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70.mo Liberazione / 3: 

NOVE MAGGIO 1945–2015

1) INIZIATIVE e LINKS
2) La verità sulla Seconda guerra mondiale non è più gradita in Europa
3) Alla parata di Mosca le sedie vuote dell’Europa
4) Putin: cercare di riabilitare il nazismo è cinico e inammissibile
5) НАЦИЗАМ КАО ПОКРЕТАЧКА СНАГА ЕВРОАТЛАНСКИХ ИНТЕГРАЦИЈА (П. ИСКЕНДЕРОВ)


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La Parata della Vittoria sulla Piazza Rossa il 9 maggio in diretta su Sputnik-Italia
http://it.sputniknews.com/mondo/20150508/358767.html

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MILANO 

IL 9 MAGGIO ALLE 14.00 VIA MERCANTI

FESTA per il GIORNO DELLA VITTORIA SUL NAZIFASCISMO OCCIDENTALE NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE 

VI ASPETTIAMO PER LA PACE IN DONBASS E UCRAINA CONTRO IL NAZIFASCISMO GOVERNATIVO IN UCRAINA PAGATO DA NATO AMERICA E UE E SOSTENUTO DAL GOVERNO D'ITALIA...

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CESENA

9 Maggio 1945: vittoria sul nazi-fascismo 
70 anni fa l’Armata Rossa dei popoli dell’Unione Sovietica entrava a Berlino issando la bandiera sul Reichstag, ponendo fine ai deliri di Hitler e Mussolini saliti al potere grazie all’appoggio delle democrazie occidentali e delle loro banche per stroncare le spinte emancipatrici dei movimenti operai verso il socialismo.In Europa e in Italia da anni è in atto un pericoloso revisionismo storico che vuole cancellare il sacrificio di 27 milioni di sovietici caduti nella Seconda Guerra Mondiale e estirpare dalla memoria tutte le resistenze dei popoli aggrediti dal fascismo italiano: Etiopia, Libia, Grecia, Albania, Jugoslavia... E' un'operazione che mira a rilegittimare la guerra fuori dai confini in “difesa degli interessi nazionali” in barba al dettato Costituzionale. Oggi, dopo 20 anni di guerre ”giuste”, “umanitarie” o di “civiltà”, la NATO, l’Unione Europea e gli USA non si fanno scrupolo di finanziare e armare in Ucraina e nel Baltico forze apertamente neo-naziste al Governo contro le minoranze e la popolazione russa del Donbass in un pericoloso gioco da apprendisti stregoni dagli sviluppi imprevedibili come è successo in Medio Oriente dopo aver finanziato e armato Al Qaeda e L’ISIS. Esprimiamo e organizziamo solidarietà agli antifascisti ucraini di oggi che resistono, coscienti che il cammino della liberazione dallo sfruttamento e dall’imperialismo che affama, reprime e costringe ad emigrare centinaia di milioni di persone è ancora lungo e tortuoso.

Lunedì 11 maggio h.21.00 Circolo ARCI Magazzino Parallelo Via Genova (zona ex mercato ortofrutticolo) Cesena 
proiezione del film “Va' e vedi” regia di Elem Klimov (URSS 1986)
Il film, dallo sconvolgente impatto emotivo, mostra i massacri compiuti in Bielorussia dai nazisti dove centinaia di villaggi e paesi vennero cancellati insieme ai loro abitanti, attraverso gli occhi di un adolescente che, sconvolto dall’orrore, andrà a combattere con i partigiani per “restare umano”.

Giovedì 14 aprile [data da confermare] h.21.00 Via Cesare Battisti 57 Cesena 
Tornando dal Donbass. Ucraina: nazismo di ieri e di oggi. 
Incontro con Marco Santopadre (redazione di Contropiano – giornale comunista online) appena tornato dalle repubbliche popolari del Donbass raggiunte con la Carovana di solidarietà antifascista

Per info: Comitato Difesa Sociale Cesena e Rete dei Comunisti Cesena, email: momotombo@...

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Cinque cose da sapere sul Giorno della Vittoria (Riccardo Pessarossi, 08.05.2015)
http://it.sputniknews.com/opinioni/20150508/361705.html

Zweckgebundenes Gedenken (70 Jahre Befreiung von der NS-Herrschaft – GFP 08.05.2015) 
Uminterpretationen der Geschichte und eine Instrumentalisierung des NS-Gedenkens zu außenpolitischen Zwecken überschatten den 70. Jahrestag der Befreiung Europas vom NS-Terror. Antirussische Stellungnahmen haben heute die Gedenkveranstaltungen in mehreren NATO-Staaten geprägt. Moskau habe im Ukraine-Konflikt nichts Geringeres als "die europäische Friedensordnung" in Frage gestellt, hieß es im Deutschen Bundestag. Der polnische Staatspräsident BronisÅ‚aw Komorowski fühlte sich durch Russland "an die dunkelsten Zeiten der europäischen Geschichte des 20. Jahrhunderts" erinnert. Eine bekannte deutsche Tageszeitung schrieb den Bürgerkrieg in der Ostukraine allein einer "militärische(n) Offensive Russlands" zu, um diese dann mit dem NS-Vernichtungskrieg gegen die Sowjetunion zu parallelisieren. Man solle der Befreiung Europas vom NS-Terror nicht mehr gedenken, hieß es; vielmehr solle man Spenden sammeln "für Prothesen für die verkrüppelten ukrainischen Soldaten". In der von Berlin protegierten prowestlich gewendeten Ukraine wiederum werden ehemalige NS-Kollaborateure als "Befreier" gepriesen...
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59111)

РУСИЈА ОДЛИКОВАЛА СУБНОР СРБИЈЕ (Велико признање, 8. мај 2015.)
http://www.subnor.org.rs/veliko-priznanje

ВЕТЕРАНИ ЗНАЈУ ЗАШТО СУ ПРОТИВ РАТА (Међународна сарадња, 8. мај 2015.)
http://www.subnor.org.rs/medjunarodna-saradnja-25

БУКТИЊУ  СЛОБОДЕ  НИКО   НЕ  УТУЛИ (Јубилеј победе, 6. мај 2015.)
http://www.subnor.org.rs/jubilej-pobede

Mosca: Alla parata della Vittoria sfileranno 16500 uomini e 200 unità di mezzi (04.05.2015)
http://it.sputniknews.com/mondo/20150504/342656.html

Disfatta e capitolazione incondizionata della Germania nazista
da: Accademia delle Scienze dell'URSS, Storia universale vol. X, Teti Editore, Milano, 1975 – Capitolo XIV

9 maggio 1945: Il discorso della Vittoria (9 Maggio 1945)
da: Stalin, Problemi della pace, Prefazione di Pietro Secchia, Edizioni di Cultura Sociale, 1953 
http://www.resistenze.org/sito/te/cu/st/custfe06-016295.htm


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La verità sulla Seconda guerra mondiale non è più gradita in Europa

28.04.2015

Soltanto un europeo su otto sa del ruolo decisivo dell’Unione Sovietica nella liberazione dell’Europa durante la Seconda guerra mondiale.
Ciò emerge da un recente sondaggio svolto dalla britannica ICM Reserarch per l'agenzia Sputnik.

Tre mila persone di differente età e sesso provenienti da diverse paesi hanno preso parte nei sondaggi. (1000 persone in ogni Paese).


rispondenti dell'inchiesta, tenuta nel periodo tra il 20 marzo e il 9 aprile intervistando 3000 persone in Gran Bretagna, Francia e Germania, dovevano scegliere tra 5 varianti della risposta, e soltanto il 13% ha riconosciuto il ruolo decisivo dell'esercito sovietico.
Il 61% dei francesi e il 52% dei tedeschi hanno detto che furono gli Stati Uniti a liberare l'Europa. In Gran Bretagna questa variante è stata scelta dal 16%, mentre il 46% degli intervistati ha detto che le battaglie decisive furono vinte dai britannici.
Questi risultati sono una conseguenza diretta dei tentativi di riscrivere la storia.
Secondo le varie stime, l'Armata Rossa ha liberato quasi il 50% del territorio degli Stati che esistono oggi in Europa, senza considerare la parte europea della Russia. Il prezzo in vite umane, pagato dalla Russia, supera di alcune volte le perdite degli alleati. Nel territorio liberato dall'Armata Rossa, oggi diviso tra 16 Stati d'Europa, vivevano, complessivamente, più di 120 milioni di persone. Altri 6 paesi sono stati liberati dai sovietici insieme agli alleati.


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Vedi anche: 

30 leader mondiali confermano presenza a Mosca per celebrazioni vittoria su nazifascismo (30.04.2015)
http://it.sputniknews.com/mondo/20150430/323846.html

Lavrov: se qualcuno non viene a Mosca il 9 maggio, per noi non è un problema (28.04.2015)
http://it.sputniknews.com/politica/20150428/316260.html

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Alla parata di Mosca le sedie vuote dell’Europa

08.05.2015

Il ministro degli Esteri Gentiloni sarà presente alla deposizione dei fiori alla Statua del Milite Ignoto e all’incontro al Cremlino. Stessa scelta per il suo omologo francese Fabius. La Merkel sarà in visita a Mosca il giorno successivo alla parata.

Diplomazie internazionali imbarazzate: partecipare o non partecipare alle celebrazioni della vittoria della Russia sul nazismo nella Seconda Guerra Mondiale? Dinanzi all'insostenibilità della tesi, prevalente sino a non poco più di un mese fa, d'ignorare il ruolo politico e militare della Russia nella sconfitta del nazismo, che avrebbe aggravato la tensione che si respira nei rapporti diplomatici fra Europa e Russia, oggi le cancellerie europee più importanti, agendo a geometria variabile, senza un accordo comune, vanno a Mosca non a stringere la mano, bensì a portare un gesto di saluto, con una chiave di lettura distensiva, ma certamente non comune a tutta l'unione Europea.

L'Italia, come al solito, per non dispiacere nessuno, ha scelto la consueta via di mezzo. Il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, a margine di un convegno dell'Ispi, così si è espresso:

"L'Italia, come la Francia e altri paesi europei parteciperà" alla cerimonia di deposizione dei fiori alla Tomba del Milite Ignoto — al Giardino Alezandrovskij — e all'incontro al Cremlino domani, in occasione delle celebrazioni che si terranno a Mosca, nella giornata commemorativa del 70esimo anniversario della vittoria russa nella Seconda Guerra Mondiale, "perchè è giusto ricordare l'enorme contributo che l'allora Unione Sovietica ha dato alla liberazione dell'Europa dal nazifascismo e le milioni di vittime russe".

L'Italia, però, prosegue Gentiloni, "non parteciperà alla parata militare — che aprirà le celebrazioni — perchè è altrettanto giusto dare un segnale di distinzione rispetto a quello che è successo nell'ultimo anno con l'annessione della Crimea e con le tensioni in corso a est dell'Ucraina".

Alla parata del 9 maggio, la più grande nella storia della Russia contemporanea, a cui prenderanno parte 15 mila soldati, 200 mezzi militari e 143 tra aerei ed elicotteri sarà presente con le stesse modalità del ministro Gentiloni, anche il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius. 

Mentre la Cancelliera tedesca, Angela Merkel, effettuerà una visita ufficiale a Mosca il giorno successivo, 10 maggio. Le commemorazioni della vittoria sovietica sulle truppe hitleriane hanno portato in Russia anche il Ministro degli esteri tedesco. Ricevuto dal suo omologo Lavrov, il ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, ha reso omaggio a Volgograd, la Stalingrado di sovietica memoria, ai caduti dell'omonima battaglia che segnò le sorti del secondo conflitto mondiale, e ha espresso il cordoglio del popolo tedesco: "Chiedo perdono a nome della Germania per le incommensurabili sofferenze che i tedeschi portarono qui, in questa città e in tutta la Russia, in tutte quelle parti dell'ex Urss che oggi costituiscono l'Ucraina e la Bielorussia e in tutta l'Europa."

Alle celebrazioni nella capitale russa parteciperanno 30 capi di stato e di governo, come riferisce Dmitri Peskov, portavoce di Putin.

Tra essi spicca la presenza del presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, a conferma di un rapporto sempre più stretto fra Cina e Russia, ma anche la partecipazione di Raul Castro, presidente della Repubblica di Cuba.

Saranno presenti alla parata anche il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, il presidente della Repubblica dell'India, Pranab Mukherjee, il presidente della Repubblica di Serbia, Tomislav Nikolic e il premier greco, Alexis Tsipras.

Da parte sua, l'ex presidente dell'Urss, Mikhail Gorbaciov, condanna le assenze dei leader occidentali come un "segno di disprezzo" verso chi ha combattuto subendo forti perdite e ritiene che la scelta della Cancelliera tedesca, Angela Merkel, di andare nella capitale russa senza però assistere alla parata sia frutto delle pressioni Usa.


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Putin: cercare di riabilitare il nazismo è cinico e inammissibile

05.05.2015

Tali azioni sono amorali e estremamente pericolose

Cercare di riscrivere la storia per compiacere la congiuntura politica, di riabilitare i nazisti e i loro complici, è cinico e inammissibile, ha dichiarato Vladimir Putin nel suo messaggio di saluto, inviato ai partecipanti della prima Conferenza russo-cinese sul "Ruolo dell'URSS e della Cina nella disfatta del nazifascismo e del militarismo giapponese nella Seconda guerra mondiale".

Il messaggio del presidente è stato letto dal vice ministro degli Esteri russo Igor Morgulov.

"Per noi sono assolutamente inammissibili i tentativi di riscrivere la storia per compiacere la congiuntura politica, di riabilitare i nazisti e i loro complici. Tali azioni sono non solo amorali, ma anche estremamente pericolose, in quanto spingono il mondo verso nuovi conflitti, verso la crudeltà e la violenza", — legge il messaggio di Putin.

Il presidente della Russia si è detto convinto che la conferenza "potrà favorire l'affermazione di una visione veritiera in merito agli eventi della guerra, aiuterà a immortalare le azioni eroiche dei nostri padri e nonni, e apporterà un importante contributo all'educazione delle giovani generazioni nello spirito del patriottismo, dell'umanesimo e dell'amicizia fra i popoli".


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НАЦИЗАМ КАО ПОКРЕТАЧКА СНАГА ЕВРОАТЛАНСКИХ ИНТЕГРАЦИЈА


 

ПЕТАР ИСКЕНДЕРОВ:

Нацизам у Украјини може натерати владе суседних земаља ЕУ да се умешају у сукобе

Пораст нацизма у Европи, чији смо сведоци последњих година, као и активирање фашистичких групација и култивисање фашистичке идеологије на нивоу вођстава појединих држава, скрива иза себе дубоке узроке. Ова појава не може да се своди само на „несмотреност” западног јавног мњења и политичких елита и њихову неспособности да извлаче поуке из историје. Тежња западних граитеља Новог светског поретка да искористе савремени нацизам у својству европских интеграција (које су се већ практично слиле у евроатлантске интеграције) игра кључну улогу у овом процесу, који представља својеврсну ревизију резултата Другог светског рата и дезавуисање одлука Нирнбершког трибунала.
Ради се о тежњи да се, као прво, на подобан начин мобилише јавно мњење земаља и читавих региона под паролама евроатлантизма и русофобије, а, као друго, да се испровоцирају опоненти на одговарајућу реакцију како би са своје стране њих оптужили за дестабилизацију ситуације.
Поменути механизам први пут је испробан током деведесетих година на простору бивше Југославије. Тада је акценат стављен на националистичке и отворено фашистичке партије, покрете и организације, прво у Хрватској, потом у Босни и Херцеговини, а онда и у албанском табору на Косову и Метохији. Тим снагама је додељена улога катализатора антисрпског расположења на њиховим територијама у циљу стварања повољног сценарија за западно јавно мњење. Био је то први ниво коришћења нацизма и његових савремених носилаца. Други ниво је пуштен у погон после очекиване реакције Београда. Оваква реакција, независно од њене оправданости и конкретних пројава, проглашена је залагањем за великодржавље и покушај дестабилизације региона. То је омогућавало западној политици да се попне на трећи степен интервенције, стварајући неопходну пропагандистичку основу за оружане акције под окриљем УН (у Босни и Херцеговини) или чак и без њега (СР Југославија 1999. године). Поред тога, сличан приступ омогућио је да се развије широка обрада локалног јавног мњења, стављајући га пред дилему: или Србија… (Русија, Исток…) или Европска Унија (НАТО, западна цивилизација).

НАЦИСТИ БОРЦИ ЗА ЕВРОПСКЕ ВРЕДНОСТИ

Такав сценарио се у овом тренутку Запад реализује и у односу према Украјини. Било би наивно веровати да западни лидери, организације цивилног друштва и медији немају информације о деловању Десног сектора и других снага које су захватиле власт у Кијеву пре више од годину дана. Поготово што активност украјинских националиста представља директну претњу за опстанак и самог постојања многобројних етничких група које имају тесне везе са својим сународницима у Мађарској, Словачкој, Румунији, Грчкој и другим земљама-чланицама ЕУ. Међутим, западни сценарио захтева од ЕУ да затвори очи пред овом апсолутно очигледном опасношћу, како би искористила отворено националистичке и фашистичке снаге за максималну мобилизацију антиросијског и антируског фактора у Украјини, све под тим истим евроатлантистичким паролама. Овакав приступ предвиђа позиционирање савремених нациста у својству „бораца за демократију и европске вредности”, а њихових опонената у виду становника источне Украјине као присталица тоталитаризма, руске пете колоне и чак отворених терориста. Истовремено се апсолутно законита дејства Руске Федерације по питању пружања политичке и хуманитарне помоћи становништву Донбаса проглашавају за антиукрајинске акције и акт мешања у унутрашње послове суверене и притом демократске државе.

Сличан сценарио реализује се не само у Украјини него и на другим постсовјетским просторима. Од почетка деведесетих година вођство САД и ЕУ непрекидно жмуре пред акцијама фашистичких покрета и неонацистичких организација у прибалтичким земљама. А сваки покушај Русије да привуче пажњу светског јавног мњења и међународних организација на обнову нацизма и кршењу права рускојезичког становништва у прибалтичким земљама – квалификује се поново као руско „мешање у унутрашње послове”. Чак ни амерички конгресмен Дана Роранбахер, који је познат по доста уравнотеженој позицији, није се уздржао од сличне схеме у интервјуу који је дао руском часопису Коммерсант, позвавши Русију да се уздржи од „мешања у унутрашње послове балтичких држава”. [1]
Јасно је да је од Брисела и Вашингтона наивно очекивати да ће одустати од коришћења нацизма у својству покретачке силе и пропагандног обезбеђења евроинтеграцијских процеса у условима када идеје европских интеграција очигледно губе политичку, социјално-економску и финансијску привлачност, а у самој ЕУ се умножавају сукоби и правци унутрашњих раскола. Ипак, раст антибриселског расположења у земљама чланицама ЕУ сада приморава западне центре да почну са кориговањем својих позиција.

ЧЕШКО ДИСТАНЦИРАЊЕ

Други важан фактор је објективна способност фашистичких и неонацистичких снага да временом излазе изван контроле својих покровитеља и повереника. Чак и сада, поједини кораци власти у Кијеву почињу да изазивају забринутост у низу европских престоница. Поготово у Чешкој, која је већ затражила од украјинских власти објашњење у вези са прихватањем закона о хероизацији ОУН-УПА [2] од стране Врховне Раде, припретивши да у супротном она неће ратификовати споразум о асоцијацији Украјине са ЕУ.

Још пре самита у Риги у Праг је требало да слети украјински министар иностраних послова Климкин и објасни како стоје ствари са бандеровцима итд.”, изјавио је с тим у вези министар иностраних послова Чешке Љубомир Заоралек. [3]
Подразумева се да се од шефа ресора иностраних послова земље која је 1938. године постала жртва Минхенског договора Запада са Хитлером могла очекивати још жешћа формулација поводом догађаја у Украјини, поготово поводом одлука власти у Кијеву да изједначе Хитлерову Немачку са СССР. Ево како је то, на пример, описао шеф израелског Визентал центра Ефраим Зуроф: „Одлука да се забране нацизам и комунизам представља изједначавање најстрашнијег режима геноцида у историји људског рода са режимом који је ослободио Аушвиц и помогао да се оконча режим страха Трећег рајха”. [4]
Чак и у западним медијима већ се могу срести објективне оцене. Тако шведски часопис Aftonbladet подсећа да се „руководству и народу Совјетског Савеза не може порећи једно – жеља да се разбије Хитлеров режим… Ради тога је Црвена армија морала истерати Немце из окупираних земаља. Руси су чак морали освојити и саму Немачку. У том смислу Црвена армија се заиста реално борила за ослобођење источне Европе од фашизма”… [5]
Било како било, даље харање нацизма у Украјини прети да породи оружане сукобе не само на истоку него и на западу земље. А то са своје стране може натерати владе суседних земаља ЕУ да се умешају у сукобе. Наравно, под условом да су интереси сународника за њих важнији од наставка геополитичког играња са савременим нацистима у име евроантлантизма.
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Упутнице:
[1] Коммерсантъ, 27.04.2015
[2] ОУН-УПА – Украјинска устаничка армија и Организација украјинских националиста – две пронацистичке организације у Украјини из периода Другог светског рата (примедба преводиоца).
[3] http://www.fondsk.ru/news/2015/04/28/chehia-trebuet-razjasnenij-ot-ukrainy-po-povodu-zakona-o-geroizacii-oun-upa-33012.html
[4] The Jerusalem Post, 14.04.2015
[5] http://inosmi.ru/world/20150428/227758531.html#ixzz3Yg4ALiTZ






Cronache calcistiche... in Jugoslavia

1) 4 Maggio 1980: “La partita è sospesa, il compagno Tito è morto” (C. Perigli)
2) Come uccisero il Brasile d’Europa (parte 1 – C. Perigli)



=== 1 ===

Sulle manifestazioni di cordoglio per la morte di Tito, il 4 maggio 1980, si veda anche la nostra pagina dedicata:

VIDEO: Hajduk - Zvezda Druže tito Mi Ti Se Kunemo
https://www.youtube.com/watch?v=gyG7CzJbFHI

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http://popoffquotidiano.it/2015/05/04/la-partita-e-sospesa-il-compagno-tito-e-morto/

“La partita è sospesa, il compagno Tito è morto”

Carlo Perigli 
4 maggio 2015

La tensione agonistica venne spazzata via dalla disperazione, mentre la rivalità e la paura dei disordini lasciarono il posto ad un unico coro, intonato da tutto lo stadio

È il pomeriggio del 4 maggio 1980, al Pojiud di Spalato va di scena una delle partite più importanti della Prva Liga. I padroni di casa dell’Hajduk stanno affrontando la Stella Rossa di Belgrado, una sfida particolarmente sentita da più punti di vista. I croati, campioni in carica, dopo una stagione altalenante cercano di qualificarsi per la Coppa Uefa, mentre i serbi inseguono lo scudetto dopo due anni di diugono. Croati contro serbi, all’epoca importava meno, a preoccupare più che altro è la Torcida, il gruppo ultras dell’Hajduk. È una delle prime realtà organizzate d’Europa, all’epoca l’unica dei Balcani, e già dagli anni ’50 si è resa protagonista di numerosi scontri in tutta la Jugoslavia, subendo a più riprese la repressione del governo. Ora, di fronte all’Hajduk c’è la Stella Rossa, tradizionalmente la squadra del Ministero degli Interni, della polizia e  c’è il timore che possano ripetersi gli scontri che, solamente due anni prima, avevano caratterizzato l’incontro casalingo con il Partizan.

Fin da subito, la partita è particolarmente sentita e tesa. In campo si combatte senza esclusione di colpi, sugli spalti i tifosi ce la mettono tutta, mentre buona parte del Paese segue la partita tramite la tv nazionale jugoslava. Al 41’ minuto però, il pallone smette di rotolare e lo spettacolo agonistico si interrompe bruscamente. Tre uomini entrano in campo, indicando all’arbitro di sospendere la partita: c’è un annuncio da fare. I giocatori si avvicinano rapidamente, mentre sugli spalti regna il silenzio. Il presidente dell’Hajduk prende il microfono e rende pubblica la notizia che tutti aspettano da tempo, ma che nessuno avrebbe voluto sentire: «il compagno Tito è morto».

Sguardi allibiti, i giocatori in campo rimangono con lo sguardo fisso nel vuoto e le mani nei capelli. Molti piangono, altri, come la bandiera dell’Hajduk Zlatko Vujovic, non reggono la pressione e si accasciano sul terreno. Viene proclamato un minuto di silenzio, costantemente “interrotto” dalle lacrime dei presenti. Piangono i tifosi sugli spalti, tanto i serbi quanto i croati, piangono i fotografi e gli addetti al campo. Anche l’arbitro, il bosniaco Muharemagic, non riesce a dissimulare una disperazione che coinvolge tutti i 35mila presenti. La rivalità, gli attriti, la paura dei disordini, tutto lascia il passo ad un’unica voce, che in pochi attimi coinvolge tutto lo stadio. Torcida e tifosi della Stella Rossa, spalatini e belgradesi, ortodossi e cattolici, tutti abbracciati dalla stessa canzone. «Druze Tito mi ti se kunemo, da sa tvoga puta ne skrenemo».


=== 2 ===

http://popoffquotidiano.it/2015/04/28/come-uccisero-il-brasile-deuropa-parte-1/

Come uccisero il Brasile d’Europa (parte 1)

Carlo Perigli 
28 aprile 2015

Ascesa e scomparsa di una delle Nazionali di calcio più spettacolari di tutti i tempi. La Jugoslavia era pronta a vincere tutto, finchè la politica non entrò a gamba tesa

Sguardi persi nel vuoto, molti piangono, qualcuno addirittura per il nervosismo rigetta la cena. É la sera del 1 giugno 1992, il Brasile d’Europa è stato appena ucciso da un fax proveniente da Berna. Brasile d’Europa, così veniva chiamata la Nazionale di calcio jugoslava verso la fine degli anni ’80, per via di quello straordinario catalogo di estro e fantasia con cui quella generazione faceva sognare un Paese intero, da Lubiana a Skopje.

Quel fax parte dalla sede dell’Uefa e arriva a Stoccolma, dove la Jugoslavia è in ritiro a otto giorni dall’inizio dei campionati europei di Svezia. C’è scritto che, in osservanza della Risoluzione 757 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la Jugoslavia non potrà essere accettata in alcuna competizione sportiva. È solamente il colpo di grazia al calcio jugoslavo, già duramente segnato da guerre e secessioni. In Svezia finisce una storia iniziata in tutt’altro modo, a cinque anni e migliaia di chilometri di distanza. Termina in lacrime ciò che nel 1987 era iniziato con i caroselli a Santiago de Chile, quando un gruppo di ragazzini terribili aveva inaspettatamente dominato e vinto il Mondiale Under 20.

Un vero e proprio fulmine a ciel sereno, tanto che nessuno credeva veramente in quella competizione. Sicuramente non la Federazione, che aveva deciso di risparmiare elementi di spicco come Boksic, Mihajlovic, Jugovic e Djordjevic, capitano della selezione. Tantomeno la stampa jugoslava, considerato che l’unico giornalista inviato in Cile, Torna Mihajlovic, lavorava per una rivista non sportiva, il settimanale “Arena”, ed era lì più che altro per preparare un reportage sulla comunità serba. Ciò che l’omonimo di Sinisa, come molti altri, non sapeva, è che la fascia da capitano Djordjevic l’aveva lasciata al diciottenne Robert Prosinecki, piede vellutato e temperamento da pub, che dì lì a poco sarebbe stato premiato come miglior giocatore della competizione, mentre Davor Suker arrivava secondo nella classifica marcatori.

La Jugoslavia si riscopre terreno fertile di campioni, si punta ad Italia ’90, questa selezione può eguagliare le gesta – per quanto in ultimo sfortunate – della Nazionale guidata da Dragan Dzajic negli anni ’60. A differenza di quegli anni però, sul Paese iniziano a spirare venti di guerra. Partono da lontano, la crisi economica pervade i Balcani, i diktat del Fondo Monetario internazionale preparano il terreno per una sorta di nazionalismo economico, che presto invaderà anche la scena politica. Il resto verrà da se.

(segue..)




(deutsch / русский / italiano)
 
2 Maggio 2014-2015: ODESSA, POGROM EUROPEISTA
 
1) INIZIATIVE nel primo Anniversario: Milano, Bologna, Torino, Roma, Sarnano (AP)...
2) LINK. Video e documenti sul pogrom del 2 maggio 2015
3) ODESSA OGGI. Repressione e lotta antifascista  in clandestinità
4) DOCUMENTO ESCLUSIVO: la testimonianza diretta di un aguzzino


Terrorismo vero e proprio

1) La «guerra mondiale contro il terrorismo» ha ucciso almeno 1,3 milioni di civili
2) Le guerre dell’Occidente hanno ucciso quattro milioni di musulmani dal 1990 ad oggi 


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ORIG.: La « guerre mondiale contre le terrorisme » a tué au moins 1,3 million de civils
par Marc De Miramon, vendredi, 24 avril, 2015



La «guerra mondiale contro il terrorismo» ha ucciso almeno 1,3 milioni di civili


La «guerra mondiale contro il terrorismo» ha ucciso almeno 1,3 milioni di civili. Traduciamo un articolo dal sito del quotidiano comunista francese L’Humanité . Nell’articolo si lamenta giustamente che l’informazione francofona ha ignorato questi dati impressionanti. Si può dire lo stesso per quella italiana. 

Un rapporto pubblicato da un gruppo di medici insigniti del premio Nobel della pace rivela che quasi un milione di civili iracheni, 220.000 Afgani e 80.000 Pachistani sono morti, nel nome della battaglia condotta dall’Occidente contro «il terrore». 

 «Io credo che la percezione causata dalle perdite civili costituisca uno dei più pericolosi nemici con cui ci siamo confrontati», dichiarava nel giugno 2009 il generale statunitense Stanley McCrystal, durante il suo discorso inaugurale come comandate della Forza internazionale d’assistenza e sicurezza in Afghanistan (ISAF). Questa frase, messa in esergo al rapporto appena pubblicato dalla «Associazione internazionale dei medici per la prevenzione dalla guerra nucleare (IP-PNW), insignita del premio Nobel per la pace nel 1985, mostra l’importanza e l’impatto potenziale del lavoro effettuato da questa equipe di scienziati che tenta di stabilire un conto delle vittime civili della «guerra contro il terrorismo» in Iraq, in Afghanistan e in Pakistan.

 «I fatti sono cocciuti» 

 Per introdurre questo lavoro globalmente ignorato dai media francofoni, l’ex-coordinatore umanitario per l’ONU in Irak Hans von Sponeck scrive: «Le forze multinazionali dirette dagli Stati Uniti in Iraq, l’ISAF in Afghanistan (…) hanno metodicamente tenuto i conti delle proprie perdite. (…). Quelli che riguardano i combattenti nemici e i civili sono (al contrario) ufficialmente ignorati. Questo, certamente, non costituisce una sorpresa. Si tratta di un’omissione deliberata.» Contare questi morti avrebbe «distrutto gli argomenti secondo i quali la liberazione di un dittatore in Iraq per mezzo della forza militare, il fatto di cacciare Al Qaida dall’Afghanistan o di eliminare reparti terroristi nelle zone tribali del Pakistan, hanno permesso di impedire che il terrorismo attentasse al suolo statunitense, di migliorare la sicurezza globale, e permesso ai diritti umani di avanzare, il tutto con dei costi “difendibili”».

Ciononostante, «i fatti sono testardi», continua. «I governi e la società civile sanno che tutte queste frasi sono assurdamente false. Le battaglie militari sono state vinte in Iraq e in Afhanistan ma a dei costi enormi per la sicurezza degli uomini e la fiducia tra le nazioni.» Certo, la responsabilità dei morti civili incombe ugualmente sugli «squadroni della morte» e sul «settarismo» che portava i germi dell’attuale guerra sciito-sunnita, sottolinea l’ex segretario della Difesa Donald Rumsfeld nelle sue memorie («Know and Unknown», Penguin Books, 2011). Ma come ricorda il dottor Robert Gould (del Centro medico dell’università della California), uno degli autori del rapporto, «la volontà dei governi di nascondere il quadro completo degli interventi militari e delle guerra non ha nulla di nuovo. Riguarda gli Stati Uniti, la storia della guerra in Vietnam è emblematica. Il costo immenso per l’insieme dell’Asia del Sud-Est, che include la morte stimata di almeno 2 milioni di Vietnamiti non combattenti, e l’impatto a lungo termine sulla salute e l’ambiente degli erbicidi come l’agente arancio, non sono ancora pienamente riconosciuti dalla maggioranza del popolo americano». E Robert Gould stabilisce un altro parallelismo tra la crudeltà dei Khmer rossi, che emergono da una Cambogia devastata dai bombardanti, e la recente destabilizzazione «post-guerra» dell’Iraq e i suoi vicini, che ha reso possibile la crescita di forza del gruppo terroristico detto «Stato islamico».

 TOTALE STIMATO A 3 MILIONI

 Assai lontano dalle cifre fino a ora ammesse, come le 110000 morti ricordate da uno dei riferimenti in materia, l’«Iraq Body Count» (IBC) che include in un database i morti civili confermati da almeno due fonti giornalistiche, il rapporto conferma la tendenza stabilita dalla rivista medica «Lancet» la quale ha stimato il numero dei morti iracheni a 655.000 tra il 2003 e il 2006. Dopo lo scatenamento della guerra da parte di George W. Bush, lo studio del IPPN  ha condotto alla cifra vertiginosa di 1 milione di morti civili in Iraq, 220.000 in Afghanistan e 80.000 in Pakistan. Se si aggiunge, per ciò che riguarda l’antica Mesopotamia, il bilancio della prima guerra del Golfo (200.000 morti) e quello del crudele embargo inflitto dagli Stati Uniti (tra i 500.000 e 1,7 milioni di morti), sono circa 3 milioni di morti che sono direttamente imputabili alle politiche occidentali, il tutto in nome dei diritti dell’uomo e della democrazia.

In conclusione al rapporto, gli autori citano il relatore speciale delle Nazioni Unite dal 2004 al 2010 sulle esecuzioni extragiudiziarie, sommarie o arbitrali: secondo Philip Alston, che si esprimeva nell’ottobre 2009, le indagini sulla realtà degli attacchi dei droni erano quasi impossibili da condurre, a causa dell’assenza totale di trasparenza e il rifiuto delle autorità statunitensi di cooperare. Poi, aggiungeva, dopo aver insistito sul carattere illegale in rapporto al diritto internazionale di questi omicidi mirati, che «la posizione degli Stati Uniti era insostenibile». Tre settimane più tardi, Barack Obama riceveva il premio Nobel alla pace…

DURANTE QUESTO TEMPO, IN IRAQ, IN AFGHANISTAN, IN PAKISTAN … Il 20 aprile scorso, la «coalizione antidjihadista» diretta dagli Stati Uniti indicava in un comunicato di aver condotto in 24 ore 36 raids aerei contro le posizioni del gruppo «Stato islamico», di cui 13 nella provicincia di Al-Anbar, a ovest di Bagdad. Quanti sono i «danni collaterali» civili in questa regione, una delle più colpite dalle violenze dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003? I comunicati militari restano sistematicamente muti su questa questione, quando più di 3200 «azioni» aeree, secondo la neolingua moderna, sono stati effettuate dal mese di agosto 2014 e la presa di Mossoul da parte dello «Stato islamico». Il 18 aprile, è un attentato suicida, «tecnica» di combattimento sconosciuta in Afghanistam prima del 11 settembre 2001, a fare 33 morti presso le frontiere pachistane. Alla fine del mese di marzo, le forze di sicurezza pachistane menzionavano 13 «jihadisti» legati ai talebani uccisi durante un attacco di droni statunitensi. Quasi 10.000 soldati americani sono ancora di stanza in Afghanistan.

traduzione di Stefano Acerbo


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ORIG.: Unworthy victims: Western wars have killed four million Muslims since 1990
by Nafeez Ahmed – Wednesday 8 April 2015

SEE THE REPORT: Body count (Physicians for Social Responsability, March 2015)
Casualty figures after 10 years of the "War on Terror": Iraq, Afghanistan, Pakistan
http://www.psr.org/assets/pdfs/body-count.pdf

https://drive.google.com/file/d/0BweZqygiAb5POWh2dVlzU1F4SFk/view?pli=1

LE GUERRE DELL’OCCIDENTE HANNO UCCISO QUATTRO MILIONI DI MUSULMANI DAL 1990 AD OGGI 

di Nafeez Massadeq Ahmed 
Fonte: www.middleeasteye.net 
all'indirizzo www.middleeasteye.net/columns/unworthy-victims-western-wars-have-killed-four-million-muslims-1990-39149394 dove c'è il testo originale in inglese con numerose note bibliografiche. 

Il mese scorso la PSR (Physicians for Social Responsibility) di Washington ha pubblicato uno studio secondo il quale dieci anni di guerra al terrore dal 9/11 ad oggi sono costati la vita a circa 1,3 milioni di persone, forse anche 2 milioni. Il rapporto di 97 pagine del gruppo di medici premi Nobel per la Pace è il primo che cerca di calcolare il numero delle vittime civili degli interventi statunitensi in Iraq, Afghanistan e Pakistan nel quadro delle operazioni contro il terrorismo. 
Il rapporto PSR è stato realizzato da un team interdisciplinare di esperti in salute pubblica, tra cui il dr. Robert Gould, direttore del Centro Medico di educazione e ricerca medica dell’Università della California, e il prof. Tim Takaro della Facoltà di Scienze Mediche della Simon Fraser University. Eppure, è stato praticamente oscurato dai canali anglofoni d’informazione, nonostante sia stato il primo sforzo di un’organizzazione internazionale di medici della sanità pubblica nel produrre un calcolo scientificamente provato del numero delle persone uccise nella guerra al Terrore condotta da USA e UK. 

Attenti allo scarto fra cifre ufficiali e cifre reali 

Il dr. Hans von Sponeck, ex vice segretario generale delle Nazioni Unite, descrive il rapporto PSR come un contributo importante nel coprire il divario che esiste tra il numero reale delle vittime civili della guerra in Iraq, Afganistan e Pakistan e le cifre fittizie, manipolate e talvolta anche fraudolente che vengono fatte circolare. Il rapporto fa una revisione critica delle stime precedenti delle vittime civili della guerra al terrore ed esprime una forte critica della cifra più citata dai maggiori canali d’informazione, come il IBC (Iraq-Body-Count/Conta dei morti in Iraq) di 110.000 persone decedute. Si tratta di una cifra desunta mettendo insieme le varie notizie di stampa sulle uccisioni di civili; tuttavia il rapporto PSR individua gravi lacune e problemi di metodo in tale approccio. Ad esempio, a Najaf sono stati seppelliti 40.000 corpi fin dall’inizio della Guerra: l’IBC registra solo 1.354 morti nello stesso periodo. E un esempio che mostra chiaramente quale sia il divario tra le cifre dell’IBC e quelle reali in questo caso specifico di un fattore 1:30. 
Divari di questo genere pullulano nel database di IBC. In un altro caso, IBC registrava solo tre attacchi aerei nel 2005, quando invece il numero reale degli attacchi aerei era salito a 120 in quell’anno. Ancora una volta un divario, e questa volta di un fattore 1:40. Secondo lo studio PSR, il tanto contestato rapporto Lancet che ha stimato 655.000 morti iracheni fino al 2006 (e oltre un milione fino ad oggi per estrapolazione) era probabilmente molto più accurato dei dati forniti da IBC. Infatti, il rapporto PSR confermava un consenso virtuale tra epidemiologi sull’affidabilità dello studio Lancet. Nonostante le critiche siano legittime, la metodologia statistica applicata segue lo standard universalmente accettato per determinare le morti nelle zone di conflitto utilizzato dalle agenzie internazionali e dai governi. 

Negazione politicizzata 

Il PSR ha anche rivisto la metodologia di altri studi che indicavano cifre più basse, come il documento pubblicato dal New England Journal of Medicine, che mostrava diversi gravi limiti. Il documento ignorava le aree colpite da maggiore violenza, come Baghdad, Anbar e Ninive, basandosi su dati inesatti di IBC ed estrapolando quelli di queste aree. Inoltre, indicava restrizioni politicamente motivate nella raccolta e nell’analisi dei dati: le interviste erano state condotte dal Ministero della Salute Iracheno, che era completamente dipendente dal nuovo potere occupante" e si era rifiutato di fornire i dati esatti dei morti iracheni su sollecitazione degli Stati Uniti. 
In particolare, il PSR ha analizzato le rivendicazioni fatte da Michael Spaget, John Sloboda ed altri a fronte dell’accusa di potenziale fraudolenza dei metodi di raccolta dei dati utilizzati dallo studio. Tali rivendicazioni sono risultate del tutto inconsistenti. Le poche critiche giustificate, conclude il rapporto PSR, non discutono i risultati dello studio Lancet nel loro insieme. Queste cifre rappresentano ancora i dati più veritieri attualmente disponibili. I risultati del Lancet sono anche confermati dai dati di un nuovo studio di PLOS Medicine, che indica 500.000 morti civili nella guerra. In generale, PSR conclude che il numero più vicino alla realtà dei civili morti in Iraq dal 2003 a oggi è di circa 1 milione. A questi, lo studio PSR aggiunge circa 220.000 in Afganistan e 80.000 in Pakistan, uccisi direttamente o indirettamente nella Guerra al Terrore condotta dagli USA: una cifra prudente sarebbe 1,3 milioni di persone, ma la cifra reale potrebbe anche raggiungere i 2 milioni. 
Tuttavia, anche lo studio PSR presenta dei limiti. In primo luogo, la guerra al terrore lanciata dopo il 9/11 non era una cosa nuova, ma l’estensione di politiche interventiste precedenti sia in Iraq sia in Afganistan. In secondo luogo, il numero piuttosto contenuto delle vittime civili afgane mostrato dal PSR, indica che questo ha probabilmente sottovalutato il prezzo umano degli scontri in Afganistan. 

Iraq 

La guerra in Iraq non è iniziata nel 2003, ma nel 1991 con la prima Guerra del Golfo, seguita poi dal regime sanzionatorio delle Nazioni Unite. Un precedente rapporto di Beth Daponte, allora demografa dell’ufficio censimenti del governo americano, mostrava che le morti irachene causate direttamente e indirettamente dall’impatto della prima Guerra del Golfo, fossero intorno alle 200,000, di cui la maggior parte civili. Nel frattempo, quel suo studio fu fatto sparire dalla circolazione. 
Dopo che le forze guidate dagli Stati Uniti si ritirarono, la guerra in Iraq proseguì in ogni caso sul fronte economico, con il regime di sanzioni imposte dalle N.U. su sollecitazione di USA e U.K., con il pretesto di dover negare a Saddam Hussein i beni e le materie prime necessarie per poter costruire armi di distruzione di massa. Molti prodotti inclusi nella lista delle materie negate comprendevano anche beni di prima necessità di uso quotidiano. Cifre fornite dalle Nazioni Unite hanno mostrato che 1,7 milioni di civili iracheni sono morti come conseguenza del regime sanzionatorio importo dall’Occidente, e metà di questi erano bambini. Queste eliminazioni di massa appaiono come intenzionali. Tra i prodotti inclusi nella lista delle sanzioni delle N.U. c’erano prodotti chimici e attrezzature essenziali per la depurazione delle risorse idriche nazionali. Un documento segreto dell’agenzia d’intelligence del Ministero della Difesa statunitense, scoperto dal prof. Thomas Nagy della School of Business della George Washington University, indicava chiaramente le intenzioni di genocidio del popolo iracheno. 
In un suo documento per l’Associazione degli Studiosi di Genocidi della University of Manitoba, il prof. Nagi spiegava che il documento DIA conteneva dettagli minuziosi di un metodo praticamente infallibile per far degradare il sistema idrico di un’intera nazione nel giro di una decina di anni. La politica sanzionatoria avrebbe creato le condizioni per la diffusione delle malattie, comprese vere e proprie epidemie su vasta scala, causando di conseguenza l’eliminazione di una vasta porzione della popolazione Irachena. Questo significa che solo in Iraq, la guerra condotta dagli USA dal 1991 al 2003 ha ucciso 1,9 milioni di iracheni; poi, dal 2003 ad oggi, un altro milione circa. In totale, circa 3 milioni di iracheni morti nel giro di due decenni. 

Afganistan 

In Afganistan, la stima del rapporto PSR delle morti totali potrebbe anche essere molto prudente. 
Sei mesi dopo la campagna di bombardamenti successiva al 2001, il giornalista del Guardian Jonathan Steele rivelò che rimasero uccisi un numero tra i 1.300 e gli 8.000 afgani, ed altri 50.000 morirono come conseguenza indiretta della guerra. Nel suo libro La conta dei morti: la mortalità che si sarebbe potuta evitare nel mondo dal 1950 ad oggi (Body count: global avoidable mortality since 1950) del 2007, il prof. Gideon Polya applicò la stessa metodologia utilizzata dal Guardian per i dati della Divisione Demografica delle Nazioni Unite sulla mortalità annuale per calcolare cifre plausibili delle morti in eccesso/evitabili. Biochimico in pensione della La Trobe University di Melbourne, Polya concluse che il totale delle uccisioni evitabili in Afganistan dal 2001 causate dalle privazioni imposte, ammontavano a circa 3 milioni di persone, di cui 900.000 bambini sotto i cinque anni. Benché i risultati del prof. Polya non siano stati pubblicati in giornali accademici, il suo studio del 2007 Body Count è stato raccomandato dalla sociologa prof. Jacqueline Carrigan della California State University e definito un profilo ad alto contenuto di dati sulla situazione della mortalità infantile nel mondo, in una rivista pubblicata dal Routledge journal - Socialism and Democracy. 
Come per l’Iraq, in Afganistan gli interventi statunitensi sono iniziati molto prima del 9/11, sotto forma di sostegno militare, logistico e finanziario segreto ai Talebani dal 1992 in poi. Questo supporto da parte degli Stati Uniti ha dato un forte impulso alla belligeranza talebana consentendogli di conquistare il 90% del territorio afgano. In un rapporto del 2001 della National Academy of Sciences su migrazioni forzate e mortalità, l’illustre epidemiologo Steven Hansch, direttore di Relief International, osservò che la mortalità evitabile totale in Afganistan causata dagli impatti indiretti della guerra nel corso degli anni ‘90 potrebbe attestarsi ovunque tra i 200.000 e i 2 milioni di morti. 
Anche l’Unione Sovietica, naturalmente, ne fu responsabile, per il suo ruolo nella distruzione intenzionale delle infrastrutture civili afgane, causando indirettamente moltissime morti. Tutto questo suggerisce che, nel complesso, il numero totale di morti afgane conseguenza diretta e indiretta dell’intervento statunitense nel paese a partire dai primi anni ‘90 fino ad oggi, potrebbe raggiungere i 3,5 milioni. 

Per concludere 

Secondo i dati qui considerati, il numero totale di gente morta a causa degli interventi militari degli Stati Uniti in Iraq e in Afganistan dal 1990 sia per uccisione diretta o per le conseguenze a lungo termine delle privazioni imposte si aggira intorno ai 4 milioni (2 milioni in Iraq dal 1991 al 2003, più 2 milioni nella guerra al terrore) e potrebbe anche raggiungere i 6/8 milioni contabilizzando anche le stime superiori delle morti evitabili in Afganistan. Sono cifre che probabilmente superano la realtà, ma questo non lo sapremo mai con certezza. Le forze armate degli Stati Uniti e del Regno Unito, per una questione di politica, si rifiutano di tenere traccia del numero di vittime civili nelle operazioni militari, considerate solo degli inconvenienti irrilevanti. 
A causa della grave mancanza di dati certi in Iraq, della quasi totale assenza di informazioni per l'Afganistan e dell’indifferenza dei governi occidentali riguardo alle morti civili, è letteralmente impossibile determinare la reale portata delle perdite di vite umane. In assenza anche della possibilità di conferme certe, queste cifre forniscono stime plausibili sulla base di metodologie statistiche standard, in mancanza di prove certe disponibili. Pur non fornendo un dato preciso, danno una chiara indicazione della portata della distruzione in queste aree. 
Gran parte di queste morti viene giustificata nel contesto della lotta contro la tirannia e il terrorismo. Tuttavia, a causa del silenzio dei maggiori mezzi d’informazione, la maggior parte delle persone non ha idea della reale portata distruttiva della guerra al terrore protratta negli anni da USA e UK in Iraq e Afganistan. 




70.mo Liberazione / 2: Guardarsi dai falsi amici

1)  Moni Ovadia: La perversione del senso del 25 aprile
2) Angelo D'Orsi: La rimozione nascosta della memoria
3) Ugo Giannangeli: Sulla bandiera della brigata ebraica nel corteo del 25 aprile e sulle bandiere palestinesi


Sui tentativi sionisti di "impadronirsi" del 25 aprile si vedano anche i seguenti, importanti testi:

La Brigata sionista e il 25 aprile (ISM Italia, Torino, 19 aprile 2015)

Il 25 aprile con i palestinesi (di Piero Bevilacqua, su Il Manifesto del 13 aprile 2015)

Antisemitismo, fascismo e sionismo: triangolazioni inattese 
Testo dell'intervento di Fabio De Leonardis al nostro convegno I FALSI AMICI (in formato PDF)


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La perversione del senso del 25 aprile

di  Moni Ovadia, su Il Manifesto del 10.4.2015

Polemiche. Le bandiere palestinesi al corteo? Un vulnus inaccettabile per il presidente della comunità ebraica romana Pacifici e per qualche ultrà del sionismo più isterico. Ma screditando le ragioni di chi lotta per una Palestina libera si sovverte il significato della Resistenza


Nel corso della mia vita e da che ho l’età della ragione, ho cer­cato di par­te­ci­pare, anno dopo anno a ogni mani­fe­sta­zione del 25 aprile.

Un paio di anni fa, per­cor­rendo il cor­teo alla ricerca della mia col­lo­ca­zione sotto le ban­diere dell’Anpi, mi imbat­tei nel gruppo che rap­pre­sen­tava i com­bat­tenti della “bri­gata ebraica”, aggre­gata nel corso della seconda guerra mon­diale alle truppe alleate del gene­rale Ale­xan­der e impe­gnata nel con­flitto con­tro le forze nazi­fa­sci­ste. Qual­cuno dei com­po­nenti di quel drap­pello mi rico­nobbe e mi salutò cor­dial­mente, ma uno di loro mi rivolse un invito sgra­de­vole, mi disse: «Vieni qui con la tua gente». Io con un gesto gli feci capire che andavo più avanti a cer­care le ban­diere dell’Anpi che il 25 aprile è «la mia gente» per­ché io sono iscritto all’Anpi con il titolo di anti­fa­sci­sta. Lui per tutta rispo­sta mi apo­strofò con que­ste parole: «Sì, sì, vai con i tuoi amici palestinesi».

Il tono sprez­zante con cui pro­nun­ciò la parola pale­sti­nesi sot­tin­ten­deva chia­ra­mente «con i nemici del tuo popolo». Io gli risposi dan­do­gli istin­ti­va­mente del coglione e affret­tai il passo lasciando che la sua rispo­sta, sicu­ra­mente becera si disper­desse nell’allegro vociare dei manifestanti.

Que­sto epi­so­dio, appa­ren­te­mente inno­cuo, mi fece scon­trare con una realtà assai tri­ste che si è inse­diata nelle comu­nità ebraiche.

I grandi valori uni­ver­sali dell’ebraismo sono stati pro­gres­si­va­mente accan­to­nati a favore di un nazio­na­li­smo israe­liano acri­tico ed estremo. Un nazio­na­li­smo che iden­ti­fica stato con governo.

Natu­ral­mente non tutti gli ebrei delle comu­nità hanno imboc­cato que­sta deriva scio­vi­ni­sta, ma la parte mag­gio­ri­ta­ria, quella che alle ele­zioni con­qui­sta sem­pre il “governo” comu­ni­ta­rio, fa dell’identificazione di ebrei e Israele il punto più qua­li­fi­cante del pro­prio pro­gramma al quale dedica la pre­va­lenza delle sue energie.

Io ritengo inac­cet­ta­bile que­sta ideo­lo­gia nazio­na­li­sta, in pri­mis come essere umano per­ché il nazio­na­li­smo deva­sta il valore inte­gro e uni­ver­sale della per­sona, poi come ebreo, per­ché nes­sun altro fla­gello ha pro­vo­cato tanti lutti agli ebrei e alle mino­ranze in gene­rale e da ultimo per­ché, come inse­gna il lascito morale di Vit­to­rio Arri­goni, io non rico­no­sco altra patria che non sia quella dei dise­re­dati e dei giu­sti di tutta la terra.

L’ideologia nazio­na­li­sta israe­liana negli ultimi giorni ha fatto matu­rare uno dei suoi frutti tos­sici: la deci­sione presa dalla comu­nità ebraica di Roma, per il tra­mite del suo pre­si­dente Ric­cardo Paci­fici, di non par­te­ci­pare al cor­teo e alla mani­fe­sta­zione del pros­simo 25 aprile. La ragione uffi­ciale è che nel cor­teo sfi­le­ranno ban­diere pale­sti­nesi, vul­nus inac­cet­ta­bile per il pre­si­dente Paci­fici, in quanto nel tempo della seconda guerra mon­diale, il gran muftì di Geru­sa­lemme Amin al Hus­seini, mas­sima auto­rità reli­giosa sun­nita in terra di Pale­stina fu alleato di Hitler, favorì la for­ma­zione di corpi para­mi­li­tari musul­mani a fianco della Ger­ma­nia nazi­sta e fu fiero oppo­si­tore dell’instaurazione di uno stato Ebraico nel ter­ri­to­rio del man­dato bri­tan­nico. Men­tre la bri­gata ebraica com­bat­teva con gli alleati con­tro i nazi­fa­sci­sti. Tutto vero, ma il muftì nel 1948 venne desti­tuito e arre­stato: oggi vedendo una ban­diera pale­sti­nese a chi viene in mente il gran muftì di allora? Pra­ti­ca­mente a nes­suno, se si eccet­tua qual­che ultrà del sio­ni­smo più iste­rico o qual­che fana­tico modello Isis.

Oggi la ban­diera pale­sti­nese parla a tutti i demo­cra­tici di un popolo colo­niz­zato, occu­pato, che subi­sce con­ti­nue e inces­santi ves­sa­zioni, che chiede di essere rico­no­sciuto nella sua iden­tità nazio­nale, che si batte per esi­stere con­tro la poli­tica repres­siva del governo di uno stato armato fino ai denti che lo opprime e gli nega i diritti più ele­men­tari ed essen­ziali. Un governo che lo umi­lia esco­gi­tando uno stil­li­ci­dio di vio­lenze psi­co­lo­gi­che e fisi­che e pseudo legali per ren­dere esau­sta e irri­le­vante la sua stessa esistenza.

Quella ban­diera ha pieno diritto di sfi­lare il 25 aprile — com’è acca­duto per decenni e senza pole­mica alcuna — e glielo garan­ti­sce il fatto di essere la ban­diera di un popolo che chiede di essere rico­no­sciuto, un popolo che lotta con­tro l’apartheid, con­tro l’oppressione, per libe­rarsi da un occu­pante, da una colo­niz­za­zione delle pro­prie legit­time terre, legit­time secondo la lega­lità inter­na­zio­nale, un popolo che vuole uscire di pri­gione o da una gab­bia per garan­tire futuro ai pro­pri figli e dignità alle pro­prie donne e ai pro­pri vec­chi, un popolo la cui gente muore com­bat­tendo armi alla mano con­tro i fana­tici del sedi­cente Calif­fato isla­mico nel campo pro­fu­ghi di Yar­mouk, nella mar­to­riata Damasco.

E degli ebrei che si vogliono rap­pre­sen­tanti di quella bri­gata ebraica che com­batté con­tro la bar­ba­rie nazi­fa­sci­sta hanno pro­blemi ad essere un cor­teo con quella ban­diera? Allora siamo alla per­ver­sione del senso ultimo della Resistenza.

La verità è che quella del gran muftì di allora è solo un pre­te­sto cap­zioso e stru­men­tale. Il vero scopo del pre­si­dente Paci­fici e di coloro che lo seguono — e addo­lora sapere che l’Aned con­di­vide que­sta scelta -, è quello di ser­vire pedis­se­qua­mente la poli­tica di Neta­nyahu, che con­si­ste nello scre­di­tare chiun­que sostenga le sacro­sante riven­di­ca­zioni del popolo palestinese.

Per dare forza a que­sta pro­pa­ganda è dun­que neces­sa­rio stac­care la memo­ria della per­se­cu­zione anti­se­mita dalle altre per­se­cu­zioni del nazi­fa­sci­smo e soprat­tutto dalla Resi­stenza espressa dalle forze della sini­stra. È neces­sa­rio discri­mi­nare fra vit­tima e vit­tima israe­lia­niz­zando la Shoah e cor­to­cir­cui­tando la dif­fe­renza fra ebreo d’Israele ed ebreo della Dia­spora per pro­porre l’idea di un solo popolo non più tale per il suo legame libero e dia­let­tico con la Torah, il Tal­mud e il pen­siero ebraico, bensì un popolo tri­bal­mente legato da una terra, da un governo e dalla forza militare.

Se come temo, que­sto è lo scopo ultimo dell’abbandono del fronte anti­fa­sci­sta con il pre­te­sto che acco­glie la ban­diera pale­sti­nese, la scelta non potrà che por­tare lace­ra­zioni e scia­gure, come è voca­zione di ogni nazio­na­li­smo che non rico­no­sce più il valore dell’altro, del tu, dello stra­niero come figura costi­tu­tiva dell’etica mono­tei­sta ma vede solo nemici da sot­to­met­tere con la forza.


=== 2 ===


La rimozione nascosta della memoria

Angelo d'Orsi

(10 aprile 2015)

Ad Ausch­witz, uno dei monu­menti più note­voli tra quelli dedi­cati alle varie comu­nità degli inter­nati è il cosid­detto «Memo­riale Ita­liano». Un paio di anni or sono le auto­rità polac­che deci­sero di chiu­derlo al pub­blico, nel silen­zio del governo ita­liano, e dell’Aned, in teo­ria pro­prie­ta­ria dell’opera. Pochi mesi fa la sovrin­ten­denza del campo, ormai museo, ha deciso di pro­ce­dere alla rimo­zione del Memo­riale. La sua colpa? Quella di ricor­dare che nei lager non furono sol­tanto depor­tati e ster­mi­nati gli ebrei, ma gli slavi, i sinti, i rom, i comu­ni­sti insieme a social­de­mo­cra­tici e cat­to­lici, gli omo­ses­suali, i disa­bili. Quel Memo­riale opera egre­gia, alla cui idea­zione, su pro­getto dello stu­dio BBPR (Banfi Bel­gio­joso Perus­sutti Rogers, il pre­sti­gioso col­let­tivo mila­nese di cui faceva parte Ludo­vico Bel­gio­joso, già inter­nato a Buche­n­wald) col­la­bo­ra­rono Primo Levi, Nelo Risi, Pupino Samonà, Luigi Nono…, ha dei «torti» aggiun­tivi, come l’accogliere fra le sue tante deco­ra­zioni e sim­bo­lo­gie anche una falce e mar­tello, e una imma­gine di Anto­nio Gram­sci, icona di tutte le vit­time del fasci­smo.

Ora, ai gover­nanti polac­chi, desi­de­rosi di rimuo­vere il pas­sato, distur­bano quei richiami, agli ebrei il fatto che il monu­mento metta in crisi «l’esclusiva» ebraica rela­tiva ad Ausch­witz. Ed è grave che una città ita­liana, Firenze, si sia detta pronta ad acco­glierlo. Con­tro que­sta scel­le­rata ini­zia­tiva si sta ten­tando da tempo una mobi­li­ta­zione cul­tu­rale, che si spera possa avere un riscon­tro poli­tico forte e oggi su que­sto si svol­gerà nel Senato ita­liano una ini­zia­tiva di denun­cia pro­mossa da Ghe­rush 92-Committee for Human Right e dall’Accademia di Belle Arti di Brera. Spo­stare quel monu­mento dalla sua sede natu­rale, equi­vale a tra­sfor­marlo in mero oggetto deco­ra­tivo, men­tre esso deve stare dove è nato, per il sito per il quale fu pen­sato, a ricor­dare, pro­prio là, die­tro i can­celli del campo di ster­mi­nio, cosa fu il nazi­smo e il suo lucido pro­getto di annien­ta­mento, che, appunto, non con­cer­neva solo gli ebrei, col­lo­cati in fondo alla gerar­chia umana, ma anche tutti gli altri popoli, giu­di­cati essere «razze infe­riori» come gli slavi, o i nemici del Reich, comu­ni­sti in testa, o ancora gli «scarti» di uma­nità, secondo le oscene teo­rie degli «scien­ziati» di Hitler.

Insomma, la rimo­zione del Memo­riale, è una rimo­zione della memo­ria e un’offesa alla sto­ria. Ebbene, l’atteggiamento dell’Aned e delle Comu­nità israe­li­ti­che ita­liane, che o hanno taciuto, o hanno appro­vato la rimo­zione del Memo­riale (in attesa della sua sosti­tu­zione con un bel manu­fatto poli­ti­ca­mente adat­tato ai tempi nuovi), appare grave.

E in qual­che modo richiama le pole­mi­che di que­sti giorni rela­tive alla mani­fe­sta­zione romana del 25 aprile.

Pre­messo che la cosa «si svol­gerà di sabato», e dun­que, come ha pre­te­stuo­sa­mente pre­ci­sato il pre­si­dente della Comu­nità israe­li­tica romana, gli ebrei non avreb­bero comun­que par­te­ci­pato, la denun­cia che «non si vogliono gli ebrei», è un rove­scia­mento della verità: non si vogliono i pale­sti­nesi. Ed è grave l’assenza annun­ciata dell’ANED, per la prima volta, anche se la bagarre si è sca­te­nata sull’assenza della «Bri­gata Ebraica». La quale ha le sue ori­gini remote niente meno in Vla­di­mir Jabo­tin­sky, sio­ni­sta estre­mi­sta di destra con legami negli anni ’30 mai smen­titi con Mus­so­lini, che con­vinse le auto­rità bri­tan­ni­che, nella I guerra mon­diale, a dar vita a una Legione ebraica.

Nel II con­flitto mon­diale, fu Chur­chill a lasciarsi con­vin­cere a orga­niz­zare un Jewish Bri­gade Group, inqua­drato nell’esercito bri­tan­nico: 5000 uomini che ope­ra­rono in par­ti­co­lare nell’Italia cen­trale, con­tri­buendo alla libe­ra­zione di Ravenna e di altri bor­ghi. Ebbe i suoi morti, e le sue glo­rie. Bene dun­que cele­brarla. Ma non fu né avrebbe potuto avere un ruolo emi­nente, come sem­bre­rebbe a leg­gere certe dichia­ra­zioni. Ma il fuoco media­tico supera il fuoco delle armi. E che dire di ciò che avvenne dopo? Come sto­rico ho il dovere di ricor­darlo. Quei sol­dati diven­nero il nucleo ini­ziale delle mili­zie dell’Irgun e del Haga­nah — quelle che cac­cia­rono i pale­sti­nesi nella Nakba — e poi dell’esercito del neo­nato Stato di Israele, al quale offri­rono anche la ban­diera.

Si capi­sce l’imbarazzo dell’Anpi di Roma, tra l’incudine e il mar­tello. Ma quando leggo che il suo pre­si­dente afferma che «i pale­sti­nesi non c’entrano con lo spi­rito della mani­fe­sta­zione», mi vien voglia di chie­der­gli se gli amici di Neta­nyahu c’entrino di più. Altri hanno dichia­rato in que­sti giorni che biso­gna lasciar par­lare solo chi ha fatto la guerra di libe­ra­zione; ma se così intanto andreb­bero cac­ciati dai pal­chi tanti trom­boni in cerca di applausi; e soprat­tutto se si adotta que­sta logica è evi­dente che tra poco non ci sarà più modo di festeg­giare il 25 aprile, per­ché, ahimè, i par­ti­giani saranno tutti scom­parsi.

E allora — visto l’articolo 2 dello Sta­tuto dell’Anpi che riven­dica un pro­fondo legame con i movi­menti di libe­ra­zione nel mondo — come non dare spa­zio a chi oggi lotta per libe­rarsi da un regime oppres­sivo, discri­mi­na­to­rio come quello israe­liano, rap­pre­sen­tato ora dal governo di destra di Neta­nyahu? Chi più dei pale­sti­nesi ha diritto oggi a recla­mare la «libe­ra­zione»? E invece temo si vada verso que­sto (addi­rit­tura in que­ste ore in forse a Roma) e i pros­simi 25 Aprile inges­sati e reistituzionalizzati.


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Sulla bandiera della brigata ebraica nel corteo del 25 aprile e sulle bandiere palestinesi

di Ugo Giannangeli

Finalmente quest’anno la questione è emersa con tutte le sue contraddizioni; sinora si era stancamente trascinata tra sterili polemiche a ridosso della scadenza. Le mie lettere all’avv. Maris quale presidente dell’ANED sono rimaste sempre senza risposta così come la mia lettera dello scorso anno al sindaco Pisapia. Avvantaggiato dalla comune professione e dalla reciproca conoscenza, nelle lettere affrontavo la questione in modo assolutamente sereno, forte delle mie ragioni. Ciononostante nessuna risposta. L’assenza di argomenti da contrapporre appariva palese.
Andiamo per ordine.
Iniziamo col distinguere gli ebrei italiani che hanno partecipato alla guerra di liberazione nelle diverse formazioni partigiane sotto il Comitato di liberazione nazionale dagli ebrei arruolati nella brigata facente parte della 8° Armata britannica. Costoro provenivano tutti dalla Palestina mandataria britannica.
Un libro recente (La brigata ebraica, Soldiershop, novembre 2012) ripercorre nel dettaglio tutta la storia della brigata; uno degli autori, Samuel Rocca, ha prestato servizio nell’esercito israeliano. Il libro ricorda che nell’esercito britannico vi erano compagnie di arabi e di ebrei: miste nei Pionieri, divise nella Fanteria. Nel 1943 le compagnie formate da soli ebrei ottengono di potere usare la bandiera sionista, oltre quella della Palestina mandataria raffigurante al suo interno anche la bandiera inglese. La brigata ebraica che opera in Italia è costituita verso la fine della guerra, fine settembre 1944, e sino al marzo 1945 la sua attività si limita alla acquisizione di addestramento. Combatte tra marzo e aprile 1945 nelle zone di Ravenna e Brisighella. Viene smantellata nel 1946. Dal libro non emerge con chiarezza quale sia la sua bandiera ufficiale ed in particolare se la stella di Davide sia gialla come raffigurata in copertina o azzurra come sembrerebbe da un passo a pag. 50 ove si legge che : “ è l’attuale bandiera di Israele”.
A me sembra che poco importi il colore della stella e possiamo attenerci, per quel che qui interessa, alla definizione del libro che parla di “ bandiera sionista”.
In conclusione: la brigata ebraica usava la bandiera sionista e ha combattuto negli ultimi due mesi di guerra. Queste circostanze di fatto rendono plausibile una valutazione fatta in un altro libro ( “Relazioni pericolose”, di Faris Yahia, Città del sole), libro sui rapporti tra l’Agenzia ebraica, il nazismo e il fascismo. Afferma l’autore, pag. 84, che la brigata più che per combattere il nazifascismo fu costituita per supportare l’idea della entità nazionale ebraica ( quindi una operazione di propaganda) e per acquisire esperienza militare ( questo spiegherebbe la lunga fase di addestramento). Significativamente, finita la guerra e prima di essere smantellata, la brigata si occupò della organizzazione di flussi migratori verso la Palestina.
I membri della brigata andarono a formare il futuro esercito di Israele, unendosi ai colleghi provenienti dall’Haganà e dalle sue emanazioni: l’Irgun di Jabotinsky e poi di Begin e la banda Stern. Emanazioni queste piuttosto imbarazzanti: come è noto, le due organizzazioni sono responsabili di attacchi terroristici a obiettivi britannici, arabi ed…ebraici. Ricordiamo solo i più noti: l’esplosione sulla nave Patria nel 1940 ad opera dell’Haganà ( 202 ebrei uccisi); l’attentato all’hotel King David di Gerusalemme, sede del governo mandatario inglese, nel 1946 ad opera dell’Irgun con vittime inglesi, arabe ed ebree.
Per non dire della banda Stern, guidata dal fondatore Stern e poi da Shamir, banda che non ha disdegnato rapporti e accordi con i nazisti sino a giungere alla proposta di alleanza militare fatta all’Asse nel 1940/41.
La bandiera sionista ha quindi sempre  sventolato senza soluzione di continuità dalla repressione ad opera di Haganà e britannici della rivolta araba del 1936/39, alla Nakba del 1947/48, alle guerre successive di Israele sino alle stragi di Gaza dei nostri giorni. Sventola sui carri armati mentre distruggono gli olivi, abbattono le case, occupano i campi profughi, affiancano i coloni; sventola sul muro di separazione  e sui tetti delle colonie. Insomma, ha accompagnato e accompagna  tutti i crimini sionisti.
Come possa, con queste credenziali, questa bandiera sventolare in un corteo antifascista col pretesto di un paio di mesi di operatività a fianco degli alleati non è dato capire.
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Restiamo nell’ambito della ricostruzione storica per parlare del Gran Muftì di Gerusalemme, evocato a pretesa dimostrazione della alleanza degli arabi con i nazisti.
Che cosa c’entra il Muftì ? all’evidenza nulla ma, si sa, quando scarseggiano gli argomenti ci si attacca a tutto. Come ha detto Moni Ovadia (Manifesto, 11/4): “ Richiamare il Gran Muftì è un pretesto capzioso e strumentale”. La propaganda e la mistificazione storica sionista ci hanno però abituato a tutto.
Il Muftì Amin Husseini cercava, comprensibilmente vista la situazione in Palestina, alleati contro i sionisti e i britannici. Scrive lo storico francese Henry Laurens, riportato da “Palestina”, AA.VV., Zambon ed.,pag.44: ” Husseini era convinto che il fine ( dei sionisti, NDR) fosse quello di espellere gli arabi dalla Palestina e impadronirsi della Spianata delle moschee per costruirvi il Terzo Tempio”. Non fu antisemita ma antisionista. Disse a Hitler che gli parlava del complotto giudaico mondiale e della necessità di combattere gli ebrei: “ Noi arabi pensiamo che è il sionismo all’origine di tutti questi sabotaggi e non gli ebrei”.
Col senno di poi, non si può dire che Husseini si sia sbagliato, né sulla volontà sionista di espellere tutti gli arabi né sui progetti per la Spianata. Certo, la frequentazione di Hitler non è commendevole ma da quale pulpito viene la predica, dopo quello che si è detto sulla banda Stern, con quello che si sa sulle simpatie di Jabotinsky  e tutto quello che rivela il libro “ Relazioni pericolose”?
Vogliamo parlare dell’accordo della Ha’avarah per il trasferimento di capitali ebraici in Palestina nel 1933 o dell’accordo del 1938 sulla emigrazione ( ispirato a criteri non propriamente umanitari visto che l’Agenzia ebraica sceglieva gli ebrei da mandare in Palestina in base a censo, età e affidabilità ideologica)? O anche dello sterminio di migliaia di ebrei ungheresi nel 1944 in cambio della salvezza di 600 notabili sionisti ( accordo tra l’ebreo Kastner e il sig. Eichmann).  O, per restare in casa nostra, che dire del gruppo fascista ebraico di Ettore Ovazza “ La nostra bandiera” nel 1935? ( per un approfondimento di questi temi, Yahia, op.cit.).
Almeno il Gran Muftì aveva le sue motivazioni politiche e religiose e seguiva la regola per cui “il nemico del mio nemico è mio amico”, regola discutibile ma ampiamente osservata soprattutto in quegli anni: si pensi ai Finlandesi pro-nazisti in funzione antisovietica o alle condoglianze espresse dal primo ministro irlandese all’ambasciata tedesca il giorno dopo la morte di Hitler in funzione antiinglese. 

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Coloro che vorrebbero screditare i Palestinesi usando il Gran Muftì si guardano bene dal ricordare l’ampia partecipazione dei Palestinesi alla lotta al nazifascismo, arruolati anche loro come volontari nell’esercito inglese. Il Dossier del Colonial Office n.537/1819, in 34 pagine fornisce i dati relativi al reclutamento dei Palestinesi nelle Forze britanniche in Medio Oriente. Nelle pagine 13 e 14 si legge che l’epoca di arruolamento va dal 1° settembre 1939 al 31/12/1945; in questo periodo furono aggregati all’esercito inglese 12.446 Palestinesi di cui 148 donne; per l’esattezza 83 nella marina e gli altri nell’esercito. A pag. 16 si riportano le perdite: 701.
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Per quanto riguarda le bandiere palestinesi e la legittimazione della loro presenza nel corteo non occorrono molte parole. Basta rileggersi, come giustamente ricordato da Angelo D’Orsi ( Manifesto, 9/4), l’art. 2 dello Statuto dell’ANPI che prevede l’obbligo di appoggiare tutti coloro che si battono per la libertà e la democrazia. E quale movimento di liberazione e di resistenza ha oggi più legittimazione di quello palestinese sul piano giuridico, politico, storico ed etico?
E’ un caso che protagonisti della rivolta del ghetto di Varsavia si siano pronunciati contro l’occupazione ( ad esempio Chavka Fulman Raban) o addirittura abbiano espresso solidarietà ai combattenti palestinesi, come il vicecomandante Marek Edelman nella lettera alla Resistenza palestinese del 10/8/2002? Debbo ricordare che Stephane Hessel nel suo “Indignatevi” ha dedicato un intero capitolo proprio alla sua principale indignazione: l’occupazione della Palestina?
Non da ultimo, è anche il caso di ricordare il contributo di sangue palestinese versato nella guerra contro il nazifascismo, nonostante l’oppressione subita ad opera degli Inglesi nella fase mandataria.
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Ed allora? Sembra che il PD offra ospitalità alla brigata. Qualcuno si stupisce? Le simpatie sioniste del partito sono dichiarate. Ed è in buona compagnia: nel 2013 fu la destra a sfilare dietro la bandiera della brigata, si veda il “lamento” di Gad Lerner in “ Gli abusatori della brigata ebraica”. Chi oggi, in campo sionista, continua a parlare della soluzione “Due popoli due Stati” sa di essere favorevole in realtà alla soluzione di un unico Stato, non quello democratico binazionale, auspicato da una parte del movimento di solidarietà con la Palestina, ma quello di Israele, etnico, confessionale e razzista. Netanyahu ha detto chiaro ai primi di marzo: “ Non ci sarà mai uno stato palestinese”. Chi è così ingenuo da credere che la sua sia stata solo una boutade elettorale?
Che dire dell’ANED? A Roma ha chiesto l’allontanamento delle bandiere palestinesi e questo dopo avere assistito passivamente allo smantellamento del proprio memoriale ad Auschwitz, colpevole di raffigurare Gramsci e di ricordare anche le vittime diverse dagli ebrei.
Mi interessa di più l’ANPI. Nel 2006 l’ANPI ha aperto le iscrizioni agli antifascisti: forti della memoria, ci si apriva all’attualità, in linea col motto “Ora e sempre Resistenza”. Il Presidente Smuraglia nel 2012, rispondendo all’ennesimo appello di iscritti ANPI per una presa di posizione chiara sulla Palestina ha scritto:” La manifestazione del 25 Aprile non può che essere aperta a tutti e dunque non accoglie questo o quello ma si limita a prendere atto delle presenze, spesso assai variegate, ma che devono condividere i temi fondamentali del 25 Aprile.
Questo è il punto!! La condivisione dei valori della Resistenza. Quali?
-         La pace e il ripudio della guerra, valore contraddetto dalla storia di Israele, dalle stragi periodiche a Gaza e dallo stillicidio di uccisi quotidiani nella West Bank
-         La libertà, valore contraddetto dai milioni di profughi palestinesi, dalle migliaia di prigionieri, dal muro, dalle centinaia di check points, dalla realtà di Gaza
-         L’uguaglianza, valore contraddetto dalla pretesa di Israele di essere uno stato etnico/confessionale riservato ai solo ebrei e dalle discriminazioni ai danni dei Palestinesi con cittadinanza israeliana
-         La giustizia, valore contraddetto dalle continue violazioni delle risoluzioni dell’ONU, dalla indifferenza dinanzi alle denunce di crimini di guerra e crimini contro l’umanità della Corte di giustizia de L’Aja e della Commissione per i diritti umani dell’ONU; per non dire, a livello interno, dei processi farsa contro i Palestinesi e della impunità dei crimini di soldati e coloni
-         Il valore della resistenza e della autodifesa, riconosciuto dallo Statuto dell’ONU e negato dalla pulizia etnica in corso.
Chi non riconosce questi valori non può stare nel corteo.
Per questi motivi noi nel corteo ci saremo, con le bandiere palestinesi e con lo striscione con la frase di Nelson Mandela che ricorda che non c’è libertà senza la libertà della Palestina; grideremo forte il nostro “NO” alla bandiera sionista che mortifica la manifestazione e i valori che il 25 Aprile rappresenta.
 
16 Aprile 2015                                         
Ugo Giannangeli




70.mo Liberazione / 1: Tradimento e riaffermazione

1) Speciale MicroMega da oggi in edicola: ORA E SEMPRE RESISTENZA
2) E. Pellegrin: IL GOVERNO CHE AVREMO IL 25 APRILE


Vedi anche:

A 70 anni dalla Liberazione 
di Andrea Catone – Editoriale per il nuovo numero della rivista MarxVentuno
http://www.marx21.it/comunisti-oggi/in-italia/25451-a-70-anni-dalla-liberazione.html


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MicroMega 3/2015 - Almanacco di storia: "Ora e sempre Resistenza" - Dal 23 aprile in edicola, libreria, ebook e iPad


IL SOMMARIO

Sergio Mattarella - La Resistenza rivolta morale, rivolta in armi contro il fascismo contro il conformismo 
Il saluto e l’augurio del Presidente della Repubblica alla rivista e ai lettori per questo numero monografico dedicato a ‘Ora e sempre Resistenza’.

SAGGIO 1
Angelo d’Orsi - Mito e antimito della Resistenza
Dalle riletture storiografiche di De Felice al revisionismo più compiuto dei giorni d’oggi, assistiamo nel giudizio egemone corrente ad un vero e proprio rovesciamento della realtà a proposito della Resistenza, additata come un insieme di azioni inutili e controproducenti, e alla contemporanea riabilitazione del fascismo. Ma soltanto rispolverando lo spirito della Resistenza antifascista – come elemento basilare e irrinunciabile della identità italiana – possiamo difendere i diritti sociali e il valore della Costituzione repubblicana.

A PIÙ VOCI - Dieci risposte sulla Resistenza
card. Gualtiero Bassetti / Lorenza Carlassare / Gianroberto Casaleggio / Sandrone Dazieri / Giancarlo De Cataldo / Maurizio de Giovanni / Erri De Luca / Loriano Macchiavelli / Ezio Mauro / Moni Ovadia / Giovanni Ricciardi / Corrado Stajano / Valerio Varesi / Marco Vichi / Gustavo Zagrebelsky 
Perché la Resistenza non è diventata l’unica possibile ‘memoria condivisa’ su cui costruire l’identità italiana? Come è possibile che la storiografia revisionista abbia avuto da noi tale diffusione? Qual è il lascito della Resistenza? Ha senso parlare di ‘tradimento’ della Resistenza? Sono alcune delle domande che a settant’anni dalla Liberazione MicroMega ha rivolto ad alcuni esponenti del mondo della cultura, della letteratura, della filosofia, del diritto, della religione.

ICEBERG 1 - storia e interpretazione
Franco Cordero - Etica d’una guerra partigiana
Fascismo e Resistenza non rappresentano solo due momenti storici, ma costituiscono due ‘antropologie’ radicalmente agli antipodi, divise da un’alterità incolmabile. Purtroppo, però, mentre l’antropologia fascista sembra parte integrante del corredo ‘genetico’ degli italiani, lo ‘spirito della Resistenza’ – che impone capacità critica, libertà di pensiero, autonomia – è stato un’anomalia per il nostro paese. Che non a caso, infatti, l’ha sostanzialmente lasciato cadere nell’oblio.

Luciano Canfora - Per una storia scientifica della ‘guerra di liberazione’ 
A partire almeno dal 1990 – quando Bobbio rilancia in un famoso articolo la tesi di Pavone sulle ‘tre guerre’ della Resistenza – si fa strada una vulgata secondo la quale durante la Resistenza i comunisti combattevano, oltre alla guerra di liberazione, anche una ‘guerra di classe’. Ma basta scorrere gli organi della stampa clandestina comunista di allora per rendersi conto che le cose stavano esattamente al contrario. Come dimostrano del resto anche gli aspri rapporti tra il Pci e alcune frange più estremiste, che quella ‘guerra di classe’ (che, se combattuta, avrebbe portato a una tragica soluzione ‘alla greca’) invece volevano scatenarla per davvero.

Marco Albeltaro - Resistenza e normalizzazione 
Il processo di normalizzazione – teso a quietare sul nascere le spinte innovatrici incubate nella Resistenza – inizia subito dopo la Liberazione. Con la caduta del governo Parri, cade anche la speranza di un cambiamento profondo dell’Italia e inizia la retorica dell’unità nazionale, sfruttata per far passare in secondo piano le differenze non tanto politiche, ma esistenziali, fra fascismo e antifascismo.

Paolo Borgna - La ‘meglio gioventù’: la Resistenza degli ‘azionisti’ 
Leggendo i loro diari, le loro lettere, colpisce soprattutto la lucidità del loro sguardo, la capacità di vedere in anticipo le conseguenze della storia che si stava consumando davanti ai loro occhi. La lotta armata, alla quale molti aderenti al Partito d’Azione prendono poi parte, è l’esito di una preparazione morale, intellettuale, politica maturata negli anni, che attendeva solo il momento propizio per liberare l’Italia. Il futuro di minoritarismo a cui è destinato il Pd’A è inversamente proporzionale al prezioso contributo – di idee e di sangue – che i suoi aderenti diedero alla Resistenza italiana.

Valerio Romitelli - Partigiani e qualunquisti 
La storia dell’Italia repubblicana è stata possibile esclusivamente grazie alla Resistenza. Questo semplice fatto dovrebbe bastare a fare dell’esperienza partigiana una premessa indiscussa e indiscutibile dell’attuale identità italiana. E invece fin dai primi anni del dopoguerra – con il successo del movimento qualunquista di Giannini – comincia a serpeggiare un atteggiamento scettico, quando non di aperta condanna. Atteggiamento che ha sempre trovato una sponda in quella ‘maggioranza silenziosa’ desiderosa solo di tornare al quieto vivere dopo le devastazioni della guerra.

Pierfranco Pellizzetti - La grande dissipazione del ’45 
Di ‘Resistenza tradita’ si parla spesso in riferimento alla cosiddetta Prima repubblica. Ma è già con la ‘svolta di Salerno’ – aprile 1944 – che quel tradimento si consuma. Tradimento ai danni dei giovanissimi partigiani che combattevano sulle montagne – di molti dei quali non conosciamo neanche i nomi – che la nomenklatura dei partiti (Pci in testa) ha voluto subito normalizzare. Un tradimento dell’ethos resistenziale che costituisce il peccato originale su cui si costruirà la futura Repubblica.

Alberto Asor Rosa - Lo spirito della Resistenza nella Costituzione 
La Resistenza fu in Italia allo stesso tempo lotta di liberazione nazionale contro l’occupante tedesco e lotta contro il regime fascista. Questa doppia natura la carica di valori fondativi della successiva Repubblica, aspetto che è difficile trovare altrove. Si tratta pertanto di un colossale spartiacque per la storia italiana. Purtroppo questa consapevolezza non è ancora diventata patrimonio universale. E di strada ne abbiamo ancora parecchia.

Alessandro Portelli - L’eroismo e l’eccidio 
Una contronarrazione revisionista cerca da tempo di trasformare un atto eroico dei partigiani in un agguato terroristico, responsabile tra l’altro della successiva strage delle Fosse Ardeatine. Questo testo esamina le tante menzogne su via Rasella, ribadendo alcune inconfutabili verità storiche su quel che è stato un gesto compiuto per la libertà. Un attacco gappista che la stessa Cassazione ha considerato ‘legittima azione di guerra” contro gli occupanti nazisti.

SAGGIO 2
Roberto Scarpinato - Resistenza, Costituzione e identità nazionale: una storia di minoranze? 
“La lezione della storia dimostra come le minoranze progressiste in Italia abbiano sempre avuto vita difficile. Condannate nel corso dei secoli al rogo, al carcere, all’abiura, all’esilio e, nel migliore dei casi, al silenzio e all’irrilevanza sociale, hanno svolto un ruolo spesso determinante per l’evoluzione del paese, ma solo grazie a temporanee crisi di potere delle maggioranze e a contingenti circostanze favorevoli”. Così è stato anche per la Resistenza, che ci ha lasciato una preziosissima eredità, la Costituzione, oggi più che mai sotto assedio.

ICEBERG 2 - storie resistenti
Andrea Martocchia - Il Territorio Libero di Cascia
Nella pubblicistica del partigianato e nella storiografia resistenziale viene generalmente omesso. Eppure il Territorio Libero di Cascia – esperienza sorta nella Valnerina umbra tra il febbraio e il marzo 1944 – merita un approfondimento. Oltre al fatto di essere precedente a molte altre esperienze di autogoverno dei partigiani, quella di Cascia ebbe infatti una rilevanza politico-sociale irripetibile, trattandosi di uno dei pochi casi in cui l’Italia rurale si incontrava con la componente operaia e quella straniera, rappresentata dai partigiani jugoslavi.

David Broder - I partigiani che volevano fare la rivoluzione 
Nato a Roma nel 1942 come ‘La Scintilla’, il Movimento comunista d’Italia, meglio conosciuto col nome del suo giornale Bandiera Rossa, sarebbe diventato nei mesi dell’occupazione nazista della capitale la principale spina nel fianco di tedeschi e fascisti, militarmente superiore anche alle formazioni partigiane animate dal Pci. Proprio con quest’ultimo e con la sua linea politica di unità nazionale, tuttavia, il gruppo si sarebbe infine scontrato, dovendo rinunciare al proprio obiettivo di trasformare la Resistenza in rivoluzione sociale.

Mirco Dondi - Regolamenti di conti e violenze nel dopo Liberazione 
I giorni successivi alla Liberazione sono caratterizzati, ovunque in Europa, da un desiderio di giustizia che si traduce spesso in violenze fuori controllo, perpetrate sia dalle formazioni partigiane sia, soprattutto, dai civili, la cui ira è più imprevedibile e difficilmente arginabile. Se non ci fosse stata la guerra fredda, la violenza successiva alla Liberazione sarebbe entrata nell’ordinaria tragicità di una guerra che si sconta, anche, nel dopoguerra. Con la guerra fredda invece cambia la percezione del fenomeno, che assume nuovi e distorti significati, tesi a delegittimare il nuovo nemico comunista.

Francesco Giliani - Cgl rossa e lotta di classe al Sud (1943-44) 
La ‘Cgl rossa’, rinata a Napoli nell’ottobre del 1943 e diretta, fra gli altri, da comunisti ‘dissidenti’ come Enrico Russo e Nicola Di Bartolomeo, fu per alcuni mesi e fino allo scioglimento avvenuto nell’agosto del 1944 la principale confederazione sindacale nel Sud Italia liberato dagli alleati. Attestandosi però su una linea ‘classe contro classe’ ansiosa di trasformare la lotta partigiana in rivoluzione sociale, essa sarebbe presto entrata in rotta di collisione con il Pci togliattiano e con l’‘unità nazionale’ sancita dalla svolta di Salerno, perdendo infine la lotta per l’egemonia ingaggiata con la Cgil unitaria creata dal Patto di Roma.

Guido Caldiron - La mancata Norimberga italiana 
Dopo il 25 aprile 1945 la gran parte dei criminali di guerra del nostro paese non pagò per le proprie responsabilità, mentre il fallimento dell’epurazione e le amnistie restituirono rapidamente potere e libertà ai protagonisti del Ventennio e ai repubblichini, aprendo la strada alla riorganizzazione politica degli sconfitti della seconda guerra mondiale. I casi emblematici di Graziani e Borghese.

MEMORIE
Boris Pahor - Il contributo della Resistenza slovena
Il regime fascista – odioso in ogni sua manifestazione – nelle regioni dell’Istria e della Dalmazia ha assunto anche il volto della violenta occupazione straniera che pretendeva di cancellare ogni traccia di culture e lingue con grandi tradizioni. Per questo in quei territori la liberazione dal nazifascismo è stata anche guerra di liberazione nazionale. Uno dei suoi protagonisti, esponente di spicco della cultura slovena, oggi alla soglia dei 102 anni, ricorda i momenti più significativi di quel periodo.

Tina Costa - Io, giovane staffetta partigiana 
“Fin da piccola mi avevano abituato a non chinare la testa e a 7 anni feci la mia prima azione di rivolta contro il fascismo quando mi rifiutai di indossare la divisa da ‘figlie della Lupa’. A neanche 18 diventai una staffetta partigiana: con la mia bicicletta dovevo attraversare la Linea Gotica e consegnare delle borse ai combattenti che si trovavano nel territorio occupato dai nazisti. Rischiai anche la vita ma rifarei tutto”.

Bruno Segre - Io, avvocato, partigiano di ‘Giustizia e libertà’ 
Gli anni del carcere, le rocambolesche fughe, le amicizie, i due fortuiti incontri con Umberto di Savoia, le battaglie. Il ricordo degli anni dal ’42 al ’44 di un antifascista della prima ora, partigiano di Giustizia e libertà, e successivamente protagonista di tante battaglie per i diritti civili nell’Italia repubblicana – dall’obiezione di coscienza al servizio militare al divorzio. Che si dice convinto: “Lo spirito della Resistenza vive e vivrà sempre”.

Massimo Ottolenghi - Ricordi di un ‘gagno’ di ‘Giustizia e Libertà’
L’antifascismo di Massimo Ottolenghi, nato nel 1915, comincia in realtà ben prima della guerra. Dalla distribuzione dei volantini fatti pervenire a casa della nonna come involucri per il miele, passando per la diffusione della stampa proibita fra i professori universitari torinesi sul tram numero 1 di Torino, fino alla lotta partigiana vera e propria condotta nella Valle di Lanzo, un unico filo lega diverse avventure ed esperienze: il filo dell’impegno per la giustizia e la libertà. Raccontando qui quella esperienza, Ottolenghi considera la mancata epurazione incubatrice dell’evoluzione che ancora perdura.

Luigi Fiori - Fra Diavolo, partigiano borghese 
Cresciuto nella bambagia, in una famiglia dell’alta borghesia, voleva fare lo scultore e mai si sarebbe sognato che sarebbe diventato uno dei simboli della Resistenza. È stato l’incontro con gli altri soldati al fronte che ha iniziato ad aprirgli gli occhi su un regime che fino ad allora aveva accettato, un po’ per inerzia e un po’ per ignoranza. E dopo l’8 settembre diventa il famoso Fra Diavolo, giungendo al comando di una brigata.

Giorgio Mori - Storia di un partigiano migrante. Dalle cave di Carrara alle miniere del Belgio alla delusione per l’Italia di oggi
Da soldato in Africa, dove ha incontrato per la prima volta la ferocia della guerra, a partigiano nelle cave di Carrara, dove ha sperimentato la durezza della Resistenza. E non meno difficile è stato per Giorgio Mori il dopoguerra: rimasto senza lavoro per via della sua attività sindacale, dovette emigrare in Belgio dove lavorò nelle miniere. Oggi la sua vita è dedicata a diffondere tra i giovani la conoscenza della guerra di liberazione e i valori a cui essa si ispirava.

Laura Seghettini - La maestra col fucile
Il ruolo delle donne nella Resistenza è stato spesso sottovalutato. Eppure le partigiane furono tante: molte facevano le staffette, portando viveri, armi e messaggi ai combattenti, altre hanno anche imbracciato il fucile, come racconta qui Laura Seghettini che si unì al battaglione Picelli. Un’esperienza che l’ha segnata profondamente e che le ha insegnato i valori della democrazia e della socialità, ai quali ha improntato il resto della sua vita.

Giuliano Montaldo - Il mio cinema partigiano
Da "Achtung! Banditi!" con Carlo Lizzani a "L’Agnese va a morire" e "Il tiro al piccione", un grande Maestro del cinema italiano – che coi suoi film ha trasmesso quello “spirito della Resistenza che ancora mi appartiene” – racconta aneddoti e storie della sua vita: “La Dc osteggiò i miei lavori e l’egemonia della leadership nella Resistenza, tutta nordica, escluse il Sud”.


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www.resistenze.org - osservatorio - italia - politica e società - 16-04-15 - n. 540

Il governo che avremo il 25 aprile

Enzo Pellegrin

16/04/2015

"Quanto compiuto dalle forze dell' ordine italiane nell'irruzione alla Diaz il 21 luglio 2001 «deve essere qualificato come tortura». Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti umani che ha condannato l'Italia non solo per quanto fatto ad uno dei manifestanti, ma anche perché non ha una legislazione adeguata a punire il reato di tortura. In particolare è stato violato l'articolo 3 su «divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti». Il dispositivo è impietoso: «Tenuto conto della gravità dei fatti avvenuti alla Diaz la risposta delle autorità italiane è stata inadeguata». E ancora: «La polizia italiana ha potuto impunemente rifiutare alle autorità competenti la necessaria collaborazione per identificare gli agenti che potevano essere implicati negli atti di tortura» (Corriere della Sera, cronache, 15 aprile 2007, www.corriere.it)

Nel pur drogato mondo dell'informazione italiana, col passare del tempo e dei processi, il massacro della Scuola Diaz a Genova 2001 è assurto a simbolo dell'abuso delle Forze dell'Ordine. Diaz in Italia come Rodney King negli USA. Sebbene la burocratica ed autoreferenziale giustizia italiana abbia irrogato nei confronti del potere pene tutt'altro che adeguate alla gravità dei fatti, condanne ce ne sono state. Tuttavia, da ultimo ci si è messa anche la Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo, la quale ha sciorinato il tagliente, ma adeguato, giudizio sopra descritto.

Di diversa opinione il Sig. Fabio Tortosa, polizotto, dipendente del Ministero degli Interni, il quale ha commentato la pronuncia di Strasburgo sul social network Facebook affermando in un "post" di essere stato un componente dell'80mo nucleo attivo quella notte nella scuola genovese e che alla Diaz ancora oggi "ci rientrerebbe mille e mille volte". Nelle diverse pagine di conversazioni e commenti, il poliziotto si esprime definendo i manifestanti "zecche" e chiarendo la sua opinione su Carlo Giuliani, manifestante ucciso durante gli scontri di Piazza Alimonda: "Non ci sono mezze misure. O si sta con quella merda di Giuliani, o si sta con quelli che a Giuliani gli fanno saltare la testa..."

Di fronte alle gravi accuse di aver permesso fatti di tortura e di aver ostacolato l'identificazione dei responsabili, un governo che in qualche modo debba fronteggiare il consenso dell'opnione pubblica non può non avere un nervo scoperto su questo tema. Se un dipendente del Ministero degli Interni come Fabio Tortosa commette l'errore di scoprire le carte e rivendicare pubblicamente con orgoglio le malefatte della Scuola Diaz, non possono non fioccare provvedimenti, quantomeno per l'imbarazzo che il maldestro dipendente ha creato.

Purtuttavia, un serio esecutivo che si volesse ispirato dai minimi valori democratici dimenticati nel sepolcro cartaceo della Costituzione, non si sarebbe limitato ad un banale provvedimento di sospensione, ma avrebbe recapitato l'immediato e meritato licenziamento in tronco al Sig. Fabio Tortosa, spiegandogli che nelle forze dell'ordine non può aver cittadinanza chi pensa che l'oppositore è un nemico da uccidere, una "zecca" da eliminare.

Un governo con la serietà di cui sopra avrebbe commissionato una seria inchiesta interna per scoprire quanti Fabio Tortosa albergano nelle questure, nei commissariati e nelle caserme italiane. A volte basta farsi un giro negli uffici e notare se sulle pareti sono appesi quei calendarietti con l'immagine del maestro di Predappio.

Un governo serio e costituzionale non ammette nelle forze dello stato soggetti ispirati dalla violazione dei principi costituzionali ed in particolare dal fare carta straccia della XII disposizione transitoria.

Stiamo parlando però del governo che lascia al vertice di Finmeccanica De Gennaro e gli "conferma piena fiducia". Lo stesso De Gennaro - imputato uscito indenne dai processi genovesi, ma comunque capo della polizia ai tempi della Diaz - che in Finmeccanica stipula un lauto contratto di consulente della sicurezza a Gennaro Caldarozzi, ex capo, ai tempi di Genova 2001 - come ricorda il Secolo XIX - dello SCO (Servizio Centrale Operativo), condannato e interdetto per cinque anni dai pubblici uffici dopo il processo sull'irruzione alla scuola Diaz durante il G8 di Genova del 2001.

Questo il governo che avremo in carica il prossimo 25 aprile, i cui rappresentanti vorranno forse intervenire alle commemorazioni della Resistenza.

Eppure, merita ricordare che l'inclusione nelle forze dell'ordine dello Stato di elementi che non hanno mai condiviso nè i valori resistenziali, nè quelli democratici, è iniziata fn dai primissimi giorni dopo la liberazione e si è protratta anche dopo la nascita della Carta Costituzionale Repubblicana.

Sin dai primi momenti successivi all'insurrezione partigiana nel nord Italia e alla liberazione, l'Italia divenne per gli "alleati" americani terra di conquista e di grande attività per i loro servizi segreti, all'epoca denominati OSS (1).

Questa organizzazione "agì in tutti i settori per agglomerare forze anticomuniste"(2), a cominciare da quegli industriali che lucrarono ingenti profitti proprio grazie al regime fascista:  il 16 e 17 giugno 1945 si riuniscono a Torino sotto la guida di Piero Pirelli, Rocco, Armando ed Enrico Piaggio, Costa, Falck e Valletta per programmare una "accelerazione della lotta al comunismo" anche con l'organizzazione di gruppi armati (3).

L'OSS si adoperò inoltre per creare una rete di organizzazioni politiche di ispirazione nettamente fascista sotto le sigle più disparate, come Fronte Moderato, Giovine Italia, Partito Nazionale Popolare ed altri, proprio con lo scopo di "arginare la demoralizzazione che la sconfitta aveva generato nei ranghi dei sostenitori del fascismo e di riflesso rincuorare la piccola e media borghesia italiana", fondamentale si rivelava però l'attenzione a "preservare gli ambienti militari italiani da contaminazioni democraticistiche" (4) inglobando all'interno di forze armate, apparati statali, polizia soggetti che avevano avuto ruoli di primo piano all'interno del regime, soprattutto quando la  loro futura azione avrebbe potuto tornare utile e conicidere con gli interessi americani.

Per esempio, quando, alla fine del secondo conflitto mondiale, la Jugoslavia venne a trovarsi al centro degli interessi militari e strategici americani, ostili alla rivoluzione di Tito, i servizi USA manovrarono gli apparati nella nascente democrazia italiana nuovamente in funzione e direzione anti-jugoslava. Per far ciò, sentirono la necessità di impiegare quelli che furono attori di primo piano nella politica di conquista del fascismo verso i balcani: "già nel settembre 1945, cinque mesi soltanto dopo la fine della guerra, una circolare del comando italiano raccomandava che gli elementi di «provati sentimenti antislavi», anche se fascisti, fossero mantenuti o riammessi in servizio" (5).

Un esempio fulgido di questa politica fu il ripescaggio del generale Giuseppe Pieche, rimasto in Croazia a fianco di Ante Pavelic fino al crollo del regime il 25 luglio 1943. Alla fine della guerra fu assunto al Ministero degli Interni come "direttore del servizio antincendi". Da quell'ufficio di copertura, in coordinamento con i servizi segreti statunitensi, organizzò clandestinamente gruppi terroristici neofascisti ed altri gruppi armati neri come il Movimento Anticomunista per la Ricostruzione Italiana, il Gruppo d'azione Fascista, il Fronte Antibolscevico, le Squadre d'Azione Mussolini, i Cadetti della Violenza ed altri gruppi similari che ponevano in essere azioni di provocazione secondo le direttive dei servizi segreti americani (6).

Dagli albori del 1945 ad oggi, le strutture dello Stato sono passate attraverso i sentieri dell'organizzazione Gladio, dei vari tentativi di colpo di stato che hanno visto coinvolti appartenenti  alle forze armate, delle azioni di depistaggio condotte in relazione ad atti di strage, eventi storici sui quali si sono scritti fiumi di parole.


La questione della democrazia all'interno delle Forze dell'Ordine come degli apparati militari è pertanto dipendente dai rapporti di forza dello scenario geopolitico, più che dal maggiore o minore zelo costituzionale dei governi. De Gennaro saldo in poltrona a fianco del Tortosa sospeso sono la cartina di tornasole degli stessi rapporti. La campagna di ritorsione e pulizia condotta a margine dello sciagurato intervento di Tortosa contro tutti i piccoli pesci dello stagno poliziesco che hanno osato mettere un "mi piace" sulla conversazione "facebook" avrà un'inevitabile argine in quegli stessi rapporti di forza. Quei rapporti di forza che hanno permesso, negli anni repubblicani, di svuotare, procrastinare, cancellare l'applicazione dei principi di progresso contenuti nella Carta Costituzionale della Penisola, sino a farla diventare oggi una vuota crisalide, sino ad imporre il giogo del pareggio di bilancio come diga all'attuazione dei diritti sociali scomodi ai monopoli finanziari ed industriali.

A noi resta il bisogno di macerarci nei fatti del presente, oltre che in quelli del passato. Il prossimo 25 aprile è quindi bene ricordare cosa fa il governo e cosa fanno i rapporti di forza. La Resistenza, attaccata, svillaneggiata e tradita, sopravvive forte lontano dal potere, nei luoghi in cui ogni proletario soffre e subisce sfruttamento, vive nei cuori di migliaia di Giovani e di Lavoratori che mantengono salda e continua la loro lotta, ora, come allora, ed in tutti quei momenti della nostra storia repubblicana, in cui lo stivale borghese o quello dei suoi servi si sono calati sul popolo.

La Resistenza vive nei figli e nipoti della stessa rabbia. E' bene ricordarlo, il 25 aprile.

Note: 

1. L'Office of Strategic Services (OSS) era un servizio segreto statunitense operante nel periodo della seconda guerra mondiale. Fu il precursore della Central Intelligence Agency (CIA). Fu istituito nel giugno 1942 con lo scopo di coordinare la gestione della raccolta di intelligence militare a livello centrale, assumendo in ciò un ruolo sovraordinato ad ogni altra analoga struttura già esistente nelle forze armate americane (ogni forza aveva infatti, e tuttora possiede, un proprio servizio di intelligence), in particolare per quanto concerneva le operazioni oltre le linee nemiche, venendo poi sciolto nel 1945 (Wikipedia, voce OSS)

2. F. GAJA, Il secolo corto, la filosofia del bombardamento, la storia da riscrivere, Maquis, Milano, 1994, p. 167.

2. R. FAENZA e M. FINI, Gli americani in Italia, Milano, 1976, p. 147 cit. in F. GAJA, op. cit., p. 167.

3. F. GAJA, op. cit., p. 167.

4. F. GAJA, op. cit., p. 168.

5. R. FAENZA e M. FINI, op cit., p. 168,169.






(italiano / francais)

Ukraine : trois journalistes tués en un jour

0) Brevi e links
1) Ukraine : trois journalistes tués en un jour, rien dans les médias !
2) Salviamo il refusnik Ruslan che rifiuta di andare a uccidere nel Donbass


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BREVI E LINKS

Fonte: pagina FB "Con l'Ucraina antifascista", 8/12/2014
https://www.facebook.com/ucrainaantifascista/photos/np.102833405.1137191587/736141343133789/
Dal Ministero della Propaganda di goebbelsiana memoria al "Ministero delle Politiche dell'Informazione" creato da Poroshenko.
Poco si sa di questo nuovo organo: è noto che si tratta di una sorta di "one man Ministry", affidato da Poroshenko al giornalista-politico Juryj Stets (5 Canale, Poroshenko è il padrino di battesimo di suo figlio) e che lo scopo è "contrastare la propaganda russa" - cosa non difficile, visto che la giunta blocca la tv russa, ha chiuso una ventina di testate giornalistiche ucraine, chiude i siti web d'opposizione e fa arrestare blogger e giornalisti.

Fonte: pagina FB "Con l'Ucraina antifascista", 23/1/2015
https://www.facebook.com/ucrainaantifascista/photos/np.105372834.1137191587/764491110298812/
Il Servizio di Sicurezza d'Ucraina ha espulso dal paese 88 giornalisti russi. Lo ha reso noto oggi il portavoce Markiyan Lubkovskij.
"88 di quelli (propagandisti) sono stati cacciati, fino a oggi, dall'Ucraina", ha affermato Lubkovsky al canale televisivo Channel 5 (emittente controllata da holding facente capo a Poroshenko). 
Otto invece ci risultano essere i giornalisti russi ammazzati in Ucraina nel 2014. Come scrisse Poroshenko su twitter il 9 gennaio, prima di partire alla volta di Parigi, "We must say YES to freedom".
Source: http://itar-tass.com/en/world/773110

Appello del giornalista ucraino Anatoly Sharij (Anatoly Sharij, 20 febbraio 2015)
Il giornalista ucraino Anatoly Sharij, che attualmente è un rifugiato politico in Europa, rischia di perdere questo status semplicemente per aver osato criticare il governo ucraino...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=G32e6El3mSA

Fonte: pagina FB "Con l'Ucraina antifascista", 16/4/2015
https://www.facebook.com/ucrainaantifascista/posts/813177205430202
Ucciso a Kiev lo scrittore e giornalista Oles Buzina, nato nella capitale ucraina nel 1969.
Già candidato alcuni anni fa alla Rada per il Blocco Russo, lo scrittore era noto per le sue posizioni filorusse. Sostenitore della federalizzazione del paese, non aveva appoggiato la costituzione delle Repubbliche Popolari continuando a sostenere una maggiore vicinanza dell'Ucraina con la Russia.
Buzina aveva deciso di restare a Kiev, nonostante una lunga campagna diffamatoria, durante la quale era finito nel mirino del gruppo "Femen", e le minacce.
Nella sua ultima intervista, concessa ieri alla radio VESTI e successivamente ripresa dai media, Buzina aveva parlato dell'élite filo-occidentale del paese, su cui hanno investito gli occidentali per organizzare il majdan, e della necessità della normalizzazione dei rapporti con la Russia la quale non è, come sostengono i media, un aggressore. Il conflitto semmai, sosteneva Buzina, è tra Occidente e Russia, l'Ucraina è il terreno dello scontro. A proposito degli oligarchi che comandano nel paese, lo scrittore aveva dichiarato: "Per i ladri che governano l'Ucraina è molto semplice dare la colpa di tutto a Putin".

Squadroni della morte a Kiev: assassinati tre politici e giornalisti dell’opposizione (di Marco Santopadre, 16 Aprile 2015)
http://contropiano.org/internazionale/item/30260-squadroni-della-morte-a-kiev-assassinati-tre-politici-e-giornalisti-dell-opposizione

Persino il quotidiano russofobo ed europeista "La Repubblica" fornisce notizie sugli omicidi politici nella vezzeggiata Ucraina:
http://www.repubblica.it/esteri/2015/04/16/news/ucraina_ucciso_giornalista_filorusso_a_kiev_e_il_terzo_omicidio_politico_in_24_ore_lo_sdegno_di_putin-112106358/




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The original text, in English: Europe! Wake up, old Lady! (Friday, 17 April 2015)
Four political murders during the day!...
http://euro-dreams.blogspot.ru/2015/04/four-political-murders-during-day.html

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http://www.michelcollon.info/Ukraine-une-liberte-d-expression-a.html?lang=fr

Ukraine : trois journalistes tués en un jour, rien dans les médias !

Trois journalistes ont été tués en Ukraine en un jour ! Quatre assassinats politiques sur deux journées ! Où sont les activistes des droits de l'homme ? Où sont les allocutions de Merkel, Obama, Cameron, etc ? Où est le tumulte des médias occidentaux ?

KIEV 15 Avril

Oleg Kalashnikov, l’ancien député parlementaire du Parti des Régions, a été tué a Kiev, comme le service de presse du Ministère de L’Interieur Ukrainien l’a confirmé ce mercredi. 

Il avait appelé à de larges commémorations du 70ème anniversaire de la victoire dans la Grande Guerre Patriotique. Kalashnikov était connu pour ses positions anti-Maidan. Il organisait également des rassemblements contre les autorités en Ukraine.
KIEV 16 Avril

Un journaliste Ukrainien bien connu, Sergey Sukhobok, a été tué a Kiev. Sukhobok, un natif du Donbass, en Ukraine de L’Est, région en guerre, avait travaillé comme journaliste depuis 1998. Il était auparavant un analyste de l’hebdomadaire Delovoy Donbass (Finance Donbass). Il avait récemment travaillé en tant que journaliste freelance. L’Ukrainskiye Novosti (Nouvelles Ukrainiennes), révèle que Kalashnikov avait reçu des menaces de mort peu de temps avant d’être tué.
KIEV 16 Avril

Olga Moroz, la rédactrice en chef du journal local, a été tuée en Ukraine. Son corps a été trouve avec des traces d’une mort violente.
KIEV 16 Avril

Un journaliste renommée, Oles Buzina, a été tué ce jeudi a Kiev, la capitale du pays. Dans sa dernière interview accordé à Radio Vesti, il avait accusé les autorités nationales d’avoir abandonné de façon inconditionnelle les intérêts de L’Ukraine. 

“Les formations politiques qui ont pris le pouvoir en Ukraine comme la conséquence d’un coup d’État ont choisi une voie strictement pro-Occidentale", avait affirmé Buzina. 

’Naturellement, tous nos liens de coopération avec la Russie dans la construction navale, l’aviation et la construction industrielle, furent instantanément démantelés. Aujourd’hui le pays est en proie au chômage et beaucoup de gens n’ont plus d’argent. Toutes les promesses de Maidan se sont avérées être de la pure fiction. Cette partie de l’élite ukrainienne qui s’appelle pro-occidentale abandonne tout simplement les intérêts nationaux de L’Ukraine”. 

Buzina, un journaliste reconnu, écrivain et présentateur TV, a été tué par balle près de sa maison a Kiev depuis une Ford Focus bleu foncé avec des plaques d’immatriculation étrangères. Il était l’auteur de deux ouvrages, incluant “Taras Shevchenko le Vampire” et “L’union de la Charrue et du Trident”. Buzina était le rédacteur en chef du journal Segodnya mais avait quitté son poste au mois de mars dernier en raison de la censure. 

Source : http://euro-dreams.blogspot.ru/2015/04/four-political-murders-during-day.html

Traduction : Collectif Investig’Action


=== 2 ===

Fonte: Marinella Correggia via email, 8/2/2015

Anche su http://www.marx21.it/internazionale/area-ex-urss/25125-salviamo-il-refusnik-ruslan-che-rifiuta-di-andare-a-uccidere-nel-donbass-ed-e-stato-arrestato-dal-governo-ucraino.html


Questo è un invito alla mobilitazione, si può cogliere l'occasione per  manifestare anche contro l'invio di armi a Kiev. Per evitare che le informazioni restino al "nostro" interno e si faccia la guerra e la pace al computer, occorre sia organizzare manifestazioni per strada - cercheremo a Roma di farne una davanti a Ue o amb Ucraina - sia inviare la richiesta "NO armi a Kiev! No condanne" al ministero degli esteri e a parlamentari sensibili. Marinella

Salviamo il refusnik Ruslan che rifiuta di andare a uccidere nel Donbass

Marinella Correggia
 
Il giornalista ucraino Ruslan Kotsbaba è stato arrestato a Ivano-Frankovsk, città dell’Ucraina occidentale, e rischia un processo per tradimento dello Stato. Intorno al 20 gennaio, Kotsbaba, che lavora per il canale televisivo 112, aveva  diffuso un video (https://www.youtube.com/watch?v=YKpo856d_Ig&feature=youtu.be) nel quale dichiarava la sua indisponibilità a essere arruolato e invitava di fatto i suoi concittadini alla diserzione di massa. Una dichiarazione che ha destato scalpore sia per la notorietà del giornalista sia perché l’Ucraina occidentale è percorsa da un vento sciovinista che arriva a riabilitare come eroi patrioti perfino i collaborazionisti nazisti. 
 
Nel video, camminando veloce nella sua città natale, Ruslan dichiarava: «Preferisco andare in carcere che andare a combattere contro miei compatrioti nel Donbass». «Uso il fatto di essere conosciuto per dire ufficialmente che non sono disposto a ricevere nessuna chiamata alle armi, non importa se sarà la terza, quarta o quinta mobilitazione. Se andassi in guerra potrei uccidere i miei compatrioti, perché questa è una guerra civile. La mobilitazione generale è legale solo quando c'è una formale dichiarazione di guerra fra due paesi, ma non è così. Non c'è dichiarazione di guerra con la Russia, anche se l'Ucraina lo dice. Il codice penale stabilisce una pena da due a 5 anni per la diserzione. Ma per me è più facile andare in galera che uccidere compatrioti. Dobbiamo capire che quelli che vivono nell'Est capiscono che il governo di Kiev è niente e non vogliono stare sotto questo governo. So che mi accuseranno di essere agente di Putin ma suggerisco a tutti di disertare. Non è possibile che nel secolo XXI si faccia guerra e si uccida solo perché altri vogliono stare per conto loro. Spero che molti ascoltino e facciano come me. In Donbass non c'è l'esercito russo». E’ auspicabile una mobilitazione internazionale a suo favore.

La storia dei conflitti è percorsa da continui coraggiosi inviti alla diserzione. Al tempo della spedizione coloniale in Libia, nel 1911, il soldato di leva e muratore anarchico Augusto Masetti ferì un ufficiale al grido di «fratelli ribellatevi»; finì in manicomio, non vollero farne un martire. E nella Prima guerra mondiale furono migliaia i giustiziati per diserzione, e decine di migliaia i diffamati e umiliati (si veda la mostra fotografica www.centoannidiguerra.org  di No War Napoli). Dopo cento anni, alcune autorità italiane sembrano avere l’intenzione di riabilitare come caduti di guerra quelle vittime della ferocia. Si è pronunciato a favore di questa scelta di civiltà anche il vescovo ordinario militare monsignor Santo Marcianò che ritiene la loro fucilazione «un atto di violenza ingiustificato e da condannare». 

Pochi anni dopo la fine del Grande macello, il pacifista tedesco Ernest Friedrich che aveva rifiutato di arruolarsi e per questo aveva conosciuto manicomio e prigione, nell’introduzione al suo potente libro fotografico Guerra alla guerra (1924) scrive: «Meglio affollare le carceri, gli istituti di pena e i manicomi di tutto il mondo piuttosto che uccidere e morire per il capitale. (…) Ripetete queste parole: “Io mi rifiuto!”; mettetele in pratica, e la guerra in futuro sarà impossibile. (…) E voi donne, non lasciate che i vostri uomini vadano al fronte! (…) Donne di tutto il mondo unitevi!». Ricordiamo anche Marcondiro, di F. De André: «Ci salverà il soldato che non sparerà (…)».

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Fonte: pagina FB "Con l'Ucraina antifascista", 9/2/2015
https://www.facebook.com/ucrainaantifascista/photos/np.106281132.1137191587/772276702853586/?type=1&ref=notif&notif_t=notify_me
Alcuni aggiornamento sull'arresto e la detenzione del giornalista Ruslan Kotsaba.
Kotsaba è accusato di spionaggio e tradimento.
Per quanto riguarda la prima accusa, ci viene segnalato che per il codice ucraino, lo spionaggio viene compiuto solo da cittadini stranieri, Kotsaba è sempre stato cittadino ucraino.
Per quanto riguarda la seconda accusa, contro di lui ci sono il celebre video (https://www.youtube.com/watch?v=Ve_AJRn-HJA) in cui dichiarava di non volersi arruolare per non andare ad ammazzare altri ucraini nella guerra civile, e una intervista con un canale della tv russa.
Per questo, nell'EuroUcraina, Ruslan Kotsaba rischia 15 anni di carcere.





ANCORA INIZIATIVE SEGNALATE
Nuovi appuntamenti e qualche reminder di iniziative importanti in programma

* Pisa 23-24/4: ORA E SEMPRE... Due giorni sui vecchi e nuovi fascismi
* Muggia (TS) 23/4: LIPA. Un reading musicale per commemorare una strage
* Conversano (BA) 24/4: JASENOVAC - omelia di un silenzio
* Bologna, sabato 25 Aprile 2015:
– UCRAINA: GOLPE GUERRA RESISTENZA
– DRUG GOJKO. Dai racconti di Nello Marignoli, partigiano italiano nell'Armata Popolare Jugoslava


=== Pisa 23-24/4 ===

http://www.diecifebbraio.info/2015/04/pisa-23-2442015-ora-e-sempre-resistenza/

Pisa, c/o Circolo ARCI Alhambra – Via Fermi 27


ORA E SEMPRE RESISTENZA

Due giorni sui vecchi e nuovi fascismi

GIOVEDI 23/4/2015 ORE 17:30

IL BUON ITALIANO? Crimini fascisti e colpe impunite

Andrea Martocchia – www.diecifebbraio.info
Carlo Giuntoli – Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Lucca

a seguire:

Apericena e Canti Resistenti del Coro Controcanto Pisano

VENERDI 24/4/2015 ORE 17:30

ORA LI RICONOSCETE. Identificare e combattere il fascismo oggi

Ilaria Mugnai – Brigate di Solidarietà Attiva Toscana
Tavolo di discussione: Antifascismo a Pisa. Esperienze e percorsi di lotta in comune

a seguire:

Apericena militante

Giovani Comunisti/e

INFO: gcpisa@... / www.giovanicomunistipisa.wordpress.com



=== Muggia (TS) 23/4 ===

Muggia (TS), giovedì 23 aprile 2015
alle ore 21.00 al Teatro Verdi - Via S. Giovanni, 4

LIPA
Un reading musicale per commemorare una strage
 
Lipa di Giuseppe Vergara, spettacolo prodotto da Teatro Incontro, torna in scena a Muggia nell’ambito delle manifestazioni celebrative del venticinque aprile organizzate dal Comune di Muggia.
  
Questa è la settima replica del reading musicale con Tiziana Bertoli, Luca Giustolisi, Katia Monaco e Stefano Vattovani e la musica dal vivo dell’orchestra Bachibaflax che eseguirà la colonna sonora scritta dal maestro Marco Vilevich.
 
Durante lo spettacolo si potrà ascoltare la storia del paese di Lipa che il 30 aprile del 1944 fu raso al suolo da un rastrellamento nazifascista trasformatosi in una strage di innocenti civili. 269 persone furono trucidate quel triste giorno, 121 di loro erano bambini, gli altri anziani e donne. L’intento dello spettacolo è quello di far conoscere questa triste vicenda attraverso un testo che intreccia il linguaggio storico a quello narrativo.
 
Durata: 1 ora e 40 minuti ca.
Entrata ad offerta libera.
 
Per maggiori informazioni e per la visione di contributi video dello spettacolo
 
http://www.giuseppevergara.com/teatro/lipa/


=== Conversano (BA) 24/4 ===

Conversano (Ba), 24 aprile 2015
c/o La Casa delle Arti, Via Donato Jaia 14

in occasione del 70° anniversario della Liberazione
l'Associazione Culturale "Luciano Locaputo" organizza lo spettacolo

Jasenovac - omelia di un silenzio

1941-45: l’infernale dittatura Ustascia in Jugoslavia 

Spettacolo per attore solo e video – di e con Dino Parrotta - 
Compagnia Primo Teatro

Scritto, diretto e interpretato da : Dino Parrotta
Durata: 60 minuti
Consulenza storiografica: Prof. Andrea Catone, Paolo Vinella 
Scenografia Video: Pasquale Polignano



=== Bologna, 25 Aprile ===


Bologna, sabato 25 Aprile 2015
dalle ore 11:00 alle 12:30 presso: Bar Macondo, Via del Pratello 22

UCRAINA: GOLPE GUERRA RESISTENZA

Presentazione del libro e della campagna della Rete "Noi Saremo Tutto"
http://www.noisaremotutto.org/

promuovono: 
Comitato Ucraina Antifascista Bologna
https://www.facebook.com/ucraina.antifascista.bo
Campagna Noi Restiamo Bologna



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Bologna, sabato 25 Aprile 2015
alle ore 16:30 presso la Sala Benjamin, Via del Pratello 53

Per il 25 Aprile del Settantesimo:

"DRUG GOJKO"

MONOLOGO DI PIETRO BENEDETTI
TRATTO DAI RACCONTI DI NELLO MARIGNOLI, PARTIGIANO ITALIANO NELL'ARMATA POPOLARE JUGOSLAVA

Nell'ambito del festival antifascista Pratello R'Esiste
https://www.facebook.com/events/1441825289443559/

co-promosso da:
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS
https://www.cnj.it
Giovani Comunisti Bologna
https://www.facebook.com/gcbolo

Ingresso a SOTTOSCRIZIONE LIBERA

Sullo spettacolo vedi anche: https://www.cnj.it/CULTURA/druggojko.htm




(srpskohrvatski / italiano)

Radio Jugoslavia può esistere solo in Jugoslavia

1) «Non spegnete Radio Jugoslavia!» (Carlo Perigli, 18 aprile 2015)
2) Radio Jugoslavija nastavlja protest / Medijsko "samoubistvo" države (Glassrbije.org)
3) Le proteste degli impiegati della Radio Internazionale di Serbia (Voiceofserbia.org/it)


O istom temu procitaj:

- UNS: Pronaći rešenje za Radio Jugoslaviju 

- UNV: Podrška opstanku važnog medija za Srbiju 

- SINOS: Posebni zahtevi EU za Srbiju? 

- Mediji o nama


=== 1 ===


«Non spegnete Radio Jugoslavia!»



18 aprile 2015

Dopo 79 anni e tre guerre, Radio Jugoslavia – Radio Internazionale di Serbia, sembra destinata a scomparire, lasciando disoccupati e senza liquidazione circa 150 lavoratori

Di Carlo Perigli


«Non spegnete Radio Jugoslavia!», questo il grido con il quale i centinaia di lavoratori della storica emittente stanno manifestando da giorni il proprio dissenso di fronte alla sede del governo serbo, ormai pronto a chiudere, dopo ben 79 anni di servizio, la storica emittente. Un destino triste, per quella che una volta era il fiore all’occhiello del sistema mediatico jugoslavo, l’unica emittente ad onde corte in grado di arrivare in ogni parte del mondo e di farsi comprendere con i suoi programmi in 12 lingue.

Certo, la Jugoslavia non c’è più e con il tempo la radio si è adattata ai ben noti quanto tristi eventi storici, vedendo il suo nome cambiato più volte nel corso degli anni ’90 e 2000, fino al definitivo Radio Jugoslavia – Radio Internazionale di Serbia. Del Paese che fu rimane l’eredità di una radio che iniziò a trasmettere già dal 1936, durante l’allora regno, con il fine di contrastare la propaganda fascista. Una radio che sotto l’occupazione nazista cambiò nome inRadio Jugoslavia Libera, con i programmi trasmessi direttamente dalla Russia, e che iniziò a crescere vertiginosamente con la fondazione della Repubblica Popolare Federativa di Jugoslavia.

Ma l’opposizione alla chiusura di Radio Jugoslavia non è solo una questione di nostalgia, tutt’altro, il cuore della questione è composto dalla dignità di circa 150 lavoratori che da un giorno all’altro rischiano di ritrovarsi disoccupati, vittime di una spending review – con annessa e massiccia privatizzazione dell’economia – che sta fagocitando quel che rimane dello stato sociale di Belgrado. In questo senso si spiegano la Strategia sui Media e la legge sull’informazione approvate lo scorso anno, che prevedono la cessazione da parte dello Stato dei finanziamenti diretti nei confronti dei media. Nonostante i primi proclami, il governo non ha manifestato l’intenzione di trasformare o includere Radio Jugoslavia nel  servizio pubblico, decisione che porterà inevitabilmente la radio a scomparire, lasciando i dipendenti senza lavoro né, secondo riportato da InSerbia.info, la liquidazione, che in casi come questi non è prevista.

«Sebbene la nuova legge sui media risale al 2014 – si legge nella lettera inviata dai lavoratori al premier serbo Aleksander Vucic – siamo sicuri che ci sia un modo per Radio Jugoslavia – Radio Internazionale di Serbia di sopravvivere, essendo l’unica stazione ad onde corte del Paese le cui trasmissioni raggiungono tutti i continenti». Chiedono, in sintesi, di far sopravvivere una stazione che offre i suoi programmi in dodici lingue, come fanno altri Paesi europei con le loro emittenti, dalla Deutsche Welle in Germania alla Bbc in Inghilterra. Chiedono di non essere considerati numeri, di vedere riconosciuta la loro dignità, di non permettere che l’avvicinamento della Serbia all’Europa equivalga ad un loro passaggio nel tritacarne sociale.



=== 2 ===


Radio Jugoslavija nastavlja protest

Čet, 16/04/2015 - 11:38 -- MRS

Zaposleni u Radio Jugoslaviji (Međunarodni radiо Srbija), nakon četvoročasovnog protesta ispred Vlade Srbije, nisu dobili nikakav odgovor na pismo i zahtev za prijem koji su uputili premijeru Srbije Aleksandru Vučiću. Dobili su samo informaciju da je kabinet predsednika Vlade "uzeo predmet u razmatranje" i da će predstavnici ove medijske kuće biti pozvani na razgovor. Protest se nastavlja i biće ponovljen narednog četvrtka, ukoliko do razgovora ne dođe.

***

Ispred Vlade Srbije održan je četvoročasovni mirni protest više od 70 zaposlenih u Radio Jugoslaviji (Međunarodni radio Srbija), zbog najave gašenja naše medijske kuće, koja postoji već 79 godina i emituje program na 12 jezika. Predstavnici zaposlenih zatražili su prijem i predali pismo za premijera Aleksandra Vučića, u kojem se skreće pažnja na štetnost gašenja takvog medija za interese države Srbije i ukazuje na položaj u koji se dovode svi zaposleni, koji ostaju bez posla, ali i bez adekvatnih nadoknada. Ako ne bude reakcija iz Vlade ili Ministarstva  za kulturu i informisanje, zaposleni su najavili novo okupljanje ispred Vlade sledeće nedelje.

Medijskom strategijom i novim Zakonom o javnom informisanju, predviđeno je povlačenje države iz vlasništva nad medijima i njihovog direktnog finansiranja. Za Radio Jugoslaviju, uprkos ranijim najavama, nije ponuđena nikakva mogućnost transformacije, racionalizacije ili uključivanja u Javni servis, mada je Zakonom utvrđen javni interes informisanja svetske javnosti o dešavanjima u Srbiji.

Direktor Međunarodnog radija Srbija Milorad Vujović ocenio je kako je nedopustivo da se 1. jula ugasi jedini državni servis za informisanje inostrane javnosti o događajima u Srbiji na 11 svetskih jezika, koji emituje program 79 godina. "Taj vid nedovoljno razvijenog sluha je nedopustiv, jer postoji mogućnost da u okviru Javnog servisa, a prema Zakonu o javnim medijskim servisima, radio nastavi da obavlja svoju funkciju", kazao je Vujović novinarima. Prema njegovim rečima, gašenje jedine stanice sa kratkim talasima u zemlji, čiji se program može čuti u svim delovima sveta, predstavlja gubitak i za propagiranje Srbije i ostavlja prazan prostor u informisanju inostrane javnosti i srpske dijaspore. Vujović je ukazao da se u regionu dešavaju suprotni trendovi i da svi žele da obezbede što veći uticaj na javno mnenje u svetu, kao i da 20 zemalja EU takođe imaju ovakav vid svetskog servisa.

Direktor Vujović  kazao je da još uvek nije jasno šta će se dešavati sa zaposlenima, ali postoji bojazan da će svi zaposleni, njih 96, bitu upućeni  na Nacionalnu službu za zapošljavanje, bez otpremnina ili bili kakvih nadoknada. "Nema mogućnosti za privatizaciju ovakvog tipa medija, iako su neki modeli javno-privatnog partnerstva mogući, ali u ovom trenutku to nije ponuđeno kao opcija", rekao je Vujović.

[VIDEO: direktor Radio Jugoslavije Milorad Vujović]

Predsednica Sindikata novinara Radija Jelica Tapušković kazala je da su rukovodstvo i predstavnici sindikata pokušali nekoliko puta da razgovaraju sa predstavnicima Ministarstva kulture i informisanja o svom problemu. "Sa ministrom Ivanom Tasovcem nismo razgovarali, ali nas je primio državni sekretar zadužen za medije Saša Mirković sa kojim je razmatrana mogućnost reorganizacije radija i njegov dalji rad", kazala je ona i navela da su poslednji put sa njim razgovarali u decembru prošle godine. Tapuškovićeva je navela da nakon toga i pored više pisama i zahteva nije bilo odgovora iz Ministarstva kulture i informisanja, da bi pre dva dana, kada je najavljen protest zaposlenih, stiglo pismo u kome se navodi da se "radi na aktu kojim će da se odrede pravne posledice ukidanja radija", bez objašnjenja šta to znači.

Prema njenim rečima, dalji potezi zaposlenih u tom radiju zavisiće od ishoda razgovora sa nadležnima.

[VIDEO: predsednica sindikata i novinar Jelica Tapušković]

[VIDEO: prevodilac i spiker u redakciji za engleski jezik Dragan Milojević]

Zaposleni u Međunarodnom radiju Srbija nosili su transparente na kojima je pored ostalog poslao "Da se glas Srbije i dalje čuje širom sveta", "Tamo gde se ne čujemo, sigurno je kraj sveta".


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Medijsko "samoubistvo" države

Čet, 16/04/2015 - 10:35 -- MRS

Novinarska udruženja i mediji u Srbiji objavili su na svojim internet stranama i u programima saopštenje zaposlenih u Radio Jugoslaviji, koje je izazvalo brojne reakcije. Prenosimo neke od njih.



Ovo je potpuno neverovatno ! Nemam reči da izrazim svoje čuđenje, nevericu i ogorčenost činjenicom da, u vreme pojačavanja informativnog rata u regionu i svetu, Srbija dobrovoljno odustaje od medijskog afirmisanja svojih interesa prema inostranstvu ! A najstrašnije je to što se takva iracionalna i više nego apsurdna odluka donosi u ime "evropskih standarda " u oblasti medija. Pa da li je ikome iz nadležnih instanci poznato da Nemačka kao lider te iste EU ne samo da nema nameru da ukida svoj međunarodni servis, nego čak jača državnu propagandu preko svog "Deutsche Welle"-a ? I da se potpuno ista stvar odnosi i na "Radio France Internationale", BBC, "Voice of America", "Glas Rusije", kao i međunarodne servise Hrvatske, Albanije, Rumunije i mnoštva drugih zemalja ? Posebno je poražavajuće to što bi Srbija u slučaju gašenja Međunarodnog Radija Srbije bila jedina zemlja u regionu koja se SVOJEVOLJNO odrekla tako važnog segmenta svoje državne propagande - i to upravo u vreme kada države u susedstvu taj segment kontinuirano jačaju, iako se nalaze u podjednako teškoj (ili čak i težoj) finansijskoj situaciji ! Pobogu, kakvi su to "evropski standardi" ?! Da li bi , u svesti nekog suženog, plitkog i bahatog birokratskog uma, Srbija trebalo svetu da pokaže da je nekakva beketovska medijska "avangarda" koja će pokazati da je spremna da izvrši ritualno medijsko samoubistvo na državnom nivou i sa mazohističkim žarom još jednom poseče granu na kojoj sedi ?! Potpuno je neshvatljivo takvo ignorisanje objektivnih činjenica i odsustvo svake volje za rešavanje statusa MRS u situaciji koja zahteva još snažnije angažovanje propagandnih potencijala Srbije u skladu sa osnovnim ciljevima državne i nacionalne politike, a nikako ograničavanje ili čak (kao u ovom slučaju ) svesno i namerno odricanje od tih potencijala ! Takav neverovatno rigidan i neodgovoran odnos je ne samo apsurdan nego i štetan po državne interese - a posebno u sadašnjoj bremenitoj spoljno-političkoj situaciji, odnosno situaciji kada sve veći prostor i uticaj na domaćoj medijskoj sceni preuzimaju faktori koji nemaju nimalo afirmativan stav prema tim interesima. Ako je u resornim strukturama preostalo još malo zdravog razuma i osećaja za odgovornu državnu politiku, onda se pod hitno mora pronaći način da MRS nastavi da informiše svetsku javnost - jer, ako su Nemačka i mnoge druge zemlje EU našle način da finansiraju i ojačaju svoje međunarodne servise, onda nema nijednog racionalnog razloga da Srbija ne sledi njihov primer i ne učini isto. Ili je, možda, u ovoj zemlji problem upravo u terminima "racionalnost" i "odgovornost" ?

Ljubo D. Večić

Informisanje inostrane javnosti u javnom interesu

Prema clanu 7. tacka 19. Zakona o javnim medijskim servisima, javni interes, u skladu sa zakonom kojim se uređuje oblast javnog informisanja, koji javni medijski servis ostvaruje kroz svoje programske sadržaje, je informisanje inostrane javnosti o događajima i pojavama u Republici Srbiji.
Po clanu 13. st. 1. i 2. ovog zakona:
RTS pruža medijske usluge na najmanje dva televizijska i najmanje tri radijska programa na teritoriji Republike Srbije.
RTV pruža medijske usluge na najmanje dva televizijska i najmanje tri radijska programa na teritoriji Autonomne pokrajine Vojvodine.
Ako RTS i RTV kao javni medijski servisi nisu duzni da informisu inostranu javnost o događajima i pojavama u Republici Srbiji i ako se u clanu 2. ovog zakona ne pominje "Radio Jugoslavija" ("Međunarodni radiju Srbija") kao javni mediski servis, koji onda javni medijski servis ili drugi pruzalac medijske usluge (i radio-difuzne usluge na kratkim talasima) ima tu duznost (informisanje inostrane javnosti), i to u javnom interesu?

Dejan R. Popovic, dipl. inz.

Čiji je naš javni interes?

Ako nije javni interes države Srbije da informiše svet na 12 jezika preko svog medija, šta je onda njen interes? ILI Čiji je interes da svet informiše o Srbiji putem javnih servisa drugih država!?

Aleksandra Javoljević, politikolog

Prst na čelo

Radio Jugoslavija vec 79 godina na vrlo odmeren način informiše stranu javnost bez bilo kakvog senzacionalizma. To čini na, u svetu, najzastupljenijim jezicima. Mnoge ambasade preuzimaju, baš zbog toga, vesti ove kuće. Kratkotalasna frekvencija je, takođe, i vojna frekvencija. Ovakav medij nikako ne može biti privatizovan, a po zakonu obavlja funkciju od javnog značaja! Kao potpuno poseban slučaj u medijskoj sferi, MORAO bi se pronaći modalitet za opstanak!


Le persone che lavorano nella Radio Internazinale di Serbia terranno le proteste domani davanti al Palazzo del Governo

15. 04. 2015. – Le persone che lavorano nella Radio Internazinale di Serbia terranno le manifestazini di protesta domani davanti al Palazzo del Governo, perché il Governo ha annunciato che chiuderà la nostra Radio, la quale è stata fondata 79 anni fa e che emette i suoi programmi in dodici lingue. La Strategia sui media e la nuova legge sulle informazioni pubbliche prevedono che lo Stato smetterà di finanziare il lavoro dei media. Nonostante gli annunci alla Radio Internazinale di Serbia non è stata offerta nessuna possibilità che essa sia trasformata e inclusa nel Servizio pubblico. La legge prevede però che l'opinione piubblica deve essere informata su quello che accade in Serbia. Gli impiegati della Radio Internazionale di Serbia potrebbero trovarsi sulla strada e senza lavoro, perché per questo tipo di media non sono previste le buonuscite.
Durante le proteste gli impiegati della Radio Internazionale di Serbia consegneranno la lettera al premier Aleksandar Vucic, nella quale saranno sottolineate le conseguenze negative della chiusra della Radio e la situazione difficile nella quale si troveranno gli impiegati. „Noi resteremo senza lavoro e senza buonuscite. Sebbene le nuove leggi sui media siano state approvate nell’anno 2014, siamo sicuri che esista la possibilità che la Radio Internazionale di Serbia continui a lavorare. La nostra è l’unica Radio in Serbia che emetta il suo programma in onde corti. Il suo programma si sente in tutti i continenti. Nella Radio Internazionale di Serbia lavorano meno di cento persone. Prima che prendiate la decisione definitiva, verficate se la Germania abbia smesso di finanzire la Radio Deutsche Welle, la Gran Bretagna la Radio BBC, gli Stati Uniti la Radio Voice of America, la Cina la Radio China international, la Russia la Radio Voce della Russi. La situazione è simile in Croazia, Bulgaria, Romania, Albania. Queste Radio sono finanziate dai loro Stati. Pensateci un po’. Che almeno qualche rappresentante del Governo serbo parli con gli impiegati della Radio Internazionale di Serbia prima che si prenda la decisione finale sul suo destino. La nostra Radio emette il programma in dodici lingue e offre molte potenzialità per la presentazione della Serbia nel mondo. Siamo sicuri che ascolterete la nostra voce“, scrive nella lettera che gli impiegati della Radio Internazionale di Serbia consegneranno al premier Aleksandar Vucic.

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Manifestazioni di protesta degli impiegati della Radio Internazionale di Serbia davanti al Palazzo di Governo

16. 04. 2015. - 19:48 -- MRS

Davanti al Palazzo del Governo serbo le persone impiegate nella Radio Jugoslavia (Radio Internazionale di Serbia) hanno tenuto le manifestazioni di protesta che sono durate quattro ore. Le proteste sono state organizzate perché il Governo serbo ha preso la decisione di chiudere la Radio Internazionale di Serbia, la quale è stata fondata 79 anni fa. La nostra Radio emette il programma in dodici lingue. I rappresentanti delle persone impiegate nella Radio Internazionale di Serbia hanno consegnato la lettera al premier Aleksandar Vucic, nella quale è stato ribadito che la Serbia ha bisogno di una radio del genere e che esiste la possibilità che gli impiegati saranno licenziati senza fuoruscite. Se non arriveranno le reazioni del Governo e il Ministero della Cultura e le Informazioni, saranno tenute nuove manifestazioni di protesta. La Strategia sui media e la nuova legge sull’informazione pubblica prevede che lo Stato cesserà di finanziare in modo diretto i media. Alla Radio Juogoslavia non è stata offerta nessuna possibilità di trasformazione o l’inclusione nel servizio pubblico, anche se la legge prevede che le informazioni su quello che accade in Serbia hanno l’importanza pubblica.
Il direttore della Radio Internazionale di Serbia Milorad Vujovic ha detto che è incomprensibile che sia stata presa la decisione che il 1 luglio sarà chiusa l’unica Radio statale che emetta le trasmissioni in onde corti sugli avvenimenti e la situazione in Serbia in unidici lingue. La Radio Internazionale di Serbia è stata fondata 79 anni fa. Questa forma di autismo è inspiegabile. Secondo la legge sui media pubblici la nostra Radio potrebbe diventare parte del Servizio pubblico. Se cesserà di esistere l’unica Radio che emetta il suo programma in onde corti in tutti i continenti sarà creato un vuoto nello spazio delle informazioni che saranno presentate alla comunità internazioale e la diaspora serba, ha detto Vujovic. Nei Paesi della nostra regione la poltica è diversa. Tutti i Paesi desiderano avere l’influenza sull’opinione pubblica dell’estero. Circa venti Paesi dell’Unione europea hanno una Radio del genere. Non è ancora chiaro che cosa succederà con gli impiegati. Abbiamo paura che 96 persone che lavorano nella Radio Internazionale di Serbia saranno mandati senza fuoruscite all’Uffico nazionale per la ricerca di lavoro. Non esiste la possibilità che la nostra Radio sarà privatizzata. Sono previsti certi modelli della collaborazione tra il settore privato e pubblico nei media. In questo momento quel modello non è stato offerto come una delle opzioni, ha dichiarato il direttore Milorad Vujovic.
La presidente del Sindacato dei giornalisti della Radio Internazionale di Serbia Jelica Tapuskovic ha detto che la direzione e i rappresentanti del Sindacato hanno tentato alcune volte di parlare con gli esponenti del Ministero della Cultura e le Informazioni. Non siamo riusciti a parlare con il ministro Tasovac. Siamo stati ricevuti dal segretario statale alle questioni che riguardano i media Sascia Mirkovic. Con lui abbiamo parlato della possibilità che la nostra Radio sia ristrutturata. Abbiamo parlato con Mirkovic per l’ultima volta a dicembre. Alle nostre lettere inviate al Ministero della Cutura e le Informazioni non sono arrivate le risposte. Due giorni fa, dopo che abbiamo annunciato che avremo tenuto le manifestazioni di protesta, è arrivata la lettera del Ministero, nella quale è stato precisato che si stanno determinando le conseguenze giuridiche della chiusura della Radio. Non è stato spegato il vero significato di queste parole. Le mosse delle persone che lavorano nella Radio Internazionale di Serbia dipenderanno dai risultati dei colloqui con i rappresentanti del Governo, ha dichiarato la Tapuskovic.
Le persone impiegate nella Radio Internazionale di Serbia portavano i manifesti sui quali scriveva: “La voce della Serbia deve sentirsi in tutto il mondo” e “Lì dove non si sente la nostra voce è sicuramente la fine del mondo”. Molti media in Serbia hanno riportato le notizie sulle manifestazioni di protesta degli impiegati della Radio Internazionale di Serbia davanti al Palazzo del Governo.




(srpskohrvatski / italiano)

Aggiornamenti dal Kosmet martoriato

1) Kosovo - Europa sola andata. Storia di un fallimento politico e militare (di Luigi Mazza, 14/3/2015)

2) Nel Kosovo continuano le aggressioni
Osude zbog napada na mladića u Kosovskoj Mitrovici / Che succede a Kosovska Mitrovica? (C. Perigli, 12/4/2015) / Izbodeni mladić operisan

3) Aggiornamenti da www.glassrbije.org
Traže pravdu za srpske žrtve na Kosmetu / Jedanaest godina od pogroma nad Srbima na KiM / Se Priština non formerà il Tribunale per i crimini dell’UCK, lo farà l’ONU / Il premier albanese Edi Rama: "Kosovo e l’Albania si uniranno in modo classico" / Belgrado: se Thaci viene in Serbia verrà arrestato 


Vedi anche:

Diritto e ... rovescio internazionale nel caso jugoslavo
di Andrea Martocchia, segretario Coord. Naz. per la Jugoslavia ONLUS
Flashback / Diritto, adieu / La notizia più recente / Il Kosovo e la missione EULEX / Altri aspetti dello stato di illegalità in Kosovo / Il caso Jelisić / La magistratura come prosecuzione della guerra con altri mezzi
Articolo pubblicato nell'ultimo numero (1/2015) di MarxVentuno rivistahttp://www.marx21.it/component/content/article/32-la-rivista-marxventuno/25447-marxventuno-n1-2015.html


=== 1 ===

http://www.lacittafutura.it/mondo/europa/kosovo-storia-di-un-fallimento-politico-e-militare.html

KOSOVO - EUROPA SOLA ANDATA. STORIA DI UN FALLIMENTO POLITICO E MILITARE

Marzo 14, 2015


Tra allarme terrorismo, economia nulla e disoccupazione record, i kosovari fuggono dal Kosovo passando per Serbia e Ungheria. L'Europa non li vuole e presidia il confine serbo-ungherese. A Pristina comanda ancora l'UCK, che Nato e Onu, con la risoluzione 1244, dovevano smantellare. L'ISIS offre fino a 30mila euro ai giovani disoccupati per unirsi nei combattimenti. Intanto nel paese, dopo il fallimento di Eulex, c'è un problema da risolvere: la giustizia. 

di Luigi Mazza 

FUGA DAL KOSOVO 

Si torna a parlare di Kosovo anche in Italia dopo che, dai Balcani, giungono notizie di “emergenza profughi”. Molti analisti, così come i giornalisti locali, parlano di “esodo” e “fuga”, ma i media nostrani non si sbilanciano troppo nonostante le parole chiave – profughi, albanesi, musulmani, allarme terrorismo, Isis ecc. - siano delle migliori per intossicare una narrazione. Il fatto è che il Kosovo è l'emblema più vicino a casa nostra del fallimento delle “missioni di pace” in cui l'Italia più si è spesa; il fatto è che, nella favola balcanica degli anni Novanta, i kosovaro-albanesi erano i veri “buoni” da difendere; il fatto è che a decidere di bombardare Belgrado fu un imbarazzante Bill Clinton, uscito ammaccato dal Sexgate, e che fu Massimo D'Alema a decidere che anche l'Italia era pronta per impantanarsi in Kosovo. 

Ogni giorno centinaia di kosovari fuggono dalla miseria e dalla corruzione di un paese nato già fallito. Sfidano il freddo, il rischio di una multa di 7.500 euro, e affrontano tortuosi viaggi in pullman o costosissimi passaggi in taxi, pur di raggiungere l'odiata Serbia (la cui polizia chiude un occhio) e superare la frontiera con l'Ungheria, presidiatissima da una task force speciale nelle ultime settimane, per entrare in Europa. Puntano soprattutto a Francia, Germania, Austria, Svezia e Olanda. Secondo l'Agenzia Statistica del Kosovo, il paese che si lasciano alle spalle questi nuovi “clandestini” ha una disoccupazione che oscilla tra il 35 e il 45%, per raggiungere il 60% tra i più giovani. E le prospettive future non sembrano buone perché gli investimenti internazionali, che rappresentavano l'unica vera fonte di introiti per la precaria economia nazionale, sono crollati. 

A destabilizzare la situazione interna, e la percezione che se ne ha in Europa, la notizia che lo Stato Islamico - secondo quanto dichiarato proprio dal segretario della comunità islamica in Kosovo, Resul Rexhepi – starebbe offrendo tra i 20 e i 30 mila euro, a fronte di uno stipendio medio di 200 euro, ai giovani kosovari per combattere nelle proprie fila. 55 nuovi adepti sono stati arrestati tra agosto e settembre scorsi, mentre 200 sarebbero quelli partiti per combattere in Siria e Iraq, di cui un centinaio rientrati in patria e 34 morti sul campo. Queste notizie vengono maneggiate con molta cura tra New York, Pristina e Roma: non bisogna dimenticare che i musulmani kosovari, oltre a essere stati coccolati in chiave anti-sovietica, una volta iniziata la missione Nato erano stati lasciati liberi di distruggere e saccheggiare case, ospedali e scuole, così come chiese e cimiteri ortodossi della comunità serba. E non bisogna dimenticare che i kosovaro-albanesi credono in Allah ma anche in Clinton e Bush (a cui dedicano strade, piazze e statue) e nella bandiera a stelle e strisce. 

A ottobre scorso, sulle mura trecentesche del bellissimo monastero ortodosso di Decani, patrimonio Unesco dell'umanità, sono comparse scritte inneggianti all'Isis e all'UCK. Il sito, pattugliato giorno e notte da militari italiani (per questo molto stimati dalla comunità serba locale) è da sempre bersaglio di blitz da parte di gruppi di kosovaro-albanesi, che nel 2007 addirittura lo presero di mira con un lanciarazzi bellico. 

Il KOSOVO OGGI, TRA POLITICA E CRIMINALITÀ 

Sono passati sette anni dalla dichiarazione d'indipendenza del Kosovo e sedici dall'intervento delle forze Nato, che il 12 giugno 1999 entrarono nella “Piana del merlo” per sedare i violenti scontri tra la polizia serbo-jugoslava e le forze militari e paramilitari kosovaro-albanesi dell'UCK (Esercito di liberazione del Kosovo). Il Kosovo oggi è molto più che un paese povero che deve gestire un dopoguerra. Zona franca per contrabbandieri e criminali prestati all'imprenditoria, snodo strategico per i traffici illegali di ogni tipo: da armi e droga, a organi e prostitute. Il tasso di disoccupazione è fuori controllo, e la corruzione impregna a tutti i livelli il tessuto istituzionale: molti degli uomini che dominano la scena politica oggi vengono direttamente dai vertici dell'UCK, formalmente sciolta nel 1999. 

È dalle ceneri dell'UCK che nasce il Partito Democratico del Kosovo (PDK) di Hashim Thaçi, attuale ministro degli esteri ed ex primo ministro (dal 2007 al 2015), che guidò l'UCK finanziandola grazie al commercio di eroina e cocaina. Così come dall'UCK è stato riciclato Ramush Haradinaj, nominato premier nel 2005 e poi costretto a dimettersi perché accusato di crimini di guerra, con 36 capi d'imputazione, dal Tribunale dell'Aja. Haradinaj, oggi leader dell'AAK (Alleanza per il Futuro del Kosovo), è stato assolto in appello e in primo grado dopo che quasi tutti i testimoni sono morti in circostanze misteriose. Smantellare e disarmare l'UCK era uno degli obiettivi centrali della risoluzione 1244 con cui il 10 giugno 1999, con Belgrado ormai piegata dalle bombe della Nato, l'Onu diede mandato alle forze internazionali di entrare in Kosovo. Ma, secondo i serbi rimasti in Kosovo e molti giornalisti indipendenti locali, l'UCK sta tuttora governando il paese perché l'intervento Nato avrebbe spianato la strada proprio a personaggi come Haradinaj e Thaçi. 

Il sistema giudiziario kosovaro è stato creato e gestito direttamente dall'ONU, in collaborazione con Osce e Unione Europea, tramite la missione Umnik. La responsabilità è passata, nel 2008, alla missione Eulex che, se secondo l'immaginario collettivo occidentale era ostacolata da Serbia e Russia, nella realtà ha sempre trovato gli ostacoli maggiori nella stessa classe politica del Kosovo, che non gradisce indagini e processi nei confronti di ex ribelli kosovaro-albanesi e reduci dell'UCK, oggi malamente ripuliti e incravattati. A parte questioni di microcriminalità, Eulex non è riuscita a incidere per aiutare il Kosovo a conquistare uno stato di diritto, ed è finita prima nel mirino della Corte dei conti dell'Unione Europea perché i risultati raggiunti non giustificherebbero le spese sostenute dalla comunità internazionale, e poi è finita nel caos quando la procuratrice britannica Maria Bamieh, membra della stessa EULEX, ha accusato pubblicamente alti funzionari della missione di intascare tangenti per archiviare le procedure avviate. 

Così lo scorso anno l'Unione Europea si era detta pronta a stanziare 150 milioni di euro per istituire un tribunale penale internazionale, simile a quello dell'Aja, ma con sede (anche) in Kosovo. La notizia è sempre rimasta più o meno ufficiosa, ma gli incontri dell'anno scorso tra l'Ufficio del Rappresentante dell'UE in Kosovo Samuel Zhbogar e i leader kosovari, così come la visita di Jonathan Moore per conto del Dipartimento di Stato Usa, lasciavano credere che si sarebbe arrivati presto a una svolta. Che nei fatti non c'è stata. 

La sicurezza interna del neonato stato, ad oggi riconosciuto da 110 paesi delle Nazioni Unite, è praticamente affidata al lavoro dei 5000 uomini (di cui 500 italiani) della missione Kfor, oggi guidata dal generale italiano Salvatore Farina, che lavorano in sinergia con la Kosovo Police, presidiando e pattugliando le zone più a rischio, dalle enclavi serbe alle zone del nord kosovaro e portando avanti missioni diconfidence building e intermediazione tra la cittadinanza serba e quella kosovara. 

Ad oggi in Kosovo, secondo l'organizzazione Humanitarian Fund Law, si sono celebrati 85 processi per crimini di guerra, con 62 imputati albanesi e 22 serbi. Pochissimi, se si pensa che solo tra il 1998 e il 1999 ben 13.146 persone sono morte o sparite nel nulla. E restano impuniti trafficanti di organi, contrabbandieri, mafiosi (locali e non) che fanno affari con armi e droga, così come criminali che fanno viaggiare rifiuti tossici da e per il Kosovo. 

Questo, il più giovane stato d'Europa, è il Kosovo che i kosovari non vogliono più e da cui fuggono passando per la Serbia. 



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Nel Kosovo continuano le aggressioni
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Osude zbog napada na mladića u Kosovskoj Mitrovici, policija obavila uviđaj

Čet, 09/04/2015 - Opštinsko rukovodstvo Kosovske Mitrovice najoštrije je osudilo napad na srpskog mladića S. N. (17) koji je povređen u tom gradu kada su ga napale nepoznate osobe koje su prešle iz južnog u severni deo grada. Gradonačelnik Severne Mitrovice Goran Rakić poručio je počiniocima napada da će biti gonjeni i da na glavnom mostu koji su prešli da bi napali srpske mladiće postoje sigurnosne kamere. Pozivam građane da budu suzdržani, održaćemo sastanak sa kosovskom policijom i obavestiti o daljim koracima koje ćemo preduzeti u pravcu očuvanja mira u gradu, rekao je Rakić. Predsednik privremenog opštinskog organa u Kosovskoj Mitrovici Aleksandar Spirić izjavio je da su zbog poslednjeg incidenta građani Kosovske Mitrovice uznemireni i zabrinuti. U severnom delu Kosovske Mitrovice u blizini ibarskog mosta večeras oko 18.00 časova izboden je mladić srpske nacionalnosti S. N. (17) koji je zbrinut u mitrovičkoj bolnici. Regionalni šef opetrative kosovske policije Željko Bojić izjavio je da je nekoliko osoba sa kapuljačama na glavi prešlo glavni most na Ibru, koji razdvaja severni od južnog dela grada, i da je tom prilikom napadnut srpski mladić. 
(Izvor: Tanjug )

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Che succede a Kosovska Mitrovica?


12 aprile 2015

Nuovamente tesa la situazione in Kosovo e Metochia. Dopo l’aggressione ai danni di un giovane serbo, negli ultimi giorni eventi di violenza si sono verificati ai danni di albanesi e bosniaci


Di Carlo Perigli


Nuovamente alta la tensione a Kosovska Mitrovica, la ‘città divisa’ del Kosovo settentrionale, teatro negli ultimi quattro giorni di diverse aggressioni. A far scattare la scintilla l’accoltellamento subito da un diciassettenne serbo  da parte di un gruppo di cinque persone non identificate, a pochi metri dalla stazione di polizia sul ponte di Austerlitz, che separa  la parte sud della città, a maggioranza albanese, da quella nord, una delle poche enclavi serbe rimaste intatte nella regione.

Mentre proseguono le indagini sull’aggressione, le autorità locali, secondo quanto riportato da Tanjug.sr, hanno avviato un’inchiesta per valutare un’eventuale condotta negligente da parte dei tre poliziotti che avrebbero dovuto vigilare sulla zona, al momento sospesi a tempo indeterminato. Nel frattempo, l’evento ha scatenato un rapido susseguirsi di aggressioni, che fino ad ora hanno portato al ferimento di tre giovani albanesi e di due bosniaci.


“I recenti incidenti a Kosovska Mitrovica –  ha dichiarato alla RTS Milivoje Mihajlovic, direttore dell’Ufficio governativo serbo per le relazioni con i media – mostrano la necessità di una maggiore vigilanza sul fiume Ibar e meno tensione da parte di Pristina. Penso che questi eventi mostrino la tensione etnica che sta emergendo nuovamente, forse causata dai problemi economici, ma sicuramente da alcune idee circolate ultimamente”. Un chiaro riferimento alle dichiarazioni rilasciate pochi giorni fa dal premier albanese Edi Rama, che aveva prospettato come “inevitabile” la futura unione con il Kosovo, “che all’Ue piaccia o no”. Un’idea che, secondo Mihajlovic, stimola passioni nazionaliste pericolose, anche a causa della mancata condanna da parte di Stati Uniti e Unione Europea. Sentimenti che forse per qualcuno sono utili, specialmente di fronte ad un Paese sull’orlo del baratro, dal quale negli ultimi mesi sono scappate circa 150.000 persone.

Così, l’atmosfera a Kosovska Mitrovica torna a farsi nuovamente incandescente, a distanza di quasi un anno dai tumulti del 22 giugno, quando un nutrito gruppo di nazionalisti albanesi ingaggiò violenti scontri con le forze di sicurezza internazionale, nel tentativo di raggiungere la parte nord della città. La dinamica degli ultimi fatti però, ricorda da molto vicino quella serie di omicidi – in parte mai chiariti – che scatenarono il pogrom anti-serbo del 17 marzo 2004,nel quale persero la vita 28 persone e migliaia di non-albanesi furono costretti ad abbandonare le loro case, buona parte delle quali distrutte insieme a monasteri e cimiteri.


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Fonte: http://www.b92.net 

KM: Izbodeni mladić operisan

Izvor: B92, Beta 

Kosovska Mitrovica -- Mladić S. N. (17) srpske nacionalnosti uboden je nožem u grudi kod glavnog mosta u Kosovskoj Mitrovici. On je operisan, ali je još uvek životno ugrožen.

Povređeni mladić je operisan i nalazi se u stabilnom stanju, ali je i dalje životno ugrožen, izjavio je doktor Saša Dimkić.

"Radi se o povredama nanetim oštrim predmetom od pozadi i to su ozbiljne povrede", rekao je Dimkić i dodao da su sedamnaestogodišnjem N.S. povređeni desna strana grudnog koša, desno plućno krilo, dijafragma i jetra. 

Direktor bolnice u severnom delu Kosovske Mitrovice Milan Ivanovićrekao je nakon incidenta na mostu da je u tu bolnicu dopremljen mladić srpske nacionalnosti, star 17 godina, koga je napala grupa Albanaca koji su iz južnog dela prešli glavni most. Nakon operacije, povređeni mladić je u stabilnom stanju. 

"Povređen mladić S. N. probudio se iz anestezije, a nakon operacije koja je trajala tri sata on se sada oporavlja u šok sobi. On je zadobio tešku povredu, opasnu po život, ali smo zaustavili krvarenje i sada, posle operacije, on se oseća stabilno. Očekujem povoljan postoperativni tok, iako se komplikacije ne mogu isključiti," rekao je za KoSSev, direktor bolnice u Kosovskoj Mitrovic. 

Direktor gradske bolnice je ranije za B92 rekao da je povređeni mladić izgubio dosta krvi.. 

Napad na mladića srpske nacionalnosti dogodio se oko 18 h dok je bio sa još dvojicom mladića, koji su uspeli da pobegnu. 

"Oko 17:50, u blizini glavnog mosta u Severnoj Mitrovici, iz pravca južnog dela, došlo je sedam lica koji su imali kapuljače na glavama. Tom prilikom nanela su povrede N.S., rođenom 1998, oštrim predmetom u predelu plećke. Lice je zbrinuto u bolnici", potvrdio je za KoSSev regionalni komandir Kosovske policije Željko Bojić. 

Nakon incidenta napadači su pobegli u južni deo Kosovske Mitrovice, kazali su svedoci, javlja Beta. 

Bojić je naveo i da su u blizini mosta bili pripadnici KPS-a, ali da niko nije uhapšen jer se sve desilo iznenada i bez povoda. 

Kosovska policija će legitimisati sve koji prelaze glavni most na Ibru u Kosovskoj Mitrovici, rekao je Bojić.

Đurić: Ovo je zločin na nacionalnoj osnovi

Direktor Kancelarije za Kosovo i Metohiju Marko Đurić osudio je napad na mladića u severnom delu Kosovske Mitrovice, ocenivši da se radi o zločinu na nacionalnoj osnovi koji uznemiruje i obeshrabruje. 

"Zločin koji je izveden na nacionalnoj osnovi, na mestu koje treba da bude simbol mira i koje treba i bukvalno da bude most pomirenja i zajedništva, uznemiruje i potpuno obeshrabruje. U predvečerje najvećeg hrišćanskog praznika, Vaskrsa, srpskom narodu na Kosovu i Metohiji se ponovo šalju poruke koje podsećaju na neka loša, a ne tako daleka vremena", rekao je DJurić. 

On je ocenio da je taj napad uznemirio "sve stanovnike Severne Kosovske Mitrovice i sve nas koji ulažemo velike napore da u Pokrajini zaživi mir, tolerancija i bezbedan život za sve građane". 

Kako se navodi u saopštenju Kancelarije, Đurić je pozvao pokrajinske organe i nadležne predstavnike međunarodne zajednice da hitno pronađu i kazne počinioce napada. 

"Samo u tom slučaju ćemo moći da se nadamo da napori koje ulaže Vlada Srbije kako bi se na Kosmetu živelo bolje i bezbednije, nisu uzaludni", kazao je Đurić.

"Pronaći i kazniti napadače"

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Gradonačelnik Goran Rakić ocenio je da je reč o "gnusnom zločinu" čije će počinioce "goniti do kraja". 

"Onima koji pokušavaju da uruše ionako krhki mir u Mitrovici, poručujem da im to neće uspeti", kazao je gradonačelnik severnog dela Kosovske Mitrovice. 

Rakić je pozvao sugrađane da ostanu mirni i pribrani i najavio da će čim dobije prve informacije iz operacione sale o stanju povređenog mladića, održati sastanak sa svim bezbednosnim strukturama u gradu gde će odlučiti o daljim koracima. 
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Predsednik Srpske liste Aleksandar Jablanović najoštrije je osudio napad na mladića S.N. (17) koji je izboden u severnom delu Kosovske Mitrovice i zatražio hitnu reakciju Kfora i Euleksa.. 

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Aggiornamenti da www.glassrbije.org
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L' Associazione dei familiari delle vittime, rapite e uccise dall' UCK nel Kosovo e Metohija, chiedono giustizia:

Traže pravdu za srpske žrtve na Kosmetu

Pon, 30/03/2015 – Predstavnici Udruženja porodica kidnapovanih i ubijenih na Kosovu i Metohiji razgovarali su sa ministrom odbrane Bratislavom Gašićem i predsednikom komisije Vlade Srbije za nestala lica Veljkom Odalovićem. Predsednik Udruženja Simo Spasić je, posle sastanka održanog u Ministarstvu odbrane, izjavio novinarima da porodice punih 17 godina traže istinu i pravdu za srpske žrtve na Kosmetu. Porodice žrtava ne mogu da prihvate da su oni koji su počinili zločine nad Srbima na Kosovu i Metohiji i dalje na slobodi, rekao je Spasić. (............)

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http://www.glassrbije.org/%C4%8Dlanak/jedanaest-godina-od-pogroma-nad-srbima-na-kim

Jedanaest godina od pogroma nad Srbima na KiM

Uto, 17/03/2015 - 08:51 -- MRS

Danas se navršava 11-ogodišnjica martovskog progoma nad Srbima na KiM, kada je 17. i 18. marta 2004. u talasu nasilja ekstremnih kosovskih Albanaca sa Kosmeta proterano još 4.012 Srba. Oni se uglavnom više nikad nisu vratili u svoje domove jer za to nemaju, pre svega, bezbednosne uslove.

Tokom nasilja na KiM 17. i 18. marta 2004. ubijeno je 19 osoba, a povređeno najmanje 170 građana srpske nacionalnosti, kao i desetine pripadnika međunarodnih snaga koji su se, štiteći Srbe i njihovu imovinu, sukobili sa s lokalnim ekstremnim Albancima. Tokom dva pomenuta dana porušeno je oko 800 srpskih kuća i zapaljeno 35 pravoslavnih verskih objekata, uključujući 18 spomenika kulture, među kojima je i čuvena crkva Bogorodice Ljeviške u Prizrenu, podignuta u periodu 1306-1307. godine, na ostacima svetinje iz 11. veka. Stradala je takođe i Prizrenska bogoslovija, koja je na tim prostorima delovala čak i pod Osmanlijama.
Hram Bogorodice Ljeviške, jedan je od najreprezentativnijih spomenika srdenjovekovne Srbije, episkopsko središte srpske crkve u srednjem veku, a monumentalni oblik dobio je u vreme Kralja Milutina (1282-1321), mada je i ranije bio arhijerejsko središte prizrenskog episkopa srpske crkve.

Crkva je nekoliko godina posle martovskog nasilja 2014. delimično obnovljena, prva liturgija u njoj služena je šest godina kasnije, ali tragovi devastacije i požara i danas nisu otklonjeni. Bogorodica Ljeviška u Prizrenu je od 2006. na listi spomenika pod zaštitom UNESKO-a. U prvo vreme hram je obezbeđivao Kfor, a sada ga čuvaju pripadnici Kosovske policijske službe. Prema podacima Eparhije raško-prizrenske SPC, iz aprila 2004, ukupan broj uništenih crkvenih zgrada SPC tokom martovskog pogroma 2004. bio je blizu 100.

Povod ili izgovor za pogrom bila je neosnovana kampanja tamošnjih albanskih medija prema kojoj su lokalni Srbi optuženi da su psima naterali preko reke Ibar grupu dečaka Albanaca iz sela Čabar kod Zubin Potoka, na severu KiM, pri čemu se jedan dečak utopio u reci. Unmik policija utvrdila je da su optužbe bile lažne, a portparol međunarodne policije Neridž Sing izjavio je tada da su albanski dečaci prethodno bili pod jakim pritiskom albanskih novinara i političara da optuže Srbe iz susednog sela. Pogrom albanskih ekstremista nad Srbima 17. i 18. marta 2004. na KiM osudili su Savet bezbednosti UN, kao i EU, a Parlamentarna skupština SE je 29. aprila 2004. donela odgovarajuću rezoluciju.

Petar B. Popović

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Occidente: Se Priština non formerà il Tribunale per i crimini dell’UCK, lo farà l’ONU

19. 03. 2015. – I rappresentanti diplomatici degli USA, Germania, Gran Bretagna, Olanda, Italia e il rappresentante speciale dell’UE a Priština hanno rilevato che se le autorità di Priština non formeranno il Tribunale speciale per i crimini dell’organizzazione torroristica dell’UCK, quel Tribunale sarà formato dall’ONU. Loro hanno indicato che se il parlamento kosovaro non dovesse riuscire ad adottare la decisione sull’istituzone del Tribunale speciale, quella questione saà subito mandata al Consiglio di Sicurezza, secondo la Risoluzione 1244.
Zapad: Ako Priština ne formira sud za zločine OVK, to će učiniti UN 

Čet, 19/03/2015 - Diplomatska predstavnoštva SAD, Nemačke, Velike Britanije, Holandije, Italije i specijalni predstavnik EU u Prištini upozorili su prištinske vlasti da će, ako kosovski parlament ne uspe da formira Specijalni sud za zločine terorističke OVK, taj sud biti formiran pod okriljem UN. Oni su ukazali da će, ako kosovska skupština ne uspe da izglasa odluku o osnivanju Specijalnog suda, to pitanje bez odlaganja biti preneto na Savet bezbednosti UN, po Rezoluciji 1244.

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Vucic: Kosovo e Albania non si uniranno...

07. 04. 2015. – Il premier Aleksandar Vucic ha dichiarato che il Kosovo e l’Albania non saranno mai uniti. Vucic l’ha detto commentando la dichiarazione del premier albanese Edi Rama che il Kosovo e l’Albania si uniranno in modo classico se l’Unione europea non aprirà le strade per le loro integrazioni europee e la liberalizzazione del regime del rilascio dei visti. Prometto al premier Rama che il Kosovo e l’Albania non si uniranno mai in modo classico, come egli dice. I leader albanesi dovrebbero cessare di provocare l’instabilità nella regione, ha dichiarato Vucic.

Djuric: dichiarazioni di Rama sono un attacco contro la pace e la stabilità nella regione

07. 04. 2015. – Il direttore dell’ufficio dell’Esecutivo serbo per il Kosovo e Metochia Marko Djuric ha comunicato in conferenza stampa che le dichiarazioni del premier albanese Edi Rama sull’unione tra il Kosovo e l’Albania rappresentano un attacco contro la pace, la stabilità nella regione e un invito alla modifica delle frontiere sui Balcani. Tirana dovrebbe smettere di battere sui timpani di guerra. Le dichiarazioni del genere possono causare soltanto il deterioramemto della stabilità nella ragione, la quale è molto fragile. La Serbia non permetterà mai che il Kosovo e l’Albania si uniranno in modo classico, come ha annunciato Rama. Il premier albanese Edi Rama ha detto nell’intervista rilasciata alla TV di Pristina che il Kosovo e l’Albania si uniranno in modo classico se l’Unione europea non aprirà le strade per le loro integrazioni europee e la liberalizzazione del regime del rilascio dei visti ai loro cittadini.

M. Kocijančić, portavoce Commissione europea: Sono inaccettabili le provocazioni di Thaci e Rama:

Kocijančič: Neprihvatljive provokacije Tačija i Rame

08/04/2015 – Izjave premijera Albanije Edija Rame i kosovskog ministra spoljnih poslova Hašima Tačija o ujedinjenju Albanije i Kosova su neprihvatljive provokacije i nisu u skladu sa politikom saradnje u regionu, saopštila je portparolka Evropke komisije Maja Kocijančič. Zapadni Balkan ima jasnu evropsku perspektivu koja je utvrđena na najvišem nivou, poručila je Kocijančič, dodajući da Brisel očekuje od svih u regionu da vode politiku pomirenja i dobrosusedske saradnje. Sve provokativne izjave koje odstupaju od te politike su neprihvatljive, izjavila je portparolka visoke predstavnice EU za spoljnu politiku i bezbednost Federike Mogerini. Rama je nakon zajedničke posete sa Tačijem u Ulcinju rekao televiziji Klan Kosova da će se Kosovo i Albanija ujediniti na klasičan način ukoliko Kosovo ne bude imalo jasnu evropsku perspektivu.Ova izjava izazvala je juče oštru reakciju premijera Srbije Aleksandra Vučiča, koji je rekao da su Rama i Tači "prekardašili" i da se Kosovo i Albanija nikada neće ujediniti.
(Izvor: Tanjug)

Vucic: salutiamo le reazioni dell’Ue alla dichiarazione di Rama 

08. 04. 2015. – Il premier Aleksandar Vucic ha detto che l’Unione europea ha reagito in modo piuttosto timido alla dichiarazione provocativa del premier albanese Edi Rama che il Kosovo e l’Albania si uniranno in modo classico. Deve finalmente terminare il processo del cambiamento delle frontiere sui Balcani, ha detto Vucic a Krupanj, dove ha presenziato all’apertura della fabbrica della compagnia tessile turca Jinsi. La Serbia continuerà a condurre la politica di pace. Noi però non possiamo non reagire alle centinaia di dichiarazioni del genere. Le dichiarazioni del premier albanese Edi Rama e del ministro degli esetri del Kosovo Hashim Taci sull’unione sono le provocazini inaccettabili che non sono in linea con la politca della collaborazione nella regione,ha dichiarato la portavoce della Commissione europea Maja Kocijancic.

Al Parlamento europeo: Inappropriata la dichiarazione del premier Edi Rama sull' unione del Kosovo con l' Albania.

EP: Izjava Edija Rame neprimerena

Uto, 14/04/2015 - Spoljnopolitički odbor Evropskog parlamenta, u raspravi o izveštaju o napretku Bosne i Hercegovine i Albanije, ocenio je neprimerenom nedavnu izjavu albanskog premijera Edija Rame o ujedinjenju Kosova i Albanije, objavila je Al Džazira na svom veb sajtu. U nedavnom zajedničkom intervjuu Rame i kosovskog ministra spoljnih poslova Hašima Tačija prištinskoj televiziji "Klan Kosova", albanski premijer je rekao da "ujedinjenje Kosova i Albanije" ima dve alternative i da sve zavisi od pristupa EU. Predsednik parlamentarne grupe za Srbiju u EP Edvard Kukan rekao je za "Blic" da mu se ne dopada izjava albanskog premijera Edija Rame o ujedinjenju Kosova i Albanije.
(Izvor: Tanjug)

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Kosovo: Belgrado, se Thaci viene in Serbia verrà arrestato 

Belgrado, 16 apr. (AdnKronos/Dpa) - Il vice premier e ministro degli Esteri del Kosovo Hashim Thaci verrà arrestato se andrà in Serbia. Dopo le notizie secondo cui Thaci sarebbe pronto a prendere parte ad una conferenza a Belgrado, sia il ministro dell'Interno serbo, Nebojsa Stefanovic, che il procuratore Vladimir Vukcevic hanno affermato che se questo dovesse avvenire verrebbe arrestato con l'accusa di crimini di guerra durante il conflitto in Kosovo. "La polizia agirà in conformità con la legge e lo consegnerà alla giustizia", ha precisato Stefanovic. "L'inchiesta contro Thaci - ha spiegato da parte sua Vukcevic al quotidiano Blic - è stata sospesa perché è fuori dalla portata delle autorità serbe". (fonte: intopic / Il Tempo)



(srpskohrvatski / руссий / english / francais / italiano)

Serbia: UE e NATO impegnate a rovinare i rapporti con la Russia

1) Nov. 2014: Per la prima volta in 13 anni l'esercito russo è tornato in Serbia / Российская армия возвращается в Сербию 
2) L’intégration européenne de la Serbie au prix des sanctions contre la Russie ? (CdB)
3) Nov. 2014: Serbia does not consider membership in any military alliance (Tanjug)
4) Dic. 2014: Putin ha discusso con il Primo Ministro d'Ungheria e il Presidente della Serbia le prospettive di cooperazione
5) Jan. 2015: NATO–Serbia "Individual Partnership Action Plan" agreed
6) Marzo-Aprile 2015: Forti pressioni dalla UE per rovinare i rapporti tra Serbia e Russia
Nikolić: Kukan fa inutilmente pressione / E. Remondino: Liberazione dal nazismo, boicottaggio di Usa e Ue al 70° celebrato a Mosca. 'Adeguarsi al boicottaggio deciso dagli stati europei'
7) Brevi da www.glassrbije.org:
Mogherini a Belgrado / Dačić: Srbija vojno neutralna, nije otišla ni korak dalje ka NATO-u / Screening a Bruxelles / Mogerini u Beogradu / Mogherini: la Serbia e il Kosovo sono Stati sovrani (SIC) / Nikita Mihalkov cittadino onorario della Serbia: "Vi siamo molto grati perché in tempi estremamente difficili avete deciso di partecipare alla parata militare che a Mosca sarà organizzata in occasione del Settantesimo anniversario della vittoria nella Seconda guerra mondiale..." 


Vedi anche: 

La Serbia con i piedi in più staffe (JUGOINFO del 22/9/2014)

Putin: il ‘vaccino’ al virus nazista perde efficacia in Europa (Politika, 16 ottobre 2014)
Traduzione italiana dell'intervista di Vladimir Putin al giornale Politika
ENG.: Putin: Nazi Virus ‘Vaccine’ Losing Effect in Europe (Global Research, October 16, 2014)
http://www.globalresearch.ca/putin-nazi-virus-vaccine-losing-effect-in-europe/5408271
ORIG.: ЕКСКЛУЗИВНИ ИНТЕРВЈУ: ВЛАДИМИР ПУТИН, председник Руске Федерације (Politika, 16.10.2014.)
http://www.politika.rs/rubrike/Svet/Obamin-pristup-Rusiji-je-neprijateljski.sr.html

La Serbia volge a Oriente? Il vero significato della visita di Putin (Joaquin Flores, Oriental Review, 21 ottobre 2014)

Vučić, Renzi ed il Giappone (C. Costamagna,11/4/2015)


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<< Per la prima volta in 13 anni l'esercito russo è tornato in Serbia. Truppe aviotrasportate di Russia e Serbia terranno esercitazioni congiunte. Essi distruggere la base dei combattenti convenzionali e salvare gli ostaggi.
6 aerei russi Air Force è atterrato all'aeroporto militare di Belgrado. 7 a bordo di veicoli da combattimento in volo, corazzati da trasporto truppa 2, 15 camion e persino ATV con le mitragliatrici. Su tutti gli aerei da trasporto militare sviluppato bandiere russe. Eseguire missioni di combattimento sarà più di un centinaio di paracadutisti. Anche per la prima volta la Russia lavorare qui militanti condizionali distruzione utilizzando ATV veloce e maneggevole.
Gli esercizi si terrà Venerdì prossimo, prima di questa giornata sarà testato fasi distinte: il fuoco di preparazione, il personale e le attrezzature di atterraggio. >>

http://tvzvezda.ru/news/forces/content/201411061646-2ong.htm 

6 ноября 2014, 16:46 

Российская армия возвращается в Сербию 

VIDEO: Размер: 12.05 Mб 
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Впервые за 13 лет российская армия возвращается в Сербию. Десантные войска России и Сербии проведут совместные учения. Им предстоит уничтожить базу условных боевиков и спасти заложников. 
6 самолетов российских ВВС приземлились на военном аэродроме Белграда. На их борту 7 боевых машин десанта, 2 бронетранспортера, грузовики и даже 15 квадроциклов с пулеметами. На всех военно-транспортных самолетах развиваются российские флаги. Выполнять боевые задачи будут свыше ста десантников. Также впервые Россия отработает здесь уничтожение условных боевиков с использованием быстрых и маневренных квадроциклов. 
Учения пройдут в следующую пятницу, до этого ежедневно будут отрабатываться отдельные этапы: огневая подготовка, десант личного состава и техники. 


=== 2 ===


L’intégration européenne de la Serbie au prix des sanctions contre la Russie ?

Danas, 18 novembre 2014
Traduit par Jad

L’Union européenne pourrait bloquer les négociations d’adhésion de la Serbie. En cause ? Le refus de Belgrade d’adopter des sanctions contre la Russie. L’étrange valse-hésitation que Belgrade poursuit entre Bruxelles et Moscou indispose de plus en plus les Européens. Berlin s’inquiète des visées russes dans les Balkans.

Par S.Čongradin


L’Union européenne pourrait repousser l’ouverture d’un nouveau chapitre dans le processus d’adhésion de la Serbie, si Belgrade n’accepte pas de prendre des sanctions contre la Russie. « Cela pourrait la réponse de l’UE à la Serbie, si celle-ci refuse de se rallier aux sanctions », assure une source diplomatique de notre journal.


Du côté du gouvernement, on reconnaît que cela pourrait être une manière de « faire pression » sur Belgrade, mais on assure néanmoins que « l’UE comprend la position de la Serbie ». « Il est certain que l’UE n’en arrivera pas à cela, qu’elle ne va pas repousser l’ouverture d’un nouveau chapitre à cause des sanctions, car tout le monde sait bien, à Bruxelles, que c’est une question très compliquée pour la Serbie et qu’il n’est pas possible de faire pression sur nous à cause de cela ».

Le nouveau Commissaire européen à la politique de voisinage et à l’élargissement, Johannes Hahn, qui doit effectuer sa première visite en Serbie jeudi 20 novembre, a appelé le pays à se rallier à la politique de sanctions. Il a souligné que « la Serbie avait une longue histoire et des relations étroites avec la Russie », mais « qu’elle devait faire un choix en ce moment décisif ». Johannes Hahn a rappelé que les pays candidats restaient maîtres du rythme de leur intégration, qui dépend de leurs réformes. « En l’occurrence, il s’agit moins d’adopter les règles de l’UE, que de changer de culture et de manière de penser, en montrant que ces changements sont durables ».

Cependant, Jadranka Joksimović, la ministre sans portefeuille chargée de l’intégration européenne, rappelle que l’adhésion pleine et entière à la politique extérieure et de sécurité de l’UE n’est exigée qu’après l’intégration effective du pays. « Nous n’avons même pas encore ouvert le premier chapitre de nos négociations. En tant que pays candidat, nous avons le droit de défendre nos intérêts économiques particuliers, et nous le faisons. L’UE elle-même n’est pas toujours cohérente en la matière, car certains États membres ont des positions très contrastées sur plusieurs dossiers ».

Le Premier ministre Aleksandar Vučić a déclaré lundi qu’il ne voyait pas pourquoi l’UE serait gênée par le fait que la Serbie conserve des relations particulières et étroites avec la Fédération de Russie, même si son objectif stratégique demeure l’intégration européenne. « Nous n’allons pas rejoindre une autre Union, un quelconque cadre euro-asiatique... Nous nous dirigeons vers l’Union européenne et nous remplissons tous nos devoirs ».

Aleksandar Vučić a rappelé qu’Angela Markel avait aidé la Serbie « au moins à trois reprises ». « L’Allemagne nous aide d’un point de vue politique, et elle nous aide beaucoup sur le plan économique. Par ailleurs, nous avons des relations normales et une collaboration correcte avec Poutine ».

« N’oubliez pas que la Serbie est un pays indépendant et souverain - nous ne sommes ni une ’petite Russie’, ni une ’petite Amérique’. Nous sommes la Serbie et nous défendons avec honneur notre nom, ce qui veut dire que nous prenons nous-mêmes les choix qui nous concernent », a ajouté Aleksandar Vučić.

« Le rôle du gouvernement de Serbie est de défendre les intérêts de ses citoyens, et il le fait du mieux possible. Si la Pologne perd 1,5 milliards à cause de l’arrêt du commerce avec la Russie, l’UE lui assurera 1,5 milliards. Mais qui compensera la Serbie de ses pertes ? »

Par ailleurs, l’hebdomadaire allemand der Spiegel écrit dans sa dernière livraison que la stratégie de Vladimir Poutine dans les Balkans inquiète Berlin. La chancelière Merkel serait préoccupé du développement d’une politique russe agressive et anti-occidentale dans les Balkans. « Moscou essaie de lier la Serbie à travers la coopération militaire et l’accord sur le gaz », note un rapport cité par le magazine.

D’un autre côté, le journal Komersant de Moscou souligne que les soldats serbes « s’entraînent des deux côtés », et que « la neutralité militaire de la Serbie passe par une coopération ouverte tant avec avec la Russie qu’avec l’OTAN. Le journal rappelle qu’après les manoeuvres serbo-russes SREM 2014, les exercices conjoints « Platinaski Vuk » ont commencé dans le sud de la Serbie, impliquant des soldats serbes et des troupes de l’OTAN. Le journal ajoute encore que si Belgrade revendique officiellement cette neutralité militaire, la politique de la Serbie demeure « surprenante ». Kormersant note encore que la récente visite en Serbie du patriarche orthodoxe Cyrille de Moscou était prévue de longue date, mais qu’elle n’était pas dégagée d’arrières-pensées politiques.


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11/21/2014

Serbia does not consider membership in any military alliance

BELGRADE - Serbia, as a military neutral country, is developing partnerships in the East and West, based on mutual respect and interest, and is not considering membership in any military alliance, Serbian Defense Minister Bratislav Gasic has said in China.
The starting points for Serbia's national security are the pro-EU foreign policy and improvement in cooperation with the most influential actors of the international community and states in the region, Gasic said at the Xiangshan Forum, the prestigious science conference held in Beijing.
During the conference, which was declared open by Chinese Minister of National Defense General Chang Wanquan, Gasic, noted that South-Eastern Europe has major geostrategic importance and potential.
Because of that, the states in that part of Europe bear direct responsibility for making this area safe.
“Reaching the needed level of security is a key prerequisite for integrating the region into the global security network. It is Serbia's stand that the main threats to regional, but also international security are terrorism, cross-border crime, proliferation of weapons of mass destruction, corruption and drug trafficking,” Gasic said.
Thanking China for hospitality, the Serbian defense minister underscored that he is satisfied with the talks that he had during his visit to China.
“The extraordinary results of the modernization process in our wonderful country prove what China represents today in international relations. At the same time, they confirm in the best possible way that the Serbian leadership were right when they decided to build a strategic partnership with China, and make China one of the four pillars of Serbia's foreign policy,” Gasic concluded.


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Putin ha discusso con il Primo Ministro d'Ungheria e il Presidente della Serbia le prospettive di cooperazione

7/12/2014 

Durante una conversazione telefonica per discutere di cooperazione alla luce della cessazione del progetto "South Stream"

MOSCA, 7 dicembre /TASS/. Il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha avuto una conversazione telefonica con il Primo Ministro ungherese Viktor Orban e il Presidente della Serbia Tomislav Nikolic. Lo ha riferito il servizio stampa del Cremlino.

Sono state esaminate le questioni attuali della cooperazione bilaterale, così come le prospettive di un’ulteriore cooperazione nel settore energetico alla luce della cessazione del progetto "South Stream".

Il 1 dicembre Putin ha dichiarato che nelle attuali circostanze la Russia non realizzerà il progetto" South Stream Gazprom". Il CEO di “Gazprom”, Aleksej Miller ha detto che il progetto "South Stream" non sarà più attuato. "Il progetto è chiuso", ha detto.

La reazione di Serbia e Ungheria

Dal canto suo, il Primo Ministro della Serbia Aleksandar Vucic ha definito la decisione della Russia "una cattiva notizia". Secondo lui, più di chiunque altro in questa situazione, sono colpite Serbia e Ungheria.

"La Russia ha il diritto di prendere una decisione del genere e l'Ungheria lo ammette" ha detto il Ministro degli Esteri dell'Ungheria Peter Sijarto, notando come il suo paese sarà costretto a cercare nuove fonti di approvvigionamento di gas per sostituire il "South Stream".

Fonte: http://itar-tass.com/politika/1629278


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http://www.b92.net/eng/news/politics.php?yyyy=2015&mm=01&dd=16&nav_id=92890

Tanjug News Agency – January 16, 2015 

IPAP "improves Serbia-NATO cooperation"

BRUSSELS: Jens Stoltenberg welcomed on Friday the adoption of the Individual Partnership Action Plan with Serbia, "which improves cooperation between Serbia and NATO."
This is an important step in strengthening dialogue, understanding and cooperation, the western military alliance's secretary-general said in a statement for the media.
Stoltenberg said he fully understood Serbia's policy of military neutrality, stressing that NATO was working with many nautral countries on the same basis. 
The IPAP, adopted by the NATO Council on Thursday, contains details on Serbia's future activities within the Partnership for Peace programme, and Stoltenberg noted that the cooperation between the two sides was mutually beneficial. 
Serbia has been a member of NATO's Partnership for Peace programme since 2006, he pointed out.
The IPAP was supposed to enter into force in later 2014, but its adoption by the Council was blocked by Albania for a time.

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http://www.aco.nato.int/nato-and-serbia-agree-first-individual-partnership-action-plan.aspx

North Atlantic Treaty Organization, Allied Command Operations – January 21, 2015

NATO and Serbia agree first Individual Partnership Action Plan

Story by NATO Military Liaison Office Belgrade.

Tuesday 20 January 2015, NATO and Serbia agreed the country’s first 
Individual Partnership Action Plan (IPAP) with a view to intensifying 
practical cooperation and bilateral dialogue.

An IPAP enables NATO and individual Allies to provide tailored 
assistance to partner countries by setting out cooperation objectives 
and priorities in defence and political affairs, as well as science and 
public diplomacy. The IPAP with Serbia will focus on reform activities 
that have been conducted through various Partnership for Peace 
mechanisms since 2006.

While Serbia does not aspire to join NATO, it is seeking to deepen 
relations with the Alliance and open accession talks with the European 
Union.

The Head of Department for NATO and Partnership for Peace at the 
Ministry of Foreign Affairs Dijana Ivancic said that Serbia wished to 
remain a reliable and predictable partner of the Alliance.

"Serbia sees IPAP as an optimal framework of cooperation that can 
primarily contribute to further improving of our defense and security 
system. We expect assistance from the Alliance in realization of the 
defined goals and priorities. The adoption of IPAP opens the possibility 
of raising the level of political dialogue too ” said Ivancic.

NATO and Serbia are currently working on 41 Partnership Goals, ranging 
from defence planning, public information, and cyber defense, to medical 
support, language training, and gender perspective.

The Chief of the NATO Military Liaison Office in Belgrade, Brig. Gen. 
Lucio Batta, explained that Serbia and NATO wanted to improve the 
Serbian public’s understanding of their partnership activities in the 
future, and added that his office would play a role in that regard 
during the implementation of the IPAP.

"It is important to have the Serbian citizens aware of our growing 
cooperation, as the upcoming reforms will not only improve their 
individual security, but will also allow Serbia to continue making its 
valuable contributions to UN and EU peacekeeping missions,” said Brig. 
Gen. Batta.

Story by: NATO Military Liaison Office Belgrade.


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Nikolić: Kukan fa inutilmente pressione 

20. 03. 2015. – Il presidente della Serbia, Tomislav Nikolić, ha dichiarato che il capo della Delegazione del Parlamento europeo, Eduard Kukan, fa inutilmente pressione su lui di prendere una decisione che non e’ nell’interesse dei cittadini della Serbia, in risposta ad una dichiarazione che Kukan aveva espresso ad un quotidiano belgradese, in cui aveva detto che Nikolić non dovrebbe partecipare alla parata militare di Mosca il prossimo 9 maggio. Per tale occasione, Nikolić ha sottolineato che è scortese dare consigli a qualcuno che non ha chiesto consigli. Nel comunicato del Gabinetto del capo dello Stato serbo viene evidenziato che non era mai successo che Nikolić o qualsiasi altro politico serbo abbia dato consigli al presidente del suo paese, dove deve stare e cosa può o non può fare. Il presidente rappresenta in modo inequivocabile tale parere, e questo non riuscirà a cambiarlo nessuno, e quindi neanche il signor Kukan.
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http://www.remocontro.it/2015/04/11/liberazione-dal-nazismo-boicottaggio-usa-ue-70-celebrato-mosca/

11 aprile 2015 

Liberazione dal nazismo. Boicottaggio di Usa e Ue al 70° celebrato a Mosca? 

Pressioni di Bruxelles su Belgrado 'ad adeguarsi al boicottaggio deciso dagli stati europei'. Chi? 

di Ennio Remondino 
giornalista, già corrispondente estero Rai e inviato di guerra

70 anni dalla vittoria sul nazismo cui l’Unione Sovietica ha dato il contributo di 23 milioni di morti. Ma il 9 maggio a Mosca, dopo quel sacrificio enorme che portò alla vittoria alleata nella II Guerra mondiale, qualcuno gioca sporco facendo entrare la storia di ieri nella politichetta di oggi

Strana e triste vicende in cui la politica interferisce con la storia e la offende. In questi mesi di forte tensione tra Stati Uniti e la loro propagine NATO verso la Russia, la storica parata di ogni 9 maggio a Mosca, per celebrare la vittoria della II Guerra Mondiale, si è trasformata in ricatto politico diplomatico. Da un lato Putin cerca di garantirsi la partecipazione degli Stati europei alleati durante il conflitto, dall’altro Stati Uniti, Nato e l’Ue (chi?) spingono affinché l’invito venga respinto o accolto in tono minore, ad esaltare il discusso isolamento del Cremlino in Europa e nel mondo.
 
‘La prima Nazione a trovarsi nel mezzo di questo contrasto è stata la Repubblica Ceca’, documenta Luca Susic su Analisi Difesa. Ma a Praga il presidente Miloš Zeman, ha risposto picche alla pretesa decisamente inusuale fatta dall’ambasciatore Usa di non recarsi a Mosca il ‘Giorno della Vittoria’. Nell’operazione di propaganda contrapposta, questo “gran rifiuto” è stato ovviamente celebrato dai media filorussi, per spingere gli altri paesi indecisi a fare lo stesso. E fra tutti gli stati coinvolti nella diatriba, uno di quelli più in difficoltà è certamente la Serbia (anche se non sola). Vediamo il perché.
 
Una Serbia che, come è avvenuto per tutti gli ex paesi socialisti, deve farsi accogliere nell’Alleanza Atlantica per arrivare all’Unione Europea. Contemporaneamente Belgrado, per cultura e storia, ha buoni rapporti con la Russia, sia in campo economico che militare. Ambivalenza piena di difficoltà ed equivoci. Il 6 aprile il Presidente Tomislav Nikolic ha annunciato che l’Esercito parteciperà alle celebrazioni a Mosca. Secondo il quotidiano Vecernje Novosti, la rappresentanza sarà affidata alla Garda, reparto dell’élite dell’esercito serbo, addestrato sia per impegni operativi che di cerimoniale.
 
La presa di posizione del Capo di Stato è stata accolta positivamente in Serbia, soprattutto dal vasto fronte interno contrario all’adesione della Serbia alla NATO e sostenitore di un più stretto rapporto col Cremlino. Sono molti in Serbia a ricordare i tre mesi di bombardamenti ‘umanitari’ della Nato per l’indipendenza del Kosovo albanese. Scelta comunque non scontata, soprattutto perché i vertici politici serbi prestano sempre molta attenzione a non contrariare apertamente gli Stati Uniti e l’Ue che a loro volta non risparmiano certo ‘consigli’ e decise ‘sollecitazioni’ di tipo politico-diplomatico.
 
Giorni fa, l’autorevole quotidiano di Belgrado Politika, ha scritto esplicitamente di ‘ammonimenti’ di Bruxelles ‘ad adeguarsi al boicottaggio deciso dalla maggioranza degli Stati europei’. Chi, dove, in quale viste? Mogherini tace. Lo stesso giornale ha sottolineato come sia difficile per la Serbia non esserci dopo l’ottobre scorso Vladimir Putin aveva presenziato alla parata militare per celebrare i 70 anni dalla liberazione della capitale serba nel 1944. In quella occasione era stato riconosciuto il ruolo dall’Armata Rossa nella presa di Belgrado, sempre stata attribuita ai soli partigiani jugoslavi.
 
Reazioni Ue con toni ricattatori. Lo slovacco Eduard Kukan, esplicito: ‘Nikolic deve essere conscio che un tale gesto può avere delle conseguenze sul processo di integrazione nell’Europa’. Replica da Belgrado: ‘dovremmo mandare al mondo il messaggio che la Serbia si vergogna del proprio passato e della vittoria sul nazi-fascismo?’. Per Kukan solo vergogna: ‘Il Paese da cui viene lui sarebbe parte della Germania nazista se i russi non avessero sfondato il fronte tedesco’. Stop da Belgrado ad una ‘macchinazione guerrafondaia anti-russa non utile né all’Europa, né alla Russia né alla Serbia”.
 
Altre Fonti : Analisi Difesa 



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Brevi da www.glassrbije.org:

Federica Mogherini a Belgrado la settimana prossima 

20. 03. 2015. – L’alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera e la sicurezza, Federica Mogherini, visiterà la settimana prossima Belgrado e Priština, è stato comunicato dal suo gabinetto. Sia la Serbia che il Kosovo, dopo le elezioni dell’anno scorso, stanno attraversando molte sfide, soprattuto per quanto riguardano le riforme sociali e politiche e la totale normalizzazione dei rapporti, ha affermato la Mogherini, aggiungendo che si parlerà anche sull’attuazione dell’Accordo di Bruxelles nel dialogo Belgrado-Priština.
Dačić: La Serbia e' militarmente neutrale, non ha fatto un passo avanti verso la NATO:

Dačić: Srbija vojno neutralna, nije otišla ni korak dalje ka NATO-u

Ned, 22/03/2015 – Srbija je vojno neutralna zemlja i nismo otišli ni korak dalje ka članstvu u NATO-u, izjavio je prvi potpredsednik Vlade i ministar spoljnih poslova Ivica Dačić. On je za TV Pink, komentarišući Individualni plan partnerstva (IPAP) između Srbije i NATO-a, rekao da Srbija nema nameru da postane članica NATO-a, ali da postoji zajednički interes izgradnje mira u regionu, u saradnji sa Alijansom. Dačić je dodao da se saradnja Srbije i NATO-a odvija na dobro poznatim osnovama i da Srbija sa Alijansom ima Potpisan ugovor o partnerstvu za mir. Saradnjom sa NATO-om dobili smo dodatne garancije da bilo kakve kosovske bezbednosne snage neće moći da uđu na sever KiM bez saglasnosti Alijanse, ukazao je Dačić. On je naglasio da je cilj Srbije da gradi partnerske odnose sa svima, podsetivši da Srbija ima isti status posmatrača i u Organizaciji za kolektivnu bezbednost i saradnju (ODKB), koju predvodi Rusija. (Izvor: Tanjug)

Miscevic e Milenkovic seguono ultima fase dello screening a Bruxelles

24. 03. 2015. - Il capo del team serbo che conduce le trattative sull’adesione all’Unione europea Tanja Miscevic e la direttrice dell’ufficio dell’Esecutivo serbo per le integrazioni europee Ksenija Milenkovic si trovano a Bruxelles, dove sta finendo lo screening dell’ultimo dei 35 capitoli delle trattative sull’adesione della Serbia. Lo screening è il processo della verifica dettagliata dell’allineamento della normativa dei paesi candidati per l’adesione con quella dell’Unione europea. Ogni capitolo nelle trattative viene sottoposto allo screening, dopo il quale la Commissione europea stende le relazioni sui risultati ottenuti e il Governo del paese candidato stabilisce i piani delle attività per l’ulteriore allineamento delle norme. Entro l’anno saranno probabilmente aperti i capitoli 23 e 24, che riguardano il sistema giuridico e i diritti umani, e il capitolo 35 che riguarda la normalizzazione dei rapporti tra Belgrado e Pristina.

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Mogerini u Beogradu: Otvaranje poglavlja sa EU do kraja godine

Pet, 27/03/2015 - EU vidi evropsku budućnost Srbije i spremna je da prva pregovaračka poglavlja budu otvorena ove godine, poručila je visoka predstavnica EU Frederika Mogerini u Beogradu na zajedničkoj konferencfiji za novinare sa predsednikom Vlade Srbije Aleksandrom Vučićem. Premijer je ponovio da je Srbija privržena evropskom putu i zahvalio šefici evropske diplomatije na podršci. Mogerinijeva, koja boravi u Beogradu prvi put otkako novembra prošle godine stupila na dužnost, razgovarala je i sa predsednikom Srbije Tomislavom Nikolićem, ministrom spoljnih poslova Ivicom Dačićem i predsednicom Narodne skupštine Majom Gojković, istakavši da EU ceni ulogu Srbije u regionu.

Za Srbiju i njeno rukovodstvo Kosovo nije nezavisna država

Predsednik Vlade Srbije Aleksandar Vučić i visoka predstavnica EU za spoljnu politiku i bezbednost Federika Mogerini istakli su u Beogradu da da su razgovorali o svim važnim i otvorenim pitanjima koja su u vezi sa evropskim putem Srbije, dijalogu sa Prištinom, ekonomskim i reformama u oblasti vladavine prava.
Vučić je posle razgovora naglasio iskreno nastojanje Srbije da modernizacijom i osvajanjem brojnih standarda u reformskom procesu od koga, kako je naveo, neće odstupiti kako bi postala deo porodice evropskih modernih naroda.
Srbija ne želi da bude teret EU, već deo te porodice i ispuniće mnoge obaveze koje je očekuju na tom putu, rekao je Vučić. On je naveo da će ove godine neka pregovaračka poglavlja biti otvorena i zahvalio visokoj predstavnici na podršci koju pruža Srbiji. Vučić je ponovio da Srbija veoma ceni i poštuje  njen iskren i otvoren stav „da nema nikakve skrivene agende za Srbiju“.
Premijer Srbije je ponovio da za Srbiju i njeno rukovodstvo Kosovo nije nezavisna država i istakao spremnost Beograda da sa predstavnicima albanske države, kao i svim ostalim zemljama u regionu, učestvuje u realizaciji zajedničkih infrastrukturnih projekata, jer je to u interesu građana regiona.
Federika Mogerini je potvrdila da podržava evropski put Srbije i aktivnost koje na tom putu preduzima, kao i da predstoji još dosta rada na ispunjavanju zacrtanih obaveza. Ona je takođe istakla da je prioritet otvaranje poglavlja da bi, kako je dodala, EU pokazala da se ceni evropsko opredeljenje.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                       Na pitanje o njenoj jučerašnjoj izjavi u Prištini da Srbija i Kosovo razgovaraju kao dve suverene države, Mogerini je ukazala da su mediji promenili kontekst te izjave. Ona je objasnila da je u kolokvijalnom razgovoru sa studentima u Prištini pomenula zapravo dve strane, ali i da je dodala da pet država EU nije priznalo nezavisnost Kosova, a što su mediji uglavnom prećutali.
Visoka predstavnica EU je napomenula da je s premijerom Vučićem razgovarala i o tome da jedna od tema naredne runde dijaloga Beograda i Prištine u Briselu bude formiranje Zajednice srpskih opština. Ujedno je i podsetila da uloga EU u dijalogu nije da pregovara već da posreduje. Agendu i sadržaj ne definiše EU, već strane u dijalogu, naglasila je Mogerini.                                                                                                                                           
Na pitanje da li će Brisel zaštiti pripadnike srpske civilne zaštite na Kosovu  koje Priština tretira kao paravojnu formaciju, Mogerini je istakla da je juče postignut veoma pozitivan dogovor o tom pitanju.

Izveštaj Mladena Bijelića

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Federica Mogherini ha parlato a Belgrado con Aleksandar Vucic 

27. 03. 2015. – L’alto rappresentante dell’Unione europea Federica Mogherini ha dichiarato a Belgrado che la Serbia ha il futuro europeo e che i primi capitoli nelle trattative sulla sua adesione all’Unione potrebbero essere aperti entro la fine dell’anno corrente. Lei ha detto dopo il colloquio con il premier serbo Aleksandar Vucic che le riforme in Serbia hanno dato buoni risultati, che si sta realizzando l’accordo sulla normalizzazione dei rapporti tra Belgrado e Pristina che è stato siglato a Bruxelles e che la Serbia si sta avvicinando all’Unione europea. Il premier Vucic ha detto che la Serbia desidera diventare parte integrale della famiglia europea, ed ha ringraziato l’alto rappresenante dell’Unione europea per la politica estera e la sicurezza dell’appoggio alla Serbia.

Dacic e Mogherini sperano che presto saranno aperti i primi capitoli

27. 03. 2015. – Il primo vice premier, nonché il capo della diplomazia della Serbia Ivica Dacic e l’alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera e la sicurezza Federica Mogherini hanno constatato a Belgrado che la Serbia ha ottenuto buoni risultati nel processo dell’avvicinamento all’Unione europea, ed hanno espresso la speranza che presto saranno aperti i primi capitoli nelle trattative sull’adesione della Serbia all’Unione europea. Dacic e la Mogherini hanno detto che la recente chiusura dello screening e la risoluzione del Parlamento europeo sulle integrazioni europee della Serbia è uno degli indicatori che sono stati conseguiti buoni risultati in quel processo.

Commissione europea: La Ue non ha cambiato la sua posizione sul Kosovo

27. 03. 2015. – La nostra posizione sullo status del Kosovo non è cambiata. Spetta ai Paesi membri dell’Unione europea prendere la decisione sul suo riconoscimento, ha dichiarato la portavoce della Commissione europea Catherine Ray rispondendo alla questione del giornalista se la posizione europea sia stata cambiata, tenendo presente che l’alto rappresentante dell’Unione europea Federica Mogherini ha detto a Pristina che la Serbia e il Kosovo sono stati sovrani. Cinque Paesi dell’Unione europea, Grecia, Romania, Slovacchia, Cipro e Spagna non hanno riconosciuto la secessione del Kosovo.

Nikita Mihalkov è diventato cittadino onorario della Serbia 

17. 04. 2015. – Al famoso regista russo Nikita Mihalkov è stato consegnato il riconoscimento nel quale egli è stato proclamato cittadino onorario di Belgrado. A Michalkov è stato comunicato che a partire da oggi egli ha una casa anche a Belgrado. Dopo che il sindaco di Belgrado Sinisa Mali e il presidente dell’assemblea comunale Nikola Nikodijevic hanno consegnato il riconoscimento a Mihalkov egli ha detto ringraziando che la Serbia non ha paura di essere alleata della Russia nei tempi difficili. Quell’amicizia può causare molti problemi. I miei sentimenti nei confronti della Serbia e i serbi sono talmente profondi che nessun premio o riconoscimento può esprimerli. Adesso avete posto il sigillo sul mio cuore, ha dichiarato Mihalkov.

Nikolic ha detto a Mihalkov che la Serbia non tradisce mai i suoi amici

17. 04. 2015. – La Serbia non tradirà mai i suoi amici, anche nei momenti più difficili, ha dichiarato il Presidente dello Stato Tomislav Nikolic durante il colloquio con il regista russo Nikita Mihalkov. Nikolic ha ricordato che la Serbia celebrerà quest’anno il duecentesimo anniversario dell’inizio della ribellione di Takovo contro l’Impero ottomano e il settantesimo anniversario della vittoria contro il nazi-fascismo. Nelle nostre lotte e combattimenti per la pace e la libertà la Serbia e la Russia si trovavano sempre fianco a fianco, ha detto Nikolic. Esprimendo la gratitudine Mihalkov ha detto di essere orgoglioso perchè è diventato il cittadino onorario di Belgrado. Vi siamo molto grati perché nei tempi estremamente difficili avete deciso di partecipare alla parata militare che a Mosca sarà organizzata in occasione del settantesimo anniversario della vittoria nella Seconda guerra mondiale e perché i soldati serbi passeranno in sfilata in Piazza rossa, ha dichiarato Mihalkov.




(Si vedano anche le dichiarazioni preoccupate di Simon Wiesenthal, risalenti al 1993, in merito distruzione della Jugoslavia ed al sostegno europeo e statunitense al nazismo croato:

http://www.civg.it/index.php?option=com_content&view=article&id=586:il-centro-wiesenthal-denuncia-la-cerimonia-svoltasi-a-zagabria-in-croazia-in-memoria-del-boia-croato-ante-pavelic&catid=2:non-categorizzato

Il Centro Wiesenthal denuncia la cerimonia svoltasi a Zagabria in Croazia, in memoria del boia croato Ante Pavelic.


Gerusalemme. Il Centro Simon Wiesenthal ha duramente denunciato lo svolgimento di una funzione religiosa svoltasi ieri nel centro di Zagabria alla memoria del boia croato Ante Pavelic che fu a capo dello Stato Indipendente di Croazia (NDH) durante la Seconda guerra mondiale. In una presa di posizione in data odierna del suo principale cacciatore di nazisti, lo storico dell’Olocausto Efraim Zuroff, il Centro ha posto in risalto il ruolo determinante assunto dalle iniziative di genocidio lanciate da Pavelic contro i serbi, gli ebrei e gli zingari in Croazia nel corso della Seconda guerra mondiale nonché la persecuzione sistematica e l’assassinio degli antifascisti croati.

A parere di Zuroff:

E’ arduo immaginare che nel centro della capitale di uno dei Paesi membri dell’Unione europea, in prossimità della comunità ebrea di Zagabria, centinaia di persone si siano raccolte ieri per commemorare uno dei più grandi carnefici della storia europea. Simile cerimonia è un vero insulto alla memoria delle centinaia di migliaia di vittime innocenti di Pavelic. Essa costituisce inoltre un distintivo di vergogna per la Chiesa cattolica, che ha permesso lo svolgimento della cerimonia nella Basilica del Cuore di Cristo, il quale, se fosse vissuto durante il Secondo conflitto mondiale, sarebbe stato anch’egli preso di mira e fisicamente eliminato”.

Bruxelles deve fare i conti con il ritorno del fascismo in Europa orientale.

Il croato Ante Pavelic, fondatore del movimento degli Ustascia, fu responsabile in prima persona delle politiche di sterminio del movimento da lui fondato.

Cercate d’immaginare il seguente scenario. La prossima primavera nel settantesimo anniversario della morte di Adolf Hitler una messa di suffragio viene tenuta nel centro di Berlino in una delle più importanti chiese della città, che per pura casualità si viene a trovare alcune centinaia di metri dai locali della Comunità ebrea, alla quale prendono parte migliaia di fedeli, giunti a onorare con la loro presenza la memoria del fondatore del Terzo Reich. Ovviamente un evento del genere appare assolutamente fuori dell’immaginabile nella realtà della Repubblica Federale per una serie di questioni giuridiche e di altra natura, una delle non meno importanti quella relativa alle non buone relazioni intrattenute dal Führer con i rappresentanti della Cristianità.

Ma l’equivalente croato ha avuto luogo solamente due giorni orsono a Zagabria, dove diverse centinaia di persone hanno preso parte alla messa in memoria di Ante Pavelic, il Presidente dello Stato indipendente di Croazia (NDH), creato dai tedeschi e dagli italiani dopo l’occupazione della Yugoslavia nell’aprile del 1941 e uno dei più grandi carnefici nella storia della Seconda guerra mondiale. Pavelic è stato il fondatore degli Ustascia, un movimento fascista da lui creato nella seconda metà degli anni venti e che assurse al ruolo di partito dominante nello stato satellite creato nel 1941. Egli fu personalmente responsabile delle politiche di sterminio poste in essere dagli Ustascia in tutta la zona sotto il loro controllo, dove centinaia di migliaia di serbi, ebrei e zingari furono brutalmente assassinati, la maggior parte nei campi di concentramento sparsi un po’ dappertutto nel territorio croato, il più vasto dei quali fu Jasenovac, dove almeno 100.000 vittime innocenti furono eliminate e che passò sotto il nome di “Auschwitz dei Balcani”.

Dopo la guerra Pavelic riuscì a fuggire in Argentina seguendo l’infame “rotta dei sorci”, la rete di fuga, appositamente approntata dal vescovo austriaco Alois Hudal con l’aiuto del prete croato Krunoslav Draganovic per consentire ai criminali di guerra nazisti di approdare in siti sicuri in America latina ed in Medio Oriente. Egli fu scovato a Buenos Aires dall’intelligence iugoslavo e rimase ferito in un tentativo di assassinio, delle cui conseguenze egli successivamente morì a Madrid due anni dopo nel 1959. Pavelic resta un eroe per molti croati il che spiega la grossa partecipazione alla messa di suffragio della scorsa domenica. Normalmente uno si aspetterebbe che, a distanza di quasi un quarto di secolo dal momento che la Croazia è divenuta uno stato democratico e dopo essere entrata in qualità di membro a pieno diritto nell’Unione europea, una simile venerazione nei confronti di uno che è stato uno dei più efferati killer dell’ultima guerra sia un qualcosa che appartiene al passato; sfortunatamente questo non è il caso e tracce di una nostalgia dura a morire verso il passato ustascia continuano ad essere uno dei tratti salienti della società croata e cerimonie come quella della messa della scorsa domenica vengono ancora celebrate con una rilevante adesione di popolo.

Sotto questo profilo il fatto che due preti di rango abbiano ufficiato la funzione costituisce fonte di inquietudine. Uno di loro, il dominicano Vjekoslac Lasic è conosciuto per funzioni di questo genere così come per la sua eulogia al funerale dell’ex-comandante di Jasenovac Dinko Sadic nel corso della quale egli ebbe modo di notare che, sebbene Sakic non aveva osservato tutti i Dieci Comandamenti [tu non ucciderai per esempio], pur tuttavia egli rappresenta un punto di riferimento per la nazione croata. Questo tipo di sermoni da parte del clero croato contribuisce ad alimentare l’ideologia ustascia dell’odio verso coloro ritenuti i nemici della Croazia, serbi, ebrei, zingari ed antifascisti croati, tutti vittime di Sakic e della sua squadra di assassini a Jasenovac ed in altri meno noti campi di concentramento ustascia.

Al momento di redigere questo editoriale, nessun leader politico e religioso croato o personalità pubblica ha condannato la cerimonia di domenica che fornisce un’altra prova del fallimento della leadership del Paese nel cercare di estirpare la presenza del fascismo e dell’intolleranza. Sarebbe possibile attribuire il loro silenzio alle elezioni presidenziali in corso, il cui primo round è terminato senza un vincitore, ma ciò costituisce un apprezzamento molto rattristante su come vanno le cose in un Paese membro a pieno titolo dell’Unione europea. Il momento è giunto perché Bruxelles affronti finalmente il problema di un fascismo risorgente e di un sentimento ultranazionalistico che, invece di essere eliminato una volta per tutte dalla democrazia liberale europea, è in effetti risorto nell’Europa orientale post-comunista.

Efraim Zuroff è il principale cacciatore di nazisti del Centro Simon Wiesenthal e direttore della sua filiale israeliana. Il suo più recente libro è “Operazione ultima possibilità: gli sforzi di un uomo per portare in Giustizia i criminali nazisti”. Il suo sito è www.operationlastchance.org e può essere monitorato su Twitter #EZuroff

 

da www.wiesenthal.com - 29 Dicembre 2014

Traduzione di Angelo T. per civg.it