Informazione
Equiparare "Srebrenica" a una strage del periodo nazifascista, o addirittura a un "genocidio", va di gran moda. Ad esempio, nel corso dell'estate, in una Pola invasa dai turisti in pantaloncini, una mostra dedicata ad Anna Frank rigurgitava riferimenti e fotografie su "Srebrenica"... Ha fatto bene, invece, la Russia all'ONU ad opporsi ad una Risoluzione che avrebbe voluto imporre tale equiparazione per decreto, a livello di Diritto Internazionale:
A quel punto la gente e' stata spintonata nell'unico tragitto rimanente e così si e' verificata la tragedia con oltre 700 morti (1300 secondo altre fonti) e oltre 2000 feriti con un bilancio che non smette di salire da ore.
Secondo il quotidiano la scorta dell'arrogante nipote del re era formata da 200 soldati e 150 poliziotti che costringendo la gente a transitare per un passaggio stretto, hanno causato un bagno di sangue.
Secondo Addyar il re saudita ha ordinato di censurare la notizia della presenza del proprio nipote che però e' affiorata in queste ore da più parti.
Il re Salman ha addirittura ordinato di preparare una lista di 28 funzionari sauditi da impiccare domani stesso per mostrare di aver punito i colpevoli ma sembra che la lista venga riempita arbitrariamente ed i veri responsabili, suo nipote e la scorta, rimarranno probabilmente impuniti.
La Nato, da organizzazione-parafulmine per gli Stati Uniti, dopo la caduta del Muro di Berlino si è poco per volta trasformata in una entità aggressiva alla ricerca di nemici ad ogni costo per giustificare la sua presenza...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=KEJC-O9tj74
http://www.limesonline.com/il-pentagono-prepara-le-guerre-evitabili-del-dopo-obama/86611 )
OPPONIAMOCI ALL’ESERCITAZIONE TRIDENT JUNCTURE 2015
Le contraddizioni causate dal dominio capitalistico ancora una volta stanno producendo crisi economica, rafforzamento della competizione tra le grandi potenze, aggressioni dirette ed indirette ai popoli dei Paesi più deboli e rafforzamento del militarismo. Ancora una volta si stanno creando le condizioni per un nuovo conflitto mondiale che tutte le classi dirigenti dicono di non volere ma che rafforzano ogni giorno di più con le loro scelte economiche, politiche e militari.
Le potenze occidentali, con capofila gli USA, per quanto in competizione anche tra di loro, perseguono al momento una politica unitaria nei confronti delle potenze emergenti di Russia e Cina ma soprattutto nella manomissione e aggressione verso i Paesi più deboli. Di tale politica unitaria la NATO è il dispositivo principale: uno strumento di convergenza e di coordinamento degli interessi dominanti dell'imperialismo euro-atlantico, uno strumento offensivo al servizio delle mire espansionistiche ed interventistiche delle grandi potenze occidentali, a scala planetaria, che tanti disastri stanno provocando in giro per il mondo. Dalla ex Jugoslavia all’Afghanistan, dall’Iraq alla Libia, passando per il sostegno ai cosiddetti “rivoltosi” di Ucraina e Siria, la Nato ha seminato morte e distruzione contro popolazioni e Paesi che non rappresentavano nessuna minaccia per l’Europa e per gli USA.
Ma il crescente militarismo, la corsa agli armamenti da esso indotto e la militarizzazione dei territori degli stessi Paesi facenti parte della NATO si rivela essere un potente strumento in mano ai governanti e alle classi dirigenti per disciplinare anche le proprie popolazioni, per imporre una gestione sempre più autoritaria delle istituzioni, per ridurre le possibilità di ribellarsi alle conseguenze della crisi ed alle politiche che l’accompagnano a difesa dei grandi poteri economici finanziari ed industriali.
Per tale motivo la lotta contro la NATO rappresenta uno dei nodi principali per contrastare il crescente militarismo, la politica di aggressione e le spinte verso una Terza guerra mondiale.
Dal 3 ottobre fino al 6 novembre si svolgerà in Italia, Spagna e Portogallo la «Trident Juncture 2015» (TJ15), definita dallo U.S. Army Europe «la più grande esercitazione Nato dalla caduta del Muro di Berlino». Con 36 mila uomini, oltre 60 navi e 200 aerei da guerra di 33 paesi (28 Nato più 5 alleati), questa esercitazione servirà a testare la forza di rapido intervento - Nato Response Force (NRF) - (circa 40mila effettivi) e soprattutto il suo corpo d’élite (5mila effettivi), la Very High Readiness Joint Task Force (VJTF), enfaticamente soprannominata “Spearhead” (punta di lancia), in grado di essere schierata in meno di 48 ore per rispondere “alle sfide alla sicurezza sui nostri fianchi meridionale e orientale”. In altre parole ad intervenire rapidamente, portando la “guerra preventiva”, ovunque si ritengono minacciati gli interessi occidentali estendendo, quindi, l’azione della Nato ad ogni angolo del mondo.
Parteciperanno all’esercitazione, oltre ad alcune tra le maggiori organizzazioni internazionali e governative, anche varie associazioni cosiddette umanitarie e diverse ONG, a dimostrazione della funzione collaterale alle politiche interventiste delle grandi potenze che molte di esse svolgono. Soprattutto vi parteciperanno le industrie militari di 15 paesi pronte a fare altri profitti fornendo le nuove armi di cui la Nato avrà bisogno.
Sebbene rappresenti un appuntamento decisivo per certificare le nuove strategie interventiste, Trident Juncture 2015 non è la sola grande esercitazione militare messa in campo dalla Nato.
Dall’“esplosione” della crisi ucraina le esercitazioni a ridosso dei confini russi sono più che raddoppiate. Decine di migliaia di uomini e centinaia di mezzi hanno partecipato alle manovre aereo-navali nel mar Nero, al largo delle coste sia di Romania e Bulgaria che della Georgia, nel mar Baltico, al largo della Norvegia e delle Repubbliche baltiche, rafforzando di fatto la presenza navale Nato. E ancora, esercitazioni terrestri in Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e nei Paesi baltici cui si sta accompagnando un crescente processo di riarmo con il trasferimento in questi Paesi di centinaia di carri armati, pezzi di artiglieria ed altri mezzi militari e l'avvio del programma di dispiegamento della cosiddetta “Difesa antimissile” in Polonia.
Una provocatoria stretta militare sulla Russia che, insieme alle pressioni sulla Cina con il dispiegarsi di mezzi militari nel Mar Cinese, aumenta il rischio di uno scontro diretto tra grandi potenze, portandoci dritti ad un nuovo conflitto militare internazionale.
Ma l’esercitazione è anche una prova di forza diretta a quei Paesi o pezzi di Paesi (ormai) riluttanti ad accettare supinamente il dominio dell’imperialismo. E’ di appena qualche giorno fa il minaccioso appello che i principali membri della Nato, Italia in primis, hanno indirizzato “a tutte le fazioni libiche” perché arrivino ad un “governo di concordia nazionale che, in cooperazione con la comunità internazionale, possa garantire la sicurezza al Paese (alias agli affari dei “nostri” imprenditori, al “nostro” petrolio, alle “nostre” coste) contro i gruppi di estremisti violenti che cercano di destabilizzarlo”.
Un pretesto, quello del terrorismo e dell’ISIS, che, insieme alla lotta contro i trafficanti di esseri umani, serve a legittimare le guerre e le occupazioni militari in corso in alcuni Paesi e le nuove aggressioni, al Medio e Vicino Oriente come ai Paesi dell’Africa Nord e sub-sahariana. Il via libera alla missione navale EuNavForMed con cinque navi militari, due sottomarini, l’uso dei droni, tre elicotteri e un migliaio di soldati per bloccare la partenza dei migranti dalle coste libiche, è solo la fase preparatoria di un nuovo intervento in Libia di cui l’Italia si candida ad essere capofila. Così come l’annuncio da parte di Francia e Gran Bretagna dell’invio di aerei in Siria per bombardare ufficialmente le postazioni dell’ISIS, ma di fatto l’esercito siriano, è un salto di qualità in direzione di un’aggressione diretta alla Siria.
Come al solito le diplomazie dei governi occidentali si vestono da (presunti) pompieri dopo che hanno provveduto essi stessi ad appiccare l’incendio. Così ora si crea un allarme per l’arrivo di tanti immigrati come se le politiche di strozzinaggio e di rapina prima e di aggressione militare diretta ed indiretta poi, di cui sono stati artefici, non fossero la causa scatenante di questo enorme afflusso di immigrati. Così l’emergenza immigrati viene strumentalizzata per giustificare un ulteriore livello di militarizzazione e per creare consenso alle politiche interventiste facendo leva sulla più bieca propaganda razzista di cui in Italia è capofila la Lega di Salvini. Le orribili scene di morte, che, data la presenza dei barconi, l’esercitazione nel Mediterraneo rischia di moltiplicare, e la repressione di questi giorni verso chi fugge da guerra, fame e devastazione ambientale rendono ancora più doveroso uno schieramento netto al fianco degli immigrati ed una mobilitazione forte contro queste odiose campagne xenofobe.
Opporsi alle esercitazioni per dire no alla politica di aggressione della Nato ed alla politica militarista del nostro governo è necessario.
Non possiamo essere complici della politica imperialista di distruzione e sfruttamento. Non possiamo più accettare che mentre ci chiedono continui sacrifici per “uscire dalla crisi economica”, mentre tagliano salari e pensioni, la sanità, la scuola, i trasporti, rendendo precaria la nostra stessa sopravvivenza, continuano a spendere miliardi per le spese militari che hanno ormai raggiunto cifre spaventose (la spesa militare italiana, secondo il SIPRI, nel 2014, è stata di circa 30 miliardi di dollari).
Non possiamo permettere che mentre si strozzano Paesi come la Grecia e si spendono centinaia di milioni per impedire l’arrivo dei migranti o per tenerli in lager come i CIE, ogni minuto si spendono nel mondo, con scopi militari, 3,4 milioni di dollari, 204 milioni ogni ora, 4,9 miliardi al giorno con il solo obiettivo di accrescere i profitti e difendere i privilegi delle classi dominanti.
L’esercitazione Trident Juncture 2015 sarà guidata dal Jfc Naples, comando Nato (con quartier generale a Lago Patria, Napoli) agli ordini dell’ammiraglio USA Ferguson, che è a capo delle Forze navali USA in Europa e delle Forze navali del Comando Africa. Non è occasionale: il Jfc Naples, infatti, si alternerà annualmente con Brunssum (Olanda) nel comando operativo della Nato Response Force, confermando il ruolo decisivo di Napoli nelle strategie dei comandi militari.
E’ per questo che, a partire dalla Sicilia, dalla Sardegna, da Poggio Renatico (Ferrara), da Pratica di Mare e Pisa, tutti coinvolti nell’esercitazione, proponiamo di costruire insieme una forte mobilitazione contro la Trident Juncture, la militarizzazione dei territori e le politiche di guerra, su tutto il territorio nazionale da far confluire in una manifestazione nazionale a Napoli il 24 ottobre.
Anche negli altri Paesi coinvolti dall’esercitazione - ad es., a Saragoza e Barbate, in Spagna - gli attivisti antimilitaristi hanno avviato una campagna di opposizione alle manovre Nato e stanno preparando mobilitazioni.
Lavoriamo sin da ora a coordinare le tante opposizioni che si daranno dentro e fuori dall’Italia per allargare e dare continuità ad un movimento contro la Nato e la guerra.
Napoli 24 ottobre 2015 Manifestazione Nazionale per dire:
1. No all’esercitazione militare NATO “Trident Juncture 2015”
2. No alle aggressioni militari e a qualsiasi ingerenza e manomissione portata avanti dalle potenze imperialiste
3. No alla militarizzazione dei territori, alle servitù militari e alla devastazione ambientale
4. No alle campagne razziste e xenofobe
5. Si al diritto d’asilo europeo per tutti i profughi ed al diritto alla libera circolazione per tutti gli immigrati;
6. Si al taglio delle spese militari e l’incremento delle spese sociali per: casa, lavoro, servizi sociali, reddito garantito, provvedimenti a difesa del territorio e dell’ambiente...
Napoli 16/09/15 Per info, adesioni e contatti: assembleanowar.na@gmail.com
Dichiarazione del Partito dei Comunisti della Repubblica di Moldova: “Vogliono trasformare la Moldavia in un cane che abbai contro la Russia, legato alla catena europea”
http://www.marx21.it/internazionale/area-ex-urss/23381-i-comunisti-moldavi-contro-gli-accordi-con-lunione-europea.html
Traduzione dal russo di Mauro Gemma
L'organizzazione sovranazionale che riunisce i principali partiti comunisti dell'ex Unione Sovietica interviene contro la brutale ondata repressiva che ha investito la Repubblica di Moldova, con la violenta reazione poliziesca nei confronti delle recenti manifestazioni contro la politica economica attuata dall'attuale governo del paese (che, ricordiamo, è legato da un trattato capestro di associazione con l'Unione Europea, simile a quello sottoscritto dal regime nazional-fascista dell'Ucraina) e l'arresto di esponenti dell'opposizione, tra cui il leader di “Blocco Rosso” Grigory Petrenko, membro onorario dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio di Europa (solidnet). Secondo i partiti comunisti dell'ex URSS sulla Moldavia incombe ora la minaccia di un'aperta dittatura di stampo fascista che, sull'esempio della vicina Ucraina, liquidi la presenza legale di un'opposizione politica e sociale nel paese.
Per parte nostra, esprimiamo l'augurio che quanto sta avvenendo in Moldavia scuota le coscienze dell'opinione pubblica del nostro paese e delle forze democratiche che la rappresentano, che (a parte qualche sporadica eccezione) su alcune derive di carattere fascista presenti in Europa (oltre alla Moldavia, in Ucraina e nei paesi baltici) continuano a conservare un rigoroso e inspiegabile silenzio. (MG)
Dichiarazione dell'Unione dei Partiti Comunisti-PCUS
Il Segretariato del Consiglio Centrale dell'Unione dei Partiti Comunisti-PCUS (UPC-PCUS) denuncia il comportamento del regime oligarchico instaurato nella Repubblica di Moldova che ha costretto il popolo moldavo a interrompere e invertire il cammino del proprio sviluppo storico. I tentativi di ripristinare il capitalismo agonizzante nella Repubblica si sono tradotti nella distruzione delle sue forze produttive, nel degrado sociale e morale della società, nell'impoverimento di massa dei lavoratori, nel dilagare di disuguaglianza e ingiustizia sociale.
Le masse popolari della Moldavia non possono certo approvare la politica controrivoluzionaria delle autorità della Repubblica. Dall'inizio di settembre, nella Repubblica si sono svolte molte affollate proteste pacifiche contro gli attacchi antipopolari del governo oligarchico. In un'operazione diretta a interrompere la protesta di massa dei lavoratori, le autorità moldave hanno fatto ricorso alla repressione contro i leader politici e gli attivisti dell'opposizione. La repressione della protesta popolare sta spingendo il governo moldavo a reazioni estreme: all'instaurazione di un regime fascista, di un'aperta dittatura terrorista.
A nome dei 17 partiti comunisti che operano sul territorio dell'Unione Sovietica distrutta in modo criminale, il Segretariato del Consiglio Centrale dell'UPC-PCUS dichiara: le azioni del regime antipopolare in Moldavia, orientato alla dittatura fascista e indirizzato alla soppressione della protesta popolare, non potranno salvarlo dal crollo imminente. Le aspirazioni controrivoluzionarie dell'oligarchia compradora all'intensificazione dello sfruttamento e dell'oppressione delle masse lavoratrici si scontrano con le leggi oggettive dello sviluppo sociale, generano conseguenze distruttive e, in ultima analisi, sono destinate al completo fallimento.
Il Segretariato del Consiglio Centrale dell'UPC-PCUS
Oggetto: Stop repression against antifascist leaders in Moldova! Sign the petition!
Data: 18 settembre 2015 01:36:50 CEST
A: jugocoord @ tiscali.it
Tell Moldovan officials,
President Obama and European Union:
Free Grigory Petrenko
& Anti-Oligarchy Protesters
https://goo.gl/tNrBg1
Emergency picket and press conference
NEW YORK CITY
Monday, Sept. 21
5pm to 6pm
Moldovan Mission to the UN
35 East 29th Street, New York, NY 10016
Called by Solidarity with Ukraine Antifascists Committee
Facebook event page:
facebook.com/events/1624868801102896/
On Sept. 6, police in Chisinau, Moldova, brutally attacked a protest against oligarchy and austerity. Several hundred people had marched to the Prosecutor General's Office (similar to the Department of Justice) demanding the resignation of the country's attorney general over growing repression of the popular movement, and calling for the arrest of oligarch and political kingmaker Vlad Plahotniuc. Dozens were injured in the ensuing police riot.
Seven protest leaders were arrested, and some were beaten in custody. At first officials said they would be held for 72 hours. But a judge extended their imprisonment to 30 days. This decision was upheld by the appeals court on Sept. 14-15.
Who are the political prisoners? Grigory Petrenko, initiator of the march, leads the socialist and antifascist Red Bloc party. He is a former parliamentary deputy well known throughout Moldova. His fellow detainees, known as the "Petrenko Group," include Pavel Grigorchuk and Mikhail Amerberg, antifascist youth leaders who spent several months in jail in late 2014 - early 2015 on frame-up charges. Alexander Roshko, Oleg Buzni, Voya Jurat and Andrew Druz are all Red Bloc organizers.
Petrenko's party has been building a movement of workers, farmers and pensioners against austerity measures imposed by the ruling Alliance for European Integration. This summer, protests initiated by Red Bloc against planned hikes in utility rates and fuel prices succeeded in stopping some of these attacks. Red Bloc has made headway with its program of solidarity among all nationalities and language groups and upholds Moldova's proud antifascist traditions. That's why Grigory Petrenko and his comrades were targeted for arrest.
On Sept. 15, Petrenko's spouse, Lilia Petrenko, was harassed by dozens of police carrying machine guns, who planted "evidence" in her vehicle. The frame-up attempt was caught on amateur video (view here: http://goo.gl/iHpVMB). Red Bloc reports growing intimidation and repression across the country, including illegal raids of offices and members' homes.
What's going on in Moldova? Moldova is a country of 3.6 million people sandwiched between Ukraine and Romania. Since 2007, the country's government has been dominated by politicians representing local oligarchs who want to join the European Union and NATO. To do this, they have privatized and sold off local industry, cracked down on agricultural trade with Russia, and adopted increasingly repressive, anti-communist measures. The regime headed by Moldovan Prime Minister Valeriu Strele? and President Nicolae Timofti is allied with the far-right junta in Ukraine, which jails oppositionists, celebrates Nazi collaborators and wages war against the people of Donbass with U.S.-NATO support.
Today there is growing dissatisfaction in Moldova, which has seen thousands take to Chisinau's central square. However, this movement, headed by a coalition called the "Yes Platform," is dominated by right-wing proponents of Euro-integration, just like the government. The leaders of this movement are mostly angry about being shut out of the spoils by Plahotniuc.
Under pressure from the EU, Washington and NATO member Romania, Moldova could follow Ukraine into the abyss of fascism and civil war - whether under the current regime or a "pro-European" replacement. Petrenko and his Red Bloc comrades recognize this and are trying to build a genuine people's movement to counter this trend. They demand an end to the political domination of the oligarchs, an end to austerity and selling off of the country's industry and resources, peace with neighboring Transnistria, and restoration of friendly relations and trade with Russia.
Why should people in the U.S. care? In 2014, the anti-war and progressive movement was caught off guard by the right-wing coup in Ukraine. As a result, Washington had a free hand to push its agenda of NATO expansion and engage in provocative threats against Russia.
Some 7,000 people have died in Ukraine's "Anti-Terrorist Operation" against the Donetsk and Lugansk People's Republics. Nearly a million people have been made refugees by the war in Donbass and thousands of Ukrainians have fled political repression and the military draft. Billions of dollars that should have been spent on food assistance, schools and jobs here at home has been siphoned off to bail out the bankrupt Kiev regime and arm it for more war.
The current Moldovan government and many of its opponents in the "official" opposition seem determined to follow a similar path. The war-makers of both parties in Washington would be happy with this development, because it would mean another foothold for NATO expansion and war against Russia. But for people in the U.S. and all over the world, it would mean more cutbacks and even greater danger of a wider war that could engulf all of Europe.
What can I do? Sign the petition (https://goo.gl/tNrBg1) and share it with your friends, family and co-workers.
Take a photo of yourself holding a sign with the hashtag #FreePetrenko and post it on social media. Don't forget to include a link to the petition!
In New York, join us Monday, Sept. 21 from 5-6 pm for a picket and press conference outside the Moldovan Mission to the UN. Happening during the opening of the 70th General Assembly of the United Nations, this will help bring national and international attention to the case.
Follow IACenter.org and No2NATO.org and for updates.
15 anni dopo i bombardamenti NATO della Serbia la corrispondente del giornale russo Komsolvskaja Pravda Daria Aslamova è andata in questo paese per vedere
che segno ha lasciato li' la guerra.
Quella primavera di quindici anni fa a Belgrado anche i non fumatori chiedevano sigarette.
Spopolava un tabacco di contrabbando a basso costo, che faceva diventare la gola secca e i polmoni scoppiavano dalla tosse mattutina, ma all'infelice città non importava. Fumavano ragazzini di dieci anni che hanno smesso di giocare alla guerra, fumavano studentesse in minigonne, rispettabili madri di famiglia e le vecchiette con occhi morti e vuoti. Fumavano persino i soccorritori quando trascinavano dal bombardato e ardente centro televisivo i corpi di sedici giornalisti.
Mi ricordo le loro facce, illuminate nel buio dal bagliore dell’incendio. La mattina iniziava con una sensazione di nausea, bicchieri di grappa che bruciavano lo stomaco vuoto, e "domacia kafa", un caffe casalingo (un caffè turco molto forte, patrimonio dell'Impero Ottomano). Non mi ricordo nemmeno quello che abbiamo mangiato. E non mi ricordo di aver dormito. La sirena nell'aria cominciava a lavorare alle 2 di notte, e nelle stanze bluastre per il fumo la gente balzava in piedi dalla sedia e correva alla finestra. Mi addormentai solo una volta, nella casa dei miei amici in Batajnica, un sobborgo di Belgrado, dove si trovava l'aeroporto militare. Mi hanno dato una bottiglia e mi hanno detto di bere fino a quando il soffitto non avrebbe girato come una trottola. È impossibile non dormire sempre. Alle due di notte nella mia camera esplosero le finestre, e io rotolai sul pavimento. Stavo a quattro zampe in mutande, sconvolta dalla paura, fino a quando mi ha tirata fuori sulla scala la padrona di casa di nome Melania. "Stai qui, disse. Se la casa crollerà, la scala resisterà. E di cemento armato. Vuoi una sigaretta? " Quella notte a Batajnica è morta una bambina di tre anni: Milica Rakic.
78 notti insonni si conclusero con la resa della Jugoslavia nel giugno 1999. La mostruosa macchina militare della NATO, unita alla forza ferrea anglosassone, ha spedito nel Medioevo un paese fiorente dei Balcani. I serbi scossi hanno pianto i morti e si sono detti: gli orrori della guerra sono alle spalle. Non sapevano ancora che il peggio stava solo iniziando.
"Sono tutti condannati!"
E' successo a Baghdad nel 2003, pochi giorni prima dell'inizio della guerra. Un interprete iracheno mi portò in ospedale, dove erano ricoverati i bambini da Bassora. Donne in hijab con facce pietrificate stavano vicino ai letti dei loro neonati che stavano morendo di leucemia e tumori linfatici, erano bambini di due e tre anni. Molti di loro muovevano a malapena il collo, li bloccava il gonfiore dei linfonodi. Questi erano dei bambini molto seri e silenziosi. Essi non piangevano. " Perché mi ha portato qui?" - Mormorai, sbalordita da ciò che vedevo. "Sono le vittime della guerra del Golfo", mi spiegarono. "Le vittime?! Ma gli americani hanno bombardato Bassora nel 1991!”.
“A quel tempo questi bambini non erano ancora in questo mondo!". "E' stata una mini guerra nucleare – raccontava il medico. Per l'operazione "Desert Storm" gli americani utilizzarono munizioni con uranio impoverito. In tutto sono state scaricate 320 tonnellate di uranio. Le madri di questi bambini hanno ricevuto una dose di radiazioni grave, ed i loro bambini sono stati condannati già nel grembo materno. Ma questa non è la cosa peggiore che vedete. A Bassora nascono bambini senza occhi e naso, senza braccia e gambe, senza cervello, con due teste. Le malformazioni congenite sono presenti in più della metà dei bambini. Solo che a nessuno importa."
Dopo pochi giorni guardavo dal balcone dell’hotel "Palestina" come di nuovo bombardavano la città di Baghdad. Allora il peggio mi sembrava la morte istantanea sotto le bombe. Dopo tutto, ero giovane e ingenua.
Insieme al Dott Radan Dzhodich, direttore dell'Istituto di Oncologia e il miglior chirurgo della Serbia, vado in sala operatoria.
"Il ragazzo ha solo 15 anni mi spiega il dottor Dzhodich. Cancro alla tiroide in forma grave". 15 anni. Quindi è nato l'anno dei bombardamenti della NATO, mi dicevo io facendo i conti.
Due ore dopo il medico Dzhodich tiene tra le mani di un pezzo di carne umana e mi spiega: ecco la metà della ghiandola tiroidea, in cui c'è il tumore. "Ora dobbiamo scoprire se ci sono metastasi". Pochi minuti agonizzanti, e diventa chiaro: il corpo delicato del ragazzo è pieno di metastasi. "Quello che riusciremo a rimuovere rimuoveremo. Poi cuciremo, dice con ottimismo il Dott Dzhodich. Il ragazzo avrà ancora una operazione, e probabilmente la chemioterapia. Lei deve essere stanca, vada via. Noi dobbiamo finire il lavoro. "
Cammino lungo il corridoio dell'ospedale, bagnata di sudore freddo, e appesantita dal dolore umano. Davanti ai miei occhi sta la stanza dove il medico Dzhodich esamina giovani donne. Alcune piangono amaramente. La maggior parte di loro hanno il tumore alla tiroide in forma disperata.
"La tiroide è la prima a reagire alle radiazioni radioattive, mi spiegava il dott. Dzhodich. Negli ultimi dieci anni in Serbia, il cancro alla tiroide è aumentato del 300 per cento. Il sarcoma è in rapida crescita e così la leucemia. La verità è che la NATO ha usato la nostra regione come una discarica per i rifiuti nucleari. Noi ancora non sappiamo quante bombe con uranio impoverito sono cadute sulla nostra terra. Negli ultimi dieci anni non abbiamo visto alcuna indagine governativa seria sulle conseguenze del bombardamento. Siamo solo medici. Il nostro lavoro è curare. Io lavoro in oncologia come chirurgo da 40 anni. E parlo come medico: il cancro sta diventando sempre più precoce, aggressivo e inoperabile."
Che cos'è l'uranio impoverito
Sono semplicemente scorie nucleari, il cui smaltimento ha sempre avuto costi inimmaginabilmente cari.
E' stato difficile trovare un paese dove si può tranquillamente, senza problemi con la stampa, seppellire le scorie nucleari. L’uranio impoverito 238 è un sottoprodotto della produzione di uranio arricchito 235. Il minerale di uranio attraversa centinaia di centrifughe, e all'uscita risulta 11% di uranio arricchito e 89% di uranio impoverito, che deve essere in qualche modo smaltito.
Nel 1970 agli americani è venuta un'idea brillantemente cinica su come utilizzare i rifiuti nucleari. L’uranio 238 è un pesante metallo radioattivo con una densità molto elevata (due volte superiore a quella del piombo, e leggermente inferiore a quella del tungsteno, un metallo molto costoso). E quindi può essere utilizzato con successo ed in modo economico per la produzione di proiettili perforanti con nuclei di uranio e proiettili, nonché per rafforzare i carri armati (il cosiddetto "uranokeramika", uno strato di uranio schiacciato tra piastre di acciaio).
Nel Pentagono non si pensava alle conseguenze dell'uso di piccole armi nucleari. Chi se ne frega dei bambini iracheni? O Albanesi? O serbi? Sì, gli scienziati avvertivano con tutta la responsabilità che l'uranio non è solo radioattivo, ma, soprattutto, chimicamente tossico. Esistono tre modalità di avvelenamento con uranio. Contatto diretto con la pelle (schegge di uranio nell'esplosione di un proiettile o carro armato). L'inalazione di polveri di uranio che vengono prodotte dalle esplosioni di bombe. E la terza via: l'acqua e la terra contaminate, che danno frutti avvelenati. Per realizzare tutto l'orrore di questi fatti, è sufficiente dire i tempi del suo dissolvimento. La longevità dell'uranio è di 4,5 miliardi di anni.
"Dopo i bombardamenti della ex Jugoslavia, abbiamo chiesto alla Nato le mappe che mostrano i luoghi in cui sono caduti i proiettili all'uranio, dice il famoso tossicologo serbo Radovan Kovacevic. La NATO ha fornito le mappe, ma ha cercato di minimizzare il danno. Ad esempio, hanno segnalato 112 posizioni. Personalmente ho trovato la posizione di una 113°, quando insieme ai volontari siamo saliti su una montagna vicino alla città di Vranje, dove c'era una torre della televisione. I rilevatori di radiazioni si sono quasi inceppati. I ragazzi mi hanno chiesto: "Capo, cosa facciamo? Non abbiamo nemmeno le tute protettive. "Ho risposto: "Prendiamo un campione del terreno e corriamo via." Ora questo luogo è circondato da filo spinato. Se solo io ho trovato un altro posto infetto non menzionato nelle mappe, chissà quanti sono in realtà ?! Quante erano le bombe? La NATO afferma che erano 31.000, i serbi 50 mila, e invece gli esperti russi sostengono che erano almeno 90 mila.".
Nel 1997, Radovan Kovacevic era il capo del Centro per la protezione dalle radiazioni. Già allora, in base all'esperienza della guerra del Golfo e i bombardamenti della NATO in Bosnia nel 1995, la Jugoslavia aveva messo in guardia la comunità internazionale, che la NATO utilizzava bombe con nuclei di uranio. La comunità internazionale rimase in silenzio, anche se l'allegato II della Convenzione sulla protezione fisica dei materiali nucleari del 1980, classifica l'uranio impoverito come materiali nucleari della seconda categoria.
Dopo l'aggressione dell'Occidente contro la Jugoslavia il tossicologo Dr. Kovacevic ha lavorato come medico in una squadra che era impegnata nella decontaminazione delle aree in Montenegro e a Lustica (allora parte della Jugoslavia). In pratica, avviene che si ispeziona uno strato di terra di diversi metri. Ma il fatto è che una parte dei proiettili penetrano più in profondità, e l'uranio così penetra nele falde acquifere sotterranee, ma le autorità hanno sempre preferito restare in silenzio.
"Ho lavorato con gli ufficiali, che sono stati coinvolti nella pulizia dei territori in Montenegro - dice il dottor Kovacevic. Quando si operava tutti avevano distintivi e indossavano tute speciali di protezione. Allo stesso tempo, quando abbiamo analizzato il loro materiale genetico, il 75 per cento di loro avevano anomalie tipiche delle persone esposte alle radiazioni. In quel momento tra gli ufficiali si è diffuso un focolaio di influenza, e abbiamo scoperto che anche il virus dell'influenza era mutato. Abbiamo anche controllato parte dei civili. L'uomo che portava il cibo agli ufficiali, è morto in tempi brevi di cancro linfatico. I primi a lanciare l'allarme sono stati i caschi blu italiani in servizio in Kosovo (e sul Kosovo sono stati buttati tre volte più proiettili all'uranio che nel sud della Serbia). Diverse migliaia di loro hanno sviluppato il cancro, ragazzi giovani e forti, e circa trecento di loro sono morti durante la missione.
In America i medici militari si sono preoccupati solo quando centinaia di allegri ragazzi americani, con spalle larghe e con denti bianchi, dopo la guerra in Iraq, sono diventati pazienti permanenti delle cliniche oncologiche"
“La mia opinione personale come medico è che l'uso di uranio impoverito nei bombardamenti comporta gravi conseguenze per la salute". Così parla l'ex ministro della Difesa e della salute della Jugoslavia, il famoso patologo, Dottor Zoran Stankovic.
"Con l'esplosione di una bomba, l'80 per cento si trasforma in polvere e il vento porta l'ossido di uranio a quaranta chilometri. L'uranio inalato entra nei polmoni e reni. Questo metallo pesante si deposita nel corpo, nelle ossa. Gli americani hanno fatto studi su soldati dopo la guerra nel Golfo Persico. Il 70 per cento degli uomini ha avuto bambini con difetti genetici, con anomalie. Abbiamo avuto un ufficiale che è stato coinvolto nella pulizia delle terre dopo il bombardamento. Sua moglie dopo è rimasta incinta e il bambino è nato senza una gamba, senza un occhio, una mano deforme con problemi cardiaci. E pensate: l'ufficiale era completamente attrezzato contro le contaminazioni. Ma questo non ha salvato suo figlio. Che cosa succede alle persone che semplicemente vivono lì, non sapendo del pericolo?"
La morte invisibile
Sotto l'erba di seta verde delle terre serbe e bosniache c'è un suolo avvelenato e acque che portano una morte lenta. La purezza pastorale dei paesaggi rurali sembra un'amara ironia sullo sfondo di un pericolo invisibile, affrontato dalla gente del posto.
"La cosa peggiore è che l'uranio attraverso la terra e le acque sotterranee, e penetra nella catena alimentare, dice il tossicologo Radovan Kovacevic. I nostri colleghi in Croazia, hanno trovato degli animali selvatici, contaminati con uranio. Dopo tutto, gli animali e gli uccelli non conoscono confini e si muovono liberamente nella regione. Qui in Serbia, abbiamo trovato tracce di uranio in cervi e fagiani. I nostri veterinari provenienti da Vranje hanno notato una forte crescita di leucemia in capre, pecore e mucche. A volte i proiettili all'uranio cadevano nei fiumi, uno è anche finito in un pozzo, nel sud della Serbia. Abbiamo esaminato il contadino che stava cercando di ripulire il pozzo. 3759 nanogrammi di uranio 238 per litro di urina! (Ai caschi blu in servizio in Kosovo ammalati di cancro, in un litro di urina trovavano fino a 231 nanogrammi, e nelle urine dei soldati americani dopo l'Iraq - 150 nanogrammi). Naturalmente, l'agricoltore è morto in poco tempo. In Serbia oggi il cancro è diagnosticato ogni giorno ad almeno un bambino. La NATO ci uccideva, non solo durante i bombardamenti. La NATO continua ad ucciderci come nazione da quindici anni, e il numero delle vittime è sempre in aumento. Un generale americano della NATO una volta disse: "Ancora 10 di queste guerre come in Iraq, e ci sbarazziamo totalmente delle scorie nucleari"
"La questione dell'uranio impoverito è da tempo diventata una questione politica, dice l'ex ministro della Sanità Zoran Stankovic. La Serbia stava cercando di presentare una denuncia al Tribunale dell'Aja contro i paesi che hanno bombardato l'ex Jugoslavia. Ma il procuratore Carla del Ponte ce l'ha negato per il fatto che i cambiamenti nei cromosomi delle persone esposte alle radiazioni, possono essere visti al microscopio elettronico entro un anno. Come dire: siete in ritardo. Ora è necessario effettuare l'esumazione dei cadaveri. Ma non ci sono né soldi né volontà politica. Quando i soldati italiani tornati dal Kosovo hanno cominciato a morire di cancro linfatico il governo italiano non ha voluto pagare risarcimenti alle famiglie e agli ammalati, e ha interrotto lo studio. Se le conseguenze dei bombardamenti con uranio per la salute umana sarano provate, è difficile immaginare quante compensazioni la NATO, dovrà pagare alle vittime (e in particolare agli americani), ai loro familiari e ai paesi infetti. Pertanto, nessuno è interessato alla verità.
"Preferiscono dimenticare".
La piccola città di Vranje nel sud della Serbia, il cuore della regione, è la più colpita dal bombardamento dell'uranio. Una tradizione locale: attaccare sugli alberi gli annunci dei funerali.
Sto in piedi sotto la pioggia fredda che piange i morti, e guardo i loro volti molto giovani. Il motivo principale: il cancro. Come la bambina di cinque anni, appena morta.
Ma la città vorrebbe grattare via dalla memoria l'anno 1999. Nessuno vuole ricordare i bombardamenti. Tutti sono tormentati dalla paura di essere espulsi di nuovo dal branco europeo. I serbi hanno bevuto fino al fondo il veleno dell'umiliazione, e il silenzio stabilitosi è colmo di sconfitta amara.
"Perché stai torturando la gente con i ricordi? Mi dice la anziana dottoressa V. Non possiamo aiutarli ormai. Penseranno che in ogni sorso d'acqua e in ogni pezzo di pane li aspetta la morte. Sì, è vero, il cancro è raddoppiato negli ultimi dieci anni. Ma se noi, medici, cominceremo da soli a raccogliere fatti e testimonianze per l'accusa contro questi criminali della NATO, ci uccideranno tutti uno per uno. Non potete neanche immaginare, di quanti soldi si potrebbe parlare! Io, come testimone, non voglio finire la mia vita in qualche "casuale" incidente d'auto"
"L' Istituto di Sanità Pubblica a Vranje ha preparato un piano: come studiare in dettaglio gli effetti dell'uso di uranio nella nostra regione, dice un giornalista locale Nikola Lazic. Per le ricerche sono necessari 250 mila euro, ma nessuno vuole pagare. C'è una legge del silenzio, come scelta della politica statale. Il governo della Serbia vuole aderire all'UE e alla NATO, e il prezzo per questo, è nascondere fatti circa il bombardamento. I medici in Vranje non amano parlare della crescita del cancro. Neanche noi, giornalisti, non riusciamo ad ottenere informazioni sulle persone malate".
L'operazione della NATO contro la Repubblica Federale di Jugoslavia è la seconda di una serie di cosiddetti "interventi umanitari".
La prima è stata l'operazione "Deliberate Force" contro i serbo-bosniaci nel 1995. Entrambe le operazioni sono state effettuate senza un mandato delle Nazioni Unite e rientrano nella definizione di "aggressione militare illegale."
Anche se il motivo principale per l'intervento sono stati considerati la pulizia etnica degli albanesi nella regione del Kosovo e Metohija (dal punto di vista di Belgrado, separatisti e terroristi), la causa segreta della "guerra immediata" dicono che è stato uno scandalo sessuale in cui era stato coinvolto il presidente degli Stati Uniti Bill Clinton scoperto in una relazione frivola con la stagista Monica Lewinsky. La situazione era stata prevista nel famoso tragicomico film «Sesso & potere» (Wag the Dog), uscito nel 1997, due anni prima della guerra contro la Jugoslavia. La trama del film è addirittura profetica: il presidente degli Stati Uniti, che è stato coinvolto in uno scandalo sessuale, inizia una guerra virtuale contro l'Albania per distrarre l'attenzione del pubblico.
Ma a differenza del film, la guerra contro la Jugoslavia non è stata un'immagine televisiva, ma una realtà sanguinosa.
Amnesia pubblica
Nessuna pietà per i vinti. I serbi l'hanno capito da tanto tempo. Rughe amare intorno alla bocca e occhi spenti con l'espressione “non m'importa", tutti questi sono segni di sconfitta.
Invece di gettare in faccia a tutto il mondo la sana rabbia slava, i serbi la ingoiano e la soffocano.
Per Belgrado, molto tranquillamente, passeggiano turisti americani, britannici, italiani e francesi, con interesse guardano gli edifici distrutti dalla guerra, si fotografano sul loro sfondo. Come se fosse solo un tour divertente per i luoghi di una guerra dimenticata, ma in cui il loro paese ha avuto un ruolo diretto.
"Parlare di bombardamenti ora è "politicamente scorretto"osserva con ironia il politologo Giorgio Vukadinovich. La nostra elite politica esita a parlare con persone provenienti da Occidente e ricordare loro la guerra, per non imbarazzarli casualmente. E’ un paradosso: in Serbia, abbiamo un elite pro-NATO, filo-europea e russo-scettica e il popolo pro-russo ed euro-scettico. Emotivamente, storicamente la gente qui è vicina ai russi. La Serbia è probabilmente l'unico paese al mondo in cui il presidente russo non è solo il leader straniero più popolare, ma ancor più popolare del presidente serbo. Putin porebbe facilmente vincere le elezioni in Serbia.
In ogni paese, per avere una certa influenza, si deve pagare. Qui amano la Russia gratuitamente. Ma ecco un altro paradosso: tutti i media locali sono completamente filo-occidentali e poco a poco stanno cercando di cambiare il filo-russismo del popolo. Che cosa ha fatto l'Occidente? Ha comprato l'elite politica, gli intellettuali e i media. Ci sono due modi per controllare i media: il loro acquisto oppure il ricatto con la pubblicità. Se scrivete in difesa della Russia, non avrete la pubblicità. Semplicemente.
Mosca gioca lealmente, contribuendo economicamente. La Russia ha aperto per i prodotti serbi una zona di libero scambio, e per questo motivo, molte aziende europee stanno costruendo fabbriche in Serbia, per vendere le loro merci in Russia con il marchio "made in Serbia". Ma la gente comune conosce queste cose? No! Nessun giornale non pubblicherà una cosa del genere. Però siamo costantemente bombardati dalla NATO con la propaganda europea: che dice che senza Europa la Serbia morirà. I media creano una "reltà mediatica" che non ha niente a che fare con la realtà. Per esempio, il nostro istituto "Nuovo Pensiero politico serbo" ha fatto un sondaggio nella popolazione e si è scoperto che il 70% si oppongono alla NATO e il 67,5% sono per l'alleanza con la Russia. Nessuno dei media ha avuto il coraggio di pubblicare i risultati del sondaggio.
I tempi dei giochi franchi è passato. Sì, Mosca ha creato la TV «Russia Today», molto bene, ma non è in serbo. Invece "Al Jazeera", per esempio, ha aperto una televisione balcanica speciale, in quanto questa è una zona enorme: Serbia, Croazia, Montenegro, Macedonia, Bosnia, Slovenia. Voi avete perso la guerra fredda, sottovalutando la "forza soffice, sottile" (soft power), e ora potreste perdere il mondo freddo. State esagerando con il fattore economico come lo avete sottovalutato durante l'era sovietica. Tutte le grandi società russe, come "Lukoil" e "Gazprom" stanno prendendo posizioni difensive nei Balcani. Sembra come la loro protezione dal racket. Essi sono disposti a pagare i media solo perché non si scaglino addosso. Si preoccupano di interessi corporativi ristretti. Ma per sostenere i blogger pro-russi e i siti web costa pochissimo. Alle aziende russe nemmeno gli viene in mente questa cosa! E questo nonostante il fatto che i loro progetti siano largamente dipendenti dal sostegno dell'opinione pubblica.
A Mosca, guardano sorpresi il fatto che la nave serba gira verso l'Occidente. Come mai? Vi hanno bastonati e voi andate dalla NATO? Da fuori sembra che i serbi siano masochisti. Ma siamo stati picchiati in parte per causa vostra, perché la Serbia è l'unico alleato della Russia in Europa. I politici russi dicono spesso: non possiamo essere più serbi dei serbi stessi. Ma anche i serbi stanno pensando: non possiamo essere più russi noi dei russi stessi"
Come Eltsin ha venduto la Jugoslavia
Il 12 aprile 1999 il Parlamento della Repubblica Federale di Jugoslavia, che era già stata "spianata"per bene dagli aerei della NATO, in preda alla disperazione ha votato per l'adesione della Repubblica all'Unione con Russia e Bielorussia.
Il parlamento russo ha appoggiato immediatamente la richiesta dei serbi agonizzanti e ha vivamente consigliato il presidente russo Boris Eltsin di avviare il processo di unificazione. Eltsin non ha detto nulla. Egli ha anche ignorato l'appello della Duma di inviare subito in aiuto ai Serbi dei consiglieri militari e armi.
"A quel tempo io conducevo le consultazioni con i partner russi dell'entourage di Eltsin e dissi loro: Difendeteci! Proteggendo noi, difenderete voi!"Ricorda l'ex Ministro degli Affari Esteri della Jugoslavia Zivadin Jovanovic.
Tutto questo era visto con grande scetticismo. Per la Russia del periodo di Eltsin l'unico partner "era Washington. Volevamo comprare armi. Ci hanno risposto: non avete soldi. Perché no? C'è il debito dell'URSS verso la Jugoslavia per un valore di quasi due miliardi di dollari. Prendete quei soldi e dateci missili e aerei. I russi hanno dichiarato che la Jugoslavia era grande, ma è diventata piccola. Quindi, la restituzione del debito dovrebbe essere discussa con le altre repubbliche. Ma voi avete la struttura del commercio, abbiamo contestato, secondo la quale il 70% dei beni sono stati acquistati dalla Serbia. Prendete quei soldi. Se non bastano, aggiungiamo noi.
Sono stato testimone della conversazione del Presidente della Jugoslavia Milosevic, poi morto nel carcere dell'Aja, con il vostro ministro degli Esteri Kozyrev, pochi anni prima dell'inizio della guerra. Noi non chiediamo la carità, diceva Milosevic. Abbiamo un milione di tonnellate di grano, conserve, mais. Siamo disposti a indebitarci, ma in qualche modo li restituiremo. Abbiamo chiesto di poter comprare l'ultima generazione di aerei da combattimento e petrolio, che potevano essere trasportati sul Danubio. Ma Kozyrev era talmente innamorato di Washington che guardava tutto attraverso gli occhi americani. Non è che non avrebbe fatto nulla per la Jugoslavia, non avrebbe fatto nulla neanche per la Russia. Tale era il pensiero politico e psicologico generale della leadership russa di allora. Abbiamo anche inviato i nostri piloti per allenarsi in Russia. Dopo di che, la Russia ha detto che anche se vi vendiamo gli aerei, come faranno i vostri piloti a volare sopra Ucraina, Ungheria, Bulgaria, Romania. Essi verranno abbattuti! Non è una vostra preoccupazione, abbiamo risposto. Voleranno a proprio rischio. La risposta della Russia è stata: no. Questa non è la nostra guerra. E noi abbiamo dovuto resistere in solitudine per 78 giorni alla più grande macchina militare dell'umanità".
Ma è possibile che nessuno allora a Mosca non avesse capito che quella era in primo luogo una prova generale per la guerra contro la Russia? Mi chiedo io.
"Nessuno. I russi non capivano che la distruzione della Jugoslavia era il primo passo verso la Russia. Ho chiesto loro: meglio proteggere la Russia cominciando dai Balcani o dagli Urali? Aiutateci, e aiuterete voi stessi. Fermiamola insieme l'espansione della NATO verso l'Est. I russi ci respingevano: state cercando di spostare i vostri problemi sulle nostre spalle, dicevano.
Allo stesso tempo io insistevo con i partener europei: se state pianificando una guerra contro la Jugoslavia, questa sarà una guerra anche contro l'Europa. Vi troverete in una tale morsa soffocante statunitense, che non sfuggirete più ai loro dettami. E qual è stato il risultato? L'Europa si è impegnata a combattere in Afghanistan, in Iraq, poi in Libia, Mali, Siria, e ora di fatto anche in Ucraina. Gli Stati Uniti spiano senza esitare e controllano milioni di europei. Quelli piangono e si lamentano. Ma tutto è logico. Dopo tutto, hanno accettato di ballare con il diavolo".
Nuovo Drang nach Osten
La strategia di Hitler di "Drang nach Osten", "Assalto all’Oriente" ha acquisito un nuovo significato alla fine del ventesimo secolo. Nonostante il fatto che Hitler abbia fallito, il piano, in generale, è stato adottato dalla NATO.
"Il nuovo assalto all’Oriente è iniziato proprio nel 1999 con il bombardamento della Jugoslavia" argomenta l'ex-Ministro degli Esteri Jovanovic Zivadin. "Il vero obiettivo geopolitico è l'espansione verso i confini russi. Dal 1999, l'America ha cominciato a creare la più grande base americana fuori dal suolo americano: Camp Bondsteel in Kosovo. Perchè in un cosi piccolo Kosovo una base cosi grande? Le serve per la Serbia? No.
Anche per i Balcani la base è troppo ampia. Qual è la ragione? Bacino del Caspio, bacino Caucasico, l'Asia centrale e la Siberia, ecco cosa giustifica l'esistenza di una simile base. Proprio con Bondsteel è iniziato l'aumento delle basi militari statunitensi in Europa, in Bulgaria, Romania, Polonia, Stati baltici, Repubblica Ceca. Ora in Europa, ci sono più basi militari degli Stati Uniti che al culmine della Guerra Fredda! Oggi il continente europeo è completamente militarizzato. Tutto questo è la preparazione per un assalto ai confini russi. Questo spiega la guerra in Georgia nel 2008 e il Maidan ucraino nel 2014. L'aggressione contro la Jugoslavia è stato un punto di svolta per l'intervento di globalizzazione. Lo scopo principale è prendere la Siberia, il più grande serbaroio terrestre di riserve naturali.
Nel 1999 alla Russia sembrava che si potesse a cuor leggero consegnare i serbi. "Basta che non scoppi la guerra, ripetevano i russi. Con gli americani ci metteremo d'accordo". Beh, ci sono riusciti? Le nuove autorità ucraine sono fermamente intenzionate ad aderire alla NATO.
Ora a Belgrado, per un'amara ironia della storia, nell’ex palazzo del Ministero della Difesa della Jugoslavia è stato aperto un ufficio della NATO, e l'esercito serbo è riformato da un generale americano. L'operazione contro la Jugoslavia nel 1999 è stata chiamata "Angelo Misericordioso ". Sapete cosa vi dico: L'Angelo Misericordioso sta già volando verso la Russia."
Post scriptum: nel 1938, dopo la firma dell'accordo di Monaco sul trasferimento della regione dei Sudeti alla Germania, Churchill disse grandi parole [contro questo accordo, ndt]: «Avete avuto la scelta tra la guerra e il disonore. Avete scelto il disonore, e ora otterrete una guerra". Un anno dopo è cominciata la seconda guerra mondiale. Allora, nel 1999, la Russia ha scelto il disonore, cedendo la Serbia, e già nel 2003 ha ricevuto la rivoluzione delle rose in Georgia, nel 2004 la rivoluzione arancione in Ucraina, nel 2008 la guerra con la Georgia, e nel 2014, alle proprie frontiere, una guerra civile in un'Ucraina (una volta fraterna). La logica della storia rimane la stessa: il tradimento e la vergogna vanno lavati via solo con sangue. Purtroppo, soprattutto il proprio.
Traduzione a cura del Forum Belgrado Italia/CIVG.it
Спустя 15 лет после натовских бомбардировок Сербии спецкор
«KP» Дарья Асламова отправилась в эту страну, чтобы посмотреть,
какой след оставила там война.Текст: Дарья Асламова
Той весной в Белграде пятнадцать лет назад даже некурящие просили сигарет.
В ход шел дешевый контрабандный табак, от которого саднило горло и разрывало легкие от утреннего кашля, но несчастному городу было наплевать. Курили десятилетние пацаны, переставшие играть в войну, дымили гимназистки в коротких юбочках, смолили почтенные матери семейств и старухи с пустыми мертвыми глазами. Курили даже спасатели, когда вытаскивали из разбомбленного горящего телецентра тела шестнадцати журналистов.
Я помню их лица, выхваченные из тьмы багровым заревом пожара. Утро начиналось с чувства тошноты, рюмки ракии, обжигавшей голодный желудок, и «домачей кафы» (крепчайшего турецкого кофе, наследия времен Османской империи). Я даже не помню, что мы ели. И не помню, чтобы мы спали. Воздушная сирена начинала работать в два часа ночи, и в сизых от дыма комнатах люди вскакивали со стульев и бежали к окну. Уснула я лишь однажды, в доме моих друзей в Батайнице, пригороде Белграда, где находился военный аэродром. Мне дали бутылку и сказали пей, пока потолок не закрутится, как волчок. Нельзя же все время не спать. А в два часа ночи в моей комнате взрывной волной вышибло окна, и я скатилась на пол. И стояла на четвереньках в трусах, обезумевшая от страха, пока меня не вытащила на лестницу хозяйка дома по имени Мелани. «Сиди здесь, — сказала она. — Если дом рухнет, то лестница останется. Она железобетонная. Хочешь сигарету?» В ту ночь в Батайнице погибла трехлетняя девочка Милица Ракич.
78 бессонных белградских ночей закончились капитуляцией Югославии в июне 1999. Чудовищная военная машина НАТО с железной англосаксонской энергией вбомбила в средневековье цветущую балканскую страну. Потрясенные сербы оплакали мертвых и сказали себе: ужасы войны позади. Они еще не знали, что самое страшное только начинается.
«Они все обречены!»
Это было в Багдаде в 2003 за несколько дней до начала войны. Иракский переводчик привел меня в госпиталь, где лежали дети из Басры. Женщины в хиджабах с окаменевшими лицами сидели у кроваток своих умирающих от лейкемии и рака лимфы младенцев и двух- и трех-летних детей. Многие из них с трудом ворочали шеей, им мешали раздутые лимфатические узлы. Это были очень серьезные, тихие дети. Они совсем не плакали. «Почему вы привели меня сюда?» — лепетала я, ошеломленная увиденным. «Это жертвы той войны в Персидском Заливе», — объяснили мне. «Жертвы?! Но американцы бомбили Басру в 1991 году! Тогда этих детей на свете не было!» «Это была мини-ядерная война, — рассказывал доктор. — При операции „Буря в пустыне“ американцы использовали боеприпасы с обедненным ураном. Всего было сброшено 320 тонн урана. Матери этих детей получили серьезную дозу радиации, а их дети были обречены еще в материнской утробе. Это не самое страшное, что вы видите. В Басре рождаются дети без глаз
и носа, без рук и ног, без мозга, с двумя головами. Врожденные уродства обнаруживаются у более, чем половины новорожденных. Только никому до этого нет дела».
Спустя несколько суток я наблюдала с балкона отеля «Палестина», как снова бомбят город Багдад. Тогда самой страшной мне казалась мгновенная смерть под бомбами. Ведь я была еще молодой и наивной.
Вслед за доктором Раданом Джодичем, директором Института онкологии и лучшим хирургом Сербии, я иду в операционную.
«Мальчику всего 15 лет, — объясняет доктор Джодич. — Рак щитовидки в тяжелой форме». 15 лет. Значит, он родился в год натовских бомбардировок, мысленно подсчитываю я.
Спустя два часа доктор Джодич держит в руках кусок человеческого мяса и объясняет: вот половина щитовидки, внутри которой опухоль. «Сейчас мы узнаем, есть ли метастазы». Несколько мучительных минут, и становится ясно: хрупкое мальчишеское тело насквозь прошито метастазами. «Что сможем, удалим. Потом зашьем, — с дежурным оптимизмом говорит доктор Джодич. — Мальчику предстоит еще одна операция и, возможно, химиотерапия. Вы, наверное, устали, идите. А нам нужно закончить работу».
Я иду по коридору больницы, мокрая от холодного пота и придавленная человеческим горем. Перед моими глазами стоит комната, где доктор Джодич осматривает молодых женщин. Некоторые из них рыдают навзрыд. У большинства — рак щитовидки в безнадежной форме.
«Щитовидная железа первой реагирует на радиоктивное излучение, — объяснял мне доктор Джодич. — За последние десять лет рак щитовидки в Сербии вырос на 300 процентов. Стремительно растет саркома и лейкемия. Правда состоит в том, что НАТО использовало наш регион как свалку для ядерных отходов. Мы до сих пор не знаем, сколько бомб с обедненным ураном обрушилось на нашу землю. За прошедшие десять лет мы не видели ни одного серьезного правительственного исследования последствий бомбардировок. Мы лишь врачи. Наше дело — лечить. Я работаю в онкологии хирургом 40 лет. И говорю как врач: рак становится все более молодым, агрессивным и неоперабельным».
что же такое обедненный уран?
Это просто ядерный мусор,
чье захоронение всегда стоило немыслимо дорого.
Непросто было найти страну, где можно тихо, без шумихи в прессе похоронить ядерные отходы. Обедненный уран-238 — побочный продукт производства обогащенного урана-235. Урановая руда проходит через сотни центрифуг, и на выходе получается 11% обогащенного урана и 89% обедненного, с которым надо что-то делать.
В 1970 году американцам пришла в голову гениально-циничная мысль, как использовать ядерный мусор. Уран-238 — тяжелый радиоактивный метал с очень высокой плотностью (в два раза выше, чем у свинца, и чуть ниже, чем у вольфрама, очень дорогого металла). А значит его успешно и дешево можно использовать для производства бронебойных снарядов с урановыми сердечниками и пуль, а также для укрепления танковой брони (так называемая «уранокерамика» — слой урана, зажатый между стальными листами).
О последствиях применения малых ядерных боеприпасов в Пентагоне не думали. Кого волнуют иракские дети? Или албанские? Или сербские? Да, ученые предупреждали со всей ответственностью, что уран не просто радиоактивен, но, главным образом, химически токсичен. Есть три пути отравления ураном. Прямой контакт с кожей (урановая шрапнель при взрыве снаряда или танка). Вдыхание урановой пыли, которая образуется при горении снарядов. И третий путь: зараженная вода и земля, дающая отравленные плоды. Чтобы осознать весь ужас этих фактов, достаточно сказать: период полураспада урана составляет 4,5 миллиарда лет.
Ковачевич
«После бомбардировок бывшей Югославии мы потребовали от НАТО карты с указанием мест, где упали урановые снаряды, — говорит знаменитый сербский токсиколог Радован Ковачевич. — НАТО представило карты, но постаралось преуменьшить ущерб. К примеру, они указали 112 локаций. Я сам лично нашел 113 локацию, когда вместе с добровольцами поднялся на гору рядом с городом Вранье, где стояла телевышка. Детекторы радиации чуть не заклинило. Ребята спросили меня: „Босс, что будем делать? На нас даже нет защитных костюмов“. Я ответил: „Берем пробу земли и бежим“. Теперь это место обнесли колючей проволокой. Если только я нашел еще одно зараженное место, не указанное в картах, сколько же их на самом деле?! Сколько вообще было снарядов? НАТО утверждает, что 31 тысяча, сербы — 50 тысяч, а русс�
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Kuću i dva hektara oranica u Glini nudi na korišćenje emigrantima iz Azije i Afrike Vladimir Dmitrović, srpska izbeglica iz Hrvatske koji na svoju imovinu nije kročio od 1995. godine...
Dva hektara oranica i dve kuće u Glini u koje nije kročio od 1995. Vladimir Dmitrović spreman je da besplatno ustupi nevoljnicima sa Bliskog istoka...
Milovan Budimlija, izbeglica iz ličkog mesta Plaška, nudi migrantima kuću od četiri sprata na placu od 2.000 kvadratnih metara. On se sa ovom idejom nedavno obratio pismom i predsedniku Republike Tomislavu Nikoliću...
Ne želimo samo da pomognemo tim nesretnim ljudima, već i da skrenemo pažnju svjetskih medija na Srbe izbjegle iz Hrvatske koji već 20 godina ne mogu da se vrate na svoja ognjišta, kaže Milovan Budumlija...
En 2015, l’Allemagne s’attend à recevoir 800 000 demandeurs d’asile. Ceux des Balkans risquent d’être systématiquement déboutés et rapatriés, notamment ceux du Kosovo et du Monténégro, arrivés par dizaines de milliers au début de l’année...
Posle ekskluzivnog pisanja „Politike“ o rešenosti izbeglica iz Hrvatske, da svoju napuštenu imovinu ustupe na trajno ili privremeno korišćenje, ili je poklone izbeglicama-migrantima sa Bliskog i Srednjeg istoka, jednom od ponuđača, Vrščaninu Vladimiru Dmitroviću, koji je izbegao u „Oluji“ 1995., javio se veći broj domaćih i stranih novinara...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58877
Iznenadili ste nas! Obično se neko pojavi kada je bitan datum za izbeglice, poput godišnjice “Oluje”. Svim ostalim danima mi smo – zaboravljeni…
http://www.veritas.org.rs/blic-14-09-2015-zasto-ste-nas-zaboravili-srpske-izbeglice-ponosne-na-pomoc-sirijcima-ali/
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=vrHrUAGMbAc
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=pHFnvFbThDE0
Beograd i Srbija preplavljeni su izbeglicama sa Bliskog Istoka. Svakodnevno pratimo njihovo kretanje i više od toga uslove u kojima oni žive i kroz šta prolaze dok nevoljno napuštaju svoje zemlje. U svemu tome možda zaboravljamo da među nama postoje oni koji su bežeći pred nekim prethodnim ratom završili u nekom od prihvatnih centara širom Srbije...
Refugees and migrants, who are currently stranded in a train station in Beli Manastir, clashed on Friday, as they were waiting to board trains to Zagreb. Some were injured during the incident and received first aid...
“The Croatian system for handling migrants and refugees has collapsed basically in one day,” according to the spokesperson for the Hungarian government, Zoltan Kovacs, who gave a statement to the press in Beremend close to the Croatian border, on Friday. The spokesman was flanked by aide to Hungarian Prime Minister Viktor Orban, Gyorgy Bakondi...
Hundreds of refugees crowded on to trains at Beli Manastir train station, Croatia, bound for Zagreb on Friday. The previous day at least 26 buses and one train brought refugees to Beli Manastir...
Hundreds of refugees arrived near the Hungarian village of Beremend after crossing over from Croatia, on Friday. Police and army officers oversaw the operation which saw refugees switch buses at Beremend’s bus depot. Hungarian volunteers provided supplies to those on the packed buses, passing bottles of water and food through the open windows...
Jutarnji.hr - 18.09.15
VUČIĆ U ČUDU, VULIN PRIJETI TUŽBAMA
Autor: Hina
Srbijanski ministar rada i socijalne skrbi Aleksandar Vulin poručio je u četvrtak Hrvatskoj da ne zatvara granicu i međunarodne puteve i najavio da će, u protivnom, Srbija zatražiti zaštitu pred međunarodnim sudovima.
"Želimo upozoriti Hrvatsku i svaku drugu zemlju da ne dolazi u obzir zatvaranje međunarodnih puteva i da ćemo zaštitu svojih ekonomskih i svakih drugih interesa zatražiti pred međunarodnim sudovima", izjavio je Vulin u Horgošu za agenciju Tanjug, reagirajući na raniju najavu iz Zagreba da bi Hrvatska mogla zatvoriti svoje granice bude li dnevno pristizalo toliko izbjeglica kao u srijedu, kada ih je stiglo više od 5.000.
Ministar Vulin kaže kako to što "Hrvatska nije u stanju skrbiti za svega 6.000 ljudi nije i ne smije biti razlog" da se prijeti okružju, a još manje da se izbjeglicama uskrate elementarna ljudska prava.
"Mi nećemo plaćati cehove tuđe nesposobnosti. Ako Hrvatska nije sposobna izboriti se sa 6.000 migranata, Srbija je spremna poslati joj pomoć i ljude koji su se posljednjih mjeseci izborili sa 140.000 mirnih i civiliziranih ljudi koji nisu napravili niti jedan incident", rekao je Vulin, dodajući kako mu je "žao što je hrvatska humanost i solidarnost trajala samo dva dana".
Vulin je upozorio da je Srbija dosad registrirala "više od 140.000 ljudi koje je i nahranila, liječila i zaštitila", dok Hrvatska sa 6.000 još neregistriranih migranata "prijeti zatvaranjem međunarodnih puteva i granica".
"Da je Srbija zatvorila svoje granice kad je u jednoj noći iz Makedonije i Grčke ušlo više od 9.000 migranata, danas bi Makedonija bila suočena s potpunim kolapsom, a EU s humanitarnom katastrofom neslućenih razmjera", ustvrdio je Vulin pošto su hrvatski dužnosnici u četvrtak najavili će Hrvatska zatvoriti granicu bude li ponovo u jednom danu na njezin teritorij ušlo oko 8.000 izbjeglica.
"Nema potrebe da dolazite, niti je Hrvatska zainteresirana da bude mjesto na kojem ćete pokušati tražiti istu zaštitu koju možete imati i u onim zemljama u kojima ste već", izjavio je u četvrtak hrvatski ministar unutarnjih poslova Ranko Ostojić, potvrdivši da je granica Slovenije zatvorena za izbjeglice, a tranzitni koridori ne postoje.
Beogradski elektronički mediji prenose u četvrtak navečer i izjavu srbijanskog premijera Aleksandra Vučića iz Washingtona kako "ne razumije zašto je Hrvatskoj problem da osigura nužnu pomoć i potporu izbjeglicama".
Vučić je dodao da Srbija u potrazi za rješenjima izbjegličke krize "surađuje sa svima i spremna je tako i nastaviti".
"Znate, u našoj zemlji ti ljudi prođu oko 600 kilometara i ostaju mnogo duže nego što su ostali u Hrvatskoj koja ima taj problem dva dana, a mi imamo četiri mjeseca", rekao je Vučić u Washingtonu, gdje boravi u trodnevnom posjetu.
Naglašavajući kako je Srbija bila spremna prihvatiti izbjeglice, Vučić je rekao da ne razumije šta je problem "svima drugima oko toga, poglavito onima koji imaju rutu od 35 kilometara, pa zatvaraju puteve prema Srbiji".
"Nikako ne razumijem o čemu se sve radi. Možda mi ne umijemo kukati, plakati, tražiti novac... Ne znam o čemu je riječ?", rekao je srbijanski premijer komentirajući izbjegličku krizu koja se iz Srbije i s mađarsko-srbijanske granice od srijede prelijeva u Hrvatsku.
Vezane vijesti
17.09.15 u 23:53
'RAŠČISTIT ĆEMO KOLODVOR U TOVARNIKU NOĆAS' Ostojić prije odluke o zatvaranju granice branio postupke MUP-a
Ministar unutarnjih poslova Ranko Ostojić u emisiji HRT-a 'Otvoreno' našao se pod paljbom Mire Kovača, međunarodnog tajnika HDZ-a, koji je ponovio stav svoje stranke da treba zatvoriti granicu.
17.09.15 u 23:06
KRIZA SE U SVE VEĆOJ MJERI SELI I U SLOVENIJU Ljubljana zbog izbjeglica do daljnjeg otkazala vlakove iz Hrvatske
Slovenske željeznice objavile su u četvrtak navečer da su do daljnjega otkazale međunarodne vlakove iz Hrvatske preko Dobove zbog mogućnosti da ih koriste migranti.
On Thursday Croatia closed most of its road border crossings with Serbia leaving only one on the main road linking Belgrade and Zagreb at Bajakovo. The decision came as over 13,000 refugees entered the country after Hungary closed its borders on Wednesday failing to cope with the refugee flow. Police told Reuters that about 500 refugees had been detained after crossing into the south of Hungary from Croatia on Thursday.
Columns of asylum seekers were expected to turn to Slovenia, however the Interior Ministry said on Friday that Slovenia does not intend to open a corridor for the refugees heading to Western Europe to pass through.
"At the moment we have no basis on which we could form a corridor," Interior Ministry state secretary Bostjan Sefic told reporters.
'Time is running out'
The UN refugee agency (UNCHR) on Friday issued a stark warning that time was running out for Europe to resolve the current refugee crisis.
"With more than 442,440 refugees and migrants having arrived via the Mediterranean so far this year, some 2,921 deaths, and 4,000 people arriving on the Greek islands daily, the crisis is growing and being pushed from one country to another without solution," UNHCR spokesperson Adrian Edwards told reporters in Geneva.
The agency blamed an absence of a “coherent response” to the situation as the main reason for confusion which sometimes resulted in violence at the border crossings and camps.
"This environment is fertile ground for people-smugglers and others seeking to prey on this vulnerable population," he said.
He welcomed European Parliament’s Thursday decision to relocate an additional 120,000 people to all countries of the EU.
“Time is running out," he said.
"It's very similar to what happened in the 1920s in Europe when the beggar-thy-neighbour policy on trade pitted countries against each other and led to the war,” said Joel Millman, spokesman for the IOM.
“We fear that something similar is happening now with the kind of hardening of borders and as a response to Germany's decisions."
213,200 people have applied for asylum in second quarter of 2015, with Germany receiving the highest number of applications – more than a third. Hungary had 15 percent; Austria had 8 % followed by Italy, France and Sweden – each 7 %. Compared with the population of each EU member state, the highest rates of registered first time applicants during the second quarter 2015 were recorded in Hungary, according to Eurostat. Most of the asylum seekers are from Syria and Afghanistan, it said.
“There was no disarming or arrests. It is not true,” Croatian police spokeswoman Jelena Bikic told Reuters, claiming that there was “an agreement about the escort between the police officers from the two sides in advance.”
Croatia’s FM Vesna Pusic claimed that the two countries had agreed “to provide a corridor” for refugees, Sky News reported. However Hungarian spokesman Zoltan Kovacs rejected the claim as a “lie.”
“Rather than respecting the laws in place in the EU, they (Croatia), are encouraging the masses to break the law, because illegally crossing a border is breaking the law,” Peter Szijjarto said in Belgrade. “At the moment, the Croatian government is transporting migrants – in contravention of the laws in force in the European Union – towards the Hungarian border instead of giving them a place to stay and looking after their needs,” he added.
“We cannot register and accommodate these people any longer,” Croatian Prime Minister Zoran Milanovic told a news conference. “They will get food, water and medical help, and then they can move on. The European Union must know that Croatia will not become a migrant ‘hotspot’. We have hearts, but we also have heads.”
“Both stressed the need to enhance the protection of the EU's external border, to step up EU assistance in our immediate neighborhood and to make swift progress on operational solidarity between the EU Member States to cope with the refugee crisis,” Juncker's office said.
Dok se Evropljani na čelu sa Nemačkom svađaju i prepiru kako će raspodeliti 500.000 izbeglica iz Sirije, jer će to biti “veliki udar” na njihovu ekonomiju, kao da se zaboravlja da je samo Srbija tokom devedesetih godina primila blizu 900.000 izbeglica i raseljenih lica, pre svih iz Hrvatske, Bosne i Hercegovine i sa Kosova i Metohije.
Talasi izbeglica, koji svakim danom stižu u Evropu, prete da preliju zemlje Evropske unije. Glavno pitanje u javnosti bilo je – koliko će koja država dobiti migranata i da li će moći da se izbori sa tim vrtoglavim brojkama? Ali, pre svega, setimo se i naše situacije 90-ih godina, naših brojki, kapaciteta i mogućnosti.
Zbog krizne situacije sa migrantima, Martin Šulc je pozvao na iznalaženje zajedničkog evropskog rešenja za situaciju sa migrantima i izbeglicama i na primenu sistema kvota za raspodelu izbeglica među državama članicama EU.
On je izrazio sumnju da države članice mogu da postignu bilo kakav uspeh putem individualnih mera. Nakon prisutnog straha od hiljada izbeglica koje iz dana u dan pristižu u sve većem broju, ipak je donesen plan briselske Komisije gde je odlučeno da je pred Nemačkom veliki zadatak – da primi najveći broj migranata.
Pre nego što se budemo bavili nemačkim problemima, podestimo se situacije u Srbiji 90-ih. Ratovi 1991-1995 i 1999. doneli su u Srbiju veliki broj izbeglica iz Hrvatske, Bosne i Hercegovine, Makedonije, Slovenije… Sa KiM je nakon 1999. prebegao veliki broj Srba u užu Srbiju i Vojvodinu, a, oni se, budući da su izbegli iz svojih kuća, ali razmešteni na teritoriji svoje zemlje, tretiraju kao raseljena lica.
Savo Štrbac, predsednik Informaciono-dokumentacionog centra “Veritas”, za portal Srbija Danas.com iznosi neverovatne podatke sa kojima se Srbija suočavala tih godina, imajući sličan problem kao zemlje EU danas.
Štrbac kaže da je prema popisu Komeserijata za izbeglice Srbije koji je verifikovao UNHCR-a 1996. godine izbeglica iz Hrvatske je tada bilo 297.543, iz Bosne 254.326, iz Makedonije 1.322, iz Slovenije 3.168, onih koji nisu hteli da odgovore 9.916, onih koji su pisali samo “SRJ” 949, što je ukupno 566.275 – toliko je popisano izbeglica u Srbiji 1996. godine.
Nakon reintegrisanja Istočne Slavonije, Baranje i Zapadnog Srema nakon 1998. godine u Srbiju je stiglo još 90.000izbeglica.
Raseljenih lica sa Kosova i Metohije posle 1999. godine ima 230.000.
To znači da je ukupno Srbija hranila 886.275 izbeglica i raseljenih lica!
“Bilo je i kasnijih popisa, ali ovi su najrelevantniji. Nakon ratova bilo je svega – ili su se vraćali u svoje stare krajeve, ili su odlazili negde u svet, ili ostajali u Srbiji i dobijali srpsko državljanstvo i tako se integrisali, pa su obrisani kao izbeglice”, kaže Savo Štrbac.
“Jasno je da je Srbija mnogo manja i skromnija od Nemačke. To je bilo strašna situacija za Srbiju (tadašnju SRJ), jer je bila izmučena ratovima, tako da je to bilo veliko opterećenje. Bez obzira što nam je pomagala Međunarodna zajednica preko UNHCR-a - to bilo mnogo teže za Srbiju nego za sadašnje stanje koje se očekuje u zemljama EU”, rekao je Štrbac.
Situacija u Nemačkoj
“Nemačka bi to sigurno podnela finansijski. Ali tu postoje drugi problemi, kao što su kulturološki i bezbednosni, i to usložnjava situaciju. Srbija je imala rat, inflacije, siromaštvo, tajkuni su je opljačkali nakon rata – a sa druge strane Nemačka kao najbogatija, ima visok standard i dosta veću površinu”, kaže Štrbac.
“Dakle Srbija je sa 1999. godinom, sa raseljenim licima sa KiM, imala oko 800.000 izbeglica, a Nemačka sigurno može više, čak i nekoliko miliona. U to ne treba sumnjati.”, zaključio je Štrbac.
Dragaš: Srbija finansirala 5% u pomoći izbeglicama, ostatak su izneli građani
Ekonomista Branko Dragaš konstatuje da smo tokom 90-ih godina imali masovno proterivanje Srba. “Svega oko 5 odsto država Srbija je učestvovala u finansiranju izbeglica, sve ostale troškove podneli su građani Srbije. Prema tome, Nemačka svoj problem treba da rešava na svom državnom nivou, pa da vidimo da li će građani Nemačke moći da prihvate migrante koji su došli kao posledica pogrešne politike Zapada ka arapskom svetu”, kaže Dragaš. On navodi da mi nismo krivi za migracionu krizu, već da „za to treba da odgovaraju Evropska unija i Amerika“.
“To je njihov problem. Uostalom, ako zemlje EU tipa Mađarska, Češka ne žele da prihvate kvote, ne vidim razloge da i mi prihvatamo neke izbeglice. Možemo da pomognemo samo dok su oni u tranzitu kod nas, i to u vidu najosnovnijih potreba”, rekao je Dragaš.
Hrvatska prima 500 izbeglica?!
Govoreći o aktuelnim raspodelama izbeglica po članicama EU, Štrbac kaže da Hrvatska dobija nedefinisan broj, i da negira da će primiti onoliko koliko im dodeljuje EU.
“Oni su sada Hrvatskoj po tim kvotama dodelili 3.200 migranata, a hrvatska ministarka i tu cifru negira i govori o primanju 500 migranata!”, kaže Štrbac.
Više od 800.000 izbeglica
“Dakle Srbija je zaključno sa 1999. godinom sa raseljenim licima sa Kosova i Metohije hranila više od 800.000 izbeglica. Ovaj broj je bio veliki za Srbiju. Broj izbeglica sa kojima se suočavaju današnje zemlje EU nije alarmantan, s obzirom koliko je Srbija mala zemlja i kako se finansijski izborila u našem slučaju”, zaključio je Štrbac.
Intervista del presidente della Siria ai media della Russia
15.09.2015
Lotta contro ISIS, prospettive del processo politico in Siria, problema dei profughi e probabilità delle dimissioni del presidente della Siria – questi sono i temi dell’intervista, rilasciata da Bashar Assad ai media della Russia, di cui vi proponiamo alcuni estratti.
Nella sua intervista il presidente Assad ha dichiarato in particolare:
1. Dobbiamo continuare il dialogo in nome del consenso. Tuttavia, se vogliamo conseguire un successo reale, ciò è impossibile, finché la gente continua a morire, finché continua lo spargimento di sangue e le persone non possono sentirsi al sicuro… In tal modo, il consenso lo possiamo raggiungere, ma non possiamo fare niente, finché il terrorismo in Siria non sarà stato sconfitto.
2. Il problema non è che l'Europa accoglie o non accoglie i profughi. Il problema è che dobbiamo eliminare le cause del fenomeno. Se gli europei sono preoccupati per la sorte dei profughi, allora devono rinunciare al sostegno dei terroristi. Tale è la nostra opinione in merito e l'essenza del problema.
3. Voglio cogliere l'occasione di questo incontro di oggi per esortare tutte le forze a unirsi contro il terrorismo, perché ciò è la strada per conseguire gli obiettivi politici, formulati dai siriani, attraverso il dialogo e il processo politico.
4. Se oggi chiediamo a qualsiasi siriano, che cosa vuole in questo momento, la prima risposta sarà: sicurezza e stabilità per tutti e per ciascuno. In tal modo noi come forze politiche, sia quelle del governo, sia quelle fuori dell'ambito del potere, abbiamo il dovere di consolidarci attorno alle richieste del popolo siriano.
5. I curdi sono per noi parte della società siriana, non sono dei forestieri, vivono su questa terra come vivono gli arabi, i circassi, gli armeni e molti altri popoli e confessioni che convivono in Siria da tempi immemorabili. Non sappiamo neanche, quando alcuni di questi gruppi etnici abbiano fatto la loro comparsa nella regione. Senza questi elementi una società monolitica in Siria non può esistere.
Annali della strategia USA/NATO (1990-2015)
Francoforte: Zambon, 2015
=== 1 ===
http://ilmanifesto.info/la-saggia-leadership-di-petro/
La «saggia leadership» di Petro
di Manlio Dinucci, su Il Manifesto del 9.3.2015
Kiev il premier Renzi ha lodato la «leadership saggia» del presidente Poroshenko, da lui confidenzialmente chiamato Petro. E l’amico Petro gli ha assicurato che gli imprenditori italiani potranno partecipare agli ulteriori processi di privatizzazione in Ucraina (delocalizzando così altre attività produttive a scapito dell’occupazione in Italia).
Di privatizzazioni Poroshenko se ne intende: negli anni Novanta, con lo smantellamento dell’economia socialista, ottiene a prezzi stracciati o gratis la proprietà di diverse industrie dolciarie già statali, divenendo il «re del cioccolato». Estende quindi il suo impero all’industria automobilistica, alla cantieristica e ai media (è proprietario dell’influente Canale 5).
Dopo essere stato il principale sostenitore della «rivoluzione arancione» del 2004, ministro degli esteri con la Tymoshenko e del commercio con Yanukovic, sostiene e finanzia il movimento EuroMaidan, nato nel novembre 2013 come protesta al rifiuto del presidente Yanukovic di firmare gli accordi di associazione con l’Unione europea, e trasformatosi in un vero e proprio putsch che rovescia il presidente nel febbraio 2014.
Usando quale forza d’assalto, sotto regia Usa/Nato, militanti neonazisti appositamente armati e addestrati, come prova tra l’altro una documentazione fotografica di giovani di Uno-Unso addestrati nel 2006 in Estonia da istruttori Nato. Subito dopo, nel marzo 2014, le formazioni neonaziste vengono incorporate nella Guardia nazionale.
Su questa scia diviene presidente della repubblica, nel maggio 2014, l’oligarca Poroshenko appoggiato da Washington e Bruxelles («saggia scelta», commenta Obama). Sotto la sua presidenza, i battaglioni neonazisti – come l’Azov, l’Aidar, il Dnepr – che costituiscono la forza d’urto della Guardia nazionale, compiono atrocità, ampiamente documentate da video e testimonianze, contro i civili di nazionalità russa nell’Ucraina orientale. Gli stessi battaglioni vengono oggi addestrati da centinaia di istruttori Usa della 173a divisione aviotrasportata, trasferiti da Vicenza in Ucraina dove resteranno almeno sei mesi, affiancati da britannici e altri militari della Nato.
Ben sapendo, a Washington e Bruxelles, che questi battaglioni hanno una chiara ideologia nazista. L’emblema del battaglione Azov, che opera sotto l’egida del ministero dell’interno ucraino, è lo stesso (rappresentato in modo speculare) della divisione delle SS Das Reich della Germania nazista. Mentre in tuta mimetica passa in rassegna i battaglioni che si ispirano all’ideologia nazista, il presidente Poroshenko si muove per mettere fuorilegge l’ideologia comunista.
Dal Canale 5 di Poroshenko, il ministro della giustizia Pavel Petrenko ha annunciato il 3 marzo la presentazione di un progetto di legge che proibisce l’ideologia comunista, in linea con leggi analoghe in vigore in Polonia e nella Repubblica Ceca. La legge, che prevede il divieto di qualsiasi simbolo e propaganda comunista, metterebbe automaticamente fuorilegge il Partito comunista di Ucraina.
Per la sua messa al bando è già stato avviato un procedimento giudiziario, inceppatosi quando lo scorso febbraio è stato bloccato dai giudici di una corte di Kiev.
Nel frattempo, però, è stato imposto lo scioglimento del gruppo comunista in parlamento e oltre 300 membri del partito sono stati incriminati, mentre molti altri vengono sottoposti a violenze e intimidazioni. Sotto la presidenza di Petro, che l’amico Matteo ha invitato a Roma. Dove c’è un giornale, «il manifesto», che se fosse a Kiev rischierebbe di sparire non per ragioni economiche, ma perché si definisce «quotidiano comunista».
Le immagini, pubblicate dall'inglese Daily mail, della “colonia estiva militare-patriottica” per bambini e ragazzi, organizzata dal battaglione neonazista Azov e dal suo leader, il deputato della Rada Andrej Biletskij nei pressi di Kiev, in cui i giovani, all'ombra delle svastiche, vengono istruiti all'uso delle armi...
http://contropiano.org/internazionale/item/32360-non-solo-isis-i-bambini-ucraini-addestrati-dai-nazisti
Die ukrainische Organisation "Rechter Sektor" bringt Kindern den Umgang mit Kriegswaffen bei. Sie werden systematisch eingesetzt - mitten in Europa. Ein Zivilisationsbruch...
VIDEO: http://www.ardmediathek.de/tv/FAKT/Wenn-Kinder-zu-Soldaten-gemacht-werden/Das-Erste/Video?documentId=30160894&bcastId=310854
By Prof Michel Chossudovsky – Global Research, August 30, 2015
Alors que, selon les conventions internationales, l’enrôlement de mineurs dans des groupes armés constitue un crime de guerre, les alliés néonazis de l’Otan organisent des formations paramilitaires pour des enfants ukrainiens. Alors que le recours aux enfants dans les publicités occidentales est strictement règlementé, la photo posée d’un enfant syrien noyé sur une plage turque fait la une des quotidiens atlantistes...
L’arte della guerra
Dietro quelle foto di bambini
Manlio Dinucci
Quando i bambini sono arrivati al campo estivo, in una zona boscosa presso Kiev, hanno ricevuto una bella T-shirt gialla su cui sono stampate due sagome di bambini armati di fucile, con l’emblema del battaglione Azov ricalcato da quello delle SS Das Reich, e sullo sfondo il «Sole Nero» del misticismo nazista. I bambini (anche di 6 anni) e ragazzi che hanno frequentato il campo a gruppi di 30-40 – riporta il quotidiano Kiev Post – «non hanno giocato ai soldati, ma hanno ricevuto un reale addestramento militare da istruttori del battaglione Azov». Ossia dai neonazisti che hanno compiuto atrocità contro i civili di nazionalità russa nell’Ucraina orientale.
Questo e altri battaglioni neonazisti fanno parte della Guardia nazionale ucraina, legata da una partnership con la Guardia nazionale della California e addestrata da istruttori statunitensi e britannici per condurre l’«operazione anti-terrorismo» nel Donbass. Il campo estivo costituisce il primo stadio del reclutamento di bambini soldato, scrive Michel Chossudovsky in un documentato articolo corredato da foto (v. link qui sotto). Oltre che a sparare, ai bambini insegnano a odiare: «Uccideremo tutti i russi», giura uno di loro.
La foto di un bambino ucraino la cui vita è bruciata dal «Sole Nero» nazista non è meno tremenda di quella del bambino siriano la cui vita si è spenta nel Mediterraneo. Immagine, quest’ultima, che secondo la favola corrente avrebbe toccato il cuore dei massimi esponenti di quei governi responsabili delle guerre e dei conseguenti terremoti sociali provocati negli ultimi decenni dalla strategia Usa/Nato.
Guerre ed embarghi – dall’Iraq alla Jugoslavia, dall’Afghanistan alla Palestina, dalla Libia alla Siria e all’Ucraina – hanno provocato la morte di milioni di bambini (mezzo milione solo quelli uccisi dai dieci anni di embargo contro l’Itaq). Le loro foto non sono state però diffuse dai grandi media. E alle piccole vittime si aggiungono i bambini educati a odiare e uccidere da movimenti, come l’Isis e i battaglioni neonazisti ucraini, alla cui formazione hanno contribuito in modo determinante gli Usa e le potenze europee per scardinare dall’interno interi Stati.
Si narra che il governo britannico abbia deciso di accogliere 15mila profughi siriani perché commosso dalla foto del piccolo siriano morto. Contemporaneamente, però, lo stesso governo ha annunciato di voler ottenere il via libera dal parlamento per una azione militare «contro il malvagio regime di Assad e l’Isis». E il ministro degli esteri Gentiloni ha annunciato che, di fronte al dramma dei profughi, sta per iniziare la seconda fase della missione EuNavForMed «contro i trafficanti di essere umani», il cui obiettivo finale è in realtà l’occupazione militare delle aree costiere libiche strategicamente ed economicamente più importanti.
L’esodo dei profughi verso l’Europa, provocato dalle guerre, viene così usato a fini strategici: da Washington per mettere sotto pressione i paesi europei rafforzando l’influenza statunitense in Europa, usata come prima linea contro la Russia e base di lancio delle operazioni militari Usa/Nato in Medioriente e Nordafrica; dalle maggiori capitali europee per preparare l’opinione pubblica ad altre guerre spacciate per «missioni umanitarie di pace».
Senza la consapevolezza politica delle cause reali e possibili soluzioni di tale esodo, può essere strumentalizzato anche il sostegno umanitario che molti cittadini europei danno ai profughi, e possono essere usati gli stessi profughi quale massa di manovra nei confronti dei paesi di provenienza. E altri bambini moriranno, quasi tutti senza foto.
(il manifesto, 8 settembre 2015)
Articolo di Chossudovsky
http://www.globalresearch.ca/military-training-for-young-children-at-ukraines-neo-nazi-summer-camp-recruitment-of-ukraines-child-soldiers-financed-by-us-nonlethal-military-aid/5472801
En décrivant les actuelles manœuvres de l’Otan, Manlio Dinucci montre la manière dont l’Alliance étend progressivement son emprise sur l’Europe centrale et orientale...
L’arte della guerra
Offensiva sul fronte orientale
L’Ucraina, dove la Nato addestra e arma da anni forze neonaziste (usate per il putsch di piazza Maidan e poi inquadrate nella Guardia nazionale) e ora anche le forze armate, parteciperà come partner alla Trident Juncture 2015.
Manlio Dinucci
Cinquecento extracomunitari stanno attraversando l’Europa: non sono profughi ma soldati statunitensi del 2° Reggimento di cavalleria che, con 110 mezzi corazzati, si stanno movendo dalla loro base in Germania all’Ungheria attraverso Repubblica Ceca e Slovacchia, per «assicurare gli alleati Nato che l’esercito degli Stati uniti è pronto, se necessario».
Per assicurare che le forze dell’Alleanza possano «dispiegarsi nella regione orientale in modo rapido e prepararsi a successive operazioni» – annuncia il segretario generale della Nato Stoltenberg – sono stati attivati sei nuovi quartieri generali in Lituania, Estonia, Lettonia, Polonia, Romania e Bulgaria.
E mentre si conclude in Germania, Italia, Bulgaria e Romania la Swift Response, la più grande esercitazione Nato di forze aviotrasportate dalla fine della guerra fredda, inizia nella Repubblica Ceca la Ample Strike in cui controllori di volo e piloti Nato si addestrano all’attacco aereo.
Dalla base di Geilenkirchen in Germania decollano ogni giorno aerei radar Awacs per controllare non solo lo spazio aereo lungo i confini orientali dell’Alleanza, ma quello russo dato che possono «vedere» a oltre 400 km di distanza. Il Readiness Action Plan prevede una serie di attività terrestri, navali ed aeree sul fianco orientale della Nato, tra cui la «missione di pattugliamento aereo sugli Stati baltici» alla quale partecipa l’Italia con cacciabombardieri Eurofighter Typhoon.
Questo dispiegamento di forze sarà testato e rafforzato dall’esercitazione Trident Juncture 2015 (3 ottobre – 6 novembre). Vi parteciperanno, insieme a unità terrestri e navali, oltre 180 aerei di 16 paesi Nato e 3 partner, tra cui aerei Awacs che opereranno da Trapani Birgi. Diretti dal Jfac (Joint Force Air Component) italiano, la cui sede è a Poggio Renatico (Ferrara), dotato anche di «capacità dispiegabili» per operazioni aeree fuori dall’area Nato.
Svolgerà un ruolo centrale nell’esercitazione il Jfc Naples, comando Nato (con uno staff di 800 militari al quartier generale di Lago Patria), che dirige tra le altre le operazioni navali nel Mar Nero in funzione anti-Russia. Diretto dall’ammiraglio Usa Ferguson – che è anche comandante delle Forze navali Usa in Europa, delle Forze navali Usa del Comando Africa e delle Forze Nato in Kosovo – il Jfc Naples, alternandosi annualmente con Brunssum (Olanda), svolge il ruolo di comando operativo della «Forza di risposta» Nato.
Tutte queste forze e operazioni Nato dipendono dal Comandante supremo alleato in Europa, che è sempre un generale Usa nominato dal Presidente (attualmente il generale Breedlove).
Sotto comando e impulso Usa, la Nato – che ha già inglobato tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia, tre dell’ex Urss e due della ex Jugoslavia (demolita dalla Nato con la guerra ) – si muove per inglobarne altri. A tal fine stringe crescenti rapporti militari col Montenegro, dove navi da guerra Nato fanno spesso scalo nel porto di Bar, e con la Georgia, dove è stato aperto un centro di addestramento Nato.
L’Ucraina, dove la Nato addestra e arma da anni forze neonaziste (usate per il putsch di piazza Maidan e poi inquadrate nella Guardia nazionale) e ora anche le forze armate, parteciperà come partner alla Trident Juncture 2015. E tra breve riceverà la visita del segretario Stoltenberg, alla quale Kiev attribuisce «grande valore simbolico».
Così altri paesi dell’Est, agganciati alla Nato, vengono legati soprattutto agli Stati uniti che, con la loro politica del «divide et impera», stanno trasformando di nuovo l’Europa in prima linea di un confronto militare non meno pericoloso di quello della Guerra fredda.
(il manifesto, 15 settembre 2015)
Die offizielle Webseite der Nationalgarde verkündet stolz, dass die Ukraine mit 800 Mann an den Übungen beteiligt ist und davon die Nationalgarde „ein Drittel“ des Kontingents stellt.
Zudem wird dargelegt, dass das „Hauptobjektiv“ des Manövers die „Entwicklung und Stärkung der Kooperation mit bewaffneten Kräften anderer Länder“ darstellt, „bei der nicht nur Waffen und Kampffahrzeuge, sondern auch Flugzeuge zum Einsatz kommen“.
Mitglieder der Nationalgarde demonstrieren seit mehreren Tagen gegen die Auflösung ihrer Einheiten. Dabei legten sie Feuer, griffen das Wachpersonal vor staatlichen Institutionen an und riefen zum Sturz des ukrainischen Präsidenten Petro Poroschenko auf. Derweil geht der Beschuss von Donezk ohne Unterbrechung weiter. In der Nacht vom Sonntag wurden das Dach einer Schule sowie das zentrale Busdepot von mehreren Mörsergranaten getroffen. Vor Ort berichtet RT Reporter Roman Kosarew...
Il Segretario generale dell’ONU ha dichiarato che la Russia è uno dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza, pertanto lo Statuto dell’ONU non prevede la possibilità della sua espulsione.
"Non ho sentito nessuna proposta in tal senso. Russia è uno dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza. Non voglio neanche commentare le cose di cui non sono al corrente", — ha detto Ban Ki-moon.
Il Segretario ha riconosciuto che lo Statuto dell'ONU rende impossibile l'espulsione di Mosca dal Consiglio di sicurezza.
"Ogni idea o risoluzione richiede l'approvazione da parte di tutti e 5 i membri permanenti", — egli ha detto.
- Israel backs far-right coup in Ukraine (Jean Shaoul)
- A Kiev aggredito rabbino della comunità ebraica locale (VdR)
http://www.haaretz.com/mobile/.premium-1.607396?v=97BFD4B12611718EC45F24739370A3D1
Jewish Ukrainian Volunteer Battalion Matilan (7.12.2014)
http://maidantranslations.com/2014/07/13/jewish-ukrainian-volunteer-battalion-matilan/
... Nazism in Ukraine is not only protected by Germany and other Western countries, but obviously also by Israel...
http://www.rt.com/news/310039-mh17-israeli-missile-version/
In an exclusive interview with Radio Sputnik, Israeli publicist Avigdor Eskin explains how history is in danger of repeating, as Kiev is allowed to rewrite the history of the Holocaust, and the lessons of the Second World War are being forgotten...
http://sputniknews.com/analysis/20150826/1026206505.html
http://www.ukrainianjewishencounter.org/en/media1/media-kit/latest-news/15-latest-news/678-uje-to-host-international-seminar-on-propaganda-in-kyiv-and-lviv
Lo scopo presunto di questa ONG (http://www.ukrainianjewishencounter.org/en/who-we-are), fondata da "ucraini ebrei e cristiani" (viene da pensare ai preti cattolici che benedivano e confessavano gli ultranazionalisti dell'Euromaidan, feriti o morenti), nella tradizione della peggiore "politica identitaria", è di tracciare un parallelo piuttosto improbabile tra gli ebrei (tribù millenaria) e gli ucraini (popolo/etnia, che, come i croati, non è praticamente mai esistita; l'Ucraina stessa non è esistita prima del 1917).
Secondo la UJE, entrambi i "popoli", avendo "sofferto molto" a causa dei "totalitarismi del XX secolo", stanno creando proprie identità moderne connesse ai relativi stati Isreale ed Ucraina, implicando che, se Israle può essere lo "stato ebraico", l'Ucraina può essere lo stato degli ucraini dove i russi sono gli arabi della situazione.
Strano che questi ebrei dimentichino che le "loro" maggiori sofferenze furono causate proprio dagli ultranazionalisti ucraini, già dal 1918 e fin dentro i primi anni '40.
AlterNet has learned that an amendment to the 2015 National Defense Authorization Act (NDAA) that would have forbidden US assistance, training and weapons to neo-Nazis and other extremists in Ukraine was kept out of the final bill by the Republican-led House Rules Committee. Introduced by Democratic Representative John Conyers, the amendment was intended to help tamp down on violent confrontations between Ukrainian forces and Russian separatists. (Full text of the amendment embedded at the end of this article).
A USA Today/Pew poll conducted in April while the NDAA was being debated found that Americans opposed by more than 2 to 1 providing the Ukrainian government with arms or other forms of military assistance.
If passed, Conyers' amendment would have explicitly barred those found to have offered “praise or glorification of Nazism or its collaborators, including through the use of white supremacist, neo-Nazi, or other similar symbols” from receiving any form of support from the US Department of Defense.
The amendment was presented by congressional staffers to lobbyists from Anti-Defamation League (ADL) and the Simon Wiesenthal Center, two of the country’s largest established Jewish pressure groups. Despite their stated mission to combat anti-Semitism and violent extremism, the ADL and Wiesenthal Center refused to support Jeffries and Conyers’ proposal.
According to Democratic sources in Congress, staffers from the ADL’s Washington office and the Simon Wiesenthal Center rejected the amendment on the grounds that right-wing Ukrainian parties like Svoboda with documented records of racist extremism had “moderated their rhetoric.” An ADL lobbyist insisted that “the focus should be on Russia,” while the Wiesenthal Center pointed to meetings between far-right political leaders in Ukraine and the Israeli embassy as evidence that groups like Svoboda and Right Sector had shed their extremism.
The ADL’s Washington office and the Simon Wiesenthal Center did not respond to numerous requests by email and telephone for comment.
Earlier this year, the ADL’s outgoing National Director Abraham Foxman noted Svoboda’s “history of anti-Semitism and platform of ethnic nationalism” in a press releasedemanding the party renounce its past glorification of Stepan Bandera, a World War Two-era Nazi collaborator who has become a symbol of Ukrainian nationalism.
When the Ukrainian parliament failed to pass a bill this October honoring Bandera’s Ukrainian Rebel Army, about 8000 supporters of Svoboda and the extremist Right Sector marched on the building, attacking riot police with homemade weapons while waving Banderist flags and Svoboda banners. The violent backlash was a reminder that the legend of Bandera would not die any time soon, and that Foxman’s admonitions had fallen on deaf ears.
Svobodoa’s leader, Oleh Tyahnybok, once called for the liberation of his country from the “Muscovite-Jewish mafia.” In 2010, following the conviction of the Nazi death camp guard John Demjanjuk for his supporting role in the death of nearly 30,000 people at the Sobibor camp, Tyahnybok flew to Germany to praise him as a hero who was “fighting for truth.”
Since the Euromaidan revolution, however, Svoboda has fought to rehabilitate its image. This has meant meeting with Israeli Ambassador to Ukraine Reuven Din El and appealing to shared national values. “I would like to ask Israelis to also respect our patriotic feelings,” Tyahnybok has remarked. “Probably each party in the [Israeli] Knesset is nationalist. With God’s help, let it be this way for us too.”
Right Sector, the radical right-wing movement that battled riot police during the latter stages of the Euromaidan uprising, earned plaudits from the ADL’s Foxman when its leader arranged his own meeting with Din El. “[Right Sector leader] Dmitry Yarosh stressed that Right Sector will oppose all [racist] phenomena, especially anti-Semitism, with all legitimate means,” the Israeli embassy declared.
The results of this month’s Ukrainian parliamentary elections were widely portrayed as a setback for the ultra-nationalist right-wing, with Svoboda taking around 6 percent of the vote while Yarosh’s Right Sector failed to qualify for seats. The outcome cheered the American Jewish Committee, which declaredthat “Jews in most of Ukraine are heartened by the election results and even optimistic about the country’s future.”
But the dismal showing by the traditional ultra-nationalist parties was hardly evidence of a diminished right-wing. With President Petro Poroshenko leading the nationalists’ dream war in the East, Svoboda and Right Sector lost the protest vote they had commanded during the heady years of insurrection. As Anton Shekhovtsov, an expert on Europe’s radical right, explained, “in 2012, Svoboda was also considered almost the only ‘patriotic’ party, but now all democratic parties are patriotic, so Svoboda has lost its ‘monopoly’ on patriotism.”
During the national election campaign, Ukraine’s leading party, the People’s Front of neoliberal Prime Minister Arseniy Yatsenyuk, was honeycombed with far-right militants. Andrei Parubiy, the co-founder of the neo-Nazi-inspired Social National Party and former chief of the Maidan defense committees, was among the extremists who won seats on the People’s Front ticket.
Besides Parubiy, the People’s Front included Andriy Biletsky, leader of the Azov militia, an overtly neo-Nazi fighting force that has been on the front lines of the battle against Russian separatists in eastern Ukraine. Azov deputy commander Vadym Troyan joined him on the party’s electoral list, rounding out a peculiar mix of khaki shirt clad fascists and buttoned-down neo-liberals.
Unlike Svoboda, these figures do not even feign moderation. “The historic mission of our nation in this critical moment is to lead the White Races of the world in a final crusade for their survival,” Biletsky recently wrote. “A crusade against the Semite-led Untermenschen.”
Azov fighters are united by their nostalgia for Nazi Germany and embrace of open fascism. Sporting swastika tattoos, the battalion “flies a neo-Nazi symbol resembling a Swastika as its flag,” the New York Times’ Andrew Kramer recently reported.
With the government in a state of flux, Azov is filling the void in the East. As Ukrainian parliamentarian Gregory Nemira complained to reporter Anna Nemtsova in September, “The president still has not appointed a chief of staff for the armed forces. He has not admitted we are in a state of war, preferring to throw the battalions like Azov into the most dangerous combat zones, where authorities would not have the courage to send regular troops.”
Azov is precisely the sort of neo-Nazi organization that Conyers’ NDAA amendment would have deprived of US assistance. But when the congressman sought help from the ADL and the Wiesenthal Center in moving the proposal forward, he was rebuked. The amendment died a quiet death and Azov’s American supply line remains intact.
One of those foreign fighters is Ina Levitan, a 37-year-old Tel Aviv resident of Azerbaijani origin, who has been fighting on the side of Ukrainian separatists on the front lines near the rebel- held city of Luhansk since late 2014 in order to fight who she calls fascists and neo-Nazis.
While born in Baku, she grew up in Israel and never thought that she would return to the Soviet Union, but when an acquaintance disappeared in eastern Ukraine last September she began investigating the conflict, she told The Jerusalem Post on Thursday.
After a few days she was able to track down her friend’s whereabouts but continued researching the conflict, and “after a month and a half I decided to go to Novorossia,” she said, using the Russian imperial term for the territories on the north coast of the Black Sea encompassing what is now eastern Ukraine.
She said that she was motivated to join the separatists after learning of “crimes carried out against the civilian population.”
In an open letter on the website of the Israeli Communist Party, Levitan said the goal of her brigade is not to enter into conflict with Ukraine or its citizens, but rather to “fight against the fascist, pro-Nazi and oligarchs” and help the people.
She railed against what she called “pro-Nazi activists” using Nazi salutes and symbols who are “torturing and murdering civilians and soldiers of the army of Ukraine who do not share their views.”
“I myself saw a man who returned from captivity in the hands of neo-Nazis.
They cut limbs and tattooed his body with swastikas. We are fighting against these atrocities that occur repeatedly and harm civilians,” she wrote, accusing the West of ignoring war crimes.
“As an Israeli, I personally, viscerally hate fascists,” she asserted.
While many of her fellow fighters are Russians and Ukrainians, there are also Spaniards, Serbians, Italians and Israelis.
Speaking with the Russian media late last year, Donetsk People’s Republic foreign minister Alexander Kofman, who is Jewish, asserted that there are dozens of former IDF soldiers fighting in Donetsk.
In February, Spain arrested eight people for serving with the Ukrainian rebels, and Kiev has declared the rebels terrorists. While Israeli law prohibits fighting in foreign conflicts, both the Foreign Ministry and the Justice Ministry declined to comment on the issue when contacted by the Post.
Since last year’s Kiev revolution, Russia and the rebels have consistently condemned Ukraine’s new government of fascism and racism, claims which have been vigorously denied by local Jewish communities, several of which have become involved in the war effort.
According to media reports and researchers like Vyacheslav Likhachev, who monitors anti-Semitism for the Euro-Asian Jewish Congress, there are neo-Nazis fighting on both sides of the conflict. Despite this, community leaders have said that they are left pretty much alone and that they are more worried about the conflict itself than anti-Jewish activity.
It is a “civic obligation” to defend Ukraine, Asher Joseph Cherkassky, a local Jew who fought in Donetsk on the government’s side, told the Post last year. A member of the Dnipro Battalion – which was funded by Dnepropetrovsk’s former Jewish regional governor, billionaire oligarch Ihor Kolomoisky – the long-bearded hassidic combat soldier was touted by government officials as a symbol of Ukrainian patriotism.
Many of the Israeli citizens fighting in Ukraine are of Russian and Ukrainian origin, said Rabbi Boruch Gorin, a senior Jewish communal official from Russia.
He accused them of being adventure seekers and said that many serve in support roles, such as training troops.
“I would say [they are] people who are looking for the show, let it be in Ukraine or Sudan, it’s no difference,” he mused.
“For both sides, the Jewish factor was very important in the beginning of the war. It’s less important now but then it was very important to show to both sides that they have the Jews fighting for them [and] the Israelis, and that the Jewish community abroad are their supporters... I think that this is much more PR as usual and there’s nothing to talk about.”
Levitan, however, disagreed, telling the Post that she saw the conflict as a “huge political game” in which oligarchs are filling their pockets at the expense of the average citizen.
The Western media is distorting the nature of the rebellion in Ukraine, just as it distorts Israel’s fight against Palestinian terrorism, she said. “Every Israeli can easily understand that a similar situation occurs in the area of Novorossia.”
She has no regrets because she is able to fight for her principles, she continued, adding that being an Israeli and commemorating Holocaust Remembrance Day taught her the importance of standing up to Nazis.
Piombino (LI), sabato 12 settembre 2015
alle ore 21 in Piazza della Costituzione
nell'ambito delle iniziative per il 72° anniversario della Battaglia di Piombino
PIETRO BENEDETTI
in
DRUG GOJKO
Storia di un partigiano
REGIA DI
ELENA MOZZETTA
TRATTO DAI RACCONTI
DEL PARTIGIANO NELLO MARIGNOLI
IDEATO DA GIULIANO CALLISTI E SILVIO ANTONINI
TESTI TEATRALI - PIETRO BENEDETTI
CONSULENZA LETTERARIA - ANTONELLO RICCI
MUSICHE - BEVANO QUARTET E FIORE BENIGNI
FOTO - DANIELE VITA
UN RINGRAZIAMENTO PARTICOLARE A NELLO MARIGNOLI
«QUELLO CHE DICO, DICO POCO»
Note di Antonello Ricci sullo spettacolo Drug Gojko di Pietro Benedetti
L’inizio è sul dragamine Rovigno: una croce uncinata issata al posto del tricolore. Il finale è l’abbraccio tra madre e figlio, finalmente ritrovati, nella città in macerie.
Così vuole l’epos popolare. Così dispiega la sua odissea di guerra un bravo narratore: secondo il più convenzionale degli schemi, in ordine cronologico.
Ma mulinelli si aprono, di continuo, nel flusso del racconto. Rompono la superficie dello schema complessivo, lo increspano, lo fanno singhiozzare magari fino a contraddirlo: parentesi, divagazioni, digressioni, precisazioni, correzioni, rettifiche, commenti, esempi, sentenze, morali.
Così, proprio così Nello racconta il suo racconto di guerra. Nello Marignoli da Viterbo: gommista in tempo di pace; in guerra, invece, prima soldato della Regia Marina italica e poi radiotelegrafista nella resistenza jugoslava.
Nello è narratore di straordinaria intensità. Tesse trame per dettagli e per figure, una dopo l’altra, una più bella dell’altra: la ricezione in cuffia, l’8 settembre, dell’armistizio; il disprezzo tedesco di fronte al tricolore ammainato; l’idea di segare nottetempo le catene al dragamine e tentare la fuga in mare aperto; il barbiere nel campo di prigionia: «un ometto insignificante» che si rivela ufficiale della Decima Brigata Herzegovaska; le piastrine degli italiani trucidati dai nazisti: poveri figli col cranio sfondato e quelle misere giacchette a -20°; il cadavere del soldato tedesco con la foto di sua moglie stretta nel pugno; lo zoccolo pietoso del cavallo che risparmia i corpi senza vita sul sentiero; il lasciapassare partigiano e la picara«locomotiva umana», tutta muscoli e nervi e barba lunga, che percorre a piedi l’Italia, da Trieste a Viterbo; la stella rossa sul berretto che indispettisce i camion anglo-americani e non li fa fermare; la visione infine, terribile, assoluta, della città in macerie.
Ma soprattutto un’idea ferma: la certezza che le parole non ce la faranno a tener dietro, ad accogliere e contenere, a garantire forma compiuta e un senso permanente all’immane sciagura scampata dal superstite (e testimone). «Quello che dico, dico poco».
Da qui riparte Pietro Benedetti col suo spettacolo Drug Gojko. Da questa soglia affacciata su ciò che non si potrà ridire. Da un atto di fedeltà incondizionata al raffinato artigianato del ricordo ad alta voce di Nello Marignoli. Il racconto di Nello è ripreso da Pietro pressoché alla lettera, con tutti gli stigmi e i protocolli peculiari di una oralità “genuina” e filologica, formulaica e improvvisata al tempo stesso. Pausa per pausa, tono per tono, espressione per espressione. Pietro stila il proprio copione con puntiglio notarile, stillandolo dalla viva voce di Nello.
Questa la scommessa (che è anche ipotesi critica) di Benedetti: ricondurre i modi di un canovaccio popolare entro il canone del copione recitato, serbando però, al massimo grado, fisicità verace del narrare e verità delle sue forme.
Anche per questo la scena è scarna. Così da rendere presente e tangibile il doppio piano temporale su cui racconto e spettacolo si fondano (quello dei fatti e quello dei ricordi): sul fondo un manifesto antipartigiano firmato Casa Pound, che accoglie al suo ingresso Nello-Pietro in tuta da lavoro; sulla sinistra un pneumatico da TIR in riparazione; al centro il bussolotto della ricetrasmittente.
Andiamo a cominciare.
Sulla testimonianza di Nello Marignoli, partigiano italiano in Jugoslavia, si vedano anche:
* il libro "Diario di guerra" (Com. prov. ANPI, Viterbo 2004)
* il documentario-intervista "Mio fratello Gojko" (di Giuliano Calisti e Francesco Giuliani - DVD_60’_italia_2007)
Sullo spettacolo vedi anche: https://www.cnj.it/CULTURA/druggojko.htm