Informazione

(slovenscina / italiano)

Sol perché italiano

1) Boldrini e Delrio onorano il repubblichino: ”Per il sacrificio offerto alla Patria” (V. Varesi su La Repubblica, edizione di Bologna, 15 marzo 2015)
2) Chi è il colpevole per la medaglia al fascista? LETTERA APERTA / ODPRTO PISMO (Diecifebbraio.info)
3) NOTA DEL PRESIDENTE NAZIONALE ANPI CARLO SMURAGLIA
4) Comunicato del Comitato antifascista e per la memoria storica di Parma sul “caso Mori”
5) Lettera di C. Cernigoi a V. Varesi di Repubblica a proposito dell'onorificenza a Paride Mori
6) Se questo è il giorno del ricordo (Davide Conti su Il Manifesto, 16.3.2015)
7) Medaglia al repubblichino, il governo verso lo stop. Il figlio dell'ex ufficiale Rsi: "Mio padre era sicuramente un fascista, ma fascista non significa delinquente. Ha fatto il suo dovere... ha deciso... di continuare a combattere contro Tito, per la patria"


Sulla vicenda si veda anche:

Paride Mori, fascista di Salò. E la sinistra gli dedica una strada (16 luglio 2010)
http://parma.repubblica.it/cronaca/2010/07/16/news/paride_mori_fascista_di_sal_e_la_sinistra_gli_dedica_una_strada-5633360/

La Boldrini: "Non c'entro nulla con medaglia a Paride Mori" (15 marzo 2015)

Medaglia a un repubblichino, l'ira dell'Anpi e di Sel: ''Il governo la ritiri e si scusi'' (15 marzo 2015)

Sugli altri casi scandalosi di onorificenze come "infoibati" conferite "sol perché italiani" a criminali di guerra fascisti:


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Boldrini e Delrio onorano il repubblichino: ”Per il sacrificio offerto alla Patria”


Conferito un riconoscimento al fascista Paride Mori, ex ufficiale del Battaglione “Benito Mussolini” che combattè anche al fianco dei nazisti

di VALERIO VARESI

su La Repubblica, edizione di Bologna, 15 marzo 2015
 

BOLOGNA – Il “Giorno del ricordo” diventa il giorno dell’amnesia e a poco più di un mese dal settantesimo della Liberazione si ribalta la storia e ciò che ha significato per mano di chi rappresenta la Repubblica nata dalla stessa Liberazione. Così, anche un fascista repubblichino può essere insignito della medaglia ricordo, “in riconoscimento del sacrificio offerto per la Patria”, nientemeno che dalla presidente della Camera Laura Boldrini e dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio, già sindaco di Reggio Emilia, città medaglia d’oro per la Resistenza e terra dei fratelli Cervi. Il tutto alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

La vicenda riguarda Paride Mori, ufficiale parmense del Battaglione bersaglieri volontari “Benito Mussolini”, un reparto che all’inizio era aggregato alle “Waffen SS” e successivamente inquadrato nell’esercito della Repubblica di Salò che combatté a fianco dei nazisti. L’onorificenza che gli è stata attribuita in realtà fu istituita per ricordare le vittime delle foibe nell’immediato dopoguerra, ma Mori fu ucciso in uno scontro coi partigiani il 18 febbraio del ‘44 e quindi l’episodio non c’entra niente con le vendette post belliche delle milizie di Tito nei confronti degli italiani.

Al ribaltamento di significato si aggiunge quindi un falso storico. Ma la vicenda di Paride Mori comincia prima di quest’ultima vicenda. Alcuni anni fa la giunta di centro sinistra del Comune parmense di Traversetolo, suo paese natale, intitolò una via proprio al repubblichino suscitando l’obiezione dell’Istituto storico della Resistenza provinciale il quale fece presente il passato imbarazzante dell’ex bersagliere. La giunta ritirò l’intitolazione e la vicenda si spense. Non persuasi, i figli di Paride Mori hanno provato altre strade per onorare la figura paterna rivolgendosi direttamente alle massime autorità dello Stato in occasione del citato “Giorno del ricordo”.

Lo scorso dieci febbraio la cerimonia ufficiale e la consegna agli stessi figli dell’onorificenza. Questi ultimi, hanno così celebrato la “riabilitazione” del padre con una lettera pubblicata sulla Gazzetta di Parma nella quale hanno raccontato dell’invito a Montecitorio da parte della presidente della Camera e, alla presenza del Capo dello Stato, della consegna della medaglia da parte del sottosegretario Delrio. Soddisfatti per quello che ritengono la restituzione di un onore, i figli ora chiedono con forza che la via nel paese natale del padre sia finalmente a lui intitolata. Come negarlo dopo un simile viatico?


[ Questo l’originale dell’articolo, uscito anche sull’edizione cartacea de La Repubblica. Poche ore dopo, la versione online è stata edulcorata con una smentita della Boldrini e rimuovendo il riferimento a Mattarella. Nuovo titolo: Dal governo una medaglia al repubblichino: ”Per il sacrificio offerto alla Patria” ]



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Posted on 17 marzo 2015 by admin

Chi è il colpevole per la medaglia al fascista?

LETTERA APERTA AL PRIMORSKI DNEVNIK  

Scriviamo riguardo allo scandalo mediatico suscitato dall’attribuzione di un riconoscimento quale “infoibato” al fascista Paride Mori caduto in combattimento contro i partigiani in Slovenia nel 1944, e alle domande su chi ne sia responsabile. La risposta è evidente: responsabili sono in primo luogo tutti coloro che hanno voluto e approvato la legge del Giorno del Ricordo che permette questi presunti errori. Il testo della legge è infatti pieno di ambiguità, indeterminatezze e formulazioni che lasciavano trasparire fin da subito quali fossero gli scopi che si prefiggeva.

La legge afferma che il riconoscimento può essere concesso a tutti “gli scomparsi e infoibati” e a tutti i “soppressi mediante annegamento, fucilazione, massacro, attentato, in qualsiasi modo perpetrati” tra l’8 settembre ’43 ed il 10 febbraio ’47 (ed oltre) “in Istria, in Dalmazia o nelle province dell’attuale confine orientale”. Essendo l’attentato una delle modalità più tipiche della guerriglia partigiana, ovvero dato che qualsiasi episodio bellico tra occupatori e partigiani può essere ridotto ad “attentato”, ciò significa che il riconoscimento può essere concesso a TUTTI gli appartenenti alle formazioni collaborazioniste caduti in combattimento con i partigiani. Il testo prescrive poi i motivi di esclusione dal riconoscimento: essere caduti in combattimento, essere caduti facendo “volontariamente parte di formazioni non a servizio dell’Italia” e l’accertamento, con sentenza, del “compimento di delitti efferati contro la persona”. Per quel che riguarda i caduti in combattimento si rimanda a quanto detto sopra circa gli attentati. Quanto ad aver fatto parte di “formazioni non al servizio dell’Italia”, il non avere specificato a quale Italia ci si riferisca – all’epoca ce n’erano due, il Regno d’Italia passato con gli Alleati e la Repubblica sociale di Mussolini – rende possibile attribuire i riconoscimenti anche alle formazioni della RSI al servizio dei nazisti. Peraltro, va ricordato che le “province dell’attuale confine orientale”, l’Istria, Fiume, furono sottoposte dopo l’8/9/43 alla Germania nazista in quanto Zona d’operazione Litorale Adriatico (Adriatisches Küstenland) in cui le formazioni militari collaborazioniste erano sottoposte direttamente al comando tedesco. Di conseguenza tutti gli appartenenti a formazioni collaborazioniste erano al servizio dei nazisti.

Riguardo infine all’accertamento con sentenza di “delitti efferati” commessi contro la persona, tale formulazione è molto simile a quella che appare nel testo dell’amnistia Togliatti del 22 giugno 1946 e che fu usata dalle Corti d’appello dell’epoca come grimaldello per liberare praticamente tutti i fascisti. Nel caso della Commissione che attribuisce i riconoscimenti ai c.d. “infoibati” l’indeterminatezza della formulazione è stata utilizzata per concederli anche a persone che furono “soppresse” dopo regolare processo davanti a tribunali civili o militari. Il caso più noto è quello di Vincenzo Serrentino, condannato a morte e fucilato a Sebenico il 15/5/47 per la sua attività nel famigerato Tribunale speciale della Dalmazia; ma accanto a lui possiamo annoverare almeno ancora Giuseppe Comuzzi, di cui il “massimo esperto di foibe” dell’ambiente delle organizzazioni degli esuli (Luigi Papo) ha scritto che faceva parte della Milizia Difesa Territoriale (MDT, denominazione assunta nell’Adriatisches Küstenland dalle formazioni fasciste equiparabili alla Guardia nazionale repubblicana -GNR-) e che è stato fucilato nel giugno del 1945 in esecuzione di una sentenza emessa dal Tribunale militare della 4^ Armata dell’Esercito popolare di liberazione jugoslavo.


Se lo schiamazzo causato dall’attribuzione del riconoscimento a Mori non può che essere benvenuto, va tuttavia ricordato che nell’elenco di coloro a cui nel corso di questi dieci anni è stato concesso lo stesso riconoscimento ci sono parecchi “casi” molto simili a quello di Mori. Limitandoci a coloro che sono morti tra il novembre 1943 e l’aprile 1945 troviamo questi casi: Abriani Gerolamo, caduto 15/9/1944 come appartenente alla 5^ Legione MDT ferroviaria; Alessio Ferdinando, milite della MDT, caduto lungo la linea ferroviaria Opicina – Prosecco il 28/2/1945; Antonini Antonino, che alcuni definiscono ex squadrista e componente la 41^ Brigata Nera di Trieste, catturato e soppresso dai partigiani ad Umago il 13/11/1944; Borroni Antonio, descritto da Papo quale milite della MDT, ex volontario fascista nella guerra di Spagna, volontario in Montenegro, ucciso in Istria il 29/9/1944; Brunetti Antonio, milite MDT, ucciso il 27/5/1944 presso Matulje (Mattuglie); Cantarutti Edoardo, sottufficiale dell’Esercito della RSI, soppresso dai partigiani a Gorizia il 7/11/1943; Chersicla Luigi, sergente della MDT, scomparso l’8/7/1944 a Grisignana; D’Aliberti Carmelo, Guardia di Finanza, catturato e probabilmente ucciso a Sicciolie il 3/8/1944; Del Bigallo Giuliano, vice brigadiere di PS alla Questura di Gorizia, morto il 1/2/1944 in conseguenza delle ferite riportate in un attacco di partigiani; Del Negro Oliviero, membro della Guardia Civica (formazione collaborazionista triestina) caduto durante un attacco partigiano ad Opicina nel dicembre del 1944; De Pierro Angelo, caporale della MDT, ucciso il 13/9/1944 a Gorizia; D’Ambrosi Antonio, milite della MDT, ucciso nel giugno 1944 in Valdarsia in Istria; Englaro Gastone, ex carabiniere (i nazisti sciolsero l’Arma il 7 ottobre 1943 e nella Venezia Giulia molti dei suoi componenti passarono nelle file della MDT) scomparso il 12/2/1944 a Muggia; Ferrara Salvatore, Guardia di Finanza, scomparso nell’attacco dei partigiani alla postazione di Matteria (Materija) il 13/1/1944 (tale postazione collaborava attivamente con i nazisti nella lotta antipartigiana, negli arresti, nei rastrellamenti…); Fiorentini Giovanni, componente l’11^ Legione Camicie Nere, fucilato il 29.10.1943 a Babin Potok (Croazia); Galante Giuseppe, milite MDT, scomparso nel settembre 1944; Ghersa Giulio, milite MDT, caduto nell’aprile 1944 durante un attacco partigiano in Istria; Ghersi Michelangelo, milite MDT, ucciso in casa a Laurana il 24/11/1944; Lacchiana Giovanni, milite delle Camicie Nere, caduto il 25/10/1944 a Ogulin (Croazia); Lottici Arnaldo, Guardia di Finanza, scomparso il 2/2/1944 durante un attacco partigiano alla caserma di Sicciolie; Lubiana Ettore, milite MDT, caduto durante un attacco di partigiani a una colonna nazifascista presso Rifembergo (Branik) il 2/2/1944; Meazzi Angelo, ex carabiniere, in servizio alla postazione di Gabrovizza a Trieste (probabilmente della MDT), scomparso il 24.2.1944; Musco Giuseppe, membro della formazione “Mazza di ferro” della MDT, ucciso nel 1944 a Montona; Olmo Giuseppe, Guardia di Finanza, scomparso nell’attacco dei partigiani alla postazione di Matteria il 13/1/1944; Porru Silvio, Guardia di Finanza, scomparso nell’attacco dei partigiani alla postazione di Matteria il 13/1/1944; Querincis Ottavio, componente del collaborazionista Battaglione Alpini “Tagliamento”, scomparso il 22/4/1944 presso Duttogliano (Dutovlje); Ricci Lucchi Serafino, Guardia di Finanza, disperso nel corso di uno scontro con i partigiani nei pressi di Divaccia (Divača); Sangrigoli Mariano, milite MDT, scomparso il 14/4/1945 a Lanischie (Lanišče); Stossich Libero, milite MDT, ucciso il 28/4/1945 presso Umago; Summa Donato, milite MDT, caduto il 14.1.1944 presso Senosecchia (Senožeče); Valoppi Michele, milite MDT, caduto il 13/10/1944 presso Sedegliano (UD); Verdelago Ervino, segretario del Partito Fascista Repubblicano di Tomadio (Tomaj), ucciso a Trieste il 26/2/1944.

A quanto detto va aggiunto che nell’elenco dei percettori dei riconoscimenti ci sono svariati casi che risultano molto dubbi. Il colmo è rappresentato dai casi di Antonio Ruffini, insignito del riconoscimento di “infoibato” ma in realtà caduto da partigiano a Grgarske Ravne in Slovenia a fine marzo del 1944 (cosa riconosciuta dal Comune di Termoli e dalla Regione Molise, ma non dalla Commissione) e di Fortunato Matiussi, per il quale è di per se esplicativa la motivazione della concessione del riconoscimento: “residente a Pisino, fu lì fucilato il 4 ottobre dalle truppe tedesche per rappresaglia sulla popolazione a seguito della precedente occupazione titina”!


Per le singole decisioni in merito all’attribuzione del riconoscimento la responsabilità diretta è indubbiamente dei componenti l’apposita Commissione, operante in seno alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e composta, oltre che da vari rappresentanti delle organizzazioni degli esuli, dal Presidente del Consiglio dei Ministri o da un suo delegato, dai rappresentanti degli Uffici Storici degli Stati Maggiori di tutte le forze armate dello Stato e da un delegato del Ministero dell’Interno. Quindi la responsabilità diretta di quanto è accaduto è delle più alte autorità dello Stato e delle Forze Armate.

Che le cose stessero come stanno era risaputo da almeno 10 anni, ma coloro che lo facevano notare venivano tacciati di estremismo, nostalgie “slavo-comuniste” e gratificati del termine infamante di “negazionisti”. Fino a subire vari tentativi di chiudere loro la bocca attraverso licenziamenti, tagli di finanziamenti, minacce e veri e propri tentativi di aggressione fisica. Mentre coloro che in campo storiografico hanno posto le basi “scientifiche” per tutto quanto accade regolarmente ogni 10 febbraio sono stati presentati e incensati come “ricercatori obiettivi ed equilibrati” e portatori della “verità storica”. Nel contempo le organizzazioni degli esuli, che hanno progettato e ottenuto quanto descritto in precedenza, sono diventate apprezzate interlocutrici della ”opinione pubblica democratica” (anche di quella sua parte che oggi si scandalizza per il caso Mori) e destinatarie di appoggi, aiuti ed ingenti finanziamenti per diffondere le loro “verità”. Di tutto questo sono ampiamente corresponsabili i media, anche quelli che oggi prendono atto di questo “errore” e si chiedono come sia potuto accadere. Forse un serio esame di coscienza potrebbe essere salutare per molti.

 

La redazione del sito Diecifebbraio.info

sulla base delle Lettera inviata da Sandi Volk al Primorski Dnevnik il 16 marzo 2015, che riproduciamo di seguito:

 

 

S prošnjo za objavo

Spoštovano uredništvo Primorskega dnevnika

 

članku o podelitvi priznanja ob Dnevu spomina na fojbe in eksodus fašistu Parideju Moriju, sprašujete, kdo je tega kriv. Res je, da je v konkretnem(ih) primeru(ih) za to odgovorna pristojna komisija, katere sestava pa priča o tem, da so za priznanje(a) fašistu(om) odgovorni najvišje inštitucije italijanske države in oboroženih sil. Vendar so za Morijev primer in za vse ostale, kot tudi za vse, kar se dogaja ob vsakem 10. februarju v prvi vrsti odgovorni tisti, ki so zakon, ki to omogoča, izglasovali. Med njimi tudi člani parlamenta iz vrst slovenske manjšine v Italiji. Tekst zakona je bil namreč namenoma spisan na tak način, da je bilo takoj popolnoma jasno, čemu je bil namenjen. Na podlagi tega zakona lahko prejme priznanje vsakdo, ki je bil usmrčen in “infojbiran” ter vsi, ki so bili usmrčeni potom “utopitve, streljanja, pokola, atentata” v času od 8.9.1943 do 10.2.1947 (in še dlje) “v Istri, Dalmacij in v provincah sedanje vzhodne italijanske meje”. Ker je atentat tipični modus operandi gverilskih partizanskih enot je torej povsem legitimno, da so lahko priznanja deležni VSI člani kolaboracionsitičnih enot, ki so padli v borbi proti partizanom, saj je vsak partizanski napad mogoče predstaviti kot atentat. Besedilo zakona navaja tudi razloge, ki onemogočajo dodelitev priznanja, ki pa so prav tako dvoumni: izključeni so posamezniki, ki so padli v boju, tisti, ki so padli kot “člani formacij, ki niso bile v službi Italije” ter vsi tisti, za katere “je s sodbo ugotovljena izvršitev okrutnih zločinov proti osebam”. Glede padlih v boju je, kot že rečeno, vsak napad mogoče prikazati kot atentat. Formulacija o formacijah, ki “niso bile v službi Italije” pa ne omenja na katero Italijo se nanaša – tedaj sta obstajali Kraljevina Italija in Mussolinijeva Italijanska Socialna Republika – tako, da se priznanja povsem legitimno podeljujejo tudi članom enot, ki so bile v službi Mussolinijeve republičice in na strani nacistov. Kar se tiče sodno ugotovljenih “okrutnih zločinov proti osebam”, pa gre za formulacijo, močno podobno oni, uporabljeni v tekstu Togliattijeve povojne amnestije, ki je bila povod za oprostitve domala vseh fašistov. V tem primeru pa je služila komisiji, da je lahko priznanja podelila tudi ljudem, ki so bili usmrčeni po obsodbi civilnih ali vojaških sodišč. Najbolj znano je ime Vincenza Serrentina, poleg njega pa je tu še vsaj Giuseppe Comuzzi, članu kolaboracionistične Milizia difesa Territoriale (MDT), o katerem je “prerok fojb” Luigi Papo zapisal, da je bil obsojen na smrt od vojnega sodišča 4. Armade JNOV in usmrčen junija 1945.

Čeprav je vik in krik, ki ga je sprožilo podelitev priznanja Moriju dobrodošel, je na seznamu oseb, ki so v teku teh let ob 10. februarju bile deležne priznanja, Moriju podobnih kar precej. Če se omejimo na take, ki so preminuli v času med novembrom 1943 in aprilom 1945 lahko naštejemo vsaj sledeče: Abriani Gerolamo, padel 15/9/1944 kot član 5. legije železničarske MDT; Alessio Ferdinando, član MDT, padel na železniški progi med Opčinami in Prosekom 28/2/1945; Antonini Antonino, po nekaterih podatkih bivši škvadrist in član 41. Črne Brigade v Trstu, ki so ga partizani usmrtili v Umagu 13.11.1944; Borroni Antonio, ki ga Papo opisuje kot člana MDT, bivšega prostovoljca na strani frankistov v Španjii, nato v vrstah italijanske vojske v Črni Gori, ki je bil ubit v domači Istri 29/9/1944; Brunetti Antonio, član MDT, ubit 27/5/1944 pri Matuljah; Cantarutti Edoardo, podoficir fašistične republikanske vojske, usmrčen od partizanov 7/11/1943 pri Gorici; Chersicla Luigi, narednik MDT, ubit 8/7/1944 v Grožnjanu; D’Aliberti Carmelo, finančni stražnik, izginil po partizanskem napadu pri Sečovljah 3/8/1944; Del Bigallo Giuliano, policijski podbrigadir v Gorici, umrl 1/2/1944 za posledicami ran, ki jih je zadobil v napadu partizanov; Del Negro Oliviero, član Guardia civica, padel v partizanskem napadu na Opčinah decembra 1944; De Pierro Angelo, desetar MDT, ubit 13/9/1944 v Gorici; D’Ambrosi Antonio, vojak MDT, usmrčen junija 1944 v dolini Raše v Istri; Englaro Gastone, bivši karabinjer (nacisti so Karabinjerje razpustili oktobra 1943, precej jih je nato pri nas prestopilo v vrste MDT), izginil 12/2/1944 v Miljah; Ferrara Salvatore, finančni stražnik, verjetno ubit v napadu partizanov na postojanko (ki je aktivno sodelovala z nacisti v pregonu partizanov in izvajala aretacije, racije itd.) v Materiji 13/1/1944; Fiorentini Giovanni, član 11. legije Črnih Srajc, ustreljen 29.10.1943 v Babinem Potoku (Hrvaška); Galante Giuseppe, vojak MDT, izginil septembra 1944; Ghersa Giulio, vojak MDT, padel aprila 1944 v partizanskem napadu v Istri; Ghersi Michelangelo, vojak MDT, ubit na domu v Lovranu 24/11/1944; Lacchiana Giovanni, član Črnih Srajc, padel 25/10/1944 v Ogulinu (Hrvaška); Lottici Arnaldo, finančni stražnik, verjetno ubit v napadu partizanov na postojanko v Sečovljah 2/8/1944; Lubiana Ettore, vojak MDT, padel v partizanskem napadu na nacifašistično kolono pri Braniku 2/2/1944; Meazzi Angelo, bivši karabinjer, v službi v postojanki na Guardielli (verjetno MDT), verjetno ubit 2/2/1944; Musco Giuseppe, član enote “Mazza di ferro” MDT, ubit leta 1944 v Motovunu; Olmo Giuseppe, finančni stražnik, izginil po napadu partizanov na postojanko v Materiji 13/1/1944; Porru Silvio, finančni stražnik, verjetno ubit v napadu partizanov na postojanko v Materiji 13/1/1944; Querincis Ottavio, član kolaboracionističnega bataljona alpincev “Tagliamento”, verejtno ubit 22/4/1944 pri Dutovljah; Ricci Lucchi Serafino, finančni stražnik, pogrešan po spopadu s partizani 13/1/1944 pri Divači; Sangrigoli Mariano, vojak MDT, izginil 14/4/1945 v Lanišču; Stossich Libero, vojak MDT, ubit 28/4/1945 pri Umagu; Summa Donato, vojak MDT, padel 14.1.1944 pri Senožečah; Valoppi Michele, vojak MDT, padel 13/10/1944 pri Sedeglianu (UD); Verdelago Ervino, tajnik Republikanske fašistične stranke (PFR) v Tomaju, ubit v Trstu 26/2/1944.

Naj k temu dodam, da je velika večina oseb, ki so dobile priznanja, pripadala oboroženim enotam, ki so bile v službi nacistov. Ter da je seznam poln primerov, ki so precej sporni. Med temi predstavljata višek primera Antonia Ruffinija, ki je v resnici padel kot partizan v Grgarskih Ravnah marca 1944 (kar sta uradno priznali Občina Termoli in Dežela Molise, ne pa komisija), ter Fortunata Matiussija, za katerega je zelo zgovorna obražložitev priznanja: “prebivalec Pazina, 4 oktobra (1943) je bil ustreljen od nemške vojske v represalji nad civilnim prebivalstvom za predhodno titovsko okupacijo (Pazina)”.

Da so stvari bile take je znano vsaj 10 let, vendar so bili tisti, ki so na to opozarjali deležni napadov, očitkov ekstremizma oz. nostalgičnosti ter sramotilne oznake “negacionistov”. Na razne načine se jih je skušalo utišati, z odpusti z dela, poskusi odzvema finančnih sredstev, grožnjami, celo poskusi fizičnega napada. Ezulske organizacije, ki so vse zgoraj omenjeno načrtovale in dosegle, so postale cenjen sogovornik vse “demokratiče javnosti” (tudi tistih, ki so danes najbolj glasni v zgražanju), tudi manjšinske, in deležne podpor, pomoči, priznanj in obilnih sredstev za razširjanje svojih “resnic”. Ljudje, ki so na polju zgodovinskega raziskovanja postavili “znanstvene” temelje za ta priznanja (in za vse ostalo, kar se redno dogaja vsakega 10. februarja), pa so bili predstavljeni in obravnavani (tudi s strani lepega dela manjšinske organiziranosti in politike) kot “demokrati”, “uravnovešeni raziskovalci” in nosilci resnice. V vsem tem pa so prednjačili medji, tudi manjšinski.

 

Trst, 17.3.2015

Sandi Volk


=== 3 ===

NOTA DEL PRESIDENTE NAZIONALE ANPI CARLO SMURAGLIA

Fonte: ANPI News, n. 155 – 17/24 marzo 2015

Ho appreso dalla stampa la notizia della consegna di una medaglia, in una sala della Camera dei deputati, dove si trovavano anche il Presidente della Repubblica e la Presidente della Camera, ad un fascista della Repubblica di Salò. La notizia appariva così incredibile (e grave) che sono stato lieto di apprendere, da una dichiarazione emanata dalla Presidenza della Camera, che la Presidente Boldrini non aveva dato alcun premio, né aveva in alcun modo concorso ad individuare il nome del “premiato” tra quelli meritevoli di onorificenza (sono parole pressoché testuali del comunicato della Presidenza della Camera).
Altrettanto credo sia accaduto per il Presidente Mattarella, ma non è possibile anticipare nulla al riguardo, finché non ci sarà qualche comunicazione da parte del Quirinale.
Di certo, un’onorificenza è stata consegnata dal Sottosegretario Del Rio e dunque a nome della Presidenza del Consiglio. Anche il Sottosegretario ignorava tutto? Sembrerebbe impossibile; comunque, chi ha proposto e deciso quella onorificenza proprio nell’anno del 70° anniversario della Resistenza? A quali criteri ha obbedito la speciale Commissione che valuta per la Presidenza del Consiglio le onorificenze? È veramente difficile accontentarsi della prospettazione di un “errore”, a fronte di situazioni che imporrebbero una vera sensibilità democratica.
Pensiamo che su questo debba essere fatta chiarezza assoluta ed al più presto. Altrimenti dovremmo pensare che la Presidenza del Consiglio, che si propone di celebrare il 25 aprile e il 70° è disponibile, al tempo stesso, a riconoscere “i meriti” di chi militò dalla parte della dittatura, del fascismo, della persecuzione degli ebrei, degli antifascisti e dei “diversi”. Davvero, tutto questo appare inconcepibile; l’ANPI attende, comunque, chiarimenti precisi e definitivi e, soprattutto, che ognuno si assuma le responsabilità che gli competono. Dopo di che, prenderemo – a ragion veduta – le nostre posizioni di antifascisti e di combattenti per la libertà, che non conoscono né tentennamenti né ambiguità, ma si riconoscono nella vera storia del nostro Paese e nella Costituzione che lo regola e pretendono che altrettanto facciano le istituzioni.

(N.d.r.: questa nota, diffusa anticipatamente ieri [16/3] pomeriggio, è stata ripresa nell’edizione online de la Repubblica di Bologna
http://bologna.repubblica.it/cronaca/2015/03/16/news/medaglia_al_repubblichino_il_figlio_mio_padre_era_fascista_non_un_delinquente_-109635621/
e in quella nazionale cartacea di oggi [17/3] a pag. 13)


=== 4 ===

17/3/2015

Comunicato del Comitato antifascista e per la memoria storica di Parma sul “caso Mori”
 
Il conferimento da parte di massime autorità del Governo e della Repubblica di un’onorificenza a Paride Mori, fascista convinto, ufficiale della Repubblica Sociale Italiana sostenuta dalla Germania nazista, appartenente a un reparto militare schierato al confine nordorientale sotto comando diretto dei Tedeschi, non è un puro e semplice errore commesso dalla Commissione nominata dal Governo per decidere l’attribuzione delle onorificenze. Un errore, per altro, particolarmente grave essendo il caso di Paride Mori già noto da anni, almeno dal 2010 quando successe che il Comune di Traversetolo (PR), dov’egli nacque e visse, nella primavera di quell’anno gli intitolò una via e poco dopo, essendo stata quella scelta toponomastica del tutto sbagliata, tolse l’intitolazione della stessa.
 
Il conferimento dell’onorificenza a Mori il 10 febbraio u.s. come vittima delle foibe, nonostante egli non sia stato assolutamente una vittima delle foibe ma sia morto in uno scontro con partigiani il 18 febbraio 1944, è, anche, in qualche modo, una conseguenza del fatto che la legge 92 del 2004 istitutiva del «Giorno del ricordo delle vittime delle foibe» considera infoibati anche tutti quegli italiani «scomparsi e quanti, nello stesso periodo e nelle stesse zone, sono stati soppressi mediante annegamento, fucilazione, massacro, attentato, in qualsiasi modo perpetrati». Non solo, il riconoscimento di vittima delle foibe, continua la legge, può essere esteso a quanti «persero la vita dopo il 10 febbraio 1947, ed entro l’anno 1950, qualora la morte sia sopravvenuta in conseguenza di torture, deportazione e prigionia».
 
Esiste dunque una legge che dà un’interpretazione molto larga dell’espressione «italiano vittima delle foibe». Del tutto discutibile, nient’affatto corretta.
 
Certo con tale interpretazione così larga il numero degli “infoibati” aumenta, diventando dell’ordine di grandezza delle migliaia in relazione al periodo del maggio ’45 e che dal maggio ’45 si protrarrebbe fino al 1950!
Meglio determinabile e più contenuto il numero dei morti delle foibe nel periodo settembre-ottobre ’43; gli studi storici convergono su valori di cinquecento, seicento morti.
 
Paride Mori comunque non è stato assolutamente una vittima delle foibe.
 
Le vittime delle foibe sono state comunque, in gran parte, fascisti, militari e funzionari dell’Italia fascista che aveva aggredito  la Jugoslavia  e occupato crudelmente diversi suoi territori, collaborazionisti. Studi e ricerche sul numero e l’identità di questi morti, anche caso per caso, nome per nome, sono stati fatti di recente in particolare dagli storici Claudia Cernigoi e Sandi Volk.
 
Comitato antifascista e per la memoria storica - Parma


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---------- Messaggio inoltrato ----------
Da: Claudia Cernigoi 
Date: 15 marzo 2015 15:38
Oggetto: a proposito dell'onorificenza a Paride Mori.
A: "v.varesi" 



Gentile Varesi, sono una giornalista e ricercatrice storica di Trieste. Collaboro tra l'altro alla pagina web di informazione sul confine orientale 
www.diecifebbraio.info.
 Ho letto l'articolo sull'onorificenza attribuita a Paride Mori nell'ambito della legge sul giorno del ricordo, e volevo segnalarLe che non è questo il solo caso "scandaloso" di premiazione, in quanto molte delle persone che hanno ricevuto questo riconoscimento non corrispondono ai requisiti richiesti dalla legge medesima. Nonostante la legge appunto preveda che non possono essere premiati coloro che persero la vita mentre "facevano volontariamente parte di formazioni non a servizio dell’Italia", nell'elenco dei premiati (che, chissà perché, non è reso pubblico, ma bisogna fare i salti mortali in internet per ricostruire chi ha ricevuto l'onorificenza, e spesso non se ne conosce il motivo), molte persone che hanno avuto il riconoscimento erano militari arruolati in formazioni germaniche. Perché le province di Trieste, Gorizia. l'Istria, Fiume, dopo l'8 settembre 1943 furono annesse al Reich con il nome di Operations Zone Adriatisches Küstenland (Zona d'operazione Litorale Adriatico), staccate dall'Italia (anche dalla Repubblica di Salò) ed i militari di queste terre erano soggetti all'esercito tedesco, non a quello italiano. Di conseguenza, TUTTI i militari dell'Adriatisches Küstenland che persero la vita anche nelle vicende post-belliche, uccise dagli Jugoslavi per i più svariati motivi, non dovrebbero poter ricevere questa onorificenza.

Inoltre tra coloro che sono stati premiati è stato trovato anche un partigiano ucciso dai nazisti (Antonio Ruffini, si veda http://www.diecifebbraio.info/2013/02/un-infoibato-in-meno-un-partigiano-trucidato-dai-nazifascisti-in-piu-la-vicenda-di-antonio-ruffini/), ed una persona che era stata denunciata alle Nazioni Unite come criminale di guerra, Vincenzo Serrentino, fucilato nel 1947 dopo processo a Sebenico, che fu giudice a latere del Tribunale Straordinario per la Dalmazia (si veda la scheda https://www.cnj.it/documentazione/IRREDENTE/medaglie_infoibati.htm#serrentino ), assieme a Pietro Caruso (fucilato a Roma dopo la Liberazione, per i crimini di guerra da lui commessi).

A questo link un elenco (purtroppo non completo, per le difficoltà sopra indicate) dei premiati nel corso dei dieci anni della legge sul Giorno del ricordo.

http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2014/03/Premiati-marzo-2014.pdf

http://www.diecifebbraio.info/2012/03/i-riconoscimenti-per-gli-infoibati-ai-criminali-di-guerra-italiani/
La ringrazio per l'attenzione e resto a disposizione per eventuali chiarimenti.

cordiali saluti

Claudia Cernigoi
Direttore de La Nuova alabarda 
Trieste 


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http://ilmanifesto.info/se-questo-e-il-giorno-del-ricordo/

Se questo è il giorno del ricordo

—  Davide Conti,  16.3.2015

Errori italiani. L'onorificenza del governo al repubblichino Paride Mori «per aver servito la patria»

Il 7 feb­braio 1947 il Con­si­glio del Mini­stri del III governo De Gasperi, (Dc-Psi-Pci-Pri e Par­tito del Lavoro) votò all’unanimità l’accettazione del Trat­tato di Pace che chiu­deva anche dal lato politico-diplomatico la guerra mon­diale sca­te­nata dall’asse nazi­fa­sci­sta. Il 10 feb­braio il Trat­tato di Pace venne uffi­cial­mente fir­mato a Parigi e nella seduta del 31 luglio 1947 il par­la­mento costi­tuente anti­fa­sci­sta, nato insieme alla Repub­blica il 2 giu­gno, lo ratificò.

57 anni dopo, nel 2004, uno dei par­la­menti della seconda repub­blica, quella non più nata dalla Resi­stenza ma dalla fine della Guerra Fredda e dalle inchie­ste giu­di­zia­rie, con voto bipar­ti­san isti­tuì in quella data il giorno del ricordo voluto for­te­mente dalla destra post-fascista e con­di­viso dalla sini­stra di governo per «rom­pere il silen­zio sulla vicenda taciuta delle foibe» secondo la rituale for­mula delle cele­bra­zioni ufficiali.

Lo scorso 10 feb­braio la Pre­si­dente della Camera Bol­drini e il Sot­to­se­gre­ta­rio alla pre­si­denza del con­si­glio Del Rio hanno con­fe­rito a Paride Mori un’onorificenza «per aver ser­vito la patria» ovvero, nel suo caso, il bat­ta­glione ber­sa­glieri volon­tari “Benito Mus­so­lini” della repub­blica di Salò. Per la cro­naca, e anche un po’ per la sto­ria, va anno­tato che Paride Mori non morì nelle foibe ma il 18 feb­braio 1944 in un con­flitto con i partigiani.

Le auto­rità si sono affret­tate a dichia­rare che «se c’è stato errore il rico­no­sci­mento sarà revo­cato», tut­ta­via di errori di que­sta natura il giorno del ricordo ne ha anno­ve­rati in que­sti anni dav­vero molti altri. Nel 2007 il Pre­si­dente della Repub­blica Gior­gio Napo­li­tano con­ferì la meda­glia come infoi­bato a Vin­cenzo Ser­ren­tino. Capo della «pro­vin­cia di Zara» durante la repub­blica sociale fu pre­si­dente del tri­bu­nale spe­ciale fasci­sta in Jugo­sla­via e respon­sa­bile di decine di con­danne a morte ese­guite con­tro par­ti­giani e civili. Arre­stato e pro­ces­sato dal governo jugo­slavo venne con­dan­nato a morte da un tri­bu­nale il 15 mag­gio 1947. Sem­pre tra il 2009 ed il 2011 altri tre ita­liani accu­sati di cri­mini di guerra dal governo di Bel­grado furono insi­gniti dell’onorificenza del 10 feb­braio, Gia­como Ber­go­gnini, Luigi Cucè e Bruno Luciani, quest’ultimo col­la­bo­ra­tore della fami­ge­rata Banda Collotti.

Il giorno del ricordo, già con­trad­dit­to­rio nella sua indi­ca­zione calen­da­ri­stica non­ché nella sua natura omis­siva sui cri­mini di guerra ita­liani nei Bal­cani, si è con­fi­gu­rato come una leva contro-narrativa della sto­ria che fini­sce per rile­git­ti­mare il fasci­smo regime e per­sino quello repub­bli­chino. Così nell’anno in cui Fini e Vio­lante sono tor­nati insieme a Trie­ste, luogo della prima pie­tra della «sto­ria con­di­visa», nella stessa città si è cer­cato di sfi­du­ciare il pre­si­dente del con­si­glio comu­nale Iztok Fur­la­nic che aveva avuto l’ardire d’indicare quello dei par­ti­giani jugo­slavi come l’esercito di Libe­ra­zione dal nazi­fa­sci­smo nella regione. Il tutto raf­for­zato, nel corso degli anni, da fic­tion e spet­ta­coli tea­trali che, uti­liz­zando l’espediente empatico-narrativo in luogo della com­ples­sità fat­tuale della sto­ria, hanno affian­cato una nuova reto­rica isti­tu­zio­nale celebrativo-vittimistica che ha sol­le­vato nel discorso pub­blico l’Italia fasci­sta da ogni respon­sa­bi­lità nella seconda guerra mon­diale finendo per ali­men­tare feno­meni di auten­tico revan­sci­smo neofascista.

Il discorso pub­blico della memo­ria di Stato scritta per legge, dun­que, sem­bra appro­dare alla con­clu­sione che il fine della Sto­ria sia la fine della Sto­ria, impos­si­bi­li­tata a svol­gere un com­pito di cono­scenza indi­spen­sa­bile a indi­vi­duare la dire­zio­na­lità del tempo pre­sente e a con­tri­buire all’interpretazione dell’età con­tem­po­ra­nea e della modernità.

Se que­sto è il giorno del ricordo la sto­ria del nostro pas­sato ha davanti a sé un sem­pre più incerto futuro.


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Medaglia al repubblichino, il governo verso lo stop

Lunedì prossimo si riunirà di nuovo la commissione che ha premiato il fascista Paride Mori. L'Anpi: "L'esecutivo spieghi subito". Il figlio dell'ex ufficiale Rsi: "Mio padre non era un delinquente"

16 marzo 2015

BOLOGNA -  Si profila uno stop alla medaglia conferita dal governo alla memoria del repubblichino Paride Mori in occasione del "Giorno del ricordo". A quanto si apprende da fonti dell'esecutivo, la commissione che compie le istruttorie é stata infatti riconvocata per la mattina di lunedi prossimo. La commissione é composta da rappresentanti degli studi storici delle armi, degli interni e della presidenza del Consiglio  e da storici delle foibe, come previsto da una legge del 2004.

Il caso, raccontato da Repubblica, ha scatenato l'indignazione di Sel e de L'Altra-Emilia-Romagna. Mentre oggi, con una lunga lettera, ha parlato anche Carlo Smuraglia, presidente nazionale dell'Anpi, l'associazione dei partigiani. Smuraglia chiede "la chiarezza assoluta al più presto" su questi fatti, "altrimenti dovremmo pensare che la Presidenza del Consiglio, che si propone di celebrare il 25 aprile e il 70° è disponibile, al tempo stesso, a riconoscere “i meriti” di chi militò dalla parte della dittatura, del fascismo, della persecuzione degli ebrei, degli antifascisti e dei “diversi”. Davvero, tutto questo appare inconcepibile".

C'è un'altra missiva, oggi, che replica alle polemiche. E' quella del figlio di Paride Mori, Renato, a difesa del padre, pubblicata dalla Gazzetta di Parma. "Mio padre non è stato un delinquente. Quando ho ricevuto l'invito ho pensato che finalmente si rendeva giustizia a una persona che aveva perso la vita per difendere il suo Paese. Era sicuramente un fascista, ma fascista non significa delinquente. Ha fatto il suo dovere. Mio padre, che si trovava in servizio al confine in Friuli, ha deciso di andare avanti, con altri 400 bersaglieri, e di continuare a combattere contro Tito, per la patria".





http://www.diecifebbraio.info/2015/03/lassemblea-costitutiva-del-ceais-a-trieste-17-maggio-1945/

L’assemblea costitutiva del CEAIS a Trieste, 17 maggio 1945



AMMINISTRAZIONE JUGOSLAVA DI TRIESTE

Il 17 maggio 1945 si costituì a Trieste il Comitato Esecutivo Antifascista Italo-Sloveno (CEAIS), organo di amministrazione civile della città.

Di seguito la relazione dell’assemblea, pubblicata sul quotidiano triestino Il Nostro Avvenire.

Vogliamo evidenziare, al di là dei contenuti politici degli interventi, che il palcoscenico era “addobbato con i colori triestini e italiani, aventi in mezzo il tricolore jugoslavo ed ai lati le bandiere delle nazioni alleate”; che il primo inno ad essere eseguito fu l’Inno di Garibaldi, e dopo di esso l’Inno jugoslavo e che in seguito furono eseguiti anche gli inni sloveno, americano, russo ed inglese, nell’ordine.

E ricordiamo che quando il 12 giugno gli Jugoslavi lasciarono Trieste, ad un’amministrazione civile eletta dal popolo subentrò un governo militare.

Claudia Cernigoi, 17 marzo 2015


L’ASSEMBLEA COSTITUZIONALE DI TRIESTE

È sorto un nuovo organismo democratico, che rappresenterà, a fianco del Consiglio di Liberazione, il nostro popolo, padrone del proprio destino.

La manifestazione di ieri dopopranzo al Politeama Rossetti – La Consulta della città – Il popolo, attraverso i suoi rappresentanti, discute dei fondamentali problemi della vita cittadina – Fronte unico della forze sane e ricostruttive tese verso un migliore avvenire.

Chiare parole degli esponenti politici.

Ha avuto luogo al Politeama Rossetti, con inizio alle ore 18, la storica assemblea generale della città di Trieste. Nei giorni precedenti si sono tenute le riunioni nei singoli settori e aziende per l’elezione veramente democratica dei rispettivi rappresentanti.

L’enorme sala presenta un aspetto insolito per la presenza di un pubblico d’eccezione: questa volta è qui convenuto tutto il popolo lavoratore della città, con tutti i ceti e tutte le categorie. Il servizio di guardia è disimpegnato dai garibaldini della brigata “Trieste”, quei provati combattenti che sono la più pura espressione del nostro popolo. Sul palcoscenico, addobbato con i colori triestini e italiani, aventi in mezzo il tricolore jugoslavo ed ai lati le bandiere delle nazioni alleate, siedono ad un tavolo ricoperto d’azzurro i componenti l’Assemblea.

Parla il compagno Giuseppe Gustincich.

Il compagno Gustincich prende per primo la parola. Egli, prima di aprire la seduta, porge i saluti ai delegati di tutti i ceti sociali, saluta il glorioso esercito jugoslavo, la IV armata in special modo, le gloriose forze garibaldine in seno all’armata jugoslava, la brigata d’assalto “Trieste”, la brigata “Fontanot” e la “Picelli”, i rappresentanti delle forze armate inglesi, delle forze armate americane, la missione militare sovietica, la missione militare americana e la missione militare britannica. Poi egli dice:

“In questo momento in cui Trieste vive in un’atmosfera tale che giammai essa ne conobbe una comparabile, in questo momento in cui un avvenimento di capitale importanza ci ha portato ad una svolta decisiva nella storia della nostra bella città, indubbiamente una nuova era democratica si è aperta, pregna di fecondo sviluppo e di grande avvenire. Noi siamo consapevoli  di vivere quest’epoca, di parteciparvi con tutta la nostra anima, con tutta la nostra fede, sapendo ciò che vogliamo, sapendo che Trieste non potrà essere che ciò che tutti i Triestini desiderano ed aspirano non solo oggi, ma da molti e molti anni. Questo avvenimento si profila ormai in un modo così sincero, così schietto, in un modo così palpitante che nessuno può mettere in dubbio il suo esito. Vi ho detto che sarò breve, ma sento che, trascinato da questo stato di cose a cui tutti noi partecipiamo ,vorrei parlare molto, e non certo per fare il poeta o il tragico, ma veramente non posso.

“Perciò prima di chiudere, mi sia permesso di esprimere la speranza, che tutta la cittadinanza di Trieste, da voi rappresentata, potrà dire, non solo alla nostra Trieste, non solo alla nostra provincia e all’Europa, ma al mondo intero ciò che i Triestini vogliono”.

Dopo l’inno di Garibaldi eseguito dall’orchestra ed entusiasticamente accolto dai presenti, il compagno Radich interpretando il pensiero di tutti i lavoratori e cittadini presenti, porge un cordialissimo saluto al Consiglio di Liberazione della città di Trieste.

Eseguito ancora l’inno jugoslavo, si passa alla trattazione dell’ordine del giorno. Il compagno Rudi Ursichlegge la relazione sulla situazione politica della città.

La relazione del segretario del Consiglio

“Compagni e compagne! Signori e signore!

Un avvenimento non normale, non comune, ci trova oggi riuniti. La democratizzazione degli ordinamenti, della rappresentanza della nostra città, fa un altro gigantesco passo in avanti. Per la prima volta nella storia di Trieste si verifica il fatto che la stragrande maggioranza della popolazione ha, in una forma veramente democratica, senza costrizioni, senza paure, manifestato la sua volontà con l’elezione dei delegati.

La maggior parte di costoro sono vecchi combattenti antifascisti che hanno, nei giorni decisivi dell’insurrezione armata, impugnato le armi, che hanno dimostrato di sapere, all’occorrenza, esporre la propria esistenza per la causa democratica, per il benessere della propria città. Una cosa risulta evidente da tutto l’andamento della vita cittadina: la volontà di tutte le persone oneste di normalizzare quanto prima la vita della città stessa, di voler quanto prima dare alla città l’assetto che le assicuri l’avvenire. Nessuna tendenza, da parte delle grandi masse, a drammatizzare gli avvenimenti, nessuna tendenza a voler rendere pesanti i rapporti tra la cittadinanza e la direzione politica ed amministrativa della città stessa, ma piena comprensione dei gravi momenti che la città sta attraversando.

Problemi di carattere tecnico e politico, amministrativo e talora militare si accavallano, e la loro soluzione richiede una sempre più grande responsabilità, una sempre maggiore decisione, nonché una larga base su cui dovrà poggiare il Consiglio di Liberazione. I problemi da risolvere destano l’interesse di tutta la cittadinanza; per tale ragione si richiede che tutta la popolazione concorra in modo adeguato, in modo attivo, all’amministrazione della città attraverso i propri delegati, attraverso la propria rappresentanza legale.

Dobbiamo constatare che la soluzione attuale è caratterizzata da un senso di provvisorietà in via di coagulamento, con separazione netta tra elementi sinceramente democratici, i quali vedono nella soluzione di Trieste autonoma in seno alla nuova Jugoslavia, del porto franco di Trieste senza alcuna barriera doganale, senza alcun proibizionismo, senza alcun vieto quanto vano ostruzionismo per il commercio continentale e intercontinentale, che trova la sua via più naturale dal centro e dall’oriente europeo in Trieste, l’unico mezzo per realizzare le aspirazioni popolari e democratiche che devono stare alla base di ogni ordinamento realmente democratico, nonché, dicevamo, separazione netta dagli elementi reazionari o tendenzialmente reazionari, comunque, ancora accecati da quello spirito sciovinistico che trascende, che nega, che calpesta i reali effettivi interessi del popolo. Elementi reazionari i qual spingono a soluzioni di vario genere (prevalentemente  soluzione italiana), ma che hanno tutti un fondo comune: lotta contro la democrazia progressiva jugoslava, avamposto del mondo democratico: lotta contro ciò che rappresenta progresso incondizionato manifestatosi nella forma della guerra di liberazione nazionale, lotta contro il potere popolare negatore di ogni cricca, di ogni marcio compromesso, di ogni lavorio subdolo atto ad assicurare il dominio a singole caste: in breve, lotta contro la democrazia conseguente.

Qualcuno vorrà chiedersi quale è la causa che ha permesso una così sollecita e decisiva vittoria contro i tedeschi ed i loro complici locali, con conseguente liberazione della città, una così sollecita normalizzazione della vita cittadina.

Dobbiamo rilevare che l’avanzata addirittura fulminea della IV Armata dell’esercito jugoslavo, avanzata caratterizzata dalla nuova strategia che ha dell’eccezionale, secondo le dichiarazioni di esperti militari, e l’insurrezione armata delle masse cittadine, sono le cause che hanno portato al rapido disfacimento dell’apparato bellico tedesco collegato a quello dei suoi complici locali.

L’insurrezione armata delle masse popolari cittadine è stata possibile, dal punto di vista militare, in grazia alla lotta che la IV Armata svolse nelle immediate vicinanze della città; dal punto di vista politico, in grazie alla raggiunta unione dell’elemento italiano e sloveno della città. L’insurrezione armata, a sua volta, ha fortificato, ha cementato questa unione, dandole il carattere di solidarietà, togliendo, se ve n’erano dei leggeri veli che, eventualmente, potevano offuscare i rapporti tra i due popoli. La lotta è stata il catalizzatore che ha affrettato questa fusione, dandole una veste ed un contenuto non comune, non occasionale. L’unione, già realizzata sul piano politico dall’elemento sloveno ed italiano, doveva passare sul banco di prova, doveva affrontare una prova tale che collaudasse tutto l’insieme e contemporaneamente tutte le singole parti componenti: doveva, affrontando tale prova, o consolidarsi o perire. Tale prova fu l’insurrezione armata ed essa fu brillantemente superata.

Cause ed effetti trasformantisi le une e gli altri, mostrano chiaramente che la sorte militare e politica della nostra città era ed è strettamente, inscindibilmente collegata al problema generale militare e politico della nuova Jugoslavia che ha per base essenziale la fratellanza dei popoli, la cui armata regolare è un esercito sorto dall’insurrezione popolare. Ricorrendo a immagini, potremmo dire che Trieste  è troppo vicina al focolaio su cui si forgiano i destini della nuova Jugoslavia, in nome della più profonda e conseguente democrazia, per non sentire nell’aria una soluzione qual è quella da noi prospettata, per non sentire nella nostra stessa carne quanto tutti i popoli jugoslavi hanno sentito, per non vedere qual’è la via maestra che conduce ad un futuro pregno di fecondi sviluppi nell’armoniosa collaborazione dei popoli.

La lotta non soltanto ha cementato l’unione degli italiani e degli sloveni della città, ma ha pure ravvicinato, affratellato Trieste al complesso jugoslavo nel suo insieme. I Croati e Dalmati, nonché i Montenegrini della IV Armata si sono presentati alla città quali liberatori, quali democratici, quali elementi che hanno lottato, sofferto, sparso il proprio sangue, e con ciò hanno mostrato l’intimo legame venuto a stabilirsi fra la nostra città ed il complesso jugoslavo. Non è soltanto il patriota triestino che ha lottato e lotta per la propria città, sono pure i figli dei vari popoli jugoslavi, che hanno inteso il dovere di liberare la nostra città, che hanno versato il proprio sangue pur di cacciare l’odiato occupatore. I tremila morti della IV Armata sulle alture circostanti hanno gettato un ponte indistruttibile fra Trieste e la restante Jugoslavia: le decine di morti e i più che 400 feriti sono l’anello di sposa offerto da Trieste alla democratica e federativa Jugoslavia di Tito.

L’insurrezione armata ha impedito la distruzione della città da parte delle orde naziste e dei loro servi, ha sventato le manovre dei reazionari locali camuffati da democratici, i quali non hanno esitato a scendere a trattative col nemico, pur di afferrare la direzione politica della città, pur d’insediarsi nei posti direttivi dell’amministrazione cittadina. Questa insurrezione ha permesso che venga distrutto l’apparato statale dell’occupatore e dei suoi complici locali, con la costruzione conseguente di un altro apparato nelle mani delle masse popolari.

L’insurrezione ha riconfermato in modo inequivocabile il principio partigiano: “Tanta libertà avrai quanto per essa sacrificherai”. La liberazione della città  però ci ha apportato nuovi compiti, più importanti ancora che non quello, sotto certi aspetti negativo, dell’insurrezione armata: bisogna ricostruire, bisogna ricostruire presto, bisogna attivare tutte le nostre forze per dimostrare al mondo che i triestini sono capaci di governarsi altrettanto bene quanto gli altri. Quanto prima riattiveremo le nostre industrie, i nostri trasporti, il nostro porto, il nostro commercio, insomma tutta la nostra vita economica, tanto più presto rafforzeremo il blocco delle forze antifasciste cittadine, tanto più consolideremo la fratellanza fra l’elemento italiano e sloveno della nostra città.

Non deve formarsi una generica occasionale collaborazione che presupponga intendimenti, programmi ed ideologie diversi, bensì un’unica massa che lavora ed agisce con unici intendimenti, con unici programmi ed ideologie. Non esiste in città una parte di popolazione che debba collaborare con un’altra parte che comandi, bensì tutta la popolazione avente come unico fine il benessere della città ed il suo prosperoso avvenire, si mette all’opera e lavora per il conseguimento di tale fine.

Vani però sarebbero i nostri sforzi per la ricostruzione, se non si conducesse a fondo l’opera di epurazione di tutti gli elementi fascisti e profascisti, i quali cercheranno di colpirci proprio nel campo della ricostruzione economica, giacché politicamente essi sono già sconfitti e non hanno la possibilità di affrontarci di fronte. Intensificare bisogna l’epurazione, accelerarle, renderla realtà e non pio desiderio. Colpire bisogna tutti quei fascisti che hanno ora indossato la casacca democratica trasformandosi da fascisti in paladini della democrazia, pur continuando a covare i loro tenebrosi sogni di asservimento della società. Tale opera  di epurazione potrà essere intensificata solo nel caso in cui l’unione degli elementi italiano e sloveno si rafforzi, soltanto nel caso in cui vi sia rispetto nazionale reciproco.

Riconosciamo senz’altro, che qua e la si sono verificati degli spiacevoli incidenti, casi d’incomprensione. Certi elementi, con le loro azioni inconsulte, hanno fatto intravedere tendenze sciovinistiche presso certi elementi sloveni, che sarebbe però errato voler generalizzare.

Bisogna assolutamente chiarificare l’atmosfera, bisogna in modo ragionevole togliere gli ostacoli che consapevolmente o inconsapevolmente sono frapposti fra l’elemento italiano e sloveno, bisogna mostrare al mondo che la lotta in comune ha realmente generato la fratellanza indistruttibile dell’elemento italiano e sloveno. Non sterili risentimenti, non vane rampogne, bensì opere di chiarificazione. Accanto a ciò sta l’imprescindibile necessità di mobilitare quanto prima tutte le forze atte al rafforzamento, sulla base del volontariato, del nostro esercito popolare, il quale condurrà a termine l’opera di epurazione di tutti gli agenti hitleriani e dei vari Quisling. Deve essere parola d’ordine nostra, sentimento di responsabilità di ogni giovane valido, orgoglio di ogni padre, ambizione di ogni madre, il sapere che il proprio fratello, che il proprio figlio, che il proprio padre è un soldato dell’esercito di Tito.

Soltanto una disciplina cosciente, un sentimento di responsabilità collettiva e contemporaneamente individuale, permetterà l’assolvimento di tutti i compiti. Uno spirito di disciplina nel quadro della fratellanza italo – slovena è la base essenziale per ogni futuro sviluppo, per ogni futura miglioria, per ogni prosperoso avvenire della nostra città. Non esiste avvenire per la nostra città all’infuori della fusione delle volontà degli italiani e degli sloveni della città stessa. In vista di ciò dobbiamo lavorare avendo a base delle nostre aspirazioni tale principio e considerando l’impossibilità di altra soluzione all’infuori di quella prospettata.

Poi l’orchestra suona l’inno sloveno, sottolineato da clamorose acclamazioni alla fratellanza italo – slovena, alla autonomia di Trieste in seno alla democratica Jugoslavia, al maresciallo Tito e al maresciallo Stalin.

Parla quindi il compagno Bevk, che porta il saluto del Comitato regionale di liberazione nazionale.

Il discorso del compagno France Bevk.

Egli rileva che la riunione della Assemblea cittadina avrà un’importanza storica per Trieste, come è stato d’importanza storica il momento in cui le truppe del maresciallo Tito hanno liberato la città dall’occupatore tedesco e dai fascisti.

A ognuno che pensi onestamente, è perfettamente chiaro che noi non siamo entrati nella città come occupatori, ma come liberatori e non abbiamo portatola vendetta o l’odio, ma la convivenza pacifica.

Malgrado i dolorosi ricordi degli ultimi 25anni, abbiamo soffocato ogni traccia di sciovinismo nazionale. Vogliamo la collaborazione più stretta colla popolazione democratica italiana, nel reciproco interesse e per la felicità, lo sviluppo e il progresso di Trieste e del suo retroterra naturale. Per più di quattro anni abbiamo sanguinato e combattuto contro l’occupatore tedesco e l’oppressore fascista, non solo per la nostra libertà nazionale e i nostri diritti democratici, ma anche per le libertà nazionali e per i diritti democratici degli altri popoli.

A questi principi di libertà, noi democratici popolari, rimarremo fedeli fino alla fine. Questo viene chiaramente dimostrato dal fatto che il nostro potere militare dopo alcuni giorni ha già consegnato l’amministrazione della città al Consiglio di Liberazione di Trieste, cioè nelle mani del suo popolo.

Speriamo e desideriamo che la situazione politica permetterà che questa amministrazione si trovi presto nelle mani delle masse popolari oneste e democratiche di Trieste. Così Trieste potrà essere finalmente autonoma nella Jugoslavia di Tito, dove si promette alla città col suo largo retroterra uno sviluppo continuo ed un benessere crescente. Quell’autonomia che il fascismo ha tolto a Trieste e che ora le sarà restituita, sta in perfetto accordo coi principi su cui si fonda la nuova Jugoslavia del compagno Tito.

Spettabile assemblea, oggi gli occhi del mondo sono fissi su di noi. Tutte le masse amanti di libertà e veramente democratiche guardano a noi e desiderano il nostro accordo, la costruzione pacifica del nostro avvenire più felice.

Ma anche la reazione mondiale guarda a noi. Quella reazione che ha appoggiato e appoggia ancora l’imperialismo fascista: quella reazione che è stata l’avversaria della democrazia e dei diritti dei popoli e che per i propri calcoli impedì la creazione e il mantenimento della pace delle nazioni in questa parte d’Europa.

Alla campagna contro la nostra libertà, contro la democrazia popolare, il vicepresidente compagno Edoardo Kardelj ha dato la risposta che vi è già nota dai giornali e perciò io non la ripeterò. Non ho neppure nulla da aggiungere alle sue parole chiare e inconfutabili. Sottolineo soltanto che malgrado tutti i diritti all’autodecisione, non intendiamo porre nessuno davanti al fatto compiuto e siamo coscienti che le questioni internazionali non si possono risolvere da una parte soltanto, ma davanti al foro internazionale.

Ma ammaestrati dalle amare esperienze del passato, dobbiamo tuttavia avere oggi garanzie abbastanza solide perché le vecchie ingiustizie non si rinnovino più.

Potrebbe però avvenire che s’incominci nuovamente là dove abbiamo cominciato nel ’18 per finire logicamente là dove abbiamo finito nel ’39, cioè in una nuova guerra. Questo però dobbiamo impedirlo ad ogni costo, nell’interesse della futura pace e per la felicità di tutta l’umanità.

Compagni e compagne! I fascisti sono stati vinti soltanto esteriormente, ma il fascismo non è ancora morto. (Voci: Morirà!).

Allo scardinamento del fascismo, del più grande nemico delle libertà umane e del progresso, dobbiamo consacrare tutte le nostre forze. Lo colpiremo con la nostra democrazia popolare, che è frutto della nostra lotta di liberazione, quella democrazia popolare che dà alle masse di tutti i ceti e di tutte le nazionalità la più larga possibilità di partecipare alle decisioni in tutte le questioni politiche, economiche e culturali: quella democrazia che ci ha dato il nostro potere popolare, i nostri comitati di liberazione nazionale ed i comitati regionali di liberazione nazionale, che oggi rappresentano i più alti poteri nel paese; quella democrazia popolare che ha dato alla città di Trieste la sua autonomia. Essa ha legato nella lotta per la libertà le masse del Litorale, per le quali incomincia una nuova vita, insieme alla certezza  che la vecchia non ritornerà mai più.

Viva Trieste autonoma nella federazione democratica jugoslava!.

I discorsi del comandante e vicecomandante della città.

Annunciato dal compagno Radich parla il maggiore generale Dušan Kveder, comandante della città.

Triestini e Triestine! In nome dello Stato Maggiore della IV Armata e in nome del Comando della città di Trieste, saluto questa prima assemblea della città di Trieste. Alle nostre truppe che secondo un piano magnifico e sotto la direzione del maresciallo Tito hanno liberato l’Istria, il Litorale sloveno, Trieste, Monfalcone e Gorizia, questa vostra manifestazione dà grande soddisfazione. E dà soddisfazione perché questa regione noi l’abbiamo liberata colle nostre forze, dopo duri combattimenti e con numerose vittime. Dà soddisfazione  perché attraverso a questa vostra manifestazione viene messo ancora una volta in luce il fatto che la popolazione di Trieste ci ritiene come benvenuti nella città. Dà soddisfazione perché attraverso questa manifestazione viene confermato che la popolazione di Trieste ritiene il nostro esercito come un esercito liberatore e perché noi sentiamo che attraverso l’onore tributato al nostro esercito voi prendete in considerazione la nuova Jugoslavia democratica.

Dà soddisfazione perché comprendiamo che attraverso questa  manifestazione voi condannate tutto il passato di schiavitù nell’ultimo secolo. Condannate il passato di Trieste nella monarchia austro-ungarica, un regime di oppressione e di odio; condannate la schiavitù fascista che ha portato la città verso la sua rovina economica e che ha distrutto qualsiasi resto di democrazia in Trieste.

Dà soddisfazione perché, nella vostra manifestazione, vediamo la vostra volontà per la pacifica convivenza della popolazione italiana e slovena. Desiderio del nostro esercito è di vedere Trieste come desiderate di vederla voi: Trieste felice, democratica, antifascista nel quadro della forte, democratica, federale e progressista Jugoslavia. Il nostro esercito è lieto di salutare in voi i rappresentanti della maggioranza, della grande maggioranza, del popolo triestino.

Viva Trieste autonoma nella federazione democratica jugoslava.

Il magg. Giorgio Jaksetich, vicecomandante della città, porge il saluto dei garibaldini combattenti nell’esercito del maresciallo Tito.

Diverse – egli dice – furono le difficoltà e i disagi della lotta, superiori a quanto si possa credere; mai però abbiamo mancato al nostro dovere, quello della lotta armata per cacciare il nemico e farla finita col fascismo. Gli anni della dominazione fascista, che hanno provocato la rovina economica della città, ci hanno spinto a lottare fino in fondo per poter por fine a questa situazione.

Dall’altra parte la visione dell’avvenire di Trieste era uno stimolo tanto grande che nessun sacrificio poteva allontanarci dal conseguire l’attuale risultato. Sui monti del retroterra abbiamo fuso le forze italo – slovene per combattere il comune nemico: il nazifascismo. Per i veri democratici, per i veri figli del popolo amanti della pace, questa unione tra italiani e sloveni non è nuova: essi si sono già trovati nelle prigioni del fascismo, nelle isole del confino e, insieme, nella lotta più grande, quella contro la peste del fascismo. Ora ci aspetta di lottare ancora insieme per ricostruire e fare sì che Trieste possa godere della pace, del lavoro, del benessere, della felicità.

Nelle fabbriche, negli uffici, tra le donne e la gioventù si deve formare il più stretto fronte unico delle forze sane e costruttive, perché dobbiamo dare alla nostra città quanto si merita ed avviarla sulle vie del progresso. Noi non ci lasciamo distrarre e distogliere dal nostro compito, dalle chiacchiere, dalle calunnie e dalle offese. Noi abbiamo la certezza del perché combattiamo. Tito sta in testa alla lotta.

La seconda parte

Si chiude la prima parte della Assemblea, e dopo un breve intervallo, durante il quale vengono suonati gli inni americano, russo e inglese, s’inizia la discussione sulla relazione politica tenuta dal compagno Ursich. Intervengono vivamente parecchi compagni.

La discussione certe sull’esigenza immediata della costituzione di un tribunale del popolo per compiere efficacemente l’opera di epurazione nella nostra città. Molti altri problemi sono affrontati e si rileva come la compattezza e l’unità del popolo potranno aver ragione di ogni altra difficoltà. Il compagno Regent traccia la linea da seguire per la ricostruzione e l’avviamento deciso verso la piena attuazione della democrazia popolare e ribadisce ancora la necessità dell’unione stretta tra italiani e sloveni per il successo della lotta. Dà lettura quindi del testo dei telegrammi da inviare all’eroe nazionale maresciallo Tito, al maresciallo Stalin, al presidente degli Stati Uniti d’America Truman, al premier del governo della Gran Bretagna Churchill, al vicepresidente del governo della Jugoslavia e ministro per la costituente Kardelj, al presidente dei ministri della Slovenia, Kidrič al vicepresidente del consiglio dei ministri italiano Palmiro Togliatti, al presidente del comitato popolare provinciale di liberazione Bevk. I presenti approvano con vivissimi applausi.

Poi avviene l’elezione, fatta dai delegati presenti, dei compagni che dovranno costituire la Consulta generale della città di Trieste. Il popolo rappresentato dimostra la sua maturità politica, l’interesse e l’entusiasmo che lo anima. Viene approvata infine la proposta che il Consiglio di liberazione possa aggregarsi altri membri.

La storica riunione popolare è chiusa a sera tarda.

Il discorso del maggiore comandante la Milizia popolare di Trieste Rudi Greif in occasione dell’Assemblea generale della città, tenutasi ieri l’altro al Politeama Rossetti.

Io saluto in nome della Milizia popolare di Trieste la vostra prima assemblea. Io la saluto in nome di coloro che a Trieste per primi impugnarono le armi, di coloro che assieme al nostro esercito regolare liberarono Trieste. Soprattutto mi sento in dovere di rispondere alle calunnie che vanno diffondendo certi elementi fascisti dell’ex CLN che se ne fuggirono a Roma. Essi affermano che noi, cioè l’armata jugoslava, abbiamo soffocato la rivolta organizzata, si crede, da loro. Compagni! Ciò è vero: noi abbiamo impedito che coloro che fino a ieri servirono fedelmente l’occupatore tedesco, come la Guardia civica, la X Mas, ecc., che coloro che fino a ieri perseguitavano e uccidevano i combattenti antifascisti triestini, venissero considerati eguali a noi. tutto ciò abbiamo raggiunto con l’avere già sotto l’occupazione tedesca organizzato e costituito a Trieste, dalle file delle masse democratiche slovene ed italiane, delle unità armate. In queste nostre formazioni accorsero tutti coloro che volevano una Trieste libera, cioè migliaia di operai delle fabbriche triestine, i cittadini , tutta Trieste ad eccezione di coloro che si trovavano al servizio dell’occupatore. Noi li abbiamo chiamati, dicendo loro di abbandonare il servizio di Hitler e di aggregarsi a noi, ma essi rimasero sordi.

Venne l’ora della rivolta: le truppe di Tito si avvicinavano a Trieste, Trieste impugnava le armi per liberarsi assieme alle truppe di Tito. Prima che le nostre unità giungessero dal di fuori, noi abbiamo disarmato parte dei servi di Hitler e attaccato reparti dell’esercito tedesco della città; dopo l’arrivo delle nostre unità operanti, che hanno espugnato in una lotta accanita i numerosi centri di resistenza degli arrabbiati nazifascisti, il nostro esercito triestino si trasformò in Difesa Popolare Triestina, che oggi ha la cura dell’ordine e della tranquillità di Trieste. Molti che fino a ieri furono sordi ai nostri richiami, molti che fino a ieri servivano fedelmente Hitler nelle varie Brigate Nere, nella Guardia civica ecc., cercano oggi di attaccare sul berretto la stella rossa, ma per costoro non c’è posto in mezzo a noi: il posto di costoro è nei campi di concentramento. Noi sappiamo che in mezzo a loro si trovano uomini che furono ingannati, che senza dubbio potranno collaborare con noi, ma prima devono dimostrare che non sono responsabili dei delitti che le formazioni dell’occupatore, e con loro la Guardia civica, perpetrarono ai danni delle masse democratiche in generale e delle masse democratiche di Trieste in particolare. Coloro che fuggirono da Trieste, con ciò solo dimostrarono di non avere le mani pulite nei loro rapporti con queste formazioni armate dall’occupatore.

Proprio coloro che cercano oggi a Roma di parlare in nome del C.L.N. triestino volevano, nei momenti decisivi, giocare a Trieste a mosca cieca. Trattarono con la Guardia civica, cioè con una formazione armata dell’occupatore, ed ostacolarono con ciò i nostri sforzi per conseguire lo sfasciamento della medesima al fine di attrarre i suoi componenti nelle forze armate del movimento antifascista della città.

Che chiacchierino e minaccino pure i vari fascisti da Roma o da qualsiasi altro luogo: le masse democratiche triestine hanno oggi nelle loro mani le armi, hanno la loro Difesa Popolare, la difesa che si trova al loro servizio, e non più al servizio dei neri criminali fascisti. Chi cerca, chiunque esso sia, di asservire di nuovo Trieste, troverà una resistenza incrollabile nelle masse democratiche italiane e slovene, le quali, come aiutarono a liberarla col proprio sangue, così sapranno anche con le proprie armi, e con la propria Difesa Popolare, difendere tutto ciò che hanno conquistato in questa lotta.

 

(dal Nostro Avvenire, 18 e 19 maggio 1945)





(srpskohrvatski / english / italiano)

Verso il 16.mo Anniversario della aggressione della NATO contro la R.F. di Jugoslavia

1) Nostro commento
2) ДА СЕ НЕ ЗАБОРАВИ. Le iniziative a Belgrado per l'Anniversario
3) Из предговора за књигу „Србија и НАТО“


This coming March 23rd Belgrade Forum will open an photographic and books exhibition devoted to 15 years since its foundation and a will hold Round table titled NO TO NATO. On March 24th the Forum’s members, students and Friends will lay flowers to the monument of the fallen children (Belgrade, park Tasmajdan) and to the Monument of Victims of NATO aggression (Park Usce, Belgrade) commemoration 16th Anniversary of the NATO aggression...

Altre iniziative segnalate:

Меморијални дани генерала Љубише Стојимировића (Iniziative in memoria del generale Stojimirovic a Negotin)
http://www.subnor.org.rs/negotin-221


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Un nostro commento

Verso il 16.mo Anniversario della aggressione della NATO 

La campagna di bombardamenti indiscriminati della NATO contro la Rep. Federale di Jugoslavia, iniziata il 24 marzo 1999, fu mirata a squartare il paese nelle parti residue:
– a giugno dello stesso anno la violenza armata della NATO ottenne il risultato di occupare militarmente la regione del Kosovo, dove appoggiandosi alle formazioni terroristiche dell'irredentismo pan-albanese (UCK, a sua volta conformato alle tradizionali strutture sociali dei clan) poté ottenere il controllo totale del territorio;
– il 3 ottobre 2000, a coronamento di una furiosa campagna diffamatoria interna e internazionale contro il governo delle sinistre e contro la persona del presidente Slobodan Milosevic e mentre bande di teppisti mettevano a ferro e fuoco sedi istituzionali, di partito e sindacali, prendeva il potere in Serbia la classe dirigente filo-occidentale;
– principale esito simbolico del golpe: il 4 febbraio 2003 il Parlamento Federale Jugoslavo "suicidava" il paese cancellando il nome della Jugoslavia dalla carte geografiche;
– il 21 maggio 2006 un referendum-farsa, con irregolarità eclatanti ma dagli esiti "garantiti" da Unione Europea e NATO, "vinto" per pochi decimi di punto percentuale, porta alla secessione del Montenegro;
– il 17 febbraio 2008 l'Italia in testa alla coalizione dei paesi anti-jugoslavi si affretta a riconoscere la autoproclamata "indipendenza" del Kosovo infrangendo la Risoluzione ONU n.1244/1999 con la quale si era chiusa la campagna di bombardamenti del 1999.
I bombardamenti non furono altro dunque che il punto apicale del progetto revanscista sanguinario messo in atto ai danni del paese balcanico e dei suoi cittadini a partire dal 1990. 

(a cura di Italo Slavo)


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Il Forum di Belgrado per un mondo di eguali ci informa che, assieme al Circolo degli Ufficiali di Serbia e al SUBNOR (Associazione Partigiani) di Serbia, tra pochi giorni promuoverà a Belgrado le seguenti iniziative:

Lunedì 23 marzo 
dalle ore 10, presso il Sava Center, si aprirà una mostra fotografica e libraria dedicata ai 15 anni dalla fondazione del Forum di Belgrado;

Lo stesso giorno e nello stesso edificio, 
dalle ore 11 si terrà la tavola rotonda: "PER NON DIMENTICARE. NO ALLA NATO", cui parteciperanno eminenti personalità dalla Serbia e dall'estero. Sarà presentato in tale occasione il libro "La Serbia e la NATO" e "L'esercito jugoslavo nella difesa della aggressione della NATO nel 1999".

Martedì 24 marzo 
alle ore 11, saranno deposti fiori presso il Monumento ai bambini vittime della aggressione (al parco Tasmajdan);
alle ore 12, presso la Fiamma perenne nel Parco dell'amicizia (Usce, Novi Belgrad), sarà reso omaggio alle vittime dell'aggressione della NATO.

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ДА СЕ НЕ ЗАБОРАВИ

ДАНИ  КАД  СУ  НАС  УНИШТАВАЛИ

Навршава се, ето, шеснаест година од почетка оног страшног нечовечног времена мартовског 1999. кад су нас натовци бездушно бомбардовали.

Читавих 78 дана трајао је ваздушни терор најбогатијих западних држава. Противно свим међународним прописима, без објаве рата и мимо икакве дозволе Савета безбедности Уједињених нација.

Штаб НАТО у Бриселу, у коме је седео генерални секретар, социјалиста из Шпаније Солана, заједно са командантом Кларком из Америке, наредио је ракетну паљбу по незаштићеној малој српској земљи. Тај народ био је крив, по резону самовољних зликоваца, што није дао свој вековни простор и од памтивека се борио за истину и слободу.

Кларинетисти из Вашингтона, тада власнику Беле куће Вилијаму Клинтону, није се подчинила власт у Београду, па је без по муке председник дичних САД приволео своје колеге по положају и моралу у Лондону, Берлину, Паризу и осталим центрима држава учлањених у натовску солдатеску да унисоно и без трунке жаљења распале из скривених бомбардера и са безбедних морских крстарица по српским градовима и селима и недужном живљу.

Хиљаде људи је нестало у вихору ракета, страдале су болнице и школе, мостови, фабричке хале, обданишта, војничке касарне, далеководи, телевизијске куће, у згаришта су претворена индустријска постројења. Циљ је био јасан: за сва времена, одлучила је таква гласовита западна цивилизација, уништити слободарски народ на брдовитом Балкану. Због тога су крволочни нападачи сасули на српско тло и на десетину хиљада тона погубног осиромашеног уранијума да дотуку деценијама и оно што није успело у свакодневном ракетирању.

Патње и страдања се у Србији не могу, чак и кад има оних што би то хтели, никад заборавити.

Свесни и поносни родољуби ће и ове године на достојанствен начин одати пошту страдалницима. И подсетити се срамотне агресије НАТО. Упозорити још једном на последице које, шеснаест година позније, трпи напаћена Србија. И колико се и сада, на начин кад су нас уништавали, звецка оружјем и одјекују ратни покличи и ратује под различитим изговорима у разним деловима планете.

Београдски форум за свет равноправних и Клуб генерала и адмирала Србије, две респектабилне организације и у исто време колективни чланови СУБНОР-а Србије, посебно ће подсетити, нашу и страну јавност, на натовску агресију.

У понедељак, 23.марта са почетком у 10 часова, у Центру Сава, биће отворена пригодна изложба о делатности Београдског форума.

Истог дана и у истом здању, у Центру Сава, од 11 часова, одржаће се Округли сто ”Да се не заборави – не у НАТО”. Учесници су еминенте личности из наше земље и иностранства. Биће промовисане и књиге ”Србија и НАТО” и ”Војска Југославије у одбрани од НАТО агресије 1999”.

У уторак, 24.марта, у Београду, на Споменик деци – жртвама агресије, биће у 11 часова положени венци.

У 12 часова, 24.марта, код Споменика Вечна ватра, у Парку пријатељства, на Ушћу у Новом Београду, биће одата пошта страдалницима у нападу НАТО алијансе.

СУБНОР Србије ће активно учествовати. Све организације многољудне борачке антифашистичке организације широм Србије даће, такође, на својој територији допринос да се мучка агресија 1999. године никад не заборави.



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Inizio messaggio inoltrato:

Da: "Zivadin Jovanovic" 
Oggetto: FW: 
Data: 12 marzo 2015 10:06:15 CET

 
ЧЛАНОВИМА И ПРИЈАТЕЉИМА
БЕОГРАДСКОГ ФОРУМА ЗА СВЕТ РАВНОПРАВНИХ
       Бр. 20/15  
Поштовани,                                                                          
 
Поводом 16 година од почетка агресије НАТО пакта на Србију (СР Југосавију), Београдски форум за свет равноправних, СУБНОР Србије и Клуб генерала и адмирала Србије и ове године ћепригодним активностима,под слоганом „ДА СЕ НЕ ЗАБОРАВИ“, обележити ову годишњицу у знак сећања на све жртве тог злочина, на патње и страдања, на разарања изазвана 78-осмодневног бомбардовања од стране НАТО-a
Београдски форум за свет равноправних истовремено обележава и 15 година од свог оснивања и рада. 
 
Програм активности обухвата:
 
Понедељак, 23.март 2015.
 
10:00 - ИЗЛОЖБА „15 година Београдског форума“, хол,
Центар „Сава“, свечани улаз из улице Милентија Поповића бр. 9;
 
11:00 - Округли сто„ДА СЕ НЕ ЗАБОРАВИ - НЕ У НАТО“. Говориће представници
Београдског форума,Клуба генерала и адмирала и гости из иностранства.
 
Кратко представљање књиге „Србија и НАТО“, друго допуњено издање,Београдски 
форум за свет равноправних, Београд, 2015., и књиге „Војска Југославије у одбрани 
од НАТО агресије 1999.Сведочанства, књига IV“, Клуб генерала и адмирала Србије, 
Београд, 2014.
 
Центар „Сава“, сала 2/0, свечани улаз из улице Милентија Поповића бр. 9.
 
Уторак, 24. март 2015.
 
11:00 -  Полагање цвећакод Споменика деци – жртвама агресије, Парк Ташмајдан;
12:00 – Полагање цвећакод Споменика жртвама агресије „Вечна ватра“, Парк
пријатељства,Ушће, Нови Београд.
 
Част нам је да Вас позовемо да учествујетеу наведеним активностима. Покажимо да памтимо, да поштујемо недужне жртвеи своје достојанство.
 
С најдубљим поштовањем,
 
Београд, 5. март 2015.                               
Живадин Јовановић
П Р Е Д С Е Д Н И К
БЕОГРАДСКИ ФОРУМ ЗА СВЕТ РАВНОПРАВНИХ



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http://www.beoforum.rs/sve-knjige-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/669-srbija-napusta-politiku-vojne-neutralnosti.html

СРБИЈА НАПУШТА ПОЛИТИКУ ВОЈНЕ НЕУТРАЛНОСТИ?

 

Проф. Др Радован Радиновић, генерал у пензији

Из предговора за књигу „Србија и НАТО“:


Актуелна друштвена збиља је, напросто, наметнула потребу да се Форум поново огласи на тему односа Србије и НАТО. Већ дуже време на делу је политика да се Србија методом корак по корак, иза леђа јавности, увуче у чланство НАТО-а. На једној страни, формално, и даље је на снази Декларација Народне скупштине Србије према којој Србија води политику војне неутралности, што свакако искључује везивање, поготову, придруживање или чланство у било какве војне савезе, па ни у НАТО. На другој страни, Влада се пузећим стилом, готово, потпуно предаје у челични загрљај НАТО. Закључују се тајни и јавни уговори, договори, планови и аранжмани којима се потпуно обесмишљава тзв. статус војне неутралности утврђен актом Народне скупштине. Наоружање и друга војна техника, инфраструктура, војна индустрија прихватају стандарде НАТО. Војницима НАТО пакта одобрава се слободан транзит и коришћење инфраструктуре Србије, без наплате или обештећења, припадницима НАТО гарантује се дипломатски статус и изузеће од административне, кривичне или грађанско-правне одговорности, кад год се, по било ком основу, нађу на територији Србије. Старешине и војници НАТО-а тако на територији Србије добијају права далеко већа него што их у Србији имају старешине или војници Војске Србије! Када и чиме НАТО заслужи такве привилегије? Колико је (бе)смислено тврдити да је Србија данас војно неутрална земља!? Или су све побројане концесије и привилегије дате НАТО-у „статусно неутралне“, попут „статусне неутралности“ бриселских споразума којима се Србија, са својим уставним и правним системом, потпуно повлачи из Покрајине?

Уз обилну финансијску подршку НАТО чланица, структура и центара, у Србији је развијен читав систем тзв. цивилног сектора који, врши систематску пропаганду у прилог чланства Србије у НАТО. Средствима српских пореских обвезника такође се, преко републичког буџета, финансира «статусно неутрална» про-НАТО пропаганда. То што је око 75% грађана Србије против чланства у НАТО као да никог из Владе не занима. Влада има одговорност да доноси и непопуларне одлуке – кажу. Или се милиони евра и долара улажу у пропаганду да би се анти-НАТО расположење грађана преокренуло у про-НАТО. Да ли је то реално у земљи која је колико јуче, била жртва злочиначке агресије НАТО?Коме је у интересу да се забораве људске жртве и разарања у Србији, да се најгрубље понижава и деморалише нација? Ко и зашто затвара очи над чињеницом да је НАТО агресивна, освајачка војна организација, да је његова експанзионистичка политиика «ширења на Исток», на границе Русије у основи украјинске кризе?

Све је видљивије да је војна неутралност, као званична државна политика, угрожена и да се припрема терен за њено и формално напуштање. Знани и незнани саветници, инструктори и агенти НАТО, резиденти или «летећи», јавно или тајно, саветују владаре Србије, да је НАТО једини прави избор. Један од тих саветодаваца је некадашња и данашња, НАТО перјаница, бивши премијер Велике Британије Тони Блер. Онај Блер који је велики део своје политичке и личне енергије утрошио у припреме, креирање лажних образложења и покретање НАТО агресије на Србију (СРЈ), у сатанизовање српског народа и заговарање копнене инвазије. Онај Блер кога су медији у његовој земљи окарактерисали као «Клинтонову пудлицу», а кога је градоначелник Лондона Борис Џонсон у септембру 2014. јавно окарактерисао као особу која је креирала и ширила неистине о Косову и Метохији и оружју за масовно уништавање у Ираку и болесника коме је «потребна професионална психијатријска помоћ». Блер чија су влада, агенције, представниции и инструктори годинама наоружавали, финансирали и обучавали терористичку ОВК на Косову и Метохији припремајући је за савезништво са НАТО-м. Блер кога је суд у Београду осудио на вишегодишњу робију због злочина против српског народа, кога огромна већина грађана Србије и данас, 16 година после агресије, сматра злочинцем. Може ли се такав човек дочекивати у Београду и испраћати као добронамерни сарадник а да то није најгрубље вређање нације, здраве памети, да то није ниподаштавање људских жртава и њихових потомака? Да ли је и позивање непријатеља и злочинаца у госте начин да Србија доказује да је отворена, проевропска, нексенофобична, модерна, прагматична, жељна знања и напретка, окренута будућности... Коме се и на који начин Србија данас доказује као независна и достојанствена држава?

Најзад, ко су саветници српске Владе за избор саветника?

Недавно, 13. фебруара 2015. у Београду је одржан «стручни» скуп на којем су НАТО приврженици – углавном, из интереса (по неки и из убеђења) – просипали мед и млеко о наводном благостању у којем би се Србија нашла уколико би прихватила чланство у НАТО. Пре 15-так година «пут у бољи живот» нуђен нам је преко преко збацивања «ауторитарног режима», «демократизације», «лустрације», прочишћења свести од заосталих идеја, као и силних донација западних добротвора. Задржавајући све такве «аргументе» и даље у употреби, у садашњој фази западни ментори, уз садејство дубоке економско-социјалне кризе, отворено нуде чланство у НАТО као кључ раја за Србију.

На поменутом скупу изнета је и нова «статистика» о жртвама «бомбардовања» 1999, која укупан бнрој «страдалих људи» своди на 758 («Политика», 14. фебруар 2015.), иако је током агресије животе изгубило преко 3.500 људи. Било би, заиста, интересантно сазнати критеријуме НАТО статистичара када у «страдале људе» нису уврстили 1.008 војника? Или, колико је убијених путника путничког воза у Грделичкој клисури увршћено у ново-објављену НАТО «статистику»? Подсетимо се: бомбардери НАТО су најпре бомбардовали, а потом још једном, «оверили» композицију путничког воза на мосту у Грделици, ваљда, да би били сигурни да нико не преживи! Но, није се једном чуло (од саветника, инструктора и агената са Запада) – за Србију је једино важна САД/НАТО перцепција! Службене статистике Војске Србије, полиције, правосудних и других органа Србије, морају се повући пред САД/НАТО перцепцијама!

Кандидатура за чланство у НАТО

Владин апаратје, у сарадњи са НАТО-м, припремио обиман документ под називом „Индивидуални план акционог партнерства Србије и НАТО“ (ИПАП) који доводи у питање војну неутралност државе. Њиме се, поред осталог, предвиђа обавеза Србије да потпише СОФА споразуме са свим чланицама НАТО савеза, какав је Борис Тадић потписао 2006. са тадашњом државном секретарком САД Кондолизом Рајс. И војницима свих других чланица НАТО биће загарантована екстериторијалност и диплопматски статус кад год се, било којим поводом, нађу на територији Србије. Србија ће и њима гарантовати изузеће од одговорности за било каква дела, укључујући кривична, за било каква кршења закона Србије или изазивање материјалне штете.

Индивидуалним акционим планом партнерства, предвиђа се потпуно усаглашавање стандарда оружја, друге војне технике и целокупне војне инфраструктуре у Србији са стандардима НАТО. Није објављено, нити се у тексту документа пише, колико ће све то коштати Србију и колико ће се Србија још задужити да би све те обавезе испунила. У недалекој, неутралној Аустрији, притисци да се учлани у НАТО, одбијени су са образложењем да не може да поднесе велике издатке које чланство у НАТО-у носи собом. Нећемо овом приликом поредити економско стање Србије са економским стањем Аустрије. Нећемо овом приликом улазити ни у политичку цену, иако је јасно да Србија убрзано предаје своју судбину и будућност нових генерација у руке једног освајачког, империјалистичког савеза.

У документу који ће у Брислу, како је објављено, 18. марта 2015. потписати министри иностраних послова Ивица Дачић и Министар одбране Братислав Гашић, има много других обавеза које тек треба анализирати, чак и са становишта њихове (не)уставности. Овде не треба изоставити став у коме се, гле чуда, наводи обавеза, или писано обећање, да ће Србија у одређеном року у потпуности завршити приватизацију. У документу који наша два министра потписују са заповедницима војне алијансе НАТО налази се и изјава о окончању приватизације! Какав интерес има НАТО за окончање приватизације у Србији – можда ће се неко запитати. Одговор је релативно јасан, лак и логичан – да се корпорације из земаља чланица НАТО пакта (државне, приватне, мултинационалне) домогну и онога што је преостало у Србији – Телекома, ЕПС-а, Дунав осигурања, ПКБ-а, пољопривредног земљишта, рудника, вода, природних богатстава, свега што јевредно а преостало из јавног, државног, или друштвеног сектора! Управо онако како су, само у периоду од 2001. – 2011. компаније из земаља чланица НАТО исисале из Србије 51 милијарду америчких долара!

«Право време» за кандидатуру

Када се потписује нови докуменат најављен као највиши степен сарадње Србије и НАТО?

У марту 2015. неколико дана пре годишњице почетка агресије НАТО 1999.,уочи помена жртвама агресије, уочи сећања на прогон Срба и других неалбанаца са Косова и Метохије, сећања на разарања процењена на преко 100 милијарди САД долара, коришћења оружја са осиромашеним уранијумом, разарања болница, школа, породилишта, фабрика, радио и ТВ станица и релеја, трафо станица и преносне електро-мреже, рафинерија. Сарадња са НАТО се подиже на највиши ниво када се заоштравају глобални односи у Европи и свету и то управо када постаје очигледније да је узрок заоштравања налази у експанзионистичкој, интервенционистичкој и освајачкој политици НАТО. Када постаје јасно да НАТО ни у којој кризи није део решења већ део заоштравања, дестабилизације и подела или, како се то све чешће, пише и говори, део «контролисаног хаоса». Када у свету јача отпор хегемонизму и империјализму, када постаје јасно да паралелно, логиком историјског развоја, одлазе са историјске позорнице и концепт либералног капитализма и концепт униполарног поретка светских односа. Свет не прихвата империјални тоталитаризам и хијерархијске односе већ се све одлучније и све успешније бори за свет слободе и равноправности. Када је Србији потребније него икада раније да своју будућност пројектује водећи рачуна о својим историјским искуствима, укључујући и она из агресије НАТО пре 16 година, када јој је неопходно да из клечећег положаја усправи нацију, она своју судбину без остатка везује за односе, концепте и реликте хладног рата и одлазећег униполарног света.

То се дешава у време заоштравања односа између Запада и Истока, између САД и Русије, односно, између НАТО и Русије. У време почетка новог хладног рата. Украјинска криза у чијој су основи америчка и НАТО стратегија ширења на Исток, обојене револуције и глобални интервенционизам , изгледа, делују као фактор убрзања за укључивање Србије у НАТО. Америка и НАТО чине све да би очували униполарне односе у Европи и свету, да би затворили обруч око Русије. Потписивањем документа о највишем облику сарадње са НАТО-м, Србија се понаша као да не разуме шта то у датим условима и трендовима значи и куда води, или да јој је све једно, или да подржава такву стратегију НАТО. Како нам недавно саопшти државни секретар САД, Србија се, у украјинској кризи, налази на линији ватре! Шта год он под тим подразумевао, не ради се ни о чему добром по нас. Толико тога је учињено пузајућом тактиком приближавања наше земље НАТО-у, да би јавно изјашњавање о томе у догледној будућности могло постати потпуно излишно.

У својој суштини, нови документ Србије и НАТО означава кандидовање Србије за чланство у НАТО-у, напуштање политике војне неутралности. Свеједно, његови творци се не обазиру на расположење већинске јавности у Србији, још мање су спремни да документ бар формално поднесу на ратификацију Народној скупштини.

Овом књигом желимо да упозоримо да Србији као мирољубивој европској земљи није место у НАТО агресивном, освајачком савезу одговорном за злочине против мира и човечности, велике људске жртве и разарања наше земље 1999. године. Форум се дистанцира од политике пузајућег учлањења Србије у НАТО сматрајући да је то супротно националним и државним интересима, супротно циљевима мира и безбедности у Европи. Таква политика не поштује вољу народа и његово достојанство. Таква политика игнорише историјска искуства Србије у 20. веку што може имати кобне последице. Оцене и закључци Форума усвојени још 2011. године задржали су пуну актуелност и вредност и данас:

1. НАТО је милитаристичка алијанса која служи искључиво америчким империјалним интересима; 2. НАТО се понаша агресивно и освајачки у целом свету, од Блиског, Средњег и Далеког Истока, преко Источне, Централне и Северне Африке до Сирије и Украјине; Глобални интервенционизам и стратегија експанзије на Исток (руске границе) представља опасност по мир и безбедност у Европи и свету; 4. НАТО изазива оружане сукобе, под лажним образложењима, са циљем успостављања тоталне контроле над економским и природним ресурсима, стратешки важним територијама и тржиштима да би очувао привилегије развијених над мање развијеним земљама; 5. НАТО је реликт хладног рата и није у стању да реши ни један међународни сукоб или проблем; 6. Чланством у НАТО Србија не би могла да унапреди своју безбедност; 7. НАТО је одувек био главни непријатељ Русије а данас је његов стратешки циљ одвајање Русије од Европе, њена изолација, економско изнуривање, дестабилизација и разбијање њене државне територије. Сврставање Србије уз Алијансу са таквом стратегијом је супротно нашим државним и националним интересима. Русија је традиционални пријатељ и савезник Србије у оба светска рата, никада није ратовала против Србије увек је, када је могла, била на страни Србије, она је стална чланица Савета безбедности и данас упорно подржава Србију у очувању суверенитета и територијалног интегритета.

На основу свега изложеног, Форум сматра да је у најбољем националном и државном интересу да Србија прихвати и учвршћује политику активне неутралности у односу на све војне алијансе. Тим пре се то односи на НАТО због његове милитаристичко – империјалистичке стратегије.




(deutsch / english / italiano)

Grecia-Germania 1942-2015

1) Kein Abs für Athen (Otto Köhler)
2) La Grecia insiste con il risarcimento dei danni di guerra dalla Germania (Fabrizio Salvatori)
3) Greece will not take part in anti-Russia sanctions (Mar 14, 2015)


Liese auch / Leggi anche:

Ecco come l’Europa cancellò il debito della Germania
Gli accordi sul debito di Londra (1953) dimostrano che i governi europei sanno come risolvere una crisi da debito coniugando giustizia e ripresa economica...
Griechenland kann Deutschland nicht verklagen (Von Sven Felix Kellerhoff, 11.03.15)

Athen verabreicht den Fusel antideutscher Rhetorik (Von Jacques Schuster, 11.03.15)

Berlin sollte griechische Nazi-Opfer entschädigen (12.03.15)
Tsipras & Co. schwingen die Kriegsschuldkeule – mit einiger Berechtigung. Aber die griechische Regierung könnte selbst mit Forderungen konfrontiert werden. Gastkommmentar von Michael Wolffsohn

Ein trauriger Tag (Keine Entschädigung für NS-Verbrechen in Thessaloniki – GFP 13.03.2015)
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59076

Tra Grecia e Germania anche i conti col nazismo (di G. Punzo, 14 marzo 2015)
La partita sui danni di guerra tedeschi inflitti dalla Germania alla Grecia del secondo conflitto mondiale sta diventando una cosa seria...

Gysi errechnet 11-Milliarden-Anspruch für Athen (15/3/2015)
Weil Deutschland ein Darlehen aus der NS-Zeit nie zurückgezahlt habe, stünden Griechenland acht bis elf Milliarden Euro zu...
Gysi: Griechische Forderung berechtigt (16.03.2015)
Griechenland hat nach Ansicht von Linksfraktionschef Gregor Gysi Anspruch auf bis zu elf Milliarden Euro aus der Zeit der Besatzung durch das faschistische Deutschland...


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junge Welt (Berlin), 17.02.2015

Kein Abs für Athen


Der Deutsche-Bank-Manager verhalf mit dem Londoner Schuldenabkommen von 1953 den Bundesdeutschen zu Wohlstand und Wirtschaftswunder – für Griechen ist so was nicht zu vertreten

Von Otto Köhler

Jahrelang hat die außerplanmäßige Professorin Ursula Rombeck-Jaschinski das alles wissenschaftlich erforscht und wußte es darum am vorletzten Mittwoch auf Spiegel-online ungeheuer genau: »Deutschland hat alles getan, um zu zeigen, dass es ein zuverlässiger Schuldner ist. Griechenlands frecher Ton ist völlig anders.«

Die Fachfrau ist Gattin des Fachmanns Siegfried Jaschinski. Der schrieb 1981 seine Dissertation über »Alexander und Griechenland unter dem Eindruck der Flucht des Harpalos« – der Schatzmeister des großen Makedonen floh mit viel Geld und entkam durch Bestechung der Bestrafung. Jaschinski seinerseits wurde 1986 bei der Deutschen Bank (Ehrenvorsitzender damals: Hermann Josef Abs, 1901–1994) engagiert und hörte 2009 als Präsident des Bundesverbandes Öffentlicher Banken Deutschlands und als Vorstandsvorsitzender der bekannten Landesbank Baden-Württemberg (LBBW) auf. Dort hatte der »Ackermann der Landesbanken« (Stuttgarter Zeitung) die notleidende Sachsen-LB aufgenommen und auch sonst alljährlich ordentliche Milliardenverluste erzielt und musste deshalb eine Haussuchung bei der LBB und im Heim der Jaschinskis über sich ergehen lassen. Ein Ermittlungsverfahren wegen des Verdachts der schweren Untreue durch kreative Bilanzführung wurde, nachdem das Landgericht Stuttgart einen geeigneten Gutachter gefunden hatte, gegen Zahlung von 50.000 Euro im April 2014 eingestellt.

Zu dieser Zeit hatte sich Ehefrau Ursula längst schon mit ihrer staatsbürgerlich wertvollen Arbeit an der Heinrich-Heine Universität in Düsseldorf habilitiert, Titel: »Das Londoner Schuldenabkommen. Die Regelung der deutschen Auslandsschulden nach dem Zweiten Weltkrieg«, erschienen 2005.

Ihr Fazit: »Die Erfolgsgeschichte des Londoner Schuldenabkommens war sozusagen der finanzökonomische Teil des deutschen Wirtschaftswunders, der sich in stiller Effizienz weitgehend unbemerkt vollzog.« Held dieser Erfolgsgeschichte: Hermann Josef Abs. »Dass die Abwicklung der immensen deutschen Auslandsverschuldungen aus der Vor- und Nachkriegszeit derart problemlos vonstatten gehen würde, war während der langen und schweren Schuldenverhandlungen nur von notorischen Optimisten erwartet worden. Hermann J. Abs hatte stets zu denen gehört, die ihren Zukunftserwartungen ein positives Szenarium zugrundelegten.«

Aufsichtsrat für IG Auschwitz

Tatsächlich war Hermann Josef Abs der ideale deutsche Verhandlungsführer zur Regelung ungeklärter Vermögensfragen. Schon seit 1938 war er als Vorstandsmitglied der Deutschen Bank zuständig für die »Arisierung« jüdischer Vermögen. Eine offizielle Biographiensammlung über die Männer der IG Farbenindustrie (Jens Ulrich Heine: »Verstand und Schicksal«) nennt das 1990 so: »Hilfeleistung durch Rettung von Vermögensteilen bei der ›Arisierung‹ der deutschen Wirtschaft durch die NSDAP für die Inhaber des von der Deutschen Bank übernommenen Berliner Bankhauses Mendelssohn & Co. sowie für andere jüdische Bankiers und Unternehmer.«

Abs hatte die deutsche Wirtschaft so erfolgreich vor der »Arisierung« durch die NSDAP geschützt, dass ihm sein Banker-Kollege Baron Kurt von Schröder – der, in dessen Villa Hitler am 4. Januar 1933 in die Regierung vermittelt wurde – 1945 bestätigte: »Abs erwies sich für die Partei und die Regierung als sehr wertvoll, indem er seine Bank benutzte, um die Regierung bei Geschäften in okkupierten Ländern und im sonstigen Ausland zu unterstützen.«

Seit 1940 war er im Aufsichtsrat der IG Farben, also auch über die IG Auschwitz, die am 7. April 1941 gegründet wurde, als ein »fester Eckpfeiler für ein gesundes Deutschtum im Osten«. In dieser Position war er Angehöriger der Interessengemeinschaft Auschwitz, wo im Rahmen des Programms »Vernichtung durch Arbeit« die SS der IG für ihr Werk in Auschwitz KZ-Häftlinge zur Verfügung stellte, bis die so entkräftet waren, dass sie zwecks Entlastung, wie es im Jargon von Wirtschaftsleuten heißt, der SS in ihre Gasöfen rücküberstellt werden konnten. Auch Abs trug für Zwangsarbeit direkte Verantwortung. Im Aufsichtsrat der IG stimmte er am 30. Mai 1942 zu, dass der Arbeitskräftemangel durch verlängerte Arbeitszeit und durch den Einsatz von Frauen, Fremdarbeitern und Kriegsgefangenen ausgeglichen werden solle.

Die mit den Ermittlungen gegen die Deutsche Bank beauftragte Sektion der US-Militärregierung in der amerikanischen Besatzungszone Deutschlands hatte 1947 empfohlen, dass »1. die Deutsche Bank liquidiert wird, 2. die verantwortlichen Mitarbeiter der Deutschen Bank angeklagt und als Kriegsverbrecher vor Gericht gestellt werden, 3. die leitenden Mitarbeiter der Deutschen Bank von der Übernahme wichtiger oder verantwortlicher Positionen im wirtschaftlichen und politischen Leben ausgeschlossen werden«.

Daraus ist leider nichts geworden – der Kalte Krieg kam dazwischen. Und Abs, der nicht zuletzt gemeint war, arbeitete, während diese US-Empfehlung niedergeschrieben wurde, längst in der britischen Zone am Wiederaufbau der Deutschen Bank, die sich allerdings bis 1957 – zufälligerweise war da die Remilitarisierung abgeschlossen – unter anderen Namen verstecken musste. Abs, der dann den Vorstandsvorsitz offiziell übernahm, war 1945 von Berlin nach Hamburg geflohen und hatte von dort die Untergrundtätigkeit der Deutschen Bank gelenkt.

Ganz schnell stieg Abs nun auch zum finanzpolitischen Berater der ersten Bundesregierung auf, begründete aber auch zwecks moralischer Erneuerung des deutschen Volkes zusammen mit Konrad Adenauer die von den Nazis unterdrückte deutsche Komturei der Ritter vom Heiligen Grab zu Jerusalem neu. Im Auftrag des Bundeskanzlers führte er die deutsche Delegation bei der Konferenz über die Regelung der deutschen Auslandsschulden 1952 in London. Nachdem 1951 das Gesetz zur Wiedereinstellung von ehemaligen Angehörigen der NSDAP nach Artikel 131 des Grundgesetzes mit dem Erfolg verabschiedet worden war, dass in vielen Ämtern der Bundesrepublik mehr – dieser mutmaßlich ehemaligen – NSDAP-Mitglieder saßen als vor 1945, wollte Adenauer zur Beruhigung der Weltöffentlichkeit eine Erklärung zur – wie er das nannte – »Judenfrage« abgeben. Er tat das am 27. September 1951 in einer feierlichen Sitzung des Bundestages. Quintessenz: »Hinsichtlich des Umfangs der Wiedergutmachung (...) müssen die Grenzen berücksichtigt werden, die der deutschen Leistungsfähigkeit durch die bittere Notwendigkeit der Versorgung der zahllosen Kriegsopfer und der Fürsorge für die Flüchtlinge gezogen sind.« Ursprünglich sollte an dieser Stelle – aber darauf verzichtete man dann doch lieber – eine Formulierung über Einschränkungen durch die bittere Notwendigkeit der Wiederaufrüstung stehen.

Und so begannen, etwa gleichzeitig mit den Londoner Verhandlungen über die deutschen Auslandsschulden, in Den Haag Gespräche mit Israel und mit jüdischen Organisationen über eine »Wiedergutmachung«. Später, in seinen Erinnerungen, gibt Abs vor, dass er diese Verhandlungen für »eine moralisch-politische Aufgabe von höchster Wichtigkeit« gehalten habe. In Wahrheit hat er damals mit aller Kraft gegen ihr Zustandekommen gekämpft, Seite an Seite mit Fritz Schäffer. Der seinerzeitige Bundesfinanzminister, ein alter Nazisympathisant und wüster Antisemit, war nach dem Krieg erster bayerischer Ministerpräsident und wurde, wie nach ihm Ludwig Erhard, als bayerischer Wirtschaftsminister von der US-Besatzungsbehörde abgesetzt. Beide hatten fast nur alte Nazis in die Regierung geholt.

Wütend über die Wiedergutmachungsgespräche mit Israel schickte Abs am 22. Februar 1952 seinem sehr verehrten Herrn Bundeskanzler – »Streng vertraulich!« - einen Brief: »Wenn nun, wie ich aus der Presse und im Anschluss daran durch Rückfrage bei Ihnen am 20. Februar erfahren habe, am 17.3. ds. Js. offizielle deutsche Verhandlungen mit Vertretern Israels über Festlegung und Tilgung der von Israel beanspruchten Forderungen beachtlichen Ausmaßes eröffnet werden sollen, so würden derartige Verhandlungen der oben genannten Rechtslage widersprechen.«

Er forderte, vor Abschluß der Londoner Konsultationen dürfe es keine Zahlungen an Israel geben und sah schließlich sogar durch die mäßigen jüdischen Wiedergutmachungsforderungen »die Versorgung der Bundesrepublik mit lebenswichtigen Nahrungsmitteln und Rohstoffen wesentlich« beeinträchtigt. Abs drohte: »Sie werden verstehen, sehr verehrter Herr Bundeskanzler, dass ich unter diesen, meine Verhandlungsführung in London infrage stellenden Umständen, meinen Auftrag, für die Bundesrepublik in der Aufbringungs- und Transferfrage hinsichtlich der Vor- und Nachkriegsschulden das Bestmögliche herauszuholen, nicht erfüllen kann.«

Gewiss, der gute »Arisierer« war sich nach 1945 der »Notwendigkeit einer Wiedergutmachung« für das »den Juden unter dem NS-Regime Angetane« bewusst, beziehungsweise, so formulierte er vorsichtig, das war »nach Kriegsende vielen bewußt«. Und auch Adenauer fand es zweckmäßig, sich mit den Juden zu »versöhnen«, gab dazu feierliche Erklärungen ab und heckte mit Abs eine Idee aus: Man könne doch Israel als Wiedergutmachung für den Holocaust ein Krankenhaus im Wert von zehn Millionen Mark spendieren.

Leiter der BRD-Delegation für die Verhandlungen mit Israel war der ordoliberale Ökonomieprofessor Franz Böhm, Offizier im Ersten Weltkrieg und späterer CDU-Bundestagsabgeordneter. Von Abs wurde er noch 1991 als Verräter der deutschen Sache denunziert: »Er verstand sich weniger als Leiter einer deutschen Delegation mit dem Auftrag, einen vernünftigen Interessenausgleich zu vereinbaren, sondern in erster Linie als der Anwalt der israelischen Interessen.«

Die kundige Professorin Rombeck-Jaschinski schließt sich dem an. Böhm verlangte, so schreibt sie, »den israelischen Ansprüchen grundsätzlich eine gewisse Priorität zuzubilligen«. Eine Frechheit. »Mit diesem Ansinnen«, so formuliert sie in ihrer Habilitation, »stieß Böhm jedoch auf die entschiedene Ablehnung von Abs.«

»Juden betrögen uns ja doch«

Stellvertreter Böhms war der – schon verdächtig – 1933 entlassene Richter Otto Küster, Wiedergutmachungsbeauftragter von Baden-Württemberg. Über den Verlauf einer Kabinettssitzung, zu der er zusammen mit Böhm am 5. April 1952 vorgeladen war, notierte Küster in sein Tagebuch: »Es beginnt flau und bös; Adenauer fällt Böhm ins Wort, die Zahlen könnten wir uns sparen, die Juden betrögen uns ja doch; Abs läßt mich nicht ausreden, ich muß, von Hallstein ermuntert, förmlich darauf bestehen, vollständig gehört zu werden.«

Davon steht bei Rombeck-Jaschinski kein Wort. Wohl aber beanstandet sie einen FAZ-Artikel, in dem vom »unüberwindbaren Widerstand der verantwortlichen Stellen gegen eine ausreichende Wiedergutmachung« die Rede war. Die außerplanmäßige Professorin in ihrer Habilitationsschrift: »Dies war starker Tobak an der Grenze zum Rufmord.« Eine große wissenschaftliche Leistung, mit der sie bewiesen hat, dass sie ihr Fach ganz nach Vorschrift in voller Breite in Forschung und Lehre vertreten kann – jedenfalls in der Bundesrepublik.

Erstaunlich nur: Das von dem Juristen Küster notierte Adenauer-Wort – die Juden betrögen uns ja doch – kommt bei ihr nicht vor. Es mag ihr Recht sein, das nicht zu zitieren. Aber jede Wissenschaft hört auf, wenn die eigentlich doch sehr planmäßige Professorin in ihrem ausführlichen Literaturverzeichnis sehr umsichtig gleich die ganze Quelle unterschlägt, der es entnommen ist. Zumal sie selbst klagt, dass wenig Literatur zu ihrem Thema existiere und angibt, die erste wissenschaftliche Monographie geschrieben zu haben. In ihrer Einleitung erwähnt sie ausführlich alle Arbeiten zum Londoner Schuldenabkommen und den damit verbundenen Wiedergutmachungsverhandlungen mit Israel, denen sie ein ausführliches Kapitel widmet. Nur diesen einen Aufsatz verzeichnet sie nicht: »Versöhnung mit Israel? Die deutsch-israelischen Verhandlungen bis zum Wiedergutmachungsabkommen von 1952«. Er steht im vierten Heft 1986 der Vierteljahrshefte für Zeitgeschichte, deren Existenz zur Kenntnis zu nehmen Ursula Rombeck-Jaschinski schon als Studentin nicht vermeiden konnte, wenn sie je ein Historisches Seminar betrat. Verfasst hat den Aufsatz Kai von Jena. Der ist vielleicht nicht so habilitiert wie unsere selektionsfähige Autorin, wohl aber sachkundiger Referatsleiter im Bundesarchiv.

Böhm und Küster verlangten an jenem 5. April 1952, man müsse Israel gegenüber wenigstens anerkennen, dass ihm Eingliederungskosten in Höhe von 4,5 Milliarden Mark entstanden sind, von denen die BRD zwei Drittel, also 3 Milliarden zu leisten hatte. Diese sehr niedrige Summe von 9.000 Mark für jeden der 500.000 jüdischen Flüchtlinge aus Deutschland hatten ausgerechnet Sachverständige des Bundesvertriebenenministeriums benannt. Abs drohte sofort und zum wiederholten Mal mit seinem Rücktritt von der Leitung der Londoner Verhandlungsdelegation, wenn den Israelis bei den Gesprächen in Den Haag auch nur irgendeine Ausgangssumme genannt werde. Adenauer, vom US-Hochkommissar John Jay McCloy am Vortag unter Druck gesetzt, stimmte schließlich zu, die Summe als unverbindlichen rechnerischen Ausgangspunkt zu nennen, keineswegs jedoch als Angebot. In Den Haag durften Böhm und Küster lediglich erklären, sie würden der Bundesregierung empfehlen, drei Milliarden zu zahlen, könnten jedoch keine festen Zusagen machen.

Am selben Tag erschien in der FAZ ein vom Adenauer-Berater Herbert Blankenhorn lancierter Bericht, wonach Böhm und Küster mit ihrer Erklärung über die ihnen erteilten Vollmachten hinausgegangen seien (Adenauer-Intimus Blankenhorn, ehemaliges NSDAP-Mitglied aus dem von der SS beherrschten Auswärtigen Amt, war Leiter der Verbindungsstelle zur Alliierten Hohen Kommission im Bundeskanzleramt). Daraufhin brachen die Israelis, denen nicht entgangen war, wie sehr ihre beiden deutschen Verhandlungspartner schon vorher von der Bundesregierung desavouiert worden waren, die Verhandlungen ab. Abs 1991: »Dennoch war der internationale Druck auf die Bundesregierung nicht übermäßig stark. Das Interesse, zunächst die eigenen Ansprüche in London befriedigt zu sehen und von der Bundesrepublik einen angemessenen Verteidigungsbeitrag zu erhalten, überwog offensichtlich.«

Unverschämter Hornochse

Abs hatte einen üblen Trick angewandt. Er hatte auf der Londoner Schuldenkonferenz erklärt, die Israelis wollten zwölf Milliarden DM. In Wahrheit verlangten sie nur 4,2 Milliarden, dazu kamen noch 500 Millionen, die von der jüdischen Hilfsorganisation Claims Conference für geraubtes jüdisches Vermögen gefordert wurden, insgesamt also 4,7 Milliarden.

Am 17. Mai 1952 trat Otto Küster zurück, Franz Böhm folgte ihm zwei Tage später. Die Reaktion der Weltmeinung über diesen Protest der deutschen Verhandlungsführer gegen die Adenauer-Regierung schreckte Bonn jetzt doch ein wenig auf, wie Adenauers Staatssekretär Otto Lenz am 23. Mai 1952 in kleinem Kreis zugab: »Was das Auslandspresse-Echo anging, Donnerwetter, da waren wir doch alle ziemlich bestürzt!«

In Abs’ Memoiren wird die Dramatik der Auseinandersetzungen nur gelegentlich zwischen den Zeilen deutlich. Er sagt Böhm und Küster nach, sie erweckten den Eindruck, »über allen trivial anmutenden finanziellen Fragen zu stehen und allein den Aspekt der Wiedergutmachung im Auge zu haben«. Aufschlussreicher ist da doch die Tagebuchaufzeichnung von Lenz am 20. Mai: »Es kommt dann die Sprache auf den Rücktritt Küsters als stellvertretender Delegationsführer in den Verhandlungen mit Israel. Finanzminister Schäffer berichtet über eine Unterredung mit Böhm und Küster, in der Küster sehr unverschämt gewesen wäre. Nach dieser Unterredung habe Küster seinen Rücktritt erklärt. Vizekanzler [Franz] Blücher behauptet, dass man von der Seite immer mehr verlangen werde, als uns möglich wäre. Böhm sei von der Kollektivschuld Deutschlands überzeugt. [Landwirtschaftsminister Wilhelm] Niklas hat ihn als einen Hornochsen bezeichnet (...) [Arbeitsminister Anton] Storch schimpft dann noch einmal kräftig auf Böhm; er behauptet, dass er einen Vorschlag Abs' entweder mißverstanden habe oder böswillig gewesen sei.« Etwas später in der Kabinettssitzung kommt der Bundeskanzler noch einmal auf das zu sprechen, was Lenz »die jüdische Frage« nennt: »Es entspinnt sich eine erregte Debatte über die Berechtigung der jüdischen Forderungen.«

Das Echo im Ausland zwingt Adenauer, den Parteifreund Böhm zu bitten, doch wieder die Verhandlungsführung mit Israel zu übernehmen. Am 10. September 1952 wurde nach langen Auseinandersetzungen das Wiedergutmachungsabkommen mit Israel in Luxemburg unterzeichnet. Seine Umsetzung wurde dank der Interventionen von Abs ein gutes Geschäft für die bundesdeutsche Industrie. Denn Israel bekam weniger Geld als vielmehr Warenlieferungen aus deutscher Produktion. Auch so wurde mit dem Erbe von Auschwitz die bundesdeutsche Wirtschaft angekurbelt. Diese »Wiedergutmachungs«-Lieferungen an Israel kamen, wie der Adenauer-Historiker Hans-Peter Schwarz einräumt, »volkswirtschaftlich gesehen, einer aus Steuermitteln geleisteten Hilfe für die beteiligten deutschen Unternehmen gleich«.

Für »völlig unzweckmäßig« hielt es Adenauer, seinem erfolgreichen Verhandlungsführer Böhm das Bundesverdienstkreuz zu verleihen. Und Bundespräsident Theodor Heuss – er hatte zum Ausgleich für das den Juden »Angetane« das gut verträgliche und preiswerte Wort »Kollektivscham« erfunden – lehnte das auch ab, denn »die Auffassung, Böhm habe die Verhandlungen nicht mit dem nötigen Nachdruck geführt, sei sehr verbreitet. Auf der anderen Seite würde die Auszeichnung Böhm sicherlich im arabischen Lager, das mit Mühe nunmehr von seinen Boykottabsichten zurückgehalten werden konnte, neuen Anlaß zu Diskussionen geben.« (Konrad Adenauer und Theodor Heuss: Unter vier Augen. Gespräche aus den Gründerjahren 1949–1959, S. 120)

Jedem das Seine: Abs, der Aufsichtsrat von IG Auschwitz, bekam für seinen »Endsieg« bei der Aushandlung des Londoner Schuldenabkommens am Tag der Bundestagswahl, dem 6. September 1953, von Heuss das Große Bundesverdienstkreuz mit Stern. Und Adenauer gab ihm zu Ehren am Vorabend ein großes Essen im Palais Schaumburg.

Der Allzweckbankier hatte es verdient – allein schon wegen des auch heute hochgeschätzten Artikels 5 Absatz 2 jenes von ihm ausgehandelten Londoner Schuldenabkommens, das die Kreditfähigkeit der bundesdeutschen Wirtschaft wiederherstellte und das »Wirtschaftswunder« erblühen ließ.

Dieser Artikel 5 Absatz 2 beschäftigt sich mit den »Nicht unter das Abkommen fallenden Forderungen« und verlegt sie in eine ungewisse Zukunft: »Eine Prüfung der aus dem Zweiten Weltkriege herrührenden Forderungen von Staaten, die sich mit Deutschland im Kriegszustand befanden oder deren Gebiet von Deutschland besetzt war, und von Staatsangehörigen dieser Staaten gegen das Reich und im Auftrag des Reichs handelnde Stellen oder Personen einschließlich der Kosten der deutschen Besatzung, der während der Besetzung auf Verrechnungskonten erworbenen Guthaben sowie der Forderungen gegen die Reichskreditkassen, wird bis zu der endgültigen Regelung der Reparationsfrage zurückgestellt.«

Und diese »Regelung« blieb einem Friedensvertrag mit allen am Zweiten Weltkrieg beteiligten Mächten vorbehalten. Den hat es nie gegeben. Ersatzweise benannte die Bundesregierung den Zwei-plus-vier-Vertrag zur Herstellung der deutschen Einheit. Den aber hatten nur zwei von deutscher Besatzung getroffene Länder unterschrieben: für Frankreich François Mitterrand, der trotz anfänglichen Widerstrebens von der Dampfwalze Helmut Kohl breitgequetscht wurde. Und Michail Gorbatschow, der Liquidator der Sowjetunion, der sich für wenig Geld die DDR abkaufen ließ. Die Unterschrift aller anderen unter deutscher Besatzung ausgeplünderten und in Elend und Inflation getriebenen Staaten Europas fehlt, auch die Griechenlands.

Aber nun kommen die frechen Griechen unter Tsipras und wollen – samt Zins und Zinseszins – elf Milliarden Euro Rückzahlung für einen Kredit, den die Reichsbank während der Besatzungszeit in Athen aufgenommen hat. Eine Reparation wäre das kaum, sondern lediglich die ordentliche Abwicklung eines Kredits, für die die Bundesrepublik als höchst legitime Rechtsnachfolgerin des Deutschen Reiches aufzukommen hat.

Reparationen nie beabsichtigt

Am Montag vergangener Woche war der Journalist Frank Plasberg von der ARD-Öffentlichkeit höchst erstaunt, dass es diesen Kredit gegeben hat. Er hätte sich z. B. schon am 19.Mai 2012 in der jungen Welthier an dieser Stelle informieren können.

Egal, Kredit oder Reparation, die bellizistischen Gedankengängen stets zugeneigte Zeit, konterte am vergangenen Donnerstag mit gesamthistorischer Aufrechnung. Wenn die Griechen von den Deutschen solche »Reparationen« verlangen, könnten das dann nicht auch »die Schlesier von Polen, vielleicht sogar die Deutschen von Schweden (wegen des Dreißigjährigen Krieges)?«

Reparationen? Die waren nie beabsichtigt, allenfalls über die Leiche von Hermann Josef Abs. Professorin Rombeck-Jaschinski von der Kampfgruppe gegen das freche Griechenland würdigt in ihrer Monographie über das Schuldenabkommen: »In seiner Schlußansprache am Ende der Hauptkonferenz hatte der deutsche Delegationsleiter Abs mit aller Entschiedenheit darauf aufmerksam gemacht, dass eine vertragsgemäße Durchführung des Londoner Schuldenabkommens nur unter der Voraussetzung möglich sein würde, dass keine weiteren Reparationsansprüche gegen Deutschland geltend gemacht werden dürften.« Die – westlichen – Besatzungsmächte hätten angesichts der Belastungen durch Wiedergutmachung und, so unterstreicht Rombeck-Jaschinski, angesichts von »künftigen Verteidigungsaufgaben« zugestimmt .

Schon sieben Jahre nach Hitlers Tod war festgeschrieben worden: keine Reparationen für die von den Deutschen ausgeplünderten Länder Europas, dafür aber die Wiederauflage der Wehrmacht unter dem Label Bundeswehr.



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http://www.controlacrisi.org/notizia/Politica/2015/3/11/44115-la-grecia-insiste-con-il-risarcimento-dei-danni-di-guerra/

11/03/2015 16:47 | POLITICA - INTERNAZIONALE | Autore: fabrizio salvatori

La Grecia insiste con il risarcimento dei danni di guerra dalla Germania. "Pronti al sequestro dei beni"

Il ministro della Giustizia greco si è detto pronto a firmare una sentenza della Corte Suprema che consentirà al governo di sequestrare beni tedeschi come parziale risarcimento per i crimini commessi nel paese dai nazisti. Riferendosi ad una decisione pronunciata nel 2000 dalla massima istanza giuridica del paese, Nikos Paraskevopoulos ha ricordato che il provvedimento sosteneva il diritto dei sopravvissuti della città di Distomo - dove nel 1944 le forze naziste uccisero oltre 218 persone - a chiedere un risarcimento.

"La legge - ha ricordato il responsabile della Giustizia - stabilisce che per attuare il provvedimento è necessario un ordine del ministro. Ritengo che tale permesso debba essere dato e sono pronto a farlo", ha aggiunto, nel corso di un'intervista all'emittente Ant1. Ieri il parlamento ellenico aveva deciso di creare una commissione incaricata di chiedere il pagamento dei danni di guerra alla Germania. Intanto, il premier greco Alexis Tsipras accusa la Germania di usare trucchi legali per evitare di pagare le riparazioni di guerra, legate all'occupazione nazista della Grecia. Il premier fa anche sapere che porterà la questione in Parlamento per studiare il da farsi. "Dopo la riunificazione tedesca del 1990 - spiega Tsipras in Parlamento - si erano create le condizioni legali e politiche per risolvere la questione. Ma da allora i governanti tedeschi hanno scelto la linea del silenzio, trucchi legali e rinvii". "Mi domando - aggiunge il premier - poiche' in questi giorni c'e' un gran parlare a livello europeo di questioni morali: questa posizione e' morale?". Il governo greco non ha mai ufficialmente quantificato i danni di guerra da chiedere alla Germania, mentre Berlino sostiene di aver onorato i suoi obblighi dopo il pagamento di 115 milioni di vecchi marchi del 1960, pari a 59 milioni di euro. Secondo Tsipras il pagamento del 1960 copre solo i rimborsi alle vittime dell'occupazione nazista e non le distruzioni subite dalla Grecia durante l'occupazione tedesca. Il precedente governo di Antonis Samaras aveva stimato intorno ai 162 miliardi di euro l'ammontare delle riparazioni che Berlino avrebbe dovuto pagare ad Atene. Secondo Tsipras la richiesta di Atene e' un "obbligo storico", mentre la Germania si considera esentata dal pagamento dei danni di guerra.
Il nodo da sciogliere e' il patto di Londra del 1953 nel quale Berlino e altri 21 paesi siglarono un'intesa sui debiti contratti dalla Germania durante la Prima e la Seconda guerra mondiale. La prima decisione riguardo' i debiti contratti fino al 1933, pari a 32 miliardi, la meta' dei quali venne cancellata e l'altra meta' pagata a condizioni molto favorevoli. Per i debiti legati ai danni della Seconda mondiale si decise invece di rimandare la faccenda a dopo la riunificazione tedesca.
Nel 1990 pero' il cancelliere Helmut Kohl si oppose al pagamento delle riparazioni, spiegando che si trattava di richieste insostenibili, che avrebbero portato la Germania alla bancarotta. Gli Stati Uniti appoggiarono questa posizione. A partire dagli anni Sessanta Berlino ha stabilito degli accordi di compensazione volontari con alcuni paesi per i danni causati dal nazismo e nell'ottobre 2001 Berlino ha finito di rimborsare i debiti imposti dal trattato di Londra del 1953.
Per il segretario del Prc Ferrero, il governo tedesco "ha evidentemente la memoria corta: i tedeschi non hanno mai pagato i propri debiti di guerra. Eh sì che un po' di danni in giro per il continente li hanno fatti... Giustamente Tsipras, che ha la schiena dritta e la memoria lunga quanto quella del suo popolo, lo ricorda. Il governo tedesco, che, dopo aver fatto applicare alla Grecia ricette che ne hanno moltiplicato il debito, adesso cerca di strozzare il governo di Syriza scaricandone gli effetti sul popolo greco. Si tratta di un atteggiamento criminale, come il dire che le misure umanitarie devono essere a costo zero. Evidentemente per la Merkel e i socialdemocratici tedeschi è giusto che in Europa si muoia di fame, là dove loro vanno a fare le vacanze".



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Greece will not take part in anti-Russia sanctions: Minister

Mar 14, 2015

Greek Defense Minister Panos Kammenos says his country has no intention to take part in sanctions imposed by the European Union on Russia over the crisis in Ukraine.


Greece was losing a lot of money as a result of EU’s sanctions against Russia and Athens therefore needed compensation from the block, Kammenos said in an interview with German newspaper Bild on Saturday.

"Otherwise we can't and don't want to take part in sanctions against Russia, which are only damaging our economy," he said.

Russia has been hit with a series of sanctions by the EU and the US, which accuse Moscow of supporting pro-Russia forces in eastern Ukraine. Russia categorically denies the allegation.

The two mainly Russian-speaking regions of Donetsk and Lugansk in eastern Ukraine have been the scene of deadly clashes between pro-Russia forces and the Ukrainian army since Kiev launched military operations to silence pro-Russia protests there in April 2014.

The Greek minister further said his country's possible exit from the eurozone would have a "domino effect" on other European states.

If Greece were to leave the 19-member eurozone, Spain, Italy and even Germany would also end up quitting the common currency bloc, Kammenos said.

"If Greece explodes, Spain and Italy will be next and then at some point, Germany. We therefore need to find a way within the eurozone, but this way cannot be that the Greeks keep on having to pay," the top official added.

He emphasized that rather than a third bailout, Athens needed "a haircut like the one Germany also got in 1953 at the London debt conference."

Greek’s eurozone exit disaster

The European Union’s Financial Affairs commissioner Pierre Moscovici (pictured below) said Athens possible exit from the eurozone would be a "disaster" both for Greece and the bloc as a whole.

"Anyway we are probably all agreed in Europe that a 'Grexit' would be a disaster for the Greek economy, but also for the whole eurozone," Moscovici told Der Spiegel news weekly.

Eurozone finance ministers agreed on February 24 to give Greece a four-month extension of its international bailout to avert the possibility of the country’s exit from the currency area.

But Athens will not get any of the cash until eurozone partners approve a list of reform measures proposed by Greece.

The administration of Greek Prime Minister Alexis Tsipras has tried to revise the terms of the country’s €240-billion (USD 270 billion) bailout it received from the troika of international lenders - the European Central Bank, the International Monetary Fund and the European Union - following the 2009 economic crisis.

SF/NN/HRB







(english / italiano / srpskohrvatski)

Le madri di Srebrenica ricevono stipendi per la loro propaganda

1) Recommended readings and videos on Srebrenica
2) Come diventare milionari in Bosnia / Srebrenica mothers receive salaries for their performance / Majke Srebrenice kradu pare (2009)


A special Thank to the Srebrenica Historical Project by Stefan Karganović and to Jean Toschi Marazzani Visconti


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Recommended readings and videos on Srebrenica


*** Segnaliamo che le principali ricerche elaborate dal Srebrenica Historical Project, diretto da Stefan Karganović, sono scaricabili anche dal nostro sito:

Germinal Čivikov
SREBRENICA: THE STAR WITNESS
translated from the German by John Laughland
Belgrade: NGO Srebrenica Historical Project in The Netherlands, 2010
DOWNLOAD PDF (0,5 MB): https://www.cnj.it/documentazione/Srebrenica/StarWitness.pdf
Stephen Karganović, Ljubiša Simić
RETHINKING SREBRENICA
Unwritten History Inc., 2013
Stephen Karganović, Ljubiša Simić, Edward Herman, George Pumphrey, J. P. Maher, Andy Wilcoxson
DECONSTRUCTION OF A VIRTUAL GENOCIDE. An intelligent person's guide to Srebrenica
Belgrade : Srebrenica Historical Project, 2011 (Zemun : Pekograf)


*** Ricordiamo il documentario norvegese del 2011 "LA CITTA' TRADITA" (Srebrenica - Izdani grad / A town betrayed) che, esponendo i fatti, inclusi i massacri commessi dai jihadisti nei villaggi serbi attorno alla città, è stato soggetto ad un vero e proprio linciaggio da media e istituzioni norvegesi ed europee.
VIDEO:  http://www.youtube.com/watch?v=RUuhSGnLvv8 oppure http://www.youtube.com/watch?v=3_TxfVLSXmI


*** Altro video consigliato: A preview clip from Boris Malagurski's "The Weight Of Chains" dealing with Srebrenica and how it was used for greater geopolitical purposes


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http://www.civg.it/index.php?option=com_content&view=article&id=494:le-madri-di-srebrenica-ricevono-stipendi-per-le-loro-attivita-mediatiche-come-diventare-milionari-in-bosnia&catid=2:non-categorizzato

Le madri di Srebrenica ricevono stipendi per le loro attività mediatiche. Come diventare milionari in Bosnia.

Scritto da Gray Carter


Il seguente articolo era stato scritto da un blogger musulmano bosniaco qualche anno fa, l’avevo letto e poi l’avevo dimenticato. Poi ho sentito da diverse fonti la stessa (o almeno molto simile) storia e così mi sono ricordato di quell'articolo, così l’ho tradotto e pubblicato. Leggete cosa quest'uomo ha detto:

"Sono completamente disgustato guardando le Madri in lutto di Srebrenica, sono stufo di enormi quantità di menzogne che noi, persone semplici, siamo costrette a sentire e ingoiare; mi si dice: Non essere ingiusto, lascia stare, erano tempi molto duri ... ma non sono io colui che è ingiusto, ma esse lo sono, e io odio l'ingiustizia e la menzogna... 

Prima di tutto ringrazio sia il caro Allah, che Bakir e lo show televisivo “60 minuti”, perché è l'unico ad avere il coraggio di calpestare tutte le loro bugie. Credo che assolutamente nessuno avrebbe il coraggio di dire qualcosa contro quelle dolenti che hanno costruito una potente lobby intorno, e messo tutto il mondo intorno a loro. Solo chi ha coraggio può dire qualcosa contro di loro.

Durante la trasmissione del 08.09.2008 Munira Subasic, la presidentessa dell'Associazione delle Madri di Srebrenica pubblicamente e senza alcuna vergogna e rimorso, ha  dichiarato che lei possiede due case: una a Sarajevo, del periodo pre guerra e una seconda casa a Srebrenica, ma che  la seconda è incomparabilmente più grande della casa di Sarajevo ed è di recente costruzione; ha tre piani e una mansarda (mostrata particolareggiatamente durante la trasmissione). Essa ha anche un ministro come inquilino che, ovviamente, paga regolarmente l'affitto. Questo affitto è pagato dal bilancio statale (cioè i nostri soldi), perché io non conosco un solo ministro di Sarajevo che non ha un appartamento o una casa, il che significa che il ministro è da fuori di Sarajevo (Munira non ha vuole rivelare la sua identità). 

Quando si è parlato della sua retribuzione, questa "addolorata madre di Srebrenica" ridendo ha detto che lei è stata pagata "4000 marchi al mese" (circa 2000 euro; quasi 10 stipendi medi in Bosnia-Erzegovina) e poi aggiunge, " ne ho sempre tenuto duemila per vivere , e il resto l’ho tenuto come risparmio ... "(?). (Le madri di Srebrenica sono state pagate per il loro lavoro, ma per quale lavoro sono state pagate??)

E non è finita qui, quando il giornalista gli ha domandato circa la sua auto ufficiale ( una jeep donatagli  dall'organizzazione delle Nazioni Unite) questa "triste madre di Srebrenica", dice freddamente che "dal momento che non può tenere l'auto di fronte alla sede dell'Organizzazione" (lei non ha detto perché non può parcheggiare il veicolo delle Nazioni Unite donatogli, di fronte al suo ufficio), ... ", così la parcheggio davanti a casa mia e mio figlio può guidarla, perché io ho la mia auto. ... "(?!?!?). 

Per quanto riguarda le donazioni, ha detto che BH Telekom aveva donato 300.000 KM, (circa 120.000 Eu) di cui, secondo lei, 18.000 sono stati spesi nel rinnovo dei locali dell'organizzazione ( donati dal governo), e che "qualcosa " era stato speso per il funzionamento dell'organizzazione, e che sul conto c’è ancora" qualche soldo "per il lavoro futuro. Poi si è scoperto che di questi "soldi" sul conto, c'era ancora circa 100.000, e si scopre che "i soldi" per il lavoro dell'Organizzazione consisevano da 170 a 180.000 KM (circa 100 000 Eu) ... Come sono riuscite ad ottenere la donazione di altri 300.000 KM è un'altra storia poco chiara. 

Alla fine ha ammesso che, anche se era una "afflitta vittima di Srebrenica", lei non era nemmeno stata a Srebrenica durante la guerra; il marito non ha partecipato alla guerra, ma ha lavorato lì per qualcuno, e, naturalmente è riuscito ad uscire vivo da Srebrenica. Ma ciò che è terribilmente vergognoso è il fatto che la loro figlia è sulla lista dei bambini orfani di Srebrenica, così lei riceve elargizioni di aiuti mensili e annuali su questa base?!?! So che molte persone del suo tipo e le loro bugie sono sempre state utilizzate al fine di sfruttare l'occasione della guerra ad ogni costo. "Per alcuni la guerra è un buon fratello", ero consapevole di questo, ma avevo bisogno di una documentazione e qui è dimostrato. 

La stessa presidente delle Madri di Srebrenica insieme alle altre, ogni 11 luglio si strappano le vesti citando l’elenco dei nomi dei morti, nel frattempo i loro figli e mariti vivono alla grande, dal momento che sono vivi e più ricchi di tutti noi! Ed io onestamente so, e gli anziani di Srebrenica hanno confermato, che la maggior parte delle donne di Srebrenica hanno usato l'opportunità di mettere nella lista di quei nomi uccisi, persone che erano morte anni prima dell'inizio della guerra. So anche che nessuno di loro ha alcuna intenzione di tornare a Srebrenica. E perché dovrebbero? I loro figli sono a Sarajevo, stanno finendo i propri studi presso l'Università di Sarajevo, qualcosa che potevano solo sognare prima di diventare le “ Madri di Srebrenica”. Anche quando molte di queste donne soffrono e piangono i loro mariti caduti ( escluse naturalmente le  donne oneste, vittime vere), perché vedo intorno a ciascuna di loro fino a quattro bambini?? 

Sono stufo del fatto che la creatura barbuta Munira, come viene chiamata, senza istruzione di base, è in giro per il mondo con altre stesse donne analfabete, ad appagare le politiche dei più grandi statisti del mondo: non abbiamo bisogno di una tale rappresentazione del paese , attraverso persone analfabete e ignoranti. Sono stufo di quando siamo costretti a stare accanto a loro, per ascoltare le loro storie di quanto hanno sofferto, del loro dolore, ecc ...Sono stufo quando si avvicina l’11 luglio, e vedo queste  “addolorate” che vivono nelle vicinanze, sono stufo  di vedere le trasmissioni in televisione ed i bambini delle scuole di Sarajevo che devono andare in autobus a Srebrenica e rendere omaggio ai loro "mariti e figli caduti”. 

Dopo aver letto queste righe qualcuno probabilmente pensa: Questo non è un musulmano, non è un credente". Ma, hey gente, io sto dalla parte della verità, e se non credete a me, guardate lo show in TV “60 minuti”, e vi renderete conto; sentirete con le vostre orecchie, senza alcuna vergogna e  rimorso, cosa esse rivelano. Il loro stipendio è di 2000 euro al mese ( 10 stipendi medi in Bosnia Erzegovina), ci vogliamo convincere che i nostri politici sono dei ladri? Io sto dalla parte della giustizia! "



Gray Carter
14 luglio 2013 

Fonte primaria: neboljubavi.blogger.ba

A cura del Forum Belgrado Italia

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Srebrenica mothers receive salaries for their performance : how to become a millionaire: Mothers of Srebrenica steal money 

Posted on July 14, 2013 by Grey Carter

The following article was written by a Bosnian Muslim blogger few years ago, I read it then and later forgot about it.  Since last year I heard from several sources the same (or at least very similar) story and it brought me back to the article, so I put it in English and published it on my blog.  See what that man has to say:
“I’m completely fucked up watching the Bereaved Mothers of Srebrenica, I’m fed up with  huge amount of lies that we, naive people, are served to (keep silent and) swallow,  because it is said: Do not be unjust, leave them, they had very hard times… I’m not the one who’s unjust, –  but they are, and I hate injustice and lies ..
First of all I thank dear Allah, that Bakir and the TV show ’60 minutes’ exist, because  he was the only one with courage to crush down all their lies. I believe  that absolutely nobody else would have the guts to say something against those professional mourners as they built too strong lobby around, put the whole world around, and who’s to be brave and say something against them?
First of all  during the broadcast  on 08.09.2008.   Munira Subasic, a chairwoman  of the  Association of Mothers of Srebrenica publicly and without any shame and remorse acknowledges the following: – that she owns two houses in Sarajevo( one of which was from pre -war period) and One house in Srebrenica,   –  but the second one and incomparably larger Sarajevo house was built recently; it has three floors and an attic (finely shown during the Show); she has even a minister as a lodger who, of course, regularly pays rent.  This rent is paid  from the budget (ie our money) because I don’t  know of a single minister from Sarajevo who doesn’t have a flat or a house, which means that the minister is coming from out of Sarajevo (Munira did not want to reveal his identity).
When it came to her pay,  this “saddened Srebrenica mother” laughingly said that she’s payed  “4000 marks monthly,” (about 2000 euro; almost 10 average salaries in Bosnia and Herzegovina)  and then adds, “and,  I spend two for life, and the rest I  hold for savings .. . ” (?) –  ( Srebrenica Mothers ARE PAYED for their WORK?  What are they payed for? ) 
It didn’t end here, and as reporter’s questioned about her official car (jeep donated to the organization by the  United Nations) this  “saddened Srebrenica mother” coldly says that “since I cannot hold the car in front of the Organisation’s office” (she didn’t say why she can’t park the donated UN vehicle in  front of her office),  …  ” so I park it front of my house  and my son drives it because I have my own car. … ” (?!?!?).
As for donations, she said that BH Telekom donated 300,000 KM (?), (about 120 000 eu) of which, according to her, 18,000 was spent in renewing the premises of the organization ( also donated by the government), and that “something” was spent for the functioning of the organization, and that the account still has “some  money” for future work.  Later appeared the fact that of these “some money”  on the account, there was still about 100,000,  and it turns out that  “some money” for the work of the Organization is 170 to 180,000 KM (about 100 000 eu)… How they manage to get the donation of 300,000, again, is another unclear story.
At the end she admitted that even though a “saddened victim of  Srebrenica”  she has  not even been in Srebrenica during the war;  her husband didn’t participate in war, but worked there for someone, and of course he  got away alive from Srebrenica.  But what is terribly low  is the fact that their daughter is on the list of orphaned  Srebrenica children so she receives monthly and annual donations (aid) on that basis?!?! I know lot of  people of her kind and their lies are always alike, served  in order to use the opportunity of the War at any cost.  “To some war is a good brother” –  I was aware of that, but I needed  an argument for the story itself, and here it is given.
The same  Chairwoman of the Mothers of Srebrenica along with the rest of them each July 11 pulls and waves  those rags with descriptions and names of the dead, meanwhile her son and husband live to the fullest since they are alive and richer than all of us!  And I honestly know, and old people of Srebrenica  confirmed that most of the Srebrenica women used the opportunity to put on the list of those killed  names of people who had died years before the war started. I also know that none of them absolutely have no intention to return to Srebrenica. And why should they? Their children are in Sarajevo, finishing their studies in the Sarajevo university ( something they could only dream about before they became the Srebrenica women) . Also when so many  of these women suffer and mourn their fallen husbands (exceptions  to honest women), why I see around each of them up to four young children??
I’m sick of the fact that the bearded creature Munira as it is called, without a basic education, is traveling around the world and  the same illiterate women meets  the greatest statesmen of the world: we do not need such a representation of the country , through the  illiterate and uneducated people. I’m sick of it  when we are  forced  to be with them in a small space, to listen their  stories  that they suffered, their pain, etc… I’m sick when  11 July approaches,  and I see the same these ‘Saddened’ living nearby, watching the broadcast on television, and the children of Sarajevo schools must travel by buses to  Srebrenica and pay tribute to their ‘fallen husbands and sons’.
After reading the text people will probably say,  “He’s not a Muslim, he isn’t a believer”. But, hey people,  I’m on the side of truth, and if you do not believe me, see the 60 minutes tv show, and believe it; admit it at  least to your own  ears,  without any shame and remorse . Her salary is 4000, and we are convinced that our  politicians are thieves? Be on the side of justice!”

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http://neboljubavi.blogger.ba

Majke Srebrenice kradu pare

18.04.2009.

Munira Subasic brkata spodoba
 
Vise mi je dopizdilo da gledam te ozaloscene majke srebrenice,dopizdila mi je ogromna kolicina lazi koju nas  naivni narod proguta jer :Nemoj se grijesiti,pusti tesko im je..Ne grijesim se ja grijese se oni,a ja malo je rec da mrzim nepravdu i lazi..
Prije svega HVALA DRAGOM ALLAHU,sto postoji Bakir i emisija 60 minuta,jer jedino on ima dovoljno hrabrosti da srusi sve barijere,mislim da apsolutnu niko drugi nebi imao hrabrosti da kaze nesto protiv tih ozaloscenih jer su izgradile prejak lobi oko sebe,stavili citav svjet oko sebe,i hajde budi hrabar pa reci nesto protiv njih?
Prije svega osvrt na emisju koja je emitirana 08.09.2008.Gdje doticna  Munira Subasic,predsjenica udruzenja majki Srebrenice javno i bez imalo stida i kajanja priznaje sljedece: u svom vlasnistvu ima dvije kuce u Sarajevu,kucu u Srebrenici, od cega je jedna Sarajevska kuca prijeratna, ali druga i neuporedivo veca je sagradjena nedavno, ima tri sprata i potkrovlje (fino prikazana), i cak nekog ministra kao podstanara koji, naravno, uredno placa zakupninu. Podrazumijeva se da se ova zakupnina najvjerovatnije placa iz budzeta (dakle, nasim novcem), jer ne znam ni za jednog ministra iz Sarajeva da nema svoj stan ili kucu, sto znaci da ovaj dolazi van Sarajeva (nije htjela otkriti o kome se radi). 
Sljedeca stavka je bilo pitanje o njenoj plati, za koju ova «ozaloscena» sa smijehom rece da je "4.000 maraka", a onda i dodaje: "pa eto, dvije mi mogu biti za zivota, a dvije onako, da se ima..." (?!)
Ni tu nije kraj, pa na pitanje novinara o sluzbenom automobilu (dzip doniran organizaciji od  UN-a)» ozaloscena «hladno kaze kako "to auto ne moze drzati ispred kancelarije (nije navela razlog zasto ne moze), pa ga parkira pred svojom kucom, a njen sin ga vozi jer nema svog vlastitog auta..." (?!?!?!).Zatim je rekla i za donacije,naime,BHTelekom je njenoj organizaciji donirao 300.000 KM (?!), od cega je, po njenim rijecima, potroseno oko 18.000 za renoviranje prostora u kojem je smjesteno udruzenje (prostor doniran od vlade , kao i "nesto malo" na funkcionisanje organizacije, a da na racunu jos uvijek ima tih para za buduci rad. Onda se nadodje na to da od tih para na racunu organizacije ima jos oko 100.000, pa ispade da je spomenuti utrosak od "nesto malo" za rad organizacije oko 170-180.000 KM... Kako se doslo do te donacije od 300.000 je, opet, posebna prica.
Na kraju je priznala  da ta «ozaloscena» cijeli rat nije ni bila u Srebrenici, njen muz jeste ali ne kao borac, nego je tamo radio za nekoga, i naravno izvukao se. Ali ono sto je uzasno nisko jeste da se njihova kcer nalazi na spisku Srebrenicke djece bez roditelja i prima pomoc u to ime?!?!
Ja za jos mnoge lazi nje i njoj slicnih koje su rat iskoristilu u smislu:»rat jest jednako brat» znam,ali mi je bilo potrebno da se ima argument za pricu i evo sama ga je dala.
Ta ista zena zajedno sa njima 11 jula nosa one krpe sa natpisima imena poginulih a sin i muz zivi  citavi i bogatiji od nas sviju.I nije ona jedina znam potvrdjeno od ljudi iskrenih srebrenicna,da je vecina zena iskoristolo priliku da na spisak poginulih stavi i imena ljudi koji su umrli godinama prije rata.Isto tako znam da nijedna nema apsolutno nikakve namjere da se vrati u srebrenicu a zasto bi?djeca im se radjaju u Sarajevu zavrsavaju fakultete sto nikad ni sanjati nisu mogli,a i kad toliko pate i zale za poginulim muzevima(cast izuzetcima i postenim zenama)zbog cega oko svake vidim po cetvero male djece??
Muka mi je od cinjenice da ta brkata spodoba Munira kako je zovu,bez  osnovne skole putuje po svijetu i sto se ta ista nepismena zena uspjela susresti sa najvecim drzavnicima svijeta,ne treba nam takva prezentacija zemlje u svijetu kroz ljude nepismene,neobrazovane.
Muka mi je i od toga sto u javnom preijevozu gdje si prinudjen biti sa njima u malom prostoru cujes price kako se u Sarajevu nista nije desilo..(a masakri a komadi tijela,a to sto je moj zivot svakodnevno bio u opastnosti konstantno 4g)to sto sam djetinjstvo provela u podrumu i bila zahvalna Bogu na svakom prezivjelom danu.Samo se u Srebrenici desio zlocin??i odkud im pravo da izdizuci svoju zalost iznad zalosti ljudi iz Sarajeva Mostara Visegrada Gorazda i drugih,po njima se samo u Srebrenici desio zlocin,nasa bol i patnja su minorne,bas one  znaju cija je bol veca?
Muka mi je i kad dodje 11 jul pa vidim da te iste koje zive u blizini,gledaju prijenos preko televizije,a djeca iz sarajevskih skola budu organizovana da taj dan odputuju u Srebrenicu i daju pocast,a one sjede i gledaju na televiziji?
Ljudi vjerovatno na osnovu ovog teksta ce rec,nije muslimanka,ne vjeruje,ali ljudi ja sam na strani istine,i ukoliko ne vjerujete meni pogledajte emisiju 60 minuta,i povjerujte onda bar svojim usima, gdje doticna sve to priznaje bez imalo stida i kajanja.Njena plata je 4000,a mi smo ubjedjeni da politicari kradu?
Budite na strani pravde!

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Alba Mediterranea contro Troika e Euro

1) Un'Alba Mediterranea contro troika ed euro. Il M5S rompe gli indugi (13/3/2015)
2) Dino Greco: EU-rabbia (21/2/2015)


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Un'Alba Mediterranea contro troika ed euro. Il M5S rompe gli indugi

di Luca Fiore e Alessandro Avvisato
Venerdì, 13 Marzo 2015 

Una platea composita e affollata ha seguito oggi con estrema attenzione l’iniziativa organizzata dal Movimento 5 Stelle presso l’Auditorium Sandro Pertini della Camera dei Deputati. L'incontro ha visto la partecipazione di alcuni esponenti del Movimento 5 Stelle come Di Stefano e Di Battista, del giornalista Gianni Minà, di alcuni intellettuali militanti – come Luciano Vasapollo e Joaquin Arriola - e di numerose rappresentanze delle ambasciate paesi dell’Alba.

Una iniziativa che a partire dal processo di rottura avvenuto in America Latina nei decenni scorsi rispetto all’asfissiante dominazione economica statunitense e alla dollarizzazione delle economie, propone un processo di rottura all’interno dell’Unione Europea che liberi i Pigs – i paesi “maiali” oggetto di quasi un decennio di politiche di austerity – dall’ormai intollerabile gabbia rappresentata da una moneta – l’Euro – e da alcune istituzioni – la Bce, la Troika – che i partecipanti all’iniziativa hanno esplicitamente contestato.

Introducendo i lavori, il parlamentare del M5S Manlio Di Stefano ha sottolineato "L'insostenibilità del sistema-euro per i paesi europei con condizioni diverse tra loro e gli effetti della globalizzazione". A questo punto si può fare altro? A questa domanda Di Stefano ha risposto citando l'esempio dei paesi dell'Alba Latino americana. "Quindi i cittadini italiani possono discutere anche di altre ipotesi possibili". Importante il passaggio nel quale ha affermato che il M5S vuole tradurre tutto questo in atti legislativi.

Ad aprire il dibattito è stato Gianni Minà, che ha attaccato e messo alla gogna una politica e una informazione continentali che a lungo ci hanno presentato le rivoluzioni latinoamericane dal punto di vista degli interessi politici ed economici dominanti, descrivendo i leader e i processi di liberazione in quel continente come folkloristici nel migliore dei casi o più spesso populisti o addirittura dittatoriali. “Sono qui per imparare” ha detto Minà, riferendosi alla proposta della creazione nell’area del Mediterraneo di una alleanza di paesi che si sganci della dominazione del capitale franco-tedesco ripetendo un processo già compiuto in America Latina ai tempi della rottura con l’Alca che gli Stati Uniti volevano imporre al tradizionale ‘cortile di casa’. Minà ha efficacemente ricordato che se nel Mediterraneo è la troika europea – Bce, Commissione Europea e Fondo Monetario Internazionale - a dettare legge e a imporre l’interesse del più forte, prima della coraggiosa ed efficace formazione dell’Alba in America Latina era un’altra troika – costituita da Washington, dalla Banca Mondiale e dal FMI – a devastare le economie di quei paesi.

Dopo Minà è toccato a Luciano Vasapollo, docente di Economia all’Università La Sapienza ed esponente del Centro Studi Trasformazioni Economiche e Sociali. Vasapollo ha rivendicato l’inizio, ormai cinque anni fa, di un dibattito scientifico e politico su un'area euromediterranea alternativa all'Unione Europea e all'Eurozona, agganciato alle dinamiche del sindacalismo di base e dei movimenti sociali. Nel libro "Il risveglio dei maiali", scritto con Joaquin Arriola e Rita Martufi (tradotto e pubblicato ormai in diverse lingue) e insieme a pochi altri intellettuali militanti a livello europeo, hanno cominciato a proporre la rottura dell’Unione Europea e la formazione di ‘un’Alba euromediterranea’ come via d’uscita radicale ma credibile ad una crisi del modo di produzione capitalistico che ha assunto un carattere sistemico. Una proposta che considera necessaria una fuoriuscita dall’euro non di un singolo paese, la cui economia sarebbe immediatamente danneggiata dagli attacchi speculativi, e non per tornare alla vecchia moneta nazionale, il che avrebbe effetti disastrosi. Ciò che si propone è un’alleanza di paesi – quelli della sponda sud del Mediterraneo, i più indeboliti dall’euro e dalle politiche rigoriste imposte dalla Germania orientate a costruire una periferia interna all’Ue che fornisca al centro manodopera a basso costo e assorba i prodotti esportati da Berlino – che rompa con la moneta unita europea e con il meccanismo di dominazione economico-politica dell’Unione Europea per costruire un altro aggregato di paesi, con una propria moneta comune e un sistema basato sulla complementarietà e l’equilibrio. Occorre, ha spiegato Vasapollo, che le banche vengano nazionalizzate così come altri settori chiave dell’economia come le telecomunicazioni, l'energia o i trasporti, in maniera da ridare al settore pubblico e allo stato la capacità di intervenire in campo economico per contrastare gli effetti della crisi e gli interessi dei poteri forti.

Sullo stesso tema è intervenuto Joaquin Arriola, docente di economia dell’Università del Pais Vasco e coautore del saggio sui Pigs e l'Alba euromediterrranea, il quale ha ricordato che le storture economico-sociali provocate dall’introduzione dell’euro erano già note prima ancora che la moneta unica entrasse in vigore. Arriola ha citato un episodio risalente al 1996, quando il premio Nobel Modigliani nel corso di una conferenza pubblica a Bilbao lanciò un veemente allarme sulle conseguenze nefaste provocate dall’introduzione di quella che chiamò “la moneta tedesca”, cioè l’euro. In molti, anche a sinistra, pensarono che la moneta unica avrebbe accelerato un processo di creazione e rafforzamento di una Europa federale, democratica e solidale che in realtà non è mai nata, lasciando il posto a una matrigna aggressiva e autoritaria nei confronti di alcuni dei popoli che la conformano. Oggi l’Ue è un “organismo costruito sulla base degli interessi delle classi e dei paesi dominanti e dell’egoismo dei potenti” ha accusato Arriola, secondo il quale la moneta unica è stata utilizzata da Francia e Germania per rafforzare le proprie economie e il proprio potere. In particolare la Germania ha utilizzato il processo di unificazione europeo e l’introduzione della moneta unica per assorbire e socializzare i costi dell’assimilazione della Germania e della sua espansione nell’Europa orientale dopo la caduta del blocco socialista. Da anni Berlino utilizza una sfacciata politica di dumping per favorire i propri prodotti e le proprie esportazioni desertificando così le economie dei paesi della sponda meridionale del Mediterraneo finalizzate alla mera importazione di merci e di macchinari tedeschi. D’altronde la Germania è l’unico paese tra i più importanti dell’Ue che in questi anni non ha visto diminuire il suo tessuto industriale. In riferimento al duro braccio di ferro in corso tra la troika e Atene, Arriola ha affermato che Syriza sbaglia a pensare che sia possibile contrastare l’austerità e ridurre gli effetti delle politiche imposte dalla troika senza mettere in discussione la propria permanenza all’interno dell’Eurozona e senza bloccare del tutto processi di privatizzazione stoppati solo in parte dal nuovo esecutivo.

A chiudere la sessione della mattinata ci ha pensato Alessandro Di Battista, Vicepresidente della Commissione Affari Esteri della Camera per il Movimento Cinque Stelle, che ci ha tenuto a rivendicare il carattere ‘postideologico’ dell’identità del suo movimento, sottolineando però la possibilità di portare avanti una battaglia comune su una proposta in grado di costruire nel nostro paese e nel resto dell’Europa un’alternativa alla sottomissione alla troika e all’austerity. Anche Di Battista, tra gli applausi in sala, ha esordito affermando che la pur importante vittoria di Syriza in Grecia potrebbe risolversi in un nulla di fatto se il nuovo governo non prenderà atto dell’impossibilità di rispettare il suo programma elettorale all’interno dei vincoli posti dall’Eurozona. “Stampa e politica affermano – ha ricordato Di Battista – che se i nostri paesi abbandonassero la moneta unica le nostre economie crollerebbero: la disoccupazione aumenterebbe, le esportazioni collasserebbero, il debito schizzerebbe in alto... Esattamente ciò che sta succedendo da anni nei Pigs integrati nella zona Euro”.
Secondo Di Battista, che ha attaccato il Jobs Act e il Ttip che danno mano libera alle imprese a danno dei lavoratori, l’Europa del Sud deve ‘fare cartello’ come hanno fatto a suo tempo i paesi dell’America Latina e costruire una nuova aggregazione di paesi che funzioni con parametri economici e politici completamente diversi da quelli imposti finora dall’Ue. “Dov’è Sel, dove sono le minoranze del Pd, quelle dove c’è un Fassina che prima ha fatto il consulente dell’Fmi e ora dice di essere contro la troika e a favore del governo greco?” ha chiesto Di Battista, il quale ha difeso la proposta di un reddito di cittadinanza criticando chi definisce la misura populista negando che possa esistere una copertura economica per garantirla. “Come mai quando bisogna comprare gli F35 la copertura finanziaria si trova sempre e invece quando proponiamo di dare un reddito ai precari e ai disoccupati ci accusano di essere degli assistenzialisti?”. Applausi per Di Battista anche quando ha affermato che serve «una banca pubblica nazionalizzata che emetta e stampi moneta. E' un modo per dare a un popolo, a un governo, un potere: una politica monetaria, fiscale, valutaria. Sono degli strumenti per uscire dalla crisi, giocarci, tutti lo fanno, ma oggi non abbiamo questo potere». 
Nella seconda sessione del convegno hanno preso la parola le ambasciate dei paesi latinoamericani che hanno dato vita all'Alba.

Insomma, con il convegno di oggi si è aperto uno spazio politico importante e che può diventare il percorso concreto di una battaglia da giocare a tutti i livelli - dalle piazze al parlamento, dai posti di lavoro ai territori - intorno ad una ipotesi di rottura della gabbia dell'Unione Europea e dell'Eurozona e alla costruzione di una area alternativa euromediterranea. L'assunzione di responsabilità su questo del M5S non è un particolare secondario. Vogliamo dirla riproponendo un illuminante osservazione di Perry Anderson: "I movi­menti di destra non hanno dif­fi­coltà a riven­di­care aper­ta­mente l’uscita dall’Euro come dal giogo mone­ta­rio dell’austerità che il neo­li­be­ri­smo ora esige. Anche i movi­menti di sinistra denun­ciano gli effetti della moneta unica, ma sull’Euro soli­ta­mente tem­po­reg­giano, sug­ge­rendo nel migliore dei casi varie mac­chi­na­zioni per alle­viarne i rigori. Que­ste tendono tut­ta­via a sof­frire di due svan­taggi poli­tici: sono tec­ni­ca­mente troppo com­pli­cate per essere intel­le­gi­bili ai più e non hanno pra­ti­ca­mente alcuna chance di accet­ta­zione da parte di Bru­xel­les o Fran­co­forte. In con­fronto, le riso­lute chia­mate a disfarsi dell’Euro sono non solo pron­ta­mente com­pren­si­bili da tutti, ma, rea­li­sti­ca­mente par­lando, più plau­si­bili come sce­na­rio pos­si­bile. Dun­que la sini­stra è svan­tag­giata anche qui". Se la sinistra in Italia e in Europa non vuole rimanere eternamente svantaggiata, è tempo che acquisisca il necessario coraggio politico per diventare essa - e non la destra - il punto di riferimento popolare e generazionale della rottura con la gabbia dell'Unione Europea.


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http://www.lacittafutura.it/giornale/eurabbia.html 

EDITORIALE

EU-rabbia

di Dino Greco

21 Febbraio 2015

La Lega cerca – con preoccupante successo - di egemonizzare il movimento antieuropeista su una linea di populismo reazionario, xenofobo, di marca dichiaratamente lepenista. Assistiamo persino al tentativo di capitalizzare a destra lo stesso straordinario successo di Syriza nelle elezioni greche oscurandone l’imprinting radicalmente anti-liberista. Anche il M5S cavalca l’onda, sebbene con un profilo più basso e confuso, esibendo come distintivo identitario la pura e semplice propagandistica uscita dall’euro (il referendum).

L’agognato ritorno alla moneta nazionale non è tuttavia auspicato da costoro per restaurare diritti espropriati (welfare, diritto del lavoro), o per proteggere i salari, o per ostacolare il processo di privatizzazione selvaggia, o per definire nuove regole per il commercio e controllare la circolazione dei capitali, o per pubblicizzare banche e asset nazionali. Tutto il contrario. Si tratta di un nazionalismo autarchico e reazionario che si sdraia su un senso comune sempre più diffuso e sulla crescente disperazione di un popolo che non sa più a che santo votarsi, per lucrarne un vantaggio politico-elettorale a buon mercato.

E noi?

Noi comunisti nel congresso abbiamo detto: “disobbediamo ai trattati!”, facciamo leva sulle contraddizioni del monetarismo Ue a trazione tedesca, sottraiamoci al ricatto del moderno “Mago di Oz”, di un’Unione europea che gioca con carte truccate. Ma cosa vuol dire, in concreto, disobbedienza? Come si declina questa linea, al centro ed in periferia, vale a dire nelle regioni, nei comuni, nelle politiche di bilancio e fiscali?

Ancora: cosa vuol dire opporsi al patto di stabilità che impedisce persino ai comuni “virtuosi” di spendere risorse disponibili?

Ebbene, noi non l’abbiamo ancora detto, col risultato che la nostra proposta rimane chiusa in quella parola, non si traduce in una politica e in una mobilitazione. Dunque “non morde”, “non si vede”, “non seduce”. E rimane in una “terra di mezzo”, priva di realtà, vaso di coccio fra vasi di ferro. L’analisi da cui dovrebbe in realtà prendere le mosse ogni scelta politica razionale ed efficace non può accontentarsi di una critica rivolta al liberismo “in generale” e ad un processo di unificazione europea che non avrebbe portato a compimento il suo più ambizioso progetto politico perché rimasta a metà del guado e perché diventata, via via, preda degli spiriti animali del capitalismo. Per cui oggi si tratterebbe di costringere il manovratore a venire a più equi patti, introducendo qualche variante negli ingranaggi esistenti, qualche artifizio economicistico, qualche espediente di tecnica monetaria capace di mutarne l’indirizzo di fondo. Il fatto è che l’Unione europea è prima di tutto la forma politica di un rapporto sociale e, precisamente, di un rapporto sociale imperniato sul dominio del capitale finanziario: l’architettura monetaria che esso ha posto al suo fondamento (e che trova nell’euro non già un sottoprodotto fenomenico, ma il proprio funzionale apparato strumentale) serve appunto a stabilizzare il potere dell’oligarchia liberista che governa l’Europa. La complessa impalcatura monetarista si configura cioè come la specifica risposta strategica del capitalismo continentale (a egemonia tedesca) alla caduta del saggio di profitto e la condizione, dentro un quadro politico-sociale in rapida mutazione reazionaria, per riplasmare l’economia nella conservazione di rapporti capitalistici di produzione fortemente compromessi dalla crisi. 

L’ambizioso progetto è quello di liquidare in radice il welfare novecentesco, ridurre strutturalmente i salari a livello di sussistenza, consegnare alla marginalità le forme di aggregazione sociale e politica di impronta classista, con l’obiettivo di rendere strutturale l’estrazione di plusvalore assoluto dal lavoro vivo, condizione necessaria in una fase storica in cui la composizione organica e la stupefacente concentrazione del capitale hanno raggiunto un livello tale da non riuscire ad offrire agli investimenti un adeguato rendimento. Siamo cioè di fronte ad una vera e propria ristrutturazione della formazione economico-sociale capitalistica (nell’accezione marxiana) che coinvolge la struttura economica, cioè il modello di accumulazione, i rapporti sociali e di proprietà, la sovrastruttura politica, i modelli istituzionali ed elettorali e l’ideologia che tiene insieme l’impasto:

-il modello di accumulazione: attraverso la costruzione di un paradigma che produce e riproduce il capitale finanziario, parassitario e speculativo; i rapporti di proprietà: attraverso la spoliazione della proprietà pubblica, la privatizzazione integrale, la messa a profitto di tutto ciò che può assumere i caratteri della merce, la reductio ad unum delle 4 forme di proprietà previste dalla Costituzione repubblicana (statale, privata, comunitaria, cooperativa); 

-la superstruttura politica e giuridica: attraverso la sterilizzazione del parlamento e l’annichilimento della democrazia rappresentativa in favore della concentrazione di tutto il potere negli esecutivi; lo stravolgimento del modello elettorale in funzione maggioritaria, bipartitica e in forma tendenzialmente presidenziale;

-la superstruttura culturale e ideologica: sostenuta da un imponente apparato mediatico, che ha sradicato nella coscienza di larghe masse ogni anelito solidaristico per sostituirvi la concezione individualistica e iper-competitiva della borghesia liberale classica.

L’Europa odierna è dunque tutto meno che uno spazio neutro, più efficace per la lotta nello stato nazionale. Non è vero che lo spazio statuale più grande, quello europeo, sia il modo migliore per sviluppare la controffensiva di classe al livello del capitale; esso lo è solo quando consente alla classe dominata di esprimere la propria autonomia politica. Quando il dominio di classe assume forma nazionalistica si deve essere internazionalisti, europeisti e in qualche caso autonomisti. Quando invece, come succede in Europa, quel dominio passa proprio attraverso la distruzione dello stato nazionale, si deve elaborare un nazionalismo democratico orientato verso una nuova Europa confederale. L’Europa non è un soggetto politico che aiuta il multipolarismo e contiene l’espansione Usa, considerato che siamo alla vigilia della sottoscrizione del devastante trattato di libero scambio transatlantico che consegnerà alle multinazionali, ai più rapaci players economici internazionali il potere – con tanto di legittimazione giuridica e tribunali al seguito – di subordinare all’attesa di profitto ogni aspetto delle legislazioni nazionali, mettendo la mordacchia ad intere Costituzioni nazionali. 

L’Europa non è neppure un’entità sovranazionale che riequilibra le legislazioni e prepara un assetto federativo. La costruzione forzosa di un’unica area valutaria aumenta la divaricazione fra i paesi perché impone una moneta unica ad economie del tutto diverse. E perché questa moneta “incorpora” le “virtù” del marco: deflazione, indipendenza della Bce e stabilità monetaria, i tre dogmi su cui è costruito l’euro, le tre cause, o concause, della distruzione dell’unità europea. L’euro serve anche a rendere stabile la gerarchia fra nord e sud, fra paesi creditori e paesi debitori. Il comportamento del creditore nord-europeo è solo apparentemente illogico. Perché incaponirsi in politiche che riducendo la domanda dei paesi debitori, riducono il mercato per i prodotti del nord, considerato che il 70% delle esportazioni di quei paesi avvengono nell’area europea?  Per due motivi: perché diminuire il salario dei lavoratori del sud, in buona parte terzisti del nord, significa diminuire i prezzi dei prodotti del nord stesso; e perché la generale deflazione del sud abbatte il costo del patrimonio industriale ed immobiliare dei paesi colpiti. La logica che guida queste scelte è una logica semi-coloniale, che punta a costruire un sistema industriale ed un mercato del lavoro duali, concentrando la proprietà nelle mani del nord e trasformando il sud in un mare di manodopera a basso costo.

La logica dell’euro è la più cocente smentita di chi crede che l’Unione europea sia terreno più favorevole per la lotta di classe. L’Europa è oggi un meccanismo non democratizzabile perché distrugge deliberatamente, con metodo, il solo soggetto che potrebbe democratizzarla: il lavoro. Non è forse superfluo ricordare la lettera a firma congiunta con cui alla fine del 2011 Draghi e Trichet intimavano all’Italia di mettere mano a pensioni, salari, diritti del lavoro e privatizzazioni e come Napolitano abbia investito poi Mario Monti del ruolo di esecutore testamentario di queste direttive; o il documento con cui J.P. Morgan, nel maggio del 2012, ribadiva lo stesso concetto, con un “taglio”, per così dire, più sistemico, in cui ad essere messe all’indice erano le costituzioni antifasciste troppo venate di socialismo; o – per tornare a casa nostra – la determinazione con cui il compito demolitore del giuslavorismo moderno è stato mirabilmente interpretato da Matteo Renzi.

Uno sguardo alla situazione della Grecia

Ha ragione Emiliano Brancaccio: le ricette della troika saranno ricordate come uno dei più colossali inganni nella storia della politica europea.

La Grecia le applica già da 4 anni con enormi (e crescenti) sacrifici per la popolazione. Rispetto al 2010 la pressione fiscale è aumentata di 8 punti percentuali rispetto al Pil e la spesa pubblica è diminuita di quasi 4 punti, corrispondenti ad un crollo di 30 mld;i salari monetari sono caduti di 12 punti percentuali e il loro potere d’acquisto è precipitato in media di 14 punti, con picchi negativi di oltre 30 punti in alcuni comparti. La Commissione europea ha sempre sostenuto che queste politiche non avrebbero depresso l’economia. Ma le sue previsioni sull’andamento del Pil greco sono state totalmente smentite: per il 2011 la Commissione previde un Pil stazionario, che in realtà crollò di 7 punti; per il 2012 annunciò addirittura una crescita di un punto, e fu sconfessata da una caduta di 6 punti e mezzo; nel 2013 la previsione fu di crescita zero, e invece il Pil greco precipitò di altri 4 punti. Anche per il 2014 si registra uno scarto fra le rosee previsioni di Bruxelles e la realtà dei fatti ad Atene. La verità, che ormai riconoscono a denti stretti persino al Fmi, è che le ricette della Troika rappresentano la causa principale del crollo della domanda e della conseguente distruzione di produzione e occupazione avvenuta in Grecia: negli ultimi 5 anni, ben 800.000 posti di lavoro in meno. Né si può dire che tali ricette abbiano stabilizzato i bilanci: il crollo della produzione ha implicato un'esplosione del rapporto fra debito pubblico e Pil, aumentato in 5 anni di 30 punti percentuali.

“Questi soggetti – osserva ancora Brancaccio - stanno ottenendo quello che volevano: perché dovrebbero mutare la loro posizione a seguito di una vittoria di Tsipras? Al limite offriranno un’austerità appena un po’ mitigata, un piatto avvelenato che – se accettato – condannerebbe Syriza alla stessa agonia che ha ridotto ai minimi termini il Pasok di Papandreu.” 

Il rigetto di una parte del debito accumulato sarebbe una soluzione logicamente razionale. Un problema, tuttavia, esiste: la disapplicazione unilaterale del Memorandum, il ripudio anche solo di una parte del debito indurrebbe la Bce a bloccare le erogazioni e determinerebbe una nuova crisi di liquidità.

A quel punto la Grecia e il suo nuovo governo di sinistra sarebbero costretti ad abbandonare l’euro per tornare a stampare moneta nazionale. Ora, il Quantitative easing (Qe) varato dalla Bce è stato rappresentato come il tentativo di correggere – di fronte al generale scivolamento deflattivo – lo sciovinismo economico rigorista di marca tedesca. La Banca centrale si è sì decisa – sia pure in una forma edulcorata, cioè scaricando la parte di gran lunga più cospicua dei rischi sulle banche centrali dei paesi membri – a stampare moneta per l’acquisto massiccio di titoli del debito nazionali. Peccato che gli acquisti di titoli di Stato non avverranno - a differenza di quanto avvenuto negli Usa e in Giappone – rastrellandoli sul mercato primario, direttamente dagli organi emittenti, cioè dai ministeri del Tesoro dei singoli stati. Gli acquisti saranno fatti sul mercato secondario, cioè dalle grandi banche della zona euro. “Si tratta, quindi – come osserva Domenico Moro [1] - dello stesso meccanismo già deciso da Draghi nel 2011, e basato sull’offerta di liquidità a tassi ridottissimi alle banche affinché acquistassero titoli di Stato. Una mossa che non ha sortito alcun effetto positivo sull’economia e sull’occupazione, che hanno continuato a peggiorare. Infatti, la liquidità erogata dalla Bce non si tradusse in prestiti alle famiglie dei salariati, agli artigiani e alle piccole imprese, ma rimase nelle banche”.

“Ad avvantaggiarsene – continua Moro - furono le banche stesse che guadagnarono sul differenziale tra i finanziamenti a tasso zero della Bce e gli interessi pagati dallo Stato. Il risultato fu che i bilanci delle banche, gravati dalle perdite della crisi del 2007-2008, migliorarono notevolmente, grazie alla crescita degli utili. Un meccanismo simile si verificherà anche questa volta. Di fatto, l’operazione è a carico delle singole nazioni. Insomma, dove sta la svolta? Dov’è la solidarietà e l’azione finalmente combinata a livello europeo? Il rischio sovrano si è internalizzato ancora di più, con sollievo della Germania.

In terzo luogo, gli acquisti verranno effettuati non selettivamente, in base alle difficoltà dei singoli stati nel finanziare il proprio debito, ma in modo proporzionale alle quote di capitale detenute dai singoli stati nella Bce. Dunque, la Germania, che paga già interessi reali negativi sul suo debito, verrà “beneficiata” da questa operazione in proporzione come la Grecia che paga alti tassi d’interesse”.

“Dunque – conclude Moro - l’obiettivo di Draghi non è quello di rilanciare il Pil, cioè la produzione, e l’occupazione, ma di tenere alti i profitti delle banche e delle grandi imprese soprattutto multinazionali. Il Qe ha come obiettivo il contrasto alla deflazione, perché questa riduce i profitti o ne inibisce l’aumento, in quanto il calo dei prezzi erode i margini operativi delle imprese. Una inflazione troppo forte beneficia i debitori rispetto ai creditori e questo è eresia in un ambiente capitalistico, soprattutto per le banche. Ma l’inflazione troppo bassa o peggio la deflazione erodono i profitti. Inoltre, il Qe ha già cominciato a svalutare l’euro rispetto al dollaro e altre valute, facilitando le esportazioni che sono pressoché di esclusiva pertinenza delle imprese di grandi dimensioni e multinazionali”.

Si tratta di segni piuttosto evidenti che l’ingranaggio è in crisi, che le misure adottate non fanno che confermare il carattere organico della crisi capitalistica e, ancora, che la diga eretta per scongiurarne il cedimento rischia di rivelarsi alquanto fragile poiché la manovra rimane pur sempre incardinata sull’impalcatura monetaria che ha prodotto l’austerity e non è arduo prevedere che i suoi effetti si riveleranno del tutto modesti.

Allora, tornando al tema iniziale, attenzione a spiegare che se si mette in discussione l’euro significa essere anti-europei; attenzione a dire che la rivendicazione della sovranità popolare (che, non dimentichiamolo, è scritta nell’articolo 1 della Costituzione) significa, “necessariamente”, portare acqua ai nazionalismi xenofobi e fascistoidi;  attenzione a dire che chi vuole fare saltare questo ingranaggio infernale non fa che “lavorare per il re di Prussia”, altrimenti si corre il rischio che qualcuno il re di Prussia lo invochi davvero e magari che lo scontro si concluda non con una restaurazione della democrazia ma proprio con l’avvento dei populismi reazionari. Del resto, non ci sono evidenze empiriche – come ci spiegano Emiliano Brancaccio e Nadia Garbellini – che l’uscita dall’euro provocherebbe una svalutazione delle proporzioni che si paventano e, soprattutto, che lo scenario sarebbe in quel caso peggiore della drammatica deriva in corso. Lo dico perché il “diavolo” capitalista fa le pentole, ma non sempre riesce a trovare i coperchi e fra non molto, potremmo trovarci di fronte alla caduta dell’euro per…autocombustione…, cioè per autonoma decisione del potere finanziario, una volta condotti a termine lo sventramento del welfare, il processo di privatizzazione integrale, la riduzione a simulacro della democrazia rappresentativa, l’annichilimento del potere di contrasto del soggetto lavoro. 

Il punto, allora, è cosa fare per impedire che si intraprenda questa strada, proprio per l’incapacità delle classi dominanti di perseguire una rotta diversa. Allora tocca a noi dire in modo chiaro che all’uscita dall’euro dovrà corrispondere una nuova politica economica e sociale:

- proteggendo i salari attraverso un rilancio delle lotte e del ruolo contrattuale dei sindacati;

- reintegrando i diritti del lavoro espropriati dalla crociata anti-operaia in corso;

- rilanciando l’indicizzazione delle retribuzioni al costo della vita;

- ricostruendo un regime previdenziale che così com’è precluderà il diritto alla pensione a due generazioni di italiani;

- riducendo su scala nazionale e in tutti i settori l’orario di lavoro;

- varando nuove politiche fiscali che restituiscano progressività all’imposta sul reddito e prevedendo una tassa strutturale sui grandi patrimoni;

- ponendo un tetto alle retribuzioni e alle pensioni;

- nazionalizzando le banche e i principali asset industriali a partire dalla siderurgia;

- ridefinendo le regole che disciplinano gli scambi commerciali e i movimenti di capitale.

Si tratta insomma di costruire le premesse per un’uscita da sinistra dalla crisi e riscattare l’Europa dal giogo della finanza e dei proprietari universali che stanno succhiando il sangue dei popoli. Certo, per fare queste cose occorrono altri rapporti di forza, e si può a buon titolo obiettare che siamo lontani dalla capacità di mettere in campo una forza d’urto quale sarebbe necessaria, ma con questa piattaforma potremo rivolgerci sul serio ai proletari di questo paese e alle forze intellettuali non compromesse con la vulgata corrente, usando argomenti, parole, programmi, proposte che nessun altro può, sa, vuole utilizzare. Proposte che abbiano in sé la forza di rilanciare le lotte e dare il senso di una mobilitazione nazionale, ma non nazionalista, solidale, ma non corporativa, europeista, ma non prigioniera dei dogmi del monetarismo liberista.

Ne abbiamo la forza? Nella situazione presente, no. Ma avere una linea chiara oppure non averla non è la stessa cosa. Del resto, una posizione attendista produrrebbe tre effetti massimamente negativi:

-consegnerebbe la protesta contro l’austerity alla demagogia parafascista di Matteo Salvini, consentendo alla destra più reazionaria di riscuotere la rappresentanza di ampi strati popolari e di ridurre la dialettica politica italiana ad un duello fra la “nuova” Lega in versione lepenista e il partito democratico organico al liberismo europeo;

-genererebbe, di fronte ad una deflagrazione dell’euro, la peggiore delle condizioni, perché il ritorno alla moneta nazionale – senza adeguate contromisure – rovescerebbe sui lavoratori, sui disoccupati, sugli strati più deboli della popolazione uno tsunami sociale di proporzioni devastanti;

-contribuirebbe all’isolamento della Grecia di Syriza, che invece di schiudere le porte di un’altra Europa si ritroverebbe sola, stritolata fra le ganasce della tenaglia dei poteri forti europei.

[1] http://www.controlacrisi.org/notizia/Economia/2015/1/26/43685-quante-troppe-mistificazioni-sul-qe-di-draghi-intervento-di/




(deutsch / english / italiano)

Unione Europea: armiamoci e partite

1) Europas Vision: Juncker fordert EU-Armee
2) Juncker: NATO is not enough, EU needs an army
3) "La pace in Europa? Non è un fatto scontato" (Sergio Cararo)


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This article in english: 
Europe' Vision (Plans for an EU army – GFP 2015/03/10)
European Commission President Jean Claude Juncker, taking up an old German demand, calls for the creation of an EU Army...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58833


http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59073

Europas Vision
 
10.03.2015
BERLIN/BRÜSSEL
 
(Eigener Bericht) - EU-Kommissionspräsident Jean-Claude Juncker schließt sich einer langjährigen deutschen Forderung an und plädiert für den Aufbau einer EU-Armee. Wie Juncker erklärt, könne sich die EU mit eigenen Streitkräften größeres Gewicht in der Weltpolitik verschaffen als bisher; insbesondere werde es möglich sein, entschlossener gegen Russland vorzugehen. Der Aufbau einer EU-Armee ist bereits vor Jahren von der Bundeskanzlerin gefordert worden; aus der SPD heißt es immer wieder, die EU benötige nicht nur Kampftruppen, sondern auch eine eigene Militärakademie sowie ein festes militärisches Hauptquartier. Berlin hat inzwischen begonnen, die Kooperation der Bundeswehr mit Einheiten aus mehreren anderen Staaten auszuweiten, darunter etwa Niederlande und Polen, um auf diese Weise eine EU-Armee quasi von unten zu errichten. Für Deutschland ist der Aufbau gemeinsamer Streitkräfte höchst vorteilhaft, weil mit deutscher Dominanz in Militärfragen ähnlich wie bei der Durchsetzung der Spardiktate in der Eurokrise gerechnet werden kann. Zudem würde eine EU-Armee der Bundesrepublik größeren Einfluss gegenüber den USA und der NATO sichern.

Neue Macht

Im Interview mit einer deutschen Zeitung hat EU-Kommissionspräsident Jean-Claude Juncker am Sonntag den Aufbau einer EU-Armee gefordert. Dies sei notwendig, da "Europa" weltweit "enorm an Ansehen verloren" habe, behauptete Juncker: "Auch außenpolitisch scheint man uns nicht ganz ernst zu nehmen".[1] EU-Streitkräfte sollten nun "helfen, eine gemeinsame Außen- und Sicherheitspolitik zu gestalten". Dem EU-Kommissionspräsidenten schwebt ein entschlosseneres Auftreten der EU "in der Welt" vor. Insbesondere könne man "mit einer eigenen Armee ... glaubwürdig auf eine Bedrohung des Friedens in einem Mitgliedsland oder in einem Nachbarland der Europäischen Union reagieren", erklärte er in Anspielung auf den aktuellen Machtkampf um die Ukraine: "Eine gemeinsame Armee der Europäer würde Russland den klaren Eindruck vermitteln, dass wir es ernst meinen mit der Verteidigung der europäischen Werte."

Neuer Schub

Der Aufbau einer EU-Armee gehört seit Jahren zu den Standardforderungen der deutschen Europapolitik. "In der EU ... müssen wir einer gemeinsamen europäischen Armee näher kommen", erklärte Bundeskanzlerin Angela Merkel bereits im März 2007.[2] "Das langfristige Ziel ist der Aufbau einer europäischen Armee", bekräftigte Außenminister Guido Westerwelle auf der Münchner Sicherheitkonferenz im Februar 2010: "Das europäische Projekt einer gemeinsamen Sicherheits- und Verteidigungspolitik wird ein Motor für das weitere Zusammenwachsen Europas sein."[3] Entsprechend trifft der aktuelle Vorstoß des Bundesverdienstkreuzträgers [4] Jean-Claude Juncker in Deutschland parteiübergreifend auf große Sympathien. Verteidigungsministerin Ursula von der Leyen wird mit der Aussage zitiert, der Zusammenschluss der nationalen Streitkräfte zu einer EU-Armee sei "die Zukunft".[5] "Eine gemeinsame Armee ist eine europäische Vision, deren Zeit gekommen ist", erklärt der Vorsitzende des Auswärtigen Ausschusses im Bundestag, Norbert Röttgen (CDU). Junckers Initiative sei "zu begrüßen", äußert auch der Vorsitzende des Bundestags-Verteidigungsausschusses, Hans-Peter Bartels (SPD): "Die vergangenen zehn Jahre haben für Europas Verteidigung wenig gebracht. Es braucht einen neuen Schub".[6]

Kerne

Bartels empfiehlt, den Aufbau der EU-Armee über eine immer engere Kooperation zwischen den Streitkräften einzelner EU-Staaten voranzutreiben: "Wir sollten nicht auf ein Gesamtkonzept aller 28 EU-Mitglieder warten, sondern mit Vereinbarungen zwischen den Nationalstaaten beginnen".[7] Berlin verfolgt diese Strategie bereits seit geraumer Zeit. Baue man die Zusammenarbeit zwischen den Streitkräften einzelner Staaten binational aus, dann ließen sich Kampfverbände bilden, die ihrerseits als "Nukleus einer europäischen Armee" fungieren könnten, erläuterte eine Mitarbeiterin der Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP) Anfang letzten Jahres das zugrundeliegende Konzept. Ein derartiges Vorgehen sei hilfreich, weil viele Staaten noch nicht bereit seien, weitestgehend auf ihre Souveränität in Fragen von Krieg und Frieden zu verzichten.[8] Tatsächlich hat die Bundeswehr in den letzten Jahren eine ganze Reihe bilateraler Kooperationen in die Wege geleitet, die das Konzept in die Praxis umsetzen. Auf diese Weise entstehen bereits Kerne einer künftigen EU-Armee (german-foreign-policy.com berichtete [9]).

Hauptquartier

Gleichzeitig nehmen SPD-Politiker Junckers aktuellen Vorstoß zum Anlass, um erneut Forderungen aufzugreifen, die sie bereits seit Jahren vorbringen - bislang erfolglos. So erklärt Rolf Mützenich, stellvertretender Vorsitzender der SPD-Bundestagsfraktion, es stelle sich die Frage, ob die EU nicht eine eigene Militärakademie aufbauen solle. Auch müsse man darüber nachdenken, im Europaparlament einen Verteidigungsausschuss einzurichten.[10] Beides verlangen SPD-Militärpolitiker bereits seit Jahren, zuletzt in einem Positionspapier vom November 2014. Darin heißt es unter anderem, die EU solle in einem "Weißbuch" eine gemeinsame Militärpolitik festlegen und "die Zahl gemeinsamer europäischer Manöver und Übungen" erhöhen, um "die Zusammenarbeit der verschiedenen Streitkräfte weiter zu verbessern". Auch solle ein "Marinehauptquartier Ostsee" aufgebaut und "die Einrichtung eines ständigen militärischen Hauptquartiers der EU mit allen Führungsgrundgebieten" entschlossen vorangetrieben werden.[11]

Vorteil für Deutschland

Der Aufbau einer EU-Armee ist für Deutschland höchst vorteilhaft, da er einerseits die Schlagkraft der Streitkräfte aller EU-Staaten kombiniert, andererseits Berlin maßgeblichen Einfluss garantiert. Spätestens die Durchsetzung der deutschen Spardiktate in der Eurokrise gegen teils massiven Widerstand aus einer ganzen Reihe von EU-Staaten hat gezeigt, dass die Bundesrepublik in der Lage ist, ihre Interessen in Brüssel umfassend durchzusetzen. Insofern muss Berlin nicht fürchten, deutsche Soldaten in größerem Umfang für die Interessen anderer Staaten in den Krieg schicken zu müssen - ein Umstand, der die militärische Kooperation auf EU-Ebene wegen ausgedehnter Streitigkeiten zwischen Deutschland und Frankreich lange blockierte.[12] Die aktuelle Fokussierung auf den Machtkampf gegen Russland begünstigt die deutsche Position weiter, weil sie auch die militärische Orientierung der EU in Richtung Osten lenkt, wohin Berlin traditionell expandiert, während die von Paris bevorzugten Interventionen in Frankreichs afrikanischem Interessengebiet in den Hintergrund geraten. Schließlich kann die antirussische Ausrichtung der EU-Armee dazu beitragen, Widerstände nicht nur in Polen, sondern vor allem in Großbritannien zu brechen, das bislang nicht zu einer Übertragung militärischer Kompetenzen an Brüssel bereit ist, aber eine hart antirussische Außenpolitik treibt. Die EU steuert damit zugleich auf einen harten Konflikt, langfristig womöglich auf einen Krieg mit Russland zu.

Konkurrenz zur NATO

Der Aufbau einer EU-Armee würde es Berlin schließlich auch ermöglichen, eigene militärische Pläne bei Bedarf ohne Washington zu verwirklichen und zugleich das eigene politische Gewicht gegenüber der NATO zu stärken. Die Bundesregierung könnte sich in deutsch-amerikanischen Streitfällen, wie sie aktuell in der Ukraine- bzw. in der Russland-Politik auftreten [13], besser durchsetzen und sich weiter in der Hoffnung wiegen, dereinst "auf Augenhöhe" [14] mit den USA zu gelangen. Entsprechend reagieren transatlantische Kreise teils verärgert auf Junckers jüngsten Vorstoß. Der Aufbau einer EU-Armee sei "Wunschdenken" und wegen der Differenzen zwischen den EU-Staaten zum Scheitern verurteilt, heißt es in einem Beitrag im Springer-Blatt "Die Welt"; nur die NATO könne ein erfolgreiches Einschreiten gegen Russland garantieren. Sie dürfe man auf keinen Fall durch den Aufbau von Doppelstrukturen beeinträchtigen: "Alles, was die Nato politisch relativiert und schwächt, ist von Übel."[15]

[1] "Halten Sie sich an Frau Merkel. Ich mache das!" www.welt.de 08.03.2015.
[2] "Die europäische Einigung ist auch heute noch eine Frage von Krieg und Frieden". Bild 23.03.2007.
[3] Guido Westerwelle: Rede auf der 46. Münchner Sicherheitskonferenz - 06.02.2010. www.securityconference.de.
[4] S. dazu Deutschland besonders nahe.
[5] Juncker will eine gemeinsame EU-Armee. www.tagesschau.de 08.03.2015.
[6], [7] Kommissionschef Juncker fordert eine EU-Armee. www.welt.de 08.03.2015.
[8] Claudia Major (SWP): Legitimation und Umrisse einer Europa-Armee. www.bmvg.de 02.01.2014.
[9] S. dazu Der deutsche Weg zur EU-Armee (I)Der deutsche Weg zur EU-Armee (II)Der deutsche Weg zur EU-Armee (III) und Der deutsche Weg zur EU-Armee (IV).
[10] rbb: SPD-Fraktionsvize Mützenich für EU-Armee. www.finanzen.de 08.03.2015.
[11] S. dazu Treibende Kraft für die EU-Armee.
[12] S. dazu Auf Kollisionskurs (II) und Die Agenda 2020.
[13] S. dazu Gefährliche Propaganda.
[14] S. dazu Auf Augenhöhe mit den USA.
[15] Michael Stürmer: Juncker-Idee einer EU-Armee schwächt die Nato. www.welt.de 08.03.2015.


=== 2 ===

http://www.euractiv.com/sections/global-europe/juncker-nato-not-enough-eu-needs-army-312724

EurActiv – March 10, 2015

Juncker: NATO is not enough, EU needs an army

The European Union needs its own army to face up to Russia and other threats, as well as to restore the bloc's standing around the world, EU Commission President Jean-Claude Juncker told a German newspaper yesterday (8 March).
Arguing that NATO was not enough because not all members of the transatlantic defence alliance are in the EU, Juncker said a common EU army would send important signals to the world.
"A joint EU army would show the world that there would never again be a war between EU countries," Juncker told the Welt am Sonntag newspaper.
"Such an army would also help us to form common foreign and security policies and allow Europe to take on responsibility in the world."
Juncker said a common EU army could serve as a deterrent and would have been useful during the Ukraine crisis.
"With its own army, Europe could react more credibly to the threat to peace in a member state or in a neighbouring state," he said.
"One wouldn't have a European army to deploy it immediately. But a common European army would convey a clear message to Russia that we are serious about defending our European values."

Commission quizzed over EU army

The European Commission today (9 March) fielded questions after the executive's president, Jean-Claude Juncker said an EU army would eventually be needed for the bloc to be taken seriously. Reporters at the Commission's midday briefing asked Chief Commission Spokesman Margaritas Schinas if Juncker'...
[…]
The 28-nation EU already has battle groups that are manned on a rotational basis and meant to be available as a rapid reaction force.
But they have never been used in a crisis.
EU leaders have said they want to boost the common security policy by improving rapid response capabilities.
But Britain, along with France, the two main military powers in the bloc, has been wary of giving a bigger military role to the EU, fearing it could undermine NATO.
German Defence Minister Ursula von der Leyen welcomed Juncker's proposal. "Our future as Europeans will at some point be with a European army," she told German radio.


=== 3 ===

http://contropiano.org/politica/item/29629-la-pace-in-europa-non-e-un-fatto-scontato

"La pace in Europa? Non è un fatto scontato" 

di Sergio Cararo, 12 Marzo 2015

Nell’agenda politica europea continuano a riverberarsi gli echi dell’intervista del presidente della Commissione Europea Junker, che ha evocato la necessità di un esercito europeo. La proposta di Juncker ha trovato qualche prevedibile resistenza nella stessa Unione europea, soprattutto da parte degli stati più legati agli Stati Uniti. Si segnalano infatti il no scontato del premier inglese, David Cameron e della Polonia. La Francia nicchia ma non nella sostanza. Essendo l’unica potenza dell’Eurozona (la Gran Bretagna ne è fuori) a possedere le armi nucleari, non nasconde l’ambizione di voler essere l’azionista di riferimento di un esercito europeo. Al contrario la ministra della Difesa tedesca Von der Leyden è stata invece tra i primi ad esprimersi favorevolmente verso il progetto evocato domenica scorsa da Juncker su un esercito europeo, spiegando che “il nostro futuro di europei esigerà un giorno che ci dotiamo anche di un esercito comune”. In Germania, da almeno due anni stanno cambiando di molto gli orientamenti sulla politica militare. Qualcosa si era intuito già nella annuale Conferenza sulla Sicurezza a Monaco dello scorso anno.

Il ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, quando ha presentato la legge di bilancio per il 2015, ha annunciato che la Germania aumenterà la spesa per la difesa. Schauble non ha dettagliato le cifre, ma la decisione è presa ed è emblematica. In piena guerra fredda la Germania spendeva per la difesa il 3,2% del Pil. Ne tre decenni successivi, le spese militari si erano ridotte, scendendo all'1,4% del Pil nel 2013, che corrispondono però ad una spesa di 48,8 miliardi di dollari (secondo altre fonti come l’Istituto Internazionale di Studi Strategici sarebbero invece 43,9 miliardi di dollari). La Francia ad esempio ne spende 53,1 per la Difesa. Dal settembre 2014, la Germania, al pari degli altri membri della Nato, si è impegnata a portare le spese  nella difesa al 2% del Pil. Il ministro della Difesa, Ursula Von der Leyen, ha inoltre costituito una commissione composta da duecento esperti militari per ridefinire la strategia delle forze armate tedesche del XXI Secolo. Juncker nell'intervista al giornale tedesco Die Welt am Sontag ci ha tenuto a spiegare che: “L'immagine dell'Europa ha sofferto drammaticamente anche in termini di politica estera: non sembra che siamo presi completamente sul serio”. Per Juncker dunque la debolezza della politica estera europea dipende dal fatto che l'Europa non ha un esercito proprio, ma ha aggiunto anche qualcosa di più: “La Nato non può bastare, visto che non tutti i Paesi membri dell'Alleanza atlantica sono anche della Ue. Una forza armata europea, invece, mostrerebbe al mondo che non ci saranno mai più guerre tra gli Stati membri, aiuterebbe a disegnare una politica estera e di sicurezza comune, e permetterebbe all'Europa di assumersi le sue responsabilità nel mondo”.

Era il 1996 quando Helmut Kohl, in una conferenza all’università di Lovanio disse che “l’integrazione europea sarebbe stata una questione di pace o di guerra nel XXI Secolo”. Un concetto ribadito da Kohl dieci anni dopo in una intervista al Corriere della Sera. E ancora dieci anni dopo, il 22 febbraio scorso, durante un colloquio in Vaticano, è stata Angela Merkel ad affermare che “La pace in Europa? Non è un fatto scontato”.

Molti di questi aspetti, anche sul piano del crescente sganciamento dell’Unione Europea dagli Usa e dalla Nato, soprattutto in materia di tecnologie satellitari, droni, settore aereospaziale, sono stati analizzati nel recente forum della Rete dei Comunisti a Bologna su “Il piano inclinato degli imperialismi”. Il cerchio di fuoco dei conflitti che circonda l’Europa (da Est a Sud) non solo non lascia affatto indifferenti gli apparati dirigenti della Ue ma sta rafforzando le ambizioni globali della stessa Unione Europea per dotarsi di tutti i “fattori di egemonia” necessari ad un polo imperialista: quello economico, quello ideologico e infine quello militare. Un nuovo status che preoccupa molto gli Stati Uniti, i quali vedono configurarsi la possibilità di un polo rivale nella competizione globale. Ma è una ambizione che deve preoccupare – e molto – anche i popoli dell’Europa dell’Est e della regione afro-mediterranea. Quanto sta già accadendo con gli interventi militari europei nell’Africa Centrale o quanto avvenuto contro la Libia nel 2011, indicano che le questioni della pace e della guerra in Europa stanno cambiando di passo e di segno. Continuiamo a ritenere che sia un errore – anzi un grosso guaio – che questo “dettaglio” nella strutturazione dell’Unione Europea continui ad essere sottovalutato. Combattere ed indebolire il “proprio imperialismo” è un compito dal quale nessuna forza internazionalista o che lotti per la pace dovrebbe sottrarsi.

Dossier di articoli su questo argomento:

Dalla Germania ripartono le ambizioni all’esercito europeo

http://contropiano.org/internazionale/item/29605-alla-polonia-non-piace-l-esercito-europeo-meglio-la-nato%20

Esercito europeo? Indispensabile per le ambizioni globali della Ue

http://contropiano.org/internazionale/item/29605-alla-polonia-non-piace-l-esercito-europeo-meglio-la-nato%20

Alla Polonia non piace l’esercito europeo. Meglio la Nato

http://contropiano.org/internazionale/item/29605-alla-polonia-non-piace-l-esercito-europeo-meglio-la-nato%20

Berlino annuncia l’aumento delle spese militari

http://contropiano.org/articoli/item/29454%20

Germania. Troppo grande per non avere una politica militare

http://contropiano.org/articoli/item/21885%20





GRANDI (?) SCRITTORI TRIESTINI


da C. Cernigoi – Fonte: pagina FB de La Nuova Alabarda, 12/3/2015
https://www.facebook.com/LaNuovaAlabarda/posts/220786538091920

Se andate a vedere la pagina di wikipedia dedicata a Pier Antonio Quarantotti Gambini, potete leggere che il suo "Primavera a Trieste" è 
<una vibrante rievocazione della rivolta antinazista e della successiva occupazione titina che sconvolsero Trieste nella primavera del 1945>.
Molti storici citano questo testo a dimostrazione dei "crimini" commessi dai "titini". Testo che cita una serie di "testimonianze" riferite all'autore da altri che spesso riferiscono cose dette ancora da qualcun altro e via... e che sembrano le classiche esagerazioni degenerate che la gente si inventa quando deve descrivere azioni violente beandosi sadicamente nel raccontare cose peraltro anche poco credibili.
Ma non è di questo che vogliamo parlare ora. Quello che vogliamo evidenziare è il sentimento razzista di questa persona, che si considerò "profugo" dall'Istria, perché nato a Semedella (vicino a Capodistria), andò a Torino negli anni '20 per studiare e trovò lavoro alla Stampa, si trasferì a Trieste durante la guerra e dopo la guerra andò a vivere a Venezia.
Ecco come questo "artista" descrive gli "slavi".
<Sono piccoli in genere, questi sloveni; notevolmente più bassi di quella che è la statura media dei triestini e degli istriani.
Osservo loro e poi i cittadini che mi passano accanto: sì c'è una differenza di statura, oltre che somatica e di costituzione, che sorprende. Ho sempre avuta l'impressione che gli jugoslavi fossero più alti; ma quelli che avevo presenti dovevano essere quasi tutti croati o dalmati o intellettuali (! Lombroso, aiutaci tu! n.d.r.) Questi sloveni della campagna - e qui posso constatarlo perché ne ho, per la prima volta, alcune centinaia sotto gli occhi, uniformemente bassi e ossuti, biondicci e scabri - sembrano non cresciuti qui vicino ma di tutt'altri paesi, a paragone dei triestini che sono alti e baldi (baldi anche ora - sono fatti così - nonostante le angosce di questi giorni impresse su tutti i volti).
Questa differenza risalta più ancora nelle ragazze. Le slovene, di corporatura corta e muscolosa (il fisico di tante servotte, pulitissime, oneste e formidabili lavoratrici, e delle cosiddette "donne del latte") sono esattamente l'opposto delle nostre triestine, dai torsi slanciati e dalle gambe lunghe>. 
Interrompiamo qui, sorvolando sulla descrizione delle voci "stridule e lamentose così diverse da quelle delle donne nostre" e sul fatto che marciando non cantano, forse perché "non hanno inni?", domandandoci chi diavolo abbia visto marciare il Nostro, dato che se c'è un popolo che non può fare a meno di cantare, in ogni occasione celebrativa, sono gli Sloveni, che hanno forse più inni di qualsiasi altro popolo...
... e vediamo come possa il razzismo andare di pari passo con l'astio di classe, perché la "bruttura" degli sloveni, uomini e donne, secondo il ricco possidente intellettuale Q.G. è dovuta sostanzialmente al fatto che si è trovato di fronte la classe lavoratrice, contadini, operai, le "servette" che non possono competere con le "triestine" nullafacenti del ceto del Nostro.
Che vede, in queste persone che marciano in città, un pericolo per il suo vivere da parassita alle spalle degli "sloveni della campagna" che hanno fatto ricchi i suoi antenati di Semedella. Tutta la propaganda che il CLN di Trieste (il CLN, non il PNF, si badi) ha costruito contro la resistenza comunista ed internazionalista di Trieste non è solo una questione di razzismo, è anche una questione di classe. Ed i risultati li vediamo ancora oggi, nei testi storici di Pupo e Spazzali, nella memorialistica di Fabio Forti, nelle elucubrazioni ideologiche di Stelio Spadaro.





I PRIMI DELLA CLASSE

La Macedonia rimborsa in anticipo il suo debito con il FMI

da www.viedellest.eu
Macedonia - 25 febbraio 2015

Il 27 febbraio scorso, con un anno di anticipo, la Macedonia ha completato il rimborso della quota rimanente del debito contratto con il Fondo Monetario Internazionale (Fmi), pari a circa 173,3 milioni di dollari. Lo comunica una nota del Fondo stesso, nella quale si specifica che le obbligazioni traevano origine da una linea di credito precauzionale approvata nel gennaio 2011, che prevedeva che il rimborso finale avvenisse nel marzo 2016. La decisione di rimborso anticipato è stata ben accolta dall'Fmi, che per bocca della direttrice operativa del Fondo, Christine Lagarde, ha sottolineato che la mossa evidenzia “il migliorato accesso del Paese ai mercati internazionali del capitale”. Fondo che, ha affermato sempre Lagarde, rimane sempre aperto a un “dialogo costruttivo con le autorità macedoni”.









[Segnaliamo anche,
sulla propaganda che continua in merito a "foibe" ed "esodo":

Come si manipola la storia attraverso le immagini: il #GiornodelRicordo e i falsi fotografici sulle #foibe 
di Piero Purini, con la collaborazione del gruppo di lavoro «Nicoletta Bourbaki» – 10/3/2015

sul tema dell'impunità garantita ai criminali di guerra italiani:

Davide Conti: L'OCCUPAZIONE ITALIANA DEI BALCANI
Crimini di guerra e mito della "brava gente" (1940-1943). Odradek, Roma 2008

Davide Conti: CRIMINALI DI GUERRA ITALIANI. 
Accuse, processi e impunità nel secondo dopoguerra. Roma, Odradek 2011

Pubblicazioni sui crimini italiani in Jugoslavia



Quando le foibe ed il caso simbolo di Norma Cossetto vennero usati per salvare i criminali di guerra italiani

La nuova Stampa, in prima pagina, il 28 ottobre del 1945, titolava “Orrori in Istria”. In tale articolo si poteva leggere che “mentre la stampa jugoslava inscena una menzognera campagna anti-italiana fondata su pretese quanto inesistenti atrocità commesse dagli italiani in Jugoslavia non si può non raccogliere il grido di migliaia di persone che chiedono giustizia” ed il riferimento è chiaramente alle foibe citando poi diversi casi soffermandosi in particolar modo su quello di Norma Cossetto, divenuta il simbolo delle vicenda delle foibe, alla quale nel dicembre del 2005 verrà riconosciuta la medaglia d'oro al merito civile con la seguente motivazione: "Giovane studentessa istriana, catturata e imprigionata dai partigiani slavi, veniva lungamente seviziata e violentata dai suoi carcerieri e poi barbaramente gettata in una foiba. Luminosa testimonianza di coraggio e di amor patrio. 5 ottobre 1943 - Villa Surani (Istria)”. 

Strumentalizzata certamente, tanto che nel 1944 a Trieste il Gruppo d’Azione Femminile dipendente dalla federazione del Partito Fascista Repubblicano, il solo esempio di corpo paramilitare femminile conosciuto della Repubblica Sociale Italiana,  venne chiamato “Norma Cossetto”.
E sulla sua storia a quanto pare vi è la volontà di girare un film che difficilmente si ispirerà alle fonti storiche che evidenziano tutta la problematicità in merito alla fine che ha caratterizzato la sua vita, come ben spiegate nel dossier di Claudia Cernigoi dal titolo “il caso Norma Cossetto” che invito a leggere con attenzione. 
Finita la guerra, Jugoslavia, Albania, Grecia ed Etiopia pretendevano, giustamente, la consegna dei criminali italiani, in merito alle atrocità come compiute durante l'occupazione nelle citate terre . De Gasperi, nel 1946, così scriveva all'ammiraglio Stone: “Non posso nascondere che una eventuale consegna alla Jugoslavia di italiani, mentre ogni giorno pervengono notizie molto gravi su veri e propri atti di criminalità compiuti dalle autorità jugoslave a danno di italiani e dei quali sono testimoni i reduci dalla prigionia e le foibe del Carso e dell'Istria, susciterebbero nel paese una viva reazione e una giustificata indignazione”.

Dopo questo intervento, De Gasperi inviava una seconda lettera all'Ammiraglio Stone, datata 11 settembre 1946, in cui annunciava che la Commissione d’inchiesta, che venne annunciata nel corso del tempo, aveva individuato quaranta fra civili e militari italiani passibili di essere posti sotto accusa presso la giustizia penale militare, in quanto nella loro condotta erano “venuti meno ai principi del diritto internazionale di guerra e ai doveri dell’umanità". Un primo comunicato del 23 ottobre 1946 indicava fra gli inquisiti il generale Mario Roatta, l’ambasciatore Francesco Bastianini, i generali Mario Robotti e Gherardo Magaldi, il tenente colonnello Vincenzo Serrentino. A quell’epoca, Roatta e Robotti erano latitanti, Bastianini si era rifugiato in Svizzera, mentre Serrentino sarebbe stato poi arrestato e già fucilato. Il sesto indagato, Pietro Caruso, era già stato giustiziato in Italia nel settembre 1944 per le sue attività di Questore durante la Repubblica Sociale Italiana. Un secondo comunicato del 13 dicembre 1946 comprendeva altri otto accusati, fra cui l’ex-Governatore della Dalmazia Francesco Giunta, il generale Alessadro Pirzio Biroli, Emilio Grazioli (ex Alto Commissario di Lubiana), i generali Gastone Gambara e Renato Coturri. Dal gennaio al maggio 1947 seguirono altri comunicati che portarono il numero degli indagati considerati deferibili ad un tribunale militare a un totale di ventisei.

ELENCO DEI PRESUNTI CRIMINALI DI GUERRA PROPOSTI PER IL

DEFERIMENTO ALLA GIUSTIZIA ( fonte COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SULLE CAUSE DELL’OCCULTAMENTO DI FASCICOLI RELATIVI A CRIMINI NAZIFASCISTI)

1. ROATTA Mario – Generale – ex Capo di Stato Maggiore dell’Esercito

2. BASTIANINI Giuseppe – Ambasciatore – ex Governatore della Dalmazia

3. ROBOTTI Mario – Generale – Comandante 11° Corpo d’Armata
4. MAGALDI Gherardo – Generale di Divisione – ex Comandante del settore di
Sebenico
5. SERRENTINO Vincenzo – Tenente Colonnello – Giudice Tribunale Straordinario
di Selenico – Condannato a morte e fucilato da Jugoslavi.
6. GIUNTA Francesco – ex Governatore della Dalmazia
7. ALACEVICH Giuseppe – Segretario del Fascio di Sebenico
8. ROCCHI Armando – Colonnello –
9. PIRZIO BIROLI Alessandro – Generale d’Armata – Comandante e Governatore
del Montenegro
10. GRAZIOLI Emilio – Alto Commissario per la Provincia di Lubiana
11. GAMBARA Gastone – Generale – Comandante 11° Corpo d’Armata
12. ZANI Francesco – Generale – Comandante Divisione “Ferrara”
13. COTURRI Renato – Generale Comandante 5° Corpo d’Armata
14. DAL NEGRO Luigi – Colonnello di Fanteria
15. SESTILLI Gualtiero - Tenente Colonnello dei Carabinieri – Comandante
Carabinieri Sebenico
16. BRUNELLI Roberto – Maggiore di Fanteria
17. SPITALIERI Salvatore – Maggiore di Fanteria
18. PAIS Giovanni – Maresciallo dei Carabinieri
19. VISCARDI Giuseppe – Vice Brigadiere dei Carabinieri
20. DELOGU Giuseppe – Carabiniere
21. SARTORI Giuseppe – Capo Squadra della MVSN
22. BARBERA Gaspero – Generale della Milizia e Prefetto di Zara
23. TESTA Temistocle – ex Prefetto della Provincia del Carnaro e Fiume
24. FABBRI Umberto – Generale di Brigata – Comandante 5° Raggruppamento
Guardia alla Frontiera
25. GAETANO Giuseppe – Tenente dei Carabinieri
26. RONCORONI Alfredo – Capitano – Comandante Stazione Carabinieri a Korcula
(Curzola)


Ma dopo la firma del Trattato di Pace del 1947, Roma comunicava a Londra, Parigi e Washington l’assoluta “indisponibilità” italiana a consegnare i presunti criminali di guerra alla Jugoslavia e chiedeva a ciascuna delle tre Potenze la rinuncia unilaterale. L'Italia cercherà di prendere tempo, e quando nel 1948 accadde la rottura tra la Jugoslavia e l'URSS la questione finì nel dimenticatoio, salvo per quei pochi catturati e giudicati direttamente nei paesi vittime dell’aggressione fascista e per coloro che furono processati dagli Alleati in Italia per delitti commessi contro i prigionieri di guerra. Il fatto che vi era una strategia ben chiara, ben evidenziata, a livello nazionale, dall'articolo della nuova stampa del 1945, che altro non faceva che ribadire versioni già note e prodotte da giornali locali, consistente semplicemente nell'utilizzare la questione foibe e casi singoli, come strumento per salvare i criminali di guerra italiani, per evitare che questi potessero essere processati e/o consegnati alle autorità Jugoslave, per poi giungere, come è accaduto, al nulla di fatto, all'oblio, emergerà con forza in un documento del responsabile degli Esteri, di quel tempo, datato 23 giugno 1947: “ A tale riguardo, il procuratore Generale mi ha fatto rilevare che le numerose testimonianze raccolte sono di tale natura, da fare apparire le atrocità commesse dagli Jugoslavi contro i militari italiani sotto una luce di criminalità spaventosa e senza precedenti nella storia moderna, in modo che i processi contro i presunti criminali di guerra italiani verranno a risolversi, in definitiva, nel processo contro gli jugoslavi Ho risposto che il mettere in luce le atrocità commesse dagli jugoslavi nei confronti degli italiani è uno degli scopi cui tendiamo perché in questo modo possano crearsi le premesse necessarie per rifiutare la consegna di italiani alla Jugoslavia”. Ovviamente la propaganda delle foibe è stata utilizzata, finita l'emergenza del rischio processo nei confronti dei criminali di guerra italiani, per la contesa del confine orientale.


Marco Barone
10 marzo 2015



(francais / italiano)

Islamismo o disoccupazione

1) Du Sandžak à Vienne : le parcours d’un islamiste radical des Balkans (1/12/2014)
2) A Novi Pazar, 5 000 musulmans en colère contre Charlie Hebdo (24/1/2015)
3) Kosovo, comunità islamica: “Tra i 20 e i 30 mila euro ai giovani per unirsi a Isis” (10/3/2015)


=== 1 ===


Le Courrier des Balkans

Du Sandžak à Vienne : le parcours d’un islamiste radical des Balkans


De notre correspondant à Sarajevo, lundi 1er décembre 2014
La police autrichienne a lancé vendredi 28 novembre une vaste opération anti-terroriste : parmi les 13 personnes arrêtées, figure Mirsad Omerović, alias Ebu Tejma, originaire du Sandžak de Novi Pazar, figure connue de la mosquée Altun-Alem de Vienne, carrefour des réseaux radicaux des diasporas balkaniques.

Par R.T.

Le 28 novembre, des unités spéciales Cobra de la police autrichienne faisaient irruption dans l’appartement de Mirsad Omerović, situé dans le 22e arrondissement de Vienne. Dans le même temps, douze autres personnes étaient arrêtées dans la capitale, à Graz et à Linz, dans le cadre de la vaste opération antiterroriste « Palmira ».

Mirsad Omerović, père de 5 enfants, originaire de la ville de Tutin dans le Sandjak de Novi Pazar, était plus connu sous le pseudonyme d’Ebu Tejma. Selon les informations données par les autorités autrichiennes, la veille de son arrestation il avait salué ses parents, leur indiquant son intention de se rendre en Syrie.

Omerović aka Ebu Tejma est accusé de faire partie d’un réseau terroriste qui collectait des fonds et recrutait des volontaires pour combattre dans les rangs de l’État islamique en Syrie. Il avait vécu dans la communauté salafiste de Gornja Maoča en Bosnie-Herzégovine, et il était très proche de Nusret Imamović et Bilal Bosnić, les chefs du mouvement wahhabite bosnien, eux aussi impliqués dans le recrutement de volontaires pour la jihad en Syrie.

Le nom d’Abu Tejma était sorti de l’ombre lors de la disparition de deux adolescentes autrichiennes d’origine bosniaque, Samra Kesinović (17 ans) et Sabina Selimović (15 ans). Les deux filles étaient parties en avril dernier pour aller se battre en Syrie, et leurs familles avaient immédiatement accusé Mirsad Omerović, très actif à cette époque dans la mosquée Altun-Alem de la capitale autrichienne, de les avoir subjuguées.

Omerović était un membre connu de cette « congrégation d’Altun-Alem », dirigé par son frère, connu sous le nom de Sheikh Adam. Bien connu de la police et des médias autrichiens, le groupe menait une politique active de radicalisation des musulmans d’Autriche, et on le soupçonne d’avoir organisé le départ de volontaires du djihad.


=== 2 ===


Touche pas à mon prophète : à Novi Pazar, 5 000 musulmans en colère contre Charlie Hebdo 


B92, 24 janvier 2015 - Traduit par Ph.B.
« Tout est pardonné », mais pas pour tout le monde. La Communauté islamique de Serbie n’a pas apprécié la caricature du prophète en une de Charlie Hebdo après les attentats du 7 janvier à Paris. Vendredi, 5 000 musulmans du Sandžak ont marché dans les rues de Novi Pazar à l’appel de l’imam et au nom du respect des sentiments religieux.


« Tout est pardonné », mais pas pour tout le monde. La Communauté islamique de Serbie n’a pas apprécié la caricature du prophète en une de Charlie Hebdo après les attentats du 7 janvier à Paris. Vendredi, 5 000 musulmans du Sandžak ont marché dans les rues de Novi Pazar à l’appel de l’imam et au nom du respect des sentiments religieux.

Sur une bannière en tête du cortège était écrit le nom du prophète Mahomet. « Un geste d’obéissance et d’amour », a déclaré l’imam Irfan Malić, de la Communauté islamique de Serbie, à la fin de la marche.

Qualifiant la civilisation moderne de « faillite morale et religieuse », l’imam a affirmé que « ce que faisaient les journalistes de Charlie Hebdo en disait long sur eux-mêmes ».

« Nous ne touchons pas ce qui est sacré chez les autres. Nous respectons Jésus, Moïse et tous les autres envoyés de Dieu », a souligné l’imam. « Les musulmans du Sandžak se sentent moralement obligés de sortir aujourd’hui pour dire que chacun d’entre eux donnerait sa vie pour Mahomet. »

Irfan Malić a décrit les attentats de Paris comme « un assassinat », plutôt qu’une attaque terroriste. « Les musulmans ne sont pas des terroristes et n’ont rien à voir avec le terrorisme, même si ceux qui ont commandé les caricatures sont à blâmer pour les assassinats de Paris, car ils ont insulté 1,5 milliard de musulmans. »

« Si un, deux ou trois [individus] ont réagi, ils doivent être jugés, s’ils sont coupables [...] Ne blâmez pas l’islam et tous les musulmans. »

Le rassemblement a duré une heure et demie. « Plus on utilise le prophète dans un tel contexte, plus l’islam se renforcera », a averti l’imam.

Plus tôt dans la journée, le mufti de Serbie (et rival) Muhamed Jusufspahić avait de son côté fermement condamné les actions de l’État islamique.


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http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/03/10/kosovo-comunita-islamica-i-20-i-30-mila-euro-nostri-giovani-per-unirsi-isis/1494638/

Kosovo, comunità islamica: “Tra i 20 e i 30 mila euro ai giovani per unirsi a Isis”



E' la cifra fornita da Resul Rexhepi, segretario della comunità musulmana, al quotidiano di Pristina "Bota sot". Il salario medio nel Paese non supera i 200 euro mensili e la disoccupazione giovanile si attesta al 55%: una situazione questa nella quale l’estremismo islamico ha facilmente attecchito, attirando un gran numero di adepti

di F. Q. | 10 marzo 2015


Tra i 20 e i 30 mila euro. E’ quanto viene offerto ai giovani disoccupati kosovari per sposare la causa dello Stato Islamico e andare a combattere in Siria e Iraq. A sostenerlo è il segretario della comunità islamica in Kosovo Resul Rexhepi, citato dal quotidiano di Pristina Bota sot.

Secondo Rexhepi, la precaria situazione economica e l’alto tasso di disoccupazione hanno contribuito in larga misura alla radicalizzazione di un gran numero di giovani kosovari. Il salario medio in Kosovo non supera i 200 euro mensili e la disoccupazione giovanile si attesta al 55%. Una situazione questa nella quale l’estremismo islamico ha facilmente attecchito, attirando un gran numero di adepti. I circa due milioni di abitanti del Kosovo – proclamatosi indipendente dalla Serbia il 17 febbraio 2008 – sono a larghissima maggioranza (più del 90%) di etnia albanese e religione musulmana [a seguito delle politiche di pulizia etnica e apartheid praticate congiuntamente da UCK e NATO sul territorio, ndCNJ].

Negli ultimi mesi si registra in Kosovo un esodo di massa, con decine di migliaia di persone che lasciano il Paese alla ricerca di lavoro e migliori condizioni di vita in stati Ue del nord Europa, a cominciare da AustriaGermania, Svezia e Francia.







(english / italiano)

Escalation bellica degli USA in Ucraina

0) LINKS E BREVI
1) L’Ucraina e la NATO-USA Connection – di Antonio Mazzeo (6/3/2015)
2) US military to train Kiev troops fighting in E. Ukraine – US Army commander (11/2/2015)
3) Arrestato l'assistente di Nuland / Victoria Nuland’s assistant arrested in Germany (7/2/2015)
4) Sergej Lavrov: nel mondo vi sono tre minacce: Ebola, Isis e USA (28/12/2014)
5) FLASHBACK: Novembre 2013, “Gli USA stanno organizzando un golpe a Kiev”


=== 0: LINKS E BREVI ===

Picchetto organizzato dal Komsomol sotto l'ambasciata USA a Kiev
Fonte: pagina FB "Con l'Ucraina antifascista", 12/11/2014
https://www.facebook.com/ucrainaantifascista/posts/724160930998497
I comunisti hanno svolto un presidio sotto l'ambasciata statunitense per denunciare l'appoggio dato dagli USA ai fascisti e ai golpisti ucraini. I manifestanti hanno denunciato la presenza di istruttori e mercenari che agiscono sia nel Donbass che nel resto del paese nonché i finanziamenti provenienti dagli USA ai partiti e alle bande paramilitari. 
I comunisti ucraini hanno anche denunciato l'aggressione (politica, economica e anche militare) contro la Russia, la Siria, Cuba e altri paesi sovrani, arrivando a sponsorizzare organizzazioni terroristiche come il cosiddetto "Stato Islamico".

‘If US sends weapons to Ukraine, Russia should send troops’ - Mikhail Yemelyanov (December 12, 2014)
Former US firm Blackwater to train Ukrainian military for street fighting — source (December 30, 2014)
(Mercenari Usa per addestrare le truppe ucraine
La società di contractors Academi, erede della Blackwater addestrerà le truppe del regime di Kiev…
Fonte: http://tass.ru/en/world/770048 - segnalato dalla pagina FB « Fort Rus »)

L'Ucraina è roba loro
Fonte: pagina FB "Comitato per il Donbass Antinazista", 23/1/2014
https://www.facebook.com/1464626327135220/photos/a.1464626383801881.1073741825.1464626327135220/1545857319012120/?type=1 
Soldati statunitensi saranno dispiegati nell'Ucraina ovest per addestrare la Guardia Nazionale, riferisce il comandante delle forze statunitensi in Europa, durante una conferenza a Kiev. Il numero preciso di soldati sul suolo ucraino deve essere ancora stabilito, dice il Tenente Generale Ben Hodges.
Gli Stati Uniti sono pronti a spendere 19 milioni di dollari per questo progetto. Soldi che arriveranno dal Global Security Contingency Fund, richiesto dall'amministrazione Obama.
Washington ha anche accettato di finanziare la produzione dei veicoli ucraini SRM-1 Kozak al prezzo di 189.000 dollari l'uno. Il primo prototipo del Kozak è già stato consegnato lunedì. Il veicolo blindato ha il fondo a V, una funzione anti-mina, particolarità costruita dalla italiana Iveco. 

Source: Lieutenant General Ben Hodges. Ukraine Crisis Media Center, 21st of January 2015
VIDEO: http://www.youtube.com/watch?v=GogTq_h2-Q8

Un generale USA ha ha decorato un soldato ucraino per la guerra nel Donbass ... con un gettone (23/1/2015)

Soldati Usa in Ucraina (Il Giornale, 27/1/2015)
Mariupol, una giovane reporter ucraina vede un soldato che indossa una regolare divisa ucraina e gli chiede: "Che cosa è successo qui? Mi dica!". La risposta però è davvero strana: "Out of my face, please"...

I parà della Ederle spediti in Ucraina (27.01.2015)
Partenza prevista in primavera In arrivo altri 3 mila soldati «Mosca nega ma sappiamo che ha fornito cannoni, droni e razzi»
VICENZA. I soldati e i carri armati americani ai confini dell'Est Europa. Che succede, torna l'ombra della Guerra Fredda? Torna. Anzi, una guerra vera. Quella combattuta a colpi di razzi e artiglieria pesante dentro l'Europa. E così anche le basi Usa di Vicenza riprendono il loro posto in prima linea: dopo le spedizioni in Iraq, Afghanistan e Africa i paracadutisti della 173esima brigata di Ederle e Dal Din andranno in Ucraina. Vicino alle zone dove da un anno si fronteggiano in quella che è diventata una guerra vera e propria i separatisti filo-russi con l'esercito nazionale. 
Insomma appena il tempo di notare che la strategia militare americana in Europa stava cambiando, che sono arrivate le conferme. E direttamente dal comandante delle forze armate Usa in Europa, il generale Ben Hodges. Che ha spiegato senza tanti giri di parole che adesso l'ex confine della Cortina di ferro demolito nel 1989 torna ad essere la zona calda. Dove bisogna «frenare l'aggressione russa, rassicurare gli alleati a est e rinforzare la partnership con le altre forze armate». (...)

http://www.ilgiornaledivicenza.it/stories/446_vicenza/1033068_i_par_della_ederle_spediti_in_ucraina/

Gli Usa puntano ad armare Kiev, vicini a una guerra per l’Ucraina? (di Luigi Ippolito, 2 febbraio 2015)
I ribelli filorussi vogliono ripristinare la leva obbligatoria per avere altri 100mila miliziani da lanciare al fronte. E la diplomazia sembra ormai scavalcata dalle armi...
http://www.corriere.it/esteri/15_febbraio_02/gli-usa-puntano-ad-armare-kiev-guerra-ucraina-l-escalation-d792d302-aacf-11e4-87bf-b41fb662438c.shtml

L’esercito ucraino riceve carri armati dalla NATO? (Steven Laack, Indymedia, 02/02/2015)
Orig.: AN-225 Mriya: NATO tanks for Ukraine? (Steven Laack | 02.02.2015)

Dollari e mercenari: gli Usa spingono Kiev alla guerra (lunedì 2 febbraio 2015)
"Consiglieri" americano, fondi per riarmarsi e mercenari della "Blackwater": cosi' Kiev si prepara a sferrare un attacco alle regioni orientali che prelude alla pulizia etnica...
http://www.globalist.it/Detail_News_Display?ID=68757&typeb=0&Dollari-e-mercenari-gli-Usa-spingono-Kiev-alla-guerra

L'America va in guerra contro la Russia (con i suoi soldi e le pelli degli europei) (di Giulietto Chiesa, 4 febbraio 2015 - da ilfattoquotidiano.it)
Ucraina: vincere contro "l'aggressione" della Russia. Nessun accenno a nessun negoziato. O la va o la spacca. Con una chiara predilezione per "la spacca"... 
http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=115503&typeb=0&L-America-va-in-guerra-contro-la-Russia-con-i-suoi-soldi-e-le-pelli-degli-europei-

L'esercito degli Stati Uniti alla ricerca di personale che parla "ucraino"
Fonte: pagina FB "Fort Rus", 4/2/2015
https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=774094129326756&id=725233754212794
La "Army Recruiting Company" di Dallas, società che si occupa di fare selezione del personale per conto delle forze armate statunitensi, ha pubblicato il seguente annuncio:
"Siamo alla ricerca di persone che parlino la lingua ucraina e che possano lavorare per l'esercito". Continua quindi in maniera spedita l'occupazione americana dell'Ucraina. I padroni di tutte le galassie hanno bisogno di personale che possa andare nel Donbass a dare una mano ai "bravi ragazzi" degli squadroni della morte di Poroshenko e Kolomoysky. Farebbero comunque meglio a cercare del personale che parli la lingua russa, che resta di gran lunga la lingua più parlata in Ucraina. (Bes)

https://www.facebook.com/armyrecruiting.dallascompany
  
US Won't Let EU Solve Ukraine Crisis Peacefully 
http://russia-insider.com/en/2015/02/11/3358

Tank Nato al confine con Mosca, Londra invia consiglieri militari a Kiev (di Marco Santopadre, 26 Febbraio 2015)
http://contropiano.org/internazionale/item/29374-tank-nato-al-confine-con-mosca-londra-invia-consiglieri-militari-a-kiev

Il capo di stato maggiore della Difesa USA: "E’ giunta l’ora di armare l’Ucraina" (4/3/2015)
http://it.sputniknews.com/mondo/20150304/72165.html

In arrivo 300 militari USA in Ucraina (5/3/2015)
http://it.sputniknews.com/politica/20150305/77157.html


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http://www.marx21.it/internazionale/pace-e-guerra/25260-lucraina-e-la-nato-usa-connection.html

L’Ucraina e la NATO-USA Connection

6 Marzo 2015

di Antonio Mazzeo

Intervento all’incontro-dibattito “USA – NATO – Unione Europea: La crisi ucraina e la ricostruzione del movimento contro la guerra”, Roma, 6 marzo 2015

Per sostenere e “difendere” il regime fascista di Kiev, l’amministrazione Obama e il complesso militare-finanziario-industriale degli Stati Uniti d’America sono pronti a utilizzare i più micidiali strumenti di guerra. A metà febbraio, Washington ha ribadito le proprie intenzioni belliche di fronte ai partner europei e alla Russia di Putin, rischierando a Spangdahlem (Germania) dodici aerei da attacco al suolo A-10 Thunderbolt II e 300 aviatori del 355th Fighter Wing dell’US Air Force, provenienti dalla base aerea di Davis-Monthan (Arizona). I sofisticati velivoli hanno disseminato morte e distruzione in Afghanistan, Iraq e Libia: sono armati con cannoni lunghi più di sei metri, i GAU-8/ “Avenger” (vendicatori), in grado di sparare fino a 4.200 colpi al minuto. I proiettili di 30 centimetri contengono ognuno 300 grammi di uranio impoverito e riescono a perforare facilmente blindati e carri armati. “I Thunderbolt opereranno per i prossimi sei mesi congiuntamente ad altri velivoli da guerra della Nato principalmente lungo le frontiere di Russia, Lituania, Estonia, Romania e Bulgaria, ma potranno essere impiegati in caso di crisi anche nel continente africano”, ha dichiarato il Dipartimento della difesa Usa.

Il trasferimento in Europa degli A-10 dell’US Air Force è stato deciso nel quadro della cosiddetta “Operation Atlantic Resolve”, la missione militare avviata dal Pentagono dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina, e rientra nel Theater Security Package (TSP), il piano di sicurezza e di “difesa attiva” che prevede la predisposizione di reparti di pronto intervento nelle aree del pianeta ritenute “sensibili”. “Atlantic Resolve è un’ulteriore dimostrazione della volontà degli Stati Uniti di contribuire alla scurezza collettiva della Nato e supportare i nostri partner in Europa orientale, alla luce dell’odierno intervento russo in Ucraina”, ha riferito il generale Ben Hodges, comandante dell’Esercito americano in Europa (USAREUR, US Army Europe).

Il piano statunitense di rafforzamento della propria presenza militare in funzione anti-Russia prevede pure che ad aprile un imprecisato numero di cacciabombardieri F-15C “Eagles” siano trasferiti dagli Stati Uniti in alcune basi europee, sino ad oggi top secret. Sempre nel quadro dell’operazione “Atlantic Resolve”, lo scorso mese di gennaio 75 velivoli da combattimento “Stryker” del 2° Reggimento di Cavalleria di US Army sono stati schierati in alcuni paesi dell’est Europa per partecipare a una serie di esercitazioni con le forze terrestri dei partner Nato. Contemporaneamente, un centinaio di militari della IV Divisione di Fanteria dell’esercito Usa di stanza a Fort Carson (Colorado) sono giunti in Germania per coordinare in ambito alleato le operazioni terrestri di “contenimento” della Russia sul fronte orientale. A partire dal mese di marzo, oltre 3.000 militari del 1st Heavy Brigade Combat Team, della 3rd Combat Aviation Brigade, della Divisione d’artiglieria e della 3rd Infantry Division saranno distaccati per non meno di tre mesi in Germania, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania e Bulgaria. “Grazie a queste unità, il numero delle esercitazioni con i nostri alleati nel quadro di Atlantic Resolve aumenterà del 60% nel 2015”, ha spiegato il generale Tom Jones, vicecomandante dell’US Air Force in Europa.

Nel 2014, il personale Usa assegnato alle basi dell’Europa orientale è cresciuto di 3.000 unità, sommandosi così ai circa 67.000 militari già presenti nel continente. In particolare, più di 400 tra militari e dipendenti civili statunitensi sono giunti nella base di Mihail Kogalniceanu, Romania, elevata a vero e proprio hub aereo per il transito delle forze aeree Usa e Nato. Sempre in Romania si alternano 200 Marines Usa per partecipare ad esercitazioni e interventi marittimi nel Mar Nero, nell’ambito della Black Sea Rotational Force 14 di US Navy, attivata nel settembre 2014. Sei caccia F-15C e 150 avieri dell’US Air Force sono stati trasferiti nel marzo 2014 in Lituania dalla base britannica di Lakenheath per partecipare alla Baltic Air Patrol, la missione Nato di pattugliamento e sorveglianza dello spazio aereo delle Repubbliche baltiche e dell’Ucraina. Team dell’aeronautica statunitense si addestrano a rotazione in Polonia dove dal novembre 2012 è attivo un piccolo distaccamento aereo, la prima presenza in pianta stabile di personale Usa in territorio polacco. Sempre in questo paese sono periodicamente rischiarati i cacciabombardieri F-16 a capacità nucleare provenienti dalla base Italiana di Aviano (Pordenone) e i velivoli cargo C-130 “Hercules” impiegati in esercitazioni congiunte con le forze armate polacche. Dal prossimo mese di aprile, altri tre velivoli C-130 e un centinaio di avieri provenienti dalla grande base tedesca di Ramstein giungeranno nello scalo aereo di Powidz. Il 24 luglio 2014, il Comandante supremo delle forze Nato e Usa in Europa, generale Philip Breedlove, ha chiesto al Pentagono di realizzare in Polonia un deposito dove stoccare armi, munizioni ed equipaggiamenti militari “per supportare il rapido dislocamento di migliaia di militari contro la Russia”. Come se non bastasse, il governo polacco ha formalmente chiesto a Washington di trasferire stabilmente in Polonia perlomeno un gruppo di volo con cacciabombardieri F-16 di stanza oggi in Italia.

L’escalation militare statunitense in Ucraina

Ovviamente lo scoppio del conflitto in Crimea e nell’Ucraina orientale è stato utilizzato pretestuosamente da Washington per rafforzare la propria presenza militare nel martoriato paese europeo. L’escalation è stata rapida ed inarrestabile: prima sono giunti “consiglieri” e contractor, poi i parà, le forze speciali e i mezzi corazzati. Nel giugno 2014, un gruppo di ufficiali Usa sono stati inviati a Kiev per collaborare con le forze armate locali nella realizzazione “a medio e lungo termine” della “riforma del sistema difensivo ucraino”. Qualche mese dopo, gli uomini di vertice del Pentagono si sono incontrati con i generali ucraini per discutere “le modalità con cui gli Stati Uniti possono rafforzare la cooperazione militare e aiutare l’Ucraina a potenziare le proprie forze armate”, come riportato dal Dipartimento della difesa. Poi, a settembre, duecento paracadutisti della 173^ Brigata Aviotrasportata dell’esercito Usa di stanza a Vicenza, hanno raggiunto Yavoriv (nelle vicinanze di Lviv, a 50 km circa dal confine con la Polonia), per partecipare all’esercitazione multinazionale “Rapid Trident”, la prima in territorio ucraino dopo la crisi politico-militare in Crimea, insieme a più di 1.100 militari provenienti da 14 paesi (Ucraina, Azerbaijan, Bulgaria, Canada, Georgia, Germania, Gran Bretagna, Lettonia, Lituania, Moldavia, Norvegia, Polonia, Romania e Spagna). “Nel corso di Rapid Trident sono state eseguite operazioni di peacekeeping, trasporto mezzi, pattugliamento, individuazione e disattivazione di materiale esplodente”, ha riferito il portavoce del Pentagono, colonnello Steve Warren. “L’esercitazione ha contribuito a promuovere la stabilità e la sicurezza regionale, rafforzare la partnership con gli alleati e migliorare l’interoperabilità tra il Comando delle forze Usa in Europa USAREUR, le unità terrestri dell’Ucraina e gli altri paesi Nato”. Ancora nel grande centro di addestramento di Yavariv (uno dei più grandi d’Europa, con una superficie di 425 Km2), tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015, una squadra di specialisti del “Tobyhanna Army Depot” (Pennsylvania) - il principale centro logistico del Dipartimento della difesa per la gestione dei sistemi elettronici - ha addestrato i militari ucraini all’uso del nuovo sistema radar LCMR (Lightweight Counter Mortar Radar) AN/TPQ-48/5, in grado di individuare le provenienza dei tiri di artiglieria, mortai e razzi e indirizzare il tiro di contro-batteria. Secondo fonti stampa statunitensi, il Pentagono avrebbe fornito alle forze armate ucraine una ventina di esemplari di questo sistema radar.

Subito dopo la visita ufficiale a Kiev del generale Usa-Nato Phil Breedlove (26 e 27 novembre 2014), una dozzina di medici dell’Air Force Special Operations Command Europe (SOCEUR) di Stoccarda hanno raggiunto Khmelnytskyi, nell’Ucraina occidentale, per formare più di 600 dipendenti del ministero della difesa ucraino alle procedure mediche da seguire nei campi di battaglia. Il personale di SOCEUR, proveniente dall’US Army 1st Battalion, dal 10th Special Forces Group, dall’Air Force 352nd Special Operations Group e dalla Naval Special Warfare Unit 2, collabora oggi anche con l’organizzazione non governativa “Patriot Defense” che conduce corsi di formazione a favore delle forze armate ucraine e della famigerata Guardia nazionale. Le unità della Guardia nazionale, comprendenti non meno di 45-50.000 “volontari”, sono state costituite dal governo di Kiev nel marzo 2014 con un primo finanziamento Usa di 19 milioni di dollari e hanno incorporato le formazioni neonaziste Donbass, Azov, Aidar, Dnepr-1 e Dnepr-2, già addestrate nel 2006 da istruttori Nato in Estonia e poi utilizzate per il colpo di stato in Ucraina e le pulizie etniche contro le popolazioni di lingua russa. Il comandante di US Army Europe, gen. Ben Hodges, ha annunciato che entro la fine del mese di marzo 600 paracadutisti circa della 173^ Brigata di fanteria aviotrasportata di Vicenza saranno inviati al centro di Yavariv per addestrare tre battaglioni del Ministero dell’Interno. “Questa nuova missione in Ucraina serve a rimarcare l’impegno Usa per la sicurezza del Mar Nero”, ha spiegato Hodges. “I nostri paracadutisti avranno il compito di preparare le forze armate ucraine a difendersi dall’artiglieria e dai razzi dei Russi e dei ribelli e interverranno pure nella messa in sicurezza di strade, ponti e infrastrutture”.

Contemporaneamente al potenziamento del dispositivo militare Usa in Ucraina, sono aumentati a dismisura gli “aiuti militari” e le consegne di armamenti pesanti al governo di Kiev. Il primo massiccio stanziamento finanziario risale al marzo 2014 (23 milioni di dollari), con il “piano di assistenza alla difesa delle frontiere ucraine contro le provocazioni delle forze armate russe e le violenze fomentate dai ribelli filo-russi”, come riferito dal Pentagono. Successivamente, Washington ha approvato ulteriori stanziamenti a favore delle forze armate ucraine per 5 milioni di dollari in giubbotti antiproiettili, visori notturni, caschi protettivi, dispositivi robot anti-esplosivi, kit sanitari e equipaggiamenti per le telecomunicazioni. Altre attrezzature “non letali” (sistemi d’allarme, vestiario, escavatori, camion, generatori elettrici, apparecchiature radio, ecc.) sono state assegnate invece alla neo-costituita Guardia statale di protezione delle frontiere.

Secondo quanto rivelato a fine gennaio dal New York Times, l’amministrazione Obama si prepara a fornire “aiuti militari” all’Ucraina per più di 3 miliardi di dollari nel triennio 2015-2017: tra essi spiccherebbero missili anti-tank, lanciamissili anti-blindati, radar, velivoli a pilotaggio remoto (UAV), contromisure elettroniche anti UAV, blindati “Humvees”, ecc. Agli ucraini verrebbero fornite inoltre armi e munizioni prodotte nell’ex Unione Sovietica, attualmente stoccate in un deposito della CIA in North Carolina. All’estensione del programma di riarmo hanno collaborato alcuni “assistenti esterni” dell’amministrazione Obama, come il generale in pensione Michèle Flournoy e l’(ex) ammiraglio James Stavridis, già Comandante delle forze armate Usa e Nato in Europa.

L’Ucraina è sempre più Nato

Le relazioni politiche-militari tra le autorità di Kiev e gli alti comandi della Nato si sono fatte sempre più strette a partire del 2002, anno in cui fu adottato il cosiddetto “Piano di azione Nato-Ucraina” e l’allora presidente Kuchma annunciò l’intenzione di aderire all’Alleanza Atlantica. Nel 2005, il presidente “arancione” Yushchenko fu ufficialmente invitato a partecipare al summit alleato di Bruxelles che lanciò un “dialogo intensificato” Nato-Ucraina e, tre anni più tardi, il vertice interalleato di Bucarest si espresse favorevolmente all’ingresso dell’Ucraina nella Nato. Nel 2009 le autorità ucraine firmarono un accordo che consentì il transito terrestre nel paese di mezzi e rifornimenti per le forze Nato in Afghanistan, mentre gli uomini guida delle forze armate ucraine furono ammessi a partecipare ai corsi del Nato Defense College a Roma e Oberammergau (Germania). Sempre in vista dell’integrazione delle forze armate ucraine con quelle Nato, presso l’Accademia militare di Kiev è stata poi istituita una “facoltà multinazionale” con docenti Nato. Con lo scoppio del conflitto in Crimea, il governo ucraino ha deciso di accelerare l’iter di adesione all’Alleanza atlantica: il 24 dicembre 2014, il Parlamento ha approvato la proposta di legge del presidente Petro Poroshenko con cui l’Ucraina rinuncia unilateralmente allo status di Paese non allineato e formalizza la richiesta di ingresso nella Nato.

Secondo fonti giornalistiche indipendenti, in questi mesi Bruxelles starebbe inviando in Ucraina carichi di armi, consiglieri militari ed “esperti in contro-insorgenza” in vista di un attacco in grande scala che le forze armate e i gruppi paramilitari locali intenderebbero sferrare in primavera a Donbas. Con le linee strategiche anti-russe approvate al vertice dei ministri della difesa della Nato tenutosi in Galles nel settembre 2014, si è deciso di raddoppiare i fondi annuali a favore dell’Ucraina del cosiddetto NATO Science for Peace and Security (SPS) Programme, il programma interalleato di cooperazione e formazione sui temi della “difesa” contro gli agenti chimici, biologici e nucleari e delle cyber war. Nel corso della sua visita a Kiev il 20 e 21 novembre 2014, il generale Bartels, presidente del Nato Military Committee, ha reso noto che saranno messi a disposizione dell’Ucraina i NATO Trusts Funds per coprire finanziariamente le spese per la formazione e l’assistenza del personale militare nei settori C3 (comando, controllo e comunicazioni), della logistica, della cyber defence e della riabilitazione del personale ferito in combattimento. A fine dicembre, nell’ambito del Defence Education Enhancement Programme (DEEP), un team di esperti militari Nato provenienti da Canada, Repubblica ceca, Lituania, Polonia e Stati Uniti ha dato vita a Kiev a una serie di corsi di formazione finalizzati ad accrescere l’interoperabilità dei reparti e dei mezzi da guerra ucraini con quelli delle forze armate alleate.

Una punta di lancia Nato contro Mosca

Sempre in occasione dell’ultimo vertice dei ministri della Nato in Galles è stato approvato all’unanimità il piano che modifica le azioni d’intervento ai confini meridionali e orientali dell’Alleanza e triplica il numero dei militari assegnati alla Response Force (NRF), la Forza congiunta di rapido intervento che così potrà disporre di 30.000 uomini. Prima dell’estate saranno definiti i dettagli logistici per il potenziamento della task force, mentre la piena operatività sarà raggiunta solo dopo il vertice Nato di Varsavia previsto nel giugno 2016. Sei i paesi che guideranno a rotazione la Response Force: Germania, Italia, Francia, Gran Bretagna, Polonia e Spagna. Corpo d’élite della nuova NRF sarà la brigata di terra Spearhead (punta di lancia) con 5.000 militari circa e che sarà supportata da forze aeree e navali speciali e, in caso di crisi maggiori, da due altre brigate con capacità di dispiegamento rapido. “Al fine di garantirne la massima prontezza operativa, la task force si avvarrà di sei nuovi centri di comando e controllo dislocati in Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia e Romania”, ha annunciato il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. “Se esploderà una crisi, questi centri assicureranno che le forze nazionali e Nato, ovunque si trovino, possano agire subito. Essi renderanno ancora più rapidi i dispiegamenti, supporteranno la difesa collettiva e aiuteranno a coordinare l’addestramento e le esercitazioni”.

“L’Italia assicurerà il proprio supporto al processo di implementazione del Readiness Action Plan (RAP), il piano di risposta operativa della Nato, nella certezza che garantirà all’Alleanza un insieme di strumenti idonei a rafforzare la cornice di sicurezza globale, soprattutto in risposta alle minacce derivanti dalla crisi tra Russia e Ucraina ed a quelle provenienti dall’area mediorientale e del Nord Africa”, ha dichiarato poche settimane fa la ministra Roberta Pinotti. All’Italia, in particolare, è stato chiesto di ricoprire il ruolo di Framework Nation per la costituzione della forza congiunta di pronto intervento basata sulla brigata Spearhead. Inoltre, al nostro paese è stato assegnato dall’1 gennaio 2015 - e sino alla fine d’agosto - il comando della Baltic Air Patrol, la missione Nato di pattugliamento dei cieli delle Repubbliche baltiche avviata nel 2004 e che dopo lo scoppio della crisi ucraina ha visto quadruplicare il numero dei velivoli e dei militari impegnati. Per le operazioni aeree anti-russe, l’Italia ha messo a disposizione quattro caccia multiruolo Eurofighter “Typhoon”, rischierati nell’aeroporto militare di Šiauliai, in Lituania. Al comando italiano della BAP sono stati assegnati anche quattro caccia Mig-29 delle forme armate polacche schierati a Šiauliai, quattro Eurofighter spagnoli di base nell’aeroporto di Amari (Estonia) e quattro cacciabombardieri belgi F-16 a Malbork (Polonia).

“In Ucraina è in gioco la sicurezza dell’Europa e degli Stati Uniti d’America e per questo dobbiamo rafforzare in questo paese il nostro ruolo e la nostra presenza militare”, ha dichiarato il 25 febbraio scorso il generale Philip Breedlove nel corso di un’audizione al Comitato per le forze armate del Congresso degli Stati Uniti d’America. “Non sappiamo cosa farà alla fine Putin, ma dobbiamo prepararci al peggio. Le forze russe continuano ad operare sul campo in Ucraina, fornendo sostegno diretto ai separatisti. Mosca ha inoltre inviato più di 1.000 pezzi di armi pesanti, come carri armati e sistemi d’artiglieria e di difesa aerea. L’aggressione della Russia non è solo contro l’Ucraina ma riguarda altri stati ex-URSS come la Moldavia, dove le forze armate russe sono presenti nella conflittuale regione del Trans-Dniester”. Così l’Europa torna a sentire le odi alla guerra totale.


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http://rt.com/news/231439-ukraine-us-army-training/

US military to train Kiev troops fighting in E. Ukraine – US Army commander

Published time: February 11, 2015

The US military will train Kiev troops fighting against militias in southeast Ukraine, Ben Hodges, US Army Europe commander, said hours before the start of “Normandy Four” talks dubbed a “last chance” for the peaceful resolution of the conflict.
The training, which is scheduled to kick off in March, will see a battalion of American troops training three battalions of Ukrainians, he said.
“We’ll train them in security tasks, medical [tasks], how to operate in an environment where the Russians are jamming [communications] and how to protect [themselves] from Russian and rebel artillery," Hodges was cited as saying by Reuters.
Hodges’ recent statement echoes a similar announcement he made in Kiev in January. At the time, he did not provide information on the numbers of US troops participating.

READ MORE: American instructors to train Ukrainian troops this spring – US general
http://rt.com/usa/225499-us-military-instructors-ukraine/

Previously, the Pentagon said that the US military training would be provided to 600 members of the Ukrainian National Guard, The Washington Post reported.
The officers from the 173rd Airborne Brigade Combat Team in northeast Italy will be deployed to Ukraine as part of the plan, said Pentagon spokeswoman Lt. Col. Vanessa Hillman.
According to Hillman, the military aid requested by the Kiev authorities was to help the formation and strengthening of the National Guard, which Kiev launched shortly after the coup in February 2014.

READ MORE: US to boost European contingent with 3,000 troops, 150 tanks in 2015 – report
http://rt.com/news/221471-us-tanks-troops-europe/

The March training will be held at the 40,000-square km Yavoriv Training site close to the Polish-Ukrainian border. This is the largest military firing range in Europe, near the western Ukrainian city of Lvov.
A delegation of US Army instructors has already arrived in Kiev to discuss the details of the program with the Ukrainian military officials and examine the training sights, LifeNews reports.
The Donbass volunteer battalion will be one of the first to get US military training, Semyon Semenchenko, the unit’s commander, wrote on social networks.
The National Guard troops will be exercising according to “the traditional training systems of the US Navy Seals and Delta Force,” Semenchenko said.
Since the fighting began in southeast Ukraine, the National Guard has been repeatedly accused of war crimes, including deliberate artillery fire at residential areas in the Donetsk and Lugansk Regions, and of blocking humanitarian aid for the regions.
Last September, an Amnesty International report confirmed that abductions, executions and extortion had been committed by the Aidar volunteer battalion.

READ MORE: Crimes of Ukrainian Aidar battalion confirmed in Amnesty Int’l report – Russia
http://rt.com/news/186576-ukraine-battalion-war-crimes/

Earlier this week, Obama said that the US was also examining the possibility of supplying “lethal defensive weapons” to the Kiev authorities.
The plan is opposed by both Russia and the EU, who agree that there can be no military solution to the Ukrainian crisis.
The leaders of the “Normandy Four” (Russia, Germany, France and Ukraine) are holding a meeting in Minsk, Belarus on Wednesday in an effort to restart the peace process to end the conflict in southeast Ukraine.
According to sources, the talks will center around the creation of a demilitarized zone, the withdrawal of heavy weaponry, and the initiation of dialogue between Kiev and the rebels.

READ MORE: 'Normandy 4' Ukraine peace talks in Minsk
http://rt.com/news/231327-minsk-peace-talks-updates/

The Ukraine conflict began last April, when Kiev sent regular forces and volunteer battalions to the southeastern Donetsk and Lugansk Regions, after rebels there refused to recognize the country’s new, coup-imposed authorities. The civil war has so far claimed the lives of at least 5,300 people, according to UN estimates.


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http://comunicati.russia.it/arrestato-l-assistente-di-nuland.html

9/2/2015

ARRESTATO L’ASSISTENTE DI NULAND

In Germania è stato arrestato l'assistente di Victoria Nuland (la famosa distributrice dei biscotti a Majdan), il collaboratore del Vanguard Corporation, con un miliardo dei dollari falsi di ottima qualità. I dollari sono stati stampati nella Vanguard Corporation. Questo uomo lavora anche nel Dipartimento di Stato USA e durante l’interrogatorio in Germania ha nominato la Vanguard Corporation, la Nuland, Mc Caine, Kerry, Brennan ed altri. Ha confessato che con i miliardi di dollari falsi la Vanguard Corporation ha pagato i mercenari in Siria, Iraq, Ucraina, Libia etc. Ha pagato anche ai mercenari della “Greyston”e l’ISIS. Lui ha confermato che esiste il business del petrolio tra la Vanguard Corporation e l’ISIS.

Ha detto: nel febbraio 2014 la situazione in Ucraina è diventata critica, perché il potere non poteva pagare alla Russia il gas con i nuovi prezzi. La UE e soprattutto la Germania ha cercato di fare l'arbitro tra l'Ucraina e la Russia. Quindi “quella txxxa della Susan Rice” ha passato l'ordine direttamente alla Nuland affinchè i cecchini “devono creare un po’ di panico” a Kiev. Il giorno dopo l'Ucraina aveva già insediato il “nuovo governo”, “eletto” sopratutto da Nuland e McCaine, rappresentanti del National Republican Institute. Quando l'amministrazione USA ha dichiarato che i cecchini erano stati preparati dalla NATO in Polonia e tutta l'operazione del cambiamento del potere a Kiev era stata organizzata dalla Vanguard, CIA e Dipartimento di Stato USA, Obama ha avuto quasi un infarto.

Ora Obama ha capito anche lui che Poroshenko è stato usato solo come una marionette nel teatro sanguinario. All’inizio gli idioti nazisti ucraini dovevano massacrare tante donne e bambini per fare intervenire Putin nella guerra. Ma da come si sviluppa la situazione si capisce, che si può insegnare ad un animale a sparare, ma non a ragionare. A proposito, quando il 18 maggio 2014 le “forze ucraine” hanno attaccato Slaviansk, 19 agenti di CIA e dell’FBI sono rimasti uccisi e feriti. La “Greystone” ha perso 17 persone, “Akademi”59."

In realtà gli agenti dell’FBI erano gli uomini di Vanguard. Con i documenti ucraini falsi (saluti a Poroshenko con i passaporti russi in mano) potevano dare gli ordini a tutti i poliziotti ucraini. L’uomo arrestato ha detto che i massacri maggiori e terribili in Ucraina sono stati organizzati da “Vanguard Corporation” e “Greystone”. Lui anche ha detto che lui di persona “ha collaborato” con Kolomojskij  (il macellaio di Odessa del 2 maggio) e che la banca di Kolomoyskij “Privatbank” ha distribuito i dollari falsi per tutta l'Ucraina.
I tedeschi hanno promesso libertà e asilo a quest’uomo se lui racconterà tutto che sa. Oltre a ciò due altri collaboratori della “Vanguard Corporation” hanno rubato milioni di dollari falsi e volevano fare finta di essere stati catturati, torturati e feriti dalla polizia della Novorossija. Ma “Greystone” e “Vanguard Corporation” hanno ucciso uno di loro ed l’altro è stato portato a Londra, in una loro clinica, per “le cure mediche” e successivamente dichiarato morto di infarto. La moglie, una persona famosa e pubblica, adesso ha fornito informazioni ai servizi segreti importanti e ricatta la “Vanguard Corporation”.

Fonti: 
https://www.facebook.com/tatyana.moiseeva.39/posts/10202262848773177

http://benjaminfulford.net/2015/02/07/breaking-news-from-my-russian-sources/

Breaking news from my Russian sources

by Benjamin Fulford
February 7, 2015

Germans have arrested Victoria Nuland’s assistant, who in addition, is an employee of Vanguard Corporation, with almost a billion of high quality fake dollars, printed by Vanguard Corporation. This employee (is a member of the State Department), and now, during his interrogations, he “put under bus” Vanguard Corporation with all of its companies and “putting under bus” Nuland, McCain, Kerry, Brennan and others…
He testified how the Vanguard Corporation has printed billions of high quality fake dollars and paid to mercenaries in Syria, Iraq, Ukraine, Libya, etc and paid mercenaries of Greystone and ISIS. He testifies about connections and oil deals between Vanguard Corporation and ISIS.
He said,
In February, Ukraine’s position has become critical because they cannot pay the new prices for Russian gas. EU, especially the Germans, tried to act as arbitrators. Then from this bitch Susan Rice order came to us directly from Nuland that snipers must create “a bit of panic.”
On the day after that Ukraine has a new government, chosen mainly Nuland and John McCain from the National Republican Institute.
When the US administration recognize that the snipers were trained NATO (in Poland – TV), and the whole operation was organized by Vanguard, the CIA and the State Department – Obama almost had a heart attack.
Now he realizes that he is nothing more than a puppet on a string in our theater, the bloody nigger. Originally stupid Nazis had to kill many more women and children in order to drive Putin into a corner so that he was forced to intervene in the war.
But all this just shows that you can teach a pig to shoot, but do not teach her to think. By the way, when the May 18 “Ukrainian” troops attacked Sloviansk, 19 FBI agents and CIA were killed and 14 injured. Greystone lost 17, Academi 59 people.
“FBI agents” were actually people of Vanguard. With forged documents desk they received special Ukrainian identity cards that give them power over all Ukrainian police forces.
He described how all of the major mass murders and atrocities were organized by the Vanguard Corporation and Greystone mercenaries; how he communicated with Igor Kolomoyskiy and how together they were spreading fake dollars in Ukraine… 
Germans promised him freedom, to hide him and support if he will tell everything he knows…
Also, two other employees of the Vanguard Corporation stole millions of fake dollars, and pretended that they were high jacked by Novorossiyan militia and murdered. Greystone and Vanguard Corporation have send their mercenaries to Novorossiya and killed one of them and return the second.., after which they brought him to London to their hospital and murdered him, saying that he died from a heart attack. His wife, a famous enough person has now provided information to important people and blackmails the Vanguard Corporation…
Shocked Merkel and President Francois Hollande on their way to Moscow…


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http://comunicati.russia.it/sergej-lavrov-nel-mondo-vi-sono-tre-minacce-ebola-isis-e-usa.html

Sergej Lavrov: nel mondo vi sono tre minacce: Ebola, Isis e USA

28/12/2014

Il Ministro degli Esteri riassume il bilancio dell’anno
Sergej Lavrov ha parlato, in un'intervista al quotidiano «Kommersant», dei rapporti con gli Stati Uniti, delle sanzioni e del motivo per il quale c’è stallo nell’indagine sul caso "Boeing". «KP» riporta i passaggi più significativi della conversazione.
Due minacce fisiche ed una geopolitica
- la febbre Ebola è senza dubbio una minaccia, come lo è lo «Stato Islamico». Sinora queste minacce si stanno sviluppando entro certi confini geografici, ma entrambi minacciano di uscire ben al di là di questi se non vengono prese le misure necessarie. Ci sono prove che emissari dell’Isis sono stati visti nel nord dell'Afghanistan, che si trova molto vicino alla Asia centrale e, di conseguenza, ai confini della Russia.
Tuttavia, a parte queste minacce fisiche, ve n'è una geopolitica associata con un atteggiamento molto superficiale verso il diritto internazionale, che cerca di agire imponendo a tutti la sua visione unilaterale sul principio di "quello che voglio lo farò e chi accetta riceverà incoraggiamento e chi non è d'accordo sarà sottoposto a varie misure di coercizione". Questa è una grave minaccia per l'ordine mondiale, un tentativo di preservare la predominanza storica dell'Occidente del sistema mondiale guidato dagli Stati Uniti. Queste posizioni non si basano su una realtà oggettiva ed ignorano completamente la presenza di nuovi centri in crescita di sviluppo economico.
Le sanzioni dirette contro il popolo russo
- Tutte le cosiddette sanzioni sono destinate a minare i concorrenti. Fino ad ora, quando si sono prese misure coercitive, i nostri partner occidentali sono stati in prima linea fra coloro che hanno chiesto sanzioni allo scopo di indirizzare specificamente i capi di Stato, che non soddisfavano le risoluzioni delle Nazioni Unite a fare di tutto per evitare effetti collaterali negativi sulla popolazione. Nel caso della Russia si è decisa una logica diametralmente opposta. Pubblicamente veniva dichiarato che le sanzioni avevano lo scopo di infliggere danni insopportabili all'economia russa, affinché la gente sentisse come si vive male sotto questo regime. Qui è evidente la assoluta parzialità che non si può nascondere. Penso che tutti i nostri concittadini siano ben consapevoli in quale periodo ora viviamo e quali sono gli obiettivi di coloro che sostengono un aumento della pressione sulla Russia.
Nessuno vuole indagare sul disastro del  Boeing
- I motivi per la scelta di un aumento della pressione sono molto oscuri. Ad esempio, le sanzioni di settore annunciate a luglio come le più dolorose per l'economia russa, sono state introdotte a seguito dell’isteria sollevata dopo la caduta del «Boeing» della Malesia. Poi, senza un processo, senza alcuna indagine  e senza alcuna inchiesta ne tentativo di visitare il luogo dell'incidente per raccogliere il relitto sono stati dichiarate colpevoli le milizie, anche se sono state consegnate agli esperti olandesi le «scatole nere» del tutto intatte. Naturalmente è stata accusata la Russia. Ora, la tragedia del «Boeing» malese è stata da tutti messa a tacere noi, in sostanza, siamo i soli che esortiamo e richiamiamo l’attenzione  sul fatto che l'inchiesta è prolungata del tutto irragionevolmente, i nostri partner occidentali tacciono o al massimo dicono che hanno bisogno di un altro anno.
L'Ucraina deve evitare la «variantebalcanica»
- La cosa principale è che gli stessi leader ucraini siano consapevoli della responsabilità per il destino del paese. Se alcuni di loro affermano (come a suo tempo è stato fatto nei Balcani), che riconquistano questi territori e sopprimono il malcontento popolare con la forza, allora penso che stiano portando il loro paese verso una prossima catastrofe.


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“Gli USA stanno organizzando un golpe a Kiev”. Deputato prevede Maidan con mesi di anticipo (PandoraTV, 29/1/2015)
Novembre 2013. E’ l’alba di Maidan, la “rivoluzione democratica” che porterà l’Ucraina al colpo di stato del 22 Febbraio 2014 e alla nascita in Europa di un regime neonazista per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale. Oleg Tsariov, deputato del parlamento ucraino, denuncia l’attività di gruppi sovversivi, che comandati direttamente dall’ambasciata americana a Kiev stanno preparando il terreno per il golpe e per la guerra civile in Ucraina. Previsioni che si sono rivelate esatte...
http://www.pandoratv.it/?p=2759
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=iqV91GiyEn8

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Fonte: pagina FB "Comitato per il Donbass Antinazista", 28 gennaio 2015
 
https://www.facebook.com/1464626327135220/photos/a.1464626383801881.1073741825.1464626327135220/1548109468786905/?type=1

20.11.2013 - Parlamento ucraino - Un intervento interessante del deputato Oleg Tsarov del Partito delle Regioni di Yanukovich, un giorno prima delle rivolte di EuroMaidan, utile a comprendere la destabilizzazione di matrice statunitense nel paese.

«Onorevoli colleghi
Onorevole Vladimir Vasiljevitch

Nel mio ruolo di rappresentante del popolo ucraino ...
... Gli attivisti dell'organizzazione "Volya" si sono rivolti a me ...
... Fornendo prove chiare ...
... Che nel nostro territorio ...
... Con il sostegno e la partecipazione diretta ...
... Della ambasciata americana a Kiev ...
... E' stato realizzato il progetto "TechCamp" ...
... In base al quale sono stati messi in atto i preparativi per una guerra civile in Ucraina.

Il progetto "TechCamp" prepara specialisti per la guerra dell'informazione ...
... Ed il discredito delle istituzioni statali con l'uso dei mezzi di comunicazione moderni ...
... Potenziali rivoluzionari ...
... Per l'organizzazione di proteste ...
... E per la caduta dello Stato dell'Ordine.

Il progetto è attualmente sorvegliato e sotto la responsabilità ...
... Dell'ambasciatore statunitense in Ucraina ...
... Geoffrey R. Pyatt.

Dopo la conversazione con l'organizzazione "Volya" ...
... Ho imparato ...
... Che sono riusciti a far accedere risorse nel progetto "TechCamp" ...
... Mascherandosi come una squadra di specialisti IT.

Si sono tenuti briefing sulle peculiarità dei media moderni.

Istruttori americani hanno spiegato come social network ed altre tecnologie su Internet ...
... Possono essere utilizzati per la manipolazione mirata dell'opinione pubblica ...
... Nonché per attivare proteste ...
... Per provocare disordini violenti sul territorio dell'Ucraina ...
... Per la radicalizzazione della popolazione e per innescare lotte intestine.

Istruttori americani hanno mostrato esempi in cui i social network ...
... Hanno scatenato proteste con successo
... In Egitto, Tunisia e Libia.

Rappresentanti "TechCamp" attualmente tengono conferenze in tutta l'Ucraina.

Un totale di cinque eventi si sono tenuti finora.

Circa 300 persone sono state formate come operatori, che sono ora attivi in tutta l'Ucraina.

L'ultima conferenza "TechCamp" ha avuto luogo il 14 e 15 Novembre 2013 ...
... Nel cuore di Kiev sul territorio dell'ambasciata degli Stati Uniti!

Mi dite quale paese al mondo avrebbe permesso ...
... Una ONG di operare fuori dall'ambasciata degli Stati Uniti?

Questa è mancanza di rispetto per il governo ucraino, e contro il popolo ucraino!

Mi appello alle autorità costituzionali di Ucraina con la seguente domanda:

E' concepibile che i rappresentanti dell'ambasciata degli Stati Uniti ...
... Organizzino conferenze del "TechCamp" ...
... Abusando della loro missione diplomatica?

- Lasciatelo parlare -

Prosegua

Risoluzione ONU del 21 Dicembre 1965 regolamenta ...
... Irricevibilità di ingerenza negli affari interni di uno Stato ...
... Per proteggere la sua indipendenza e la sua sovranità ...
... Ai sensi dei paragrafi uno, due e cinque.

Vi chiedo di considerare questo come un invito ufficiale ...
... per l'apertura di un'indagine su questo caso

Grazie»

Video: www.youtube.com/watch?v=y9hOl8TuBUM