile scorso, quando ne abbiamo preso in carico il recupero edilizio, e come si presentava i primo settembre, primo giorno dell’anno scolastico 2014-2015.

[FOTO: Due dettagli della palestra ad aprile scorso / Durante la nostra visita / Spazi abbandonati, aprile / Gli stessi spazi, dopo il recupero, ad ottobre] 

Come sempre una targa all’ingresso della scuola ricorda questo gesto di amicizia e solidarietà; abbiamo usato una generosa donazione di una nostra sottoscrittrice, che ha voluto ricordare sua nonna, e così i lavori eseguiti sono stati dedicati alla memoria della signora Giovanna Scarsoglio.

[FOTO: La targa in memoria di Giovanna Scarsoglio] 


E ora, dopo questa scuola appena rimessa in ordine, andiamo a trovarne un’altra, che ci ha chiesto di incontrarci per affrontare un problema molto serio. Si tratta della Scuola 19 ottobre, sezione distaccata nel villaggio di Botunje, municipalità di Pivara, Comune di Kragujevac.

E’ una tipica scuola di campagna, con circa 80 alunni suddivisi in 8 classi, con quattro aule a disposizione dove le lezioni si svolgono in turni alternati mattina-pomeriggio.

Siamo accolti con calore da molti genitori, da moltissimi bambini che ci guardano come sempre con grande curiosità, dai rappresentanti degli abitanti del villaggio.

Consegniamo una bandiera della Pace alla direttrice, che conosciamo bene perchè abbiamo già contribuito quattro anni fa a recuperare un grande locale adibito a palestra e a sala riunioni in un’altra delle scuole di campagna facente parte del plesso scolastico che lei dirige, nel villaggio di Marsic (vedi relazione del viaggio di giugno 2010 [ https://www.cnj.it/AMICIZIA/Relaz0710.doc ]). E’ una donna energica e capace, e siamo sicuri che anche questa volta l’intervento che riusciremo a realizzare andrà a buon fine.

La situazione delle aule non sembra così catastrofica come quella che abbiamo riscontrato in tutte le scuole dove siamo intervenuti in questi anni, benchè la scuola si presenti molto spartana e molto triste. I pavimenti sono in un bellissimo rovere, e se rimessi in sesto diventerebbero splendidi. I muri e gli infissi delle aule avrebbero bisogno di profonda mautenzione.

Il problema più grave di questa scuola è rappresentato dai servizi igienici, che si trovano all’aperto in una condizione catastrofica.

Noi riteniamo che i nostri interventi nelle scuole di campagna siano tra i migliori e più qualificanti in difesa delle fasce più deboli della popolazione che seguiamo perchè, oltre a permettere ai piccoli alunni di studiare e giocare in un ambiente reso dignitoso e allegro, restituisce alla comunità locale uno spazio pubblico, spesso l’unico del paese, che diventa punto di aggregazione sociale e culturale.

Purtoppo in questo caso non riusciremo, almeno per il momento, a realizzare un recupero totale della scuola, perchè la spesa sarebbe molto alta; certamente interverremo per risolvere il problema dei servizi igienici.

La scuola ha un corpo aggiunto, dove si trova l’ufficio amministrativo della scuola, dove si potranno costruire nuovi bagni; sarà necessario costruire anche una grande fossa settica perchè non ci sono le fognature.

[FOTO: Esterno della scuola / Servizi igienici / Con la direttrice e alcuni genitori / I bambini della prima classe]

Non esiste ancora un preventivo esatto dei lavori, ma noi ad ogni viaggio portiamo una certa quantità di denaro per eventuali spese impreviste, e così lasciamo 4000 euro affinchè i lavori possano cominciare.

Dopo di questo viaggio ci arriverà il preventivo finale di 8520 euro. Anche qui ci sarà lavoro volontario dei genitori, per i lavori di sterro per la costruzione della fossa settica e per lavori edili generali. La ONLUS di Brescia in seguito deciderà di partecipare a questo progetto.

Quasi certamente i servizi igienici saranno pronti dopo le vacanze scolastiche di fine anno e durante il nostro prossimo viaggio di fine marzo 2015 potremo feteggiare un altro progetto arrivato a termine.

 

La giornata non è ancora conclusa. Ci aspetta ancora un incontro con il personale del Centro Medico Filip Kljajic.

Si tratta di un grande poliambulatorio pubblico, a due piani, che come altri poliambulatori dello stesso tipo era direttamente connesso a un grande stabilimento industriale, in questo caso la fabbrica metalmeccanica Filip Kljajic.

Questi centri sanitari offrivano la medicina di base (ma anche molte e varie specializzazioni) ai lavoratori di queste fabbriche, ai pensionati e ai loro familiari.

Durante questi anni di licenziamenti selvaggi e di privatizzazioni guidate spesso (se non esclusivamente) dalla corruzione questi centri sono rimasti di proprietà pubblica. I vari pescecani che si sono impadroniti delle strutture produttive si sono ben guardati dall'accollarsi anche le strutture sanitarie connesse agli stabilimenti industriali.

Questi centri sono rimasti quindi di proprietà pubblica, ma senza senza retroterra economico; continuano a svolgere un ruolo essenziale per decine di migliaia di lavoratori, operai licenziati e pensionati (e le loro famiglie) in condizioni sempre più dfficili.

Non esiste manutenzione degli edifici, la strumentazione sanitaria diviene via via più obsoleta.

Il centro medico Filip Kljajic ha un bacino si 12.000 utenti, il personale medico e paramedico è formato da 9 medici,1 dentista e 14 infermiere.

Dopo la privatizzazione della fabbrica Filip Kljajic il centro è passato sotto il controllo di Zavod Za Zdravstvenu Zastitu Radnika (Istituto per la tutela della salute dei lavoratori) della ZASTAVA, il centro medico per i lavoratori Zastava che era aggregato alla fabbrica automobili, e che Marchionne si è guardato bene dal privatizzare quando si è impossessato in modo praticamente gratuito dei capannoni dello stabilimento per la produzione delle automobili, creando la FIAT Auto Serbia.

Durante il mese di settembre scorso il nostro direttivo aveva deciso di sostenere il recupero edilizio di due stanze di questo centro medico, quelle in cui si eseguono i prelievi di sangue, che erano in pessime condizioni. La ONLUS Zastava Brescia per la solidarietà internazionale ha condiviso il progetto, per il quale ci era stato presentato un preventivo di  6000 euro.

L’intero edificio versa in brutte condizioni, ma al momento questa era stata la prima emergenza da affrontare; vedremo in futuro se riusciremo a trovare altre collaborazioni per mettere mano ad un lavoro di recupero più radicale.

Al nostro arrivo ci accoglie una numerosa delegazione di mediche (tutte donne),  infermiere e i delegati sindacali. Come in ogni occasione consegnamo una bandiera della Pace, e discutiamo dei possibili progetti futuri. Questi sono progetti fondamentali per la popolazione, perchè se questi centri smetteranno di esistere significherà lo smantellamento definitivo  della sanità pubblica  nel Paese.

[FOTO:  L'ingresso / Il nostro arrivo e l'incontro con il personale / Tre dettagli degli interni dell'ambulatorio prelievi]

Il personale del Centro ci ha scritto una bella lettera, firmata da ciascuno di loro, per ringraziarci di questo intervento ma anche per chiederci di cercare di continuare, al loro fianco, a difendere questo tipo di istituzioni.

 

18 ottobre 2014

Sulla piazza dello storico edificio della direzione della Zastava, dominata dalla statua all’operaio metalmeccanico, ci aspettano in tantissimi per l’assemblea di consegna degli affidi a distanza.

Per me è sempre un momento di felicità essere qui con loro, ma anche di forte dolore. Come ogni volta mi fa male vedere i volti di questi bambini, di questi ragazzi, di questi adulti che attendono di essere chiamati per ricevere la busta con l’affido e firmare la ricevuta.

All’inizio della nostra avventura solidale, quindici anni fa, sia noi che le famiglie serbe di nostro riferimento nutrivamo la speranza che presto sarebbe arrivata la ricostruzione che segue tutte le guerre, ma non avevamo messo in conto che quella contro la Serbia è stata una aggressione che faceva parte di una strategia (iniziata con la dissoluzione della Jugoslavia) molto ampia che aveva come obiettivo l’isolamento politico e la distruzione dell’apparato economico-industriale di quei Paesi che venivano considerati non allineati agli interessi della parte ricca del pianeta, e la Serbia è stata la prima vittima di una lunga serie di questa strategia.

Questo è il risultato delle aggressioni sotto il cappello NATO appoggiate e finanziate dai governi occidentali. Lo smembramento della Jugoslavia e la riduzione dei suoi paesi alla miseria, per farne poi colonie del fallimento della politiche industriali speculative della finanza europea.. Adesso in Serbia hanno i telefonini, facebook, le scarpe made in Cina alla moda, il franchising e la promessa dell'Europa come la nostra. Però il latte ai bambini in Serbia non si può più comprare e la bolletta della luce costa veramente troppo, troppo, tante case stanno al buio e nelle fabbriche serbe che sopravvivono gli operai si lavano con acqua industriale, i libri di scuola non sono più gratuiti e una radiografia a Belgrado ormai costa 30 euro. Ma molte famiglie non arrivano a 300 euro al mese, e lo vedi su tutti i volti che incontri, che dopo i 30 anni di età ti sorridono quasi senza denti...

Non siamo dei benefattori, ma donne e uomini solidali, ma sarà chiaro questo concetto? Non siamo lì con l’ipocrisia di fare genericamente del bene, ma sarà chiaro?

Tutto questo viene ribadito con forza da Rajko, il segretario del sindacato Samostalni, e da Stefano, il nostro vicepresidente.

Negli interventi iniziali di saluto viene chiaramente ricordato che noi siamo qui perchè crediamo  in valori molto precisi,  l’Antifascismo, il Lavoro, la Pace, la Libertà e la Solidarietà tra i lavoratori e tra i popoli, e siamo convinti che la solidarietà e l’unità tra i lavoratori è il bene più grande che abbiamo nelle nostre mani.

Per quasi due ore stringeremo tante mani, riceveremo tanti abbracci e baci, ci racconteranno i loro problemi, i loro dolori e le loro poche speranze; tanti lasceranno il loro regalo per le famiglie italiane, o un pensiero per la nostra delegazione, soprattutto tante bottiglie di rakija distillata direttamente da loro.

[FOTO: La statua all’operaio metalmeccanico / Una delle "nostre" bambine in affido]


Dopo l’assemblea ci aspetta un altro importante incontro, a Desimirovac, un grosso paese agricolo a una decina di chilometri a nord del centro di Kragujevac.

Abbiamo pubblicato un post con circa 40 foto su questo centro

 in data 28 luglio 2014 sulla nostra pagina facebook

Il paese ha circa 1600 abitanti e con i villaggi vicini di Opornica (1200) Cerovac (1500) e Gornje Jarusice (1400) si giunge ad un totale di quasi 6000 persone.

Alla fine del 2012, in occasione di una nevicata eccezionale crollò il tetto di un edificio di 350 metri quadrati di proprietà del Comune, utilizzato come poliambulatorio pubblico, sede di gruppi sportivi e della associazione dei pensionati; inoltre un’ala del locale conteneva su due piani (uno a filo strada e uno seminterrato) due grandissime botti per la grappa.

Durante l’estate del 2013 ci venne chiesto se potevamo prendere in considerazione la ricostruzione di questo edificio come progetto per la nostra associazione. Ci furono inviate molte foto, e durante il viaggio di ottobre 2013 incontrammo i rappresentanti dell’associazione degli abitanti del paese. La ricostruzione poteva prevedere  l’utilizzo dell’edificio anche da parte degli invalidi con la semplice costruzione di una rampa di accesso. Nel poliambulatorio si potrebbe infine installare una poltrona dentistica per odontoiatria sociale, visto che il problema dei denti è uno dei più gravi e diffusi tra la popolazione, poichè le spese connesse sono troppo elevate. La prevenzione specie nei bambini sarebbe veramente efficace.

Il progetto era importante ed interessante, perchè avrebbe riconsegnato alla popolazione un servizio pubblico essenziale, ma l’investimento da fare era al di sopra delle possibilità di una associazione come la nostra, anche  se in collaborazione con altre.

Ritornati a casa e dopo averne tanto discusso nel direttivo e con altre organizzazioni la nostra proposta fu la seguente: se il Comune avesse garantito la ricostruzione del tetto noi avremmo potuto discutere la possibilità di prendere in carico la  ricostruzione degli interni, a patto che ci fosse anche una parte di lavoro volontario fornito dagli abitanti.

Così durante l’inverno del 2013 avevamo ricevuto più preventivi. La ricostruzione degli interni costava 21.500 euro, ridotti a circa 14.000 per l’acquisto dei soli materiali, contando quindi totalmente su lavoro volontario degli abitanti . E poi finalmente il Comune di Kragujevac ci inviò una lettera che ci informava che in data 13 febbraio 2014 era stata approvata una delibera che stanziava 2.400.000 dinari (circa 21.000 euro) per la ricostruzione del tetto e il risultato positivo della gara di appalto; la ricostruzione tetto veniva stimata  in circa due mesi.

Poi il 16 marzo 2014 ci era arrivato l’ultimo preventivo con tutti i dettagli per l’acquisto dei soli materiali necessari alla ricostruzione degli interni. Si trattava di 13.970 euro. Infine l’associazione degli abitanti ci mandò un lettera in cui garantivano lo svolgimento di tutti i lavori con loro interventi su base volontaria e gratuita.

A partire da aprile scorso i lavori di ricostruzione sono andati avanti senza sosta; non sono ancora tutti finiti durante questa nostra visita, ma mancano veramente poche cose.

Il recupero di questo centro polivalente è intitolato alla memoria di un medico triestino, Franco Dardi, la cui famiglia ha fatto una grandissima sottoscrizione per ricordarne il nome; un figlio e un nipote di questo medico partecipano con noi a questa visita.

Quando arriviamo l’accoglienza è proprio fuori dall’ordinario (per noi) ma molto tradizionale per loro: una ragazza in costume della Sumadija (la regione di Kragujevac) ci aspetta con la tradizionale offerta del pane e del sale, insieme  ad un giovane e bravissimo fisarmonicista e a una folta delegazione di abitanti del paese.

[FOTO: Il pane ed il sale / La targa in memoria di Franco Dardi]

Visitiamo con cura i locali di questo centro, è irriconoscibile dal rudere che avevamo visto un anno fa, quando avevamo pensato che forse era meglio abbatterlo. Adesso tutto è a posto: l’impianto elettrico e quello idraulico sono finiti, così come tre ambulatori, l’ufficio comunale, la sala per i pensionati e per le associazioni sportive, i servizi igienici; mancano ancora alcuni intonaci, ma tutto è fattibile in poco tempo. La cosa più importante è che si sono i materiali e una grande voglia di fare.

La parte dell’edificio che ospitava le grandi botti per la rakija non sono stati ancora ricostruiti, non facevano parte del progetto ma il Comune ha ricostruito il tetto. Vedremo se in futuro si troveranno i mezzi per ristrutturare anche questi spazi: l’associazione degli abitanti sogna di costruire una farmacia a piano strada e un ritrovo per i giovani nella parte semi-interrata.

Per potere descrivere questo progetto ci vorrebbero decine e decine di fotografie, che non possiamo mettere in questa relazione, ma che inseriremo nella nostra pagina Facebook; qui ci limitiamo a qualche scatto importante.

[FOTO: La facciata prima… / … e dopo la ricostruzione / Due viste dell’ingresso prima dei lavori / L’ingresso dell’edificio dopo i lavori / Una delle stanze (senza il tetto) / La stessa stanza, dopo i lavori (mancano ancora le lampade al soffitto)]

Dopo questa visita siamo ospiti della associazione degli abitanti del paese e così, con un tipico ottimo pranzo serbo, si conclude anche questa missione.

Il giorno dopo, con un tranquillo viaggio di ritorno, saremo a casa e inizieremo la preparazione della prossima delegazione, che ad aprile 2015  ci porterà di nuovo a incontrare questi nostri carissimi amici.

 

CONCLUSIONI

In Serbia l’occupazione complessiva è sempre in discesa, il potere di acquisto dei salari e soprattutto delle pensioni è in costante diminuzione, non si vedono speranze per i giovani che sono costretti ad emigrare, soprattutto se dotati di una buona formazione scolastica.

Con molta fatica siamo riusciti a mantenere  il numero di affidi nel 2014 al di sopra di 150, ne abbiamo perduti una ventina negli ultimi 3 anni, mentre abbiamo ampliato il numero di progetti che vanno incontro a reali bisogni sociali della popolazione di Kragujevac, e che lo stato di povertà della città non permette di soddisfare, nel campo della scuola, della sanità, del disagio fisico e mentale, in tutto ciò che può regalare una piccola speranza alle nuove generazioni. 

Sappiamo bene che le condizioni materiali sono molto deteriorate anche qui da noi in Italia, ma siamo anche sicuri che i nostri sostenitori si rendono conto delle gravissime difficoltà che i lavoratori della Zastava e le loro famiglie continuano a sopportare, e che di conseguenza non mancheranno di sostenere la campagna di affidi, perchè la crisi non deve minare la solidarietà tra lavoratori e popoli, ma anzi rafforzarla, non deve dividere, ma unire, in nome di una globalizzazione dei diritti che, unica, può impedire le guerre tra i poveri e la disgregazione sociale.

ONLUS Non Bombe ma Solo Caramelle

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Trieste, 18 dicembre 2014