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Giorno del Ricordo: 10 anni di orgoglio fascista

1) Il #Giornodelricordo: dieci anni di medaglificio fascista. Un bilancio agghiacciante (N. Bourbaki)
2) Dopo la revoca della medaglia della Repubblica antifascista al fascista Paride Mori:
* UN RISULTATO INSUFFICIENTE. Lettera al Direttore della Gazzetta di Parma
* APPELLO ALL’ANPI per l'abrogazione della Legge n.92/2004 istitutiva del "Giorno del Ricordo"


Vedi anche: 

Elenco aggiornato ad aprile 2015 dei premiati per il "giorno del ricordo" (PDF, 324 schede)

Le ridicole e fuorvianti motivazioni della revoca della onorificenza al fascista Paride Mori

Altri link sullo stesso tema: 


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Il #Giornodelricordo: dieci anni di medaglificio fascista. Un bilancio agghiacciante.


di Nicoletta Bourbaki (*)

1. Un presidente piccolo piccolo

Quest’anno il Giorno del Ricordo non è passato proprio liscio liscio.
Prima, la campagna sui falsi fotografici che abbiamo lanciato su Giap è arrivata sui media mainstream sia in Italia (L’Espresso) sia in Slovenia (Mladina).
In seguito, la notizia del conferimento dell’onorificenza ai congiunti del volontario del Battaglione «Mussolini» Paride Mori  ha scoperchiato un vaso di Pandora. Poche settimane dopo il 10 febbraio, il Corriere ha pubblicato un articolo a firma di Alessandro Fulloni («Foibe, 300 fascisti di Salò ricevono la medaglia per il Giorno del Ricordo»), in cui si parla di ben trecento onorificenze – sulle mille assegnate a partire dal 2005 – attribuite a militari inquadrati nelle formazioni collaborazioniste della RSI.
A livello nazionale la notizia ha destato un certo scalpore, ma chi ha la memoria lunga e l’abitudine a guardare oltre il cortile di casa propria, ricorda bene che già nel 2007 era successo un discreto casino.
All’epoca Napolitano pronunciò un discorso passato alla storia, o perlomeno alla cronaca. Discorso che, tra le altre cose, conteneva la plateale manipolazione di un passo dello storico Raoul Pupo:

Pupo: «Il quadro che si offre all’analisi storica è dunque decisamente articolato, perché nei fatti dell’autunno del 1943 sembrano intrecciarsi più logiche: giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e faide paesane, oltre a un disegno di sradicamento del potere italiano – attraverso la decimazione e l’intimidazione della classe dirigente – come precondizione per spianare la via a un contropotere partigiano che si presentasse in primo luogo come vendicatore dei torti, individuali e storici, subiti dai croati dell’Istria.»

Napolitano: «Così, si è scritto, in uno sforzo di analisi più distaccata, che già nello scatenarsi della prima ondata di cieca violenza in quelle terre, nell’autunno del 1943, si intrecciarono “giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno di sradicamento” della presenza italiana da quella che era, e cessò di essere, la Venezia Giulia.»

Lo sradicamento del potere italiano diventava tout court sradicamento della presenza italiana; l’Istria diventava l’intera Venezia Giulia; scomparivano il contropotere partigiano e, soprattutto, i torti subiti dai croati.

Dopodiché, Napolitano consegnò la medaglia di acciaio brunito con la scritta «La Repubblica italiana ricorda» al figlio o al nipote di Vincenzo Serrentino, ultimo prefetto di Zara.

Il Presidente croato Stjepan Mesić non prese bene né il discorso di Napolitano (soprattutto per il revanscismo che traspariva da un passaggio sul confine del ’47) né l’onorificenza consegnata a Serrentino.
Infatti, chi è ‘sto Serrentino, che su Wikipedia, fino a stamane, era catalogato tra le “vittime delle dittature comuniste”?

Durante l’occupazione nazifascista della Jugoslavia, Serrentino fu uno dei tre componenti del Tribunale Straordinario della Dalmazia, un organo “giudiziario” alle dirette dipendenze del Governatore Bastianini, creato a scopo repressivo per terrorizzare la popolazione civile in funzione antipartigiana.

Il tribunale comminò decine di condanne a morte, eseguite seduta stante, dopo processi lampo indiscriminati, basati sul principio della responsabilità collettiva. Per tale motivo Serrentino venne catturato a Trieste dai partigiani jugoslavi nel 1945, processato come criminale di guerra, e fucilato a Sebenico nel 1947.

Non solo: persino la commissione italiana per i crimini di guerra, istituita con lo scopo preciso di insabbiare, insabbiare, insabbiare, nel 1946 inserì Serrentino nella lista dei (pochi) criminali deferiti all’autorità militare.

Ma come, si chiederanno i meno informati, le medaglie non devono andare ai parenti degli “infoibati”? Serrentino non è mica finito in una foiba…

Beata ingenuità. Il termine “foibe”, come scrivono Pupo & Spazzali in un loro rinomato libro (Foibe, Bruno Mondadori, Milano 2003), «va accolto, purché si tenga conto del suo significato simbolico e non letterale». Si usa “foibe” per intendere «le violenze di massa a danni di militari e civili, in larga prevalenza italiani, scatenatasi nell’autunno del 1943 e nella primavera del 1945 in diverse aree della Venezia Giulia e che nel loro insieme procurarono alcune migliaia di vittime.» E anche se a parere dei due storici «sarebbe più appropriato parlare di “deportati” e “uccisi” per indicare tutte le vittime della repressione», ormai tutti parlano di “foibe” e “infoibati”, e quindi pure loro si adeguano.
Anche Gianni Oliva dice che il termine ha «un carattere simbolico» e il suo uso «va accompagnato dall’avvertenza che buona parte delle vittime (probabilmente la maggior parte) non è stata eliminata nelle foibe» (Foibe, Mondadori, Milano 2002).

A questo punto, un lettore attento potrebbe domandarsi:
«Ma se persino gli storici più citati nel dibattito mainstream, quelli ospitati da Vespa, dicono che le vittime sono alcune migliaia di cui la maggior parte è morta in altre circostanze, dove vanno a finire gli italiani gettati “a decine di migliaia” nelle foibe ancora vivi e legati l’uno all’altro con fil di ferro di cui ho letto su Facebook e/o sentito dire da Giorgia Meloni?»

Bella domanda, sarebbe bello sentirla fare più spesso. Quando la sentono, i fascisti “sopperiscono” alla mancanza di fonti e di prove… urlando. E qui vale la pena ripescare un epigramma di Beppe Fenoglio:

[LXIV] A BALBO
Balbo oratore, delle due l’una:
o rinforzi il concetto o indebolisci la voce.

2. Aguzzini nella nebbia

Il caso di Serrentino non è certo stato l’unico prima di Mori. Nonostante la fitta nebbia che circonda l’edificio del GdR (una via di mezzo tra la nebbia di The others di Amenabar e quella di The mist di Stephen King), alcuni storici come Sandi Volk e Milovan Pisarri sono riusciti, negli anni, a recuperare i nomi di decine di “decorati” e hanno scoperto parecchie cose. Tre esempi di decorati:

Luciani Bruno, riconoscimento ricevuto nel 2007. Dal suo dossier (AJ, fondo 110, busta 231, f. br. 24206):
«[…] Il giorno 27 novembre 1944 venne arrestata Varich Wilma dagli agenti Ciarlenco e Luciani, membri della polizia di Collotti, e venne portata nel carcere in via Bellosguardo. Qui venne interrogata. Venne legata al tavolo, picchiata e presa a pugni; questo venne fatto dal brigadiere Ciarlenco. Vedendo i torturatori che non aveva intenzione di dire nulla, cominciarono a bruciarle le mani, le gambe e le guance con l’elettricità. Dopo un’ora fu portata in cella. Il giorno successivo fu trasportata nel carcere presso i Gesuiti. Dopo ottanta giorni fu nuovamente interrogata e torturata nel carcere in via Cologna, poi trasferita al Coroneo e dopo due mesi fu internata in Germania.»

Privileggi Iginio, riconoscimento ricevuto nel 2007. Dal suo dossier (AJ, fondo 110, busta 214, f. br. 21168):
«[…] Il giorno 2 febbraio 1944 arrestarono Pribetić Ivan, che venne portato in carcere, maltrattato e picchiato; venne picchiato in particolare dal fascista Privileggi. Lo stresso giorno si recarono a Nova Vasi e arrestarono Viggintin Petar, che venne portato a Parenzo e ucciso con una mitragliatrice poco distante dall’abitazione di Mate Vlašić. Nel corso di questa esecuzione vennero riconosciuti i fascisti Kovačič Mario e Destilatis Ennio. In quell’occasione diedero fuoco alla casa di Vlašić Mate, e quando Vlašić Petar tentò di spegnere l’incendio, i fascisti lo presero e lo portarono al cimitero, dove venne ucciso con una raffica di mitragliatrice. A quest’esecuzione parteciparono Privileggi Iginio e Ramarro Luigi. Allo stesso modo uccisero sempre a Nova Vasi Brnobić Ivan e sua moglie Vitkorija, Orahovac Antun, Jerovac Mate, Radin Gašpare, Sorčič Bruno (…).
Il criminale sopraindicato è stato liquidato dalle nostre autorità come risulta dal rapporto della Commissione per i crimini di guerra in Istria numero 389.»

Stefanutti Romeo, riconoscimento ricevuto nel 2006 e nel 2007. Dal suo dossier (AJ, fondo 110, busta 230, f. br. 24016):
«I fascisti di diverse guarnigioni, e in particolare di quella di Oprtalj, commisero nel corso del 1944 nel territorio di Buzet una serie di crimini nei confronti della pacifica popolazione locale, con lo scopo di annientarla e di appropriarsi dei loro beni. La Commissione per i crimini di guerra in Istria ha accertato che in quel periodo critico, il milite Stefanutti Romeo partecipò personalmente ai crimini di seguito descritti […] Dalla fine del gennaio 1944 fino alla fine del giugno dello stesso anno, nel territorio di Buzet, senza alcun motivo vennero uccisi i seguenti civili: Grizančić Mate, Grizančić Andjelo (questi venne portato al cimitero nel paese di Salež dove gli vennero cavati gli occhi, tagliate le orecchie, mentre il suo corpo venne martoriato con il coltello; poi fu fucilato), Zonta Miha, Zonta Antun, una certa Ana di Zrenja il cui cognome non si conosce (venne sgozzata), Pruhar Ivan, Mušković Antuna (venne ucciso mentre badava ai suoi tacchini, che vennero poi rubati dai fascisti), Kodelij Antun e Prodan Antun; inoltre, saccheggiarono e incendiarono 14 abitazioni, mentre arrestarono due persone e li mandarono nei campi in Germania.»

La lista più completa e aggiornata dei decorati si trova qui (pdf).

Eppure il testo della legge istitutiva del Giorno del Ricordo sembra chiaro:

«Sono esclusi dal riconoscimento coloro che sono stati soppressi nei modi e nelle zone di cui ai commi 1 e 2 mentre facevano volontariamente parte di formazioni non a servizio dell’Italia.»

Com’è possibile che i militari della RSI, collaborazionisti degli occupatori nazisti, ricevano l’onorificenza? Vuoi vedere che…

3. Salvate il camerata Barbagli

Inopinatamente, una traccia ce la dà l’uomo che si fa chiamare Presbite, che si è più volte dichiarato persona informata dei fatti, in una discussione avvenuta nei meandri di Wikipedia:

«La prima formulazione era già contenuta all’interno del primissimo progetto di legge (quello presentato solo da aennini). La finalità era quella di evitare che si presentasse a chiedere la decorazione uno che era morto mentre combatteva per le formazioni inquadrate nell’EPLJ! E allora hanno messo questa formula “a fisarmonica”, presa paro paro dal primo progetto. In questa maniera è vero che non possono essere premiati quelli – per esempio – delle SS italiane, ma quelli sono già dannati e stradannati e gli ex missini tutto sommato sapevano benissimo che fin lì non potevano spingersi. Loro volevano proprio cercare di “salvare” quelli dalla RSI morti infoibati (quelli in combattimento non possono essere decorati).»

E in effetti, leggendo gli atti del dibattito parlamentare sulla legge istitutiva del Giorno del Ricordo, il punto di maggior contrasto tra coloro che votarono a favore risulta essere stato proprio quello riguardante la possibilità di conferire la decorazione ai repubblichini. Nella sua relazione introduttiva, Roberto Menia disse esplicitamente che si sarebbe dovuto dare un riconoscimento ai volontari del Btg. “Mussolini” e della X Mas. Tale possibilità fu contestata dall’ Ulivo, che però non riuscì a far passare i propri emendamenti. L’ultimo intervento al Senato fu quello di Marcello Basso, che disse:

«[…] intervengo sul provvedimento “Istituzione del «Giorno del ricordo» in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati”, perché turbato dalla lettura dei Resoconti pervenutici dalla Camera dei deputati; perché scosso dal fatto che negli interventi dei deputati, ma anche dei senatori, della destra non ci sia alcun riferimento alla guerra di aggressione dell’Italia fascista e della Germania nazista alle popolazioni della Iugoslavia, anche da parte di chi, lo voglio dire, autorevole rappresentante della Lega, andava in tempi assolutamente recenti in pellegrinaggio da Milošević; perché scandalizzato dal fatto che nella relazione al provvedimento l’onorevole Menia citi in positivo l’opera dei reparti della X MAS e del Battaglione bersaglieri Mussolini sul confine orientale; scorato, altresì, dal fatto che non emerga sforzo alcuno per capire il contesto storico che ha originato la grande tragedia delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata; preoccupato – anche questo voglio dire – da talune recrudescenze irredentiste. Si parte, magari come fa il senatore Servello, dalla richiesta della restituzione dei beni agli esuli, per poi magari pretendere la restituzione dei territori.»

Oggi sappiamo che i timori espressi da Basso erano più che fondati. Lo sapevamo già allora, a dire il vero. Lo sapevamo fin dal 1996, quando Menia, presentando la sua primissima proposta di legge, disse in aula:

«I partigiani titini, a seguito dell’8 settembre 1943, per circa sessanta giorni infierirono su quanto d’italiano vi era in quella terra della frontiera orientale. Ributtati nelle loro zone di origine dalle armi tedesche e da quelle della Repubblica sociale italiana, tornarono con la fine della guerra e, dal maggio 1945 – padroni incontrastati della situazione – completarono le loro vendette con altri massacri, con altre stragi.»

Ci chiediamo allora perché a suo tempo Basso e altri dubbiosi avessero comunque votato a favore. La risposta probabilmente è: ordine di scuderia. Perché il Giorno del Ricordo è stato il punto d’arrivo di un progetto di lungo corso, di un patteggiamento di Fassino e Violante direttamente con Fini e Menia. 

Gli “ex comunisti” del PDS volevano costruire nientemeno che la “memoria condivisa”.
I “post fascisti” volevano semplicemente riabilitare i repubblichini. 

E’ del tutto evidente che la posizione dei primi fosse perdente, oltre che stupida, sbagliata e incompatibile con i principi dell’antifascismo, e quindi coi fondamenti stessi della Repubblica. La posizione dei secondi invece è del tutto coerente con la storia da cui provengono. Solo l’ottusità – o il cinismo – della classe politica del centrosinistra può spiegare la decisione di svendere in quel modo i principi dell’antifascismo, calpestando il buon senso e qualunque serietà nell’approccio al tema del rapporto storia-memoria: la memoria non è e non può essere condivisa, è un fatto individuale o di gruppo. Solo nei regimi totalitari c’è una memoria condivisa di stato.

Il tentativo di imporre una memoria condivisa ha avuto effetti devastanti su tutta la vita del Paese, a cominciare dal mondo della scuola. Grazie al Giorno del Ricordo, scuole e musei sono obbligati per legge – e da pressioni politiche – a organizzare iniziative con associazioni di esuli come l’ANVGD e l’Unione degli Istriani. In questa intervista al gruppo musicale neofascista La Compagnia dell’anello, il frontman Bortoluzzi racconta che nelle scuole si fanno cantare ai bambini le canzoni revansciste della band:

«Una delle più grosse soddisfazioni rimane però il ricevere le richieste dello spartito di Di là dall’acqua da parte di insegnanti che fanno cantare ai cori delle scuole la nostra canzone.»

Insomma si sono fatti passare come sacerdoti di una verità “di tutti” i detentori di una memoria che fino a pochi anni fa era confinata all’estrema destra.

Ricordiamo che, come non manca di far notare Bortoluzzi, un verso di Di là dall’acqua – «Perché in Dalmazia non ti sembri strano / anche le pietre parlano italiano» – è usato da Simone Cristicchi nel suo spettacolo Magazzino 18.

4. The mist

Ma torniamo alle onorificenze ai repubblichini. Chi ne ha deciso concretamente l’assegnazione? La legge affida questo compito a una commissione formata da 10 persone:
– quattro sono militari degli uffici storici degli stati maggiori delle forze armate (esercito, marina, aeronautica, arma dei carabinieri);
– quattro sono rappresentanti delle associazioni degli esuli;
– uno è nominato dalla presidenza del consiglio;
– uno è nominato dal ministero degli interni.
Pare che sia prassi consolidata che i due membri di nomina politica siano anch’essi dei militari.
I nomi dei membri della commissione non sono di pubblico dominio. Nemmeno i nomi dei decorati lo sono. Scartabellando sul sito del Ministero della Difesa, si possono comunque trovare i nomi dei militari degli uffici storici (aggiornati al 15-3-2012):
Col. Antonio Zarcone, C.V. Francesco Loriga, Col. Vittorio Cencini e Col. Paolo Acetocome si può vedere da qui.
Invece qui scopriamo che nel 2012 il presidente della commissione era l’Ammiraglio di Squadra Alessandro Picchio, e qui che il Gen. Riccardo Basile è stato membro della commissione fino alla sua morte nel 2014.
Dal sito dell’ ANVGD veniamo a sapere il nome di uno dei rappresentanti degli esuli: Marino Micich.
Sugli altri nomi nebbia fitta. C’è un’interrogazione parlamentare in corso, a cui finora non è stata data risposta. Nebbia ancora più fitta avvolge i lavori di questa commissione e le procedure di conferimento delle insegne. Tutte le richieste sono state accolte? Come si è deciso quali accogliere? Come sono avvenute le verifiche?
Inoltre, secondo la legge, le richieste sarebbero dovute arrivare entro dieci anni dall’entrata in vigore della legge stessa (quindi entro aprile del 2014). Le insegne e i diplomi consegnati lo scorso febbraio in occasione del Giorno del Ricordo dovrebbero dunque essere stati gli ultimi. Allora la commissione è sciolta? E la documentazione, come previsto, è stata già versata all’Archivio di Stato?

5. Ritorneremo!

La medaglia e la pergamena invece sono questi: http://www.wumingfoundation.com/giap/wp-content/uploads/2015/04/Mori-Paride-riconoscimento-al-fascista.jpg

Come si può notare, nella pergamena compaiono anche i nomi delle “province perdute”: Pola, Fiume, Zara. È come se un’onorificenza britannica riportasse Dublin, Bombay, Rhodesia. Anche questo aspetto revanscista era ampiamente prevedibile e previsto. Nel 2003 Menia, presentando la sua terza proposta di legge, disse in aula:

«Ci sono pagine, nella storia dei popoli e degli uomini, che grondano di dolore e di ingiustizia. Oltre cinquant’anni fa con il Trattato di pace firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, reso esecutivo dal decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato n. 1430 del 1947, si scrisse una di quelle pagine. Essa sancì la mutilazione territoriale delle terre orientali d’Italia e la perdita della gran parte della Venezia Giulia e della Dalmazia […]»

Concetto peraltro ribadito anche da Napolitano nel suo discorso del 2007:

«Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una “pulizia etnica”»

Per uno di quei giochi strani che fa la vita, mentre gli “ex comunisti” del PDS si appiattivano completamente sulla vulgata della propaganda neofascista triestina, elaborata a partire dagli anni Quaranta e sdoganata a livello nazionale a partire dagli anni novanta, per ascoltare qualcosa di ragionevole in quegli anni bisognava rivolgersi a uno storico come Galliano Fogar, partigiano azionista, e senza dubbio oppositore della Jugoslavia di Tito (sottolineatura nostra):

«Non è un caso che il 10 febbraio preso dalla destra come simbolo della tragedia (ma foibe ed esodo sono due cose distinte) è la data della sigla del Trattato di Pace di Parigi. Ma questi signori non spiegano chel’Italia era sul banco degli imputati e che la gran parte dell’Istria e Fiume furono perdute non certo per colpa dei partigiani ma per le precise colpe del fascismo e della sua violenta opera snazionalizzatrice prima e per l’invasione della Jugoslavia poi.»

6. The end

E oggi? Il bilancio, a dieci anni dall’istituzione del Giorno del Ricordo, è agghiacciante. Tra foto farlocche, onorificenze a nazifascisti assortiti, e discorsi ufficiali privi di qualunque fondamento storico, il GdR sembra essere diventato uno dei pilastri dell’identità nazionale italiana, a suggello di un ripugnante “patteggiamento della memoria” tra “ex comunisti” e “post fascisti”. L’epitome perfetta del paese reale.

Nicoletta Bourbaki è il nome usato da un gruppo di inchiesta su Wikipedia e le manipolazioni storiche in rete, formatosi nel 2012 durante una discussione su Giap. Con questa scelta, il gruppo omaggia Nicolas Bourbaki, collettivo di matematici attivo in Francia dal 1935 al 1983.



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REVOCA DELLA ONORIFICENZA A PARIDE MORI, UN RISULTATO INSUFFICIENTE

Lettera al Direttore della Gazzetta di Parma

Sulla revoca della medaglia a Paride Mori

Egregio Direttore,
se settant’anni fa avessero vinto i fascisti, gli antifascisti non potrebbero dire e scrivere liberamente; ma hanno vinto gli antifascisti e così anche i fascisti possono dire e scrivere liberamente ciò che vogliono. Compreso sostenere che il fascista parmense Paride Mori è stato una specie di eroe e che è una vergogna che il Governo pochi giorni fa abbia fatto – parzialmente in realtà – marcia indietro rispetto all’attribuzione a Mori il 10 febbraio u.s. dell’onorificenza della Repubblica come “infoibato” (o assimilato).
Com’è noto, come nessuno storico mette in discussione, all’inizio d’aprile 1941 l’esercito italiano fascista del Re e di Mussolini aggredì, insieme con la Germania nazista, la Jugoslavia senza che la Jugoslavia avesse fatto alcun male all’Italia, ne invase e tenne occupati diversi territori, con metodi (secondo la Commissione per i crimini di guerra delle Nazioni Unite) feroci e crudeli non meno di quelli nazisti. Di qui la rivolta popolare contro l’Italia fascista, lo sviluppo impetuoso del movimento partigiano con le formazioni repubblicane e comuniste guidate da Tito, impegnate nella più grande guerra popolare antinazifascista in Europa.
E la guerra fu tale per cui il 1° maggio 1945 Trieste fu liberata dai nazifascisti – liberata, non occupata – da parte dell’Esecito Popolare di Liberazione Jugoslavo alleato degli anglo-americani e dei sovietici, così come gli anglo-americani liberarono – liberarono, non occuparono – la Sicilia, Roma, ecc.
Dopo l’8 settembre ’43 nell’Italia del Nord i Tedeschi avevano creato lo stato fantoccio chiamato Repubblica Sociale Italiana (RSI) con a capo Mussolini. I militari della RSI nelle zone di questo Stato al confine nordorientale con la Jugoslavia erano sotto il comando diretto della Germania nazista. Fra questi militari ci fu anche il parmense, volontario, capitano del Battaglione dei bersaglieri “Mussolini”, Paride Mori. Anche a prescindere dalle circostanze precise in cui il Mori morì, se in combattimento coi partigiani o no, e a prescindere dai suoi ideali personali, poichè un conto è la moralità degli individui e un conto è la moralità delle cause (Bobbio), Mori ha fatto volontariamente parte di formazioni non a servizio dell’Italia. E la legge 92/2004 al comma 3 dell’art.3 esclude espressamente che possano avere il riconoscimento della Repubblica coloro che “facevano volontariamente parte di formazioni non a servizio dell’Italia.
Questo è il motivo vero per cui a Paride Mori, fascista repubblichino volontario combattente sotto il comando della Germania nazista, non può essere attribuita l’onorificenza della Repubblica nata dalla Resistenza antifascista. Prima ancora che per il fatto di essere egli caduto in combattimento coi partigiani anzichè in un agguato come sostenuto da famigliari e amici. La Presidenza del Consiglio nel revocare la medaglia per Mori ha addotto il motivo della morte in combattimento anzichè non in combattimento. Ma la Presidenza del Consiglio dovrebbe addurre innanzitutto l’altro motivo, quello dell’essere stato, Mori, combattente al servizio della Germania nazista. Da questo punto di vista ci sarebbero probabilmente tante altre medaglie, alcune centinaia di medaglie, della Repubblica da revocare come quella attribuita a Paride Mori nel 2015.

Giovanni Caggiati 

Parma, 26 aprile 2015
(pubblicato sulla Gazzetta di Parma del 4 maggio 2015)


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APPELLO ALL’ANPI DI FAR PROPRIA LA RICHIESTA DI ABROGAZIONE DELLA LEGGE N.92/2004

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70.mo Liberazione / 6: 
Il ruolo dell’URSS nella II G.M.


(Sullo stesso tema vedi anche:
4: Moscow hosts Victory Day Parade
3: NOVE MAGGIO 1945–2015


Orig.: LE RÔLE DE L’URSS DANS LA DEUXIÈME GUERRE MONDIALE (1939-1945) 
par Annie Lacroix-Riz, professeur émérite d’histoire contemporaine, Paris 7 – Mai 2015




Il ruolo dell’Unione Sovietica nella seconda guerra mondiale (1939-1945) 

di Annie Lacroix-Riz

In questo 8 Maggio 2015, la nostra compagna, la storica Annie Lacroix-Riz, torna per www.initiative-communiste.frsul ruolo dell’Unione Sovietica nella Seconda Guerra Mondiale.

Annie Lacroix-Riz, professore emerito di storia contemporanea, Parigi 7

Maggio 2015

Due anni dopo la sua vittoria sulla Wehrmacht e il nazismo, inizia ufficialmente la “guerra fredda”, l’Armata Rossa, cara a tutti i popoli europei fin dal giugno 1941, si trasformò per l’”Ovest” in una minaccia [1]. Oggi la storiografia francese, la sua mutazione filoamericana vecchia di trent’anni compiuti, si è dedicata alla calunnia pubblica dell’URSS sia per la fase del patto di non aggressione tedesco-sovietico che ormai anche per quella della “Grande Guerra Patriottica”. I nostri manuali, equiparando il nazismo e il comunismo, surclassano gli storici dell’Europa dell’Est riciclati in Occidente. I grandi media, che incensano gli “storici dei consensi” [2] per lo “spirito libero da ogni settarismo”[3], hanno trasformato lo sbarco “americano” (anglo-americano, Commonwealth incluso) del 6 giugno 1944 nell’evento militare decisivo (Leggi qui). Martellamento efficace. I sondaggi IFOP sul rispettivo contributo dell’Unione Sovietica e degli Stati Uniti alla condotta militare della Seconda Guerra Mondiale, o “alla vittoria sui nazisti” si sono, tra il maggio 1945 e il maggio 2015, direttamente invertiti: 57% per l’URSS alla prima data (20% per gli Stati Uniti); 54% per gli Stati Uniti oggi, fino al 59% tra quelli sotto i 35 anni [4], vittime principali della rottura dell’insegnamento della disciplina storica.

Questa inversione politica stabilisce il doppio trionfo in Francia dell’egemonia americana e un’inquietante russofobia dal 1917, limitata per decenni dall’esistenza di un potente partito comunista presente sul terreno della storia, ma notevolmente accentuata dal crollo dell’Unione Sovietica. Essa non è correlata alla tabella che si ha sulle fonti originali del ruolo svolto dall’URSS durante la Seconda Guerra Mondiale.

Dal sabotaggio dell’Accordo franco-anglo-polacco al patto tedesco-sovietico

Ciò che fece l’Unione Sovietica quando il Blitzkrieg schiacciò l’Europa (settembre 1939 – maggio 1941) ha attirato negli ultimi decenni molti lavori scientifici, in particolare anglofoni [5]. Essi si ricollegano in generale alla tesi, fermamente sostenuta tra la guerra e il 1960, dai prestigiosi Lewis B. Namier, AJP Taylor (storici) e dal giornalista Alexander Werth [6], il padre di Nicolas, che simboleggia tanto la russofilia di guerra e del dopoguerra quanto suo figlio incarna la russofobia contemporanea.

L’argomento in questione è semplice e reale. L’ostinazione franco-britannica, sostenuta dagli Stati Uniti [7], nella politica di capitolazione alle potenze fasciste denominata “Appeasement” ha rovinato il progetto sovietico, chiaramente enunciato nel 1933-1934, di “sicurezza collettiva” dei paesi europei, dell’Est e dell’Ovest, minacciato anche dalla politica di espansione del Reich tedesco. Lo stroncamento sul nascere dei patti franco-sovietico e ceco-sovietico (2 e il 16 maggio 1935), e il rifiuto ostinato occidentale del “l’alliance de revers”, di cui la prima guerra mondiale aveva dimostrato l’efficacia, porta contro l’URSS gli accordi di Monaco per i quali, nella notte del 29-30 settembre 1938, Parigi, Londra, Berlino e Roma smembrarono la Cecoslovacchia (consegnando i Sudeti alla Germania dal 1° ottobre 1938). Dopo l’assalto finale del 14-15 marzo 1939 (satellizzazione della Slovacchia e annessione di Boemia e Moravia), condotto dalla Wehrmacht contro il moncone dell’ex alleato principale ufficiale della Francia, l’URSS isolata fu costretta a mantenere una rigorosa linea, nonostante la leggenda di una “svolta” politica estera franco-britannica, lasciando al Reich “mano libera in Oriente”: questa espressione familiare per tutti gli “Apaiseurs” francesi, inglesi e altri (tra cui il ministro della Guerra e presidente del Consiglio, il radicale Edouard Daladier) è stata comunemente utilizzata nelle trattazioni del 1938-1939 tra i ministri degli esteri francese e tedesco, Georges Bonnet e Ribbentrop. L’URSS si rassegnò a firmare il patto tedesco-sovietico del 23 agosto 1939 che la risparmiava temporaneamente. [8]

Così finì la missione franco-britannica inviata a Mosca dall’11 al 24 Agosto 1939 per calmare le opinioni che esigevano dal 15 marzo, il fronte comune con l’URSS che questa proponeva. Mosca, iniziatrice dei negoziati tripartiti dopo il colpo di Stato che metteva fine alla Cecoslovacchia, chiedeva la ricostituzione dell’alleanza difensiva automatica e reciproca del 1914. L’accordo militare avrebbe dovuto associare la Polonia e la Romania, feudi del “cordone sanitario” antibolscevico dal 1919 di cui Parigi e Londra avevano nel marzo-aprile 1939 “garantito” unilateralmente i confini (senza la minima intenzione di difenderli né con attrezzature né con l’invio di truppe) e gli Stati baltici, vitali per la difesa della “Russia Europea” (Augostin-Anthony Palasse, addetto militare francese) [9].

Dopo mesi di tergiversazioni offensive per i russi e mortali per i confini dei paesi europei, Londra e Parigi delegarono nei confronti dei capi militari sovietici l’ammiraglio britannico Reginald Drax e il generale francese Joseph Doumenc. Questi due oscuri ufficiali, “richiedenti” partiti “a mani vuote” (Doumenc) con una nave mercantile molto lenta (cinque giorni di traversata), erano stati incaricati di far portare ai sovietici esclusivamente il cappello della “farsa di Mosca”: l’obiettivo era, si illudeva Londra, al momento in cui il Reich avesse ammassato le sue truppe ai confini della Polonia per l’assalto imminente, di “lasciare la Germania sotto la minaccia di un patto militare anglo-franco-sovietico e guadagnare così l’autunno o l’inverno ritardando la guerra”. Quando il Commissario di Guerra e comandante in capo dell’Armata Rossa Kliment Vorošilov, “preciso, diretto”, propose ai due emissari impotenti, il 12 agosto, “l’esame concreto dei piani di operazioni contro il blocco degli Stati aggressori” e presentato i suoi pieni poteri, essi confessarono di non essere abilitati a firmare un accordo militare.

Parigi e Londra erano determinati a non fornire alcuna assistenza economica o militare ai loro “alleati” dell’Est. Avevano delegato il compito all’URSS rendendoglielo assolutamente impossibile: Varsavia (soprattutto) e Bucarest (che dagli anni 1920 avevano concluso accordi politici e militari reciproci rivolti esclusivamente contro l’URSS) avevano rifiutato il diritto di passaggio (con i loro tutori occidentali) all’Armata Rossa. Ma questa clausola era la conditio sine qua non geografica del suo intervento, dal momento che l’URSS non aveva alcuna frontiera comune con la Germania dal trattato di Versailles. Avendo “garantito” senza consultare la Polonia (che non voleva da loro “garanzie”), Francia e Regno Unito si vincolarono al preteso veto, incoraggiando alla vista di tutti, Sovietici inclusi, la cricca filo-tedesca che regnava a Varsavia. Degno emulo del suo “alleato” tedesco in materia di antisemitismo, il capo del “regime di colonnelli polacchi”, il colonnello Jozef Beck, uomo di punta di Hitler e Ribbentrop che si erano serviti di lui, tra gli altri, come delegato e informatore alla Società delle Nazioni ufficialmente abbandonata dal Reich nel mese d’ottobre del 1933, essendo stato la “iena” o “avvoltoio” (termine utilizzato da tutte le cancellerie straniere, tra cui l’AuswärtigesAmt, Ministero degli Affari Esteri), complice dello smembramento tedesco della Cecoslovacchia del 1938.

La sua vendetta insaziabile contro Praga – la stessa di quella del suo predecessore e capo Pilsudski – aveva guadagnato alla Polonia la mancetta, effimera, della concessione del territorio della Slesia di Teschen strappato alla Cecoslovacchia dopo Monaco: la ricompensa dei suoi misfatti durò meno di un anno fino all’invasione tedesca. Con la Wehrmacht alle porte, Beck invocò, lirico, “il testamento” di Pilsudski, “Con i tedeschi rischiamo di perdere la nostra libertà, con i russi, perdiamo la nostra anima”. [10]

Il dossier aveva altre molle, meno spirituali. La Polonia aveva preso ai Sovietici nel 1920-21 con l’aiuto militare francese (Maxime Weygande, aiutato in particolare da De Gaulle) la Galizia orientale dell’ex impero russo, popolata da Ucraini e Bielorussi (l’attuale Ucraina occidentale). Cieco, più che mai dopo il 1933, agli appetiti territoriali tedeschi, perseguitando allegramente le popolazioni maggioritarie, non-polacche, essa tremava al fatto che l’Armata Rossa aveva preso il controllo di questi territori a meno di 150 Km a Est della “linea Curzon”: questo limite etnico tra Polonia e Russia era stato fissato nel dicembre 1919 dal Ministero degli Esteri britannico, certo di cacciare presto dal potere i bolscevichi e mettere a disposizione dei “Bianchi” queste zone, poiché l’intento era quello di cedere le ricchezze del Caucaso (Bakou e Grozny) alla Royal Dutch Shell di Sir Henry Deterding: questo araldo dell’anticomunismo, petroliere, finanziatore di tutti i complotti “ceceni” del periodo tra le due guerre fino alla sua morte (4 febbraio 1939) e grande fornitore di petrolio al III Reich, apprezzava tanto questo regime e i suoi capi che risiedette a Berlino dopo il suo ritiro ufficiale nel 1936.

Varsavia aveva firmato con Berlino, il 26 gennaio 1934, una “dichiarazione di non-aggressione e d’amicizia”, chiamato “trattato tedesco-polacco” concluso per dieci anni. Redatto dall’AuswärtigesAmt, questo pezzo di carta le interdiceva formalmente, tra gli altri obblighi, ogni accordo con l’URSS e con i suoi vicini slavi: essa applicava scrupolosamente da parte sua tutte le condizioni, in primis russofobe e antisemite, di un testo che s’inseriva nel dispositivo generale di preparazione, in bella vista dei suoi “alleati” occidentali, della sua liquidazione territoriale. La Romania temeva di perdere la Bessarabia che aveva preso ai Russi nel 1918 e conservato dopo (ufficialmente, nel 1924) solo grazie al sostegno della Francia, capofila ufficiale insieme a Londra, dell’antibolscevismo mondiale. Comunque bisogna dire che essa aveva più paura del Reich che della cricca dei colonnelli storicamente attaccati alla tutela austriaca e prussiana. L’URSS non ottenne dagli Apaiseurs francesi e inglesi “garanzie” delle frontiere dei Paesi Baltici, la cui “indipendenza” dal 1919-1920 era tutta al servizio della realizzazione del “cordone sanitario”. Parigi e Londra ridacchiarono prontamente alle sue richieste dopo il marzo-aprile 1939: in compagnia degli ambasciatori americani, essi accusarono Mosca di pensare solo a “bolscevizzare” questi satelliti del Reich [11].

L’URSS dopo il marzo e soprattutto il maggio 1939 fu corteggiata da Berlino, che logicamente preferiva una guerra su un fronte, avendo quella su due fronti portato alla disfatta. La Germania promise, appena prima di prendersi la Polonia, di rispettare la sua “sfera d’influenza” in Galizia orientale, nel Baltico e in Bessarabia. Mosca cedette alle pressanti istanze all’ultimo momento (Geoffrey Roberts lo ha dimostrato nei suoi primi lavori) e non alle fantasie immaginarie della “rivoluzione mondiale”, mito del “Drang nachWesten” (marcia verso l’Ovest), creato per far dimenticare la sola marcia che ha avuto luogo, quella tedesca verso l’Est [12]. Londra e Parigi continuavano a lusingare Berlino [13], l’Unione Sovietica rifiutava d’”essere implicata da sola nel conflitto con la Germania”: questa era la sua unica preoccupazione, come ha confessato, nel maggio 1939, Lord Halifax, segretario del Ministero degli Esteri britannico e sostenitore dell’Apaisement britannico [14]. Il 23 agosto 1939, alla firma del patto di non-aggressione tedesco-sovietico, l’”Occidente” finse stupore, come Churchill, davanti al “nuovo disastro che esplode sul mondo come una bomba” [15]: è così che il capo della coalizione antisovietica dopo il 1918, che aveva abdicato all’Apaisement abbastanza presto, denunciò il volta-faccia, il tradimento, la lunga menzogna dell’antifascismo del nuovo “alleato” di Berlino.

L’indignazione, finta, faceva parte dell’impostura. Diplomatici e addetti militari francesi e inglesi di stanza a Mosca giocavano alle Cassandre dopo l’arrivo degli hitleriani al potere, a partire dal 1933. Per colpa della Triplice Intesa e quindi dell’alleanza di opposizioni difensive e formali, se si fossero ripetute regolarmente da quel momento, l’URSS sarebbe stata costretta ad affrontare immediatamente Berlino: questo per lei era l’unico mezzo per guadagnare la “tregua” (Roberts), indispensabile per mettere sul piede di guerra nel modo meno imperfetto possibile, la sua economia e il suo esercito di fronte ad un avversario tedesco in quel momento ancora molto superiore. I più solerti ma molto realistici arci-antibolscevichi, questi informatori consapevoli ribadirono il loro avvertimento fino all’ultimo giorno [16], e annunciarono anche che il patto non modificava i problemi. Il 29 agosto 1939, il tenente-colonello Charles-Antoine Luguet, addetto diplomatico d’aviazione a Mosca e futuro eroe gollista della squadriglia Normandie-Niémen, certifica (come Doumenc) la buona fede di Vorošilov e descrive Stalin come “glorioso successore […] di Alexandre Nevsky e di Pietro I°”: “il trattato è stato pubblicato” scrisse “completato da una convenzione segreta, che definisce a distanza delle frontiere sovietiche una linea che le truppe tedesche non devono oltrepassare e che sarà considerata dall’URSS una sorta di sua posizione di copertura” [17]. Un “protocollo segreto” integra in effetti la Polonia orientale e gli Stati baltici nella “sfera d’influenza” dell’URSS [18], avente come obiettivo immediato di migliorare le condizioni e la durata della sua mobilitazione, e di occupare un terreno che venne, durante gli ultimi preparativi dell’assalto tedesco, sottratto alla Wehrmacht.

Francesi e Inglesi non mancheranno di osservare, dopo l’evento, che l’Armata Rossa entrò in Polonia (il 17 settembre 1939) solo dopo la disfatta ufficiale di questa, poi in Bessarabia e nei Paesi Baltici se non nel giugno 1940, dopo la Débâcle della Francia [19].

L’URSS in pace durante la guerra

La Germania aprì il conflitto generale il 1° settembre 1939, in assenza dell’Intesa che nel settembre 1914 aveva salvato la Francia dall’invasione totale. Michael Carley incrimina l’Apaisement nato dalla “paura della vittoria contro il fascismo” dei privilegiati inglesi e francesi, allarmati dal fatto che il ruolo dirigente promesso all’URSS in una guerra contro la Germania avrebbe esteso il suo sistema a tutti i belligeranti: egli considera “l’anticomunismo”, decisivo in ogni fase chiave dal 1934-35, come “una causa importante della Seconda Guerra mondiale” [20].

Il 17 settembre, l’URSS, travolta dall’avanzata tedesca in Polonia, che era stata sconfitta in meno di 24 ore – per la Francia ci sarebbero volute meno di 48 ore – proclamò la sua “neutralità” nel conflitto e occupò la Galizia orientale. Essa esigette in settembre-ottobre da Berlino “garanzie” per i paesi baltici: questa “occupazione “mascherata” fu accolta con rassegnazione” da parte dell’Inghilterra. Questa aveva assecondato il Reich nel suo piano d’assalto marittimo contro l’URSS, firmando con esso “il trattato navale” del 18 Giugno 1935, che autorizzava la costruzione di una marina di guerra tedesca pari al 35% di quella britannica, questo accordo bilaterale aveva lasciato alla Germania “mano libera” nel Baltico (Finkel e Leibovitz). Ma Londra era ormai preoccupata tanto per l’espansione tedesca che per “la spinta russa in Europa” [21].

Dopo aver richiesto alla Finlandia, alleato da lunga data di Berlino che minacciava la sicurezza di Leningrado, una rettifica di frontiera (con sostanziale compensazione territoriale), che venne respinta, l’Unione Sovietica entrò alla fine di novembre 1939 nella “Guerra d’Inverno”. I tamburi della propaganda si scatenarono: la Francia singhiozzava così come il Vaticano e il mondo intero (capitalistico) per la piccola vittima ed esaltò il suo valore contro una Armata Rossa inetta. Weygand e Daladier seguiti da Reynaud pianificano, “sognano” e “delirano”, su una guerra contro l’URSS nel Grande Nord e poi nel Caucaso [22], allo stesso tempo in cui continuavano a sabotare, come i capi dell’esercito, il “fronte Nord-Est”: pomposo soprannome del confine francese con la Germania, dove, precisamente, non c’era alcun “fronte”. L’Inghilterra sacrificata all’ideologia anticomunista, così utile in ogni circostanza, applaudì al compromesso sovietico-finlandese del 12 marzo 1940. Si congratulò in seguito con la nuova avanzata dell’Armata Rossa consecutiva all’ignominioso crollo francese, ossia, dell’occupazione a metà giugno 1940 dei Paesi Baltici, alla fine di giugno della Bessarabia-Nord Bucovina. Poi, in attesa della tappa successiva del conflitto generale, inviò a Mosca Stafford Cripps, l’unico filosovietico di un establishment britannico volto all’antisovietismo tanto delirante almeno quanto quello delle élites francesi [23].

Nella crisi aperta nel giugno 1940, le relazioni dei cosiddetti “Alleati” tedeschi e sovietici giungono alla rottura a novembre, come sapevano tutte le capitali “occidentali”. “Tra il 1939 e il 1941”, l’URSS aveva notevolmente sviluppato i suoi armamenti terrestri e aerei e portato l’Armata Rossa “da 100 a 300 divisioni” (“da 2 a 5.000.000 di uomini”), ammassati “lungo o in prossimità dei suoi confini occidentali.”[24]

La vittoria militare di un paese indebolito

Il 22 giugno 1941 il Reich lanciò l’attacco annunciato dal settembre 1940 dall’assembramento delle sue truppe in Romania “satellite”, noto a tutte le capitali straniere – e all’Unione Sovietica, Stalin compreso: l’ultimo libro di Roberts fa definitivamente giustizia della leggenda di uno Stalin stordito e paralizzato dall’assalto del suo caro Hitler. Nicolas Werth postula il “crollo militare del 1941” al quale sarebbe succeduto (nel 1942-1943) “un [misterioso] sussulto del regime e della società” [25], ma a Vichy il generale Paul Doyen, capo delegazione francese alla Commissione tedesca d’Armistizio, annunciò il 16 luglio 1941 la morte del Blitzkrieg e quindi la sconfitta tedesca molto probabile se l’incredibile resistenza sovietica fosse durata, come tutto faceva prevedere: “Se il Terzo Reich riporta in Russia certi successi strategici, la svolta presa dalle operazioni non risponde affatto all’idea che si erano fatti i suoi leader. Essi non si aspettavano una resistenza talmente feroce del soldato russo, un fanatismo così appassionato della popolazione, una guerriglia talmente estenuante nelle retrovie, perdite così gravi, il più completo vuoto davanti all’invasore, difficoltà così notevoli di rifornimento e comunicazione […] Senza pensare al cibo di domani, il russo incendia col lanciafiamme il suo raccolto, fa saltare i suoi villaggi, distrugge il suo materiale rotabile, sabota le sue aziende”[26]. Il Vaticano, la migliore rete di intelligence globale, si allarmò fin dai primi di settembre davanti l’ambasciatore di Francia delle difficoltà “dei Tedeschi” e insieme “di come Stalin sarebbe stato chiamato a organizzare la pace di concerto con Churchill e Roosevelt” [27]: così egli pose “il punto di svolta della guerra” prima dell’arresto della Wehrmacht a Mosca (fine ottobre) e ben prima di Stalingrado. L’insieme dei circoli “bene informati”, militari e civili, condivideva questo giudizio, e nello stesso momento. [28]

Fu così confermato fin dall’invasione il giudizio, che faceva Palasse da quando arrivò (fine 1937) e soprattutto dal 1938 sulla “situazione morale” e la potenza militare sovietiche. L’Armata Rossa, epurata dopo la repressione del mese di giugno 1937, dal “complotto Tuchacevskij” ordito dal maresciallo sovietico con l’alto comando della Wehrmacht, svelato e non creato da Stalin [29], progrediva costantemente. I suoi legami con il popolo generavano un “patriottismo” inaudito: lo stato dell’esercito, l’addestramento militare dei soldati e della popolazione, per primi i giovani, e la propaganda efficace “manteneva[no] tese le energie del paese e gli diede[ro] l’orgoglio delle gesta compiute dai suoi […] e l’incrollabile fiducia nella [sua] forza difensiva.”[30] C’erano, come tutti gli altri osservatori militari rilevarono dopo l’agosto 1938 le perdite giapponesi negli scontri sulla frontiera tra URSS, Cina e Corea [31]. La qualità, così attestata, dell’Armata Rossa guidata da Zhukov, servì da lezione a Tokyo: a dispetto di Hitler, il Giappone firmò a Mosca 13 Aprile 1941 un “patto di neutralità”, che ha rispettato fino alla fine della guerra. Il prudente ritiro giapponese liberò l’URSS dalla sua ossessione, dopo l’attacco contro la Manciuria (1931) e poi di tutta la Cina (1937), di una guerra su due fronti [32].

Dopo un 60° anniversario storicamente avventato dello sbarco anglo-americano in Normandia e un 70° ancora peggiore, ricordiamo che lo sforzo militare dal giugno 1941 fu quasi esclusivamente sovietico. Il Reich imperiale era stato sconfitto nel 1917-1918 in Occidente, in particolare dalla Francia, che aveva dovuto la sua sopravvivenza o la sua non invasione all’alleanza degli opposti o al “rullo compressore” russo e in nessun caso alla “battaglia della Marna”, operazione di “comunicazione” di inusuale longevità. Come ricordato nel marzo 1939 da Robert Vansittart, Sottosegretario di Stato permanente del Ministero degli Esteri britannico, che era stato a lungo “operatore di pace” e germanofilo come i suoi coetanei: “La Francia non avrebbe avuto la minima possibilità di sopravvivenza nel 1914 se non ci fosse stato un fronte orientale”.[33] Il Reich hitleriano, fermato a partire dall’estate del 1941 nei suoi successi ininterrotti dal 1938-1939, fu sconfitto nel 1943-1945 in Oriente dalla sola Armata Rossa.

Dopo l’agosto-settembre 1941, Stalin aveva richiesto continuamente ma invano, per alleggerire l’enorme pressione tedesca, l’apertura di un “secondo fronte” occidentale ricostituendo di fatto l’alliance de revers della Prima Guerra Mondiale: l’invio di divisioni alleate in URSS e, soprattutto, uno sbarco sulle coste francesi. Dovette accontentarsi delle lodi di Churchill, ben presto seguite da quelle di Roosevelt, per “l’eroismo delle forze combattenti sovietiche” e di un “prestito” americano, rimborsabile nel dopoguerra. Uno storico sovietico ha stimato l’ammontare complessivo a 5 miliardi di rubli (uno storico americano a 11), cioè il “4% del reddito nazionale” sovietico degli anni 1941-1945 [34]. Roberts ha ricordato che questo contributo economico degli Stati Uniti allo sforzo sovietico non fu solamente modesto, ma che esso fu accordato per la sua quasi totalità solo dopo la straordinaria impresa di Stalingrado – cioè, quando gli Stati Uniti ebbero acquisito la certezza definitiva che l’Armata Rossa avrebbe trionfato, entro un periodo di tempo limitato, sugli invasori. L’ostinato rifiuto del secondo fronte e l’emarginazione dell’URSS nelle relazioni inter-alleate, nonostante la sua presenza ornamentale a Teheran nel novembre del 1943 [35], sono evidenziate da tutti i tipi di fonti e dalla corrispondenza di guerra Stalin-Churchill-Roosevelt. Gli obiettivi e le manovre degli anglo-americani, guidati da Washington, legittimamente riproposero la paura sovietica di tornare al “cordone sanitario” e alle “mani libere in Oriente”.

La questione delle forze in Europa si acuì quando la capitolazione di von Paulus a Stalingrado (2 febbraio 1943) mise all’ordine del giorno le condizioni per la pace futura. Washington contava sulla sua egemonia finanziaria per sfuggire alle norme militari di risoluzione dei conflitti. Roosevelt rifiutava quindi sistematicamente di negoziare sugli “scopi militari” che Stalin aveva presentato a Churchill nel luglio 1941, vale a dire il ritorno ai confini europei dell’ex impero, recuperati nel 1939-1940: l’ottenimento di una “sfera di influenza” sovietica che restringeva quella americana, che non poteva subire alcun limite [36] (questa regola dell’imperialismo dominante fu rigorosamente applicata contro Londra: Washington emise un veto anche formale contro i suoi rivali imperialisti inglesi). Il miliardario Harriman, ereditiere di un immenso impero finanziario, ambasciatore a Mosca dal 1943 al 1945 e futuro campione del Piano Marshall e dell’Unione Europea, annunciò al Dipartimento di Stato, nel febbraio-marzo 1944, che l’URSS devastata non avrebbe ricavato alcun vantaggio, neanche territoriale dalla sua vittoria. “Impoverita dalla guerra e alla ricerca della nostra assistenza economica […] una delle nostre principali leve per orientare una azione politica compatibile con i nostri principi”, non avrebbe la forza di invadere dall’Est dell’Europa. Ridotta in miseria per le sue distruzioni, sarebbe obbligata a soddisfare una promessa di aiuto finanziario degli Stati Uniti per il dopoguerra, che ci permetterà di “evitare lo sviluppo di una sfera di influenza dell’Unione Sovietica sull’Europa orientale e i Balcani”. [37]

Ma non teneva conto delle conseguenze a breve termine di Stalingrado, dove si erano scontrati dal luglio 1942 “due eserciti di oltre un milione di uomini”. L’esercito sovietico ha vinto questa “feroce battaglia”, seguita con passione ogni giorno da tutta l’Europa occupata, che “superava in violenza tutte quelle della Prima Guerra mondiale […] per ogni casa, ogni torre d’acqua, ogni cantina, ogni pezzo di rovina”. La sua vittoria “mise l’URSS sulla via della potenza mondiale” come quella “di Poltava nel 1709 [contro la Svezia] aveva trasformato la Russia in potenza europea”. [38]

L’apertura del “secondo fronte” si trascinò fino al giugno 1944, quando l’avanzata dell’Armata Rossa oltre i confini del luglio 1940 dell’Unione Sovietica liberata esigeva la ripartizione di fatto delle “sfere d’influenza” che Roosevelt e i suoi avevano rifiutato di diritto. La conferenza di Yalta che, nel febbraio del 1945, ha rappresentato l’acme, molto provvisoria, delle acquisizioni dell’URSS, belligerante decisivo, non è il risultato dell’astuzia di Stalin che spoglia la Polonia martire contro un Churchill impotente e un Roosevelt morente, ma dei rapporti di forza militari del momento [39]. Ormai, si era in procinto di cadere nell’inseguimento della resa negoziata della Wehrmacht “alle forze armate anglo-americane e riposizionamento delle forze in Oriente”: alla fine di marzo, “26 divisioni tedesche rimanevano sul fronte occidentale” (per evacuare dai porti del Nord le truppe verso i “buoni” nemici così indulgenti) “contro 170 divisioni sul fronte orientale” dove i combattimenti imperversano fino alla fine. I guadagni di Yalta realizzati sulla carta sarebbero stati poi rimessi puntualmente in discussione, a cominciare dal principio dei 10 miliardi di dollari di “riparazioni”, il 50% del totale (per perdite stimate in diverse centinaia di miliardi, tra 200 e 600).

Il bilancio dell’operazione Sunrise, l’esempio meno sconosciuto dei tentativi di inversione dei fronti che si succedettero senza sosta dopo il 1943, nell’alleanza “Occidente”-Reich contro i Soviet e con febbrile intensità dal 1944, irritò Mosca. Roosevelt aveva affidato al capo europeo dell’Ufficio dei Servizi Strategici (precursore della CIA), installato dopo il novembre del 1942 a Berna per preparare l’avvenire dell’Europa in generale, e della Germania in particolare, il finanziere Allen Dulles, associato come il suo fratello maggiore, il John Foster di “Dulles, Sullivan e Cromwell”, uno dei principali uffici americani d’affari internazionali, intimamente legato al capitale finanziario tedesco. Dulles, futuro capo della CIA di Eisenhower e Kennedy (ed eroe del fiasco cubano della “Baia dei Porci”), negoziò nel marzo-aprile del 1945, con il generale delle SS Karl Wolff, “capo dello stato-maggiore personale di Himmler” responsabile dell’“assassinio di 300.000 ebrei”, la capitolazione dell’esercito Kesselring in Italia. Questo avvenne, in assenza dei Sovietici, il 2 maggio 1945[40].

Era pertanto politicamente escluso che Berlino cadesse nell’immediato nelle mani degli Occidentali: dal 25 aprile al 3 maggio, la penultima “sanguinosa battaglia” (Praga, luogo dell’ultima, cadde solo il 9 maggio) [41] uccise ancora 300.000 soldati sovietici. L’equivalente cioè del totale delle vittime americane, “unicamente militari”, dei fronti europei e giapponesi dal dicembre 1941 ad agosto 1945[42].

La guerra tedesca di sterminio

Secondo Jean-Jacques Becker, “a parte (sic) che si è dispiegata in aree molto più ampie, a parte il costo esagerato dei metodi di combattimento obsoleti dell’esercito sovietico, sul piano strettamente militare, la Seconda Guerra è stata un po’ meno violenta della prima”[43]. Questo confronto tra le due guerre mondiali, altamente fantasioso, imputa anche all’URSS, accusa che è diventata corrente nella storiografia dominante francese, l’enormità delle sue perdite (oltre la metà dei 50 milioni del totale generale 1939-1945) nella guerra di sterminioche il Terzo Reich aveva programmato per liquidare, oltre agli ebrei, dai 30 ai 50 milioni di slavi[44]. La Wehrmacht, roccaforte pangermanista che era stata facilmente nazificata e che riteneva “i russi ‘asiatici’ degni del disprezzo più assoluto” [45], ne fu l’artefice principale: la sua ferocia anti-slava, antisemita e anti-bolscevica, descritta al processo di Norimberga (1945-1946), brevemente ricordata in Germania da esposizioni itineranti dalla fine del 20° secolo [46] e ormai, Francia inclusa, sepolta nel silenzio, privò l’URSS delle “leggi della guerra” (Convenzioni dell’AIA del 1907). Nel momento in cui si osa tutto, la propaganda mediatica la ritiene una cosa logica, in quanto l’URSS non ha firmato la Convenzione: non la firmarono allora neanche, la Grecia, la Jugoslavia, la Polonia, l’Europa occidentale, oggetto, nell’estate del 1944, degli ordini del Comandante in Capo “Ovest” della Wehrmacht, von Rundstedt, estendendo a questa zona i metodi di guerra dell’Est, origine delle atrocità commesse in Italia e in Francia, a Oradour-sur-Glane, che erano state sistematicamente praticate fin dall’inizio, a decine di migliaia di casi, sul fronte Orientale[47]?

Testimoniano la barbarie pangermanista, di cui i nazisti hanno preso l’eredità, gli ordini firmati dai capi della Wehrmacht, Keitel e soci: il decreto detto “del commissario” dell’8 giugno 1941 ordinò l’esecuzione dei “commissari politici” comunisti integrati nell’Armata Rossa; l’ordine di “non fare prigionieri” causò l’esecuzione sul campo di battaglia, a combattimenti terminati, di 600.000 prigionieri di guerra, e fu esteso nel mese di luglio ai “civili nemici”; von Reichenau firmò l’ordine di “sterminio definitivo del sistema giudaico-bolscevico”, ecc. [48]. 3,3 milioni di prigionieri di guerra, cioè più dei 2/3 del totale, subirono nel 1941-1942 la “morte programmata” per fame e sete (80%), tifo, lavoro schiavistico. I prigionieri, classificati come “comunisti fanatici”, consegnati dalla Wehrmacht alle SS, furono le cavie della prima gassificazione con lo Zyklon B ad Auschwitz nel dicembre del 1941 [49].

L’esercito tedesco era con le SS e la polizia tedesca “ordinaria” un agente particolarmente attivo della distruzione dei civili, ebrei e non ebrei. Essa aiutò le SS Einsatzgruppen responsabili delle “operazioni mobili di abbattimento” (Hilberg), come quello del Gruppo C nel burrone di Babi Yar, alla fine di settembre del 1941, dieci giorni dopo l’entrata delle sue truppe a Kiev (quasi 34 000 morti): fu uno degli innumerevoli massacri perpetrati con degli “ausiliari” polacchi, baltici (lettoni e lituani) e ucraini [50], descritti dallo struggente Libro nero sullo sterminio scellerato degli ebrei da parte degli invasori fascisti tedeschi nelle regioni temporaneamente occupati dell’URSS e nei campi di sterminio in Polonia durante la guerra del 1941-1945 [51]. Slavi ed ebrei (1,1 milioni su 3,3) perirono nelle decine di migliaia di Oradour-sur-Glane e nei campi di sterminio e di lavoro. I 900 giorni di assedio di Leningrado (luglio 1941 – gennaio 1943), con Stalingrado simbolo supremo della sofferenza e dell’eroismo sovietico, dove morirono un milione di abitanti su 2.5, di cui “più di 600.000” durante la carestia dell’inverno del 1941-1942. “1.700 città, 70.000 villaggi e 32.000 imprese industriali furono distrutte”. Un milione di Ostarbeiter (“lavoratori dell’Est”, sovietici), deportati in Occidente furono sfiniti o annientati dal lavoro e le sevizie delle SS e dei “kapò” nei “kommandos” dei campi di concentramento, miniere e fabbriche dei Konzerne e delle filiali dei gruppi stranieri, come Ford, che fabbricò (come Opel-General Motors) tonnellate di camion (tedeschi) per il fronte orientale [52].

L’8 maggio 1945, l’URSS esangue aveva già perso il beneficio della “Grande Alleanza” che aveva imposto agli anglo-americani l’enorme contributo del suo popolo, sotto le armi o no, all’eclatante vittoria degli Stati Uniti, prevista da Doyen nel suo testo del 16 luglio 1941, dove pronosticava la disfatta tedesca. Il cosiddetto “contenimento” (Containment), della “Guerra fredda” fu in realtà e da subito un “ripristino” (rollback), ora messo in luce da alcuni lavori scientifici. Ormai sotto l’egida di Washington, con rapida associazione alle imprese delle zone occidentali della Germania, questa linea era ritornata, anche prima della fine della guerra in Europa, con la “Prima Guerra fredda”, politica di liquidazione dei Soviet, del “cordone sanitario” o della “Santa Alleanza” che Londra e Parigi avevano diretto, in compagnia di Berlino, dal 1918 al 1939 [53].

[1] Annie Lacroix-Riz, « 1947-1948. Du Kominform au “coup de Prague”, l’Occident eut-il peur des Soviets et du communisme? », Historiens et géographes (HG) n° 324, agosto-settembre 1989, p. 219-243.

[2] Diana Pinto, « L’Amérique dans les livres d’histoire et de géographie des classes terminales françaises », HG n° 303, marzo 1985, p. 611-620; citazione, Robert Soucy, storico americano del fascismo francese, e Lacroix-Riz, L’histoire contemporaine toujours sous influence, Paris, Delga-Le temps des cerises, 2012.

[3]Le Figaro, 11 gennaio 2007, recensione di Olivier Wieviorka, Histoire du débarquement en Normandie : Des origines à la libération de Paris 1941-1944, Paris, Seuil, 2007, opera incensata dai media e dalle istituzioni ufficiali come quella che nega l’interesse militare della Resistenza e che omette la sua componente comunista, Histoire de la Résistance : 1940-1945, Paris, Perrin, 2013.

[4] Sondaggi 1944-1945 e 2004, Lacroix-Riz, « Le débarquement du 6 juin 1944 du mythe d’aujourd’hui à la réalité historique », http://www.lafauteadiderot.net/Le-debarquement-du-6-juin-1944-du, giugno 2014; 7 mai 2015, http://www.metronews.fr/info/sondage-exclusif-8-mai-1945-a-qui-les-francais-disent-ils-merci-pour-la-victoire-sur-les-nazis/moef!FRK7nFX0GWZds/

[5] Geoffrey Roberts, The Unholy Alliance : Stalin’s pact with Hitler, Londra, Tauris, 1989; The Soviet Union and the origins of the Second World War. Russo-German Relations and the Road to War, 1933-1941, New York, Saint Martin’s Press, 1995; e soprattutto, Stalin’s Wars: From World War to Cold War, 1939-1953. New Haven & London: Yale University Press, 2006, tradotto, Les guerres de Staline, Paris, Delga, 2014; Gabriel Gorodetsky, Soviet Foreign Policy, 1917-1991 : a retrospective, Londres, Frank Cass, 1993 (da cui Teddy J. Uldricks, « Soviet Security in the 1930s »); Michael J. Carley, 1939, the alliance that never was and the coming of World War 2, Chicago, Ivan R. Dee, 1999 (tradotto in francese, PU de Montréal, 2001); Hugh Ragsdale, The Soviets, the Munich Crisis, and the Coming of World War II, Cambridge, Cambridge UP, 2004; Jonathan Haslam, The Soviet Union and the struggle for collective security in Europe, 1933-1939, Londra, Macmillan Press Ltd, 1984, più timido.

[6] Lewis B. Namier, Diplomatic Prelude 1938-1939, Macmillan, Londra, 1948; A.J.P. Taylor, The origins of the Second World War, Middlesex, Penguin Books,1961; Alexander Werth, La Russieen guerre, 2 vol., Paris, Stock, 1964 (riedizione, Paris, Tallandier, 2011).

[7] Arnold Offner, American Appeasement : United States Foreign Policy and Germany 1933-1939, New York, W.W. Norton & C°, 1969; The origins of the Second World War : American Foreign Policy, 1914-1941, New York, Praeger, 1975.

[8] Roberts, op. cit. e «From détente to partition : Soviet-Polish Relations and the origins of the Nazi-Soviet pact, 1938-1939» in Christoph Koch, ed., Gab eseinen Stalin-Hitler-Pakt? Charakter, Bedeutung und Deutung des deutsch-sowjetischen Nichtangriffsvertrags vom 23. August 1939 » (« Y eut-il eu un pacte Staline-Hitler? Caractère, signification et interprétation du pacte de non-agression germano-soviétique»), Francoforte, Peter Lang, 2015, p. 89-106; Lacroix-Riz, Le choix de la défaite : les élites françaises dans les années 1930, et De Munich à Vichy, l’assassinat de la 3e République, 1938-1940, Parigi, Armand Colin, 2010 (2e édition) et 2008; e « La France entre accord avec le Reich et alliance tripartite, de Munich au pacte de non-agression germano-soviétique (octobre 1938-23 août 1939) », in Koch, ed., Stalin-Hitler-Pakt?, p. 35-88; Ivan Maïski, Qui aidait Hitler? Souvenirs de l’ancien ambassadeur d’URSS en Grande-Bretagne, Parigi, Delga, 2014; basato sugli archivi (soviétici) concordanti.

[9] Lettere 585/S a Édouard Daladier (ministro della Guerra), Mosca, 5 giugno 1939, 7 N, 3123, archivi Armée de terre (SHAT), e riferimenti dalla n. 7.

[10] Rapporti Doumenc e Willaume (sottolineati nel testo) sulle loro missioni, 7 N, 3185, SHAT. Sul ruolo della Polonia, réf. n. 7 e Lacroix-Riz, « Polen in der außenpolitischen Strategie Frankreichs (Oktober 1938-August 1939) », comunicazione al colloquio sulla campagna di Polonia, Varsavia, 15-17 ottobre 2009, Atti non apparsi, Polenundwir, n° 3, 2014, p. 11-17 (versione francese, «La Pologne dans la stratégie politique et militaire de la France (octobre 1938-août 1939)», www.historiographie.info).

[11] Archivi MAE (e Documents diplomatiques français), SHAT, e riferimenti dalla n. 7.

[12] Piano d’espansione sovietico a Ovest creato dal pubblicista d’estrema destra Ernst Nolte, appoggiato da Yves Santamaria, Le pacte germano-soviétique, Bruxelles, Complexe, 1999, opera redatta senza la minima consultazione d’archivio, che fa da riferimento sulla questione alla storiografia dominante francese.

[13] N. 3, Robert A. Parker, Chamberlain and the Appeasement : British policy and the coming of the Second World War,, Londra, Macmillan Press Ltd, 1993, e Alvin Finkel e Clement Leibovitz, The Chamberlain-Hitler Collusion, Rendlesham, Merlin Press, 1997.

[14] Halifax, 6 maggio 1939, Documents on British Foreign Policy (DBFP)3nd Series, V, p. 411.

[15] Churchill, memorie, vol. I, The gathering storm, Boston, Houghton Mifflin Company, 1948, p. 346.

[16] 7 N, 3185-3186, SHAT. Dopo il 1933 : serie URSS Quai d’Orsay (MAE);DDF; attachés militare in URSS da SHAT; DBFP, ecc. e tutte le op. cit.

[17] Lettere D. 463 a Guy de la Chambre, ministro dell’Aria, Mosca, 29 agosto 1939, 7 N, 3186, SHAT.

[18] Lituania annessa al Reich fin dal secondo protocollo del 28 settembre 1939, Roberts, Soviet Union.

[19] Tél. Palasse, Mosca, 14 maggio 1940, 5 N, 581, SHAT, et Roberts, Soviet Union, p. 122-126.

[20] Carley, 1939, p. 256-257;Finkel, Leibovitz e Lacroix-Riz,op. cit.

[21] Lettere 771 di Charles Corbin, ambasciatore a Londra, 28 ottobre 1939, URSS 1930-1940, 962, archivi del ministero degli Affari esteri (MAE).

[22] Jean-Baptiste Duroselle, L’Abîme 1939-1945, Parigi, Imprimerie nationale, 1983, cap. IV. Lacroix-Riz, op. cit. Le Vatican, l’Europe et le Reich 1914-1944, Parigi, Armand Colin, 2010, cap. 10.

[23] Gabriel Gorodetsky, Stafford Cripps’ mission to Moscow, 1940-42, Cambridge, Cambridge UP,1984., Maïski, Qui aidait Hitler?



Si è svolto dal 18 al 25 luglio il tradizionale Festival cinematografico di Pola, già Festival del film jugoslavo. 
Come sempre, il Festival si tiene sotto il patrocinio del Presidente della Repubblica. L'attuale Presidente Kolinda Grabar-Kitarović non è però intervenuta all'inaugurazione, a causa delle sue "vacanze negli USA", come hanno riferito i media. Perciò, ella ha inviato un suo "alto rappresentante", il produttore Branko Lustig, pluripremiato durante il periodo del Presidente Tudjman. Nel suo breve discorso il Lustig ha sentito il bisogno di ricordare ed elogiare da un lato la preparazione della Operazione "Tempesta" (Oluja) organizzata alle isole di Brioni, e dall'altro il matrimonio del generale Ante Gotovina (sic – il noto criminale di guerra ex mercenario della Legione Straniera), avvenuto otto giorni prima.
All'inaugurazione non si sono visti né il Primo ministro Zoran Milanović né il Sindaco di Pola Boris Miletić. Molto fotografato invece l'ex Presidente, Ivo Josipović.
Non è mancata, come ogni anno all’inaugurazione, l'apparizione di Tito attraverso i filmati d'archivio.
Pluripremiato è stato il film "Zvizdan" del regista Dalibor Matanić: un film sull'attuale situazione in Croazia. Non l'abbiamo visto, ma a giudicare da quanto ne ha scritto la critica, parrebbe ispirato al motto: "volemose bene".
Ma il pubblico dell'Arena ha reso soprattutto grande encomio a "Bit ćemo prvaci svijeta" ("Saremo campioni del mondo") di Darko Bajić, un film sulla grande squadra Nazionale di Pallacanestro jugoslava, che sotto la guida di Ranko Žeravica sconfisse la Nazionale USA e vinse nel 1970 il Campionato del Mondo a Lubiana. Il film è prodotto dalla Intermedia Network: "Questo film è stato girato per comunicare col pubblico e con un grande numero di spettatori... Questo film è uno dei pochi che, dopo la disgregazione della Jugoslavia, parlano del periodo positivamente, dato che mentre la Jugoslavia ancora esisteva tutti facevano a gara a criticare e girare film contro la realtà socialista, come fu ad esempio durante l' 'onda nera’ [corrente pessimistica-decadente del cinema jugoslavo, sorta a partire dagli anni Sessanta, ndCNJ]", ha dichiarato Bajić.

(a cura di Ivan P.)




Tko je bio ratni zločinac u Srebrenici

1) NKPJ: ZAPADNI IMPERIJALIZAM NAJVEĆI RATNI ZLOČINAC
2) ОTVОRЕNО PISMО Јеlеnе Rаdојkоvić, dirеktоrа Oxford Cеntrа, аmbаsаdоru V. Britаniје, Nј.Е. Dеnisu Kifu PОVОDОM BRITАNSKОG PRЕDLОGА RЕZОLUCIЈЕ О SRЕBRЕNICI


Isto pogledaj:

Зоран Миливојевић: Британска балканска политика и резолуција о Сребреници

Russia vetoes UNSC resolution on Srebrenica massacre


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ZAPADNI IMPERIJALIZAM NAJVEĆI RATNI ZLOČINAC

Nova komunistička partija Jugoslavije (NKPJ) ističe da je cilj rezolucije o Srebrenici koju je Evropski parlament u Strazburu usvojio 9. jula, skidanje odgovornosti sa najvećeg ratnog zločinca i objektivnog krivca za sve zločine počinjene na području bivše Jugoslavije, zapadnog imperijalizma.


NKPJ naglašava da je u Srebrenici 1995. godine počinjen stravičan zločin za koji ne postoji bilo kakvo opravdanje. Ubijanje ratnih zarobljenika i civila predstavlja kršenje svih međunarodnih vojnih konvencija i ratni zločin čiji izvršioci zaslužuju najstrože kazne. Međutim, buržoaska imperijalistička većina u Evropskom parlamentu nije izglasala rezoluciju o Srebrenici jer joj je bitno da se zadovolji pravda već da bi se od odgovornosti za taj grozomorni zločin amnestirao zapadni imperijalizam kao i da bi se nastavilo širenje netrpeljivosti i mržnje među jugoslovenskim narodima, u konkretnom slučaju Muslimana i Srba, zarad ekspanzionističkih interesa Brisela i Vašingtona. Zbog toga je u rezoluciji napisano da se osuđuje „genocid“ za koji je optužen srpski narod. Pravilnim tumačenjem definicije reči genocid, mora se konstatovati da njega u Srebrenici nije bilo što nikako ne umanjuje krvoločnost i bezobzirnost kao ni krivicu i odgovornost četničkih nacional-šovinističkih elemenata koji su počinili teške ratne zločine nad zarobljenim muslimanskim vojnicima, kao i civilima, starcima i starijom muškom decom. Međutim, to nikako ne daje za pravo buržoskoj imperijalističkoj većini u Evropskom parlamentu da srpski narod optuži za „genocidnost“ i mržnju prema bratskom muslimanskom narodu. Istina je da je najveći i objektivni krivac za užasni ratni zločin počinjen u Srebrenici zapadni imperijalizam koji je rušeći socijalizam izazvao krvavi bratoubilački rat na prostoru Jugoslavije i prstom nije mrdnuo, iako je mogao, da spreči pokolj u Srebrenici. Zapadnom imeprijalizmu je odgovaralo da do zločina dođe kako bi nesmetano mogao da nastavi sa svojom ekspanzionističkom politikom i vojnim prisustvom na prostorima Bosne i Hercegovine i bivše Jugoslavije. Osudom srpskog naroda , koji se borbom za samopredeljenje do otcepljenja u BiH i Hrvatskoj, opredelio za ostanak i očuvanje Jugoslavije zajedno sa crnogorskim narodom, kao i pojedinim pripadnicima drugih jugoslovenskih naroda i nacionalnih manjina, za „genocid“ zapadni imperijalizam želi da ga kazni zbog pravilnog suprotstavljanja njegovom ekspanzionizmu i želje za očuvanjem Jugoslavije. Tu sramnu rezoluciju buržoaska imperijalistička većina je donela da bi skinula odgovornost i krivicu sa sebe kako za srebrenički masakr tako i za sve druge masakre počinjene tokom bratoubilačkog građanskog rata u BiH i Jugoslaviji, koje su omogućili svojim retrogradnim delovanjem Vašington, Brisel, London, Berlin, Pariz i Rim.

Potpuno je licemerno da buržoaska imperijalistička većina u Evropskom parlamentu donosi rezoluciju o „genocidu“ u Srebrenici a nijednom jedinom rečju nikada ni ta niti bilo koja druga zapadna institucija nije osudila užasne ratne zločine zapadnog imperijalizma i njenih marioneta iz Sarajeva i Zagreba, počinjene prema Srbima tokom razbijanja socijalističke Jugoslavije. Potpuno je licemerno srpski narod optuživati za „genocidnost“ u Srebrenici a u imperijalističkom Haškom tribunalu osloboditi od svih optužbi osvedočenog ratnog zločinca, nacional-šovinistu, izdajnika muslimanskog naroda i Jugoslavije, Nasera Orića. Potpuno je licemerno što zapadni imperijalizam osuđuje i potencira samo zločine koje je počinila srpska strana dok u potpunosti prećutkuje ili amenstira od odgovornosti elemente poput Nasera Orića koji su pripadali pro-imperijalističkim marionetskim i petokolonaškim snagama uz čiju pomoć je rušena socijalistička Jugoslavija izazivanjem krvavog bratoubilačkog rata. Dvostruki aršini zapadnog imperijalizma su potpuno jasni. Na taj način Brisel i Vašington žele da obmanu svetsku javnost i skinu odgovornost sa sebe. Jer ako bi u Haškom tribunalu osudili svoje marionete i kvislinge poput Nasera Orića, time bi osudili sami sebe, jer su on i slični naređenja primali i služili interesima zapadnog imperijalizma. Kako tada tako i danas.

Međutim, prljava igra i dvostruki aršini zapadnog imperijalizma, kao i prećutkivanje zločina počinjenih nad srpskim narodom, ni na koji način ne amnestiraju od krivične odgovornosti i dobijanja zaslužene kazne sve izrode srpskog naroda koji su počinili grozomorne zločine u Srebrenici nad njihovom jugoslovenskom braćom Muslimanima. Sasvim je izvesno da po principu komandne odgovornosti krivica pada i na tadašnje četničko i nacional-šovinističko rukovodstvo Republike Srpske koje ništa nije učinilo da spreči zločin u Srebrenici. To ipak ne znači da imperijalistički sud u Hagu ima bilo kakvo pravo bilo kome da sudi za ratne zločine. Zapadni imeprijalizam je najveći ratni zločinac, Haški tribunal deli selektivnu “pravdu“ i kao takav je neprihvatljiv i odmah ga treba ukinuti. Pravda neće biti zadovoljena sve dok se za razbijanje socijalističke Jugoslavije, izazvanje krvavog bratoubilačkog rata i zločine na svim stranama ne bude sudilo inicijatorima i organizatorima, tadašnjim imperijalističkim liderima Bilu Klintonu, Džonu Mejdžoru,Helmutu Kolu i drugim odgovornima.

Pokušaji zapadnog imperijalizma i pro-imperijalističkih marionetskih vlasti u Sarajevu da srpski narod proglase „genocidnim“ nikada neće naći uporište u pravednom i istinoljubivom muslimanskom narodu. Isto tako retrogradni anti-muslimanski stavovi srpskih nacional-šovinista nikada neće zaživeti u pravdoljubivom i istinoljubivom srpskom narodu. To su najbolje pokazali događaji iz prošle godine kada su radni ljudi Bosne i Hercegovine organizovali socijalne proteste širom zemlje protiv pro-imperijalističke buržoazije na vlasti i imperijalističkih okupatora u čemu su nesebično bili podržani od strane radnih ljudi Srbije. Upravo je i jedan od ciljeva rezolucije u Evropskom parlamentu da širi netrpeljivost i mržnju među Srbima i Muslimanima, kako bi se i dalje obezbedilo nesmetano prisustvo imperijalističkih okupatora pod firmom „održavanja mira i sprečavanja nacionalnih sukoba“ i sprečilo povezivanje muslimanske i srpske radničke klase u borbi protiv kapitalističke eksploatacije. Samo solidarnošću, bratstvom i jedinstvom narodi Bosne i Hercegovine, Muslimani, Srbi, Hrvati i ostali, mogu izboriti bolji život za sebe i svoje porodice, a osnovni preduslovi su odlazak zapadnih imperjalista i NATO sa prostora Bosne i Hercegovine i skidanje sa vlasti pro-imperijalističkih buržoaskih vlasti u Sarajevu i Banjaluci.

Sekretarijat Nove komunističke partije Jugoslavije,

Beograd,

14. jul 2015. godine


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13 јул 2015

Оtvоrеnо pismо Јеlеnе Rаdојkоvić, dirеktоrа Oxford Cеntrа, аmbаsаdоru V. Britаniје, Nј.Е. Dеnisu Kifu pоvоdоm britаnskоg prеdlоgа Rеzоluciје о Srеbrеnici

 


Pоštоvаni,


Оvim putеm žеlim dа izrаzim svоје dubоkо rаzоčаrеnjе kао i оgоrčеnоst pоvоdоm prеdlоgа britаnskе vlаdе kојi sе оdnоsi nа Rеzоluciјu о Srеbrеnici.

Višе оd 40 gоdinа svоg rаdа i živоtа pоsvеtilа sаm nеgоvаnju i prоmоciјi britаnskе kulturе i јеzikа. Rоđеnа sаm u Bеču (Vienna, 1944). Studirаlа sаm аnglistiku/gеrmаnistiku u Hаmburgu, Nјuјоrku, Kаrаčiјu i Bеоgrаdu. Vеć 25 gоdinа vоdim lingvistički cеntаr (Oxford Centar, Bеоgrаd/Niš). Krоz nаšu škоlu еnglеskоg јеzikа prоšlо је višе hilјаdа studеnаtа, а knjižаrа Oxford Centar, kоја rаdi u оkviru istе оrgаnizаciје, је zа оvih 25 gоdinа u sаrаdnji sа britаnskim izdvаčkim kućаmа Oxford, Longman itd. prоdаlа hilјаdе udžbеnikа zа еnglеski јеzik. Zајеdnо sа britаnskim stručnjаcimа, оrgаnizоvаlа sаm mnоštvо stručnih sеminаrа pо cеlој Srbiјi kојi su imаli zа cilј prоmоciјu еnglеskоg јеzikа i kulturе, аli i stvаrаnjе tržištа zа britаnskе izdаvаčе.

Prе svеgа, svоје dubоkо nеslаgаnjе izrаžаvаm u pоglеdu tеrminа gеnоcid kојi sе kоristi u rеzоluciјi. Sаmа dеfiniciја gеnоcidа, kаkо lingvistički tаkо i fаktički, nе mоžе biti primеnjеnа nа slučај Srеbrеnicа:

Žrtvе strаdаlе u grаđаnskоm rаtu u Srеbrеnici nisu bilе žеnе i dеcа vеć nаоružаni vојnо spоsоbni muškаrci. То u оsnоvi diskvаlifikuје tеrmin gеnоcid.
Brој žrtаvа nikаdа niје utvrđеn, а pоštо srpskа strаnа niје imаlа uvid u istrаživаnjа, nе mоžеmо prihvаtiti tu kvаlifikаciјu niti brој žrtаvа. Brој žrtаvа utvrđеn 2005. biо је 1.180. Nа vоlšеbаn nаčin tај brој је 2014. gоdinе dоstigао 6.400 žrtаvа, а оvе gоdinе pојаvоm „nеkih nоvih žrtаvа" dоšlо sе dо brоја оd 8.000. Pitаmо sе kоlikо ćе žrtаvа biti npr. 2020. gоdinе?
Cео nеmiо dоgаđај оdviјао sе u zаštićеnој zоni UN, kоја је pоdrаzumеvаlа dеmilitаrizаciјu.
Pоznаtо је dа su pо ulаsku srpskih snаgа u Srеbrеnicu еvаkuisаni žеnе i dеcа nа muslimаnsku tеritоriјu. Аpsоlutnо niје јаsnо kаkо su sе u tој „dеmilitаrizоvаnој" zоni iznеnаdа zаtеkli nаоružаni muslimаnski vојnici Nаsеrа Оrićа?
DNK аnаlizа dоkаzаnо niје pоuzdаnа, а vrlо vеrоvаtnо је i fаlsifikоvаnа, јеr su bоsаnski Мuslimаni pоtpunо istоg еtničkоg i gеnеtskоg pоrеklа kао Srbi, štо је istоriјski pоtvrđеnо.
Vеliki brој svеtskih i srpskih аnаlitičаrа tvrdi dа је cео dоgаđај u Srеbrеnici biо nаmеrnо iscеnirаn kаkо bi sе stvоriо pоvоd zа bоmbаrdоvаnjе Srbа оd NАТО, bеz оdоbrеnjа Sаvеtа Bеzbеdnоsti UN. Kао štо је pоznаtо, оvај prеsеdаn је оtvоriо vrаtа svim budućim rаtоvimа, rаzаrаnjimа i miliоnskim žrtvаmа nа Bliskоm istоku, u Аfrici i Аziјi u 21.vеku.
Pаrаdоksаlnо је dа sеprаvi gеnоcid nаd 3.500 srpskih civilа u tој istој Srеbrеnici nе sаmо nе pоdvоdi pоd gеnоcid nеgо sе nе spоminjе ni kао rаtni zlоčin. Dа nе gоvоrimо о оstаlim strаdаnjimа srpskih civilа širоm bivšе Јugоslаviје kојi su bili mučki ubiјаni оd strаnе Аl Kаidе, Мudžаhеdinа, hrvаtskо-аmеričkе vојskе i „sаvеzničkоg bоmbаrdоvаnjа".
Nаvоdi kојi gоvоrе о Srеbrеnici kао nајvеćеm gеnоcidu pоslе drugоg svеtskоg rаtа su јеdnа krајnjе mаnipulisаnа i lаžnа kоnstrukciја i zаtо, svе dоk sе nе оrgаnizuје krеdibilnа mеđunаrоdnа istrаživаčkа kоmisiја, kоја bi uklјučivаlа i srpsku strаnu, nе mоžеmо prihvаtiti nikаkvе kvаlifikаciје јеr оnе оčiglеdnо u оvоm trеnutku sаmо služе dаlјеm brutаlnоm pоnižаvаnju srpskоg nаrоdа. Nајgоrе је štо оvim činоm Zаpаdnа Аliјаnsа pоkušаvа dа оprаvdа ničim izаzvаn rаspаd Јugоslаviје i bоmbаrdоvаnjе Srbiје, а u krајnjој instаnci i dаlје rаzdvаја i sprеčаvа pоmirеnjе nаrоdа u bivšој Јugоslаviјi. Pitаnjе је, kоmе tо idе u kоrist i nа čаst?
U svојој istоriјi srpski nаrоd nikаdа niје pоčiniо gеnоcid. Vеkоvimа је živео sа muslimаnimа i drugim vеrskim zајеdnicаmа i rаzviо nајvеću tоlеrаnciјu prеmа svim nаrоdimа svеtа.

Štо sе tičе gеnоcidа, istоriјski nајvеći rаtni gеnоcidi (pоslе јеrmеnskоg u 20. vеku) dоgоdili su sе u Prvоm i Drugоm svеtskоm rаtu nаd Srbimа u Hrvаtskој, Bоsni i nа Kоsоvu.

U tоku Prvоg svеtskоg rаtа strаdаlо је višе hilјаdа srpskih civilа оd strаnе аustriјskе vојskе, а о čеmu pоstојi оbimnа filmskа i fоtо dоkumеntаciја. Srpskа vојskа је tаdа zаdivilа cео svеt јеr је vојnе zаrоblјеnikе nе sаmо čuvаlа nеgо i hrаnilа nа istоm „kаzаnu", о čеmu su svеdоčili svi zаpаdni mеdiјi аli istо tаkо i britаnskе bоlničаrkе. Srbiја је tаdа izgubilа miliоn i pо rаdnо spоsоbnоg i rеprоduktivnоg stаnоvništvа. Žrtvе gеnоcidа iz Prvоg svеtskоg rаtа nikаdа nisu iznеtе prеd svеtsku јаvnоst niti је Srbiја dоbilа ikаkvu rаtnu оdštеtu.

U Drugоm svеtskоm rаtu u nајvеćеm gеnоcidu nаd srpskim civilimа (1941-1945) u kvislinškо-vаtikаnskој Hrvаtskој pоd оkrilјеm nеmаčkе оkupаciје, а pоd rukоvоdstvоm hrvаtskih ustаšа, zаklаnо је оkо dvа miliоnа srpskih civilа. Dоkumеntаciјu о tоmе mоžеtе pоtrаžiti :

– BBC documentary – prеkо pоlа miliоnа žrtаvа;

– Spiegel, аpril 2010 – 1.8 miliоnа žrtаvа;

– Karl Heinz Deschner, pоznаti nеmаčki kаtоlički tеоlоg, u svојim brојnim rаdоvimа nаvоdi dvа miliоnа žrtаvа.

Kао ni svа prеthоdnа strаdаnjа Srbа, tаkо ni оvај gеnоcid niје priznаt оd mеđunаrоdnе zајеdnicе niti је ikаdа оdаtа pоštа оvim miliоnskim žrtvаmа.

Таkоđе, izglеdа dа smо zаbоrаvili svе žrtvе britаnskih bоmbаrdоvаnjа Srbiје u 20. vеku, tе оstаје pitаnjе zаštо је Britаniја bоmbаrdоvаlа srpskе grаdоvе i civilе, а dа pritоm Srbi nikаdа u istоriјi nisu nаpаli Vеliku Britаniјu i njеnu tеritоriјu.

Pоslе svеgа nаvеdеnоg, pоstаvlја sе pitаnjе dа li Vеlikа Britаniја imа mоrаlnо prаvо, оdnоsnо krеdibilitеt, dа budе „Judge and the Jury" nе sаmо u slučајu Srеbrеnicа nеgо i uоpštе. Kоlikо је gеnоcidа, zlоčinа i оtimаnjа nаciоnаlnih dоbаrа učinjеnо u imе i zа rаčun V. Britаniје u prоtеklim vеkоvimа britаnskih kоlоniјаlnih rаtоvа nа svih pеt kоntinеnаtа, оd Аmеrikе, prеkо Аfrikе, Indiје i svе dо Kinе, gdе sе brој žrtаvа mеri stоtinаmа miliоnа.

Dаklе, аrоgаnciја sа kојоm sе britаnskа vlаdа pоstаvlја u slučајu Srеbrеnicе prеdstаvlја nе sаmо krајnji cinizаm nеgо i uvrеdu, kаkо srpskоg tаkо i svih nаrоdа svеtа, а klјučnо pitаnjе је kојi је smisао i cilј оvаkvоg činа.

Nаglаšаvаm dа sе оvо mоје оbrаćаnjе оdnоsi nа pоlitiku V. Britаniје, nipоštо nа britаnskе nаrоdе, kојi su, uprkоs impеriјаlnоm izоbilјu, imаli svоје tеškе trеnutkе u istоriјi.

Таkоđе, mоје оbrаćаnjе niје ličnо i оvim putеm žеlim dа izrаzim divlјеnjе prеmа Vаšеm оdličnоm pоznаvаnju srpskоg јеzikа. Nаdаm sе dа ćеtе imаti žеlјu i priliku dа upоznаtе nајstаriјu еvrоpsku civilizаciјu, kоја nе sаmо dа је nаstаlа nа tеritоriјi dаnаšnjе Srbiје (Lеpеnski Vir, Vinčа itd.) nеgо је srpski nаrоd svе njеnе tеkоvinе (јеzik, mitоlоgiја, еtnоgrаfiја...) оčuvао i dо dаn dаnаs, i prеdао оstаlim nаrоdimа Еvrоpе (о čеmu pišu Gordon Childe, Bryan Sykes, Stephen Oppenhaimer, Collin Renfrew...).

U dоbrој vеri,

Јеlеnа Rаdојkоvić dirеktоr Oxford Cеntrа





(francais / italiano)


TRE A ZERO A TAVOLINO PER LA GRANDE ALBANIA


VUCIC: DECISIONE DELLA CORTE PER L’ARBITRAGGIO SPORTIVO A LOSANNA E’ DEPRECABILE 
<< 10. 07. 2015. – Il premier serbo Aleksandar Vucic ha detto che la decisione della Corte per l’arbitraggio sportivo a Losanna di restituire tre punti all’Albania che le sono stati tolti dopo l’interruzione della partita contro la Serbia a Belgrado e’ deprecabile. La giustizia europea ha dimostrato per l’ennesima volta la sua grande ingiustizia. Coloro che hanno provocato l’incidente sono stai premiati e la vittima e’ stata punita. La decisione della Corte per l’arbitraggio sportivo a Losanna ha offeso la giustizia e le persone normali, ha detto Vucic. Reagendo a quella notizia il premier albanese Edi Rama ha scritto sul Twitter che ha prevalso la giustizia europea. La partita tra la Serbia e l’Albania a Belgrado e’ stata interrotta quando sopra il terreno e’ apparso un drone che tirava la bandiera della cosiddetta grande Albania. Molti indizi dicevano che il fratello di Edi Rama aveva organizzato quell’incidente. L’Uefa ha registrato quella partita con il risultato 3 a 0 per la Serbia ed ha punito la Serbia togliendole tre punti, perche’ i suoi tifosi sono entrati nel terreno. >>


Sulla provocazione del drone « irredentista » allo stadio di Belgrado si veda la documentazione raccolta alla nostra pagina:


Voir aussi:

FOOTBALL : LA SERBIE « RESPONSABLE » DES VIOLENCES DU MATCH CONTRE L’ALBANIE
Courrier des Balkans | De notre correspondant à Pristina | samedi 11 juillet 2015
Le Tribunal arbitral du sport (TAS) a rendu son verdict : la Serbie est tenue responsable des incidents qui ont émaillé la match d’octobre dernier contre l’Albanie. L’équipe serbe s’incline donc 0-3 sur tapis vert et perd toute chance de qualification au Championnat d’Europe 2016...

FOOTBALL : « COMMENT J’AI FAIT VOLER UN DRONE AU-DESSUS DU STADE DE BELGRADE »
Shqip | Traduit par Belgzim Kamberi | samedi 18 juillet 2015
C’est un supporter de foot albanais établi en Italie qui a conçu l’opération qui a mis le feu au stade de Belgrade, le 14 octobre 2014. Ismail Morina raconte son apprentissage du maniement d’un drone et tous les détails de son aventure. Le récit d’un pied nickelé originaire de Kukës...




[Sul tema del terrorismo ustascia nel corso della Guerra Fredda, attivo anche in Italia, si veda la documentazione alla nostra pagina dedicata:


En francais: 
Igor Premužić: CROATIE : NÉO-OUSTACHIS VS. SERVICES YOUGOSLAVES, UNE GUERRE DE L’OMBRE OUBLIÉE
(H-Alter | Traduit par Chloé Billon | mercredi 3 juin 2015) ... Du temps de la Yougoslavie socialiste, la diaspora nationaliste croate a multiplié les attentats, menant une véritable guerre de l’ombre contre l’UDBa, les services secrets yougoslaves. Un pan d’histoire que l’on regarde encore trop souvent avec des lunettes partisanes...



Dvostruka mjerila za terorizam

Igor Premužić
22.05.2015.


Zašto danas svi pod tepih guraju terorističko djelovanje proustaške emigracije? Upravo ona imala je snažne terorističke ćelije, koje su imale za cilj gerilskom borbom vratiti NDH, ostvariti neovisnu kapitalističku i "demokratsku" Hrvatsku. Ustaše, koje s demokracijom nisu imali nikakve veze, osnovali Hrvatski narodni otpor, Hrvatski oslobodilački pokret, Hrvatsko revolucionarno bratstvo i slične organizacije koje su u svojem programu imale oružanu ili mirnu obnovu NDH, a sve su veličale ustaški zločinački režim i kvislinšku NDH.

Terorizam je danas riječ koja dominira medijskim prostorom. Terorizam je na dnevnicima, u novinskim tekstovima, u govoru i među nama stalno prisutna riječ koja ima negativnu konotaciju. Terorizam je kada neki ljudi zbog ostvarivanja svoji ciljeva ubijaju ljude koji hodaju po ulici i gledaju svoje poslove. Terorizam je kada teroristi (oni koji terorizam provode u djelo) podmeću bombe, iz zasjede ubijaju političke predstavnike neke države i pri tome ne mare puno za usputne žrtve. Te usputne žrtve su u pravilu žene, djeca i njihove majke, stariji ljudi i oni koji s ostvarivanjem ciljeva tih terorista nemaju baš ništa, niti bi te teroriste svojim postojanjem mogli bilo kako ugroziti. Teroriste to ne zanima, upravo suprotno - oni svojim djelovanjem žele stvoriti što više takvih nedužnih žrtava pa podmeću bombe pod tračnice vlakova, eksploziv stave pod sjedala kino dvorana, na željezničke kolodvore ili restorane.

--- Ministarstvo vanjskih poslova RH neće od Njemačke zatražiti uvid u spise tajnih službi, da se vidi odnos između HOP-a, HBR-a i BND-a. Nikoga to ne zanima, ali svi osuđuju agente Udbe ---

Teroristi u današnjem svijetu imaju čak i svoje države, imaju svoje prihode, potpomažu ih druge države koje u tom kaosu koji proizvode teroristi pronalaze neki svoj politički, ekonomski ili geostrateški interes. Zanimljiva je i definicija da su teroristi za nekoga borci za slobodu. I to je isto tako činjenica. I partizane su nazivali banditima i to su ih nazivali oni koji su imali logore za istrebljenje djece.

Današnjoj Hrvatskoj je manje poznato da je na europskom tlu nakon rata bilo dosta terorizma, terorizma koji je odnosio veliki broj žrtava, a koji je bio pomagan i od Amerikanaca i njihovih saveznica, isto kao i od SSSR-a i njegovih saveznica. Tako smo imali razne prokomunističke organizacije koje su se borile protiv kapitalizma, ali i pronacističke organizacije koje su se borile za uspostavu poretka koji je bio poražen u II svjetskom ratu.

Tako je upravo hrvatska emigracija bila ta koja je imala snažne terorističke ćelije koje su imale za cilj gerilskom borbom vratiti NDH, ostvariti neovisnu Hrvatsku koja je kapitalistička i "demokratska". Ustaše, koje s demokracijom nisu imali nikakve veze, osnovali Hrvatski narodni otporHrvatski oslobodilački pokretHrvatsko revolucionarno bratstvo i slične organizacije koje su imale u svojem programu oružanu ili mirnu obnovu NDH, stvaranje NDH, a sve su veličale ustaški zločinački režim i kvislinšku NDH. Te organizacije nisu bile agresivne i terorističke samo na deklarativnom nivou, nego su izvele i brojne akcije s ljudskim žrtvama, obučavale su vojne trojke koje su kanile ubacivle u prostor današnje Republike Hrvatske, Bosne i Hercegovine i Srbije. Ono što je bilo više nego indikativno jest da su te organizacije imale podršku tajnih službi, prije svega, Njemačke, ali i ostalih zemalja na području na kojem su djelovale.

--- Današnje države koje imaju posla sa grupacijama i teroristima sličnim onima hrvatske eksremne emigracije, bez puno objašnjavanja ubijaju teroriste na teritorijima drugih država ---

Tako su Frank Hofmann i Philipp Grüll, autori filma Ubojstvo u Titovo ime – tajna odreda smrti u Njemačkoj došli do saznanja da su Njemačke tajne službe pomagale i štitile pripadnike hrvatskih terorističkih organizacija, pa kažu:

"Grüll: Odnos je bio ambivalentan. U pedesetim je godinama i na početku šezdesetih SR Njemačka poticala i financijski pomagala hrvatsku emigraciju. Smjer Savezne Republike bio je tada strogo antikomunistički i antisocijalistički. Na Hrvate u egzilu gledalo se kao na političku snagu usmjerenu protiv režima u Beogradu i samim time na strani Njemačke. Poslije su pak hrvatske emigrantske organizacije u Njemačkoj zabranjene zbog terorističkih težnji. Ipak, njemačke tajne službe i u sedamdesetim godinama pokušavale su si osigurati određeni utjecaj na hrvatske emigrantske organizacije."

--- VIDEO: Ubistvo u Titovo ime (propaganda der Deutschen Welle, 2015)

No, koga su to njemačke tajne službe štitile i s kojim ciljem?

Na području Hrvatske nakon svršetka rata djelovali su Križari (Škripari). To je bio naziv za terorističke skupine ustaša koje su preostale u Hrvatskoj nakon razbijanja vojnih postrojbi NDH, a koje su još neko vrijeme izolirano djelovale od 1945. do 1950. godine. Pod sloganom "Za Hrvatsku i Kristaprotiv komunista" i pod vodstvom Vjekoslava (Maksa) Luburića, bivšeg generala Oružanih snaga NDH, izvodili su terorističke akcije, ubijali istaknute pripadnike vlasti Jugoslavije ali i građane Jugoslavije koji su samo htjeli normalno živjeti. Prema dostupnim podacima, teroristi su ubili oko 2000 pripadnika snaga sigurnosti.

Hrvatska emigracija je otvoreno podupirala takve terorističke aktivnosti, te su time postali meta tajnih službi Jugoslavije. Izdvojit ćemo samo neke poznatije akcije izvedene od strane organizacija koje su se zalagale za oružanu uspostavu nove NDH. 

--- Novinari i analitičari u današnjoj Hrvatskoj gledaju kroz vrlo čudne naočale djelovanje Udbe i ne postavljaju kritička pitanja ---

Miniranje pruge Zagreb-Karlovac

U lipnju 1963. grupa od devet ljudi ilegalno se prebacuje u zemlju i kreću se preko Brinja s idejom da u zrak dignu prugu Zagreb-Karlovac. Postavili su eksploziv koji nije nanio dramatičnu štetu, a u roku od 14 dana svi su uhvaćeni i osuđeni na strogi zatvor u trajanju od 7 do 14 godina.

Atentati 

Stanko Kardum, člana HRB-a, 1965. teško ranjava Andriju Klarića, jugoslavenskog konzula u Münchenu, zbog čega su ga poslije na zatvor osudile njemačke vlasti. Godine 1966. Franjo Goreta izvršio je atentat na Savu Milovanovića, službenika konzulata u Stuttgartu, i zbog toga je završio u zatvoru na 8 godina.

Teroristi su bacili bombu na Klub Jugoslavena u Parizu, a u veljači 1968. godine postavili su bombu u toalet restorana Paradies u Scheveningenu za vrijeme održavanja konzularnih dana SFRJ. U toaletu kluba jugoslavenske ambasade u Parizu eksplodirala je bomba teška kilogram i pol. U Melbourneu je u konzulatu SFRJ eksplodiralo nalivpero bomba, a u veleposlanstvu u Sydneyju nađeno je 150 kilograma eksploziva s uređajem za aktiviranje.

--- Zanimljivo je da nitko ne postavlja pitanje zašto su Njemačka i njene tajne službe dozvoljavale neometano djelovanje opasnih hrvatskih skupina ---

Bomba na željezničkom kolodvoru Beograd

Grupa Šarac-Odak je u garderobu Glavnog kolodvora u Beogradu podmetnula nekoliko eksplozivnih naprava koje na svu sreću nisu eksplodirale. Samo mjesec dana kasnije ista je grupa uspjela aktivirati bombu na istom mjestu. Teško je ozlijeđeno 14 ljudi, a organizator Ivan Jelić je kasnije osuđen na smrtnu kaznu.

Bomba u beogradskom kinu 22. oktobra

Bomba koja je 13. srpnja 1968. eksplodirala u kinodvorani 22. oktobra ozlijedila je 85 ljudi, a jedan je čovjek poginuo. 10. siječnja 1978. godine, u krugu Centralnog zatvora u Beogradu, izvršena je smrtna kazna nad Miljenkom Hrkačem, tridesetogodišnjim tesarom iz sela Mokrog kod Lištice, podmetačem bombi u beogradskom kinu 20. oktobar i u garderobi Glavne željezničke u Beogradu. Mnogi su organizatori i izvršioci uhićeni i procesuirani. Gezo Pašti u Düsseldorfu je završio u zatvoru, a Josip Senić osuđen je zbog ilegalnih aktivnosti u Stuttgartu.

Neuspjeli ustaški ustanak

Hrvatsko revolucionarno bratstvo je 1972. u Jugoslaviju poslao grupu od 19 članova. Granicu su prešli u srpnju, ali svi su likvidirani u samo pet dana. Plan je bio uništiti policijske postaje, likvidirati političke dužnosnike i zatrovati beogradski vodovod. Među likvidiranima su se našli i Ambroz i Adolf AndrićIlija GlavašStipe LjubasĐuro Horvat i drugi. U zemlju su stigli sa 6 pušaka, 17 pištolja, 4 karabina, 2 automata, dvije automatske puške i čak 11 tisuća metaka. Donijeli su i 19 noževa, 2 radiostanice, 6 kompasa. Koliko je težak bio okršaj s pripadnicima HRB-a, pokazuje podatak, zabilježen u drugim dokumentima SSUP-a, da je grupa Raduša, prije nego što je likvidirana, uspjela ubiti 13 i raniti 15 vojnika, milicionara i pripadnika Teritorijalne obrane.

--- Nitko ne govori da je Udba ubijala ljude koji su bili umiješani u financiranje ili sudjelovanje u terorističkim organizacijama koje su ubijale, podmetale bombe i ubacivale oružane skupine unutar - tada - legalne i međunarodno priznate i ugledne države ---

O suđenju Perkoviću i Mustaču (optuženima da su kao agenti Udbe ubili pripadnika emigracije) Jozo Ćurić izvještava već mjesecima. Medijski prostor je pun raznih analiza o "zločinačkoj" komunističkoj vlasti koja se "obračunavala s političkim neistomišljenicima". Jako objektivno izvještavanje i "analize".

U Njemačkoj je u to doba radio jako veliki broj ljudi s prostora bivše Jugoslavije. Možemo slobodno reći, na stotine tisuća ljudi. Prema nekim informacijama od 1946. pa sve do 1989. Udba je ubila 67 Hrvata izvan zemlje, pokušala ubiti njih 23, otela njih četvero, pokušala oteti dvoje, a za četvero emigranata ne zna se koja ih je sudbina zatekla. Daleko najveći broj ubijenih, njih 35, smrt je dočekalo u Zapadnoj Njemačkoj. Ostali su ubijeni u akcijama Udbe u ostalim zemljama u koje su Hrvati tradicionalno emigrirali, napose u Austriji, Kanadi, Italiji, Argentini i Francuskoj.

Nitko ne govori da je Udba ubijala ljude koji su bili umiješani u financiranje ili sudjelovanje u terorističkim organizacijama koje su ubijale, podmetale bombe i ubacivale oružane skupine unutar - tada - legalne i međunarodno priznate i ugledne države u svijetu. Udba nije nasumično ubijala koga je stigla, nego je temeljem procjena i tajnog djelovanja odabirala po društvo i državu najopasnije članove raznih organizacija koje su dokazano djelovale i ubijale ljude.

Zanimljivo je kako nitko ne govori o tadašnjem terorističkom djelovanju hrvatske emigracije. Zanimljivo je i da nitko ne postavlja pitanje zašto su Njemačka i njene tajne službe dozvoljavale neometano djelovanje takvih opasnih skupina. Zašto je Njemačka, i s kojim ciljem, podupirala terorističke grupe i njihovo djelovanje na svojem teritoriju? Tu se postavljaju brojna pitanja na koje nema odgovora, ali u javnom prostoru ih nitko ne postavlja. Novinari i analitičari u današnjoj Hrvatskoj gledaju kroz vrlo čudne naočale djelovanje Udbe i ne postavljaju kritička pitanja. Njima terorističko djelovanje ne predstavlja povod za reakciju. Današnje države koje imaju posla sa sličnim grupacijama i teroristima bez puno objašnjavanja ubijaju teroriste na teritorijima drugih država. Bile one njihove saveznice ili ne. Teroriste i njihovu djelatnost sprečava se u samom nastajanju, a dokazani teroristi su legalne i legitimne mete i o tome u današnje svijetu nema čak niti rasprave. Teroristi se ubijaju, ubijaju se i njihove obitelji i svi koji se slučajno zateknu u njihovoj blizini. Taj pristup i takvo preispitivanje razdoblja kada su ubijani razni pripadnici hrvatske emigracije nemoguće je vidjeti u današnjoj Hrvatskoj. Ministarstvo vanjskih poslova neće Njemačkoj dostaviti upit za uvid u spise tajnih službi da se vidi odnos između HOP-a, HBR-a i BND-a. Nikoga to ne zanima, ali svi osuđuju agente Udbe koji su pripadnike tih organizacija likvidirali. Čudan pristup, čudnih novinara, čudne televizije koja izvještava za čudnu javnost.






(english / italiano)

Srebrenica: parola in codice per il linciaggio dei Serbi

1) Tentato linciaggio del premier Vučić a Potočari (Srebrenica) / Serb PM attacked with stones at Srebrenica memorial
2) An Interview with Diana Johnstone: “Denying” the Srebrenica Genocide Because It’s Not True
3) Opinioni: Efraim Zuroff  / Giorgio Coianiz e Sergio Gervasutti / Sandi Volk / Vitaly Churkin, Sergey Lavrov, Nebojsa Malic


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Bosnia and Herzegovina: Serb PM attacked with stones at Srebrenica memorial (RT, 11 lug 2015)
A crowd of angry mourners chased Serbian Prime Minister Aleksandar Vucic during a ceremony for the 20th anniversary of the mass killing of Muslims in Srebrenica on Saturday, pelting the Serbian leader with rocks and bottles. The prime minster was reportedly hit in the face with a stone, breaking his glasses...

Serbia demands investigation after ‘deplorable’ attack on PM at Srebrenica (RT, July 11, 2015)

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Vučić aggredito a Potočari

Andrea Oskari Rossini
 | Potočari  11 luglio 2015

Domani a Srebrenica non ci saranno più né il Primo ministro serbo né gli hooligan che lo hanno aggredito. Solo un po' di tensione in più
L'esito era prevedibile. Aspettando l'inizio delle commemorazioni ufficiali tra le tombe del Memoriale di Potočari, chiedevo ai bosniaci che continuavano ad affluire cosa ne pensassero della presenza del Primo Ministro serbo, Aleksandar Vučić. Nessuno dava risposte positive. Un signore di Tuzla era stato il più esplicito: “Non bisogna permetterlo.”
Eppure la visita era iniziata nel migliore dei modi. Vučić era stato accolto dalle Madri di Srebrenica, che gli avevano appuntato sul petto una margherita bianco-verde, simbolo del genocidio del '95. Anche il sindaco di Srebrenica, Ćamil Duraković, aveva mostrato disponibilità nei confronti del Primo Ministro. Ma le polemiche della vigilia avevano lasciato il segno. Proprio Duraković, nei giorni dell'arresto di Naser Orić in Svizzera su mandato interpol richiesto dalla Serbia, aveva detto di non poter garantire la sicurezza di Vučić a Potočari. Il rilascio del comandante della difesa di Srebrenica aveva fatto calare la tensione, ma ormai le parole erano state pronunciate. La vicenda del voto sulla Risoluzione per Srebrenica, al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, aveva inquinato ancor più lo scenario. Il Primo Ministro serbo aveva legato la propria partecipazione al respingimento della Risoluzione, perché per la Serbia il termine “genocidio” è inaccettabile. Troppi distinguo.

La folla

Dopo i discorsi tenuti nell'ex base dei caschi blu olandesi, i rappresentanti internazionali si sono spostati nell'area del Memoriale. La folla – più di 50.000 persone - ha cominciato a sussultare. Vučić ha deposto un fiore per le vittime, poi è cominciata l'aggressione. Un gruppo ha spiegato uno striscione con una frase attribuita a Vučić (“Per ogni serbo morto uccideremo 100 musulmani”), e in un attimo sono tornati gli anni '90, con l'aggiunta di qualche sporadico “Allahu Akbar”. Nonostante la difesa delle forze di sicurezza, e gli inviti alla calma immediatamente pronunciati dal reis ulema Kavazović, il leader religioso dei musulmani bosniaci, la scena faceva paura. È diventato immediatamente chiaro che far entrare Vučić, in quell'arena, era stata una leggerezza, e la commemorazione delle vittime di Srebrenica è diventata subito qualcos'altro.
Domani a Srebrenica non ci saranno più né Vučić né gli “eroi” che l'hanno costretto a fuggire, solo un po' di tensione in più nel giorno in cui i serbi commemorano le proprie vittime al Memoriale di Kravica, tra manifesti di Putin e inni alla Republika Srpska.

Un'occasione sprecata

Nei Balcani vige la politica del “Da, ali”, “Sì, però”. È un leit motiv, sia tra la gente comune che nelle posizioni ufficiali. “Anche noi abbiamo commesso crimini, però”. Nella condanna dei crimini di guerra non servono i “però”. Serve la posizione delle Donne in Nero di Belgrado. Anche loro vengono dalla Serbia, e si presentano al Memoriale di Potočari ogni 11 luglio. Con un messaggio semplice: “Solidarietà” con le vittime, e “Responsabilità” per i crimini commessi dalla propria parte. Non si può aspettare che Vučić parli tutto a un tratto come le Donne in Nero, sue oppositrici da sempre. Negli anni '90, lui era parte integrante della politica nazionalista serba che tanti lutti ha provocato nella regione. Proprio per questo, tuttavia, il cambiamento del suo discorso politico è un segnale importante. Non ha certo la limpidezza della posizione delle donne, ma oggi Vučić china il capo di fronte alle vittime di una strage che fino a qualche anno fa, per gran parte delle istituzioni e dell'opinione pubblica serba, non era neppure esistita. Per questo quella di oggi è stata un'occasione sprecata.

11 luglio

L'11 luglio è una data sempre più carica di significati. Il ricordo della più grande strage avvenuta in Europa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale meriterebbe più rispetto, e un profilo più basso da parte dei diversi rappresentanti delle istituzioni coinvolte. Meno chiasso prima, durante, e dopo. Si tratta di seppellire le vittime faticosamente ritrovate e identificate dall'Istituto Internazionale per le Persone Scomparse e dall'apposita commissione bosniaca nel corso dell'anno trascorso, e di manifestare rispetto per loro e i loro familiari. La politica stride in questa giornata. Ci sono famiglie che hanno atteso 20 anni questo momento. Altre continuano a vivere con l'angoscia di non sapere dove sono i resti dei propri cari. Ci sono madri che, perdendo la ragione, vanno sui campi minati alla ricerca delle ossa dei figli, sulla base di semplici voci secondo cui “lì ci potrebbe essere una fossa”. Vučić ha risposto all'aggressione subita oggi in Bosnia con parole di saggezza e moderazione, dichiarando di voler continuare con una politica di mano tesa verso il vicino e di riconciliazione tra Serbia e Bosnia Erzegovina. Potrebbe fare di più. Intervenire presso le istituzioni serbo bosniache perché mettano a disposizione delle famiglie le informazioni sulla dislocazione delle fosse comuni. Mancano ancora quasi 2.000 persone all'appello, e non è possibile aspettare altri 20 anni. La riconciliazione ha bisogno di gesti concreti. La sua presenza, l'anno prossimo, sarebbe accolta in maniera diversa.

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Governo bosniaco ha imposto che si organizzino indagini

13. 07. 2015. – Il Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina ha imposto al Ministero della Sicurezza di indagare tutte le circostanze che hanno paortato all’attacco contro il premier serbo Aleksandar Vucic a Potocari, nei pressi di Srebrenica, sabato scorso. Il Ministro della Sicurezza della Bosnia ed Erzegovina Dragan Mektic ha detto in conferenza stampa dopo la riunione straordinaria del Consiglio dei ministri a Sarajevo che l’Agenzia per le indagini e la protezione Sipa ha ignorato le richieste dell’aiuto nell’organizzazione della cerimonia commemorativa del ventesimo anniversario della strage. Il coordinamento tra le agenzie della polizia ha funzionato malissimo. I loro membri litigavano tra di loro, ha dichiarato Mektic. Il Governo della Bosnia ed Erzegovina ha ordinato che tutti gli organi della polizia statale collaborino nelle indagini.

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Agenzia Securitas è stata incaricata della sicurezza durante la cerimonia commemorativa a Potocari

13. 07. 2015. – L’agenzia Securitas, che appartiene a Mirsad Catic, il consulente del lieder dei musulmani bosniaci Bakir Izetbegovic, è stata incaricata della sicurezza durante la cerimonia commemorativa a Potocari nei pressi di Srebrenica, ha riportato la TV della Federazione della Bosnia ed Erzegovina. La procura dello Stato ha organizzato le indagini sull’attacco contro il premier serbo Aleksandar Vucic. Quell’incidente ha dimostrato che i servizi di sicurezza e la polizia della Bosnia ed Erzegovina non sono organizzzati bene, ha riportato la TV della Federazione.

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Vasic: sono state identificate altre 10 persone che hanno aggredito il premier Vucic 

16. 07. 2015. – Il direttore della polizia della Repubblica serba Gojko Vasic ha confermato a Banjaluka che le indagini della polizia sull’incidente dell’11 luglio a Srebrenica, nel quale è stato aggredito il premier serbo Aleksandar Vucic, hanno dato i primi risultati. Finora sono state identificate venti persone che hanno sicuramente partecipato all’attacco. Le indagini sono dirette dalla procura speciale della Repubblica serba. Scambieremo le informazioni con i colleghi della Bosnia ed Erzegovina e la Serbia, perché deve essere scoperto chi ha partecipato al tentativo di attentato contro il premier Vucic, ha detto Vasic. Il Ministero dell’Interno della Repubblica serba ha già consegnato le relazioni alla procura speciale, nelle quali sono state identificate le persone che hanno preso parte all’attentato contro Vucic dopo la commemorazione delle vittime della strage a Srebrenica.

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Dacic: Serbia attende relazione ufficiale dalle autorità della Bosnia ed Erzegovina 

17. 07. 2015. – La Serbia continuerà a condurre la politica della riconciliazione e del rafforzamento della stabilità nella regione. L’incidente che è accaduto durante la cerimonia commemorativa in occasione del ventesimo anniversario della strage a Srebrenica, nel quale è stato aggredito il premier Aleksandar Vucic, avrà le conseguenze negative, ha dichiarato il capo della diplomazia serba Ivica Dacic. L’attacco contro il premier Vucic a Potocari, nei pressi di Srebrenica, è uno dei peggiori incidenti nei rapporti tra i due Stati. La Serbia attende la relazione ufficiale al riguardo dalle autorità della Bosnia ed Erzegovina, ha dichiarato il ministro Dacic.


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JULY 16, 2015

Saturday, July 11th, was the official 20th anniversary of what is called the “Srebrenica Massacre” and “the Srebrenica Genocide,” when Muslim men were killed by Serbian forces in the Bosnian civil war of 1992 to 1995. The Western consensus about what happened at Srebrenica is, like the official history of the Rwandan massacres, disputed by academics, journalists and international criminal defense attorneys including Ed Herman, David Peterson, Michael Parenti, Robin Philpot, John Philpot, Christopher Black, Peter Erlinder, Ramsey Clark, and Diana Johnstone.  Both official histories serve as cornerstones of Western interventionist ideology.

Last week, prior to the July 11th commemoration, Russia infuriated Samantha Power, US Ambassador to the United Nations, by vetoing a Security Council resolution on Srebrenica because it included the word “genocide.” Four Security Council members, Angola, China, Nigeria and Venezuela, abstained. Speaking to the Voice of America, Samantha Power then called all those who disagree with the Western consensus “genocide deniers.”  I spoke to genocide denier Diana Johnstone, author of Fools’ Crusade: Yugoslavia, NATO, and Western Delusions and Queen of Chaos: the Misadventures of Hillary Clinton, coming in September from CounterPunch Books.

Ann Garrison: Diana Johnstone, UN Ambassador Samantha Power calls you a genocide denier, along with Ed Herman, David Peterson, Michael Parenti, and anyone else who’s dared to challenge Western consensus on what happened at Srebrenica in July 1995. What’s your response?

Diana Johnstone: Well, I am very much a genocide denier, and I’m proud of it and I can say why.

AG: Please do.

DJ: Yes, because what happened was not a genocide. Note that denying “genocide” means denying an interpretation, not the facts, whatever they are. There was a massacre of prisoners, whose proportions are disputed. That was a war crime. But it was not genocide. When your victims are military age men and you spare women and children, that cannot be genocide by any sensible definition. The International Criminal Tribunal for Yugoslavia was set up to blame the Serbs for genocide, and they did so by a far-fetched sociological explanation, claiming that because the Bosnian Muslims had a patriarchal society, killing the men would be a sort of genocide in one town. But that is not what people understand by genocide.

AG: Why were Serbians a US target?  And why were Bosnian Muslims favored?

DJ: Well, for one thing, the Clinton Administration and subsequent administrations have had a policy of allying with Muslims all around the world. Partly in a long term anti-Russian strategy which goes back to Zbigniew Brzezinski’s policy of supporting Mujahadeen in Afghanistan. The notion that the soft underbelly of the Russian Empire is Muslim and that they can be used against Orthodox Christians – that’s a long term US strategy going back to Brzezinski’s role in the 1970s.

AG: In the Carter Administration?

DJ: Yes, and so Serbia was seen as a potential Russian ally in the region, as the Serbs are Orthodox Christians, and so that was the reason it was targeted. The story was that Orthodox Christians are the bad guys and the Muslims are the good guys. And that’s been a constant US strategy for the last several decades.

AG: So, you’re saying that the USA is not constantly fighting evil Muslims all over the world?  

DJ: No, it’s fighting the less evil ones. It’s been fighting the ones who are more secular. It was fighting the less fanatic. In Bosnia, the US supported Izetbegovic who was the most Islamist politician among Muslims there, who had written a declaration saying a country with a Muslim majority should be ruled by Islamic law.  It was fighting Gaddafi, whose main enemy was the extreme Muslims, and it got rid of Gaddafi, and now they’re taking over Libya. It attacked Saddam Hussein, who had a secular society, who was hated by the Islamic extremists. And now they’re taking over Iraq. And the United States has been against Assad’s regime in Syria. They have targeted precisely the Muslim regimes which were not religiously fanatic. So of course Islam is divided, so the United States has been killing Muslims, but they have been favoring the most extremist.

There’s another point I want to make and that is that calling Srebrenica a genocide is extremely harmful for more than one reason. Of course we know that the main reason for this has been to justify future wars by saying, “Oh dear, we let this happen in Rwanda. We let this happen in Srebrenica, so we have to have preventive wars to prevent it from happening again.” That’s the ideological pretext used by the United States. But, the fact is that supporting the view that the West stood by – which is a sort of Samantha Power thing –  we just stood by and let the Serbs commit genocide against Muslims is harmful in other ways as well.  That line, which is untrue, is used to recruit people to extreme Islam against the West, which is what is happening in the Middle East. Because they think the West is the enemy, the West supported genocide of Muslims, we are the victims, therefore we are justified. And they’re recruiting young men from all over the world, including Europe, to go and fight the West partly on the basis of that pretext. So it’s very harmful, this lie.

AG: So all of the US attacks on secular states, where Islam is the dominant religion, have led to Islamic fundamentalism and recruitment to groups like ISIS? 

DJ: ​Absolutely, absolutely. And the whole US policy for the past decades has in fact inspired this extreme Muslim radicalism against the West. The notion was that we’ll get the Muslims on our side by supporting them, but it’s worked quite the opposite way because we have weakened the secular Muslim leaders, and with the help of our dear ally Saudi Arabia, which is of course an extremist Muslim state and our close ally in the region.

AG: Would you like to say anything about the controversial figure of 8,000 dead? Global Research published an interview with Ed Herman headlined “The Srebrenica Massacre was a Gigantic Political Fraud,” in which he says that the numbers were inflated without supporting forensic evidence and that there were many massacres in the Srebrenica area, including massacres of women and children in Serb villages.

DJ: Well, I’m very skeptical about this 8,000 number, more than skeptical. I think it’s clearly not true, but I didn’t want to dwell on that because my main point is not so much how many bodies, but the uses of this, the exploitation of it.  And also, the fact that since it was men and boys of military age, this cannot be genocide.  This is the sort of massacre that happens in wars.  Men get killed because of what they are; they’re on the other side.  That’s what it’s all about.  And of course it happened on both sides. This was a war; it wasn’t just Serbs killing Muslims. Muslims were killing Serbs. I mean this was a civil war with two sides fighting.

AG: That is exactly what is ignored about Rwanda. The infamous 100 days in Rwanda were the final days of a four year war of aggression that begin when Ugandan troops invaded Rwanda in October 1990 and then waged a four year war until they seized power in Kigali.  The received story treats the 100 days as though it happened in a vacuum.

Is there anything else you’d like to say about Srebrenica?

DJ: Well, maybe there is one more thing I should have said.

AG: Go ahead.

DJ: That is, it’s very ironic that Bill Clinton is going there as one of the official mourners of the dead at Srebrenica, because a story that is very much circulated outside of mainstream media is that the whole Srebrenica Massacre was a trap that was deliberately laid to lure the Serbs in because Alija Izetbegovic, the Muslim leader, had heard from Bill Clinton that Clinton needed for there to be a massacre of at least 5000 Muslims in order to politically bring the US and NATO into the war on the Muslim side.

That’s in a book by a Bosnian Muslim leader, Ibran Mustafic. The book, however, is in Serbo-Croatian. It was mentioned in a UN report that a lot of Muslims have said that the Srebrenica Massacre was a setup in order to blame the Serbs and get the US and NATO in on the Bosnian Muslim side. That’s been said by a lot of people, and there’s a documentary film about it, but that has been kept out of the mainstream discourse entirely.

AG: Is there documentation that Clinton said that?

DJ:  There’s documentation that Izetbegovic thought he said that. And, remember that they don’t speak the same language. Clinton might have said offhand, “Well, y’know I’d need a massacre of at least 5000 to be politically able to come in,” without really meaning that anyone should stage such a massacre. I’m not accusing Clinton of having ordered the massacre. But on the other hand, it is extremely probable that Izetbegovic, whose whole strategy was to portray the Bosnian Muslims as pure victims, might have taken that up. And he ordered the commander out of Srebrenica. There was no defense there, although there were more soldiers, more Bosnian Muslim soldiers, in Srebrenica than Serbian soldiers who attacked. But they did not defend, they ran away. And this has been interpreted by a lot of Bosnian Muslims as deliberately setting things up in order to have Serb vengeance, because there had been a lot of Serb victims of the Muslim soldiers. They had killed over 3000 Serb villagers in the region. And so, many believe that this was deliberately set up to have the victims that would bring the US in on the Bosnia Muslim side.  Even the French General Morillon said that.

But another reason it was not genocide against Muslims is that the Serbs were allied with another group of Bosnian Muslims on the western side of Bosnia, whose leader was a secular Muslim, Fikret Abdic, who was originally more popular than Izetbegovic, got more votes. So the genocide label is absolutely absurd, and yes I’m a genocide denier because it’s not true.

Diana Johnstone is the Paris-based American author of Fools’ Crusade: Yugoslavia, NATO, and Western DelusionsHer 2005 essay “Srebrenica Revisited,” can be read on the Counterpunch website. From 1979 to 1990, she was the European Editor of In These Times. From 1990 to 1996, she was the press officer of the Green group in the European Parliament.  She is also the author of “The Politics of Euromissiles: Europe’s Role in America’s World,” and her new book “Queen of Chaos: The Misadventures of Hillary Clinton,” will be published by Counterpunch Books this year.  She can be reached at diana.johnstone@....


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Read also:

All Srebrenica massacre culprits must be punished – Moscow (July 11, 2015)
The opinions of Vitaly Churkin, Sergey Lavrov, Nebojsa Malic
http://rt.com/news/273037-srebrenica-massacre-anniversary-justice/

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Zuroff: a Srebrenica non è stato commesso un genocidio 

15. 07. 2015. – Il direttore del Centro Simon Wiesenthal Efraim Zuroff ha dichiarato che quello che è accaduto a Srebrenica nel 1995 non è stato un genocidio. La parola genocidio è stata abusata molte volte. Quel termine si abusa anche quando si parla dell’olocausto. L’olocausto è il genocidio. Nessuno desidera che esso accada di nuovo. Quello che è accaduto a Srebrenica non è stato un genociodio perché, tra l’altro, le forze serbe hanno liberato donne e bambini e non li hanno uccisi, ha detto Zuroff.

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Lettera apparsa sul Messaggero Veneto (Udine) martedì 14/7/2015

SREBRENICA E LA STRADA DEL PERDONO

Perchè si consumò il massacro di 7-8 mila uomini musulmani di Bosnia, a Srebrenica, nel 1995 da parte di milizie serbo-bosniache e di cui si celebra in questi giorni il 20º anniversario? Perchè da Srebrenica erano partite nei mesi precedenti offensive musulmane contro i villaggi serbi della valle della Drina, tra Bratunac e Srbrenica, con stragi efferate di quattromila serbi, 1300 dei quali civili, donne, bambini e vecchi. Questa non vuole essere una spiegazione-giustificazione, ma la storia perversa di una delle troppe vendette incrociate delle guerre balcaniche.Attualmente le stragi contro i serbi sono state cancellate da un nuovo negazionismo occidentale desideroso di solidarietà verso i musulmani . E allora, che fine hanno fatto i quattromila serbi di Sarajevo scomparsi nell'assedio della città e finiti in gran parte nelle gole di Kazany? Quale la sorte dei prigionieri serbi rinchiusi nelle carceri-silos di Tarcin e Celebici vicino Sarajevo? Chi verrà mai punito o accusato per i massacri commessi dai mujaheddin, quei cinquemila combattenti della Jihad islamica arrivati in Bosnia dall’ Afghanistan e dai paesi islamici? Come per le foibe, si tacciono, politicamente e continuamente, molti degli effetti e delle cause della nostra storia. Giorgio Coianiz San Giorgio di Nogaro 

(risponde Sergio Gervasutti)  “Occhio per occhio, e il mondo intero diventerebbe cieco”. Mi è tornata in mente questa massima di Gibran quando pochi giorni fa ho letto che una folla di musulmani inferociti ha cacciato a sassate il premier serbo, Aleksandar Vucic, presente alla cerimonia-omaggio alle vittime del massacro di Srebrenica, dove oltre ottomila musulmani furono uccisi da parte delle truppe serbo-bosniache guidate dal generale Mladic, nella zona protetta che si trovava al momento sotto la tutela delle truppe olandesi delle Nazioni Unite. Naturalmente non si tratta di auspicare che venga fatto silenzio su molti degli effetti e delle cause della nostra storia o che vengano fornite spiegazioni/giustificazioni a vicende aberranti come il genocidio di Srebrenica. È piuttosto un dovere della comunità internazionale perseguire la lunga strada del perdono e della riconciliazione per garantire un futuro migliore ai popoli di quella tormentata regione.

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

Che Vucic, ex braccio destro di Seselj, capo dei cetnici e del Partito Radicale serbo, sia stato cacciato non è proprio una gran sorpresa. Negli anni della guerra dichiarava in parlamento che "per ogni serbo ucciso uccideremo 100 mussulmani", quindi mi pare che le pietre se le sia più che meritate. Il problema è che le stesse pietre se le meritano i governanti di TUTTI i paesi dell'ex Jugo. Oggi, dopo aver mollato Seselj, Vucic è capo del governo e capo di un nuovo partito - il Partito  Progressista Serbo - sostenitore dell'adesione alla UE, di politiche di "stabilizzaizone" (taglio del 10% di pensioni e salari) e della privatizzazione del privatizzabile e quindi "coccolo" dell'occidente. Un parafascista prima, un parafascista anche peggiore ora. 
Dall'altra parte non ci sono (stati) solo i mujaheddin arabi, arivati da tutto il mondo mussulmano, ma anche la pesante ingerenza del wahabismo saudita, quello a cui si ispira lSIS. Questi cercano di diffondere - senza gran successo per fortuna - in Bosnia il mussulmanesimo militante e integrale, armato e parafascista, e molti di loro sono a combattere proprio con l'Isis. Tollerati e sostenuti dall'"islamismo moderato" del presidente Izetbegovic, figlio dell'ex presidente messo giustamente in galera all'epoca della  Jugoslavia (come Seselj tra l'altro) per sciovinismo e incitamento all'odio etnico e religioso a causa di un suo papello. Sia gli uni che gli altri funzionali al progetto di distruzione della Jugoslavia che ha visto il sostegno a tutte le frangie più estreme del nazionalismo(come avviene oggi in Ucraina in forma anche più estrema) dei suoi vari popoli da parte di UE e USA. Con un continuum di demonizzazione del popolo serbo che non conosce tregue e che non può che alimentare il nazionalismo serbo. Oggi TUTTI i paesi nati dall'ex Jugoslavia sono in mano a vere e proprie bande di criminali. E che coloro che li hanno sostenuti nelle guerre "etniche" nella  ex Jugo in nome del "diritto di autodeterminazione dei popoli" e che li hanno messi al potere oggi cerchino di ribaltare la frittata fa ancora più voltare lo stomaco. 
La vera pacificazione avverrà quando i vari popoli faranno i conti con i vari responsabili locali della guerra e della rapina dei beni sociali/statali (che chiamano pudicamente privatizzazioni) che li ha portati in condizioni di vita indescrivibili rispetto a prima. Perché tra le bande che si sono spartite il controllo di quanto si poteva arraffare oggi la "pacificazione" sta effettivamente avvenendo sulla base del reciproco riconoscimento del loro diritto al bottino e a sfruttare i "loro" popoli. 
Quanto a Smuraglia da lui non ci si poteva aspettare altro che la difesa dei "diritti umani" nel nome dei quali le guerre sono state fatte, in particolare in nome del "diritto umano" a privatizzare tutto. 

Sandi Volk






(srpskohrvatski / italiano)

Privatizzazione delle telecomunicazioni in Serbia

1) Nema nade za Međunarodni radio Srbija (Radio Jugoslavija) / Governo spegne la Radio Internazionale della Serbia!

2) Београдски Форум: Не отуђујте Телеком / Зна ли ико шта у Србији није за продају? (Il Forum di Belgrado contro la privatizzazione di Telekom Srbija)


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Governo spegne la Radio Internazionale della Serbia!

Gentili ascoltatori, il Governo serbo ha deciso che il 31 luglio la Radio Internazionale di Serbia – la Radio Jugoslavia cesserà di esistere. In questo modo sarà interrotta la nostra lunga collaborazione con Voi. Sarà interrotta anche la tradizione delle nostre trasmissioni per la diaspora serba e tutto il mondo, nelle quali venivano riportate in dodici lingue le notizie politiche ed economiche e gli articoli sulle offerte turistiche della Serbia e l'ex Jugoslavia, le loro bellezze naturali e la cultura. Le trasmissioni della Radio Internazionale di Serbia – la Radio Jugoslavia venivano trasmesse su onde corte per più di settantanove anni.

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Izjava premijera Vučića o Radio Jugoslaviji (Glas Srbije, 19 giu 2015)


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Nema nade za Međunarodni radio Srbija (Radio Jugoslavija)

Pon, 29/06/2015

Novi krajnji rok za privatizaciju medija biće 31. oktobar 2015. godine, utvrđeno je izmenama Zakona o javnom informisanju i medijima koje je danas usvojila Skupština Srbije. I pored burne rasprave i nekoliko amandmana kojima se zahtevalo da se i za Radio Jugoslaviju rok produži do 31. oktobra, poslanici nisu prihvatili taj predlog. 

Rešenost Ministarstva kulture i informisanja da se izmene zakona usvoje baš onako kako su oni predložili bila je jasna još na samom početku sednice kada smo saznali da Vlada nije prihvatila ni jedan od 35 predloženih amandmana. 

Tri amandmana odnosila su se na naš radio i pojedini poslanici i vladajuće koalicije i opozicionih SDS i Pokreta za preokret tražili su da se našem radiju takođe pruži šansa za dogovor o opstanku. 

Najduže i sa najviše argumenata svoj amandman branila je šefica Poslaničkog kluba SPS Dijana Vukomanović koja je podsetila na značaj informisanja svetske javnosti i dijaspore na 12 jezika. Vukomanović se založila da ministar još jednom razmisli o tome da sačuva ovaj medij čiji su troškovi višestruko manji od državne agencije Tanjug, ali odgovor je bio nedvosmislen. 

Ministar Ivan Tasovac je istakao da je ovo digitalna era, da je kratki talas stvar prošlosti, da je bilo spremnosti za dogovor ali rešenja nisu pronađena. Da ne bi bilo dileme, ministar je podvukao da zaposlenima ne treba pružati lažnu nadu i da će, doduše uz skroman socijalni program, svih 96-oro zaposlenih od 1. avgusta ostati bez posla. 

O našem radu govorila je i predsednica Odbora za kulturu i informisanje Vesna Marjanović iz DS koja je tražila ravnopravan tretman za zaposlene i pitala zašto novinari lokalnih medija ili Tanjuga imaju veća prava od novinara državnog radija. 

I samostalni poslanik Pokreta za preokret Janko Veselinović branio je amandman između ostalog pitanjem ko će dobiti kratkotalasnu frekvenciju Srbije, ali na to pitanje nije dobio odgovor. Jedino se zna da će o imovini našeg radija naknadno odlučiti Vlada Srbija. 

Poslanici Srpske napredne stranke podržali su gašenje našeg radija i sami priznajući da ne znaju tačno o čemu je reč. Sa druge strane bilo je primetno da su se naprednjaci zdušno založili za opstanak Tanjuga, po mogućstvu u državnom vlasništvu. 

Tako je i ova Vlada, kao i sve vlade posle 2000. godine pokazala da ima interes samo za unutrašnjopolitičko delovanje, dok je promocija zemlje u svetu ne interesuje previše. Poslanicima je predočeno da su mnoge ličnosti iz sporta i kulture kao i brojni slušaoci potpisali peticiju za očuvanje radija, ali to na njih nije uticalo. Zaposleni u Radio Jugoslaviji nisu ni prvi ni poslednji koji će na svojim leđima osetiti težinu izreke „Riba smrdi od glave, ali se čisti od repa“.

Mirjana Nikolić



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http://www.beoforum.rs/saopstenja-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/728-ne-otudjujte-telekom.html


Једно од дуже време актуелних питања је – продати или сачувати Телеком Србија. Оно има велики стварни и симболички значај. Стварни отуда што се ради о једном од највећих, највреднијих и најпрофитабилнијих предузећа у Србији и на Балкану, а симболички јер је однос према будућности Телекома у великој мери открива будући однос према читавом јавном сектору, према комуникацијама као привредној грани, индустрији телекомуникационе опреме, домаћој науци у тој области, кадровима, све до појединих аспеката државне безбедности.

Влада је јасно опредељена за продају Телекома. Једини услов је да постигне добру цену. Која је то добра цена, ко и на који начин ту цену утврђује, није сасвим јасно. Председник Републике Томислав Николић не би волео да се Телеком прода и у том смислу, ближи је расположењу јавности, односно, грађана који су га изабрали и стручњака из Србије, али истовремено сумња да је у праву најављујући «објективну анализу» «квалитетне одиторске (иностране?) куће», и у том смислу, подржава план Владе. Према медијима, он је изнео овакав став:

«Лично бих волео да не продамо Телеком, али увек постоје разлози који могу да разувере да та мисао, без објективне анализе, није исправна, зато ће бити ангажована квалитетна одиторска кућа».

Београдски форум за свет равноправних као независно, нестраначко и непрофитно удружење грађана придружује се јавним апелима грађана, удружења и независних стручњака из Србије да српске власти не продају Телеком већ да учине све што је у њиховој одговорности да се та моћна фирма и полуга развоја Србије даље развија и јача у технолошком, организационом и профитабилном правцу. Ево наших разлога:

  1. То је једна од најбољих и најпрофитабилнијих фирми у власништву Србије коју су развијли, којом и данас управљају домаћи стручњаци из које извиру значајни приходи буџету Србије. Не може бити боље за Телеком, ако државно руководство прима здраво за готово да су стране одиторске куће објективне, а страни власници и страни стручњаци боља и већа гаранција за напредак Телекома, него домаћи;
  2. Телеком је један од ретких сачуваних гиганата српске науке и технике. Може ли властима бити све једно да отуђе један од симбола модерне Србије? Телеком је до данашњих дана остао изузетно значајан фактор развоја домаће науке, технике, индустрије и кадрова који заједно баштине достигнућа српског и светског генија Николе Тесле.
  3. За озбиљну државу систем као што је Телеком, поред привредног и фискалног, има непроцењив значај за безбедност земље. Продаја таквог система странцима, па чак и његовог дела, значила би неразумевање ризика за државне интересе и заштиту важних људских права грађана;
  4. Очување и развој јавног сектора привреде битан је услов демократије. Да није тако не би владе земаља најстаријих европских демократија чувале и развијале јавни сектор, укључујући сектор телекомуникација.
  5. Зар се рупе у буџету не могу крпити ликвидирањем партократије и повећањем производње, а не ликвидирањем јавног сектора привреде!? Није искрено, нити одговорно говорити да би новац од продаје јавног сектора ишао у инвестиције.  Зашто Србија селила капитал из Телекома као најпродуктивнијег и најперспективнијег системати у неке друге секторе?
  6. Ако је истина да Телеком може још профитабилније да функционише, да се још брже модернизује – то нису разлози да се предаје другој државној компанији, страној држави, већ прави разлог да се Телеком задржи као јавни сектор?
  7. Ако би се приватизациј и даље прилазило као догми, божјој заповести, ако би се приватизовало све што у било којој области економије и надградње постоји у Србији ко би нас и на који начин заштитио од приватизације националног и духовног идентитета, од приватизације људи, њихових личних живота, индивидуалности и слободе?!
  8.  Како то изгледа кад власт јавно саопшти народу да њена одлука о продаји Телекома зависи само од тога да ли се за Телеком може добити добра или лоша цена, а не од мишљења народа да ли уопште треба продавати најбољи део народне имовине, државним, али страним, компанијама! А притом се чека само да страни «објективни» одитор саоппшти најбољу цену, да се влада похвали а народ да то прими са одушевљењем! Или са уверењем да се то мора. Телеком се продаје искључиво «за најбољу могућу цену». И то са Телекомима Републике Српске и Црне Горе. У пакету. Нека се туђе државе, односно, туђе државне компаније муче модернизацијама, реорганизацијама и рационализацијама, нисмо ми за то. А и тако је, у крајњој линији, све што буду радиле «у најбољем могућем интересу Србије и наших грађана».
  9. Апсолутна приватизација, је апсолутни приоритет. Продати све и то што пре. На највишем нивоу. Као што смо и неке друге државне послове брзо и за Србију и наше грађане на најбољи могући начин завршили. Обећали смо, то што обећамо и извршимо. Имамо и записано у поглављима која само што нису отворена. Да, и у ИПАПУ. Зашто бисмо ми то иначе обећали и потписали НАТО-у да све није добровољно, транспарентно, без ичијег притиска, «у најбољем интересу наших грађана»!
  10. Не као претходни режими. Не повлађујемо никоме, не размишљамо нити се оптерећујемо да ли ће нас неко у Србији похвалити за то. А, било би и превише комплимената! Довољно је то колико нас сви хвале – од Ерштонове и Могеринијеве, преко Нуландове и Меркелове. Све даме, све штедљиве на речима, а толико комплимената!
  11. Уосталом, ми смо предвидиви, тј. водимо предвидву политику. Ништа не треба да изненађује. Одлучујемо заједно на седницама владе којима присуствују и наши пријатељи из Брисла, Вашингтона, Лондона...! Ко не може да присуствује, јави телефоном, или писмено пошаље своје ставове. То је храбро, државнички одговорно, европски далековидо.
  12. Кад год били, редовни или ванредни, избори се неумитно приближавају, па није баш најбоље да продаје буду уочи самих избора. Далеко је биље док смо још у фул сфингу. Осим, ако не будемо у могућности да уочи избора стварно обезбедимо повећање плата и пензије. Тада је мање важно када ћемо спровести «тотал сејл».
  13. Замишљена ликвидација јавног сектора Србије није приватизација, већ подржављење. Ко још верује да је предаја најбољега што Србија има страном државном сектору приватизација и државни интерес Србије?
  14. Ако власт, како најављује, распрода све преостало - Телеком, ЕПС, ПКБ, Дунав осигурање, фабрике оружја и војне технике, руднике, шуме, бање, пољопривредно земљиште, посебно, ако под видом приватизације, српску јавну (државну) привреду, предаје у руке страним државним или мултинационалним корпорацијама – чиме ће управљати, којим полугама ће чувати суверенитет, посебно економски, и територијални интегритет? Или су за српску власт све то превазиђене категорије? Посебно у ери растућег поверења и подршке западних пријатеља према Србији, све већег уважавања српских интереса у региону и убрзаног отопљавања глобалних односа у Европи8 и свету?

БЕОГРАДСКИ ФОРУМ ЗА СВЕТ РАВНОПРАВНИХ

Београд, 03. Јула 2015.


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У јавности Србије дуже време присутно је питање продаје Телекома Србија. Оно има стварни и симболички значај. Стварни - јер се ради о једном од највреднијих и најпрофитабилнијих предузећа у Србији и на Балкану, а симболички јер однос власти према судбини Телекома открива однос према читавом јавном сектору, па и према вредностима уопште.

Влада је јасно опредељена за продају Телекома. Једини услов о коме говори је - да постигне «добру цену». Која је то «добра цена» није јасно. Председник Републике Томислав Николић каже да не би волео да се Телеком прода чиме показује свест о већинском расположењу грађана и стручњака који су против продаје. Међутим, у истој реченици Председник изражава и сумњу у ту «мисао» и указује да је потребна «објективна анализа» «квалитетне одиторске куће». Чије? Дакле, и његов став зависи само од цене. Да ли Телеком уопште треба да се продаје, или не ни за њега није спорно. Према медијима, он је, пре пар дана, изјавио:

«Лично бих волео да не продамо Телеком, али увек (стварно?) постоје разлози који могу да разувере (кога?) да та мисао (чија?), без објективне анализе, није исправна, зато ће бити ангажована квалитетна одиторска кућа» (за кога?).

Пред јавношћу се отвора питање: Да ли је власт спремна да (рас)прода све што Србија поседује ако може добити новац, поглавља, магични датум, «стратешког партнера», атест «реформатора»? Другачије речено – постоји ли било шта вредно у Србији што власт не би продала ни за какву цену? На пример, због независности, суверенитета и интегритета, због дигнитета, самосталности, одбране, безбедности, поштовања Устава? Постоји ли црвена линија или листа материјалних или нематеријалних вредности које власт неће продати за било коју цену, које, једноставно, нису за продају, трампу или «дил»?

Београдски форум за свет равноправних као независно, нестраначко и непрофитно удружење грађана придружује се јавним апелима грађана, удружења и независних стручњака из Србије да српске власти не продају Телеком већ да учине све што је у њиховој одговорности, да се та моћна фирма која је и стратешки ослонац привредног развоја земље, даље развија и јача у технолошком, организационом и профитабилном смислу. Ево наших разлога, који нису само наши:

Телеком је једна од најбољих и најпрофитабилнијих фирми у власништву Србије коју су развијали, којом и данас управљају, домаћи стручњаци и која обезбеђује значајне приходе буџета Србије. Телеком је ојачан куповином Телекома Републике Српске и Телекома Црне Горе што јача улогу Србије у регионалном саобраћају и развоју. Није упутно да државно руководство прихвата здраво за готово да су стране одиторске куће објективне, а страни власници стручњаци или саветници боља и већа гаранција за напредак Телекома и Србије, него домаћи;

Телеком је до данашњих дана остао изузетно значајан фактор развоја домаће науке, технике, индустрије и кадрова који заједно, поред осталог, баштине и достигнућа српског и светског генија Николе Тесле. Такву улогу треба да има и у будуће, али као део јавног сектора Србије, а не као део јавног сектора било које стране државе чији привредни и други интереси, логично, нису и не могу бити једнаки са интересима Србије.

Поред привредног и фискалног, Телеком има велики значај и за безбедност земље. Продаја таквог система странцима, па чак и његовог дела, значила би да Влада Србије потцењује ризике за шире државне интересе и заштиту важних људских права грађана уколико се тај систем прода страном власнику;

Очување и развој јавног сектора привреде битан је услов демократског, социјалног и културног развоја друштва. Да није тако не би владе земаља најстаријих европских демократија чувале и развијале сопствене јавне секторе, посебно секторе телекомуникација.

Непокривене расходе буџета треба смањивати ликвидирањем партократије, а не ликвидирањем јавног сектора привреде!? Није искрено, нити одговорно тврдити да би се новац од продаје јавног сектора инвестирао у друге секторе. То је обмана. Зашто би Србија селила капитал из Телекома као доказано најпрофитабилнијег и најперспективнијег система у неке друге секторе?

Нико не спори начелну потребу да пословање Телекома буде још профитабилније, организација рационалнија а модернизација бржа, али то нису разлози за продају најбоље, стратешки значајне домаће компаније туђој државној компанији, страној држави, већ разлог више да се Телеком задржи у власништву Србије уз предузимање одговарајућих мера.

Апсолутна приватизација је апсурд. То није начин да се исказује лојалност, предвидивост ни према ЕУ, ни Немачкој (уочи посете Ангеле Меркел), ни ММФ-у, ни НАТО-у (упркос обавези потписаној ИПАП-ом). Најмање – према Србији. Да ли Влада има икакве црвене линије шта у Србији није на продају без обзира на процене «квалчитетних одитора» и цену, или сматра да је то излишно, да је тржиште једини регулатор и гарант напретка? Ако би се приватизацији и даље прилазило као догми, ако би се приватизовало све што у било којој области економије и надградње постоји у Србији - ко би нас и на који начин заштитио од приватизације националног и духовног идентитета, од приватизације људи, њихових личних живота, индивидуалности и слободе?! Логика да су странци, страни стручњаци, страни саветници, страни власници, страни медији, стране банке, страни учитељи и проценитељи - да је све страно, посебно ако долази са једне, одређене стране света - боље за Србију него домаће, могла би нас довести у апсурну ситуацију да и директно управљање судбином Србије као државе, предамо у руке «паметнијих» странаца. 
Често из врха чујемо - што обећамо то извршимо. Предвидиви смо! А знамо ли шта се то обећава, односно, шта се и коме може обећати? Може ли се, на пример, другоме обећати комад јавног сектора, реке, језера, државне територије? Може ли се коме обећати промена Устава, федерализација или кантонизација Србије? 
Уместо грађане, Влада више слуша стране саветнике попут Тони Блера, или Гузенбауера и тзв. цивилни сектор који финансирају страни центри моћи, него своје грађане и српске стручњаке! Недавно, успут, чусмо и то да у државном врху имамо и саветнике из Немачке! Откуда тај нагон наше елите да се хвалише странцима, страним саветницима, да представнике најутицајнијих чланица НАТО-а јавно производи у највеће пријатеље Србије и српског народа?! Није ли то мало превише? Водимо ли рачуна о логици, чистоћи и јасноћи српског језика у коме се одувек зна по чему се разликују пријатељи од непријатеља, како се стичу пријатељи, а како постају непријатељи? Шта су нам представници оне огромне већине других земаља које српски државни врх не стиже ни да помене – ни по добру, ни по злу? Шта смо ми њима? Кога и шта ценимо?

Замишљена ликвидација јавног сектора Србије није приватизација, већ подржављење. Продаја српских државних фирми страним државама – тешко се може назвати приватизацијом. Такве продаје јесу у државном интересу, али страних држава, не Србије!

Ако власт, како најављује, распрода све преостало - Телеком, ЕПС, ПКБ, Дунав осигурање, фабрике оружја и војне технике, руднике, шуме, бање, пољопривредно земљиште, посебно, ако под видом приватизације, српску јавну (државну) привреду, преда у руке страним државним или мултинационалним корпорацијамапоставља се питање – чиме ће Србија, њене институције и грађани управљати, којим полугама ће чувати суверенитет, посебно економски, територијални интегритет и независност? Продаћемо или ликвидирати и «Радио Србију». Оставићемо страним државним медијима као што су, на пример, ББЦ, Глас Америке, Дојче Веле да и даље шире «истину» о Србији, о Косову и Метохији, о Републици Српској, људским правима. И тако су се показали и даље се показују добронаклоним, пријатељским и објективним према Србији и српском народу!

Ако је све напред овлаш поменуто за српску власт превазиђено, из старог вредносног система, откуда нам онда модрице по лицу и цеваницама, откуда несвестица и несаница? Ко нам и одакле ових дана шаље злослуте поруке – у виду савета, резолуција и каменица? Ко Србију и за чији рачун омекшава, ко је и зашто кињи и кажњава? Докле? Пријатељи, хуманисти, избавитељи!?


БЕОГРАДСКИ ФОРУМ ЗА СВЕТ РАВНОПРАВНИХ
Београд, јули 2015.





Islamisti servi della NATO, dalla Cecenia all'Ucraina

1) N. Lilin: L'altra faccia della democrazia ucraina: il terrorismo Ceceno made in USA
2) G. Bensi: I ceceni e la guerra ucraina 
3) E. Piovesana: Ucraina, rispunta l’alleanza nazi-islamica. L’Isis a fianco delle brigate neofasciste
4) W. Engdahl: Putin dichiara che il terrorismo in Cecenia e nel Caucaso russo è stato attivamente sostenuto dalla CIA ...


Si vedano anche:

La gioia di Kiev per gli attentati a Grozny: “apriamo un secondo fronte contro Mosca” (di Fabrizio Poggi, 6 Dicembre 2014)
(Nella foto, un gruppo di neonazisti ucraini in Cecenia alcuni anni fa)

ISIS in Ukraine. Kiev and the jihadists: a dark alliance (by Justin Raimondo, March 06, 2015)
http://original.antiwar.com/justin/2015/03/05/isis-in-ukraine/
ITAL.: L’Impero del Caos si installa in Europa. Lo Stato Islamico in Ucraina (Justin Raimondo, 6 marzo 2015)
http://www.civg.it/index.php?option=com_content&view=article&id=635:l-impero-del-caos-si-installa-in-europa-lo-stato-islamico-in-ucraina&catid=2:non-categorizzato
oppure https://aurorasito.wordpress.com/2015/03/09/lalleanza-kiev-stato-islamico/
FRANC.: L’Empire du Chaos s’installe en Europe. L’ État islamique en Ukraine (Par Justin Raimondo – Le 6 mars 2015 – Source Antiwar.com)
http://lesakerfrancophone.net/lempire-du-chaos-sinstalle-en-europel-etat-islamique-en-ukraine/

Islamic Battalions, Stocked With Chechens, Aid Ukraine in War With Rebels (by A.E. Kramer, The New York Times, July 7, 2015)
Wearing camouflage, with a bushy salt-and-pepper beard flowing over his chest and a bowie knife sheathed prominently in his belt... the man who calls himself “Muslim,” a former Chechen warlord, could not wave them over for more tea...
Le truppe d’assalto dell’Occidente democratico (PTV news 8 luglio 2015)
L’ISIS in Medio oriente, islamisti ceceni e neonazisti in Ucraina. Sono queste le unità d’élite dell’Occidente democratico...
http://www.pandoratv.it/?p=3629
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=FdLgDnMWaq8


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Il vento dell'Est
di Nicolai Lilin, 3 feb 2015 

L'altra faccia della democrazia ucraina: il terrorismo Ceceno made in USA

Più leggo le notizie della guerra in Ucraina, più mi sembra evidente il legame con le dinamiche delle guerre che avevano scosso la Russia e altri paesi dell'ex URSS negli anni Novanta. Ma soprattutto è chiaro che l'Impero Oscuro, ovvero gli Stati Uniti d'America, si trova in tali difficoltà da buttare sulle barricate tutte le riserve terroristiche di cui dispone, facendo un'unione inconcepibile tra neonazisti ucraini, lettoni, estoni, lituani e polacchi, tra mercenari provenienti da ogni dove e terroristi wahabiti di varie provenienze.

Ieri è stata comunicata dalle agenzie sia novorosse che ucraine la morte del terrorista ceceno wahabita Isa Munaev. Era a capo di un battaglione pro ucraino di mercenari internazionali, composto in gran parte da ceceni wahabiti. Mi torna subito come alcuni nostri giornalisti per mesi hanno bombardato l'opinione pubblica italiana di le notizie false, raccontando di come i terroristi ceceni avessero invaso l'Ucraina insieme all'esercito russo. A quanto pare è l'esatto opposto, i terroristi ceceni combattano per il governo ucronazista di Kiev, ma di questo, stranamente, qui nessuno ne parla. Il battaglione del terrorista Isa Munaev partecipava, insieme all'esercito ucraino, all'operazione punitiva nel Donbass. Fedele alleato di USA e Ucraina, è caduto sotto i colpi delle milizie partigiane novorusse.

Per farvi capire meglio chi era Isa Munaev, ricordo solo che era ricercato in Russia per aver commesso crimini contro l'umanità durante la guerra in Cecenia. Aveva trovato rifugio in Europa, così come altri membri di Al-Qaeda, protetti e mantenuti dalle strutture non governative al soldo di oligarchi ultra-liberisti come George Soros.

Munaev era legato alle cellule terroristiche cecene che si sono macchiate di crimini contro l'umanità, come la strage al teatro Dubrovka di Mosca (Ottobre 2002) e la strage alla scuola di Beslan (Settembre 2004).

Quando nei miei libri dedicati alla guerra in Cecenia spiegavo che gli Stati Uniti hanno creato il terrorismo islamico nel Caucaso per destabilizzare la Russia, alcuni esponenti della politica atlantista "democraticamente" mi avevano accusato di, per dirla in modo pacato, non essere credibile. Oggi, a distanza di pochi anni dall'uscita del mio libro "Caduta Libera" che parla della guerra in Cecenia, tutti noi assistiamo ad una guerra molto simile, che si svolge nel cuore dell'Europa. Di nuovo di fronte a noi si apre uno spettacolo osceno: la morte, la disperazione, il dolore e tanta, tantissima rabbia. Però, se lasciamo da parte i sentimenti e cerchiamo di analizzare lo scenario, che analogie troviamo con il conflitto ceceno? I neonazisti di vari paesi europei, i terroristi wahhabiti ceceni che si trovano da anni in esilio in Occidente, gli Stati Uniti d'America con il premio Nobel per la pace in testa e tra gli altri anche il nostro premier Renzi con il suo fedele PD (loro governano l'Italia, sono quindi responsabili di aver mandato in Ucraina i veicoli da guerra con i quali i terroristi atlantisti ammazzeranno sempre più civili) conducono il genocidio del popolo ucraino, cercando di coinvolgere la Russia nella guerra e con questo salvare dall'inevitabile crollo l'ormai da decenni marcia e speculativa economia statunitense. Tutto come è avvenuto in Cecenia: una parte del popolo per mezzo di propaganda e i soldi rivolta contro i propri fratelli, con provocazioni e terrorismo scatena una guerra feroce e dietro a questo terribile conflitto si stanno svolgendo le trattative commerciali tra le più significative sul pianeta.

Io mi chiedo, ma quante altre prove servono al mondo moderno per comprendere tutto il pericolo del neonazismo atlantista? Quanto sangue degli innocenti deve ancora scorrere, prima che i sordi e ciechi dei vari partiti che si autodefiniscono "democratici" si accorgano che sono sfruttati dai politici corrotti, dai despoti sanguinari, servi dei poteri ultra-liberisti che incarnano la peggior espressione feudo-capitalista che il mondo abbia mai conosciuto?

http://lifenews.ru/mobile/news/149302

http://uapress.info/ru/news/show/59887


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I ceceni e la guerra ucraina 

di Giovanni Bensi, 18 marzo 2015

Isa Munaev, comandante a Grozny durante la seconda guerra cecena, recentemente è morto nel Donbass. Era a capo di un battaglione pro-ucraino titolato a Dudaev
Circa un mese prima dell’assassinio di Boris Nemtsov, e precisamente il 1 febbraio 2015, da Londra, dove vive in esilio da parecchi anni, Ahmed Zakaev, ex capo del governo ceceno secessionista e successore di Doku Umarov, ha reso pubblico un comunicato nel quale annunciava che in quello stesso giorno era caduto in Ucraina Isa Munaev, generale di brigata dell’esercito ceceno clandestino, cioè della Repubblica Cecena di Ičkeria (RČI) o Cecenia separatista. Nel suo annuncio Zakaev si profondeva in elogi delle capacità militari del defunto e in ricordi delle battaglie comuni in nome dell’indipendenza cecena. 
Zakaev così descriveva la carriera di Isa Munaev: “Con l’inizio della seconda guerra russo-cecena Isa Munaev fu nominato dal presidente della RČI Aslan Maskhadov comandante della capitale cecena. Isa Munaev diede prova di sé come esperto comandante durante la difesa di Grozny nel 1999-2000”. Poi nel documento venivano presentate le sincere condoglianze a nome del governo della RČI e personali ai parenti e familiari del caduto. 
Ahmed Zakaev, Isa Munaev e Aslan Maskhadov ai tempi delle guerre cecene furono uniti dalla comunanza dei fini, cioè l’indipendenza della repubblica nord-caucasica di Cecenia. Aslan Maskhadov, trionfatore militare della prima guerra cecena, fu eletto presidente della Cecenia il 27 gennaio 1997 e venne poi ucciso l'8 marzo 2005 durante un'incursione delle forze russe alla periferia della capitale cecena. In quegli anni Maskhadov e Zakaev collaborarono strettamente nella lotta armata contro le truppe di Mosca e Isa Munaev fu ministro degli Interni e comandante militare di Grozny.
Quest'ultimo però finì per entrare in conflitto con Maskhadov circa i limiti della guerra anti-russa dei ceceni. Mentre Maskhadov intendeva mantenere il conflitto nell’ambito nord-caucasico, Munaev sosteneva che i ceceni dovevano essere presenti ovunque si aprisse un fronte anti-russo.
Durante la seconda guerra cecena, tra il 1999 e il 2000, Isa Munaev dopo aver subito una grave ferita lasciò il paese e ottenne asilo in Danimarca. Dalla Danimarca organizzò nel 2009 il movimento Svobodnyj Kavkaz (Caucaso Libero) e nel marzo 2014 costituì il battaglione di volontari “Dzhokhar Dudaev” di cui egli subito assunse il comando schierandosi nella guerra in Ucraina orientale a fianco delle forze governative (anti-russe).
Nel giugno scorso Munaev lanciò un videoappello in cui accusava la Russia di “genocidio” a carico dei ceceni negli anni della guerra nel Caucaso. In risposta a questo appello l’attuale capo della Cecenia, Ramzan Kadyrov emise un mandato di cattura contro Munaev e dichiarò di essere pronto ad inviare volontari ceceni nel Donbass con lo scopo di eliminarlo. Infine, il 1 febbraio 2015, la notizia della morte del generale ceceno, annunciata da Zakaev e confermata da Semjon Semenčenko, comandante del battaglione ucraino (antirusso) "Donbass”.
Secondo Ramzan Kadyrov il “generale di brigata dell’Ičkeria” Isa Munaev sarebbe stato eliminato per incarico dell’SBU (Servizi di sicurezza dell’Ucraina anti-russa) e dalla CIA. Quella fornita da Kadyrov non è però certo l’unica versione della morte di Munaev che circola in Cecenia. Secondo un’altra versione, Isa Munaev sarebbe morto in seguito a spari di bazooka nei pressi di Debaltsevo. Questa è almeno l’opinione espressa sulla sua pagina Facebook da un compagno del comandante ceceno, Idris Sultanov.
Gi appartenenti al battaglione di Munaev non sono gli unici cittadini ceceni coinvolti nel conflitto ucraino. Nel giugno 2014 il leader ceceno Kadyrov ammise in un’intervista al programma “Nedelja” del canale REN-TV che 14 ceceni stavano combattendo in Ucraina sud-orientale, al fianco dei separatisti,  sottolineando però che si trattava esclusivamente di volontari, giunti "obbedendo al richiamo del cuore”. ”Vi dico ufficialmente – aggiunse allora Kadyrov  - che non ho mandato laggiù nessun ceceno. Ma se venisse l’ordine, nel nostro paese ci sono 74.000 ceceni che sono pronti a partire per fare ordine sul territorio dell’Ucraina”. 
Dopo la morte di Munaev, Kadyrov si è rivolto ai possibili simpatizzanti pro-ucraini e dal suo profilo Instagram ha esortato "coloro che per mezzo dell’inganno sono stati attratti da Munaev nell’avventura dei fascisti ucraini” a fermarsi. "Questa – ha continuato il capo della Cecenia – non è la nostra guerra. Tornate urgentemente a casa”. E Kadyrov ha concluso con una frase minacciosa: "Non si consentirà a nessuno di lasciare da vivo il campo di battaglia”.
Munaev è stato sepolto l’8 febbraio scorso a Dnepropetrovsk, in Ucraina.


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Ucraina, rispunta l’alleanza nazi-islamica. L’Isis a fianco delle brigate neofasciste

Il New York Times conferma il sodalizio militare di jihadisti e brigate ucraine contro i separatisti filorussi. Era già successo durante la Seconda Guerra Mondiale con le divisioni islamiche di SS croate, bosniache e albanesi. "L'alleanza rischia di aprire la porta alla Jihad in Europa"

di Enrico Piovesana | 10 luglio 2015

Battaglioni islamici di jihadisti legati all’Isis combattono in Ucraina a fianco delle brigate ucraine neofasciste contro i separatisti filorussi. Lo rivela il New York Times, confermando le notizie che circolano da tempo sulla preoccupante piega che sta prendendo il fronte governativo sostenuto da Europa, Nato e Stato Uniti. Nelle ultime settimane gli scontri si sono intensificati lungo tutta la linea del fronte e Kiev sta rafforzando le difese intorno a Mariupol nel timore di una massiccia offensiva dei ribelli filo-russi contro questa strategica città portuale sul Mar Nero, ultimo bastione che separa il Donbass dalla Crimea. Proprio qui, secondo il quotidiano statunitense, starebbero affluendo i combattenti jihadisti filo-ucraini.

Non potendo fare affidamento sull’esercito regolare di coscritti, male equipaggiati e demotivati, il governo di Petro Poroshenko si affida sempre più alle milizie paramilitari di volontari dell’estrema destra neonazista, più combattive, meglio armate e finanziate privatamente da ricchi oligarchi ucraini: dai battaglioni Azov – recentemente inquadrato nella Guardia Nazionale addestrata dagli americani – alle brigate di Settore Destro di Dmytro Yarosh, nominato in aprile consigliere dello stato maggiore della Difesa.

E’ in quest’ultima formazione, secondo il New York Times che, con il benestare del governo di Kiev, vengono inquadrati i volontari jihadisti che affluiscono, sempre più numerosi, dal Caucaso russo e dalle repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale. Sono state formate tre unità di combattenti islamici anti-russi: la ‘Dzhokhar Dudayev’ e la ‘Sheikh Mansur’, dove prevalgono ceceni, daghestani e uzbechi, e la ‘Crimea’, composta prevalentemente da tatari originari di quella regione. Insomma, una riedizione dell’alleanza nazi-islamista nata nei Balcani in funzioni anti-sovietica durante la Seconda Guerra Mondiale con le divisioni islamiche di SS croate, bosniache e albanesi.

La maggioranza dei combattenti islamici che combattono sotto le insegne rosso-nere degli utranazionalisti ucraini di Settore Destro sono di origine cecena. Alcuni di loro provengono dalla ‘vecchia guardia’ nazionalista e laica della diaspora europea, come il noto Isa Munaev, comandante militare di Grozny durante la seconda guerra d’indipendenza cecena, arrivato in Ucraina dalla Danimarca già nel 2014 e fondatore dell’unità ‘Dzhokhar Dudayev’, ucciso lo scorso febbraio nella battaglia di Debaltseve.

Gran parte dei ceceni presenti sul fronte ucraino dalla parte di Kiev – perché ce ne sono anche con i separatisti – sono invece giovani integralisti provenienti dalle fila dell’Emirato del Caucaso: il movimento jihadista ceceno guidato di Aslan Byutukayev e alleato dello Stato Islamico, i cui combattenti si stanno distinguendo in battaglia anche in Siria e in Iraq guadagnando progressiva influenza nelle gerarchie del Califfato. Come ha denunciato già a febbraio il giornale online americano The Intercept, la loro penetrazione in Ucraina, avallata dalle autorità di Kiev, rischia di trasformare questo paese in un pericoloso porto franco della jihad in Europa.


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http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=15093

E SE PUTIN STESSE DICENDO LA VERITA' ?

DI WILLIAM ENGDAHL

journal-neo.org


Il 26 aprile scorso la principale emittente televisiva nazionale della Russia, Rossiya 1, ha celebrato il presidente Vladimir Putin in un documentario creato per il popolo russo nel quale venivano esposti gli eventi dell' ultimo periodo storico, compreso l' evento dell' annessione della Crimea, quello del colpo di Stato in Ucraina supportato dagli Stati Uniti, e lo stato generale dei rapporti fra Russia e Stati Uniti e Unione Europea. Nelle sue parole si è potuta apprezzare la  franchezza e la schiettezza. Nel bel mezzo del suo intervento l' ex capo del KGB russo ha  “sganciato una bomba” politica comunque già di conoscenza dei servizi segreti russi da circa due decenni.


Putin ha dichiarato senza mezzi termini, che, a suo parere, l' Occidente sarebbe stato contento nell' avere una Russia debole, sofferente e mendicante, condizione che però, chiaramente, dato il loro carattere e l'indole, il popolo russo non sarebbe disposto a subire. Durante il suo intervento, il presidente russo ha detto, per la prima volta pubblicamente, qualcosa che in realtà l' intelligence russa conosce già da quasi due decenni, rimasta però in silenzio fino a quel momento, molto probabilmente, nella speranza di un' epoca di migliori e tranquille relazioni fra Russia e Stati Uniti.

Putin ha dichiarato che il terrorismo in Cecenia e nel Caucaso russo nei primi anni '90 è stato attivamente sostenuto dalla CIA e dai servizi segreti occidentali per indebolire deliberatamente la Russia. Ha osservato che la FSB russa (Servizi federali per la sicurezza della Federazione russa) straniera di intelligence avesse con sè la documentazione del ruolo segreto degli Stati Uniti, senza fornire dettagli.

Che Putin, un professionista di intelligence di altissimo livello, stesse soltanto accennando a tutto questo nel suo discorso, lo ho potuto documentare nel dettaglio anche da fonti non russe. Questo resoconto ha enormi implicazioni nel rivelare al mondo la lunga “agenda” nascosta degli influenti circoli di Washington allo scopo di distruggere la Russia come Stato sovrano funzionale, un “ordine del giorno” che includeva anche il colpo di stato neo-nazista in Ucraina e la guerra caratterizzata da gravi sanzioni pecuniarie nei confronti di Mosca. Quanto segue è tratto dal mio libro, Amerikas 'Heilige Krieg.

Le guerre della CIA in Cecenia

Non molto tempo dopo che i Mujahideen, finanziati dalla CIA e dai servizi segreti sauditi, avevano devastato l'Afghanistan alla fine del 1980, costringendo l'uscita da lì dell' esercito sovietico nel 1989, e la dissoluzione dell'Unione Sovietica qualche mese più tardi, la CIA iniziò a cercare nuovi possibili luoghi di collasso dell' Unione Sovietica, dove i loro addestrati "Arabi Afghani" avrebbero potuto essere reimpiegati per destabilizzare ulteriormente  e indebolire l' influenza russa nello spazio eurasiatico post-sovietico.

Erano chiamati “Arabi Afghani” per il fatto che furono reclutati fra i musulmani wahabiti sunniti ultraconservatori provenienti dall' Arabia Saudita, dagli Emirati Arabi, dal Kuwait, e in altre parti del mondo arabo in cui era praticava l' ultrarigida wahabita dell' Islam. Giunti in Afghanistan nei primi anni 1980 furono portati da una recluta della CIA saudita (inviata proprio in Afghanistan) dal nome di Osama bin Laden.

Con l'ex Unione Sovietica nel caos totale e allo sbando, Amministrazione di George HW Bush decise di "prenderli a calci quando sarebbero stati a terra", un errore molto infelice. Washington reimpiegò i propri terroristi veterani afghani per portare caos e destabilizzazione in tutta l' Asia centrale, finache all' interno della Federazione Russa stessa, proprio in una fase di crisi profonda e traumatica durante il collasso economico dell' era Yeltsin.

Nei primi anni 1990, la società di Dick Cheney, Halliburton, esaminò le potenzialità petrolifere “offshore” di Azerbaigian, Kazakistan, e dell' intero bacino del Mar Caspio. La regione venne stimata essere “un altra Arabia Saudita", ma dal valore molto maggiore di diversi miliardi di dollari se valutato sul mercato contemporaneo. Gli Stati Uniti e il Regno Unito erano determinati a mantenere quella “miniera d'oro” (rappresentata dall' olio) fuori dal controllo russo con tutti i mezzi a disposizione. Il primo obiettivo di Washington fù quello di organizzare un colpo di stato in Azerbaijan nei confronti del presidente eletto Abulfaz Elchibey per farvi insediare un nuovo presidente più “amichevole” nei confronti dell' idea che l' oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan (BTC) fosse controllato dagli Stati Uniti, "la conduttura più politicizzata del mondo", che porta l'olio dall' Azerbaijan attraverso la Georgia verso la Turchia e il Mediterraneo.

A quel tempo, l' unico oleodotto esistente da Baku era uno dell' epoca sovietica che prendendo l' olio di Baku attraversava la capitale cecena, Grozny, portandolo verso nord attraversando la provincia del Daghestan in Russia, e, attraverso la Cecenia, giungere al porto russo del Mar Nero di Novorossiysk. L'oleodotto risultava l' unico maggiore ostacolo verso una via alternativa però molto più costosa per Washington e per le major petrolifere britanniche e statunitensi.

Il presidente Bush Sr. concesse ai suoi vecchi amici alla CIA il mandato di distruggere quell' oleodotto russo-ceceno creando così un tale caos nel Caucaso che nessuna società occidentale o russa avrebbero considerato l' idea di usare oleodotto russo di Grozny.

Graham E. Fuller, un vecchio collega di Bush e ex vice direttore del Consiglio Nazionale sull' Intelligence della CIA fu un architetto chiave nella strategia della CIA riguardo i Mujahideen. Fuller descrisse la strategia della CIA nel Caucaso durante primi anni '90: "La politica di guidare l' evoluzione dell' Islam sostenendoli contro i nostri avversari funzionò meravigliosamente bene in Afghanistan contro l'Armata Rossa. Le stesse dottrine possono ancora essere usate per destabilizzare ciò che resta del potere russo."

La CIA utilizzò per l'operazione anche un veterano, il generale Richard Secord, esperto in “sporchi trucchetti”. Secord creò una società di copertura della CIA, la MEGA Oil. Secord era già stato condannato nel 1980 per il suo ruolo centrale nelle operazioni illegali di armi nel caso Iran-Contra (caso anche conosciuto come Iran-Gate) e droga da parte della CIA.

Nel 1991 Secord, ex Vice Assistente Segretario alla Difesa, sbarcò a Baku costituendo la società di facciata della CIA, MEGA Oil. Era un veterano delle operazioni segrete della CIA dell' oppio in Laos durante la guerra del Vietnam. In Azerbaijan, costituì una compagnia aerea con lo scopo di far volare segretamente, dall' Afghanistan in Azerbaijan, centinaia di Mujahideen appartenenti ad al-Qaeda e bin Laden. Nel 1993, la MEGA Oil reclutò e armò 2.000 Mujahideen, convertendo così Baku in una base per operazioni terroristiche dei Mujahideen nel Caucaso.

L' operazione segreta dei Mujahideen del Generale Secord nel Caucaso dette il via al succitato colpo di stato militare che ebbe come esito il rovesciamento del presidente Abulfaz Elchibey eletto quello stesso anno e installandovi Heydar Aliyev, un più flessibile e bendisposto fantoccio degli Stati Uniti. Un rapporto segreto dell' intelligence turca, trapelato al Sunday Times di Londra, affermò che "due giganti del petrolio, BP e Amoco, inglesi e americani, rispettivamente, che insieme formano l' AIOC (Consorzio dell'Olio internazionale dell' Azerbaijan), sono dietro il colpo di Stato."

Il capo dei servizi segreti sauditi, Turki al-Faisal, diede disposizioni che il suo agente, Osama bin Laden, che mandò in Afghanistan all'inizio della guerra in Afghanistan nei primi anni 1980, avrebbe usufruito della sua organizzazione afgana Maktab al-Khidamat (MAK) per reclutare "Arabi Afghani" per quella che rapidamente stava diventando una Jihad globale. I mercenari di Bin Laden furono così utilizzati come truppe d' assalto dal Pentagono e dalla CIA per coordinare e sostenere le offensive musulmane non solo in Azerbaigian, ma poi anche in Cecenia e, in seguito, in Bosnia.

Bin Laden inserì un altro saudita, Ibn al-Khattab, per divenire Comandante, o Emiro del Jihadista Mujahideen in Cecenia (sic!) insieme al ceceno Shamil Basayev
, signore della guerra. Poco importa che Ibn al-Khattab fosse un saudita arabo che parlasse a malapena una parola di ceceno, e per niente il russo. Sapeva però come riconoscere i soldati russi e come ucciderli.

La Cecenia era, per tradizione, una società prevalentemente Sufi, un ramo più “morbido” dell' Islam apolitico. Ma la crescente infiltrazione dei benpagati e ben addestrati terroristi Mujahideen predicanti la Jihad o Guerra Santa contro i russi e sponsorizzati dagli Stati Uniti trasformò del tutto l' iniziale movimento riformista di resistenza cecena. Si diffuse così l' ideologia della linea dura islamista di al-Qaeda in tutto il Caucaso. Sotto la guida di Secord, le operazioni terroristiche dei Mujahideen furono così anche rapidamente estese nel vicino Daghestan e in Cecenia, trasformando Baku in un punto di spedizione per l' eroina afgana alla mafia cecena.

Dalla metà degli anni '90, bin Laden pagava i capi guerriglieri ceceni, Shamil Basayev e Omar ibn al-Khattab, la bella somma di diversi milioni di dollari al mese, la fortuna di un re pensando ad una Cecenia che nel 1990 era economicamente desolata, consentendo così loro di emarginare la maggioranza moderata cecena. I servizi segreti americani furono profondamente coinvolti nel conflitto ceceno fino alla fine degli anni 1990. Secondo Yossef Bodansky, l' allora direttore del Congressional Task Force degli Stati Uniti sul terrorismo e sulla guerra non convenzionale, Washington partecipò attivamente alla "ennesima jihad anti-Russia, cercando di supportare e potenziare le forze islamiste anti-occidentali più virulente."

Bodansky rivelò in dettaglio l' intera strategia della CIA nel Caucaso nel suo rapporto, affermando che i funzionari del governo statunitense vi  parteciparono,

"Una riunione formale in Azerbaijan nel dicembre 1999, in cui vennero discussi e concordati i programmi specifici per la formazione e l' equipaggiamento dei Mujahideen dal Caucaso, Asia del sud e Centrale e nel mondo arabo, culminò con un tacito incoraggiamento di Washington a vantaggio di entrambi gli alleati, i musulmani (principalmente Turchi, Giordani e dell' Arabia Saudita) e le 'società di sicurezza private' degli Stati Uniti. . . per aiutare i ceceni e i loro alleati islamici a insorgere nella primavera del 2000 e sostenere la conseguente Jihad per un lungo periodo ... la Jihad islamista nel Caucaso come un modo per deprivare la Russia di una via dell' oleodotto percorribile attraverso una spirale di violenza e terrorismo. "

La fase più intensa delle guerre di Cecenia diminuì nel 2000 solo dopo la pesante intervento militare russo che sconfisse gli islamisti. Fu però una “vittoria di Pirro”, che costò un tributo enorme in vite umane e distruzione di intere città. Il bilancio esatto delle vittime causate dal conflitto ceceno istigato dalla CIA è sconosciuto. Stime non ufficiali variavano da 25.000 a 50.000 fra morti e dispersi, per la maggior parte civili. Stime di perdite russe erano vicine a 11.000 persone secondo il “Comitato delle Madri dei soldati”.

Le major petrolifere anglo-americani e gli agenti della CIA erano felici. Ottennero quello che volevano: il loro oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, bypassando l' oleodotto di Grozny in Russia.

I jihadisti ceceni, sotto il comando islamico di Shamil Basayev, continuarono però gli attacchi di guerriglia dentro e fuori la Cecenia. La CIA si riorientò nel Caucaso.

Collegamento saudita di Basayev

Basaev fu fondamentale nella Jihad Globale della CIA. Nel 1992 incontrò il terrorista saudita Ibn al-Khattag in Azerbaijan. Dall' Azerbaijan, Ibn al-Khattab portò Basayev in Afghanistan per incontrare il suo compagno saudita Osama bin Laden. Il ruolo di Ibn al-Khattab è stato quello di reclutare i musulmani ceceni disposti a intraprendere la Jihad contro le forze russe in Cecenia per conto di una strategia di copertura della CIA per destabilizzare la Russia post-sovietica e garantire così il controllo britannico-statunitense sull' “energia” del Caspio.

Una volta tornati in Cecenia, Basayev e al-Khattab crearono la Brigata Internazionale Islamica (IIB) con il denaro dell' Intelligence saudita, con l' approvazione della CIA e coordinato attraverso la relazione con l' ambasciatore saudita di Washington nonché principe, Bandar bin Sultan, intimo conoscente della famiglia Bush. Bandar, ambasciatore saudita di Washington per più di due decenni, era così intimo con la famiglia Bush che George W. Bush riferiva all'ambasciatore playboy saudita come "Bandar Bush", considerandolo una sorta di membro onorario della famiglia.

Basayev e al-Khattab importarono in Cecenia i combattenti prelevandoli dal ramo fanatico saudita wahabita dell'Islam sunnita. Ibn al-Khattab ordinò che il suo esercito privato di arabi, turchi, e altri combattenti stranieri venisse chiamato "Mujahideen arabi in Cecenia". Gli fù anche commissionato di creare campi paramilitari nelle montagne del Caucaso e della Cecenia dove venissero addestrati ceceni e musulmani delle repubbliche russe del Caucaso del Nord e dell' Asia centrale.

La Brigata Internazionale Islamica, finanziata dai sauditi e dalla CIA, fu responsabile non solo del terrorismo in Cecenia. Essi condussero nell' ottobre 2002, al Teatro Dubrovka di Mosca, un sequestro di ostaggi e si macchiarono inoltre del raccapricciante massacro della scuola di Beslan nel settembre 2004. Nel 2010, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite pubblicò il seguente rapporto su al-Khattab e sulla Brigata Internazionale Islamico di Basayev:

la Brigata Internazionale Islamica (IIB) venne citata il 4 marzo 2003.. . per essere associata ad Al-Qaeda, Osama bin Laden e ai Talebani per la "partecipazione al finanziamento, progettazione, facilitazione, preparazione o perpetrazione di atti o attività da parte di, in collegamento con, con il nome di, per conto o a sostegno di” Al-Qaeda. . . la Brigata Internazionale islamico (IIB) fù fondata e guidata da Shamil Basayev Salmanovich (deceduto) ed collegata al Riyadus-Salikhin Reconnaissance e Battaglione di Sabotaggio dei Martiri Ceceni (RSRSBCM). . . e alla Special Purpose Islamic Regiment (SPIR). . .

La sera del 23 ottobre 2002, i membri della IIB, RSRSBCM e SPIR operarono congiuntamente allo scopo di sequestrare oltre 800 ostaggi a Teatro Podshipnikov Zavod (Dubrovka) di Mosca.

Nell'ottobre 1999, gli emissari di Basayev e Al-Khattab viaggiarono alla casa base di Osama bin Laden, nella provincia afghana di Kandahar, dove egli accettò di fornire assistenza militare e aiuti finanziari, prendendo anche accordi per inviare in Cecenia diverse centinaia di combattenti per la lotta contro le truppe russe e perpetrare atti di terrorismo. Successivamente, nello stesso anno, Bin Laden inviò ingenti somme di denaro a Basayev, Movsar Barayev (leader di SPIR) e Al-Khattab, i quali sarebbe stati utilizzati esclusivamente per la formazione di uomini armati, reclutamento di mercenari e di acquistare munizioni.

La "via terrorista" Afgano-Caucasica di Al Qaeda, finanziata dall'intelligence saudita, aveva due obiettivi. Uno era un obiettivo specificamente saudita che era quello di diffondere la fanatica Jihad wahabita nella regione dell'Asia centrale dell' ex Unione Sovietica. Il secondo era l' ordine del giorno della CIA di destabilizzare l' allora  ormai collassante Federazione Russa post-sovietica.

Beslan

Il 1 ° settembre 2004 i terroristi armati di Basaev e la IIB di al-Khattab presero più di 1100 persone come ostaggi in un assedio che includeva 777 bambini, e li tennero prigionieri nella School Number One (SNO) a Beslan in Ossezia del Nord, repubblica autonoma nel Caucaso settentrionale appartenente alla Federazione russa vicino al confine della Georgia.

Il terzo giorno di “crisi” degli ostaggi, come alcune esplosioni furono udite all' interno della scuola, la  FSB e altre truppe russe presero d' assalto l' edificio. Alla fine, almeno 334 ostaggi furono uccisi, tra cui 186 bambini, con un significativo numero di feriti e dispersi. Divenne chiaro successivamente che le forze russe gestirono male l' intervento.

La macchina di propaganda di Washington, da Radio Free Europe a The New York Times e  CNN, non perse tempo a demonizzare Putin e la Russia per la loro cattiva gestione della crisi di Beslan, anzichè concentrarsi sui collegamenti di Basayev con Al Qaeda e i segreti sauditi in quanto quest' ultimo aspetto avrebbe portato l' attenzione del mondo  verso le relazioni intime tra la famiglia del presidente degli Stati Uniti George W. Bush e la famiglia del miliardario saudita bin Laden.

Il 1 settembre 2001, appena dieci giorni prima del giorno degli attentati al World Trade Center e del Pentagono, il principe Turki bin Faisal Al Saud, capo dei servizi segreti sauditi, educato e formato negli Stati Uniti, che diresse l' Intelligence Saudita dal 1977, includendo anche l' intera operazione dei Mujahideen di Osama bin Laden in Afghanistan e nel Caucaso, all' improvviso e inspiegabilmente rassegnò le dimissioni, pochi giorni dopo aver accettato un nuovo mandato come capo dell' intelligence dal proprio re. Egli non dette alcuna spiegazione. Fu subito reimpiegato a Londra, lontano da Washington.

Le registrazioni dei legami intimi fra Bin Laden e famiglia di Bush è stata sepolta, nei fatti del tutto cancellata per motivi di "sicurezza nazionale" (sic!) nella relazione ufficiale sul 911 dalla Commissione degli Stati Uniti. Lo sfondo saudita di quattordici dei diciannove presunti terroristi del 911 a New York e Washington è stato cancellato anche dal rapporto finale della Commissione 911 del governo degli Stati Uniti, pubblicato solo nel luglio 2004 dall' amministrazione Bush, quasi tre anni dopo gli eventi.

Basayev reclamò meriti di aver inviato i terroristi a Beslan. Le sue richieste includevano la completa indipendenza della Cecenia dalla Russia, qualcosa che avrebbe offerto a Washington e al Pentagono un enorme arma strategica proprio nel ventre meridionale della Federazione russa.

Entro la fine del 2004, a seguito del tragedia di Beslan, il presidente Vladimir Putin, come riferito, ordinò una missione segreta da parte dell' intelligence russa di “ricerca e distruzione” per dare la caccia e uccidere i leader principali dei Mujahideen Caucasici di Basayev. Al-Khattab fu ucciso nel 2002. Le forze di sicurezza russe presto scoprirono che la maggior parte dei terroristi ceceni-afgani-arabi erano fuggiti. Ottennero un rifugio sicuro in Turchia, membro della NATO; in Azerbaijan, un altro membro della NATO; o in Germania, un membro della NATO; o a Dubai, uno dei più stretti alleati degli Stati Uniti negli Stati Arabi e  nel Qatar, un altro stretto alleato degli Stati Uniti.

In altre parole, ai terroristi ceceni venne offerto dalla NATO un rifugio sicuro.


F. William Engdahl è consulente di rischio strategico e docente, si è laureato in scienze politiche dalla Princeton University ed è autore di best-seller sul petrolio e geopolitica, in esclusiva per la rivista online "New Eastern Outlook". 

Fonte: http://journal-neo.org

Link: http://journal-neo.org/2015/05/15/what-if-putin-is-telling-the-truth/

15.05.2015

Traduzione per www.comedonchisciotte.org  a cura di GIULIANO MONTELEONE







(english / italiano)

La Ustica ucraina – un anno dopo

0) LINKS
1) Flashback giugno 2015: alla TV russa l'ex militare ucraino Evghenij Agapov racconta di aver visto decollare tre caccia SU-25 armati di razzi...
2) Boeing malese abbattuto sul Donbass: la giustizia per le vittime può attendere (di Fabrizio Poggi, 17 Luglio 2015)
3) Olanda: "il Boeing malese abbattuto da un missile aria-aria” (Redazione Contropiano, 20 Luglio 2015)


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LA SECONDA USTICA SUL CIELO DEL DONBASS (novembre 2014)

NOME E COGNOME DELL'AVIERE UCRAINO CHE HA ABBATTUTO IL VOLO MH17 (gennaio 2015)
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8216

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Ukrainian Su-25 fighter detected in close approach to MH17 before crash - Moscow (RT, 21 Jul, 2014)

MH17 broke up in mid-air due to external damage - Dutch preliminary report (RT, 9 Sep, 2014)

Netherlands rejects MH17 relatives' request for UN investigation (RT, 9 Dec, 2014)

Ustica ucraina, il governo olandese ammette: su indagini diritto di veto (4 gennaio 2015)
Due parlamentari olandesi costringono L'Aia a riconoscere che Kiev ha diritto di omissis per l'inchiesta sul volo MH17. E anche altre ammissioni smentiscono la narrativa corrente...
http://megachip.globalist.it/Secure/Detail_News_Display?ID=114210&typeb=0

Ustica ucraina: la misteriosa riunione di 3 giorni prima (28 gennaio 2015)
Nuovo mistero sull'abbattimento del Boeing Malaysia del 17 luglio. Tre giorni prima ci fu una riunione con diplomatici europei e USA. Perché il contenuto è un segreto di Stato?..
http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=115191&typeb=0

'How MH17 was shot down in Ukraine - Film by Andrey Karaulov (Eng subs – Antimaidan Ukraine, 13 feb 2015)
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=wGxfn4R2r1k

La Germania ha diffuso i propri dati sulla tragedia del «Boeing» malaysiano (15 febbraio 2015)
http://comunicati.russia.it/la-germania-ha-diffuso-i-propri-dati-sulla-tragedia-del-boeing-malaysiano.html

Nuove rivelazioni sull’MH17 caduto in Ucraina (Daniele Cardetta, 27 aprile 2015)
...nell’articolo del quotidiano tedesco si fa riferimento al fatto che le autorità tedesche sapessero ben prima della partenza del volo dei rischi di volare sopra il Donbass, ma per qualche motivo non avrebbero avvisato la compagnia malese...
http://oltremedianews.it/nuove-rivelazioni-sullmh17-caduto-ucraina/

PTV News 3 giugno – MH17: Spunta un testimone chiave
La Russia ha rivelato l’identità di un testimone chiave del disastro aereo dell’MH17.  L’uomo è un meccanico dell’aeronautica militare Ucraina, che era in servizio il giorno dell’abbattimento del Boeing...
http://www.pandoratv.it/?p=3433
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?&v=PII6FTbMz78
Russian investigators reveal identity of key witness in MH17 crash (RT, June 03, 2015)
The Russian Investigative Committee has identified a key witness to the MH17 crash in Ukraine’s Donetsk Region. He is Evgeny Agapov, an aviation armaments mechanic in the Ukrainian Air Force...
http://rt.com/news/264545-mh17-investigators-key-witness/
VIDEO download (58,12MB): http://img.rt.com/files/news/40/96/10/00/investigation.mp4?event=download

Israeli-made air-to-air missile may have downed MH17 - report (RT, 16 Jul, 2015)

MH17 couldn’t be shot from rebel areas, West pressuring investigators – Russian Air Agency (RT, 16 Jul, 2015)

Tributes to MH17 Victims in east Ukraine (RT, 17 Jul, 2015)
Residents of the village Grabovo in East Ukraine unveiled a memorial stone on Friday dedicated to those who died when flight MH17 was downed exactly a year ago. A total of 298 people lost their lives on July 17, 2014, when the Malaysia Airlines plane was downed over the Donetsk Region, while en route from Amsterdam to Kuala Lumpur. Locals attended the ceremony carrying banners that read slogans such as: "Donbass 4906 - dead, Boeing - 298 dead, Total dead - 5204." They also carried the flags of the 10 counties, whose citizens were killed in the disaster, while white balloons were released at the end of the ceremony. Prayers and memorial services were held at local church.

MH17 un anno dopo: il silenzio degli inquirenti (PTV news 17 luglio 2015)
A un anno dal disastro dell’MH17 la commissione d’inchiesta non si pronuncia. Fu il pretesto per approvare le sanzioni contro la Russia. Ma i veri responsabili restano sconosciuti.
E a Kiev riforme costituzionali con la supervisione di Victoria Nuland. Ma la nuova autonomia per l’Est non piace a Poroshenko e scontenta i filorussi...

MH17 downed in Ukraine: What has happened in 365 days since the crash (RT, 17 Jul, 2015)

MH17: 'No one deserves to die that way' (RT Documentary – 17 lug 2015)
A year ago, Malaysia Airlines flight MH17 was brought down over the territory of conflict-torn Ukraine. This tragedy shocked the world and affected families in many countries. Today, debris can still be found in the area around the crash and the investigation, shrouded in secrecy, still hasn’t reached a definitive conclusion. RTD talks to witnesses, experts and family members of MH17 passengers in a bid to understand whether the truth of what caused the tragedy will ever be established.

'Was there a 2nd plane?' New footage shows MH17 crash site minutes after Boeing downing (RT, 17 Jul, 2015)
Horror video reveals MH17 crash aftermath (News Corp Australia, 16 lug 2015)
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=K70igRdKVhA

‘A year without truth’: MH17 relatives, independent investigators want ‘facts not propaganda’ (RT, 18 Jul, 2015)


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Fonte: Bombardamenti ucraini sul Donbass, molti morti – di Fabrizio Poggi, 4 Giugno 2015

(...) Intanto, torna sotto i riflettori – ma non per i media nostrani – la questione del Boeing malese abbattuto nel luglio scorso nei cieli dell'Ucraina. Verrebbe da dire, che il silenzio occidentale appare come un'esplicita ammissione dell'assoluta mancanza di un sia pur minimo appiglio per continuare a incolpare dell'abbattimento le milizie del Donbass e, per converso, della stessa assoluta mancanza di pretesti per “assolvere” l'aviazione o le batterie di razzi terra-aria governative che, il giorno della tragedia, occupavano l'area attorno a Zaroščinskoe, da dove, secondo gli esperti della russa “Almaz-Antej” (il complesso produttore dei sistemi missilistici antiaerei), sarebbe partito il missile “Buk-M1” che colpì il velivolo civile malese con circa trecento passeggeri a bordo.
Lo scorso martedì, il rappresentante di “Almaz-Antej”, aveva tenuto a Mosca una conferenza stampa, mostrando a centinaia di giornalisti russi e stranieri, la ricostruzione del possibile impatto del razzo con la cabina di pilotaggio del Boeing, compatibile con le tracce rinvenute sui resti dell'aereo. Il Comitato d'inchiesta russo sta ora vagliando le prove fornite da “Almaz-Antej” e, al contempo, la TV russa ha mostrato frammenti dell'interrogatorio dell'ex militare ucraino – di cui ora viene fornita l'identità, nonostante le sue dichiarazioni siano state rese note mesi fa – Evghenij Agapov che quel 17 luglio 2014 era in servizio come meccanico alla base aerea in cui è stanziata la squadriglia A4465. Agapov, rifugiato poi in Russia, ha sempre affermato di aver visto decollare tre caccia SU-25 armati di razzi; due sarebbero stati abbattuti, mentre il terzo, pilotato da tale capitano Vološin, al suo rientro alla base era privo di armamento e il pilota, scendendo dal velivolo, avrebbe dichiarato <non era quello l'aereo>. Al momento, a Mosca, vengono vagliate ambedue le versioni: sia quella dell'abbattimento del Boeing con un missile terra-aria, sia quella del razzo lanciato dal caccia ucraino.
Ma non fa nessuna differenza per il Dipartimento di Stato USA che, per bocca del portavoce Marie Harf, continuano a ritenere responsabili dell'abbattimento i miliziani del Donbass. Per ora, non è dato udire o leggere qualcosa in merito dai media di casa nostra.


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Boeing malese abbattuto sul Donbass: la giustizia per le vittime può attendere

di Fabrizio Poggi, 17 Luglio 2015 

Esattamente un anno fa, nei cieli del Donbass, veniva abbattuto l'aereo di linea malese Boeing 777 in volo da Amsterdam a Kuala Lampur. Morivano tutti i 283 passeggeri e i 15 membri dell'equipaggio. Che il dito sul grilletto dell'arma che aveva sparato contro il velivolo civile dovesse per forza appartenere a un reparto delle “milizie filorusse” e che l'arma stessa fosse per forza di cose stata loro messa in mano dal Cremlino era di un’ovvietà talmente lampante che non aveva bisogno di alcuna dimostrazione. Era un'assioma della politica contemporanea. 
E tale continua a essere a un anno di distanza; così che non c'è nessuna necessità di portare prove a dimostrazione. E' sufficiente diffondere il teorema della malvagità di Mosca e dei suoi addentellati nel Donbass, perché ogni canale televisivo mondiale, sia a Sidney (la maggior parte delle vittime erano australiane, olandesi e belghe), a Amsterdam (l'Ucraina, formalmente competente per le indagine, delegò subito la faccenda al territorio olandese), a Washington (i satelliti USA, ufficialmente, non hanno mai registrato nulla dell'accaduto) lo “dimostri”, basandosi ora su l'uno ora sull'altro degli enunciati euclidei, secondo una ben sperimentata petitio principii che non abbisogna di opzioni diverse.

E di opzioni diverse, invece, ce ne sono tuttora, quando le indagini non sono affatto concluse (al momento si parla del prossimo ottobre) e quando dal mar del Nord e dall'Oceano pacifico si mettono in circolazione video (la cui autenticità le stesse autorità australiane dicono doversi ancora dimostrare) o si invocano costituzioni di tribunali ONU che dovrebbero suggerire agli inquirenti la pista desiderata.

Dunque, le opzioni.

Come mai, nel marzo scorso, si chiede la Komsomolskaja pravda, in Olanda furono mostrati ai giornalisti solo alcuni frammenti del Boeing abbattuto, mentre la maggior parte giaceva ancora nelle steppe del Donbass?
Già due giorni dopo l'accaduto, il Ministero della difesa di Mosca dichiarava che i controlli radiotecnici russi avevano registrato l'attività della stazione di radiolocalizzazione ucraina “Kupol” annessa al complesso missilistico “Buk-M1”, nella zona di Stylo, 30 km a sud di Donetsk. I dati del controllo (foto satellitari) sulla dislocazione di un complesso “Buk” ucraino, proprio nel giorno del disastro, a ridosso, ma fuori dalla zona controllata dalle milizie, venivano mostrati ai giornalisti il 21 luglio dal capo di stato maggiore russo Andrej Kartapolov, insieme a quelli sulll'intensificarsi dell'attività del “Kupol”. A tale versione si sono attenuti anche gli esperti dell'impresa “Almaz-Antej”, costruttrice del complesso missilistico: secondo la tesi da loro resa pubblica a inizio del giugno scorso, se il Boeing fu abbattuto da terra, ciò poteva essere opera solo di un missile 9M38M1, del complesso “Buk-M1”, che in Russia non viene più prodotto dal 1999 e che è invece in dotazione alle forze armate ucraine. Ieri il vice capo dell'Agenzia russa per il trasporto aereo, Oleg Storčevoj, ha dichiarato che, se effettivamente si fosse trattato di un missile terra-aria lanciato dal territorio liberato, come sostiene oggi ad esempio l'americana CNN, il sistema di localizzazione di Rostov sul Don l'avrebbe registrato; ma così non è stato. Storčevoj ha anche sottolineato lo strano momento per cui, all'epoca, erano stati vietati i voli sulla Crimea (a causa della sua unione alla Russia), ma non invece quelli sulla zona di guerra nel Donbass. Misteri della politica, quando vola sui cieli dell'interesse atlantico.

Altra opzione.

Il capo di stato maggiore dell'aviazione russa, generale Igor Makušev, sostiene che i controlli radar avevano registrato la presenza, a 3-5 km dal Boeing malese, di un aereo militare ucraino. Il Su-25 è dotato di razzi aria-aria in grado di colpire un bersaglio a 12 km di distanza. Tale versione è stata successivamente confermata (e più di una volta ne hanno parlato fonti diverse, di cui si è fatto cenno anche su Contropiano) dall'ucraino Evgenij Agapov, all'epoca in servizio presso l'aviazione ucraina in un aeroporto non distante da Dnepropetrovsk, e poi fuggito in Russia. Komsomolskaja pravda già nel dicembre scorso diffuse il video con l'intervista ad Agapov, in cui questi dichiarava che il 17 luglio 2014 <con compiti di guerra, decollò il Su-25 dell'evizione ucraina pilotato dal capitano Vološin> (tre gli aerei che si erano alzati in volo ma uno solo fece ritorno alla base) e che il velivolo rientrò alla base privo dell'armamento e che Vološin, sceso sconvolto dal mezzo, esclamò <l'aereo si è trovato al momento sbagliato nel posto sbagliato>. Secondo Agapov, il riferimento sarebbe stato al Boeing malese. Inoltre, ieri, una indagine non ufficiale avrebbe portato prove secondo cui il razzo aria-aria che colpì la cabina di pilotaggio del Boeing malese sarebbe verosimilmente, per le caratteristiche del foro provocato nella carlinga, un “Piton” israeliano, un discreto quantitativo dei quali a inizio anni 2000 andò a rifornire le forze aeree georgiane e da queste sarebbe passato poi a quelle ucraine.

Ma queste erano opzioni. Al contrario, ovviamente, il giorno successivo la tragedia, il presidente ucraino Porošenko dichiarò che tutto era opera <degli aggressori e degli insorti del Donbass> e, rispettando la formula di Tertulliano “ci credo, perché è assurdo”, basò le sue parole su un'intercettazione di trasmissioni delle milizie, subito rivelatasi falsa. Così come false risultarono alcune foto della scia lasciata dal “Buk” che, a detta del consigliere del Ministro degli interni, Anton Geraščenko, sarebbe stato lanciato dalle milizie popolari; venne fuori che foto e video si riferivano alla zona di Krasnoarmejsk, sotto controllo governativo ucraino.

A che punto si è dunque giunti oggi, quando la Malesia, sotto stimoli molto interessati, chiede l'istituzione di un tribunale internazionale e a Mosca – accusata di aver “patrocinato” l'abbattimento, fornendo le armi – è stato soltanto trasmesso un brogliaccio con i dati sommari delle indagini?

Si può dire, intanto, che all'epoca dell'abbattimento, le milizie si trovavano in una situazione difensiva (Slavjansk era stata da poco occupata dalle forze ucraine) e non puntavano certo ad attacchi, quali che fossero. L'operazione “Boeing”, in se stessa, rimanda invece ad altre situazioni similari. Ancora Komsomolskaja pravda ricorda l'operazione USA “Northwoods” del 1962 su Cuba. Ma si potrebbe citare anche la vicenda del Boeing 747 coreano, fatto deviare (con ogni evidenza, per provocare proprio l'incidente) dalla rotta stabilita e abbattuto da un caccia russo sulla Kamčatka nel 1983.

Già il 22 luglio dello scorso anno, NTV riportava un comunicato del Ministero della Difesa russo secondo cui i controlli avevano mostrato come sulla rotta del Boeing 777 malese volasse un caccia dell'aviazione ucraina Su-25, come l'aereo malese avesse deviato di 14 km dalla rotta dopo aver sorvolato Donetsk e come nello stesso periodo di tempo fossero in volo altri due aerei passeggeri (Copenhagen-Singapore e Copenhagen-Dehli) e l'aereo malese avesse improvvisamente ridotto la velocità di circa 200 km/h. Lo stesso giorno, Kommersant riferiva come il responsabile della direzione operativa dello stato maggiore russo Andrej Kartapolov, avesse puntualizzato che un aereo civile può effettuare una così sensibile deviazione dai limiti del corridoio aereo o su ordine del servizio di assistenza aerea, oppure per aggirare un fronte di tempesta e la manovra deve ricevere obbligatoriamente l'assenso dei servizi a terra. Da parte sua, il capo della direzione delle forze aeree russe Igor Makušev aveva aggiunto che era stata registrata <la quota di volo dell'aereo dell'aviazione militare ucraina, presumibilmente un Su-25>, in direzione dell'aereo civile malese, che il servizio di assistenza aerea russo, <avendo richiesto al velivolo apparso di qualificarsi>, non aveva ricevuto risposta, dato che, presumibilmente, non era fornito del sistema di doppio riconoscimento, come è d'uso per gli aerei militari. Dopo che il Boeing scomparve dai radar, l'aereo militare, secondo le sue parole, <fece barra sopra l'area in cui era caduto il mezzo civile>.

Ieri, il Presidente del parlamento della Repubblica popolare di Donetsk, Andrej Purghin, ha definito “non costruttivo per le indagini” il tentativo di istituire un tribunale internazionale: <nulla del genere è stato fatto> ha detto <quando ad esempio l'Ucraina abbatté un aereo israeliano sul mar Nero> (si trattava di un Tupolev della Siberian airlines in volo tra Tel Aviv e Novosibirsk) o quando, ha dichiarato il Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov, gli americani abbatterono l'aereo civile iraniano, con 290 persone a bordo, nel periodo di tensione tra USA e Iran. Lavrov qualifica l'insistenza sulla creazione del tribunale internazionale, come tentativo di esercitare pressioni sugli inquirenti. Purghin ha anche detto che l'indagine olandese <riveste un carattere chiuso, quasi di casta, perciò non infonde fiducia e lascia in sospeso molte domande sulla stessa metodologia d'indagine>.

Oggi nella Repubblica di Donetsk, nell'area dei villaggi di Grabogo, dove cadde l'aereo e di Petropavlovko (l'area delle ricerche dei resti) e nella vicina città di Šakhtërsk sono fissate iniziative funebri, per ricordare i 298 morti. Con le parole con cui Neottolemo ammonì Odisseo: <E giustizia scaltrezza sovrasta>.


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Olanda: "il Boeing malese abbattuto da un missile aria-aria”

Redazione Contropiano, 20 Luglio 2015 

Rossijskaja gazeta riportava ieri sera un'informazione dell'ultima ora a proposito dell'abbattimento del Boeing malese un anno fa sui cieli del Donbass, episodio attorno al quale in questi giorni l'interesse si è di nuovo risvegliato con accuse e controaccuse.
<Sullo sfondo del sempre più acceso dibattito al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sull'opportunità della istituzione di un tribunale internazionale per le indagini sulla tragedia del Boeing della Malaysia Airlines abbattuto un anno fa sul Donbass, giunge dall'Olanda una dichiarazione che può cambiare radicalmente il contenuto delle discussioni.
Il rappresentante della Procura Generale dei Paesi Bassi, Wim de Brun, ha dichiarato a "Interfax" che, nel quadro dell'inchiesta, si stanno tuttora analizzando due versioni – che l'aereo sia stato abbattuto da un missile "terra-aria" oppure da uno "aria-aria". E' possibile che i risultati provvisori delle indagini vengano pubblicati entro la fine dell'anno.
Quasi in contemporanea con le notizie dall'Olanda, è giunta da New York l'informazione sul rinvio della votazione, inizialmente prevista per la prossima settimana, della risoluzione sull'istituzione del tribunale internazionale.
Si può presumere che esista un legame tra questi due eventi. I paesi che insistono sull'istituzione del tribunale – oltre alla Malesia anche Belgio, Gran Bretagna, Australia e Ucraina – contavano sul fatto che l'indagine condotta dagli olandesi avrebbe dimostrato in modo univoco, in primo luogo, che il Boeing era stato abbattuto da un missile lanciato da terra e che, quindi, in secondo luogo, si sarebbe così individuata la responsabilità delle milizie popolari del Donbass. 
Ma, secondo il rappresentante della procura generale dei Paesi Bassi, le responsabilità per l'abbattimento del velivolo non sono ancora state stabilite. E il fatto che sul tavolo degli investigatori ci sia la versione di un possibile attacco aereo contro il Boeing - che confermerebbe univocamente la responsabilità di Kiev per l'accaduto - può risolversi in un grave impaccio per le autorità ucraine>.




(italiano / english)

Srebrenica’s legacy should be one of peace, not war

1) LINKS:
* UNA CITTA' TRADITA – versione italiana del documentario
* UPDATE OF SREBRENICA RESEARCH GROUP’S 2005 REPORT 
* MORE LINKS
2) Neil Clark: SREBRENICA’S LEGACY SHOULD BE ONE OF PEACE, NOT WAR


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E' disponibile una versione italiana dell'importante documentario norvegese UNA CITTA' TRADITA 

UNA CITTA' TRADITA (Civg Informa, 20 lug 2015)
Documentario dei registi norvegesi e giornalisti indipendenti Ola Flyum e David Hebditch. Parla dei fatti di Srebrenica del 1992-1995, durante la guerra in Bosnia-Erzegovina...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=fJ2qN3E52_w

In english and srpskohrvatski: Srebrenica - Izdani grad / A town betrayed (Norway 2009-2010 / 59min)

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----- Original Message ----- 
From: S. K.
To: undisclosed-recipients
Sent: Friday, July 17, 2015 9:07 PM
Subject: Srebrenica Report (2005) Update

SREBRENICA HISTORICAL PROJECT
Postbus 90471, 2509LL Den Haag, The Netherlands
E-mail: srebrenica.historical.project @ gmail.com
Web site: www.srebrenica-project.org

UPDATE OF SREBRENICA RESEARCH GROUP’S 2005 REPORT BY HERMAN AND PETERSON

          The twentieth anniversary of Srebrenica this year was marked by an intense propaganda campaign to reinvigorate the official narrative, focusing on the aggressively promoted memes of “genocide” and “8.000 executed men and boys.” Calm and reasoned examination of July 1995 events in Srebrenica and their background was notably missing. It so happened that 2015 marks another Srebrenica-related anniversary, the 2005 publication of the detailed Report of the Srebrenica Research Group. We therefore invited Prof. Edward Herman and David Peterson, as well as other original members of the group who are still active, to collaborate in the production of an Update on Srebrenica ten years later. What has changed? What new data are available now? Do facts about Srebrenica, as we have them today, challenge or reinforce the fundamental conclusions reached by Srebrenica Research Group in 2005?

          Prof. Edward Herman and David Peterson kindly responded to our invitation to re-examine Srebrenica and the remarkable result is this Update. “Srebrenica Historical Project” has the honor and pleasure to make this updated report, which might also be called “Srebrenica Revisited,” available to the general public.

          We believe that in a reasoned and thoroughly documented way this study demonstrates that the official Srebrenica narrative is unsustainable. Please feel free and encouraged to share it with friends on your mailing list and to post it on your blogs and social network pages.

Stephen Karganovic
Srebrenica Historical Project


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MORE LINKS:

Srebrenica: The Ugly Truth
(by Andy Wilcoxson, 11 July 2014)
... The summary execution of approximately 3,900 enemy soldiers and military aged men is an awful crime in its own right, but it’s hardly comparable to the Holocaust...
http://www.slobodan-milosevic.org/news/srebrenica071114.htm

Srebrenica Was An Inside Job (by Andy Wilcoxson, April 15, 2015)
... Alija Izetbegovic incited a massacre against his own people in Srebrenica because he wanted NATO to intervene in the Bosnian war on his behalf...
https://theremustbejustice.wordpress.com/2015/04/15/srebrenica-was-an-inside-job/

Charlie Hebdo, mobile cofins and the Nigerians of Srebrenica (by Grey Carter, July 11, 2015)
... Srebrenica became a graveyard for all the Bosnian Muslims, despite their date, place and cause of death...
https://theremustbejustice.wordpress.com/2015/07/11/charlie-hebdo-mobile-cofins-and-the-nigerians-of-srebrenica/


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Srebrenica’s legacy should be one of peace, not war


by Neil Clark, July 11, 2015

This weekend marks the 20th anniversary of the Srebrenica massacre. Around 8,000 men and boys were killed by Bosnian Serb forces in the worst single massacre in the wars in the Balkans in the 1990s.

The International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia deemed the massacre genocide, a finding upheld by the International Court of Justice. But have the right lessons been learnt from this appalling tragedy?

Srebrenica, along with the genocide in Rwanda, is regularly cited by 'liberal interventionists' in the West as an example of what happens when the US and its closest allies don’t ‘intervene’. It has been used not to promote peaceful solutions to disputes, but to strengthen the neocon/faux-left case for wars (aka, 'humanitarian interventions') against independent, resource rich countries that don’t run their economies to the benefit of the Western elites or have the ‘right’ i.e. pro-Western foreign policy orientation. We saw a classic example in 2011, during the build up to the NATO war against Libya.

We are told that British Prime Minister David Cameron pushed for military action against Colonel Gaddafi in Libya in 2011 because he did not want another Srebrenica. ‘There was a very strong feeling at the top of this government that Benghazi could very easily become the Srebrenica of our watch. The generation that lived through Bosnia is not going to be the pull-up-the-drawbridge generation, a Whitehall source told the Guardian.

But today, after that 'humanitarian intervention' to stop a possible Srebrenica, Libya is a failed state and a country in which thousands of people have been killed in the post-NATO violence, and which is far too dangerous for Westerners to visit.

‘If the Libya war was about saving lives it was a catastrophic failure’ wrote the Guardian’s Seumas Milne in 2011, and things have got much worse since then.

'Stopping another Srebrenica' liberal interventionist foreign policy has led to far greater loss of life than that which occurred in Srebrenica, and ironically the largest number of victims of the West’s policy have been Muslims. ‘Humanitarian intervention’ has led to the most un-humanitarian consequences.

In any case, the argument that Srebrenica was an example of what happens when the ‘benign’ West does not intervene to stop the bad guys is misleading to say the least.

While the direct responsibility for Srebrenica lies with those who ordered and carried out the slaughter, it's worth remembering that the massacre did not take place in a vacuum. It was part of a bloody conflict, which would not have occurred in the first place without Western interference.

Yugoslavia, a non-aligned communist nation, served its purpose in the old Cold War, but once the Berlin Wall came down it became the ’expendable country‘ for the Western elites. The last thing these elites wanted in the 90s was the continued existence of a large, independently minded country in southeast Europe, one that had a large army and where socialist and communist parties remained popular. "In post-Cold War Europe no place remained for a large, independent-minded socialist state that resisted globalization” admitted George Kenney, a former Yugoslavia desk officer at the US State Department.

As part of their strategy, the West supported politicians who wanted Yugoslavia to be broken up, men such as Franjo Tudjman in Croatia, and Alija Izetbegovic in Bosnia. At the same time they opposed and later demonized those who did not want a break-up of the country, such as Serbia’s socialist leader Slobodan Milosevic, who had declared at a meeting with European Community ‘arbitrators’ in October 1991: "Yugoslavia was not created by the consensus of six men and cannot be dissolved by the consensus of six men.” Serbia’s leaders wanted a referendum in which all Yugoslav citizens would be able to decide whether they wanted to stay in Yugoslavia, but the pro-secessionist leaders of the other republics, backed by the West, opposed such plans.

Germany, keen to have new client states in the region, promised Slovenia and Croatia diplomatic recognition if they broke away from Yugoslavia.

The US championed the cause of an ‘independent’ Bosnia. Washington opposed initiatives that would have kept Bosnia in Yugoslavia and urged Alija Izetbegovic to be more ambitious in his demands.

The man who really lit the blue touch paper for the Bosnian War was not Slobodan Milosevic, the Western war machine's number one bogeyman in the Balkans, but the US Ambassador Warren Zimmerman who urged Izetbegovic to renege on his acceptance of the 1992 Lisbon Agreement, which provided for the peaceful division of an independent Bosnia. ‘If you don’t like it, why sign it?’ said Zimmerman, a man who is largely forgotten today, but whose negative intervention helped plunge Bosnia into a vicious war.

Of course, at the 20th anniversary of Srebrenica all this background has been quietly ignored in the West. We are meant to condemn (quite rightly) the perpetrators, but not delve too deeply into how the fighting broke out in the first place. If there is mention of the wider picture in neo-con media, it’s usually to blame Milosevic for what happened, even though the International Court of Justice in 2007 ruledthat Serbia had not ‘committed genocide,’ not ‘conspired to commit genocide nor incited to commit genocide,’ and that Serbia had not been ‘complicit in genocide’.

If the US can be blamed for plunging Bosnia into civil war and sabotaging attempts to solve differences between the various parties peacefully, there is also US culpability for the Srebrenica massacre itself, according to a new Dutch television documentary. The programme claimed that American spies knew that Muslims were in grave danger in Srebrenica, but the US ruled out airstrikes against the Bosnian Serb military. “The shillyshallying on the Bosnian enclaves was gross political ineptitude and led to the evil of mass murder in Srebrenica,” wrote Robert Fox in the Evening Standard.

Although Srebrenica was the worst single massacre to take place in the Balkan wars, it’s also important to remember that terrible crimes were committed by all sides, including the NATO powers who illegally bombed the rump of Yugoslavia in 1999, and whose ‘hits’ included a passenger train, a television studio, a hospital, a refugee column and an old people’s home.

In the West we tend to hear only about Serbian crimes in the 1990s, because it was Serbia’s leadership that thwarted western ambitions in the region. But the Serbs, cast by the neocons and faux-left imperialists as the boo-hiss baddies of a black-and white conflict, suffered greatly too in the Balkan wars.

In ’Operation Storm’ in August 1995, around 200,000 Serbs were driven from their homes in the Krajina region in Croatia, in an operation that received the green light, logistical and technical support from the US.

“The Croatian rampage through the region left a trail of devastation. Croatian special police units, operating under the Ministry of Internal Affairs, systematically looted abandoned Serbian villages. Everything of value (cars, stereos, televisions, furniture, farm animals) was plundered and homes set afire,” wrote Gregory Elich in ‘NATO in the Balkans.’

If an ‘official enemy’ had carried out such an act of ethnic cleansing, we can be sure that there would have been several Hollywood films made about it by now, but it was carried out by the West’s allies and with Western help, so it has effectively been airbrushed out of history.

Another ‘non-event’ as far as neocon ‘humanitarians’ are concerned was the massacre of 49 Serbs on Orthodox Christmas Day 1993 in the village of Kravica, near Srebrenica. As I noted in my 2008 Guardian article on Serbophobia: “The town (Kravica) recently held a commemorative service to mark the 15th anniversary of the atrocity: no members of ‘the international community’ were present.”

Of course, the fact that Serbs had been massacred in the area previously in no way excuses what took place at Srebrenica in July 1995. But it does show that the Srebrenica massacre was part of a brutal conflict in which many other heinous crimes took place: crimes that the Western elites want us to forget as they don’t fit in with the dominant narrative that the Serbs were to blame for everything.

Had the Western powers acted responsibly in the 1990s and made it clear that they would not support illegal, unconstitutional breakaways from Yugoslavia, then its highly likely that war in the Balkans would have been avoided.

However, the West did the worst possible thing: they encouraged separatist leaders, fomented a civil war and then stood by as an appalling massacre took place. Then to make things even worse, they have used the massacre as a justification for more ‘interventions’ that have killed many more people.

It was a similar scenario with Rwanda, the other example that liberal interventionists love to use to justify their ‘humanitarian’ wars. The genocide that occurred there was preceded by US attempts to destabilize the country and to use the Tutsi-dominated Rwanda Popular Front (RPF), (which invaded Rwanda from US ally Uganda in 1990) to fight against the Hutu government, which was a block on the US attempts to increase its influence in the region.

Again, this background is rarely discussed; only the genocide against the Tutsi which broke out after the plane carrying Rwanda’s Hutu President, Juvenal Habyarimina was shot down as it came in to land at Kigali airport.

The role of foreign powers in destabilizing Rwanda and fomenting civil war for furtherance of their geo-political aims doesn’t fit in with the neat and tidy ‘liberal interventionist’ narrative that the Rwandan genocide occurred because the US and its allies ‘did nothing.’

This weekend, it’s right and proper that we pause to remember the men and boys whose lives were so brutally extinguished in the massacre at Srebrenica. Yet, as terrible as Srebrenica was, the numbers killed there have been dwarfed by the number of people killed in the last twenty years in Western wars of intervention. Earlier this year, a new report, which I discussed in a previous OpEdge piece here, revealed that at least 1.3 million people had lost their lives in the so-called US led ‘Wars on Terror’ in just three countries, Iraq, Pakistan and Afghanistan.

In addition to these, we must also add the numbers of people who have been killed in Libya, during and after the NATO intervention, in Yemen, in Palestine/Gaza and in Syria, a conflict fuelled by the support of the US and its allies for violent ‘rebels.’ It would have been over ages ago if the US had genuinely wanted peace, instead of gunning for ‘regime change’ at any cost.

There is more than a whiff of hypocrisy when Western leaders stand with solemn expressions on their faces at Srebrenica memorial services, yet evade any responsibility for the death and destruction their own warmongering policies have caused.

The Muslims massacred at Srebrenica are remembered (rightly), but there are no ceremonies for the millions of Muslims killed in Iraq, Gaza, Libya, Afghanistan, Pakistan and elsewhere by the US and its allies.

It leaves a bad taste in the mouth too when those who supported the illegal invasion of Iraq and other recent Western military ‘interventions’ that have caused large scale loss of life, have the audacity to falsely and libelously accuse genuine anti-war, anti-genocide voices, such as the media monitoring organization Media Lens, of denying the Srebrenica massacre.

We should never allow supporters of the Iraq war, which has led to the deaths of around 1 million people, to claim the moral high ground when it comes to the Balkans.

Twenty years on, it’s time we learnt the right lessons of Srebrenica and not the wrong ones the neocons want us to learn. We need less Western ‘intervention’ around the world, not more. We need more genuine peacemaking and an end to the fomenting of civil wars in countries the Western elites want ‘regime changed’ or destroyed. And whenever we hear or read a neocon or ‘liberal’ hawk calling for Western ‘intervention’ in this or that country to prevent ‘another Srebrenica,’ we need to remind them how many innocent people have been killed by Western ‘interventions’ since Srebrenica, and also how the Balkan wars started in the first place.



Neil Clark is a journalist, writer and broadcaster. His award winning blog can be found at www.neilclark66.blogspot.com





REPLICA AL COMUNICATO DEL PRESIDENTE A.N.P.I. SU SREBRENICA

La ricezione della nota a firma Carlo Smuraglia, presidente nazionale A.N.P.I., contenuta nel bollettino ANPINews n.170 (14-21/7/2015), costringe a una presa di distanza netta ed esplicita


Il lungo comunicato di Smuraglia [riprodotto di seguito] ripropone in acritica sequela tutti i luoghi comuni e le informazioni tendenziose, esagerate e/o false costruite e fatte circolare dal luglio 1995 ad oggi, alle quali abbiamo in numerose occasioni ribattuto con contestazioni e critiche documentate e analitiche, una cui sintesi è reperibile nel documento tradotto proprio in occasione di questo ventennale:

Stefan Karganovic, Aleksandar Pavic (Srebrenica Historical Project): SREBRENICA 1995-­‐2015: Solamente i fatti...
Nel merito osserviamo quanto segue:
- in vista della presa di controllo di Srebrenica da parte dell'esercito della Repubblica Serba di Bosnia, la città fu evacuata da migliaia di donne, vecchi e bambini (*); non citarlo e viceversa affermare che "i Serbi ... chiesero la consegna di tutti gli uomini validi ... per evacuarli e portarli in altri campi" è una inversione dei fatti storici;
- non solo i numeri del massacro, ma anche il fatto ben noto che i civili che lo richiedevano siano stati evacuati dalla città prima della presa di controllo, contraddice chi parla di "genocidio"; quindi dilungarsi su questa terminologia è demagogico e mira a rincarare il linciaggio morale della parte serbo-bosniaca. Bene ha fatto la Russia a porre il veto sulla bozza di Risoluzione presentata dalla Gran Bretagna a tale scopo;
- il nuovissimo e rozzo scandalo mediatico della "fornitura di benzina", se depurato del pregiudizio isterico antiserbo, altro non è che la evidenza di una operazione concordata tra serbi e ONU per la evacuazione dei civili dalla città;
- sulle persone uccise contestualmente alla presa di controllo di Srebrenica da parte dell'esercito della Repubblica Serba di Bosnia, si offrono numeri gonfiati (vedi documento di cui sopra), si immaginano modalità inutilmente truculente ("massacrati, prima con le forme più barbariche ... uccisi a randellate o a colpi di ascia"), si aggiungono dettagli falsi (le donne stuprate);
- "Le scene ... di ciò che avvenne all'interno della città, anche sulle donne, delle quali molte furono violentate o subirono feroci torture, furono fotografate persino dai satelliti": chiediamo a Carlo Smuraglia di rendere pubbliche queste foto satellitari degli stupri e delle torture di cui parla;  
- l'idea di una Srebrenica trasformata in un "grande campo di concentramento" è un inedito, che supera le peggiori esagerazioni della stampa nostrana;
- su ragioni e dinamica della presa di controllo di Srebrenica da parte dell'esercito della Repubblica Serba di Bosnia, si consideri che tale operazione fu consentita dall'ONU a seguito di accordi (perciò l'accusa di "abbandono" da parte del contingente olandese), come dimostra proprio l'evacuazione dei civili;
- i morti ammazzati nell'operazione furono in parte causati da scontri tra le due fazioni (armati musulmano-bosniaci erano rimasti in gran numero nell'enclave anche se abbandonati e traditi dai loro stessi leader, si veda il documentario "Una città tradita") e in parte – ma ben meno di ottomila – soggetti ad azioni vendicative da parte di serbi, soprattutto locali;
- in merito a quest'ultimo punto, ciò che viene infatti regolarmente omesso nelle narrazioni "alla Smuraglia" è che negli anni precedenti la città, benchè dichiarata "zona protetta ONU" e sulla carta smilitarizzata, era stata usata come base per le milizie musulmano-bosniache comandate da Naser Oric, che soprattutto nel 1992-1993 con diverse incursioni in quartieri e sobborghi a prevalente popolazione serba avevano causato circa 4000 morti massacrati nelle maniere più incredibili (**).

A cosa sia servita "Srebrenica", cioè la provocazione di un evento militarmente anomalo (fuga degli stati maggiori musulmani, "abbandono" ONU, presa di controllo serba senza osservatori indipendenti) e la sua successiva manipolazione mediatica, è presto detto:
1) a "coprire mediaticamente" la presa di controllo delle Krajine da parte dell'esercito della Croazia di Tudjman: questa, si, una vera e propria pulizia etnica (mezzo milione di serbi autoctoni scacciati o uccisi), forse l'unica perfettamente riuscita nelle guerre jugoslave 1991-1999, della quale pure cade il ventennale questo mese – ma non ne sentiremo parlare da Smuraglia né sui TG;
2) a "preparare mediaticamente" l'attacco finale contro i serbi di Bosnia: dopo un nuovo eclatante "casus belli" – la seconda strage del mercato di Markale a Sarajevo, 28 agosto, organizzata dai servizi segreti bosgnacchi di Rasim Delic in collaborazione con la NATO (cfr. Michele Gambino su "Avvenimenti" del 20/9/1995 e Tommaso Di Francesco sul "Manifesto" del 3/10/1995) – all'inizio di settembre 1995 la NATO attacca i serbi con bombardamenti all'uranio impoverito su tutto il territorio da questi controllato in Bosnia. 
Seguiranno gli Accordi di Dayton e seguirà la fuga di altre decine di migliaia di residenti serbi da Sarajevo.

Lo stile del comunicato di Smuraglia ci indigna profondamente, poiché richiami altisonanti a diritti umani e moralità nei rapporti internazionali sono in effetti utilizzati per stigmatizzare una e una sola delle parti in conflitto in Bosnia. La ripetizione numerose volte, nella nota di Smuraglia, del concetto di "barbarie" affibbiato al popolo serbo, ci appare in contrasto con le ragioni fondative dell'A.N.P.I., visto che da questa parte dell'Adriatico troppe volte abbiamo sentito fare appello alla nostra presunta superiore civiltà per scatenare in epoca moderna guerre di stampo razzista.
La mancanza di verifica delle informazioni e soprattutto la pervicace opposizione ad ogni possibilità per "il nemico" (serbo) di esporre la sua versione dei fatti sorprende e amareggia soprattutto quando viene da un avvocato come Smuraglia, che ben conosce il significato della espressione "audiatur et altera pars".
Inoltre, ci scandalizza che tutto questo sia utilizzato da Smuraglia per dichiarare in conclusione "scaduta" la sovranità degli Stati, una tesi troppe volte usata per giustificare le "missioni umanitarie" della NATO negli ultimi 20 anni.

Va rilevato come la recente cerimonia tenutasi al centro memoriale di Potocari (Srebrenica) per il ventennale, alla quale hanno preso parte Bill Clinton e Madleine Albright con tutta la loro corte composta da politicanti occidentali ed altri servili apprendisti, ha avuto il suo apice nel tentativo di linciaggio fisico del presidente della Repubblica di Serbia, benché quest'ultimo si fosse recato lì proprio in uno sforzo generoso di riconciliazione, nonostante il linciaggio morale cui la Serbia e i serbi continuano ad essere sottoposti da parte dei commentatori e benpensanti di turno.

Sulla questione jugoslava e serba oramai da un quarto di secolo si alternano incomprensioni e campagne diffamatorie delle quali si rendono protagonisti soprattutto esponenti di spicco della sinistra di derivazione antifascista. Poiché abbiamo già conosciuto direttamente le conseguenze di queste retoriche, le riteniamo non più tollerabili. Certamente non ci sono parti in causa "perfettamente innocenti" nella guerra civile bosniaca; tuttavia le rappresentazioni unilaterali e disinformate–disinformanti non fanno altro che favorire politicamente e sobillare gli estremismi delle parti in conflitto, contribuendo allo scempio dei valori della Resistenza antifascista e multinazionale, su cui un paese come la Jugoslavia era stato fondato. 
D'altronde, nelle incongruenze e omissioni della narrazione di Smuraglia riconosciamo la stessa filigrana delle incongruenze e delle omissioni su cui si basa la violenta campagna mediatica rilanciata in questi giorni. Di tale campagna conosciamo alla perfezione le ragioni politiche e militari attuali, così come negli anni Novanta ci era chiara l'intenzione occidentale di squartare quel paese colpendone proprio, in primis, il collante antifascista e multietnico. A Smuraglia da questo punto di vista vorremmo concedere la buona fede, cioè le buone intenzioni; ma, si sa, di buone intenzioni è lastricato l'inferno. 

Andrea Martocchia
segretario, Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS

(*) Alcuni video della evacuazione:

(**) Le foto nel libro "SREBRENICA. Come sono andate veramente le cose"

Altra documentazione consigliata:

* DOCU-FILM: Srebrenica - Una città tradita (Izdani grad / A town betrayed – Norway 2009-2010 / 59min)
VIDEO: http://www.youtube.com/watch?v=RUuhSGnLvv8  ili:  http://www.youtube.com/watch?v=3_TxfVLSXmI
Discussion: https://www.cnj.it/documentazione/srebrenica.htm#links

* la nostra pagina dedicata alla campagna di disinformazione strategica su Srebrenica
https://www.cnj.it/documentazione/srebrenica.htm


--- Di seguito la Nota di Carlo Smuraglia:

Srebrenica: un terrificante, barbarico, vergognoso massacro

Per chi non conoscesse o non ricordasse, Srebrenica è una cittadina della Bosnia orientale, circondata dai monti. Abitata essenzialmente da mussulmani, fu presa di mira dai Serbi, che non potevano tollerare una simile vicinanza di religioni e di razze. Poiché le intenzioni apparivano chiare, Srebrenica fu dichiarata “zona protetta” dall’ONU e furono inviati sul posto, per garantire la sicurezza, i Caschi Blu dell’ONU, tre compagnie, per un totale di 600 militari olandesi. La gente, sia pure con non poche preoccupazioni e angosce, si sentiva protetta, ma sbagliava perché per alcuni dei “grandi” del mondo (USA, Francia, Gran Bretagna) la partita era già chiusa, riconoscendosi il diritto dei Serbi al predominio sull’intera zona.
Fu così che Srebrenica, sotto gli occhi del mondo, peraltro assai distratto, diventò progressivamente un grande campo di concentramento, in cui furono praticati abusi e torture, fra le più barbariche.
Nel luglio 1995, i Serbi decisero di entrare a Srebrenica in forze, chiesero la consegna di tutti gli uomini validi e la benzina necessaria per evacuarli e portarli in altri campi. Ebbero gli uomini ed ebbero trentamila litri di benzina, proprio dai Caschi Blu, che preferirono non fare domande.
Le scene della evacuazione e della destinazione a specifici campi, nonché quelle di ciò che avvenne all’interno della città, anche sulle donne, delle quali molte furono violentate o subirono feroci torture, furono fotografate perfino dai satelliti, ma nessuno intervenne.
Gli uomini furono letteralmente massacrati, prima con le forme più barbariche (molti furono uccisi a randellate o a colpi di ascia) e poi, per accelerare i tempi, fucilati. Ottomila vittime all’incirca, ma di circa milleduecento non sono stati ancora trovati i corpi. Un certo numero di resti è stato tumulato tre giorni fa, in occasione della giornata di ricordo. Insomma un orrendo massacro, risoltosi in una vera e propria “pulizia etnica”.

Il mondo tacque, distratto da altre vicende e da altri interessi o rinchiuso nei propri egoismi. I “grandi” non alzarono un dito perché, alla fine, si trattava di qualcosa che avevano già ritenuto ineluttabile e sui modi non valeva la pena di intervenire.
Difficili furono perfino le ricerche dei responsabili; la Corte di Giustizia dell’Aja riuscì a processare e condannare 14 persone, ma si stentò molto ad ottenerne la consegna. Due responsabili di primo piano attendono ancora oggi il verdetto.
Si è discusso tardivamente, se si sia trattato di un massacro o di un vero e proprio “genocidio”. Non si tratta di una questione etimologica; i massacri, purtroppo, possono avvenire e sono avvenuti nel corso della seconda guerra mondiale, per tanti motivi, sempre abietti e disumani; ma il genocidio è qualcosa di più, è la volontà di eliminare un popolo, una razza, se possibile, di fare insomma quella che è stata definito una “pulizia etnica”. Il Tribunale penale dell’Aia e la relativa Corte d’Appello hanno affermato trattarsi di un genocidio, ma l’ONU non è ancora riuscita a riconoscerlo. Anche in questo periodo è stata presentata una nuova mozione a riguardo, ma è stato subito posto il veto, per esempio, dalla Russia.
Questa vicenda terribile si presta a considerazioni molto amare: dove eravamo, tutti, l’11 luglio del 1995? Quanti hanno saputo e non si sono neppure troppo commossi (in fondo, si è pensato, erano mussulmani); le grandi potenze hanno obbedito a interessi nei quali non c’è posto per i diritti umani; l’ONU, come spesso accade, non è servita a nulla (anzi le sue truppe hanno perfino consegnato la benzina ai massacratori e non hanno alzato un dito per difendere “l’area protetta”).
Come questo possa avvenire in un mondo che pretende di essere “civile” è veramente incredibile e inquietante. Certo, numericamente, sono accaduti fatti ancora più gravi in Africa (basterebbe ricordare il milione di Tutsi uccisi in Ruanda); ma, a prescindere dal fatto che l’Africa è più lontana e spesso i fatti arrivano alla nostra conoscenza tardivamente e male, anche lì non ci furono interventi validi dell’ONU, né alcuno si oppose concretamente al massacro. Dunque, non è questione di numeri, ma della concreta possibilità che tremende vicende di questo tipo si verifichino ovunque, anche a due passi da casa nostra, nella predominanza di interessi poco edificanti e tra il rassegnato e disinformato silenzio dei popoli.
Eppure, esiste dal 1948 una “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo”, emanata dall’ONU e accolta con entusiasmo da quanti pensarono che bastasse una dichiarazione così solenne e unitaria, poco dopo l’esperienza di un’altra tremenda guerra mondiale, ad esorcizzare ogni pericolo.
Ne hanno fatto strazio, di questi diritti umani, in tanti e in tanti Paesi, per cui Srebrenica è oggi divenuta un simbolo di una realtà che raccoglie, oltre alla barbarie degli autori del “genocidio” , anche il cinismo dei potenti, la loro obbedienza talora ad interessi poco commendevoli e non rispettosi della persona umana, l’inefficienza e l’incapacità dell’ONU ad essere un organismo capace di dirimere i conflitti internazionali e di prevenire o impedire la barbarie.
Ancora una volta, bisogna alzare la voce, ognuno col suo Governo e col suo Parlamento e tutti con l’ONU, perché la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo diventi davvero un documento imprescindibile capace di sottrarre l’umanità alla discrezionalità delle scelte e degli interessi dei poteri forti, al predominio, di tanti tipi di fondamentalismi, che avanza.
Srebrenica ci ricorda che siamo in pericolo, non solo in Africa, in Medio Oriente, nel Mediterraneo ma anche qui, nei nostri Paesi, nella nostra “Europa unita”, perché non riusciamo a sconfiggere, in realtà, mali terribili come il fondamentalismo, la xenofobia, il razzismo, le disuguaglianze.

E bisogna alzare la voce anche nei confronti dell’ONU: riformiamola, se necessario, ma rendiamola davvero utile e al servizio della umanità. Da ogni governo dovremmo pretendere che a questo fine si adoperi, nell’arengo internazionale, con decisione e fermezza.
Infine, bisogna svolgere una grande azione di informazione e conoscenza del valore immenso che è insito nei “diritti umani”. Bisogna che essi siano davvero sacri, nell’interesse di tutti; occorre che là dove essi vengono colpiti intervenga sempre la giustizia, non riconoscendo, né primazia di poteri, né confini invalicabili rappresentati dalla sovranità degli Stati. Vicende come quella di Srebrenica non devono essere più concepibili, in nessuna parte del mondo, quale che sia la religione, la razza, l’etnia delle vittime; e se, nonostante tutto, questi fatti riescono ad accadere, bisogna che la punizione arrivi presto e con durezza, con l’impegno di tutti gli Stati a consegnare i responsabili, appunto, alla giustizia e con una precisa assunzione di responsabilità da parte di tutti coloro cui compete.
Parole al vento? Spero di no. Ma ancora una volta non si tratta di pretendere da altri che facciano il loro dovere; il valore fondamentale dei diritti umani esige uno schieramento in loro difesa da parte di tutti, in prima linea. Se ciò avvenisse, la proclamazione dei Diritti Universali dell’Uomo, diventerebbe finalmente un imperativo categorico cui a nessuno sarebbe consentito di sottrarsi.