Informazione
NOVI "HLADNI" RAT. Agresija NATO 15 godina kasnije
// La nuova guerra "fredda". La aggressione NATO 15 anni dopo //
Interventi dei partecipanti al Meeting internazionale tenuto nel marzo 2014 a cura del Forum di Belgrado
provenienti dall' Irlanda, Venezuela, Austria, Francia, Russia, USA, Germania, Ucraina, Grecia, Canada, Bielorussia, Italia, Danimarca, Cipro, Turchia, Croazia, Serbia, Rep. Ceca, ecc. Edizione Beoforum. Altre info: https://www.cnj.it/24MARZO99/2014/index.htm#skup
Stenografske beleške i dokumenta sa suđenja Dragoljubu-Draži Mihailoviću
(original na čirilici: Beograd, Savez Udruzenja Novinara FNRJ-e 1946)
prijepis originala na latinski: Zagreb, Zaklada "August Cesarec" 2011 – ISBN 978-953-95475-3-8
Il testo, nato dalle testimonianze che sono state raccolte dai sopravvissuti ai campi di concentramento fascisti e dai documenti storici della Commissione d'inchiesta per i presunti crimini di guerra italiani, è stato avvalorato dalla Professoressa Alessandra Kersevan, storica che si è dedicata fin dal 1992 alla stesura di saggi storici sulle questioni di confine tra Italia e Jugoslavia.
VIDEO PROMOZIONALE DI 20 MINUTI: http://youtu.be/sDf_seVDtL0
INFO: www.teatrobinario7.it
Simposio:
#NoGuerra #NoNato
Per un Paese sovrano e neutrale
Presentazione del Disegno Di Legge Costituzionale n. 1774, d’iniziativa della senatrice Paola De Pin (M5S), per la modifica all’articolo 80 della Costituzione, in materia di ratifica dei trattati internazionali di natura militare, nonché disposizioni in materia di basi, caserme, installazioni e servitù militari, e della Campagna #NoGuerra #NoNato. Per un Paese sovrano e neutrale
Relatori: Manlio Dinucci, Alex Zanotelli, Ferdinando Imposimato, Giulietto Chiesa, Franco Cardini, Fulvio Grimaldi, Massimo Zucchetti
Dress code: è d’obbligo per gli uomini indossare la giacca
E' necessario l’accredito
Per accreditarsi inviare cognome e nome entro il 15 aprile alle ore 12 all'indirizzo: noguerranonato@...
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Italia, 80 milioni di euro al giorno di spesa militare
(Manlio Dinucci,Italia, 80 milioni di euro al giorno di spesa militare, Il Manifesto, 14 aprile 2015 – http://www.voltairenet.org/article187332.html )
alle ore 17.30 presso il Bar Knulp – via Madonna del Mare 7/a
Presentazione del dossier n. 51 de La Nuova Alabarda:
“Le due insurrezioni di Trieste”
Partecipano l'autrice Claudia Cernigoi e la storica Alessandra Kersevan.
Quali furono le due resistenze di Trieste? quale la funzione della "resistenza patriottica" alla quale si vuole riconoscere oggi ogni valore, a scapito della resistenza internazionalista e di classe?
Quali furono i rapporti tra il CLN giuliano ed il CLNAI ed il partito comunista?
Come si sviluppò la mistificazione dell'arresto del segretario comunista Luigi Frausin, falsamente attribuito a "delazioni slave"?
Quali furono i rapporti tra il CLN giuliano e le forze collaborazioniste presenti in città, finalizzati a bloccare la resistenza della classe operaia triestina?
Chi insorse il 30 aprile 1945, e come?
Ed infine, una breve sintesi dei militanti del CLN arrestati (non "infoibati") dagli Jugoslavi.
in occasione del 70° anniversario della Liberazione
l'Associazione Culturale "Luciano Locaputo" organizza lo spettacolo
Jasenovac - omelia di un silenzio
Spettacolo per attore solo e video – di e con Dino Parrotta -
Compagnia Primo Teatro
Nessuno ne parla, perché?
L’unico spettacolo in Italia che rivela una delle pagine della storia contemporanea più oscure e incredibili, che non mancherà di emozionare.
Il rapporto con l’Italia e la Puglia.
Gli ustascia, nazionalisti cattolici filofascisti, sostenuti e finanz iati dal regime di Mussolini, costituirono lo "Stato indipendente di Croazia", con a capo Ante Pavelic e la benedizione del Vaticano. Obiettivo principale della loro politica razzista fu lo sterminio dei serbi cristiano-ortodossi, una vera pulizia etnica. Per barbarie e ferocia, gli ustascia superarono le SS naziste.
Negli ultimi anni del conflitto diversi furono i campi di accoglienza in Puglia: Gravina. Bari, Barletta.
Jasenovac (denominata anche la Auschwitz dei Balcani) è stato un campo di sterminio di ebrei, ortodossi, serbi, zingari. Nel campo hanno perso la vita circa 74.000 bambini di età compresa fra zero e 15 anni. Comandante del campo di Jasenovac fu il frate francescano cattolico Miroslav Filipovic-Majstorovic, chiamato dal popolo ‘frate Satana’. Fra le sue prodezze personali, il 7 febbraio 1942, l'uccisione nella zona di Banja Luka di 2.750 serbi ortodossi fra cui 250 bambini, in sole dieci ore.
In soli 4 a nni gli Ustascia hanno trucidato 700.000.persone
Durante la sua visita in Bosnia (22.06.2002) papa Giovanni Paolo II, dopo aver beatificato monsignor Stepinac, arcivescovo di Zagabria, di cui esistono le prove della complicità con i crimini degli ustascia, chiese pubblicamente perdono per queste colpe commesse ‘dai figli della Chiesa Cattolica’.
Solo in Italia non se ne è saputo niente
Compito della conoscenza della storia è scuotere simili tendenze,
per offrire un momento di osservazione e autocritica collettiva.
Un racconto che mira all’anima,
a scuotere le nostre (in)consapevolezze.
Un racconto che vuol essere un grido per segnare la nostra
memoria… per dar voce al silenzio!
Per conoscere… per non dimenticare
La pluralità dei linguaggi espressivi utilizzati favorisce un rapporto diretto attore-pubblico; una comunicazione, che las ciando da parte gli standard della prosa classica, cerca una via comunicativa in grado di catturare, coinvolgere, immergere lo spettatore nell’azione scenica.
Note di regia dello spettacolo Jasenovac - Omelia di un silenzio:
Ho cercato un linguaggio “multimediale” , per poter dar spazio all’impeto dell’anima che ha generato il desiderio di realizzare lo spettacolo.
Recitazione naturalistica, il grottesco dei “buffoni medioevali” , le maschere, teatro/danza, il video… tutte al servizio di una “verità” che incuriosisse la nostra mente e scuotesse le nostre emozioni.
Credo in un teatro che abbia una funzione sociale, senza la pretesa di “insegnare”, ma semplicemente quella di ricordarci che essere vivi è molto di più del semplice fatto di respirare. Nel 2008 ho visitato Jasenovac e Stara Gradisca, adesso c’è solo un grande campo verde, il “fiore di loto” (scultura realizzata negli anni novanta) in ricordo delle vittime...all’interno una poesia di un poeta Croato!... e il fiume Sava scorre lento… l’unico suono in quel grande silenzio…
Dino Parrotta
Riferimenti tecnici
Scritto, diretto e interpretato da : Dino Parrotta
Durata: 60 minuti
Consulenza storiografica: Prof. Andrea Catone, Paolo Vinella
Scenografia Video: Pasquale Polignano
Lo spettacolo è realizzabile in qualsiasi ambiente.
“Parrotta cambia registro per ogni quadro mettendo in luce una
versatilità invidiabile.. pendola tra opposti con naturalezza di trasformista.
Per cui se stringe il cuore dello spettatore allora che si veste dello smarrimento
dei pochi sopravvissuti, lo pesta quando fa il verso a Ante Pavelic o quando
“diventa” Miroslav Filipovic-Majstorovic, chiamato dal popolo ‘frate satana’ …”
Italo Interesse “Il Quotidiano”
Presentazione del libro e della campagna della Rete "Noi Saremo Tutto"
http://www.noisaremotutto.org/
promuove: Comitato Ucraina Antifascista Bologna
https://www.facebook.com/ucraina.antifascista.bo
iniziativa organizzata nell'ambito di Pratello R'Esiste 2015
https://www.facebook.com/pages/Pratello-Resiste-2015/427815000701363
TRATTO DAI RACCONTI DI NELLO MARIGNOLI, PARTIGIANO ITALIANO NELL'ARMATA POPOLARE JUGOSLAVA
Nell'ambito del festival antifascista Pratello R'Esiste
https://www.facebook.com/pages/Pratello-Resiste/427815000701363
co-promosso da:
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS
https://www.cnj.it
Giovani Comunisti Bologna
https://www.facebook.com/gcbolo
Ingresso a SOTTOSCRIZIONE LIBERA
Data: 07 aprile 2015 15:06:10 CEST
Da: ufficiostampa@...
Oggetto: E' uscito il numero 36 di Zapruder " Di chi è la storia? Narrazioni pubbliche del passato"
Lo Zoom è dedicato al tema:
"Di chi è la storia? Narrazioni pubbliche del passato".
* Presentazione del volume
* Sommario
* La rivista «Zapruder» e il progetto Storie in movimento (Sim)
* Condizioni di abbonamento
* Offerta abbonamento corrente + arretrati
* Numeri pubblicati
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«ZAPRUDER» N. 36 - PRESENTAZIONE DEL VOLUME
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Il fascicolo si snoda attorno ad alcune domande di fondo: di chi è la storia, chi la pratica e chi ne fruisce? Quali gli strumenti e i mezzi, le occasioni, i linguaggi, le procedure? Questi interrogativi sono divenuti il terreno caratteristico di indagine fondamentalmente per due approcci, quello della storia pubblica o public history e quello dell’uso pubblico della storia. Il primo fa riferimento alla possibilità/opportunità che la narrazione storica esca dalle aule universitarie e incontri il bisogno più o meno diffuso di conoscere e ricostruire il passato da parte di un pubblico composto non necessariamente da addetti ai lavori; il secondo è volto invece a creare una narrazione anch’essa pubblica del passato, ma questa volta precipuamente funzionale a conservare e legittimare il potere nel presente e nel futuro.
D’altra parte anche la storia pubblica, nel momento in cui coinvolge un pubblico ampio e attiva meccanismi di costruzione della memoria, è soggetta a scivolare in una istituzionalizzazione funzionale tanto al mercato editoriale, quanto alla dimensione politica o accademica. Il numero prova a interrogare le forme che la divulgazione della storia assume in Italia servendosi di uno spettro ampio di mezzi più o meno recenti. Ancor più rilevante è il tentativo di sciogliere il nodo relativo al ruolo che gli storici ricoprono nelle pratiche di storia pubblica, indagandone metodi, finalità e linguaggi laddove per esempio sono coinvolti nella definizione e attuazione di precise “politiche della memoria”.
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SOMMARIO
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«Zapruder. Storie in movimento. Rivista di storia della conflittualità sociale», n. 36, gennaio-aprile 2015
EDITORIALE
La redazione, Tra storia pubblica e uso pubblico della storia
ZOOM – DI CHI È LA STORIA? NARRAZIONI PUBBLICHE DEL PASSATO (a cura di Adriana Dadà, Damiano Garofalo, Andrea Tappi)
Serge Noiret, Storia pubblica digitale
Luisa Renzo, Giorgio Talocci, Il Risorgimento in mostra. Percorsi espositivi nell’Italia liberale
Centro studi movimenti, Una storia per molti, ma non per tutti… Ripensando ad alcune esperienze a Parma
LE IMMAGINI
Alessandro Cattunar, Topografie della memoria. L’esperienza del museo diffuso dell’area di confine tra Italia e Slovenia
Tatiana Bertolini, I francobolli e le colonie
SCHEGGE
Lidia Martin, Dalla stessa parte ci ritroverai! Giorno della memoria, giorno del ricordo e 25 aprile nel calendario civile italiano
ALTRE NARRAZIONI
Gregorio Magini e Vanni Santoni, Di chi è la Resistenza? Riappropriazione e rielaborazione della storia nell’esperienza di Scrittura industriale collettiva (a cura di Monica Di Barbora)
VOCI
Francisco Morente Valero, Catalogna 1714-2014. Come si costruisce il mito di una nazione (a cura di Steven Forti)
LUOGHI
Costanza Calabretta, Fare gli italiani. Una mostra per i 150 anni dell’Unità
Damiano Garofalo e Vanessa Roghi, La Tv racconta se stessa
Riccardo Verrocchi, Un luogo di conoscenza e studio del canto sociale a Bologna. L’archivio storico del canzoniere delle Lame
Elena Petricola, L’Archivio delle donne in Piemonte
IN CANTIERE
Andrea Ventura, Nuovi interrogativi sul primo dopoguerra in Italia
LA STORIA AL LAVORO
Federico Tenca Montini, Confini stridenti. Nazionalismo antislavo e giorno del ricordo
INTERVENTI
Francesco Catastini, Una terza storia e necessaria
Deborah Paci, Lo storico nella rete. L’esperienza della rivista digitale «Diacronie»
Anita Lucchesi, La storia pubblica in Brasile
RECENSIONI
Roberto Beneduce (Renate Siebert, Voci e silenzi postcoloniali. Frantz Fanon, Assia Djebar e noi)
Fabrizio Billi (Gualtiero Via, Scomodi e organici. Movimenti, volontariato e politica nella costruzione dell’Italia contemporanea)
Gino Candreva (Andrea Comincini, a cura di, Voci dalla Resistenza. Lettere, documenti, testimonianze)
Marco Capoccetti Boccia (Gaia Giuliani, Cristina Lombardi-Diop, Bianco e nero. Storia dell’identità razziale degli italiani)
Giovanni Pietrangeli (Cristina Renzoni, Il Progetto ’80. Un’idea di Paese nell’Italia degli anni Sessanta)
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Per scrivere alla redazione, l'indirizzo è zapruder@...
Per le questioni organizzative (inclusi gli abbonamenti e la diffusione della rivista) o per le informazioni sul progetto Storie in movimento scrivere invece a info@....
Il nostro sito web è: www.storieinmovimento.org
Pagina facebook: http://www.facebook.com/pages/Zapruder/94046189136
Ringraziamo fin d'ora quante e quanti vorranno aiutarci con
recensioni, consigli, critiche, passaparola...
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LA RIVISTA *ZAPRUDER* E IL PROGETTO STORIE IN MOVIMENTO (SIM)
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Frutto di un percorso che ha coinvolto centinaia di giovani storiche e
storici, la rivista intende confrontarsi con ambiti di ricerca e
approcci metodologici differenti. Accanto all'attenzione verso le
lotte e le classi sociali, il femminismo, la "stagione dei movimenti",
i conflitti generazionali, le avanguardie culturali e le subculture,
«Zapruder» e il progetto Storie in movimento
[www.storieinmovimento.org] intendono analizzare altri soggetti e
fenomeni: i movimenti ereticali e - più in generale - eterodossi, le
cosiddette devianze e marginalità sociali, ma anche i populismi, gli
spontaneismi, le dissidenze e i movimenti dei ceti medi o le dicotomie
fascismo/antifascismo, razzismo/antirazzismo, nord/sud, guerra/pace,
ecc. Il tutto in chiave interdisciplinare e riconoscendo come
patrimonio da mettere a frutto in ogni senso - anche criticamente, se
sarà il caso - filoni di pensiero e riflessione che hanno contribuito
a rinnovare negli ultimi decenni il fare storia: la storia di genere,
la storia sociale, la storia orale, la pratica della con-ricerca, la
microstoria.
Redazione «Zapruder» (numeri 34-36):
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Roberto Bianchi, Andrea Brazzoduro, Gino Candreva, Marco Capoccetti Boccia, Beppe De Sario (coordinatore vicario), Monica Di Barbora, Steven Forti, Ilaria La Fata, Antonio Lenzi, Marilisa Malizia, Lidia Martin (coordinatrice di redazione), Chiara Pavone, Santo Peli, Vincenza Perilli, Luisa Renzo, Ferruccio Ricciardi, Ivan Severi, Andrea Tappi
Comitato di coordinamento di Storie in movimento (2015):
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Eros Francescangeli, Lidia Martin, Cristina Palmieri, Vincenza Perilli, Paolo Perri, Elena Petricola, Giulia Strippoli
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CONDIZIONI DI ABBONAMENTO
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Il prezzo di copertina è di euro 12 (arretrati: 22 euro in Italia, da
27 a 38 all'estero, secondo la zona). Le condizioni generali di
abbonamento (3 numeri, indipendentemente da quando si attiva la
sottoscrizione) sono le seguenti:
* Ordinario: _______________________30 euro *
* Enti e istituzioni: __________________35 euro *
* Sostenitore: ______________________50 euro *
* Estero: ___________________________70 euro *
* Estero sostenitore: _________________85 euro *
* Studenti e non occupati: ____________26 euro *
Per gli/le associati/e a Storie in movimento (quota d'iscrizione
ordinaria 2015 di 15 euro), le condizioni di abbonamento sono invece
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* Sostenitore soci Sim: _________________40 euro *
* Estero soci Sim: _____________________45 euro *
* Estero sostenitore soci Sim: ___________60 euro *
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movimento” (IBAN IT22R07601024000000 88171459).
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Se vuoi avere la collezione completa dei numeri finora pubblicati di «Zapruder», puoi sottoscrivere l'offerta speciale numeri arretrati (dal N. 1 al N. 35) + abbonamento (dal N. 36 al N. 38) al prezzo speciale di 259 Euro + 7 euro spese postali.
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NUMERI PUBBLICATI
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01. Piazze e conflittualità
02. Clio e Marte. La guerra tra storia e memoria
03. I mestieri del vivere
04. Identità in gioco. Sport e società in età contemporanea
05. Relazioni pericolose. Donne, uomini, generi
06. Frontiere della scienza. Usi e politiche della medicina
07. 007: rapporti riservati. Spionaggio e polizia politica
08. L'impero colpisce ancora. Dinamiche coloniali e post-coloniali
09. Moti di fame. Risorse, carestie, rivolte
10. Scritture fratricide. Immagini, storie e memorie delle guerre civili
11. Municipalismi e resistenze
12. Accordi e conflitti. Musica, società e politica in età contemporanea
13. Donne di mondo. Percorsi transnazionali dei femminismi
14. Percorsi di welfare
15. Confini senza fine. Frontiere tra Alpi e Adriatico
16. Rivolte a margine. Periferie del lungo Sessantotto
17. Muro contro muro. Grafica e comunicazione nei manifesti politici
18. Riflessi incrociati. L'occidente visto dagli altri
19. Stranieri ovunque. Kalè, manouches, rom, romanichels, sinti...
20. Diritto e castigo. Movimenti e ordine pubblico in età contemporanea
21. Ritorno al futuro. Movimenti, culture e attivismo negli anni ottanta
22. L'etnicizzazione del sociale. Politica, memoria, identità
Sulla ignobile gestione del sito di Auschwitz da parte del regime europeista polacco si veda anche:
29 Gennaio 2015 – La Repubblica
Con riferimento alla rubrica di Augias “Quando le regole urtano il buon senso” (Repubblica del 27 gennaio), la Farnesina precisa che la questione relativa al padiglione italiano presso il Museo di Auschwitz, non è dovuta a problematiche di natura finanziaria. L’opera fu realizzata nel 1980 dall’Associazione nazionale esuli e deportati (Aned). Dopo la caduta del muro di Berlino, il Museo di Auschwitz ha introdotto una nuova normativa per effetto della quale il memoriale realizzato dall’Aned non è più risultato conforme allo spirito del sito di Auschwitz, dedicato esclusivamente alla memoria della Shoah. È la presenza nell’opera di richiami artistici al comunismo, oggi considerati fuori legge in Polonia, ad aver indotto la chiusura del Blocco 21. L’opera rientrerà in Italia ed è stata avviata la realizzazione di una nuova per il “Blocco 21”. Il Governo ha inserito nella legge di stabilità un milione di euro in favore del Fondo perpetuo per la conservazione della memoria storica di Auschwitz.
Stefano Verrecchia, ministero Affari Esteri e Cooperazione Internazionale
"70° DELLA LIBERAZIONE DI AUSCHWITZ.
NO ALLA DEPORTAZIONE DEL MEMORIALE ITALIANO
SI ALLA RESISTENZA DELLA MEMORIA"
Questo il messaggio chiaro emerso da una conferenza stampa al Senato cui hanno partecipato i senatori Erica D'Adda, Anna Maria Bernini, Loredana De Petris, Paolo Corsini, e il deputato Marco Bergonzi che hanno espresso la loro contrarietà a che il Memoriale sia spostato dal Blocco 21 di Auschwitz e hanno fatta esplicita richiesta al Governo Italiano di adoperarsi, insieme al Governo Polacco, per il mantenimento del Memoriale nel Blocco 21.
E’stato evidenziato che non esistono motivazioni ufficiali della rimozione del Memoriale e si sono messi in evidenza i rischi e le conseguenze del trasferimento dell’opera d’arte e di testimonianza di valore eccezionale, come la frantumazione e dispersione della memoria, il revisionismo storico e il percolo di nuove forme di persecuzioni. Il Sen. Paolo Corsini ha ribadito il valore altamente educativo dell’opera che invita all’esercizio della memoria perché quanto avvenuto in quel luogo non si ripeta mai più, cioè lo sterminio di ebrei, rom, sinti, omosessuali, deportati politici, slavi, portatori di handicap. La Sen. Erica D’Adda ha ricordato l’interrogazione presentata al Senato di cui si aspetta una risposta scritta. La Sen. Anna Maria Bernini ha messo evidenza la trasversalità dell’iniziativa grazie alla presenza di forze politiche differenti unite nel riconoscere il valore di un monumento nazionale che è fondante dei valori di libertà e democrazia. L'On.le Marco Bergonzi ha specificato che la questione va posta a livello europeo per mantenere l'integrità della memoria e della resistenza. Massimo Pieri presidente COBASE -ha menzionato il valore dei liberatori che sono morti per liberare il campo di sterminio e che devono essere onorati, come tutte le altre vittime della follia nazifascista.
Gherush92 e l’Accademia di Belle Arti di Brera hanno presentato il documento internazionale, sottoscritto da circa mille fra università, organizzazioni, politici, per la conservazione nel Blocco 21 di Auschwitz che sarà presentato nelle sedi ONU e Comunità Europea affinché si adoperino per salvare il Memoriale. Lo smantellamento rappresenta una chiara lesione delle Convenzioni Internazionali sui Diritti Umani per quanto riguarda il diritto al libero accesso e fruizione delle opere d’arte e dell’ingegno.
“Mentre – afferma Valentina Sereni, presidente di Gherush92 – in un clima di indifferenza culturale e per motivazioni mai ufficialmente espresse e ancora non chiare, è emersa una volontà di trasferire l’opera in Italia, sono arrivate numerose e qualificate le adesioni di chi si oppone allo smantellamento e trasferimento del monumento.
Autorevoli Istituzioni quali il Consiglio Superiore dei Beni Culturali del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, oltre settanta parlamentari - fra i senatori che hanno sottoscritto l’interrogazione parlamentare presentata dalla Sen. Erica D’Adda e i deputati che hanno sottoscritto l’interrogazione alla Camera presentata dall’On.le Serena Pellegrino -, l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia e la Federazione Internazionale della Resistenza, l’Accademia di Belle Arti di Brera, l’Istituto per la Storia della Resistenza e dell'Età Contemporanea, il Consiglio Nazionale degli Architetti Pianificatori Paesaggisti Conservatori, insieme ad organizzazioni non governative accreditate al Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite – prosegue la Sereni - come Gherush92 e COBASE, l’Associazione Familiari Vittime della Strada, l’Unione Donne in Italia, associazioni culturali e di consumatori, decine e decine di accademici, intellettuali, artisti, giornalisti, professionisti, artigiani, studenti, cittadini si sono espressi per il mantenimento, il restauro e la conservazione in situ del Memoriale Italiano e per il suo adattamento e integrazione secondo rinnovati criteri storiografici e museali.
Il Governo – prosegue Massimo Pieri, presidente COBASE - deve prendere in mano la situazione e avviare una seria trattativa diplomatica con il governo polacco non solo volta al mantenimento dell'opera ma anche a rimuovere tutti i tentativi che ciò possa essere fonte di strumentalizzazione politica e ideologica delle sorti del socialismo reale che rimangono estranee al Memoriale.
Durante la conferenza è stata data lettura della lettera di Paolo Portoghesi e visione di un appello di Moni Ovadia che hanno l'uno ribadito il valore artistico e culturale dell'opera solo se inserita nel suo drammatico e naturale contesto e l'altro sottolineato come la rimozione del memoriale rischi la rimozione della memoria.
Accademia di Belle Arti di Brera
Gherush92 Committee for Human Rights
Se intendi partecipare o ricevere informazioni scrivi a gherush92@... ;
HANNO ADERITO all'appello per la conservazione in situ del Memoriale italiano ad Auschwitz: http://www.gherush92.com/news_it.asp?tipo=A&id=3019
COMUNICATO STAMPA
"70° DELLA LIBERAZIONE DI AUSCHWITZ.
NO ALLA DEPORTAZIONE DEL MEMORIALE ITALIANO"
Roma, 9 aprile 2015, ore 14,00
Senato della Repubblica, Sala Caduti di Nassiria
Piazza Madama 11
Presentazione del documento internazionale
per la conservazione in situ del Memoriale Italiano ad Auschwitz.
E’ nato un Movimento di Resistenza della Memoria
La vicenda della paventata rimozione del Memoriale italiano ad Auschwitz assume, sempre di più, aspetti che vanno oltre l’opera materiale e riapre un dibattito sulla Storia, sulla Resistenza, sul Razzismo, sui Diritti Umani, sul valore sociale dell’Arte e un rinnovato concetto di Patria.
Mentre, in un quadro di indifferenza culturale e per motivazioni mai ufficialmente espresse e ancora non chiare, è emersa una volontà di trasferire l’opera in Italia, si è creato un qualificato e composito Movimento che si oppone allo smantellamento e al trasferimento del monumento.
Autorevoli Istituzioni quali il Consiglio Superiore dei Beni Culturali del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, oltre settanta parlamentari fra senatori e deputati, l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia e la Federazione Internazionale della Resistenza, l’Accademia di Belle Arti di Brera, l’Istituto per la Storia della Resistenza e dell'Età Contemporanea, il Consiglio Nazionale degli Architetti Pianificatori Paesaggisti Conservatori, insieme ad organizzazioni non governative accreditate al Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite come Gherush92 e Cobase, l’Associazione Familiari Vittime della Strada, associazioni culturali e di consumatori, decine e decine di accademici, intellettuali, artisti, giornalisti, professionisti, artigiani, studenti, cittadini si sono espressi per il mantenimento, il restauro e la conservazione in situ del Memoriale Italiano e per il suo adattamento e integrazione secondo rinnovati criteri storiografici e museali.
Una proposta di buon senso che unisce importanti Istituzioni e cittadini. Spinti da retroterra compositi, dai movimenti di lotta partigiana alla incontrovertibile necessità di salvaguardare in situ un’opera d’arte e di testimonianza nazionale della deportazione italiana, i firmatari si sono riuniti in un Appello rivolto ad Istituzioni Internazionali come l’Onu e la Comunità Europea e ad Istituzioni Nazionali, come la Presidenza della Repubblica, la Presidenza del Consiglio, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. L’Appello intende sottolineare che la chiusura del Memoriale al pubblico e il suo trasferimento in Italia (nella periferia di Firenze), con conseguente perdita del valore artistico e simbolico del monumento, equivale a distruggere l’opera ideata per il blocco 21 di Auschwitz ed ivi realizzata; rappresenta una chiara lesione delle Convenzioni Internazionali sui Diritti Umani per quanto riguarda il diritto al libero accesso e fruizione delle opere d’arte e dell’ingegno.
Tutti hanno dato il loro contributo, chi ha esaltato il valore artistico e profetico dell’opera e la sua intrinseca modernità, fino a chi ravvede nella volontà di rimozione una forma di revisionismo strisciante, tesa ad occultare il valore della Resistenza e dell’Antifascismo, a cancellare il ruolo dei liberatori del campo, e, cosa ancor più triste, a considerare l’opera stessa, con i richiami artistici al comunismo, inadatta o datata, che non è che un suggello di una grave mistificazione revisionista, storica e culturale.
La presenza nell’ opera di richiami artistici al comunismo, come la bandiera rossa e la falce e martello o il volto di Gramsci, oggi considerati fuori legge in Polonia, sembrerebbe, come da fonti del Ministero degli Affari Esteri, mai palesate ufficialmente dal Governo Polacco, ad aver indotto la chiusura del Blocco 21.
Chi vuole eliminare la bandiera rossa con la falce e martello da Auschwitz, che rappresenta l’Armata Rossa che a seguito di una durissima battaglia contro i nazisti con centinaia di morti, libera il campo di Auschwitz il 27 gennaio 1945, vuole in realtà cancellare, dalla storia e dalle coscienze, il ricordo del sacrificio degli uomini e delle donne che hanno dato la vita per la liberazione. Questo ricordo, che fa parte non soltanto della memoria delle vittime e dei loro liberatori, ma è ormai un dato storico acclarato, dovrà rimanere ben presente ed essere perennemente onorato.
Su queste motivazioni è nato un Movimento di Resistenza per la salvaguardia del Memoriale con la capacità di farsi fonte di Memoria, di creare un dibattito sulla Storia dei deportati italiani nei campi di concentramento. E’ un Movimento fondato sulle solide basi intellettuali, storiche e metastoriche dei Padri della Resistenza e dell’Italia Democratica, fra i quali gli stessi artisti Autori del Memoriale, ex deportati come Primo Levi e Lodovico Belgiojoso, che proprio in quest’opera commemorativa, hanno indicato la strada della consapevolezza, della responsabilità, della lotta. Questo movimento esprime il suo dissenso nei confronti di chi, con squallide operazioni di Palazzo, tenta di far passare sotto silenzio, o nell’alveo di un pragmatico buon senso o del compromesso al ribasso, il trasferimento dell’opera.
Artisti, intellettuali, professionisti e politici vedono nella nascita di tale coalizione le ragioni per manifestare nuovamente il proprio fermo NO allo smantellamento del Memoriale. Per questo motivo è convocata il 9 aprile 2015 al Senato la Conferenza Stampa, per presentare lo stato dell’arte sulle azioni civili di lotta, nazionali e internazionali, volte alla salvaguardia della più importante opera d’arte italiana del Novecento e alla riapertura di un dibattito sulla Memoria in contrasto ad ogni forma di revisionismo.
Prof. Arch. Sandro Scarrocchia, Accademia di Belle Arti di Brera
Arch. Valentina Sereni, Gherush92 Committee for Human Rights
Il Memoriale italiano ad Auschwitz non va rimosso, è opera d’arte e documento storico che deve restare dov’è, quale testimonianza del nostro Paese nel campo di sterminio di sterminio nazista nella Polonia occupata. Auschwitz non è paragonabile ad una periferia di Firenze.
Il Memoriale italiano nel Blocco 21 del campo di sterminio di Auschwitz non va rimosso, nemmeno per trasferirlo a Firenze; al contrario, il Governo italiano si adoperi affinchè esso sia conservato e riaperto stabilmente al pubblico in Polonia. Non solo perché opera d’arte che costituisce parte integrante del sito riconosciuto dall’Unesco Patrimonio dell’umanità ma anche perché costituisce la testimonianza irrinunciabile delle responsabilità storiche e politiche delle deportazioni e dello sterminio nazista e della liberazione.
Questa la richiesta dell’interrogazione presentata dalla deputata Serena Pellegrino (SEL) e altri 50 parlamentari al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo: l’iniziativa è stata illustrata oggi a Milano, nell’ambito di “L’insegnamento della Memoria. Storia, Arte. Razzismo. Diritti umani”, incontro organizzato da Gherush92 Committee for Human Rights e dall’Accademia di Belle Arti di Brera per ricordare la liberazione del campo di sterminio di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa e proseguire la campagna di sensibilizzazione per la conservazione del Memoriale italiano di Auschwitz, riaperto solo oggi dopo 4 anni.
“I motivi ideologici e politici – ha dichiarato Pellegrino – che hanno portato alla censura e alla chiusura del Memoriale e che spingono verso la sua rimozione, sono anacronistici ed inammissibili: con essi si cancellano i dati incontrovertibili di cui il Memoriale stesso è un documento. Il suo significato artistico e storico impone che esso rimanga nel luogo dove è stato creato: Auschwitz non è in alcun modo paragonabile alla periferia di Firenze, dove si è suggerito di trasferire l’installazione.”
“Con questa interrogazione – ha concluso la parlamentare – abbiamo inteso sottolineare chiaramente che la rimozione del Memoriale comporta una violazione dei diritti umani, del diritto Internazionale, del diritto di proprietà intellettuale e della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo nonché una violazione della Convenzione internazionale per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale dell’UNESCO e un crimine di distruzione di beni culturali ed artistici.”
By Prof Michel Chossudovsky – Global Research, 7 February 2010
al-Anbar province: numerous flights by US-led coalition planes airdrop weapons and supplies for ISIL in terrorist-held areas...
http://english.farsnews.com/newstext.aspx?nn=13931204001534
Auch nach den jüngsten Luftschlägen vom gestrigen Montag billigt die Bundesregierung den Krieg eines von Saudi-Arabien geführten Militärbündnisses gegen Aufständische im Jemen. Man habe "Verständnis" für die bewaffnete Intervention, heißt es im Auswärtigen Amt. Saudische Luftschläge trafen gestern unter anderem ein jemenitisches Flüchtlingslager; dabei starben mindestens 45 Personen. Riads neuer Krieg richtet sich gegen einen angeblichen Machtzuwachs Irans, dem gute Verbindungen zu den schiitischen Huthi-Rebellen nachgesagt werden. Er entspricht den Interessen der NATO-Staaten: Man wolle verhindern, dass Teheran mit Hilfe der Huthis "neben der Meerenge von Hormuz auch noch die Meerenge zwischen dem Jemen und Afrika kontrollieren könnte, durch die jeden Tag Millionen Barrel Erdöl transportiert werden", erläutert ein renommierter Kommentator. Für ihren Krieg stehen den saudischen Streitkräften deutsche Kriegswaffen zur Verfügung, darunter Tornado- und Eurofighter-Kampfflugzeuge sowie - für den Fall eines Einmarschs saudischer Bodentruppen im Jemen - Sturmgewehre der Modelle G3 und G36. Beobachter halten eine vollständige Entgrenzung des jemenitischen Bürgerkriegs für durchaus wahrscheinlich. Die arabische Welt steht nach zahlreichen offenen oder verdeckten militärischen Interventionen des Westens unkontrollierbar in Flammen - vom Süden der Arabischen Halbinsel bis Nordsyrien, von Libyen bis Irak...
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59081
Dalla Libia allo Yemen agli altri teatri di guerra è sempre più evidente “la non innocenza” dei paesi occidentali e delle petrolmonarchie...
al Ministro Gentiloni
Ministro, Le scriviamo mentre siamo impegnati in sit-in e digiuni (v. comunicato a seguire) contro i bombardamenti sauditi in Yemen, un ennesimo crimine. Ci sembra incredibile che Lei esprima "comprensione" per i Saud e dia a intendere che l'Arabia saudita bombarda lo Yemen (con molte vittime civili) anche per prevenire un'ulteriore diffusione del terrorismo!
I Saud, come altri petromonarchi e come gli uomini d'affari del Golfo, insieme ai paesi della Nato hanno fomentato in modo diretto e indiretto le forze terroriste, da Al Qaeda (e Al Nusra) a Daesh/Isis. Daesh settimane fa in Yemen ha fatto una carneficina ai danni proprio delle moschee degli houthi contro i quali l'Arabia saudita combatte con i suoi aerei (italiani?) e l'appoggio determinante degli Usa.
L'Arabia saudita sostiene terroristi sedicenti islamici sin dai mujahidin nell'Afghanistan degli anni 1980, e in tempi recenti in Iraq, Libia e Siria. Ci sono le prove. E l'Italia per anni ha fatto parte degli "Amici della Siria" insieme a sauditi, qatarioti, statunitensi eccetera.
L'Italia deve dissociarsi dai bombardamenti sauditi. Così come deve dissociarsi dal continuo sostegno armato offerto da petromonarchi, Stati uniti e Turchia a gruppi armati in Siria.
RETE NO WAR (tel 3312053435)
COMUNICATO INIZIATIVE NO WAR
NO WAR: "CONTRO I BOMBARDAMENTI SAUDITI IN YEMEN", SIT IN E DIGIUNI DAVANTI ALL'AMBASCIATA SAUDITA
Il 9 e 10 aprile davanti all'ambasciata dell'Arabia saudita a Roma esponenti della Rete No War (alcuni in digiuno di protesta) manifestano nuovamente contro i criminali bombardamenti sauditi sullo Yemen, che - con il pretesto di contrastare i ribelli houthi - uccidono civili e aiutano il propagarsi di Al Qaeda, nemica degli houthi. L'ingerenza saudita nello Stato viola tutti i principi dell'umanità e del diritto. Lo Yemen è uno Stato povero ma strategicamente importante (per il controllo dei traffici marittimi fra Mediterraneo e Oceano indiano) e là l'Arabia saudita combatte per la sua supremazia, accusando i ribelli houthi di essere foraggiati dall'Iran, il suo grande nemico.
Nel denunciare il fatto che l'attacco guidato dai sauditi hanno già ucciso 540 persone (74 bambini) e fatto 1.700 feriti, la Rete No War sottolinea anche il fatto che questa guerra contro il popolo e gli houthi sta aiutando, in Yemen, le forze più sanguinarie come al Qaeda nella penisola araba e Daesh (sedicente Stato islamico), che ha rivendicato settimane fa la strage di centinaia di fedeli in preghiera nelle moschee houthi.
Già sabato 4 aprile a Roma, la Rete No War ha convocato una PRIMA manifestazione davanti all'Ambasciata dell'Arabia saudita contro l'aggressione al popolo dello Yemen da parte della petromonarchia. E' stata la prima manifestazione di occidentali contro quest'ultima vergogna. http://stefanomontesi.photoshelter.com/gallery-image/Rete-No-War-manifesta-contro-Arabia-Saudita/G0000.pycuumI28Y/I0000Y6ZSnn6FpZc
Hanno partecipato alcuni attivisti della stessa Rete. Ancora una volta, come accade dal 2011, è latitante l'opposizione sociale alle guerre che l'Asse della guerra composto da Nato e Golfo portano avanti sfasciando intere regioni (Medioriente, Africa del Nord, Africa sub-sahariana) con bombardamenti diretti oppure fomentando gruppi terroristi locali, da Al Qaeda fino a Daesh. Non ci sono abbastanza parole per condannare l'infernale politica di guerra e di sostegno al terrorismo perpetrata da decenni dai petromonarchi e dai loro alleati occidentali.
Come si legge sui cartelli della manifestazione, Rete No War chiede all'Italia che si dissoci e smetta di vendere armi al suo primo compratore: i sauditi appunto. Rete No War lancia l'idea di una giornata internazionale di azione sull'Arabia saudita - nel contesto di una netta dissociazione anche dall'operato delle altre petromonarchie e della Nato.
Rete No War denuncia il ruolo dell'Arabia saudita anche nel fomentare il terrorismo in Siria. E coglie l'occasione che intimare all'Italia di dissociarsi dalla politica di Usa e Turchia che stanno addestrando altri gruppi armati in Siria, dove la tragedia dura da quattro anni.
per Rete No War
3312053435
Die USA und die Saudis eilen im Jemen Daesh und Al-Kaida zu Hilfe
Bahar Kimyongur, 26. März 2015
Nichts Neues in der arabischen und muslinischen Welt. Zur grossen Zufriedenheit ihrer Feinde Amerika und Israel schlagen sich Araber und Muslime untereinander.Die USA und die Saudis stehen in der Offensive in den Ländern, die sich ihnen widersetzen, vor allem in Syrie im,Irak und im Jemen.
In Syrien attakieren die Saudis an zwei Fronten: Im Norden und im Süden.
Im Norden ist das loyale und vorwiegend sunnitische Idlib von mit Al-Kaida liierten Milizen umzingelt. Diese Milizen benützen amerikanische Waffen, speziell TOW-Raketen, um den Widerstand der syrischen Armee und der Volksmilizen zu brechen, welche ihre Stadt und Umgebung verteidigen. Einer der Al-Kaida Kommandanten in Idlib ist ein saudischer Scheich namens Abdallah al Mouhaisni.
Im Süden ist es die antike Stadt Bosra al Cham mit einem im Zentrum gelegenen römischen Amphitheater, welche kürzlich in die Hände einer Koalition dschiadistischer Gruppen fiel, dirigiert von der Al Nusra Front, einem Ableger von Al Kaida in Syrien.
Da nun das US-Kommando im antiterror Kampf schwelgt, hat man im syrischen Himmel oberhalb von Idleb oder Bosra al Cham kein einziges Flugzeug der Alianz US/EU/GCC (*) gesehen.
Wie aus der Reuters Depesche, unterzeichnet von Tom Perry, vom vergangenen 23. März zu entnehmen ist, haben die West-Armeen ihre Waffenlieferungen an Al-Kaida an der Südfront sogar intensiviert. Diese Waffen, gesponsert von Saudi-Arabien, dem grössten Waffenimporteur der Welt, gelangen über die jordanisch/syrische Grenze zur Anti-Assad Koalition der Südfront. Israel hält sich nicht zurück indem offizielle Stellen ankündigen, fortan den Anti-Assad Kräften, darunter Al-Kaida im Mont-Bental auf den Golan-Höhen, Hilfe zukommen zu lassen (Yaroslav Trofimov, Wall Street Journal, 12 März 2015).
So haben nun unsere westlichen Schöngeister, welche über die Zerstörung der Museen und des Erbes des Orients durch die Dschihadisten des Daesh lamentieren, Bosra-al-Cham Al-Kaida übergeben, eine antike Stadt unter dem Schutz des Weltkulturerbes der UNESCO.
Im Irak fürchten die USA, innerhalb des Widerstandes gegen Daesh, an Einfluss zu verlieren. Kräften der Kurden, Schiiten und Sunniten, unterstützt durch den benachbarten Alliierten Iran, ist es gelungen, eine Antiterror-Allianz zu formieren, die zunehmend Früchte trägt.
Mehrere Städte und Dörfer der Provinzen Salaheddine und Anbar konnten so von den Terroristen befreit werden. Diese supra-ethnische und supra-konfessionelle Vereinigung vor Augen, hat die US-Luftwaffe diese Nacht Positionen von Daesh in der Stadt Tikrit bombardiert, aus Furcht, Einfluss in diesem Land zu verlieren, das ein Verbündeter des Iran geworden ist.
Diese US-Intervention in Tikrit ist von der schiitischen Milizen verhöhnt worden, welche jede Zusammenarbeit mit Washington zurückweisen.
Einige mit den Einheiten des Mahdi Moqtada Sadr und der Brigaden der irakischen Hizbollah haben sogar beschlossen, sich aus den Kämpfen zurückzuziehen.
An der Tikrit-Front hat mas es also nicht mit einer Zusammenarbeit, wie es viele der Mainstraem-Analytiker formulieren, sondern mit einem Konkurrenzverhältnis zwischen Iran und den USA zu tun, etwa so wie damals zwischen der Sowjet-Armee und der Truppen des General Patton im Kampf gegen Hitler.
Aus einem althergebrachten Gegensatz zum Iran haben die Saudis den Daesh schon seit langer Zeit aufgebaut. Heute lenkt die wahabitische Dynastie die Aufmerksamkeit auf die wachsende Gefahr eines zunehmenden Prestiges Teherans bei der Bevölkerung Syriens und des Irak, welche unter dem Joch des Daesh leben.
Schlussendlich haben die Saudis beschlossen, in Hinterhof Jemen ihre Bomber auf den Anti-Daesh Widerstand zu lenken.
Vor nicht langer Zeit Schauplatz der Auseinandersetzungen zwischen Marxisten un Pan-Arabern einerseits und reaktionären Pro-Saudi Kräften andererseits ist der Jemen heute Schauplatz eines Krieges der schiitennahen Houthi-Milizen
In den letzten Tagen haben die Houthi-Milizen des Ansar Allah einen spektakulären Vorstoss gegen Aden durchgeführt, die Grossstadt des Süd-Jemen, wohin sich der abgesetzte Präsident Abd Rabbo Mansour Hadi, ein Saudi-Agent, abgesetzt hatte.
Entgegen den Meldungen der West-Medien, verfolgen die Houthi-Milizen keine konfessionelle sondern eine patriotische Mission.
Trotz ihrer konfessionellen Herkunft pflegen sie eine panislamische und panarabische Vision, und geniessen deshalb innerhalb eines grossen Teils der nationalen jemenitischen Armee grosse Sympathien, einschliesslich der republikanischen Garden und zahlreicher sunnitischer Stämme, woraus sich ihr unglaublicher Vormarsch erklärt.
Da nun Daesh letzten Freitag um die 200 Schiiten in vier Kamikaze-Angriffen gegen Moscheen massakriert hat und Al-Kaida der arabischen Halbinsel (AKAH) mit voller Kraft wütet, hat das wahabitische Regime diese Nacht Luftschläge gegen die Rebellen des Jemen lanciert.
Nicht der saudische Verteidigungsminister, Prinz Mohammed Bin Salman oder der König Saudiarabiens Salman Ben Abdel Aziz hat den Krieg gegen den souveränen Jemen erklärt, sondern der saudische Botschafter in Wsashington. Das Szenario entspricht einem zweitklassigen arabischen Streifen.
Zur Stunde sprechen die arabischen Medien, insbesondere Al-Mayadeen, von ungefähr 20 jemenitischen Zivilisten, die durch das saudische Bombardemnent getötet wurden.
Zur Zeit des ägyptischen drittewelt Helden Jamal Abdel Nasser, bekämpfte das kollaboratistische und dekadente Saudi-Regime die linken arabischen Kräfte (Marxisten, Nationalisten, Panaraber) mit Unterstützung der USA.
Da die letzten Spuren des arabischen Sozialismus ausgelöscht sind, nehmen sich die Saudis nun den letzten noch existierenden panarabischen Widerstand vor, vom libanesischen Hisbollah über den syrischen Baath zum jemenitischen Ansar Allah.
In einem alarmistischen Artikel in der Washington-Post vom 23 November 2012, qualifizierte die US-Staatssekretärin der Bush-Ära Condoleeza Rice, den Iran als «Karl Marx von heute».
Wenn der Iran Marx entspricht, wie es die Falke des US-Imperialismus bekräftigt, so ist das Saudi-Regime, seit seiner Gründung 1744, eine Inkarnation der Konter-Revolution und der Tyrannei von Adolphe Tiers, dem Totengräber der Pariser-Kommune.
(*) CCG : Golfkooperationsrat, Allianz der 6 Ölmonarchien der Golfregion
Aus: http://www.michelcollon.info/Les-USA-et-les-Saoud-au-secours-de.html?lang=fr
Übersetzung: K.Trümpy
28 Marzo 2015 – di Bahar Kimyongur
da www.michelcollon.info
Traduzione di Marx21.it
Nel mondo arabo e musulmano, niente di nuovo. Ci si batte tra arabi e musulmani la più grande gioia dei nemici americani e israeliani. Gli Stati Uniti e i Sauditi sono all'offensiva in tutti i paesi che resistono, soprattutto in Siria, in Iraq e nello Yemen.
In Siria, le forze saudite attaccano su due fronti: il Nord e il Sud.
A Nord, la città lealista e in maggioranza sunnita di Idlib è accerchiata dalle milizie legate a Al Qaeda. Queste milizie utilizzano armi americane, in particolare missili TOW per avere la meglio sulla resistenza dell'esercito siriano e delle forze popolari che difendono la loro città e le loro terre. Uno dei comandanti di Al Qaeda dell'operazione di Idleb è uno sceicco saudita chiamato Abdallah al Mouhaisni.
A Sud, c'è l'antica città di Bosra el Sham, nel cui cuore si erge un anfiteatro romano, che rischia di cadere nelle mani di una coalizione di gruppi jihadisti pilotata dal Fronte al Nusra, filiale di Al Qaeda in Siria.
Mentre il comando americano si sciacqua la bocca con discorsi anti-terroristi, nessun aereo dell'asse USA/UE/CCG (*) si è levato in volo nel cielo siriano sopra Idleb e Bosra el Sham.
Come rivela il dispaccio Reuters del 23 marzo scorso, gli eserciti occidentali hanno persino intensificato le loro forniture di armi a Al Qaeda sul Fronte Sud. E' attraverso la frontiera giordano-siriana che queste armi, per la maggior parte offerte dall'Arabia Saudita, il più grande importatore di armi al mondo, pervengono alla coalizione anti-Assad del Fronte Sud. Israele non è da meno, poiché anche fonti ufficiali riconoscono che fornisca aiuto alle forze anti-Assad, tra cui Al Qaeda sul Monte Bental nelle colline del Golan (Yaroslav Trofimov, Wall Street Journal, 12 marzo 2015).
In tal modo, le nostre anime belle occidentali innamorate dell'arte e della raffinatezza, le stesse che si lamentano per la distruzione dei musei e del patrimonio dell'Oriente da parte di Daesh, offrono a Al Qaeda Bosra el Sham, una antica città patrimonio mondiale dell'UNESCO.
In Iraq, gli USA avvertono che stanno perdendo il controllo della resistenza contro Daesh. Forze curde, sciite e sunnite appoggiate dal vicino e alleato iraniano sono riuscite a formare un'alleanza anti-terrorista che sta portando i suoi frutti.
Molte città e villaggi delle province di Salaheddine e Anbar sono state così liberate dalla presenza terrorista. Temendo questa unità che va oltre le etnie e le confessioni, l'aviazione USA ha bombardato le posizioni di Daesh nella città di Tikrit nel timore di perdere terreno in questo paese diventato alleato dell'Iran.
A questo intervento USA a Tikrit non hanno partecipato le milizie sciite che rifiutano ogni forma di alleanza con Washington.
Anche i miliziani legati all'Esercito del Mahdi di Moqtada Sadr e alle Brigate degli Hezbollah iracheni hanno deciso di ritirarsi dai combattimenti.
Sul fronte di Tikrit, non c'è dunque collaborazione, come lasciano intendere numerosi analisti mainstream, ma concorrenza tra l'Iran e gli USA, un po' come quella che esisteva tra l'Esercito sovietico e le truppe del generale Patton di fronte all'Impero hitleriano.
Per ostilità atavica nei confronti dell'Iran, i Sauditi da lungo tempo incoraggiano Daesh. Oggi la dinastia wahabita ha un timore crescente del prestigio accumulato da Teheran presso le popolazioni della Siria e dell'Iraq che vivono sotto il giogo di Daesh.
E' finalmente nello Yemen, il loro cortile di casa, che i Sauditi hanno deciso di lanciare i loro bombardieri contro la resistenza anti-Daesh.
Precedentemente campo di battaglia tra marxisti e panarabi da una parte e forze reazionarie filo- saudite dall'altra, lo Yemen è oggi il teatro di una guerra dei filo-sauditi con le milizie houthi di ispirazione sciita.
Negli ultimi giorni, le milizie houthi di Ansar Allah hanno attuato un'avanzata spettacolare verso Aden, la grande città del Sud dello Yemen dove si era rifugiato il presidente deposto e agente saudita Abd Rabbo Mansour Hadi.
Contrariamente a ciò che affermano i media occidentali, le milizie houthi non conducono una politica confessionale ma assolvono a una missione patriottica.
Malgrado la loro identità confessionale, coltivano una visione panislamica e panaraba, guadagnando così la simpatia di un largo settore dell'esercito nazionale yemenita, e anche della Guardia repubblicana e di numerose tribù sunnite, il che spiega la loro travolgente avanzata.
Mentre Daesh massacra circa 200 sciiti in un attacco kamikaze alle moschee, il regime wahabita lancia un'operazione militare aerea contro i ribelli dello Yemen.
Non è stato il ministro saudita della difesa, il principe Mohammed Bin Salman, e neppure il Re dell'Arabia Saudita, Salman Ben Abdel Aziz, ad annunciare l'entrata in guerra contro la sovranità dello Yemen, ma l'ambasciatore saudita a Washington. Lo scenario è degno di un film arabo di serie B.
Per ora, i media arabi, in particolare Al Mayadeen, parlano di una ventina di civili yemeniti massacrati dai bombardamenti sauditi.
Dai tempi dell'eroe terzomondista egiziano Gamal Abdel Nasser, il regime collaborazionista e decadente dei Sauditi combatte le forze della sinistra arabe (marxiste, nazionaliste, panarabe) con l'appoggio USA.
Dopo avere distrutto le ultime vestigia del socialismo arabo, i Sauditi se la prendono ora con le uniche forze della resistenza panaraba ancora presenti, da Hezbollah libanese ad Ansar Allah yemenita, passando per il Baath siriano.
In un'articolo allarmista apparso nel Washington Post il 23 novembre 2012, la segretaria di Stato USA dell'era Bush, Condoleeza Rice, aveva definito l'Iran come “Karl Marx di oggi”.
Se l'Iran equivalesse a Marx come afferma questo falco dell'imperialismo USA, allora il regime dei Sauditi incarnerebbe dopo la sua creazione nel 1744 la controrivoluzione e la tirannia di Adolphe Tiers, l'affossatore della Comune di Parigi.
*CCG: Consiglio di Cooperazione del Golfo, Alleanza che raggruppa le 6 petromonarchie del Golfo.
2) Pisa 10/4: GUERRA ALLA GUERRA
Sostieni la campagna per l'uscita dell'Italia dalla NATO per un’Italia neutrale.
La NATO, da organizzazione formalmente difensiva da diversi decenni ha assunto un profilo aggressivo e minaccioso in aperta violazione con la Carta delle Nazioni Unite. Si dichiara che la nuova strategia della NATO è stata promossa per “difendere gli interessi dell’Occidente”, ma in realtà serve solo a salvaguardare un’egemonia globale statunitense sempre più in rotta di collisione con gli interessi dell’Italia, dell’Europa e del resto del mondo. Invece di promuovere negoziati globali si lanciano ultimatum militari e persino minacce di attacchi nucleari.
Uscendo dalla NATO l’Italia si sgancerebbe da questa strategia di guerra permanente, che viola la nostra Costituzione, e assumerebbe una posizione di totale neutralità tra i contendenti, a vantaggio dei nostri interessi nazionali e della pace mondiale.
alle ore 17:30 presso la sede della Rete dei Comunisti, Via Sant'Andrea 31
GUERRA ALLA GUERRA: LA PACE IN EUROPA NON E' UN DATO SCONTATO
La Rete dei Comunisti lancia anche a Pisa una campagna nazionale contro la guerra. La prima iniziativa si svolgerà venerdì 10 aprile alle ore 17.30 presso la sede della RdC in via sant'Andrea 31.
GUERRA ALLA GUERRA: LA PACE IN EUROPA NON E' UN DATO SCONTATO.
L'imperialismo dell'Unione Europea è una minaccia per i propri popoli.
FERMIAMO LA GUERRA ED OPPONIAMOCI AD OGNI INTERVENTISMO MILITARE
Incontro dibattito con:
JOHN CATALINOTTO
Caporedattore del giornale statunitense Workers World dal 1982, co-fondatore dell'International Action Center, l'organizzazione di Ramsey Clark che negli USA ha dato impulso alle manifestazioni nazionali contro la guerra. Militante comunista dal 1962.
MANLIO DINUCCI
saggista, giornalista de Il Manifesto
VALTER LORENZI
Rete dei Comunisti
evento Facebook: https://www.facebook.com/events/534000143406901/
Presso la nuova sede della Rete dei Comunisti, Via sant’Andrea 31 Pisa
Incontro dibattito sul tema:
Guerra alla Guerra
La pace in Europa non è più un dato scontato.
L’imperialismo europeo è una minaccia per i propri popoli.
Fermiamo la guerra e opponiamoci a qualsiasi interventismo militare.
John Catalinotto - Caporedattore del giornale statunitense Workers World dal 1982, co-fondatore dell'International Action Center, l'organizzazione di Ramsey Clark che negli USA ha dato impulso alle manifestazioni nazionali contro la guerra.
Manlio Dinucci saggista, giornalista de Il Manifesto
Valter Lorenzi Rete dei Comunisti
Giovanni Bruno PRC Pisa
Questo è l’assunto dal quale la Rete dei Comunisti parte nel promuovere la campagna nazionale “Guerra alla guerra”.
L’ossessiva campagna mediatica che parla di quest’alleanza come polo di pace, s’infrange sui fronti di conflitto fomentati in questi anni ai confini del continente.
Dall’Ucraina alla Libia, un arco di guerra circonda l’Europa continentale, riportando le lancette della storia indietro di oltre un secolo, quando la spinta colonialista portava i vari Stati europei a strappare militarmente paesi e territori a un impero ottomano in declino.
Di nuovo, Francia, Italia, Germania, Inghilterra sono impegnati militarmente nei paesi che a cavallo tra XIX e XX secolo furono possedimenti o aree di loro influenza diretta, in Nord e Centro Africa, nell’Est europeo, in Estremo Oriente.
Più che l’ “inno alla Gioia” di Beethoven, la colonna sonora che si addice a quest’Unione Europea è la “Cavalcata delle Valchirie” di Wagner.
I motivi del ritorno alla “diplomazia delle cannoniere” li individuiamo nella crisi sistemica del capitalismo, emersa con forza nel 2007 attraverso lo scandalo finanziario dei “subprime” statunitensi, ma che già covava dalla prima metà degli anni ’70 del secolo scorso.
La costruzione dell’Unione Europea e della sua moneta è la risposta delle borghesie europee a una crisi senza precedenti per profondità, durata nel tempo e carenza di strategie per il suo superamento. Il grado di maturazione economico, politico e militare raggiunto dai paesi che la compongono, ci fa parlare di un “polo imperialista” in costruzione, impegnato a contendersi mercati, territori e risorse con altri competitori internazionali. Un processo contraddittorio e molto pericoloso, perché mette continuamente in discussione vecchie alleanze e rapporti interni all’Unione Europea stessa, in uno scacchiere internazionale caratterizzato dal declino progressivo dell’imperialismo USA e dal sorgere di potenti competitori, come i BRICS e un nuovo “polo islamico”, che vede le grandi borghesie del Golfo persico impegnate a trasformare il loro grande ruolo economico, energetico e finanziario in potenza militare.
La dinamica che osserviamo nei vari fronti di conflitto facilita la comprensione del nostro ragionamento.
In Ucraina la competizione tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti è evidente, mettendo di nuovo in discussione l’Alleanza Atlantica (NATO) come “camera di compensazione” tra interessi sempre più contrapposti.
In Libia i bombardieri di Francia e Inghilterra hanno messo un’ipoteca sui pozzi petroliferi gestiti dall’ENI, costringendo l’allora governo Berlusconi a scelte innaturali, forzate all’epoca dal binomio Bersani/Napolitano, espressione di quella parte di borghesia italiana che in seguito avrebbe scalzato l’omino di Arcore, per garantire in Italia l’ordine della Troika europea.
In Siria e Yemen il polo islamico tenta di frenare l’affermazione iraniana, alla quale i poli imperialisti rispondono con i recenti accordi di Losanna.
La fase che il mondo sta attraversando è di devastante instabilità, cambiamenti di alleanze, scontri e repentine tregue, nella quale stanno crescendo nuove forze e nuove ambizioni, con cui le vecchie e nuove potenze imperialiste fanno i conti, anche dentro i propri confini, come la strage al settimanale francese Charlie Hebdo di Parigi ha dimostrato.
L’incontro di venerdì 10 aprile cercherà di affrontare un tema d’indubbia complessità, ma che interessa tutti quelli che intendono continuare a battersi contro la guerra.
Il contributo di John Catalinotto al dibattito, figura storica del movimento No War statunitense, sarà ancor più interessante perché proviene da un paese che continua, nonostante il proprio declino economico e geopolitico, ad avere una forza militare che supera di gran lunga ogni altra potenza mondiale.
Rete dei Comunisti - Pisa
TESTI TEATRALI - PIETRO BENEDETTI
CONSULENZA LETTERARIA - ANTONELLO RICCI
MUSICHE - BEVANO QUARTET E FIORE BENIGNI
FOTO - DANIELE VITA
UN RINGRAZIAMENTO PARTICOLARE A NELLO MARIGNOLI
SI RINGRAZIANO INOLTRE: * I RAGAZZI DEL CENTRO SOCIALE EX VALLE FAUL * DAVIDE BONINSEGNA * ARCI VITERBO * DAVIDE GHALEB EDITORE
Marinella C.
NATO War Against Yugoslavia and the Killing of Milosevic
A “Good Day” for NATO?
The North Atlantic Treaty Organization (NATO) proclaims its “commitment to maintaining international peace and security.” Mainstream media rarely, if ever, look beyond Western self-justifications and bland assurances of moral superiority, and little thought is given to what NATO’s wars of aggression might look like to those on the receiving end.
During the first two weeks of August, 1999, I was a member of a delegation travelling throughout Yugoslavia, documenting NATO war crimes. One of our stops was at Surdulica, a small town which then had a population of about 13,000. We initially met with management of Zastava Pes, an automotive electrical parts factory that had at one time employed about 500 workers. In better days, annual exports from the plant amounted to $8 million. Western-imposed sanctions had stopped export contracts and prevented the import of materials, forcing a 70 percent reduction in the workforce and a decline in the local economy.
Staff at Zastava Pes told us that bombs and missiles had routinely rained down upon their town.
We were first taken to a sanatorium, located atop a heavily wooded hill overlooking the town. The sanatorium consisted of a Lung Disease Hospital, which also housed refugees, and a second building that served as a retirement home.
Shortly after midnight on the morning of May 31, 1999, NATO planes launched four missiles at the sanatorium complex, killing at least 19 people. It was not possible to ascertain the precise number of victims because numerous body parts could not be matched to the 19 bodies. Another 38 people were wounded. We were told that the force of the explosions had been so powerful that body parts were thrown as far as one kilometer away. Following the attack, body parts were hanging in the trees, and blood dripped from the branches. By the time of our visit, the area had largely been cleaned up, but we could still see torn clothing scattered high among the branches of the tall trees.
Although only one missile struck the nursing home, it caused enormous damage. We walked around to the back, on the building’s southwestern side. A section of the second floor had collapsed, and the entire side of the building was extensively damaged, with mounds of rubble at the base of the building. On the northeast side of the complex, the building that housed refugees and patients bore a gaping hole in its façade, from which a river of rubble had poured like blood from a wound. We clambered up the mound of rubble and made our way into the building. Debris littered the hallways and in several rooms we found scorched mattresses, clothes and damaged personal belongings jumbled together in disarray. Bricks and chunks of concrete were strewn among the rubble, and a loaf of bread rested against a child’s shirt. In another room, teenage magazines and a child’s textbook were mixed among the wreckage. In the center of the room was a child’s teddy bear.
[PHOTO: Rear of nursing home in Surdulica. Photo: Gregory Elich. ]
According to the on-site investigation report of June 3, it took three days to dig the bodies from the rubble. The yard outside the Special Lung Hospital “was covered with parts of human bodies, torn heads, arms and hands as well as bodies partly covered with rubble material, dust, broken bricks” and debris from the building. “A torn-off head of a man, approximately 70-years-old, was found outdoors. North from this head, there was another body covered with debris and a torn arm.” Three bodies were a short distance away, including one with a partially damaged head. “Brain tissue…could be seen on some parts of the building ruins,” the report continued.
As refugees from Croatia, nineteen-year-old Milena Malobabich, her mother, and two brothers stayed in the sanatorium. The entire family was killed in the attack. During the air raid, panic-stricken, Milena ran from the building, clutching a notebook in which she had written poetry. The examiner of Milena’s body noted: “The brain tissue is completely missing, and there is only dust and sand in the cranial cavity.” Blood had flowed from behind the right ear. Milena’s ribs were crushed, and her abdomen and left leg were lacerated. Her notebook was found near her body; on one page she had written in large letters, “I love you, Dejane!” The brain that composed poetry and cherished a man named Dejane was scattered in pieces throughout the yard.
We next visited a residential neighborhood that was completely wiped out by NATO missiles. As we had seen in other towns, a remarkable reconstruction effort was underway. Responsibility for national reconstruction was assigned to the Directorate for National Recovery, which was formed just ten days into the war. An energetic program was soon launched, and destroyed neighborhoods were cleared of debris and construction of new homes began even as NATO continued its attacks.
By the time of our visit, every trace of rubble had been removed from this neighborhood, and the earth smoothed over. A bulldozer and grader were parked nearby, and construction of two new homes had begun. Surviving residents approached and talked to us, showing us photographs they had taken in the immediate aftermath of the bombing. The level of destruction shown in the photographs was appalling, a jumbled riot of debris where several homes once stood.
We visited a second neighborhood obliterated by NATO missiles. Here too, reconstruction was underway. Smashed automobiles and partially roofless homes bordering the area were the only physical reminders of the tragedy.
In the first neighborhood, a man named Dragan told us that the homes were hit as a result of errant missiles. “They were trying to hit the water supply plant nearby, with two missiles.” Another survivor, Zoran Savich told us that sirens sounded every day, and the town was bombed on multiple occasions. Four months had passed since his neighborhood had been hit, but Dragan’s son was still so terrified that he fled into the basement every time he heard the sound of an airplane overhead. Quite a long distance away was another of NATO’s targets, an army barracks that was abandoned during the war. I climbed atop a large mound of dirt to view the barracks from afar, and saw that it too was damaged. NATO sprayed its bombs and missiles liberally around Surdulica. The destruction of an empty barracks was of doubtful military utility. The targeting of a water supply plant was cruel, but there were no words to adequately characterize the destruction of entire neighborhoods, as we had repeatedly witnessed in our travels. By the end of the war, NATO had destroyed about fifty homes in Surdulica and damaged around 600 more.
One of the bombed homes belonged to Radica Rastich. In a deposition, her neighbor Borica Novkovich recalled, “The sound was like a huge blow on the head. Everything turned over and rolled down the hill. Radica was screaming, screaming, when we came to help her. She was taken from the house all twisted and bent over. She was shaking and shaking; her hands were pressed tight over her ears.” Another survivor, Perica Jovanovich, stated, “I’ll never forget the strange voice of the bomb. When the plane is flying and drops the bomb the noise changes. It’s awful. It’s like the static on the radio but so loud, and then there is this awful crash and pressure and everything moves and boils up.”
It was a clear day on April 27 when the first neighborhood was bombed. On Jovan Jovanovich Zmaj Street, children were happily playing outside when NATO warplanes made their approach. Hearing the wail of air raid sirens, the children ran into the home of Aleksandar Milich, where they took refuge in the strongest basement in the neighborhood. It was not long before two NATO missiles sailed into that very house. The sound of the blast was deafening, and smoke and dust filled the air. Every home in the area was destroyed, and survivors were screaming as they struggled to escape from under the rubble.
Stojanche Petkovich reported that after hearing the first explosion, he rushed into the Milich home. He was in the upper cellar and about to descend into the lower cellar when the next missile hit the house, hurling him against a wall. “I covered my mouth with my hand to prevent the dust to enter, because there was a cloud of smoke and dust in there. When I recovered a bit after the second explosion, I called out to those from the second basement, but no one answered me. I could see that the ceiling in that part of the basement had collapsed.” Moments later, Petkovich heard blocks falling and looked up to see “the ceiling above my head coming down on me. The concrete ceiling was now down, pinning my right lower leg. I was watching the other end of the ceiling also coming down on me, and I saw the iron bars in it stretching. Then everything stopped.” It took two hours to pull Petkovich out, the lone survivor from the Milich home. Blood was spattered all around where the cellar had once been, and the smell of burning flesh filled the air. Every victim was decapitated and dismembered. “Bits of them were all over the road,” one man was reported as saying. “We found the head of a child in a garden and many limbs in the mud.”
When 65-year-old Vojislav Milich heard the air raid sirens that day, he ran to his home. He was about 100 meters away when he saw the two missiles exploding on his home. “When the smoke vanished, I saw just ruins of my house. It had been razed to the ground, completely torn down. I presumed that all of the members of my family and all of the people from the neighborhood got killed, which unfortunately proved to be true.”
The morning after the attack, I read the news on a Yugoslav internet site. There was a photograph of the back of an ambulance, its doors thrown open. Inside were piled chunks of shapeless human flesh, still smoking – remains of the eleven victims, the youngest of whom was only four years old.
Four hours after the attack, the British Ministry of Defense announced that it had been a good day for NATO.
Gregory Elich is on the Board of Directors of the Jasenovac Research Institute and the Advisory Board of the Korea Policy Institute. He is a columnist for Voice of the People, and one of the co-authors of Killing Democracy: CIA and Pentagon Operations in the Post-Soviet Period, published in the Russian language.
The Death of Milosevic and NATO Responsibility - By Christopher Black
By Christopher Black
On March 11, 2006, President Slobodan Milosevic died in a NATO prison. No one has been held accountable for his death. In the 9 years since the end of his lonely struggle to defend himself and his country against the false charges invented by the NATO powers, the only country to demand a public inquiry into the circumstances of his death came from Russia when Foreign Minister, Serge Lavrov, stated that Russia did not accept the Hague tribunal’s denial of responsibility and demanded that an impartial and international investigation be conducted. Instead, The NATO tribunal made its own investigation, known as the Parker Report, and as expected, exonerated itself from all blame.
But his death cannot lie unexamined, the many questions unanswered, those responsible unpunished. The world cannot continue to accept the substitution of war and brutality for peace and diplomacy. It cannot continue to tolerate governments that have contempt for peace, for humanity, the sovereignty of nations, the self-determination of peoples, and the rule of law.
The death of Slobodan Milosevic was clearly the only way out of the dilemma the NATO powers had put themselves in by charging him before the Hague tribunal. The propaganda against him was of an unprecedented scale. The trial was played in the press as one of the world’s great dramas, as world theatre in which an evil man would be made to answer for his crimes. But of course, there had been no crimes, except those of the NATO alliance, and the attempt to fabricate a case against him collapsed into farce.
The trial was necessary from NATO’s point of view in order to justify the aggression against Yugoslavia and the putsch by the DOS forces in Belgrade supported by NATO, by which democracy in Yugoslavia was finally destroyed and Serbia reduced to a NATO protectorate under a Quisling regime. His illegal arrest, by NATO forces in Belgrade, his illegal detention in Belgrade Central Prison, his illegal rendition to the former Gestapo prison at Scheveningen, near The Hague, and the show trial that followed, were all part of the drama played out for the world public, and it could only have one of two endings, the conviction, or the death, of President Milosevic.
Since the conviction of President Milosevic was clearly not possible after all the evidence was heard, his death became the only way out for the NATO powers. His acquittal would have brought down the entire structure of the propaganda framework of the NATO war machine and the western interests that use it as their armed fist.
NATO clearly did not expect President Milosevic to defend himself, nor with such courage and determination. The media coverage of the beginning of the trial was constant and front page. It was promised that it would be the trial of the century. Yet soon after it began the media coverage stopped and the trial was buried in the back pages. Things had gone terribly wrong for Nato right at the start. The key to the problem is the following statement of President Milosevic made to the judges of the Tribunal during the trial:
“This is a political trial. What is at issue here is not at all whether I committed a crime. What is at issue is that certain intentions are ascribed to me from which consequences are later derived that are beyond the expertise of any conceivable lawyer. The point here is that the truth about the events in the former Yugoslavia has to be told here. It is that which is at issue, not the procedural questions, because I’m not sitting here because I was accused of a specific crime. I’m sitting here because I am accused of conducting a policy against the interests of this or another party.”
The prosecution, that is the United States and its allies, had not expected a real defence of any kind. This is clear from the inept indictments, confused charges, and the complete failure to bring any evidence that could withstand even basic scrutiny. The prosecution case fell apart as soon as it began. But once started, it had to continue. Nato was locked into a box of its own making. If they dropped the charges, or if he was acquitted, the political and geostrategic ramifications were enormous. Nato would have to explain the real reasons for the aggression against Yugoslavia. Its leaders themselveswould face war crimes charges. The loss of prestige cannot be calculated. President Milosevic would once again be a popular political figure in the Balkans. The only way out for NATO was to end the trial but without releasing Milosevic or admitting the truth about the war. This logic required his death in prison and the abandonment of the trial.
The Parker Report contains factsindicating that, at a minimum, the Nato Tribunal engaged in conduct that was criminal regarding his treatment and that conduct resulted in his death. The Tribunal was told time and again that he was gravely ill with heart problems that needed proper investigation, treatment and complete rest before engaging in a trial. However, the Tribunal continually ignored the advice of the doctors and pushed him to keep going with the trial, knowing full well that the stress of the trial would certainly kill him.
The Tribunal refused prescribed medical treatment in Russia seemingly for political reasons and once again put the Tribunal’s interests, whatever they are, ahead of Milosevic’s health. In other words they deliberately withheld necessary medical treatment that could have lead to his death. This is a form of homicide and is manslaughter in the common law jurisdictions.
However, there are several unexplained facts contained in the Parker Report that need further investigation before ruling out poison or drugs designed to harm his health: the presence of the drugs rifampicin and droperidol in his system being the two key ones. No proper investigation was conducted as to how these drugs could have been introduced into his body. No consideration was given to their effect. Their presence combined with the unexplained long delay in getting his body to a medical facility for tests raises serious questions that need to be answered but which until today remain unanswered.
The Parker Report, despite its illogical conclusions, exonerating the Nato tribunal from blame, provides the basis for a call for a public inquiry into the death of President Milosevic. This is reinforced by the fact that the Commandant of the UN prison where President Milosevic was held, a Mr. McFadden, was, according to documents exposed by Wikileaks, supplying information to the US authorities about Milosevic throughout his detention and trial, and is further reinforced by the fact that Milosevic wrote a letter to the Russian Embassy a few days before his death stating that he believed he was being poisoned. Unfortunately he died before the letter could be delivered in time for a response.
All these facts taken together demand that a public international inquiry be held into the entirety of the circumstances of the death of President Milosevic, not only for his sake and the sake of his widow Mira Markovic and his son, but for the sake of all of us who face the constant aggressive actions and propaganda of the NATO powers. Justice requires it. International peace and security demand it.
La notizia di oggi è che la polizia ha arrestato tre persone, in provincia di Torino ma anche in Albania con l'accusa di essere reclutatori e miliziani dell'Isis, mentre perquisizioni sono state effettuate a carico di sospetti simpatizzanti dell'Isis in Piemonte, Lombardia e Toscana.
Gli arresti sono scattati contro due cittadini albanesi, zio e nipote. Il primo è residente in Albania mentre il secondo vive in provincia di Torino, mentre il terzo arrestato, è un ventenne cittadino italiano di origine marocchina. Quest'ultimo viene accusato di essere l'autore del documento di propaganda dell'Isis, un testo di 64 pagine scritto in italiano, apparso di recente sul web e intotalato “Lo stato islamico, una realtà che ti vorrebbe comunicare”.
Diventa difficile, a questo punto, non mettere in connessione questa notizia con un contesto regionale più ampio e che investe direttamente il cortile di casa dell'Unione Europea, ovvero i Balcani.
Il Ministro degli Esteri albanese, Ntitmir Bushati, aveva affermato nell'ottobre scorso che in alcune zone del paese erano presenti individui addestrati a compiere atti di terrorismo. Le zone individuate erano quelle dei distretti di Librazhdi e di Elbasan, dove sarebbero presenti numerosi nuclei salafiti e alcuni imam che cercano di radicalizzare i giovani. In certi casi i jihadisti locali fornirebbero rifugio temporaneo a miliziani provenienti dai paesi limitrofi che fanno scalo in Albania per poi imbarcarsi su voli per Istanbul con destinazione finale Siria. Non solo. Secondo un documento dell'Ispi (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), “l’Albania risulta poi essere punto di partenza anche per alcuni jihadisti europei che utilizzano l’Italia come luogo di transito”. Sempre secondo fonti locali sarebbero due le vie battute: una via mare, su navi appartenenti a privati albanesi che attraccherebbero nel porto di Durazzo. L’altra via è quella aerea; i volontari partirebbero da aeroporti italiani secondari per raggiungere Tirana e dopo alcuni giorni di sosta, proseguirebbero per la Turchia e da lì, come noto, verso il teatro di guerra in Siria e Iraq.
Nel settembre del 2014 in Bosnia sono stati arrestati 16 jihadisti tra cui Bilal Bosnic, un predicatore piuttosto noto nel mondo islamico più radicale. Gli arrestati sono stati accusati di aver reclutato, organizzato e finanziato il trasferimento di jihadisti verso la Siria e l’Iraq per combattere nelle file di gruppi terroristi quali dell’Isis. Nelle perquisizioni sono spuntate fuori armi, munizioni, attrezzature militari, tessere sim, computer e altre apparecchiature informatiche.
Il predicatore Bilal Bosnic era noto anche in Italia per i sermoni di incitamento alla jihad in città come Roma, Siena, Como, Pordenone, Cremona, Bergamo.
L'operazione in Bosnia – denominata operazione “Damasco”, ha rivelato l’esistenza di una rete terroristica radicata sul territorio della repubblica ex jugoslava “liberata” dalla Nato, quella stessa Nato che nel 1995 bombardò soprattutto le postazioni serbo-bosniache e sostenne la comunità musulmana (circa il 40%) e croata contro quella serba. Da allora la Bosnia è praticamente commissariata dalla Nato e dall'Unione Europea che per anni hanno tollerato e agevolato la penetrazione di jiahdisti in questa enclave della periferia d'Europa. Un reportage di Lettera 43 racconta che l'influenza fondamentalista islamica nella capitale Sarajevo appare ancora relativa. “Donne e ragazze musulmane escono la sera, bevono alcol e fumano senza problemi. Mi sembra difficile", spiega agli inviati un giornalista di origini serbe, "che qui a Sarajevo attecchisca il radicalismo islamico". Ma la situazione è diversa nelle città bosniache come Srebrenica e Tuzla, dove, secondo alcuni, sarebbero sorti campi di addestramento per jihadisti da spedire in Siria e Iraq o sugli altri fronti della jihad. La cosa non dovrebbe sorprendere perchè negli anni Novanta, in Bosnia, erano arrivati centinaia di combattenti islamici – molti dalla Cecenia o dal Maghreb– per partecipare alla guerra civile contro i serbi e sostenuti dalla Nato che agevolò in ogni modo l'afflusso di jihadisti nel teatro balcanico, in Bosnia come in Kosovo e Albania. I finanziamenti erano assicurati soprattutto dal network saudita (inclusa Al Qaida) e dalla Turchia. Il flusso e poi l'insediamento in loco degli jihadisti, è stato agevolato da Mustafa Ceric, il gran muftì di Sarajevo sino al 2012, e da Alia Iztbegovic, l'ex presidente bosniaco sostenuto economicamente, politicamente e militarmente dalla Nato.
Ma una operazione analoga è stata condotta dalla Nato (Usa e Ue con pari responsabilità) anche nel Kosovo. Anche qui i bombardamenti della Nato contro la Serbia hanno spianato il terreno alla secessione del paese a maggioranza albanese e musulmana. Nei fatti si è costituita una enclave fuori controllo dove i gruppi jihadisti hanno trovato lo spazio per organizzarsi. Il governo del Kosovo solo recentemente – anche a causa del cambio di alleanze degli Usa e degli europei nello scenario mediorientale – è corso ai ripari.
Ad agosto dello scorso anno una operazione della polizia del Kosovo aveva portato in carcere 40 sospetti jihadisti (mentre altri 17 sono risultati irreperibili). Altre tre erano stati arrestati a giugno e altri 11 arrestati sette mesi prima. Alcuni sono molto giovani, nati addirittura nel 1994 e molti hanno meno di 30 anni. Ai giovani disoccupati kosovari vengono offerti fra 20mila e 30mila euro per andare a combattere con i jihadisti dell'Isis in Siria e Iraq ha denunciato pochi giorni fa il segretario della comunità islamica in Kosovo, Resul Rexhepi. Il Parlamento del Kosovo ha approvato pochi giorni una legge che vieta ai propri cittadini di partecipare a conflitti all'estero nel tentativo d'impedire ai suoi giovani di andare a unirsi ai gruppi jihadisti in Siria o in Iraq. La norma prevede fino a 15 anni di carcere per chiunque violi il divieto di prendere parte a conflitti armati all'estero. Il ministro dell'Interno di Pristina stima che circa almeno 300 persone dal Kosovo si siano recate a combattere insieme alle milizie dello Stato islamico in Iraq e Siria (Isis).
Mentre tutti gli sguardi, le attenzioni e le flotte militari convergono sulla Libia, le cancellerie occidentali evitano di rendere conto dei danni che hanno provocato negli ultimi venti anni anche nel vicino est, alle frontiere della stessa Unione Europea. La distruzione della federazione jugoslava, perseguita sistematicamente dalla Germania prima e da Usa e Unione Europea poi, ha consentito la nascita di enclavi out of control nei Balcani, zone dove i finanziamenti concorrenti di Turchia e Arabia Saudita hanno riprodotto scenari conflittuali e alleanze definitesi anche in Medio Oriente. Ma portandole vicino ai confini, anzi dentro il cortile di casa.
“NA MORE CON AMORE”
3a edizione! (anno 2015)
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia- ONLUS
NOVI "HLADNI" RAT. Agresija NATO 15 godina kasnije
// La nuova guerra "fredda". La aggressione NATO 15 anni dopo //
Interventi dei partecipanti al Meeting internazionale tenuto nel marzo 2014 a cura del Forum di Belgrado
provenienti dall' Irlanda, Venezuela, Austria, Francia, Russia, USA, Germania, Ucraina, Grecia, Canada, Bielorussia, Italia, Danimarca, Cipro, Turchia, Croazia, Serbia, Rep. Ceca, ecc. Altre info: https://www.cnj.it/24MARZO99/2014/index.htm#skup
Edizione Beoforum. In cirillico.
Il libro costa 15 euro + spese di spedizione. Per ordini: jugocoord @ tiscali.it
ХИТЛЕРОВО ПОНАШАЊЕ КАО АЛИБИ ЗА АГРЕСИЈУ НАТО ПРОТИВ СРБИЈЕ (СРЈ)
У ТВ емисији РТС-а, „Упитник“ која је емитована 24. марта 2015., поводом 16. годишњице агресије НАТО, у којој су учествовали министар правде Никола Селаковић, председник Београдског форума Живадин Јовановић и председник Управног одбора Атлантског савета Владан Живуловић, господин Живуловић је изједначио понашање НАТО 1999. према Србији (СРЈ) са понашањем Хитлера уочи Другог светског рата. Живуловић је, поред осталог, рекао:
„Наш народ каже, `сила Бога не моли`, па ако ћемо сада, легалитет свих тих акција, када погледамо историју, Хитлер никог није питао, кренуо је у обрачун, НАТО није питао никога када је кренуо на Србију, односно Југославију...“
Целу емисију „Упитник“ можете погледати на линку РТС-а:
http://www.rts.rs/page/tv/ci/story/17/%D0%A0%D0%A2%D0%A1+1/1868505/%D0%A3%D0%BF%D0%B8%D1%82%D0%BD%D0%B8%D0%BA.html
(Цитирани део од 17:48 до 18:05 )
Београд, 25.03.2015.
Several hundred people gathered in front of the former military headquarters in Belgrade on Tuesday to commemorate the 16th anniversary of North Atlantic Treaty Organisation's (NATO) bombing of the country, then a part of the Federal Republic of Yugoslavia...
http://sputniknews.com/photo/20150324/1019921016.html
da www.glassrbije.org – 27. 03. 2015. – Il mito sull’invisibilità del caccia statunitense F-117 A è stato distrutto in un villaggio della Serbia settentrionale sedici anni fa, quando le unità anitiaeree dell’esercito serbo l’hanno colpito e distrutto durante i bombardamenti della NATO contro la Federazione jugoslava. L’aereo il „Falco della notte“ ha avuto la fama di essere invisibile dopo molte azioni in Libano, Panama, Iraq e in altri Paesi. L’aereo F-117 A è caduto il 27 marzo del 1999 nel villaggio Budjanovci, tre giorni dopo l’inizio dell’aggressione della NATO. L’aereo è stato colpito alle ore 20 e 42 minuti con due proiettili „Neva“ del terzo divisione della trecentocinquantesima brigata della difesa antiaerea, i cui membri sono riusciti a identificarlo grazie al coraggio, l’addestramento e le innovazioni tecniche.
Manifestazione di massa a Belgrado nell’anniversario delle prime bombe sulla città. La destra ultranazionalista irrompe nella piazza. La stampa italiana si accorge solo di loro
Carlo Perigli, inviato a Belgrado
Il suono delle sirene invade di nuovo le strade, il rumore dei caccia che sorvolano la città precedono di qualche secondo le esplosioni, quelle bombe “umanitarie” che per 78 giorni martoriarono senza sosta il popolo serbo. Per pochi secondi Belgrado rivive il dramma di quei giorni, i volti dei presenti si fanno scuri, gli occhi diventano lucidi, in un’atmosfera che tocca anche il più disinteressato dei turisti. Nessuno dimentica, nessuno tace, si rimane in silenzio soltanto per un minuto, intorno alle 19, ora in cui, esattamente 16 anni prima, l’Angelo Misericordioso – nome dato dalla Nato all’operazione militare – iniziò ad abbattersi sull’allora Repubblica Federale di Jugoslavia, spazzando via oltre 2000 vite innocenti. Sullo sfondo, le rovine dell’ex ministero federale della Difesa; sul palco, allestito a pochi metri, i bambini intonano l’inno nazionale, a precedere il discorso del primo ministro Aleksandar Vucic.
È soltanto la chiusura di una giornata il cui tempo è stato scandito dai presidi svolti in diversi punti della città; di fronte alla sede della Rts – Radio Tv Serba – dove una lapide ricorda i 16 lavoratori morti la notte del 22 aprile, quando la Nato decise di spegnere a suon di missili quella fastidiosa emittente, le cui immagini contraddicevano la bontà di quell’aggressione, assurda dal punto di vista morale e illegittima da quello legale; al parco Tasmajdan, distante poche decine di metri, dove si è reso omaggio al monumento eretto per ricordare tutti i bambini uccisi dalla guerra; in piazza della Repubblica, dove, come ogni anno, il Movimento Socialista ha steso un telo, sul quale alcuni passanti, tra i quali molti bambini, hanno iniziato a disegnare messaggi contro la guerra. Un’atmosfera piacevole, purtroppo rovinata dal corteo degli ultra-nazionalisti del Partito Radicale Serbo, la cui entrata in piazza ha nei fatti impedito lo svolgersi dell’iniziativa. Solamente qualche piccolo attimo di tensione, dopodiché il corteo, composto perlopiù da giovani e giovanissimi, ha lasciato la piazza, insieme alle loro bandiere delle “Aquile Bianche” e ad una manciata di celtiche cucite sulle giacche, l’ennesima dimostrazione di quanto possa essere assurdo il revisionismo storico che vuole dipingere i cetnici della II guerra mondiale come contrapposti militarmente all’invasore italo-tedesco.
“Sfortunatamente oggi abbiamo vissuto una situazione poco piacevole – ha dichiarato a Popoff Nebojsa Petrovic, presidente della sezione di Belgrado del Movimento dei Socialisti e deputato all’Assemblea Nazionale – il Partito Radicale ha rovinato la manifestazione. Sta diventando chiaro a tutti il motivo per cui Seselj – presidente del partito, negli ultimi 10 anni recluso nelle prigioni dell’ICTY all’Aja – è tornato in Serbia. È assolutamente un elemento di disturbo – ha concluso – non è benvenuto nella società”. Un elemento di disturbo a cui la stampa italiana ha dedicato decine di articoli, appiattendo su di lui le commemorazioni del 24 marzo e tacendo sul resto, sulla stragrande maggioranza dei serbi, quelli che 16 anni fa sceglievano di diventare “bersagli umani” sui ponti di Belgrado e che ogni anno continuano a scendere in piazza, per chiedere a gran voce giustizia e verità.
Поводом обележавања 15 година рада Београдског форума за свет равноправних, 23.3.2015. у Сава Центру u Beogradu је отворена фото изложба о досадашњем раду Беофорума...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=cJXiyqxQeFQ
Беофорум - Фото изложба поводом 15 год. рада
Поводом обележавања 15 година рада Београдског форума за свет равноправних, 23.3.2015. у Сава Центру u Beogradu је приказана фото изложба о досадашњем раду Беофорума. Пред вама су снимци свих изложених паноа...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=dNUI-cwuGW0
Belgrade Forum for a World of Equals
23 March 2015
16th ANNIVERSARY OF NATO AGGRESSION
15 YEARS OF THE BELGRADE FORUM FOR A WORLD OF EQUALS
The 16th anniversary of the beginning of NATO aggression against Serbia (the Federal Republic of Yugoslavia) has been marked by the Roundtable “Not to Forget – No into NATO” held in the “Sava Center”, whereas 15 years since the establishment of the Belgrade Forum for a World of Equals has been marked by the exhibition of photographs and by promotion of the Belgrade Forum’s latest published book.
The Roundtable was convened by the Belgrade Forum, the Club of Serbian Generals and Admirals, and the SUBNOR of Serbia, as co-organizers. The participants of the Roundtable were: Živadin Jovanović, General Jovo Milanović, Aleksej Čagin, President of the Association of Russian Heroes, Dr. Momčilo Vuksanović, President of the Serbian National Council of Montenegro, Prof. Radoš Smiljković, Prof. Radovan Radinović, Milica Arežina, Dr. Stanislav Stojanović, Admiral Boško Antić, Đurđina Turković (Podgorica), Neven Đenadija (Banja Luka), Branislava Mitrović, Natalija Šatalina, and many others.
The gathering paid their tribute to all victims of the NATO aggression by a moment of silence. The audience comprised a large number of the co-organizers’ members and their friends from the independent and non-partisan associations, representatives of the local self-governments, representatives of the cultural, educational, and scientific institutions, Academicians from the SANU, representatives of the Serbian Orthodox Church, the Diaspora, and the diplomatic representatives from Russia and Belorussia.
The exhibition of photographs was opened and the Belgrade Forum’s latest edition was introduced by Živadin Jovanović. The event was accompanied by appropriate cultural program, performed by members of the Cultural Artistic Society “Kosovski Božuri”.
The exhibition will be open every day, until 30 March 2015.
Учесници округлог стола су:
1. Живадин Јовановић (Председник Београдског форума за свет равноправних)
2. Јово Милановић (Генерал-потпуковник)
3. Алексеј Чагин (Председник Асоцијације хероја Русије)
4. Наталија Шатилина
5. Проф. др Радош Смиљковић
6. Милица Арежина
7. Ђурђина Турковић
8. Др Станислав Стојановић
9. Невен Ђенадија (Бања Лука)
10. Бранислава Митровић
11. Бошко Антић (Адмирал)
12. Проф. др Радован Радиновић (Генерал)
13. Др Момчило Вуксановић
Коментари присутних:
1. Проф. Веселин Вујнић (Medical Physicist Inst. of Oncology and Radiology)
2. Проф. др Рајко Унчанин (Члан надзорног одбора Инжењерске коморе Србије)
3. Др Љубомир Грујић
Београд, Сава центар, 23. март 2015.
http://www.beoforum.rs/sve-aktivnosti-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/86-okrugli-sto-da-se-ne-zaboravi-ne-u-nato/678-okrugli-sto-16-godina-od-agresije-nato.html
FINDINGS AND CONCLUSIONS OF THE ROUND TABLE“NOT TO FORGET – NO INTO NATO”
Belgrade, Sava Center, 23 March 2015
NATO Aggression against Serbia (the FRY) in 1999is a crime against peace and humanity, a crime whose perpetrators have not been brought to justice.
This aggression was the introducing of the NATO’s global interventionism strategy under the harshest violation of the fundamental principles of the international law and the role of the United Nations, most notably, the Security Council. Thus, in the vital area of the peace and security, NATO has usurped the role of the United Nations.
NATO demonstrated a new principle: wherever the law presents an obstacle for the achievement of its goals of conquest, the law should be removed.
The panelists and all participants in the Round table have unanimously assessed that NATO, as an aggressive imperialist alliance, has nowhere in the world been a part of the solution, but rather the factor of conquests, contributor to divisions and conflicts, tearing the states apart, wreaking a “controlled” chaos (Afghanistan, Iraq, Syria, Yemen, Libya.
The gathering voiced are solute opposition to Serbia’s entry to the NATO military system through the means of accepting the “Individual Partnership Action Plan”, assessing this document as the single most serious blow to sovereignty, freedom and dignity of the nation, as abandonment of the status of military neutrality, and the act of surrendering the fate of the country into the hands of NATO.
By virtues of regulating not only the military issues, but also all areas of the economic, cultural, informative and social life in general, this IPAP is embodiment of NATO’s militaristic, authoritarian and imperialist concept. The official explanations, aiming at pacifying and misleading the public, were evaluated as utterly irresponsible, dismissive and indecent. The participants referred to the IPAP’s request to finalize the process of privatization, concluding that such request reveals the true nature of NATO as the leverage of the multinational corporate capital, whose goal is to establish the complete control over the economic, natural and human resources in the world.
The gathering sent a unanimous appeal to the authorities to suspend the preparations for the sale of Telekom, the EPS, the PKB, Dunav Insurance, the mines, the agricultural land, waters, and other national riches. A robust public sector in any country serves as a pillar of country’s democracy, independence, and the care for the future. The question was raised–what remains of freedom and democracy if all economic, financial and natural resources are handed over to the hands of the multinational companies of the western countries? What would remain for Serbia to administrate?
NATO aggression of1999and establishment of military camp “Bondsteele” in Kosovo and Metohija were the first step in the practical implementation of NATO’s conquest strategy in the East, its deployment to the Russian borders, and nailing the wedge in the relations between Europe and Russia. The civil war in Ukraine is the corollary of NATO’s strategy of Eastward expansion.
NATO and the leaders of some of its member states have publicly admitted that the aggression of 1999 had been committed in violation of the international law and the role of the United Nations Security Council. NATO and its member states are thus liable to compensate the war damage to Serbia (the FRY)in the amount of USD 100 billion.
President of Serbia, Mr.Tomislav Nikolić,in his last year’s speech in Užice on the occasion of the National Day of Statehood, stated request for the compensation for war damages caused by the aggression of NATO. This presumes that the Government of Serbia should take appropriate concrete steps in order to officially present this initiative raised by the President of the Republic, publicly stated on behalf of the nation, to NATO and its members, and to launch the relevant negotiations.
An appeal was made to the competent authorities to initiate activities to determine the exact number and names of the civilian victims of NATO aggression.
An appeal was made to the competent authorities to establish, in cooperation with expert and scientific institutions, the consequences of the use of weapons with the deleted uranium, and to take appropriate measures in order to eliminate a huge public concern over the mass scale of cancers and deformities in newborns, especially in Kosovo and Metohija, with a view to protecting the health of the people against any further tragic consequences.
The UNSCR 1244 and the Constitution of Serbia are the enduring basis for a peaceful and just political solution for the status of the Province of Kosovo and Metohija. Nobody is entitled to undervalue, violate, or replace this basis. Nobody is entitled to trade the rights Serbia has to Kosovo and Metohija as an integral part of the Serbian state territory, in exchange for any short-term interests, since this would be tantamount to undermining Serbia as a state.
The government institutions of Serbia are invited to promptly request satisfying of all obligations towards Serbia as set forth under UNSC Resolution 1244, and, in particular, the following:
-Free and safe return of 250,000 Serbs and non-Albanians to Kosovo and Metohija, as soon as possible,
-Return of specified contingents of Serbian military and the Police to Kosovo and Metohija
-Economic reconstruction of Serbia, as set forth under UNSC Resolution 1244,
-completing the decontamination of areas in which NATO had used weapons with depleted uranium, at the expense of NATO member states,
- Deactivation of the NATO’s unexploded ordnances – aircraft bombs, cluster bombs, and other ordnance, at the expense of NATO member states.
Finally, the gather requested the prompt reconstruction and completion of the ”Eternal Fire”, Monument to the victims of NATO aggression, in the Park of Friendship, Ušće, Novi Beograd.
Panelists and participants of the Round table sent the appeal to the relevant institutions not to use the funds from the Republic Budget to finance anyone acting contrary to the national and state interests, and, in particular, those who advocate the recognition of the forcibly invaded Province of Kosovo and Metohija, and those advocating the relinquishing of the policy of the country’s military neutrality.
Belgrade, 23March 2015
Comitato contro la guerra – Milano
Questo appello nasce dalla volontà dei soggetti promotori di mobilitarsi contro la politica di aggressione, condotta dalla NATO – USA in testa, che ha già provocato una violenta rottura degli equilibri in tutto il Medio Oriente, in parte del continente africano, in Europa.
Il risultato ad oggi, sotto gli occhi di tutti, sono le guerre in corso in Iraq, Siria, Libia, Ucraina costate decine e decine di migliaia di morti ed un’emergenza umanitaria per milioni di profughi.
Stiamo assistendo alla solita commedia, il cui copione è ben noto: ancora una volta finanziamenti degli USA e, allo stesso tempo, mercenari, filonazisti, jihadisti, golpisti, consiglieri militari della NATO. Migliaia di morti civili sono il tragico risultato.
Per il momento una guerra devastante tra la NATO e la Federazione Russa è stata scongiurata, ma accuse, sanzioni (che tra l’altro si stanno ritorcendo contro i lavoratori italiani ed europei), manovre militari fatte per provocare, stanno portando il mondo su una strada molto pericolosa.
Risulta incredibile che chi ha provocato questi disastri, oggi faccia finta di volerli risolvere, così come il fatto che si discuta il possibile finanziamento per 15 miliardi di euro al governo ucraino, arrivato al potere attraverso un colpo di stato e responsabile di massacri nell’est del paese.
Infine risulta inaccettabile che non si consideri appieno come il Qatar, l’Arabia Saudita, la Turchia e gli USA abbiano dato un contributo determinante alla formazione di gruppi jihadisti, la cui massima espressione è attualmente l’ISIS.
Noi organizzazioni di diverso orientamento e differenti sensibilità, sentiamo il dovere di chiamare alla mobilitazione contro il pericolo di queste guerre, che avrebbero ripercussioni imprevedibili a livello mondiale.
Chiediamo l’impegno di quanti aderiranno a scendere in piazza prima che sia troppo tardi.
La prima vittima della guerra è la verità.
La guerra è contro i lavoratori. Non un soldo per la guerra
Per info: comitatocontrolaguerramilano@... - comitatocontrolaguerramilano.wordpress.com - cell. 3383899559
È IN CORSO LA RACCOLTA ADESIONI, ad ora sono pervenute: Rete NoWar-Roma, Forum contro la guerra - Venegono, Ass. “La Casa Rossa” - Milano, Banda Bassotti, Marx21.it, Ass. Cult. Stella Alpina - Novara, Ass. Italia-Cuba - Milano, PCdI Milano,PCdI Lombardia, PC Provincia di Milano, Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS, Comitato Altra Europa zona 8 - Milano, Ass. Un'Altra Storia, Sez. ANPI "Bassi - Viganò" - Milano, Sez. PCdI "Laika" - Milano, Giovani Comunisti– Milano, Sez. ANPI Porta Genova - Milano, PCdI Federazione di Pescara, Sez. PCdI “Gagnoni” - zona 5 Milano, Redazione di ALBAinformazione, La Scintilla – Milano, PRC “Luca Rossi” – Affori Milano, Rete disarmiamoli - nodo di vicenza, Nella Ginatempo (Sociologa e scrittrice del Movimento per la pace), Patrick Boylan (PeaceLink, Rete NoWar-Roma, Cittadini statunitensi per la pace e la giustizia), Tiziano Cardosi (Comitato No tunnel TAV Firenze), Anna Migliaccio (Comitato Centrale PCdI), Anita Fisicaro (Rete Nowar-Roma), Ugo Giannangeli (Avvocato), Maurizio Musolino (Segreteria Nazionale PCdI), Vladimiro Vaia(economista), Bianca Riva (NO TAV Valsusa), Gabriella Vaccaro,Angelo Baracca (Firenze), Nunzia Augeri (ricercatrice storica - PCdI), Paolo D'Arpini (Rete Bioregionale Italiana), Elio Rindone, Gian Piero Riboni (Comitato per Milano zona 8), Maurizio Quattrocchi (ingegnere), M.Gabriella Guidetti (Rete NoWar Roma), Claudia Berton (insegnante e scrittrice, Verona), Vincenzo Brandi (Rete No War e Comitato No Nato), Elio Varriale (Istituto della Memoria in Scena - FI), Sergio e Tecla Introini, Massimo Ponchia (Rubano - PD), Monica Zoppè (PI), Roberto Galtieri, Presidente ANPI Belgique, Elio Nocerino, Camillo Boni, Ivo Batà(Fronte Palestina Milano), Francesca Iacobucci (Fronte Palestina Milano), Maria Cristina Bandeira Santos (Fronte Palestina Milano), Jonathan Chiesa (Coord. Com. "Altra Europa con Tsipras" - zona 9), Giovanni Sarubbi (direttore www.ildialogo.org)
Il diplomatico ha detto che il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Jen Psaki, sta travisando i fatti, quando dice che le armi nucleari americane in Europa sono "costantemente sotto il controllo degli USA e non vengono mai passate ad altri Stati".
"In realtà le cosiddette "missioni nucleari congiunte" della NATO prevedono la partecipazione dei paesi non nucleari dell'alleanza alla pianificazione nucleare e all'addestramento delle truppe all'uso delle armi nucleari che viene effettuato adoperando aerei, equipaggi, infrastruttura aeroportuale e servizi di terra degli Stati in questione", — ha spiegato Lukashevich, precisando che le ultime esercitazioni di questo tipo, Steadfast Noon, sono state svolte in autunno dell'anno scorso in Italia.
Lukashevich ha fatto ricordare che l'Articolo 1 del Trattato di non proliferazione proibisce agli Stati nucleari di passare a chiunque, in modo diretto o indiretto, il controllo degli armamenti e degli altri congegni nucleari esplosivi, mentre l'Articolo 2 impone ai paesi non nucleari il divieto di assumere tale controllo esplicitamente o in modo indiretto, da chiunque sia ceduto.
En francais: Le boom de l’industrie de guerre
Par Manlio Dinucci, Il Manifesto / Mondialisation.ca, 17 mars 2015
http://www.mondialisation.ca/le-boom-de-lindustrie-de-guerre/5437240
L’Italia – il cui export militare è cresciuto di oltre il 30% in cinque anni e aumenterà ulteriormente grazie alla riconversione di Finmeccanica [ http://www.ilmanifesto.info/renzi-gioca-alla-battaglia-navale/ ]dal civile al militare – è quindi l’ottavo esportatore mondiale di armamenti, che fornisce soprattutto a Emirati Arabi Uniti, India e Turchia.
Principali importatori mondiali sono India, Arabia Saudita, Cina, Emirati Arabi Uniti, Pakistan, Australia, Turchia, Stati Uniti (che importano armamenti tedeschi, britannici e canadesi). In forte aumento l’import militare delle monarchie del Golfo (71% in cinque anni), e in generale del Medioriente (54%), e quello dell’Africa (45%).
Nessuno conosce però il reale volume e valore dei trasferimenti internazionali di armi, diversi dei quali avvengono in base a transazioni politiche. Il tutto sotto il paravento del Trattato sul commercio di armamenti, varato solennemente dall’Onu due anni fa.
Questa è solo la punta dell’iceberg della produzione di armamenti, per la maggior parte destinata alle forze armate degli stessi paesi produttori.
In testa gli Stati Uniti, che stanziano (stando alle sole cifre del budget del Pentagono) circa 95 miliardi di dollari annui per l’acquisto di armamenti: una enorme quantità di denaro pubblico che, riversata nelle casse delle maggiori industrie belliche Usa (Lockheed-Martin. Boeing, Raytheon, Northrop Grumman, General Dynamics, United Technologies), permette loro di collocarsi al primi posti su scala mondiale.
Poiché il business delle armi aumenta man mano che crescono le tensioni e le guerre, l’esplosione della crisi ucraina e il conseguente confronto Nato-Russia hanno rappresentato una fortuna per i grossi azionisti delle industrie belliche statunitensi ed europee.
Nell’esercitazione Nato che si svolge questo mese in Polonia, gli Usa schiereranno una batteria di missili Patriot «quale deterrente all’aggressione sul fianco orientale». In realtà soprattutto perché la Polonia deve decidere entro l’anno se acquistare i missili Patriot, prodotti dalla statunitense Raytheon, o quelli analoghi del consorzio franco-italiano Eurosam: un affare da 8 miliardi di dollari, nel quadro di uno stanziamento di 42 miliardi (quasi 40 miliardi di euro) deciso da Varsavia per potenziare le sue forze armate. La Polonia intende anche acquistare tre nuovi sottomarini da attacco, armandoli di missili da crociera (a duplice capacità convenzionale e nucleare) forniti dalla Raytheon o dalla francese Dcns.
Stesso business in Ucraina: Washington ha annunciato una nuova fornitura a Kiev, da 75 milioni di dollari, di materiali militari «non-letali», tra cui centinaia di blindati «non-armati» che possono essere facilmente armati con sistemi prodotti in Ucraina o importati. Poroshenko ha annunciato, il 13 marzo, che il governo di Kiev ha firmato contratti per importare «armi letali» da 11 paesi dell’Unione europea, tra cui certamente l’Italia. In piena attività anche le industrie belliche russa e cinese.
Per controbilanciare la forza navale Usa, che dispone di circa 300 navi da guerra comprese 10 portaerei, la Russia sta costruendo simultaneamente quattro sottomarini nucleari e la Cina si sta dotando di una seconda portaerei prodotta nazionalmente. Così il mondo fabbrica gli strumenti della sua distruzione.
Manlio Dinucci, su Il Manifesto del 24.3.2015
Washington ce l’ha messa tutta per impedire che i suoi alleati entrassero nella Banca d'investimenti per le infrastrutture asiatiche (Aiib), creata dalla Cina, ma non ce l’ha fatta: Gran Bretagna, Germania, Francia e Italia (4 dei membri del G7) hanno aderito e altri, compresa l’Australia, seguiranno.
A preoccupare Washington è il progetto complessivo in cui rientra l’Aiib. Esso ha come epicentro l’Organizzazione di Shanghai per la cooperazione (Sco): nata nel 2001 dall’accordo strategico cino-russo per controbilanciare la penetrazione Usa in Asia Centrale, si è estesa all’ambito economico, energetico, culturale e ad altri. Ai sei membri (Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan) si sono aggiunti, per ora in veste di osservatori, India, Iran, Pakistan, Mongolia e Afghanistan e, come partner di dialogo, Bielorussia, Sri Lanka e Turchia. La Sco, che comprende un terzo della popolazione mondiale e salirà a circa la metà quando ne faranno parte gli attuali paesi osservatori, dispone di risorse e capacità lavorative tali da farne la maggiore area economica integrata del mondo.
La Sco è collegata al Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), che ha deciso di creare una propria Banca per lo sviluppo e un proprio Fondo di riserva. Questi organismi finanziari e la Banca asiatica possono col tempo soppiantare in gran parte la Banca mondiale e il Fmi che, per 70 anni, hanno permesso agli Usa e alle maggiori potenze occidentali di dominare l’economia mondiale attraverso i prestiti-capestro ai paesi indebitati e altri strumenti finanziari.
I nuovi organismi possono allo stesso tempo realizzare la dedollarizzazione degli scambi commerciali, togliendo agli Stati uniti la capacità di scaricare il loro debito su altri paesi stampando carta moneta usata cone valuta internazionale dominante, anche se la convertibilità del dollaro in oro, stabilita nel 1944 a Bretton Woods, ha avuto fine nel 1971. Più affidabili come valuta internazionale sono altre monete, come il renminbi cinese: Londra sta per diventare la base per lo sviluppo di strumenti finanziari denominati in renminbi.
Non potendo contrastare con strumenti economici tale processo, che accelera il declino degli Stati uniti restati finora la maggiore potenza economica mondiale, Washington getta la spada sul piatto della bilancia. Rientra in tale strategia il putsch di piazza Maidan che, creando un nuovo confronto con la Russia, ha permesso agli Usa di rafforzare ulteriormente la Nato, principale strumento della loro influenza in Europa.
Nella stessa strategia rientra il crescente spostamento di forze militari Usa nella regione Asia/Pacifico in funzione anticinese. Emblematica la strategia per «la potenza marittima del 21° secolo», appena pubblicata dalla U.S. Navy. Essa sottolinea che l’importanza economica di questa regione, dove è in corso «l’espansione navale» della Cina, «impone di fare crescente affidamento sulle forze navali per proteggere gli interessi statunitensi», tanto che «nel 2020 sarà concentrato nella regione circa il 60% delle forze navali e aeree della U.S. Navy».
Le potenze europee, mentre aderiscono per interesse economico alla Banca asiatica creata dalla Cina, collaborano alla strategia Usa per impedire con la forza militare che la Cina, insieme alla Russia, sovverta l’attuale «ordine economico» mondiale. Il gruppo franco-tedesco-spagnolo Airbus creerà una rete satellitare militare sulla regione Asia-Pacifico. E la Francia, che ha scavalcato la Gran Bretagna quale più stretto alleato Usa, ha inviato nel Golfo la nave ammiraglia Charles de Gaulle, ponendola sotto comando Usa.
Ma non si tratta dell’unica novità introdotta dalle commissioni. Un emendamento del relatore Pd Andrea Manciulli e chiamato «anti-Greta e Vanessa» dal nome delle due volontarie rapite e poi rilasciate in Siria, introduce per la prima volta la responsabilità individuale per quanti decidono di recarsi in Paesi considerati a rischio dalla Farnesina. Un modo per scoraggiare viaggi in aree considerate pericolose e come tali indicate sul sito del ministero degli Esteri. «Resta fermo — specifica la norma -, che le conseguenze dei viaggi all’estero ricadono nell’esclusiva responsabilità individuale e di chi si assume la decisione di intraprendere o di organizzare i viaggi stessi».
Ieri, mercoledì, il decreto è stato bloccato in attesa di un parere del governo su alcun emendamenti per i quali manca la copertura di spesa.
La situazione dovrebbe sbloccarsi oggi, ma visti i 250 emendamenti presentati dalle opposizioni, palazzo Chigi sta valutando la possibilità di un ricorso al voto di fiducia in modo da poter licenziare il testo martedì prossimo. Già oggi, però, si saprà se saremo destinati a perdere una grossa fetta della nostra libertà. A rischio non c’è infatti solo il contenuto di una conversazione telefonica, ma tutto ciò che abbiamo inserito nel nostro computer ritenendolo al sicuro da occhi indiscreti: fotografie, scritti, filmati, registrazioni, appunti di lavoro, corrispondenza con gli amici.
Tutta una vita a disposizione di chi sarà addetto ai controlli. Tecnicamente questo sarà possibile grazie a captatori informatici (Trojan, Keylogger, sniffer ecc.) che dopo essere stati scaricati casualmente consentiranno alle autorità di sicurezza di accedere ai nostri dati senza limiti di tempo. «Con questo emendamento l’Italia diventa, per quanto a me noto, il primo paese europeo che rende esplicitamente ed in via generalizzata legale e autorizzato la “remote computer searches“ e l’utilizzo di captatori occulti da parte dello Stato!», scrive Quintarelli sul suo sito [ http://stefanoquintarelli.tumblr.com/post/114529278225/una-svista-rilevante-nel-provvedimento ]. «L’uso di captatori informatici quale mezzo di ricerca delle prove — prosegue — è controverso in tutti i paesi democratici per una ragione tecnica: con quei sistemi compio una delle operazioni più invasive che lo Stato possa fare nei confronti dei cittadini».
E’ opportuno ricordare come solo due giorni fa il garante per la privacy Antonello Soro ha espresso preoccupazione [ http://garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/3807700 ] per la mancata proporzionalità esistente nel decreto tra le esigenze della privacy e della sicurezza.
Il decreto prevede inoltre altre misure finalizzate contrastare il terrorismo internazionale. Si va dallo stanziamento di 40 milioni di euro per la missione mare sicuro nel Mediterraneo, all’affidamento al procuratore nazionale antimafia anche delle indagini sul terrorismo.
Prevista inoltre la reclusione dai 5 agli 8 anni di carcere per i foreign fighters, l’aggravante se reati come l’arruolamento e la propaganda vengono effettuati via web e la perdita della patria potestà per i condannati per associazione terroristica che abbiamo coinvolto dei minori nella realizzazione del reato. Infine il decreto consente l’arresto in flagranza per gli scafisti, i promotori, gli organizzatori e i finanziatori dei viaggi dei migranti. oltre all’assuzione di 150 carabinieri e all’aumento di 300 unità del contingente impiegato nell’operazione stade sicure.
Con la scusa dell'Isis viene formalizzato uno Stato di polizia integrale. Il decreto "antiterrorismo" approvato in Commissione, alla Camera, costituisce un gigantesco passo avanti verso il controllo totale sulle comunicazioni di qualunque cittadino di questo paese (ma anche di altri, visto che la Rete e i social network sono uno degli obiettivi principali del testo). "Preventivamente", ossia in assenza di qualunque reato o sospetto giustificato da indizi.
La polizia sarà infatti autorizzata utilizzare programmi ("trojan") per acquisire "da remoto" le comunicazioni e i dati presenti in un sistema informatico e viene anche autorizzata l'intercettazione preventiva sulle reti informatiche. Di fatto, si potrà impossessare del computer o dello smartphone che usiamo, da casa o dal lavoro, e fare quello che vuole; anche depositarvi "prove false", in assoluta assenza di qualsiasi controllo terzo e, ovviamente, in barba qualunque diritto di difesa. Sembra quasi che questo decreto intervenga a inquadrare legislativamente pratiche già in atto. Anche questa non è una novità. Ma la ripetizione è un'aggravante, non un'attenuante.
La cosa stupefacente, ma non troppo, è che quasi nessun parlamentare abbia osato eccepire alcunché a un'invasione di questa portata nella vita di ognuno. E' insomma evidente che su questa materia non ci si fanno più troppe domande: ci sono i jihadisti tagliagole alle nostre porte, che volete che sia un po' di privacy in meno?
Il problema, appunto, non è un po' di privacy in meno - ormai quasi tutti postano di tutto su Facebook e altrove, in forma accessibile a chiunque - ma il dominio assoluto del potere poliziesco sui singoli e sui gruppi. Non è una convinzione soltanto nostra, "veterocomunisti che vedono spie dappertutto", ma addirittura di un ex generale della Guardia di Finanza specializzzato, appunto, nelle indagini informatiche. L'intervista, realizzata da Il Fatto Quotidiano - è riportata in fondo a questo articolo.
Dov'è il salto di qualità? Non solo nel "controllo totale" delle nostre comunicazioni (pratica fin qui illegale, ma che sappiamo essere comune per gli investigatori di questo paese come per i servizi Usa (se lo "scandalo Datagate" vi ha insegnato qualcosa). Ma nel fatto che, impossessandosi via software dei nostri strumenti di comunicazione, diventa possibile "agire al nostro posto". E quindi addebitarci qualsiasi infamia convenga al potere.
Troppo sostettosi? Beh, non dite che non avete mai sentito di poliziotti/carabinieri che infilano buste di droga nelle tasche di qualcuno che vogliono arrestare... E, per restare alla cronaca di queste ore, immaginatevi cosa potrebbero fare due "agenti delle forze dell'ordine" come i due carabinieri arrestati in Campania per una rapina al supermercato.
Ma lasciamo anche perdere il caso delle "rare mele marce" presenti in ogni corpo repressivo. Concentriamoci invece sul tipo di rapporto che in questo modo si stabilisce tra "potere" e singolo cittadino. Il primo può qualsiasi cosa, il secondo nulla, neanche difendersi.
Rapporto tanto più "inquietante" se si pensa che questo Parlamento è costituito interamente di individui "nominati" dai capi di partito (meno i Pentastellati che si sono affidati a comunque incerte primarie telematiche); che l'attuale governo è il terzo consecutivo non votato da nessuno ed obbediente a trattati e vincoli sovranazionali mai sottoposti all'approvazione popolare; che il premier non è neanche parlamentare, "lo abbiamo messo lì noi" (disse Marchionne, senza mai smentire), e qundi risulta quanto meno in deficit di legittimità democratica "preventiva" (è proprio il caso di dire).
Secondo il decreto, inoltre, il Pm potrà conservare i dati di traffico raccolti in questo modo fino a 24 mesi. I providers su Internet saranno obbligati a oscurare i contenuti illeciti legati ai reati di terrorismo, pubblicati dagli utenti. L'uso del Web e di strumenti informatici per perpetrare reati di terrorismo (arruolamento di foreign fighters, propaganda, ecc) diventa un'aggravante che comporta l'obbligo di arresto in flagranza.
Messa così, ben pochi hanno qualcosa da eccepire. Ma chi decide cosa è "terrorismo" e cosa no? Se dobbiamo dar retta alla procura di Torino, per esempio, qualsiasi atto di resistenza o sabotaggio ai lavori del Tav in Val Susa sono qualificabili come tali (non però secondo i giudici di primo grado, sempre di Torino, che non hanno riconosciuto tale aggravante per i quattro ragazzi condannati per danneggiamento di un generatore). Ricordiamo - banalmente - che non esiste nessuna definizione condivisa a livello internazionale. L'Onu non ha mai trovato una maggioranza sufficiente ad approvare una formulazione inequivoca.
Così siamo nella situazione, assolutamente extra legem, per cui ogni Stato - o meglio: ogni governo di qualsiasi Stato - considera "terrorismo" quanti gli si oppongono (in forme non necessariamente armate, come si visto sopra), e magari riconosce come "freedom fighters" i combattenti che prendono di mira uno Stato considerato "nemico".
Non è una noovità, il mondo è stato sempre pieno di questo tipo di conflitti e anche delle retoriche conseguenti.
Ma, ripetiamo, nessuno aveva mai provato a legalizzare l'espropriazione dei mezzi di comunicazione dei cittadini per operarvi in loro vece. E successivamente incriminarli per quello che nessuno più può dimostrare di "non aver fatto" (che sarebbe comunque già un rovesciamento dell'"onere della prova" dall'accusa alla difesa).
Neanche il fascismo.
*****
Ultim'ora. Forse preoccupato da alcune reazioni interne (dalle parti dell'Nce e di Forza Italia, ma anche dentro il Pd, ci dovrebbe essere qualche preoccupazione per l'"eccessivo" potere concesso in questo decreto agli "investigatori") Matteo Renzi sembra aver deciso di stralciare la parte "Intercettazione via trojan dei computer" per rielaborarla in modo più attento.
Il premier di Pontassieve ha chiesto ed ottenuto lo stralcio dal testo di quel del passaggio. "Un tema delicato e importante", spiegano fonti di governo fin qui non attente all'importanza e alla delicatezza, che "verrà affrontato in maniera più complessiva nel provvedimento sulle intercettazioni già in esame in Commissione".
E son belle gatte da pelare, quelle per cui vorresti dare tutto il potere a giudici e poliziotti per apparire "duro", ma qualcuno deve strattonarti per la giacchetta ricordandoti che "così ci arrestano tutti"...
*****
L’ex Generale GdF Umberto Rapetto.Hanno istituito la legge marziale
di Pa. Za. - Il Fatto Quotidiano
Io sono sbigottito. Non ce l’hanno detto e hanno istituito il regime marziale?”. Umberto Rapetto – già generale della Guardia di Finanza, “colpevole” di aver indagato troppo sulle slot machine, soprannominato “lo sceriffo del web” – scorre il testo del dl antiterrorismo con gli occhi fuori dalle orbite.
Cosa la sconvolge di più?
Intanto, solo il fatto che si ponga l’attenzione su semplici sospettati di qualunque reato, non indagati, fa già venire meno le basi del diritto. E poi si autorizzano le perquisizioni senza alcun controllo.
Parla dell’accesso remoto ai computer?
Vorrebbero guardare nei computer attraverso dei grimaldelli come trojan: fa rabbrividire. Cioè, quello stesso Stato che manda a morire i processi, tira fuori le unghie con chi non potrà nemmeno dire “quella roba non era sul mio computer”.
Sta dicendo che non si potrà avere nessuna certezza sulla paternità dei dati estrapolati?
Dico che durante una perquisizione tradizionale io, o il mio legale, ho la possibilità di assistere e dunque non potrò mai negare l’evidenza delle prove raccolte. Qui invece, se l’accesso avviene da remoto senza alcun controllo, viene meno addirittura la certezza che quei documenti fossero realmente lì. Salta il diritto alla difesa. E poi chi l’ha detto che un dato, fuori da un determinato contesto, possa avere una rilevanza diversa? Facciamo un esempio. Io l’altro giorno ho visto on line i video di propaganda dell’Isis. Ho consultato quel materiale perché dovevo fare un’intervista, ma non sono né un loro fan né un istigatore. I comportamenti possono essere dettati da curiosità, diritto di cronaca e mille altre ragioni. Che il decreto non contempla. Ce lo dicano: o riconosciamo lo stato di guerra e allora le leggi marziali prevalgono sul diritto vigente, oppure non si può istituire una opportunità investigativa senza garanzie contro gli abusi. Il momento è delicato, ma servono regole che vadano al di là delle suggestioni emotive. Ci vogliono modalità di attuazione stringenti, oltre alla garanzia che il materiale sequestrato sia usato solo per quelle finalità. Non vorrei che finissero per vedere anche se sono vegetariano, quale collega odio e che squadra tifo.
Ecco il 77° Battaglione: Londra lancia 1500 'Facebook Warriors' per diffondere disinformazione e realizzare una profonda 'infiltrazione cognitiva' dei social media
Ecco il 77° Battaglione: l'esercito britannico sta mobilitando 1500 'Facebook Warriors' per diffondere la disinformazione Tornerà in vita una delle più discusse unità delle forze speciali inglesi della seconda guerra mondiale.
Un nuovo gruppo di soldati, conosciuto come Facebook Warriors, secondo il Financial Times «scatenerà complesse e segrete campagne sovversive di (dis)informazione». Questo reparto si chiamerà 77° battaglione, il cui numero ha anche un significato storico. FT riferisce:I Chindits originali [77° Battaglione] erano un'unità partigiana guidata dallo spavaldo comandante britannico generale Orde Wingate, uno dei pionieri della moderna guerra non convenzionale. Operarono in profondità dietro le linee giapponesi in Birmania tra il 1942 e il 1945 e le loro missioni erano spesso di discutibile successo.Questi guerrieri di Facebook useranno simili tattiche atipiche, con mezzi nonviolenti, per combattere contro il loro nemico. Ciò sarà realizzato principalmente attraverso il "controllo del riflesso", una vecchia tattica sovietica che consiste nel diffondere informazioni opportunamente confezionate al fine di indurre l'avversario a reagire esattamente nel modo voluto. È un trucco piuttosto complicato, e l'esercito britannico lo metterà in atto solamente con questo corpo di 1500 persone (o più) usando Twitter e Facebook come mezzi per diffondere disinformazione, le verità della guerra vera, e incidenti false flag (sotto falsa bandiera) quasi come una raccolta comune di informazioni. A quanto si riferisce, il 77° Battaglione entrerà in azione nel mese di aprile.Traduzione per Megachip a cura di Emilio Marco Piano.
A ispirare la creazione della brigata FB, viene detto, è stata l’esperienza accumulata nelle operazioni di ‘Counterinsurgency’ in Afghanistan. Ma anche quanto avvenuto lo scorso anno in Ucraina, in particolare in Crimea, e dalle azioni dell’Is in Siria e in Iraq. Proviamo a capire. Imperscrutabile il ruolo del web in chiave antitalebana. Disinformazia dai covi in Pakistan? Più facile da capire l’Ucraina, con dubbio: ma non sapevate e non eravate complici nell’uso di mercenari un po’ ‘nazi’ su quelle barricate? Per l’Isis, appare evidente l’uso ‘promozionale’ della ferocia per arruolare spostato.
La brigata ha assunto simbolo e numerazione della brigata ‘Chindits’ guidata dal generale Orde Wingate contro i giapponesi nella Birmania occupata nella Seconda guerra mondiale, che utilizzò tattiche di penetrazione a lungo raggio per condurre attacchi e sabotaggi dietro le linee nemiche. Londra segue la strada aperta da anni da Israele. Dalla guerra contro Gaza precedente l’esercito ha unità specializzate in operazioni sui social. 2006, nel Libano degli hezbollah sotto attacco israeliano mostrai in Tv delle vietatissime bombe a frammentazione e subii una sorta di linciaggio mediatico.
I Militari di Tsahal -l’esercito istraeliano- sono attivi su 30 piattaforme diverse, inclusi Twitter, Facebook, Uoutube, Instagram, in sei lingue diverse. «Questo consente di raggiungere un’audience che altrimenti non saremmo riusciti a coinvolgere», spiega un portavoce israeliano al quotidiano britannico precisando che diversi Paesi hanno preso informazioni per copiarne il modello. Nel nostro piccolo potremmo suggerire un libro ormai ‘clandestino’. «Nulla di vero sul fronte occidentale. Le bugie di guerra da Omero a Busch». Editore Rubbettino. Autore uno che ‘remacontro’.
Altre Fonti : Adnkronos, Independent, Guardian, Analisi Difesa
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[9412] Per Zarko, Nevena, Mihailo, Djordje, Jovanka, Borislav, Borka, Alexander, Vesna e gli altri
(Jugoinfo)
[hrvatskosrpski / italiano] 1) 7 agosto 1995, strage di civili sulla via di Petrovac 2) Feste...
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[9411] Espellere Israele dall'ONU
(Jugoinfo)
[slovenščina / srpskohrvatski / italiano] MEDNARODNI PRAVNIKI POZIVAJO NA IZKLJUČITEV IZRAELA IZ...
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[9408] Lo show di Vučić / To je bio Vučićev šou
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To je bio Vučićev šou (D.N. – Politika, 14.10.2024.)Predsednik Srbije iskoristio Samit u...
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[9407] Belgrade Forum's Statement on Dayton Peace Agreement
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[9406] Domenica 20/10 inaugurazione della cartellonistica nella Valle del Castellano + altre segnalazioni
(Jugoinfo)
– ALTRE SEGNALAZIONI:YUGOSLAV MEMORIALS IN ITALY / I SACRARI JUGOSLAVI IN ITALIACONVEGNO:...
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[9405] Kragujevac, conto alla rovescia per l'avvio della produzione della "Fiat Panda"
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Odbrojavanje do početka proizvodnje „fijata pande” (02.10.2024. – Marija Brakočević)U...
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[9404] Il regime di Kurti elimina le rappresentanze serbe in Kosovo
(Jugoinfo)
[srpskohrvatski / italiano]
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[9403] National Endowment for Democracy (NED): cosa è e cosa fa
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Il 9 agosto, il Ministero degli Affari Esteri della Repubblica Popolare Cinese ha pubblicato...
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[9402] TRIMARIUM. Porto di Trieste: da piattaforma infrastrutturale a bastione della NATO
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Sulla presentazione del libro di Paolo Deganutti organizzata dalla Associazione Studentesca del...
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[9401] Il precipizio ucraino
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[english / italiano] Ukraine policy could break the European Union / Il tracollo dell’Ucraina...
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[9399] In Croazia compagni sotto attacco per avere esibito la bandiera jugoslava
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[Diffondiamo per conoscenza e contributo alla discussione questo interessante documento della RKS,...
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[9398] Google, Amazon, Microsoft, META e l'ex-Twitter strumenti della tirannia imperialista
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Fact-checker, Google e social coinvolti nel massacro di Gaza e in altre operazioni...
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[9397] Kosmet: come rendere la vita impossibile ai serbi ma anche agli albanesi
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[english / italiano] Pristina mette fuori legge il dinaro e la polizia del Kosovo effettua raid...
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[9396] Chi ha portato Rio Tinto in Serbia?
(Jugoinfo)
[srpskohrvatski / italiano] 1) Breve storia del giacimento di litio di Loznica 2) Ana Brnabić:...
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Capodimonte (VT) 25.7.2024: DRUG GOJKO
(Cultura)
In concomitanza con la tradizionale "pastasciutta antifascista"
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[9395] Rivoluzioni colorate
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Testi di Laura Ruggeri e dal Simposio internazionale tenuto a Banja Luka nel 2014
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[9394] G. Merlicco: Una passione balcanica
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Calcio e politica nell’ex Jugoslavia dall’era socialista ai giorni nostri
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[9393] Videointervista ad A. Martocchia per La Città Futura [VIDEO]
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Temi trattati: intervista al presidente serbo Vučić del settimanale svizzero Die Weltwoche /...
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[9392] Aspettando Davor [Čekajući Davora, nestalog na Kosovu]
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[srpskohrvatski / italiano] VIDEO sulla storia di Davor Ristic e la questione dei rapiti nel...
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Roma 28.6.2024: DRUG GOJKO
(Cultura)
Con l'associazione Bosna u srcu / La Bosnia nel cuore
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