Informazione



Il Montenegro, ventinovesima stella della NATO

di Antonio Mazzeo, lunedì 21 dicembre 2015

Nei primi mesi del 2017 il piccolo Montenegro entrerà a far parte della grande NATO. La decisione è stata assunta il 2 dicembre scorso in occasione del vertice dei ministri degli esteri dei 28 paesi membri dell’Alleanza. Una settimana prima, il Segretario generale della NATO Jens Stoltenberg e il vice Alexander Vershbowsi si erano incontrati in Belgio con il ministro per gli affari esteri montenegrino Igor Lukšić e il titolare del dicastero della difesa Milica Pejanović-Đurišić per sottoscrivere un pre-accordo tra le parti. “Si tratta di un giorno importante per il Montenegro, i Balcani occidentali e l’Alleanza”, ha enfatizzato Jens Stoltenberg. “I progressi fatti dal Montenegro facilitano pure la possibilità che diventi membro dell’Unione europea. I paesi NATO e EU costituiscono una comunità delle moderne democrazie. Noi condividiamo gli stessi valori e nove cittadini dell’Unione europea su dieci vivono in un paese NATO. Insieme, l’open door NATO e l’allargamento EU hanno rafforzato la sicurezza e la stabilità in tutta Europa”.

Per il Segretario generale della NATO, grazie al lavoro con i partner dell’Alleanza, “le forze armate del Montenegro sono ora più forti e più capaci nel proteggere il popolo montenegrino”. “L’ingresso di questo paese porterà benefici alla NATO”, ha aggiunto Stoltenberg. “Rafforzerà la sicurezza e la stabilità dei Balcani occidentali, una regione per lungo tempo caratterizzata dall’instabilità e dai conflitti. Il Montenegro ha una consolidata tradizione militare e si è specializzato in settori come la guerra in montagna e la sicurezza marittima. È importante che il paese continui nel cammino delle riforme interne soprattutto sull’adeguamento della Difesa e sullo stato di diritto”. Sui tempi necessari per l’adesione del Montenegro, Jens Stoltenberg ritiene che le procedure di ratifica dell’accordo da parte dei parlamenti dei ventotto paesi NATO richiederanno almeno un anno e che comunque il tutto si possa concludere entro l’inizio del 2017. “Nel frattempo coinvolgeremo il Montenegro in tutte le attività dell’Alleanza, compreso il summit in programma l’8 e il 9 luglio 2016 a Varsavia, dove potrà partecipare, senza diritto di voto, a tutti gli incontri istituzionali”, ha concluso il segretario generale dell’Alleanza Atlantica.

La rilevanza geostrategica dell’incorporazione del Montenegro nella NATO è stata sottolineata dallo studioso Luca Susic di Analisi difesa. “L’ingresso del piccolo Montenegro ha in realtà un peso politico ben superiore a quello militare”, spiega Susic. “Si tratta infatti di un risultato importante della NATO, innanzitutto perché permette di sferrare l’ultimo e decisivo colpo al già moribondo storico legame fra il paese e la Russia e, in secondo luogo, perché Bruxelles ottiene praticamente il controllo totale delle coste settentrionali del Mediterraneo, realizzando un continuum dalle Colonne d’Ercole ad Antiochia”. Per l’analista, inoltre, la NATO consolida ulteriormente la propria presenza nell’area ex-jugoslava ed “incrementa la già forte pressione esercitata sulla Serbia, che si trova ad essere letteralmente circondata da stati membri dell’Alleanza o da territori controllati da questa (si pensi al Kosovo)”.

Il forte rischio che l’adesione del Montenegro esasperi le tensioni tra la NATO e Mosca è stato rilevato dall’esperto di questioni militari Gianandrea Gaiani. “Elementari ragioni di opportunità diplomatica e prudenza consiglierebbero la NATO a rimandare l’adesione del Montenegro, decisione che non muterebbe gli assetti strategici, non indebolirebbe l’Alleanza occidentale ma favorirebbe quei Paesi europei (Italia inclusa) impegnati a ricucire lo strappo con la Russia determinato dalla crisi a Kiev e dall’annessione della Crimea”, scrive Gaiani su Il Mattino. “Con un po’ di malizia è facile pensare che l’invito al Montenegro punti a creare un clima sfavorevole alla nascita della nuova inattesa alleanza tra Russia e Francia contro lo Stato Islamico in Siria. (…) In prospettiva avere i montenegrini come alleati potrebbe rivelarsi un pessimo affare anche per l’Italia. La base navale di Bar, l’aeroporto di Golubovci o una delle quattro basi aeree militari oggi non più impiegate dalle piccole forze armate montenegrine potrebbero in futuro ospitare forze aeree e navali statunitensi oggi schierate in Italia, Spagna e Germania offrendo costi decisamente più contenuti”.

Dal dicembre 2006, il Montenegro è uno dei membri della NATO Partnership for Peace. Al summit dei Capi di Stato dell’Alleanza a Bucarest nell’aprile 2008, il paese balcanico fu invitato ad intensificare il dialogo con Bruxelles nella prospettiva di un rapido ingresso nella grande alleanza militare. Le prime consultazioni si realizzarono il 24 giugno dello stesso anno in occasione di un incontro tra i viceministri degli esteri e della difesa montenegrini Dragana Radulović e Drasko Jovanović e il vicesegretario NATO per la sicurezza, la cooperazione e la partnership, Robert F. Simmons. A Partire del 2009, la NATO e il Montenegro iniziarono a operare congiuntamente nell’ambito del cosiddetto Membership Action Plan, il programma che “aiuta le nazioni partner a prepararsi in vista di un loro possibile futuro ingresso nella NATO”. Nel 2010, le autorità di Podgorica autorizzarono la partecipazione di un plotone di fanteria e di un piccolo staff di addestratori dell’esercito alla missione militare NATO in Afghanistan. Nello specifico, i militari montenegrini furono impiegati nella protezione del centro di “formazione” della polizia e delle forze armate afgane a Kabul e dello scalo militare di Mazar-e-Sharif, quartier generale del Comando regionale Nord della coalizione internazionale.

Nel marzo 2012, l’allora comandante in capo delle forze NATO, l’ammiraglio statunitense James Stavridis, si recò in visita ufficiale in Montenegro. “Colgo l’occasione per ringraziare il paese per la professionale cooperazione militare e l’eccellente supporto alla missione di peacekeeping NATO in Afghanistan; militarmente, il Montenegro è pronto a fare ingresso nell’Alleanza”, dichiarò allora James Stavridis. Un ulteriore passo verso la completa integrazione nella NATO fu compiuto il 16 ottobre 2013 in occasione della visita del Presidente del Montenegro Filip Vujanovic al quartier generale dell’Alleanza in Belgio, dove incontrò l’allora segretario generale NATO, il generale Anders Fogh Rasmussen.

Nel settembre 2014 il vertice dei Capi di stato e di governo dei paesi membri dell’Alleanza, tenutosi in Galles, assunse la decisione di intensificare i colloqui con le autorità montenegrine; il mese seguente, il NATO Military Committee, la maggiore autorità militare NATO, presieduta dal generale Bartels, si recò in visita a Podgorica per incontrare i vertici delle forze armate locali e verificare la sostenibilità dei nuovi programmi strategici adottati. Nel corso della visita, i membri del Comitato militare NATO parteciparono come osservatori ad alcune esercitazioni militari navali e terrestri e al trasferimento di armi e munizioni nell’installazione “Milovan Šaranović” di Danilovgrad.

Il 5 marzo 2015, il comandante della Kosovo Force (KFOR), generale Francesco Paolo Figliuolo, incontrava a Pogdorica il ministro degli interni Rasko Konjevic e il ministro della difesa Milica Pejanovic Djurisic per discutere sull’evoluzione della situazione socio-politica e della sicurezza in Kosovo. Nel corso del meeting, il Montenegro ribadiva la disponibilità a collaborare con la NATO e le autorità kosovare nella gestione del controllo delle aree di confine e della “lotta alla criminalità organizzata”. Lo scorso 4 settembre, infine, quattro unità assegnate al gruppo navale NATO di contromisure mine (Standing NATO Mine Countermeasures Group TWO - SNMCMG2), schierato nel Mediterraneo a supporto dell’operazione Active Endeavour di “contrasto al terrorismo internazionale”, effettuavano una breve sosta nel porto di Bar. La “visita” della flotta NATO coincideva con una tavola rotonda sulla Sicurezza nell’Adriatico organizzata nella città montenegrina dal NATO Defense College e dalle forze armate locali, in collaborazione con l’Unione Europea. A conclusione della visita, lo Standing NATO Mine Countermeasures Group TWO prendeva parte a un’esercitazione in mare aperto con alcune unità della flotta del Montenegro. 
Dal 2011 al 2014, il paese balcanico è stato pure partner del progetto di “studio” GEPSUS (Geographical Information Processing for Environmental Pollution-Related Security within Urban Scale Environments) sugli effetti in ambito urbano degli agenti inquinanti “specialmente nel contesto di un attacco terroristico”, finanziato dal NATO Science for Peace and Security (SPS) Programme e realizzato da un equipe di scienziati provenienti da Italia, Israele e Slovenia. Il progetto si è concluso con la realizzazione di un apposito centro di formazione e simulazione GEPSUS a Podgorica.




"BISOGNA PRIVATIZZARE TUTTO" PER ENTRARE NELLA SACRA UNIONE EUROPEA

Una importante riunione del governo ucraino culmina in rissa: da un lato l'oligarca Avakov, ladro e profittatore che proclama "Bisogna privatizzare tutto!" (per comprare tutto lui), dall'altra l'ex presidente georgiano Saakashvili, attuale reggente di Odessa, guerrafondaio responsabile di crimini contro la pace, agente della NATO, razzista russofobo e che tuttavia – come tutti nella riunione di governo – parla in lingua russa! 
Nota giustamente Giulietto Chiesa presentando il video: "C’è da sperare che questa Ucraina entri finalmente in Europa, così anche nel Parlamento di Bruxelles assisteremo allo scambio di torte in faccia e insulti pittoreschi". 

Torte in faccia (PTV, 25/12/2015): http://www.pandoratv.it/?p=5422
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=kHSV6Rbq6-U




Per chi volesse saperne di più su Babbo Natale


E' cosa nota che la figura mitica di Babbo Natale si ispira a un preciso personaggio storico, vale a dire Nicola, vescovo di Myra, città della Licia in Anatolia (oggi Demre, Turchia), vissuto nel IV secolo, proclamato Santo dalle chiese cristiane e considerato – tra le altre cose – protettore dei bambini.
San Nicola nei paesi nordici e anglofoni diventa "Santa Claus", appellativo derivato da Sinterklaas, il nome olandese di San Nicola. Infatti nei Paesi Bassi, in Svizzera ed in alcune altre culture, "Sinterklaas" o "Nikolaus" o "Santa Claus" si presenta ai bambini (magari affiancato da un asinello, o tirando una slitta...) con regali, consigli o ammonizioni annualmente alla vigilia del 6 dicembre, giorno dedicato a questo santo, non avendo nulla a che fare con il Natale.

Nelle culture cristiano-ortodosse, dove in base al calendario tradizionale giuliano il Natale cade due settimane dopo rispetto a quello cattolico, e nei paesi socialisti, dove il calendario civile assume un significato prevalente su quello religioso, ad "apparire" ai bambini è un tizio molto somigliante a Santa Claus detto "Babbo Gelo", che di solito si presenta per Capodanno o comunque per tutto il periodo delle feste, senza alcun nesso specifico con il 25 dicembre. 

Anche nelle culture turbocapitaliste occidentali, in effetti, la figura di Babbo Natale o Santa Claus che dir si voglia ha oramai perso il legame con le ricorrenze religiose, essendone piuttosto la sua negazione in quanto una delle tante leve simboliche del delirio consumista. Pare che un ruolo-chiave in questa trasformazione genetica l'abbia avuta la nota ditta produttrice della Coca-Cola: essa avrebbe infatti "consacrato" il vestito rosso e bianco che tutti adesso conoscono per la sua pubblicità natalizia, negli anni Trenta del XX secolo, mentre in precedenza la veste di "Nikolaus" era più frequentemente verde

Tornando a San Nicola di Myra, notiamo che la sua figura in Italia è più nota come San Nicola di Bari. Questo perché le sue Reliquie nel 1087 furono trafugate dalla Turchia ed in parte traslate proprio a Bari, dove per ospitarle quell'anno stesso fu costruita la nota basilica, da allora meta di pellegrinaggio di fedeli.

Gli zar di Serbia della dinastia Nemanja (Nemaide), a partire dal fondatore per finire a Stefano Dušan, dalle loro residenze e conventi nella "vecchia Serbia" (Raška e Kosovo) erano usi inviare frequentemente doni alla Basilica di San Nicola di Bari, proprio in virtù della grande importanza che il Santo ha sempre assunto per le culture cristiano-orientali, bizantine ed ortodosse, data la sua origine anatolica.
Nella Basilica resta a tutt'oggi una unica, importante traccia di tali donazioni: si tratta della preziosa icona di San Nicola, collocata dietro l’altare che custodisce le reliquie del Santo.
L'icona è stata a lungo attribuita ad Uroš II Milutin, lo stesso che aveva donato l’altare d’argento nel 1319; ma oggi, specie fra gli studiosi serbi, prevale l’opinione che essa sia da attribuirsi piuttosto al figlio, Uroš III (1322 – 1331). Egli l’avrebbe inviata alla Basilica come ringraziamento a San Nicola che gli aveva restituito la vista dopo che il padre l’aveva fatto accecare come ribelle.
Nell'icona – che riproduciamo in allegato – il Santo di Myra è ritratto tra i donatori, nella versione definitiva identificati con Stefano Dečanski e suo figlio Dušan.

Un gioiello dell'arte serbo-bizantina è dunque in Italia. Lo sapevate? In barba a Babbo Natale...

E tuttavia: Auguri a chi ci crede. E soprattutto Buone Feste e Buon Anno Nuovo 2016 a tutti, belli e brutti, dal
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS – od Italijanske Koordinacije za Jugoslaviju
sve najbolje za praznike i Srečna Nova Godina 2016. svim jugoslavenima i prijateljima na svijetu!


(a cura di Italo Slavo. Fonti:




(русский / english / italiano
In ordine cronologico inverso - Inversed chronological order)

Comunisti fuorilegge in Ucraina

1) Lettera all'ANPI sull'Ucraina (Giorgio Langella, 21.12.2015)
2) Difendiamo i comunisti ucraini! L'attività del Partito Comunista di Ucraina è stata ufficialmente proibita... (PCFR, 19.12.2015)
3) La repressione dei comunisti in Ucraina. Intervista a Andrei Che Sokolov (NST, 20.11.2015)
4) Appello dei comunisti ucraini ai partiti comunisti e operai (Ottobre 2015)
5) Kiev junta bans the activities of two communist parties (Oct. 1, 2015)
6) Comunicato sul caso dei quadri del KKE presi di mira dal governo ucraino (29.9.2015)
7) Ucraina: aiutiamo i perseguitati politici Sergej Tkachenko e Denis Timofeev (23.7.-26.8.2015)
8) ALTRI LINK / MORE FLASHBACKS
9) VISNJICA - CILIEGINA: Aprile 2015. Due consiglieri comunali della Lega Nord di Milano si sono fatti promotori di un‘iniziativa volta a “mettere al bando tutti i partiti che in Italia si rifanno all’ideologia comunista.” Proprio come in Ucraina e Lettonia. Proprio come piace all'Unione Europea.


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Lettera all'ANPI sull'Ucraina

di Giorgio Langella

Quello che sta accadendo in Ucraina è di estrema gravità.

Organizzazioni dichiaratamente nazi-fasciste sono parte integrante di un governo nato da un vero e proprio colpo di stato finanziato anche da forze occidentali che si dichiarano democratiche. L’eccidio di Odessa del 2 maggio 2014 quando decine di cittadini inermi furono massacrati da un’orda di fascisti e la guerra scatenata contro le popolazioni del Donbass che si sono rifiutate di subire le angherie del governo di Kiev e stanno resistendo all’avanzata di tristi battaglioni di “volontari” che si fregiano di simboli nazisti (e sono solo alcuni esempi di cosa sta succedendo in Ucraina) non hanno certo avuto il dovuto risalto, né il doveroso e fermo contrasto da parte degli antifascisti europei e italiani.

In questi giorni si apprende che l’attività del Partito Comunista di Ucraina è stata ufficialmente proibita dalla giunta di Kiev.

Non si può far finta di nulla. Tutte le forze sane italiane ed europee devono battersi contro ogni discriminazione e in difesa dei comunisti ucraini, la cui libertà e vita è messa in discussione. La logica e l’esperienza ci dicono che presto la giunta di Kiev scatenerà il terrore individuale contro chiunque sia sospettato di essere comunista. Nessun antifascista può permettere che possano avvenire nuove tragedie come quella di Odessa, come gli omicidi politici e il genocidio nel Donbass.

Il pericolo della rinascita di governi fascisti, xenofobi e razzisti in Europa è evidente.

Non possiamo restare indifferenti di fronte a tutto questo.

Chiedo, da iscritto all’ANPI di Vicenza e come segretario regionale veneto del Partito Comunista d’Italia, che l’ANPI prenda una netta posizione denunciando con forza quanto sta accadendo in Ucraina e la connivenza che il governo italiano, la UE, la Nato e gli USA dimostrano nei confronti di un governo, quello di Kiev, antidemocratico e sostenuto da forze dichiaratamente nazi-fasciste. Le stesse che i nostri padri hanno combattuto e vinto con la lotta di Liberazione.

Ora e sempre Resistenza!

21 dicembre 2015


=== 2 ===


Difendiamo i comunisti ucraini! Fermiamo il neofascismo!

19 Dicembre 2015 

Dichiarazione del Presidium del Comitato Centrale del Partito Comunista della Federazione Russa

da kprf.ru | Traduzione dal russo di Mauro Gemma 

“L'attività del Partito Comunista di Ucraina è stata ufficialmente proibita... Oggi tutte le forze sane del pianeta devono battersi in difesa dei comunisti ucraini, la cui libertà e vita è messa in gioco. Non c'è dubbio che dopo il divieto del Partito Comunista la giunta di Kiev cercherà di scatenare il terrore individuale. Più di una volta si è dimostrato che è pronta a farlo: a Odessa allo stesso modo di Khatyn, con gli omicidi politici e il genocidio nel Donbass. Non possiamo permettere che nuove tragedie avvengano!... Ci appelliamo ai dirigenti dei paesi dell'Unione Europea: voi che vi pronunciate regolarmente sull'inviolabilità dei diritti umani, perché non imponete alla presuntuosa dirigenza ucraina di smetterla? Non è la prima volta che avete dimostrato di saper imporre la vostra volontà a Kiev. Dimostrate allora questa volta la vostra disponibilità ad agire come difensori dei diritti civili e delle libertà.”

Fermare gli eredi della banda hitleriana!

L'attività del Partito Comunista di Ucraina è stata ufficialmente proibita da un tribunale. Per tutti coloro che hanno a cuore gli ideali di libertà, uguaglianza e amicizia tra i popoli, per chi ricorda le lezioni della storia, quanto accaduto a Kiev significa solo una cosa: la dittatura fascista a Kiev ha completato il suo disegno. Nella carta dell'Europa è nuovamente apparso uno stato, i cui caporioni sono ideologicamente gli eredi della banda hitleriana. Le conseguenze di ciò potrebbero tragicamente riflettersi in tutto il mondo e, in particolare, in Europa.

Il passo cinico della dirigenza ucraina non è inaspettato. Il colpo di stato portato a compimento a Kiev nel 2014, era colorato di marrone. E' stato attuato ad opera di coloro che dichiarano apertamente la loro adesione all'ideologia nazista. Nel corso della guerra nel Donbass, la giunta fascista ha dimostrato con una serie di azioni odiose la sua natura contraria all'umanità: il terrore contro la popolazione civile, le torture e gli omicidi di massa.

Il governo illegale ucraino, seguendo la strada battuta dai nazisti tedeschi, ha ripetutamente cercato di vietare il Partito Comunista. Ciò ha incontrato la resistenza di giudici onesti e responsabili, di molti rappresentanti della società civile. I coraggiosi, rischiando la sicurezza personale, non si sono fatti portare al guinzaglio dai brutali radicali. Ma il costante sostegno politico degli Stati Uniti e dei loro complici della NATO ha convinto chi ha preso il potere in Ucraina che tutto gli era permesso. Il regime “banderista” di Kiev ha limitato l'attività dei comunisti, ha incoraggiato la demolizione dei monumenti dell'epoca sovietica, ha proibito i simboli sovietici, fino ad arrivare al definitivo divieto illegale del PCU.

Il Partito Comunista di Ucraina ha difeso disinteressatamente i semplici cittadini, che il colpo di stato ha gettato nella povertà e privato dei diritti. Ha difeso gli ideali di fratellanza e amicizia tra i popoli russo e ucraino, mentre i fanatici impazziti urlavano “non saremo mai fratelli”. Proprio per queste ragioni il PCU è stato oggetto dei durissimi attacchi da parte delle autorità di Kiev. Il fascismo, dando l'assalto al potere, ha sempre cominciato con il divieto dell'attività dei partiti comunisti e il massacro dei patrioti onesti e coraggiosi.

Oggi tutte le forze sane del pianeta devono battersi in difesa dei comunisti ucraini, la cui libertà e vita è messa in gioco. Non c'è dubbio che dopo il divieto del Partito Comunista la giunta di Kiev cercherà di scatenare il terrore individuale. Più di una volta si è dimostrato che è pronta a farlo: a Odessa allo stesso modo di Khatyn, con gli omicidi politici e il genocidio nel Donbass. Non possiamo permettere che nuove tragedie avvengano!

Ci appelliamo ai dirigenti dei paesi dell'Unione Europea: voi che vi pronunciate regolarmente sull'inviolabilità dei diritti umani, perché non imponete alla presuntuosa dirigenza ucraina di smetterla? Non è la prima volta che avete dimostrato di saper imporre la vostra volontà a Kiev. Dimostrate allora questa volta la vostra disponibilità ad agire come difensori dei diritti civili e delle libertà.

Allo stesso tempo, il Presidium del CC del PCFR sottolinea il fatto che alcuni politici degli USA e dell'UE sono direttamente coinvolti nelle azioni dei fascisti di Kiev. Questi signori sono al servizio di quelle forze della globalizzazione che stanno operando consapevolmente per provocare una conflagrazione militare nella speranza di utilizzarla per fare fronte alla crisi economica e rafforzare la propria egemonia politica. Sono proprio degni di condividere le stesse responsabilità dei fascisti ucraini, di fronte al tribunale della storia.

Il Presidium del CC del PCFR richiama l'attenzione sul fatto che la proibizione del Partito Comunista di Ucraina non è sufficientemente denunciata dagli strumenti di informazione di massa russi. Noi crediamo che questa situazione sia inaccettabile. Non abbiamo dubbi: gli ammiratori dell'ideologia della destra liberale simpatizzano per la giunta di Kiev. Tuttavia, siamo convinti che la maggioranza la pensa diversamente. Qualsiasi giornalista che si consideri un professionista onesto è tenuto oggi ad alzare la voce in difesa di coloro i cui diritti e libertà sono violati nel modo più cinico e le cui vite sono in pericolo.

Il Presidium del CC del PCFR fa appello al presidente e a chi dirige il governo della Russia perché si adotti una posizione energica e si riaffermi la fedeltà verso l'eredità dei padri e dei nonni – vincitori del fascismo. Occorre offrire il massimo sostegno alle repubbliche del Donbass e risolvere la questione con il loro riconoscimento ufficiale. Tale richiesta è stata avanzata già da molto tempo.    Il PCFR vi insiste dal 2014.

La Russia dispone di leve potenti per esercitare pressione su Poroshenko e i prepotenti teppisti che gli stanno attorno. Se non si utilizza la pressione politica, domani tutti saremo costretti a difendere il paese con le armi in mano dai fanatici “banderisti”.

La nuova offensiva delle forze neofasciste minaccia di incendiare militarmente tutto il mondo e in primo luogo l'Europa. Il PCFR lancia un appello alle forze progressiste di tutti i paesi ad alzare la propria voce in difesa del Partito Comunista di Ucraina, a sostegno delle norme democratiche più elementari. Oggi siamo ancora in tempo per fermare gli eredi della banda hitleriana. Il PCFR invita tutte le persone oneste ad unirsi e a respingere i nuovi fomentatori della guerra. Questa minaccia non è meno pericolosa del terrorismo internazionale.

Difendiamo i comunisti ucraini! Fermiamo il neofascismo!


=== 3 ===


La repressione dei comunisti in Ucraina. Intervista a Andrei Che Sokolov

(NST, 20 novembre 2015)

Dalla Commissione Internazionale NST. Traduzione nostra

Intervista di Internazionalisti 36 al prigioniero comunista Andrei Che Sokolov, dal carcere della Junta fascista ucraina.

Andrei, raccontaci cosa è successo il giorno della tua cattura e di cosa ti hanno accusato? 

Il 16 dicembre del 2014 mi stavo spostando con la mia Matiz da Donetsk a Gorlovka, nella DNR (Repubblica Popolare di Donetsk). In guerra molte cose che dipendono dalla fortuna. Io non l’ho avuta – mi sono perso e sono finito al posto di blocco n. 37 delle VSU (Forze Armate di Ucraina) vicino al villaggio Krasnij Partizan. In quel momento il villaggio era ancora in mano alle forze ucraine. Più tardi, a gennaio, sarebbe stato liberato dai miliziani della DNS…ma in quel momento no, così mi hanno arrestato.

Siccome la matricola della mia auto e il mio passaporto sono russi, mi hanno immediatamente incappucciato, mi hanno legato le mani con lacci di plastica e mi hanno rinchiuso dentro una buca per due settimane. Per loro ero un “nemico della nazione”, un russo…un moskal. Sotto percosse, torture e minacce di essere immediatamente giustiziato, sono stato costretto a “confessare” che stavo aiutando i miliziani nella ricostruzione della fabbrica di Donetsk y Torrez, legata alle “necessità di difesa delle DNR”. Così sono diventato un “collaboratore dei terroristi” secondo l’articolo 258 – 3 UKK (da 8 a 15 anni di condanna poiché l’Ucraina considera le Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk come organizzazioni terroriste). Io sono un operaio metallurgico, per l’esattezza tornista, possiedo nella mia casa di Mosca una piccola officina per la lavorazione del metallo. Sono un buon conoscitore di questo tipo di lavoro con materiali distinti, specialmente in sistemi di tiro (precedentemente ero stato condannato in Russia per la manipolazione di sistemi di armi, essendo un militante del movimento di sinistra radicale). Basandosi su tutto questo, gli accusatori ucraini hanno deciso di accusarmi di lavorare per la repubblica nella creazione del complesso militare-industriale del Ministero della Difesa della DNR.

Il 28 dicembre 2014 mi hanno trasferito al SBU (Servizio di Sicurezza ucraino, ndt) di Mariupol ed è lì che è iniziata ufficialmente la mia detenzione. E’ stato allora che, finalmente, sono riuscito a comunicare con i miei famigliari e a potergli dire di essere prigioniero. Mi hanno messo in un carcere locale, cosa di cui ho approfittato per impugnare le mie confessioni estorte nelle camere di tortura. Dopo un breve periodo istruttorio, adesso comincia il processo. Nego tutte le accuse e porto 11 mesi di prigionia senza alcuna prova processuale e senza testimoni. Tutte le accuse consistono nell’auto-incriminazione estorta sotto tortura. Hanno persino cambiato la data e il luogo di detenzione, in realtà sequestro, cioè il 16 dicembre al posto di blocco, né lo menzionano, dando come data e luogo il 28 dicembre a Mariupol. Al momento della “detenzione” io ero completamente disarmato e vestito da civile. Sono un volontario civile della DNR.

Come sei stato trattato in prigione e quale è la tua situazione attuale?

Come ho detto prima, sono passato dai “sotterranei” (i centri di tortura, ndt) e ora mi trovo in un carcere comune. C’è una enorme differenza tra i “sotterranei” nelle zone dell’ATO (zona di guerra, ndt), dove la gente subisce torture e crudeltà o semplicemente scompare senza alcuna traccia, poiché non è detenuta legamente e né i suoi famigliari né i suoi amici sanno dove si trovi. In questo modo nessuno è responsabile della vita e dello stato di salute dei prigionieri. Non sono stato tra quelli trattati peggio per essere un russo e non un miliziano locale. Qui ho conosciuto diversi prigionieri russi, come Sasha, che nel braccio aveva inciso la parola “moskal” con un coltello. A me questo non è toccato. Ciò mi ha ricordato quello che avevo letto prima della guerra sul trattamento dei paracadutisti francesi nei confronti dei resistenti – i patrioti algerini rinchiusi in sotterranei simili a questi. Torturavano gli algerini ma anche i cittadini francesi. Sulla mia esperienza personale riguardo questo cosa, ho scritto dettagliatamente nel mio articolo “tutti parlano in prigione1”.

Nelle prigioni “normali” le condizioni sono tollerabili. Il cibo è cattivo, ma i compagni riescono a farci avere pacchi con alimenti. All’inizio mi hanno dato un avvocato “pubblico” (totalmente inutile), ma adesso ne ho uno che si occupa del caso. Noi prigionieri della DNR siamo tenuti singolarmente in celle con prigionieri comuni, manteniamo comunicazioni fra noi, ci consideriamo prigionieri politici e chiediamo che ci mettano nello stesso gruppo. E’ necessario per implementare la solidarietà e il mutuo appoggio. A Odessa e Artiomovsk, dove ci sono moltissimi prigionieri politici, questi sono raggruppati nello stesso settore penitenziaio. Vogliamo vedere se questo si riesce a ottenere per tutte le carceri ucraine.

Da poco Valeriy Berest, che come te è stato detenuto il 16 dicembre ed è stato rinchiuso nel SIZO (prigione preventiva isolata) di Mariupol, è stato scambiato con altri prigionieri e si trova libero. Quali sono le possibilità di vederti in uno scambio di prigionieri? 

Sì, il 28 ottobre, presso la linea del fronte, nella città dal pacifico nome di Shastie (in russo felicità, ndt) tra l’Ucraina e la LNR (Repubblica Popolare di Lugamsk), c’è stato uno scambio di prigionieri sotto la formula -11×9. Cioè 11 dei nostri prigionieri in mano all’Ucraina per 9 militari delle VSU. Tra i nostri ce n’era uno che avevo conosciuto nella prigione di Mariupol, il miliziano Valery Berest (in realtà dei nostri 11, solo 3 erano miliziani, i più erano civili). Mi sento molto contento e felice che Valery adesso sia libero. Ci siamo conosciuti nel SBU durante i primi interrogatori, inoltre siamo stati catturati lo stesso giorno. Ci interrogavano nella stessa stanza dell’ispettore del SBU, e ci hanno tenuti nella stessa cella nel periodo delle “indagini”.

Ci hanno portato assieme nel carcere. E’ stato il primo compagno che ho incontrato durante il periodo dei “sotterranei”, con cui potevo parlare. Sino a quel momento ero sempre stato solo e con una sacco che mi copriva il viso. Così ci siamo raccontati le nostre storie. E’ un abitante della città di Donetsk, un operaio di 49 anni. Lui non si era unito immediatamente alla guerriglia, ma solo quando ha cominciato a essere testimone della distruzione e morte causata dagli attacchi dell’artiglieria sul distretto in cui viveva con la sua anziana madre. E’ entrato nelle Milizie per difendere la sua casa e la sua città. E’ stato mandato a fare da guardia ai posti di blocco, è passato per il freddo delle trincee. Un soldato semplice, con tutto ciò che questo significa in una guerra. E’ caduto prigioniero, come me, per un errore. Usciva da una zona ucraina vicino a Volnovaja. Era vestito con il suo uniforme, che gli hanno sequestrato non appena arrivato nel luogo di detenzione. Per questo gli avevo dato la mia maglia, era un inverno freddo – gennaio – e con quella è apparso nelle foto dello scambio. Però questo non è avvenuto subito.

A marzo, lui con altri 18 prigionieri sono stati trasferiti da Mariupol a Jarkov al “deposito” del SBU, e lì ha passato quasi mezzo anno, in condizioni molto peggiori rispetto a una prigione normale. Da lì non è possibile stabilire contatti con nessuno, non sono permessi i pacchi col cibo, non sono permesse visite dei famigliari e nemmeno lasciano avvicinare i rappresentanti della Croce Rossa Internazionale. E’ come stare in una tomba!

Lì sono rinchiusi circa 50 prigionieri senza alcuna condanna giudiziaria, senza nessuna accusa legale, totalmente a capriccio del SBU. Voglio che questo si sappia nel modo più ampio possibile, che si sappia nella famosa Commissione dei Diritti Umani del Parlamento Europeo. Ai prigionieri danno da mangiare gli avanzi della mensa dei membri del SBU. Non si somministrano medicamenti, a Valeri è venuto un infarto e gli hanno dato una pastiglia di valeriana. Negli scambi escono solo pochi, la maggior parte continua nella “lotta”. In più, attualmente nelle carceri ucraine ci sono più di 1300 prigionieri politici, e gli scambi, nella scala attuale, non cambiano praticamente nulla della situazione generale dei prigionieri. Solo una amnestia generale o uno scambio tutti x tutti potrebbe essere una soluzione, alla quale, ovviamente, il potere ucraino non vuole arrivare. Per questo, le mie possibilità di far parte di uno scambio sono le stesse di quelle che hanno gli altri -11 x 1300. Così è questa matematica…le possibilità sono ridotte.

Hai aiutato la DNR come ingegnere, quali sono gli aiuti ricevuti dalla DNLNR per sostenere il tuo caso? 

Il loro sostegno sarebbe quello di farmi includere nella lista dei prigionieri di guerra della DNR, non c’è altro modo di aiutarmi. Tutto ciò che può essermi di aiuto già lo stanno facendo i miei compagni della DNLNR e dell’Ucraina per propria iniziativa. L’avvocato e l’invio di pacchi costa denaro e i miei famigliari di Mosca cercano di raccoglierlo, ho anche aiuti dal SRI del Belgio, c’è un conto elettronico per la raccolta di denaro nella FR. Tutto ciò mi permette un sostentamento in carcere, senza il quale la vita qui sarebbe molto più difficile. I miei compagni di danno l’appoggio morale, pubblicano i miei articoli e le mie note, vanno esponendo l’andamento del processo. So che non si sono dimenticati di me e sento questa solidarietà, cosa molto importante per un prigioniero politico. In quanto al tema dell’inclusione ufficiale nella lista di scambio, la commissione del consolato della FR in Jarkov mi ha visitato solo una volta. A nessuna delle mie udienze pubbliche ha assistito alcun giornalista della stampa russa o alcun rappresentante della FR, la sala sempre vuota, anche se l’accesso al pubblico non era proibito. Solo il mio avvocato e io, mentre la pena che rischio è fra gli 8 e i 15 anni di prigione.

Alla fine, Andrey, come possiamo aiutarti? 

Ripeto, per il prigioniero politico è molto importante la solidarietà. Siamo sempre una minoranza, e sempre ci dividono e cercano di spezzarci il morale. La divulgazione dell’informazione sui nostri prigionieri e la raccolta di aiuti per i prigionieri politici sono i migliori strumenti per darci sostegno. In questo momento, i prigionieri esplicitamente comunisti come me, sono pochi, un paio di dozzine in tutta l’Ucraina, la maggior parte dei prigionieri sono miliziani o militanti anti-maidan di diversa provenienza. Però la repressione contro tutto ciò che sia di sinistra è solo cominciata, adesso siamo in pochi ma la situazione peggiorerà. Già si stanno adottando leggi contro la simbologia comunista (da 10 a 15 anni), sotto cui cadrà anche la sinistra moderata, come ad esempio il KPU. Penso che questo porterà alla radicalizzazione della sinistra ucraina in generale, il che porterà a una maggiore repressione e più prigionieri. Per poter far fronte a questo, credo che dobbiamo approfittare dell’esperienza dei movimenti della sinistra rivoluzionaria degli anni ’70-’80 dell’america latina e dell’Europa. Abbiamo bisogno anche di aprire un “fronte carcerario” in combinazione con la difesa poltico-giuridica contando sulla solidarietà e sull’aiuto dei compagni di Russia e Europa. La guerra in Donbass momentaneamente ha perso di intensità, però la guerra sociale è solo cominciata e proseguirà. La miseria, il collasso dell’economia, il potere oligarchico, il paramilitarimo dei battaglioni e la crisi politica del regime – sono i nostri cocktail molotov in Ucraina e la sinistra deve usarli per vincere.

Per questo tutti i problemi e gli obiettivi devono richiamare a livello internazionale, quanto più possibile. E in questo campo i mezzi di contro-informazione come il vostro “Internazionalistas 3”, hanno un valore insostituibile.

Grazie compagni per la vostra solidarietà e il vostro sostegno! Grazie per questa intervista che mi dà la possibilità di esporre la mia situazione di prigioniero e la nostra lotta in Ucraina.

NO PASARAN!

6 novembre, prigione di Volianskaya della provincia di Zaporojze, Ucraina, Andrei “Che”.

P.S. I miei auguri per la commemorazione del 7 novembre della nostra Grande Rivoluzione di Ottobre

foto dello scambio di prigionieri politici del 28 ottobre: http://denyaleto.livejournal.com/84668.html?page=1



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Appello dei comunisti ucraini ai partiti comunisti e operai

(Ottobre 2015)

http://www.marx21.it/index.php/comunisti-oggi/in-europa/26190-appello-dei-comunisti-ucraini-ai-partiti-comunisti-e-operai

Il 5 novembre 2015, il Tribunale amministrativo di appello di Kiev esaminerà la richiesta di appello del Partito Comunista di Ucraina (KPU) in merito alle decisioni della Corte amministrativa distrettuale di Kiev su 4 suoi ricorsi  contro il Ministero della Giustizia di Ucraina. Tutte le decisioni della prima istanza sono state prese in aperta e grossolana violazione delle fondamentali garanzie procedurali del diritto a un giusto processo.  Il nostro partito è sostenuto da un team di competenti avvocati.  In ogni caso, al momento è molto importante per noi ricevere il sostegno di compagni, membri del Parlamento Europeo o dei parlamenti nazionali, in considerazione del fatto che la decisione che a nel processo del 5 novembre verrà assunta renderebbe possibile la messa al bando del KPU.  

Il nostro Partito sosterrà tutte le spese. 

Sulle persecuzioni a cui i comunisti ucraini sono sottoposti da parte delle autorità golpiste di Kiev:  
http://www.marx21.it/index.php/comunisti-oggi/in-europa/25423-il-parlamento-golpista-ucraino-approva-il-divieto-della-propaganda-e-dei-simboli-comunisti 
http://www.marx21.it/index.php/comunisti-oggi/in-europa/25382-appello-del-partito-comunista-ducraina-ai-leader-dei-partiti-comunisti-e-operai-e-ai-parlamentari-europei 

L'appello dall'Italia:  http://www.marx21.it/internazionale/area-ex-urss/24392-no-alla-messa-fuorilegge-del-partito-comunista-ducraina.html 


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Kiev junta bans the activities of two communist parties

October 1: The District Administrative Court of Kiev (OASK) has banned the activities of two communist parties.

As reported by the press service of OASK, on September 30 the Court adopted decisions in cases brought by the Ministry of Justice of Ukraine against the Communist Party of Ukraine (Renewed) and the Communist Party of Workers and Peasants (KPRS) to terminate the activities of a political party, saying the claims are satisfied in full and the activities of these parties banned.
The report added that consideration of the administrative case on the suit by the Ministry of Justice against the Communist Party of Ukraine (KPU) to terminate the activities of a political party continues, as the Communist Party of Ukraine appealed the order of the Ministry of Justice, which is the basis for the ban of its activities.
The trial on the suit of the Ministry of Justice against the Communist Party to terminate its activities is scheduled for October 8, 2015, at 14.00.
As UNIAN reported earlier, on July 8, 2014, the Ministry of Justice of Ukraine and State Registration Service (Ukrgosreestr) appealed to the District Administrative Court of Kiev with a lawsuit to ban the activities of the Communist Party of Ukraine. According to the lawsuit, the KPU commits acts aimed at changing the constitutional order by violent means; violates the sovereignty and territorial integrity of Ukraine; issues propaganda for war, violence, and incitement of ethnic hatred; encroaches on human rights and freedoms; and that representatives of the Communist Party systematically appeal for the creation of paramilitary groups.

Source: http://www.unian.net/politics/1139485-kievskiy-sud-prekratil-deyatelnost-dvuh-kommunisticheskih-partiy.html
Translated by Greg Butterfield


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Comunicato dell'Ufficio stampa sul caso dei quadri del KKE, inaccettabilmente presi di mira dal governo ucraino

Partito Comunista di Grecia (KKE) | kke.gr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

30/09/2015

Il presidente dell'Ucraina, P. Poroshenko, verso la metà dello scorso settembre ha comminato tramite decreto una serie di sanzioni contro 105 persone giuridiche e 338 persone fisiche, per presunte attività contro l'Ucraina.
Tra i primi ci sono imprese, banche e istituti russi, comprese alcune organizzazioni e istituzioni di questo paese.
Anche tra le persone fisiche si possono trovare principalmente figure politiche della Russia, così come parlamentari, giornalisti, avvocati di altri paesi. Tra questi, i compagni Sotiris Zarianopoulos, europarlamentare del KKE, Giorgos Lamproulis, deputato del KKE e Giorgos Magganas, quadro del KKE.
I dirigenti del KKE, rispondendo all'invito delle "Repubbliche Popolari" del Donbass, andarono come "osservatori" alle elezioni che si svolsero a novembre 2014.
Con questa decisione, le autorità ucraine hanno lanciato delle accuse gravi e senza fondamento contro i quadri del KKE, accusandoli di sostenere il "terrorismo" e di agire contro gli "interessi nazionali e l'integrità territoriale" dell'Ucraina.
Queste accuse inaccettabili rivolte contro i quadri del KKE vengono lanciate da quelle forze salite al governo con il sostegno di Usa e Ue, oltre a quello delle forze fasciste. L'Ucraina però non sta venendo demolita dai quadri del KKE che, come altri da vari paesi di tutto il mondo, erano presenti in qualità di "osservatori" in un processo elettorale. Quest'opera di distruzione proviene invece dalle stesse autorità ucraine, le quali in preda a un delirio nazionalista hanno rovesciato con un colpo di stato il precedente governo, distrutto e vandalizzato i monumenti antifascisti e sovietici, bandito i partiti politici e tra questi il Partito Comunista d'Ucraina, proceduto alla riabilitazione e legittimazione storica dei nazisti ucraini, dichiarandosi infine favorevoli all'adesione del paese alle unioni imperialiste della Nato e dell'Ue. Con queste loro stesse azioni stanno causando la "disintegrazione" del proprio paese.
Il KKE denuncia questa inaccettabile decisione presa dal presidente dell'Ucraina contro i suoi quadri e ne chiede l'annullamento immediato.

Atene, 29/09/2015
Ufficio stampa del Comitato Centrale del KKE


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Ucraina: aiutiamo i perseguitati politici

26 Agosto 2015

A seguire, il modello della lettera da inviare al Tribunale ucraino dove si tiene il processo contro Sergej Tkachenko e Denis Timofeev.

Un anno fa, il 1 settembre, nella regione di Dnepropetrovsk venivano arrestati due membri del Partito Comunista d’Ucraina: Sergej Tkachenko (segretario del partito e consigliere comunale a Dneprodzerzhinsk) e Denis Timofeev, segretario del partito a Baglejsk e capo della locale organizzazione Antifascista.

Solo successivamente sono stati resi noti i capi d’accusa: “attività separatiste” e detenzione e fabbricazione di armi (i due sarebbero stati intenti alla fabbricazione di granate in casa…).

Nel dicembre del 2014, la prima udienza del processo vide negare il rilascio su cauzione dei due militanti politici che da allora si vedono prorogare continuamente i due mesi di custodia cautelare in carcere (Timofeev poté beneficiare di alcune settimane ai domiciliari, per poi tornare in carcere su pressione del Procuratore della Repubblica a fine dicembre 2014).

Formalmente, i due restano in carcere accusati di “separatismo” in quanto oppositori della guerra nel Donbass  e della “Operazione Anti Terrorismo”, e di possesso di armi rinvenute “presumibilmente” (!) nelle loro abitazioni (art. 263 e 110 del Codice Penale).

Le ultime udienze (agosto 2015) si sono svolte nella violazione palese del diritto dei detenuti a difendersi: l’udienza del 13 agosto è stata anticipata da una udienza non prevista l’11, senza informare gli avvocati, e si è svolta quindi senza i legali degli imputati. Il giudice Tatiana Ivchenko e il pubblico ministero ne hanno approfittato per tentare di convincere i due, senza riuscirvi, ad assumere in propria difesa degli avvocati designati dal tribunale, in modo da risolvere “più velocemente” il caso promettendo addirittura di produrre la sentenza nella stessa giornata. L’udienza del 13 agosto si è svolta invece senza la presenza dei testimoni dell’accusa, e ai legali dei detenuti è stato vietato di esporre obiezioni alle contraddittorie testimonianze precedentemente prodotte e nuovamente riportate dall’accusa. La seduta si è conclusa con l’ennesima proroga di due mesi della detenzione (fino al 10 ottobre), e fissando una nuova udienza per l’8 settembre.

In vista della nuova udienza fissata per l’8 settembre, chiediamo ai nostri lettori di inviare, per posta o per e-mail, questa lettera in italiano e ucraino al Tribunale:

Dnipropetrovsk Region Court
Dniprodzerzhinsk, Guby str. 5
Ukraine, 51925

e-mail: inbox@...

______

Data:

Paese:

Al Tribunale Distrettuale di Dniprodzerzhinsk

Con la presente intendo esprimere la mia preoccupazione per le accuse penali e per il processo contro Sergej Tkachenko e Denis Timofeev che si tiene presso il Vs. tribunale. Apprendo che i due sono stati accusati ai sensi degli articoli 110 e 263 del Codice Penale dell'Ucraina.

Secondo le mie informazioni, i due imputati si sono apertamente espressi in favore di una risoluzione pacifica del conflitto politico in Ucraina orientale. Condivido questo punto di vista e non vedo alcun motivo per perseguire penalmente chi esprime questa posizione in Ucraina.

Sono preoccupato per il lungo periodo di detenzione degli imputati. Le loro richieste di libertà condizionale agli arresti domiciliari durante i lavori del Tribunale sono state negate dalla Vs. Corte. Questa sembra essere una grave violazione dei loro diritti.

Esorto il vostro tribunale a procedere rapidamente con questo caso, fornendo agli avvocati della difesa tutte le prove che i Pubblici Ministeri sostengono di avere contro gli imputati.

In fede,

Nome _______

Indirizzo / indirizzo e-mail ______



Дата:_______

Країна:_______

Заводському райнному суду м. Дніпродзержинська

Я пишу, щоб висловити свою стурбованість щодо кримінальних звинувачень і судового розгляду справи проти Сергія Ткаченка та Дениса Тимофєєва, яку розглядає ваш суд.

Їх звинувачують за статтями 110 та 263 Кримінального кодексу України.

За моїми даними, двоє обвинувачених висловлювалися за мирне вирішення політичного конфлікту на сході Україні. Я поділяю цю точку зору і не бачу причин, чому хтось в Україні має бути притягнутим за це до кримінальної відповідальності.

Я також стурбований тривалим утриманням обвинувачених під вартою. Їх апелляції щодо умовного звільнення під домашній арешт на час судового розсідування були відхилені судом. Це здається мені серйозним обмеження їх прав.

Я закликаю ваш суд розглянути цю справу якомога швидше, зокрема забезпечуючи адвокатів всіма доказами, що мають бути висунуті прокурорами у відношенні обвинувачуваних.

З повагою, _______

Адреса / e-mail: __________

A cura di Flavio Pettinari, animatore di “Con l’Ucraina antifascista” e collaboratore di Marx21.it

===

http://www.marx21.it/comunisti-oggi/in-europa/25896-aiutiamo-i-prigionieri-politici-ucraini.html

Aiutiamo i prigionieri politici ucraini

23 Luglio 2015
– Fonte: "Con l'Ucraina antifascista" https://www.facebook.com/ucrainaantifascista

Sergey Tkachenko e Denis Timofeyev sono compagni ucraini membri del Partito Comunista d’Ucraina. In seguito a delle accuse fabbricate a tavolino possono rischiare10 anni di carcere. Si trovano in un carcere di Dnepropetrovsk dal 1 Settembre 2014. In tutto questo tempo l'inchiesta non ha mostrato prove della loro colpa ma gli arrestati rimangono in prigione per via della situazione politica. In questo periodo loro e le loro famiglie hanno bisogno di un supporto finanziario.

Durante le perquisizioni nelle case di ciascuno di loro da parte della SBU (servizi di sicurezza ucraini) sono stati trovati numeri della rivista “Novorossia”, vietata, una granata e un pacco di tritolo. Ci sono seri motivi per credere che le “prove materiali” sono state piazzate dalle guardie stesse, cioè tutti gli oggetti sono stati “scoperti” alla fine della perquisizione nei posti già controllati prima.

La scusa per le perquisizioni era l'apparizione di una rivista locale del PCU, “Prometeo”, anche se la perizia ha dimostrato che la rivista non contiene nessun appello al separatismo. I difensori dei comunisti sottolineano che il processo si sta portando avanti con delle violazioni, per esempio le domande dei difensori ai testimoni sono state respinte dalla procura. La corte si rifiuta di cambiare le condizioni della detenzione degli arrestati. Secondo gli avvocati ciò contraddice le leggi europee che sono state implementate anche in Ucraina. Le famiglie dei detenuti stanno passando tempi duri. Tkachenko ha tre figli minorenni, Timofeev né ha due.

Dettagli per chi vuole inviare un aiuto economico: 

Web Money:

USD: Z318054284218
EUR: E720490705762
Bank transfers in Euro (EUR)
Account with Institution
BIC DEUTDEFF
DEUTSCHE BANK AG
FRANKFURT/MAIN, GERMANY
Beneficiary Bank
BIC SABRUAUK
SBERBANK OF RUSSIA’ JSC
Kyiv, Ukraine
CORRESPONDENT ACCOUNT NUMBER: 100947712600
Beneficiary: /26200000112733 OLENA TKACHENKO
Oppure:
Account with Institution
BIC COBADEFF
COMMERZBANK AG
FRANKFURT/MAIN, GERMANY
Beneficiary Bank
BIC SABRUAUK
‘SBERBANK OF RUSSIA’ JSC
Kyiv, Ukraine
CORRESPONDENT ACCOUNT NUMBER: 4008865602
Beneficiary: /26200000112733 OLENA TKACHENKO

Per informazioni: colonoscop@...
http://ukraine-human-rights.org/ukrainian-political-prison…/


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ALTRI LINK / MORE FLASHBACKS

Contro il fascismo e la guerra in Ucraina e in Europa (da www.avante.pt, Traduzione di Marx21.it – 8 Ottobre 2015)
Conversazione con Petro Simonenko, primo segretario del Partito Comunista Ucraina, ospite della Festa di Avante! 2015.

Censura politica dell'arte in Ucraina (da www.solidnet.org, 19 Agosto 2015)
Appello del Partito Comunista di Ucraina ai partiti comunisti e operai degli altri paesi
http://www.marx21.it/internazionale/area-ex-urss/25958-censura-politica-dellarte-in-ucraina.html

L’Ucraina non è più un soggetto indipendente della politica internazionale (12 Agosto 2015 – da www.kpu.ua)
Negli anni dell’indipendenza l’Ucraina ha perso lo status di soggetto della politica internazionale, trasformandosi in oggetto di manipolazione. Lo ha dichiarato il leader del Partito Comunista di Ucraina Petro Simonenko...

Communist Andrei Sokolov in 8th month of Ukrainian captivity (Union Borotba, 4/8/2015)
Our comrade, communist Andrei Sokolov, is already in his 8th month as a political prisoner of the Ukrainian junta...

L’Ucraina, ridotta a colonia, consegna il controllo delle sue frontiere ai privati stranieri (Dichiarazione di Petro Simonenko, Segretario del Partito Comunista di Ucraina - da www.kpu.ua - 29 Luglio 2015)
La decisione del regime al potere di trasferire le dogane delle frontiere occidentali alla gestione di una compagnia privata britannica... rappresenta il riconoscimento della propria incompetenza e incapacità di contrastare il contrabbando e la corruzione... Si tratta, in definitiva, di una manifestazione dell’incapacità di gestire lo stato e di uno sputo in faccia al popolo dell’Ucraina, a cui è negato il diritto di essere padrone sulla propria terra e a cui spetta solo il destino della schiavitù coloniale... Il trasferimento di tutto il confine economico occidentale al controllo di una compagnia privata straniera è un assolutamente prevedibile passo antipopolare nella forma e anti-ucraino nella sostanza da parte del governo. Ciò rappresenta una rinuncia de facto alla sovranità politica dell’Ucraina e un atto di tradimento della nazione...
http://www.marx21.it/internazionale/area-ex-urss/25914-lucraina-ridotta-a-colonia-consegna-il-controllo-delle-sue-frontiere-ai-privati-stranieri.html

I comunisti russi denunciano la scalata della repressione anticomunista in Ucraina
Dichiarazione del Partito Comunista della Federazione Russa (26 Luglio 2015 – da kprf.ru)
Il gruppo filo-americano al governo a Kiev, che si era impadronito del potere in Ucraina nel febbraio del 2014, ha fatto ancora un passo sulla strada dell’annientamento della democrazia nel paese. Il ministro della Giustizia ha firmato un documento che proibisce al Partito Comunista di Ucraina di partecipare alle elezioni di qualsiasi livello. In tal modo, è dato di capire che ciò rappresenta solo un passo intermedio verso la completa proibizione del partito comunista...

Nuovo giro di vite fascista in Ucraina. Al bando i partiti comunisti (Redazione Contropiano, 24 Luglio 2015)
… "il Partito Comunista d'Ucraina nella sua attività non è conforme alla legge sulla de-comunistizzazione. La conseguenza giuridica di ciò è che questa forza politica e altri due partiti politici comunisti non possono essere soggetti al processo elettorale e partecipare alle elezioni presidenziali e alle elezioni locali « ...
Ucraina: è stato bandito il Partito Comunista (24 Luglio 2015)
Leader comunisti, parteciperemo comunque a elezioni – Il partito comunista ucraino parteciperà alle elezioni locali fissate per il 25 ottobre nonostante sia stato ufficialmente messo al bando dal governo filo-occidentale al potere a Kiev. Lo ha annunciato il leader dei comunisti ucraini, Petro Simonenko, sfidando cosi’ il bando decido dal ministro di grazia e giustizia. (Notizia ANSA 24 luglio 201515:33)
http://www.marx21.it/comunisti-oggi/in-europa/25901-ucraina-e-stato-bandito-il-partito-comunista.html

Kiev junta continues trial of communist Alexander Bondarchuk
Tomorrow, July 10, 2015, at 14.30 in Darnytskyi district court of Kiev (address: Kyiv, vul. Kosice, 5A), another court hearing will be held in the case of the editor-in-chief of "Working Class" and opposition politician Alexander V. Bondarchuk... 

Resistenza al regime fascista di Kiev (18 giugno 2015)
1.1) PROMULGATE LE LEGGI SPECIALI IN UCRAINA: I COMUNISTI E I LORO SIMBOLI SONO FUORILEGGE
1.2) Il Ministero degli Esteri russo condanna le leggi anticomuniste e “revisioniste” varate in Ucraina
1.3) Istituita in Ucraina la "Opposizione di sinistra" / "United Left Opposition" / „Linke Opposition“
2.0) More Links
2.1) Open Letter from Scholars and Experts on Ukraine Re. the So-Called "Anti-Communist Law"
/ Lettera aperta di studiosi dell’Ucraina sulla cosiddetta “legge anti-comunista” 
2.2) Arrestato in Ucraina Sergej Gordienko, uno dei massimi dirigenti comunisti
2.3) Assassinii politici in Ucraina
2.4) Campaigns of the "Union of the political political prisoners and political refugees of Ukraine"

L’uovo del serpente (di Pedro Guerreiro - 29 Maggio 2015)
Le leggi

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DIPLOMARBEIT

Titel:
Die Wahrnehmung des Zerfalls von Jugoslawien in ausgewählten Werken Peter Handkes und Dubravka Ugrešićs

Verfasserin: 
Maja Sito, BA
angestrebter akademischer Grad Magistra der Philosophie (Mag.phil.)

Wien, 2011
Deutsche Philologie
Betreuerin: Ao. Univ.-Prof. Mag. Dr. Pia Janke

Inhaltsverzeichnis:

Vorwort.................................................................................................................4

1. Einführung.......................................................................................................8

1.1. Kollektive und mediale Wahrnehmung des Zerfalls von Jugoslawien im deutschsprachigen und kroatischen Raum.....................8 
1.2. Forschungsstand...........................................................................................13 
1.3. Aufbau der Arbeit und Methodik.................................................................15

2. Eingrenzung des Begriffes Wahrnehmung.................................................17

2.1. Die Interdependenz von Identität, Sprache und Wahrnehmung......................23 
2.1.1. Identität und Wahrnehmung............................................................................................23 
2.1.2. Sprache und Wahrnehmung............................................................................................28 
2.2. Mediatisierte Wahrnehmung.........................................................................30 
2.2.1. Der literarische Text und Wahrnehmung........................................................................34

3. Irritationen in der Wahrnehmung...............................................................38

3.1. Durch den Verlust von Identität....................................................................38 
3.2. Durch Variationen in der Sprache.................................................................40

4. Die Wahrnehmung des Zerfalls von Jugoslawien.......................42

4.1. Formale Aspekte von Text und Wahrnehmung............................................42 
4.1.1. Schwellentext..................................................................................................................42 
4.1.2. Erzählverfahren...............................................................................................................43

4.2. Wahrnehmungsschemata der Medien in der literarischen Kritik.................43 
4.2.1. Das poetische Gegenprogramm......................................................................................44 
4.2.2. Festschreibung medialer Wahrnehmungsschemata - Ein Spiegelverhältnis...................49 
4.2.3. Der Parasit im Auge........................................................................................................53 
4.2.4. Lückenlose Berichterstattung..........................................................................................61
4.2.5. Ein Land verschwindet...................................................................................................66 
4.2.6. Ziele der literarischen Kritik...........................................................................................69

4.3. Literarische Wahrnehmungspositionen........................................................70 
4.3.1. Rollenmodelle der BeobachterInnen..............................................................................71 
4.3.2. Verortungen und Bewegungen des Blicks......................................................................77 
4.3.3. Der Blick an der Schwelle..............................................................................................81

4.4. Alternative Perspektiven in der Wahrnehmung des Zerfalls von Jugoslawien................................86 
4.4.1. Fragmentarisierte Wahrnehmung....................................................................................86 
4.4.2. Wahrnehmen von Verlusten............................................................................................90 
4.4.3. Wahrnehmung für Friedenszeiten...................................................................................97

5. Rezeption der Wahrnehmung Handkes und Ugre!i"s - ihre Hauptkritikpunkte im Vergleich...........................99

6. Schlusswort..................................................................................................107

7. Bibliografie...................................................................................................110
7.1. Primärliteratur.............................................................................................110 
7.2. Sekundärliteratur.........................................................................................111 
7.3. Internetquellen............................................................................................121
8. Anhang.........................................................................................................122
8.1. Abstract.......................................................................................................122 
8.2. Curriculum Vitae........................................................................................123


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Wahrnehmungsstörungen


Dezember 17, 2015

Gestern entdeckt: hier mal eine bemerkenswerte Diplomarbeit  von 2011, der 29jährigen Maja Sito. Auch deshalb bemerkenswert, weil sie Kroatin ist und objektiv und frei von negativen Wertungen, die (un)Kultur des `modernen` Journalismus analysiert. (Für die, die es nicht wissen: Kroaten, Moslems und Serben waren die größten rivalisierenden Bürgerkriegsgruppen im jüngsten Jugoslawienkrieg, die jedoch nicht – wie auch die Verfasserin betont – als homogene Volksgruppen betrachtet werden können.)

Maja Sito erklärt die Gedanken hinter ihrer Arbeit und vergleicht hierzu die Schriften zweier völlig konträrer SchriftstellerInnen – Peter Handke  und Dubravka Ugrešić   – mit den Veröffentlichungen deren Kritiker. Obwohl sowohl Handkes, als auch Ugrešićs Texte Konflikte und Skandale in der Öffentlichkeit auslösten, steckt eine völlig gegensätzliche Intention dahinter. Beiden wurde jedoch eine “falsche” Wirklichkeitswahrnehmung der Jugoslawienkriege vorgeworfen. Dass dies jedoch vielmehr auf Seiten der Kritiker und der breiten Medienmasse der Fall ist, macht diese Analyse deutlich. Akribisch fügt auch sie die Quellenangaben hinzu.

Das lobenswerte an Maja Sito, die in ihrer Diplomarbeit wie viele Analytiker und Autoren schon zuvor, auf die Rolle der Medien eingeht, ist ihr Fazit im Schlusswort. Sie bringt darin auf den Punkt, was man als fehlende menschliche Wahrnehmung und ungenügendem Verantwortungsbewusstsein des Journalismus der letzten 25 Jahre bezeichnen muss – eine klare und auf faire Recherche beruhende Feststellung, die in dieser Form wohl nur wenigen Autoren und Journalisten gelingt.

Hierzu aus ihrem Schlusswort:

»Beide Texte [von Handke und Ugrešić] vereinen in sich ein komplexes und hochpolitischen Thema einer noch kurz zurückliegenden europäischen Geschichte, welches von den Medien in seiner Komplexität so stark reduziert wurde, so dass lediglich ein Schwarz-Weiß-Schema zurückblieb und man sich für eine Seite entscheiden musste. In vorliegendem Fall ist dieses von den Medien reduzierte Objekt der Erörterung die SFRJ [Die Sozialistische Föderative Republik Jugoslawien], welche entweder mit Repressalien und Diktatur oder mit auf Freiheit und Demokratie basierenden unabhängigen Einzelstaaten gleichgesetzt wurde.

Zwischen diesen beiden Polen der Darstellung existierte keine Berichterstattung. Handke und Ugrešić wurden ebenso in diesem “Entweder-Oder-Modus” als jugophile NostalgikerInnen eingeordnet.

 Dabei beinhalten die kritisierten Texte weitaus mehr Potential als von den Medien wahrgenommen werden konnte. Letztgenannte haben sich ihre eigenen Gucklöcher geschaffen und sich damit selbst jede andere Art der Wahrnehmung, vor allem auch der selbstreflexiven- und kritischen, verwehrt

Weiterer Auszug aus ihrer Arbeit:

»Gabriele Vollmer kann in ihrer Dissertation “Polarisierung in der Kriegsberichterstattung” die einseitige Berichterstattung der deutschen Zeitungen “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, “Süddeutsche Zeitung”, “Frankfurter Rundschau” und “tageszeitung” belegen. Darin ermittelt sie, wie in allen genannten Medien “die Serben” mit den meisten Stereotypen versehen werden, nämlich mit 191 gegenüber neun slowenischen und sieben kroatischen12.

Interessanterweise fehlen auch Hinweise auf den Verfassungsbruch der Slowenen und Kroaten, während den Serben13 überwiegend die Schuld für gebrochene Waffenstillstände zugewiesen wird: “In 82,4% aller angegebenen Fälle (34) wurde bei der Nennung eines Kriegsgrundes gleichzeitig ein aggressives Verhalten der Serben assoziiert.”14 Eine weitere Methode um die Serben zu diskreditieren, war es die westliche Bevölkerung über serbische Ablehnungen zu Friedensinitiativen anstatt von deren Zustimmungen zu informieren. Auch wenn die Serben am häufigsten Waffenstillständen zustimmten (40), so entstand durch die Meldungen der Ablehnungen (15) ein insgesamt negatives Bild von Serbien. Letztendlich bauten die Medien auf diesem Wege ein serbisches Feindbild auf, welches “durch eine Einseitigkeit der Berichterstattung zugunsten der Slowenen und Kroaten”15 erreicht wurde.

Zum selben Schluss kommt auch Peter Brock in “Meutenjournalismus”: “Trotz anhaltender Berichte der Greueltaten von kroatischen Soldaten und paramilitärischen Einheiten gegen Serben […] war in den Geschichten, die die Welt erreichten, nur von serbischen Übergriffen die Rede.”16

 Mira Beham ermittelt jene Gesetzmäßigkeiten, welche die Jugoslawienberichterstattung in Deutschland prägen und fasst sie in drei Punkten zusammen:

“1. Jede Provokation, jede Handlung oder jedes Verbrechen, deren Verursacher unklar ist, wird […] automatisch den Serben zugeschrieben. 2. Die angeblich von serbischer Seite hervorgerufenen Ereignisse haben Schlagzeilen- und Sensationswert. Spätere Dementis oder Richtigstellungen erscheinen nur in Nebensätzen oder kleingedruckt, wenn überhaupt.

  1. Durch die eindeutigen Schuldzuweisungen wird der Handlungsdruck gegen nur eine Seite des Konflikts verstärkt.”17

Im Weiteren führt Beham konkrete Beispiele18 an, welche ihre Thesen belegen und festigen.

Die Öffentlichkeit wurde regelrecht durch die Medien “antiserbisch aufgeputscht”19. Dasselbe Phänomen findet sich in Österreich. “Gemeinsam mit dem ORF und dem Großteil der österreichischen Presse sentimetalisierte er [der österreichische Außenminister Alois Mock] die ganze Bevölkerung für das katholische Kroatien”20, stellt Rudolph Burger in “Kriegsgeiler Kiebitz oder der Geist von 1914” fest. Natürlich stellt sich da die Frage nach den Beweggründen der Medien, Meinungen anstatt Nachrichten zu verbreiten. Dieser Themenkomplex ist jedoch nicht relevant für meine Fragestellung. Eine Zusammenführung von Begründungen kann man bei Sonja Gerstl in ihrer Diplomarbeit „Stecken Sie sich Ihre Betroffenheit in den Arsch!“ Sprache und Political Correctness – Textanalytische Untersuchungen zu Peter Handkes „Eine winterliche Reise zu den Flüssen Donau, Save, Morawa und Drina oder Gerechtigkeit für Serbien“21 oder bei Kurt Grisch in “Peter Handke und `Gerechtigkeit für Serbien`”22 nachlesen.

Wie bereits anhand des Beispiels von Peter Brock gezeigt wurde, gab es selbstverständlich auch JournalistInnen, welche selbst ein differenzierteres Bild vom Krieg in Jugoslawien hatten und kein schwarz-weißes reproduzieren wollten. Doch diese JournalistInnen wollten nicht gehört werden, wie es Thomas Deichmann auch in der Einleitung seines Sammelbandes “Noch einmal für Jugoslawien: Peter Handke” konstatiert: Dass nämlich “persönliche Einstellungen und Emotionen der Reporter vor Ort die Qualität der Berichterstattung stark beeinträchtigt hätten und daß Kollegen, die den allgemeinen Konsens zu hinterfragen wagten, denunziert und gemieden wurden. «

Aus dem Vorwort:

Wer sich einer anderen Sprache oder anderer Bilder als die von den Medien über Jahre hinweg reproduzierten bediente, begab sich auf politisches Glatteis. Wie etwa der US-amerikanische Journalist Peter Brock, welcher von den Berichten zum Jugoslawienkrieg veranlasst wurde in der weltweit renommierten Zeitschrift für internationale Politik „Foreign Policy“ 1993 jene Kriegsberichterstattung einer Medienanalyse zu unterziehen:

„Die Nachrichten kamen im vollen Kampfanzug der knalligen Schlagzeilen, der seitenweise ausgebreiteten, bluttriefenden Fotos und grausigen Videofilme daher. Dahinter steckte die klare Absicht, Regierungen zu militärischem Eingreifen zu zwingen. Die Wirkung war unwiderstehlich, aber war das Bild vollständig?“1

 

In bahnbrechende Analyse konnte Brock eine Vielzahl von politisch folgenschweren Falschmeldungen und Tatsachenverdrehungen bei der Berichterstattung nachweisen.

Das Erscheinen des Artikels löste großes Aufsehen und Empörung aus, weniger über die Leichtfertigkeit der Medien Halbwahrheiten zu verbreiten, als über Peter Brock selbst2. Die öffentliche Erregung weitete sich nach ihrem entstehen in den USA schließlich auch auf Europa aus, nachdem die Züricher „Weltwoche“ den Artikel Anfang 1994 ebenfalls veröffentlicht hatte. Der verantwortliche Auslandsredakteur der Züricher „Weltwoche“

Hanspeter Born kommentiert die Ereignisse nach der Veröffentlichung:

1 Peter Brock: Dateline Yugoslavia: The Partisan Press. In: Foreign Policy. 93/1993-94. S. 153. Zitiert nach:

Sonja Gerstl: “Stecken Sie sich Ihre Betroffenheit in den Arsch!”. S. 38.

2 Vgl. Mira Beham: Kriegstrommeln. Medien, Krieg und Politik. – München: Deutscher Taschenbuch-Verlag.

  1. S. 208.

 „Es hagelte Telefonanrufe und Leserbriefe, in denen uns vorgeworfen wurde, wir leugneten die serbische Aggression im Bosnienkrieg, wir verharmlosen Kriegsverbrechen wie die `ethnische[n] Säuberungen` und die Vergewaltigungen, wir stellen Täter und Opfer auf dieselbe Ebene und verhöhnten somit die Opfer.“3

Eine öffentlich-kritische Debatte zum Einfluss der Medien auf diesen Krieg war somit weder im westlichen Europa noch in der restlichen Welt möglich. Es schien kaum noch Lücken und Notwendigkeiten für andere Worte und Blicke zu geben. Die Wahrnehmung, welche über die Politik und Medien vermittelt wurde, beeinflusste, veränderte und konstruierte vor allem den Blick der Menschen auf Jugoslawien.«

Hier eine der Wahrnehmungen Peter Handkes: »Damals, im Juli 1995, war ja noch überhaupt nicht klar, was in Srebrenica geschehen war und was es mit den sogenannten Massakern auf sich hatte; es gab mehr Gerüchte als Tatsachen. Die Freundin meines Übersetzerfreundes hat gesagt, sie sei davon überzeugt, dass nach dem Fall von Srebrenica viel Böses geschehen ist, und ich habe das so erzählt. Wenn man damals auch nur gefragt hat: “Stimmt das wirklich?”, so wurde einem das gleich so ausgelegt, als hätte man das Massaker geleugnet, wie in meinem Fall in Frankreich. Ich hatte ein paar Fragen gestellt: Wie photografierte man die sogenannten Opfer, wie arbeiten die Journalisten?«

Erschienen in Ketzerbriefe Nr. 169 mit dem Titel “Srebrenica” Viel Lärm um Srebrenica: – Flaschenpost für unangepaßte Gedanken.




Da: "'Coord. Naz. per la Jugoslavia'
Data: 14 dicembre 2015 19:10:02 CET
A: eurostop.it @ gmail.com
Oggetto: Adesione alla Giornata anti-guerra del 16 gennaio


Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS aderisce ed invita ad aderire alle iniziative che saranno promosse nella giornata nazionale di mobilitazione indetta per il 16 gennaio 2016. Saluti antimilitaristi e auguriamoci un 2016 senza guerra!



Carissime carissimi,

Il 16 gennaio 2016 saranno esattamente 25 anni dai primi bombardamenti USA nella prima guerra d’Iraq, con i quali si è dato avvio a quella terza guerra mondiale a pezzi di cui ha parlato Papa Francesco. Questa guerra giustificata per ripristinare il diritto e combattere il terrorismo si è invece alimentata di se stessa trascinando tutto il mondo in un piano inclinato che non pare avere fine. La guerra non è la risposta al terrorismo, ma lo alimenta, come gli sporchi affari, i conflitti di potenza, la vendita delle armi che fanno crescere i conflitti su se stessi.


Dopo 25 anni di disastri della guerra sarebbe ragionevole dire basta, invece dopo le stragi terroriste di Parigi tutta l’Europa è in preda ad una furia bellicista che porterà solo nuovi danni e nuovi lutti.

Questa volta, inoltre, la guerra si intreccia sempre di più con misure autoritarie e liberticide che colpiscono al cuore le democrazie europee, prima fra tutte la decisione del governo francese di decretare lo stato d’emergenza e di pretendere la revisione autoritaria della Costituzione, misure che rischiano di fare ai popoli europei danni come il terrorismo. La guerra è alimentata da uno spirito securitario e xenofobo che colpisce i migranti assieme ad ogni forma di dissenso e conflittualità sociale.

Per queste ragioni nella prima assemblea comune delle persone e delle organizzazioni che hanno sottoscritto la PIATTAFORMA SOCIALE EUROSTOP abbiamo deciso di mobilitarci contro la  guerra, chiunque la faccia e quale che sia la motivazione nel farla. Il 16 gennaio ci sembra la data giusta per ricominciare a manifestare, affermando: SE 25 ANNI DI GUERRA VI SEMBRAN POCHI….BASTA GUERRA.

Vorremmo fare del 16 gennaio un appuntamento comune di mobilitazione di tutte le forze autenticamente e rigorosamente contro la guerra. Anche se su altri temi ci possono essere e ci sono valutazioni e proposte diverse, pensiamo che chi è davvero contro la guerra dovrebbe manifestare comunque assieme.

Per questo proponiamo che il 16 gennaio sia una giornata di mobilitazione di tutti coloro che, lo ripetiamo, rifiutano comunque la guerra ed il coinvolgimento dell’Italia in essa. Questa mobilitazione può avvenire in iniziative comuni, che noi proponiamo in particolare a Roma, ma anche con iniziative differenziate e solidali tra loro , l’importante è far sentire forte la voce di chi, dopo 25 anni, dice basta.

Sulle modalità di organizzazione della mobilitazione in modo che tutto il pluralismo della mobilitazione sia rappresentato, siamo interessati a confrontarci quanto prima, non abbiamo alcun interesse a definire supremazie su un tema così importante. Naturalmente la data non è modificabile, non per nostra scelta, ma per il significato storico e politico del 16 gennaio 1991.

In attesa di sentirci e misurarci sull’organizzazione pratica della proposta vi inviamo un caloroso saluto.

IL COORDINAMENTO NAZIONALE DELLA PIATTAFORMA 

SOCIALE EUROSTOP

5 Dicembre 2015



(italiano / srpskohrvatski)

Montenegro: NATO ubice nikad dobrodošle

1) NKPJ: НАТО УБИЦЕ НИКАД ДОБРОДОШЛЕ
2) Campagna #NO GUERRA #NO NATO: L'espansione NATO trascina l'Europa alla guerra 
3) Manlio Dinucci: La NATO si allarga ancora
4) Talal Khrais: La schizofrenia di guerra dell’Europa... Combatte chi combatte il terrorismo!


Sul tema si vedano anche:

Montenegro nella Nato? Sì, contro la volontà popolare (PTV News 4 dicembre 2015)
VIDEO: https://youtu.be/I1zL_wMCnX8?t=3m7s

Alla NATO non interessa l'opinione dei Montenegrini (JUGOINFO del 3.12.2015)

Il punto di Giulietto Chiesa - "La Nato, con il Montenegro, estende la destabilizzazione in Europa" (PandoraTV, 2 dic 2015) 
Perché la Nato si è spesa tanto per far entrare nell'alleanza un paese che conta gli stessi abitanti di una città come Genova? Basta guardare la carta geografica: confina con la Serbia, con il Kosovo, l'Albania, la Croazia, la Bosnia tutti paesi che sono ancora in ebollizione. Si vuole stringere l'accerchiamento attorno alla Russia.
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=bjBR5F6TL-g
http://www.pandoratv.it/?p=5094

Montenegro: 15 poliziotti e 24 civili rimasti feriti duranti gli scontri a Podgorica
15 police officers and 24 citizens injured in clashes in Podgorica (26/10/2015) / Durante le proteste del Fronte Democratico a Podgorica, ci sono stati 15 poliziotti feriti, uno di loro in modo grave, ha detto il ministro degli interni Andrija Rasko Konjevic. Il Governo del Montenegro, dal suo profilo ufficiale di Twitter, ha dichiarato che i dimostranti hanno attaccato brutalmente la polizia...


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НАТО УБИЦЕ НИКАД ДОБРОДОШЛЕ

Нова комунистичка партија Југославије (НКПЈ) са згражавањем гледа на јучерашњу одлуку НАТО-а да упути знаничну позивницу Црној Гори да приступи том агресивном војном империјалистичком савезу, а такође, најоштрије осуђујемо недавну посету Србији Јенса Столтенберга, генералног секретара НАТО-а, ударне војне песнице западног империјализма.

НАТО је у садејству са врхушкама Сједињених Америчких Држава и Европске уније одговоран за разбијање наше социјалистичке домовине Социјалистичке Федеративне Републике Југославије и крвави братоубилачки рат на њеним просторима. НАТО је извршио злочиначку агресију на Савезну Републику Југославију 1999. године. Директно је одговоран за бројне цивилне и војне жртве приликом тог гнусног империјалистичког чина. НАТО под окупацијом држи јужну српску покрајину Косово и Метохију где је изградио највећу војну базу на Балкану, Бондстил а присутан је са својим трупама и у Босни и Херцеговини и Македонији. НАТО широм света, зарад експлоататорских циљева западног крупног капитала, врши бројне злочиначке интервенције против прогресивних држава, народа и покрета. 

НАТО наставља своју експанзионистичку политику, која за циљ има глобалну војну доминацију и брутално конфронтирање са свима који не желе да се повинују интересима западног империјализма. НАТО је формално озваничио намеру да се у овај империјалистички савез увуче и Црна Гора, позивом на састанку министара иностраних послова НАТО земаља у Бриселу, 02. 12. 2015. 

Позив за улазак Црне Горе у НАТО логичан је след догађаја у контексту интензивирања империјалистичких притисака и звецкања оружјем. Улазак Црне Горе у НАТО ће додатнио угрозити мир на Балкану, а не супротно, начиниће Црну Гору легитимном метом свих који се супротстављају ударној песници западног империјализма, и додатно ће погоршати односе са Русијом што ће се крајње негативно одразити на економску ситуацију у земљи и на традиционално пријатељске и братске односе Црне Горе и Русије. 

Без икаквих претеривања ову одлуку можемо назвати монструозном, а хвалисање проимперијалистичке и мафијашке власти у Подгорици „постигнутим“ срамном, издајничком и кукавичком. Народ у Црној Гори није заборавио монструозне злочине које је НАТО починио током агресије на СРЈ 1999. године, попут оног у месту Мурино, када су НАТО бомбе срушиле мости уовомместу и убиле више цивила од чега две девојчице од 9 и 12 година, и једног дечака од 13 година. Тиме је НАТО јасно поручио Црној Гори шта мисли о њеној будућности. Отуд је сраман, издајнички и кукавички поступак црногорских власти које не само да су на своју руку одлучиле да приступе НАТО-у без одржавања референдума на ком би народ изнео своје виђење, већ су то урадиле верно служећи наредбе својих империјалистичких газда које тиме попуњавају „рупу“, како они виде Црну Гору, на Балкану. 

НКПЈ позива народ Црне Горе да устане против издајничке владе и суспендује њену одлуку о придруживању Северноатланском војном савезу. Црна Гора ће тиме не само демонстрирати свој слободарски и јуначки дух, већ и бити пример целом региону и шире, тиме стећи нове симпатије и солидарност народа Балкана, посебно са простора Југославије за чије је растурање одговоран у првом реду западни империјализам и његова ударна песница НАТО.

Србија и њена проимперијлистичка власт у стопу следе Мила и компанију. Најбоља потврда тога је недавно примање Столетенберга, генералног секретара НАТО-а у званичну посету. Буржоаска про-империјалистичка влада Александра Вучића нанела је тиме срамну увреду свим родољубивим грађанима Србије.

НКПЈ од Владе Србије тражи да прекине сваку сарадњу са том злочиначком војном алијансом која ради у интересу имепријалистичких циљева Вашингтона и Брисела и да ускрати посете свим њеним званичницима. По истом принципу по коме Србији није место у империјалистичкој тамници народа Европској унији, исто тако јој није место ни у НАТО јер је циљ обе организације да обезбеде да богати буду још богатији а сиромашни још сиромашнији.

НКПЈ користи и ову прилику да поручи да окупаторске НАТО трупе одмах морају да напусте територију Косова и Метохије, као и да се та покрајина одмах врати у састав своје матице Србије. НКПЈ захтева да се окупаторске трупе НАТО повуку из Босне и Херцеговине и Македоније као и са територије читавог Балкана.

Доле са империјалистичком војном алијансом НАТО!

Не НАТО чласнтву Црне Горе!

НАТО напоље са Косова и Метохије!

НАТО напоље са простора бивше Југославије и Балкана!

Балкан припада балканским народима!

Секретаријат Нове комунистичке партије Југославије,

03. децембар 2015. године


=== 2 ===


L'espansione NATO trascina l'Europa alla guerra

Comitato promotore della campagna #NO GUERRA #NO NATO
6 dic 2015 

La decisione del Consiglio Nord Atlantico di invitare il Montenegro a iniziare i colloqui di accesso per divenire il 29° membro dell'Alleanza, getta benzina su una situazione già incandescente. Tale decisione conferma che la strategia Usa/Nato mira all'accerchiamento della Russia.
Il Montenegro, l'ultimo degli Stati nati dallo smantellamento della Federazione Jugoslava con la guerra Nato del 1999, ha, nonostante le sue piccole dimensioni, un importante ruolo geostrategico nel Balcani. Possiede porti utilizzabili a scopo militare nel Mediterraneo e grandi bunker sotterranei che, ammodernati, permettono alla Nato di stoccare enormi quantità di munizioni, comprese armi nucleari.
Il Montenegro è anche candidato a entrare nell'Unione europea, dove già 22 dei 28 membri appartengono alla Nato sotto comando Usa. Nonostante che perfino l'Europol (l'Ufficio di polizia della Ue) abbia messo sotto inchiesta il governo di Milo Djukanovic, perché il Montenegro è divenuto il crocevia del traffico di droga dall'Afghanistan all'Europa e il più importante centro di riciclaggio di denaro sporco.
Dopo aver inglobato dal 1999 al 2009 tutti i paesi dell'ex Patto di Varsavia, tre della ex Unione Sovietica e due della ex Federazione Jugoslava, la Nato vuole ora impadronirsi del Montenegro per trasformarlo in base della sua strategia aggressiva. Si avvale a tal fine della complicità del governo Djukanovic, che all'interno reprime duramente la forte opposizione democratica all'entrata del Montenegro nella Nato.
La Nato mira oltre. Si prepara ad annettere Macedonia, Bosnia-Erzegovina, Georgia, Ucraina e altri paesi, per espandersi, con le sue basi e forze militari comprese quelle nucleari, sempre più a ridosso della Russia.
In questa gravissima situazione, in cui l'Europa viene trascinata nella via senza uscita della guerra, il Comitato No Guerra No Nato
- chiama alla più ampia mobilitazione per l'uscita dell'Italia dalla Nato, per un'Italia neutrale e sovrana che si attenga all'Art. 11 della Costituzione;
- chiama i movimenti europei anti-Nato a unire le forze in questa battaglia decisiva per il futuro dell'Europa;
- esprime la sua solidarietà ai movimenti e alle persone (politici, giornalisti e altri) che, in Montenegro, si battono coraggiosamente contro la Nato per la sovranità nazionale. 

Catania, 5 dicembre 2015.


=== 3 ===

Di Manlio Dinucci sullo stesso argomento si vedano anche:

Manlio Dinucci – La Nato si allarga ancora: il Montenegro 29° membro dell’Alleanza (08/12/2015)
«Che importanza ha per la Nato il Montenegro, l’ultimo degli Stati formatisi in seguito alla disgregazione della Federazione Jugoslava, demolita dalla Nato con l’infiltrazione e la guerra?». L'analisi di Manlio Dinucci in merito all'ingresso del Montenegro nell'Alleanza Atlantica
http://www.pandoratv.it/?p=5185
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=37nbSJQZtps

Manlio Dinucci – "L' arte della Guerra" (PandoraTV, 6 dic 2015)
Alberto Melotto intervista Manlio Dinucci in merito al suo ultimo libro "L' arte della Guerra". Ne scaturisce una ricostruzione storica dell'Alleanza Atlantica e delle sue guerre, a partire dal riorientamento strategico iniziato con la fine della Guerra Fredda...
http://www.pandoratv.it/?p=5166
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=docYaI1U050

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La Nato si allarga ancora

9 dic 2015 — Manlio Dinucci

La «storica» decisione del Consiglio Nord Atlantico di invitare il Montenegro a iniziare la procedura di accesso per divenire il 29° membro dell’Alleanza, costituisce una ulteriore mossa della strategia Usa/Nato mirante all’accerchiamento della Russia. Che importanza ha per la Nato il Montenegro, l’ultimo degli Stati (2006) formatisi in seguito alla disgregazione della Federazione Jugoslava, demolita dalla Nato con l’infiltrazione e la guerra? Lo si capisce guardando la carta geografica. 

Con una superficie un po’ inferiore a quella della Puglia (a soli 200 km sulla sponda opposta dell’Adriatico) e una popolazione di appena 630 mila abitanti (un sesto di quella della Puglia), il Montenegro ha una importante posizione geostrategica. Confina con Albania e Croazia (membri della Nato), Kosovo (di fatto già nella Nato), Serbia e Bosnia-Erzegovina (partner della Nato). Ha due porti, Bar e Porto Montenegro, utilizzabili a scopo militare nel Mediterraneo. Nel secondo fece scalo, nel novembre 2014, la portaerei Cavour. 

Il Montenegro è strategicamente importante anche come deposito di munizioni e altro materiale bellico. Sul suo territorio si trovano dieci grandi bunker sotterranei costruiti all’epoca della Federazione Jugoslava, dove restano oltre 10mila tonnellate di vecchie munizioni da smaltire o esportare, e hangar fortificati per aerei (bombardati dalla Nato nel 1999). Con milioni di euro forniti anche dalla Ue, è iniziata da tempo la loro ristrutturazione (i primi sono stati quelli di Taras e Brezovic). La Nato disporrà così in Montenegro di bunker che, ammodernati, permetteranno di stoccare enormi quantità di munizioni, comprese anche armi nucleari, e di hangar per cacciabombardieri. 

Il Montenegro, la cui entrata nella Nato è ormai certa, è anche candidato a entrare nell’Unione europea, dove già 22 dei 28 membri appartengono alla Nato sotto comando Usa. Un importante ruolo in tal senso lo ha svolto Federica Mogherini: visitando il Montenegro in veste di ministro degli esteri nel luglio 2014, ribadiva che «la politica sull’allargamento è la chiave di volta del successo dell’Unione europea - e della Nato - nel promuovere pace, democrazia e sicurezza in Europa» e lodava il governo montenegrino per la sua «storia di successo». Quel governo capeggiato da Milo Djukanovic che perfino l’Europol (l’Ufficio di polizia della Ue) aveva chiamato in causa già nel 2013 perché il Montenegro è divenuto il crocevia dei traffici di droga dall’Afghanistan (dove opera la Nato) all’Europa e il più importante centro di riciclaggio di denaro sporco. Una «storia di successo», analoga a quella del Kosovo, che dimostra come anche la criminalità organizzata può essere usata a fini strategici. 

Continua così l’espansione della Nato ad Est. Nel 1999 essa ingloba i primi tre paesi dell’ex Patto di Varsavia: Polonia, Repubblica ceca e Ungheria. Nel 2004, la Nato si estende ad altri sette: Estonia, Lettonia, Lituania (già parte dell’Urss); Bulgaria, Romania, Slovacchia (già parte del Patto di Varsavia); Slovenia (già parte della Jugoslavia). Nel 2009, la Nato ingloba l’Albania (un tempo membro del Patto di Varsavia) e la Croazia (già parte della Jugoslavia). 

Ora, nonostante la forte opposizione interna duramente repressa, si vuole tirar dentro il Montenegro, seguito da alcuni «Paesi aspiranti» – Macedonia, Bosnia-Erzegovina, Georgia, Ucraina – e da altri ancora cui viene lasciata «la porta aperta» (Nota 1). Espandendosi ad Est sempre più a ridosso della Russia, con le sue basi e forze militari comprese quelle nucleari, la Nato apre in realtà la porta a scenari catastrofici per l’Europa e il mondo.

(il manifesto, 8 dicembre 2015). 


Nota 1. Sul Corriere della Sera dell’8 dicembre, Sergio Romano scrive su «Il Montenegro nella Nato / Le reazioni della Russia». Anche se non concordo col giudizio che «per l’Alleanza Atlantica e la sua organizzazione militare il valore del Montenegro, sotto il profilo strategico, mi sembra molto vicino allo zero», sono sostanzialmente d’accordo con quanto Romano afferma sull’ulteriore allargamento della Nato ad Est: «Importante, agli occhi della Russia, è che la Nato, dopo avere presieduto alla disgregazione della Jugoslavia, stia annettendo le sue repubbliche. Le reazioni di Mosca sarebbero probabilmente diverse se gli anni passati dal vertice di Pratica di Mare (dove fu creato nel 2002 il Consiglio Nato-Russia) fossero stati impiegati per trasformare una creazione militare della Guerra fredda in una organizzazione per la sicurezza collettiva dell’intera Europa. Ma è accaduto esattamente il contrario. (…) La Nato è diventata il braccio militare degli Stati Uniti in alcune delle loro scelte meno felici e si è allargata sino a includere fra i suoi soci gli Stati che appartenevano al patto di Varsavia, tre repubbliche ex-sovietiche, due repubbliche ex jugoslave. Non è tutto. Se le ambizioni si realizzassero, la Nato dovrebbe allargarsi ulteriormente sino a comprendere la Georgia e l’Ucraina. Il caso del Montenegro, in questo contesto, può soltanto alimentare i sospetti e la diffidenza della Russia».


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La psicosi di guerra dell’Europa: combatte chi combatte il terrorismo

 L’Occidente più che mai vive una situazione di “mente divisa” in politica estera.

 

di Talal Khrais - 4/12/2015

 

DAMASCO (Siria) – La parola schizofrenia significa letteralmente “mente divisa”. Tra i sintomi di questa psicosi: alterazioni del pensiero, idee fisse dal contenuto bizzarro, l’incapacità di concentrarsi. L’Occidente più che mai vive una situazione di “mente divisa” in politica estera. La patologia non fa altro che portarci il terrorismo in casa. Fissazioni totalmente irragionevoli vertono sulla Russia, così come ritorna continuamente l’altra grande ossessione dei leader occidentali, quando chiedono al presidente siriano Assad di lasciare il potere, come se la questione riguardasse l’Europa e non il popolo siriano. Che ai piani alti del potere occidentale i pensieri non siano ragionevoli, lo dimostrano le parole di miele (e le tante armi) che gli stessi governanti dedicano invece ai monarchi del Golfo, noti campioni della democrazia e dei diritti umani.

Malgrado gli attentati a Parigi, preceduti da altri attentati a Londra e in altre città - senza nemmeno citare le tante stragi consumate in Siria e in Libano, sottoposti al terrorismo da anni, perché i martiri altrui contano poco nei media occidentali - l’Occidente si trova invischiato in un’immane contraddizione: annuncia guerra al terrorismo, ma in realtà combatte chi lotta contro il terrorismo. Prende di mira paesi come la Federazione Russa, la Siria e la Repubblica Islamica dell’Iran. All’esercito libanese in prima filo contro le formazioni terroristiche viene congelato, su pressione statunitense, il sostegno militare che l’Arabia Saudita offriva per circa tre miliardi di dollari.

La mancanza di armi adeguate e di equipaggiamenti non hanno permesso all’esercito libanese di liberare la città di Ersal nell’Alta Valle della Beqaa sul confine del Libano, letteralmente occupata dai tagliagole qaedisti di Jabhat Al-Nusra, armati fino ai denti.  Peggio, le Forze Armate Libanesi hanno dovuto cedere ai terroristi per scambiare militari rapiti con terroristi molto pericolosi, tra cui Saja al Dulaimi, ex moglie di Abu Bakr Al-Baghdadi.  Lo scambio di prigionieri è avvenuto ad Arsal, dopo lunghe trattative in cui ha fatto da mediatore anche il solito Qatar.

Come si fa a concedere 3,1 miliardi di euro come aiuti di assistenza ai profughi proprio a quella Turchia che ci manda in Europa barconi di profughi con terroristi infiltrati? Parliamo di un paese che ormai quasi non nasconde più le sue attività di reclutamento e addestramento terroristico fra i disperati. Nessun paese europeo ha condannato la violazione turca della sovranità della Siria e il sostegno diretto al terrorismo.

Ormai solo Erdogan e gli uomini del suo clan provano a negare che dal 2012 i terroristi dell’ISIS si finanziano vendendo il petrolio dell’Iraq e della Siria alla Turchia. Non è un sostegno “dall’esterno”, tutt’altro: la Turchia si è introdotta in un paese straniero e lo ha depredato per anni, saccheggiando le sue fabbriche, le sue macchine utensili e le sue risorse naturali, soprattutto il petrolio, che continua a razziare. Il denaro passa veloce di mano in mano, e il petrolio estratto illegalmente dall'ISIS ritorna in Siria, sotto forma di armi, mezzi e uomini. Nel corso dell'ultimo mese sono arrivati in Siria dalla Turchia circa 2500 uomini armati.

L’aeronautica militare Russa ha distrutto 32 siti e 11 stabilimenti di lavorazione del petrolio dell'ISIS in due mesi, mentre l’alleanza occidentale contro il terrorismo formata dagli Stati Uniti in 13 mesi non ne aveva distrutto nemmeno uno. Eppure i satelliti per vedere l’immondo traffico li avevano anche loro.

L'aviazione russa colpisce i luoghi dove viene conservato e trasformato il petrolio in mano all’ISIS. Il cinquanta per cento dei siti è stato distrutto, e i russi sono andati a colpire anche le stazioni di estrazione. Sono state distrutte 1080 autocisterne impegnate nel trasporto di petrolio al di fuori dei confini siriani. 500 cisterne entravano e uscivano dalla Turchia ogni giorno, indisturbate.

Eppure, Ankara sembra essere sempre più premiata per il suo atteggiamento neo-ottomano, mai condannata. I giornalisti turchi che hanno dimostrato il contrabbando di petrolio trafugato dall'ISIS sotto forma di convogli umanitari sono stati arrestati, i loro giornali commissariati da portavoce del governo. Ma gli intellettuali occidentali, quasi tutti, non hanno fatto una piega. Si vede che a loro sta bene così, anche se dicono di amare la libertà.

La settimana scorsa il Presidente Bashar al-Assad ha denunciato un aumento sensibile delle forniture militari di armi e denaro a Daesh nel corso delle ultime settimane.

Secondo quanto emerge dai media internazionali, i militari siriani appoggiati da forze speciali iraniane e dai miliziani di Hezbollah hanno proseguito in questi giorni l'avanzata ai danni di Daesh, riprendendo il controllo in meno di un mese di circa 409 chilometri quadrati di territorio. L'esercito siriano è riuscito anche a recuperare diversi chilometri dell'autostrada che collega Aleppo a Raqqa. La Russia compie raid mirati contro gli obiettivi dello Stato Islamico in Siria, impiegando caccia SU-25, SU-24 e SU-34, nonché mezzi dell'aviazione strategica, come i Tupolev TU-160,TU-95 e TU-22M3. Un volume di fuoco mai visto prima viene usato contro le fortificazioni dei terroristi. Le forze armate russe insieme alla Repubblica Araba Siriana e a Hezbollah continuano a combattere l'ISIS e a distruggere le sue fonti di sostentamento in Siria. Sono fatti enormi e pesanti che hanno già cambiato lo scenario e non lasciano scampo alle ambiguità.

L’Occidente cosa farà? Continuerà a vivere la sua schizofrenia politica combattendo chi combatte il terrorismo? Non è forse un segno grave di malattia la decisione della NATO di voler aggiungere il Montenegro alla sua alleanza in un momento così delicato? Quale pensiero dissociato può aggiungere altri focolai di instabilità lungo tutto l’arco di crisi che va dal Baltico ai Balcani, per poi proseguire verso il Mar Nero, il Levante e il Caucaso in un unico continuum di tensioni e conflitti? Non rimane molto tempo per rispondere a queste domande e provare davvero a guarire dal ciclo di guerre che sono state scatenate.





Inizio messaggio inoltrato:

Da: partigiani7maggio @ tiscali.it
Data: 12 dicembre 2015 17:58:14 CET
Oggetto: Tre comunicazioni importanti e un augurio


Tre comunicazioni importanti e un augurio

 

 

*** 1) Dragutin–Drago Velišin Ivanović (Doljani 21.3.1923, Ljubljana 12.12.2014)

*** 2) La presenza degli internati slavi nell’Appennino aquilano 1942-44

*** 3) I fatti di Monte Cavallo: 20–21 maggio 1944, strage al confine tra Umbria e Marche

 
 

L'occasione ci è gradita per rivolgere a chi ci segue i migliori auguri di Buone Feste e felice Anno Nuovo / Srečna Nova Godina!

 

I partecipanti al progetto Partigiani jugoslavi in Appennino

Gli Autori de I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana

 
 

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Dragutin–Drago Velišin Ivanović 

(Doljani 21.3.1923, Ljubljana 12.12.2014)

 

Per rendere omaggio al compianto partigiano ed amico nel primo anniversario della sua scomparsa, che cade oggi 12 dicembre, ne abbiamo tracciato una biografia ed abbiamo messo a disposizione alcuni documenti importanti alla pagina:

https://www.cnj.it/PARTIGIANI/JUGOSLAVI_IN_ITALIA/NOVO/drago.htm

 

• Nota biografica

• FONDO ARCHIVISTICO / ARHIVSKI FOND

• AUDIO: Intervento al Convegno di Udine, 29 gennaio 2014

• Bibliografia

• Collegamenti

 

Alcuni mesi dopo la sua morte, a seguito di una scelta ponderata basata sul rispetto delle volontà del defunto e sulla verifica delle alternative possibili, i figli di Drago Ivanović hanno deciso di affidarne il corpus degli appunti e delle corrispondenze a noi responsabili del progetto Partigiani jugoslavi in Appennino, vale a dire alle persone degli Autori del libro I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana ed alla associazione Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia (CNJ-onlus) cui lo stesso Drago aveva aderito all'inizio del 2014.

Il fondo archivistico così raccolto sarà ulteriormente catalogato e ordinato nel medio termine. Al più presto verranno specificate le modalità per la richiesta di copie di documenti agli studiosi che presentino richiesta motivata; sul più lungo termine si renderà possibile la consultazione diretta. Nel frattempo si riporta il catalogo provvisorio, compilato dalla stessa famiglia Ivanović.

 
 

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La presenza degli internati slavi nell’Appennino aquilano 1942-44

 

E' disponibile la versione aggiornata, e definitiva nelle intenzioni dell'Autore, del saggio di Riccardo Lolli

LA PRESENZA DEGLI INTERNATI SLAVI NELL’APPENNINO AQUILANO 1942-44

https://www.cnj.it/PARTIGIANI/JUGOSLAVI_IN_ITALIA/NOVO/testi_lolliAquilano.pdf

 

La ricerca, effettuata per l’Istituto Abruzzese per lo studio della Storia della Resistenza e dell’Età contemporanea, si è arricchita negli ultimi mesi con ulteriori contributi provenienti da archivi privati e pubblici. Il materiale riportato è in prevalenza inedito e getta luce su di una realtà storica ed umana che era rimasta fino ad oggi pressoché inesplorata.

 
 

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I fatti di Monte Cavallo

20–21 maggio 1944, strage al confine tra Umbria e Marche

 

Il 6 settembre 2015 una nostra delegazione si è recata presso la Romita di Monte Cavallo, nel Comune omonimo situato in provincia di Macerata, per verificare lo stato del luogo e le voci secondo cui una lapide in memoria delle vittime – quattro partigiani morti e almeno 18 feriti –, apposta nel dopoguerra, sarebbe andata in frantumi e lasciata in abbandono.

La salita al Monte dalla località di Collattoni è una facile escursione della durata di circa due ore, tuttavia la breve deviazione per la Romita può sfuggire facilmente poiché in loco non è apposta alcuna segnaletica. L'antico Eremo è effettivamente in avanzato stato di distruzione; in una delle sale dove devono aver dormito i partigiani prima di essere assaltati dai nazifascisti, nei pressi di un camino, giace a terra la lapide effettivamente distrutta. Dopo averle restituito sommariamente la leggibilità, abbiamo effettuato alcune riprese audiovisive.

Gli Autori de I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana e l'attore-autore Pietro Benedetti, con il sostegno del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS e dell'A.N.P.I. Sezione di Foligno (PG), sulla scorta della documentazione reperita, in parte inedita, e dei risultati della escursione effettuata in loco, in questi giorni stanno inoltrando una formale proposta di intervento al Comune di Monte Cavallo (MC) finalizzata (a) al ripristino della lapide e sua ricollocazione in posizione evidente al centro dell'abitato di Monte Cavallo (b) alla apposizione di segnaletica sul sentiero e presso la Romita, che consenta la visita consapevole da parte degli amanti del territorio e della sua storia e di tutti gli antifascisti interessati a sconfiggere l'oblio.

 

In merito si veda la documentazione alla pagina dedicata:

https://www.cnj.it/PARTIGIANI/JUGOSLAVI_IN_ITALIA/NOVO/montecavallo.htm

 

• La lapide

• I fatti

• Iniziative

• Foto e video

• Fonti

 
 

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I PARTIGIANI JUGOSLAVI NELLA RESISTENZA ITALIANA

Storie e memorie di una vicenda ignorata

 

Roma, Odradek, 2011

pp.348 - euro 23,00

 

Per informazioni sul libro si vedano:

Il sito internet: http://www.partigianijugoslavi.it

La scheda del libro sul sito di Odradekhttp://www.odradek.it/Schedelibri/partigianijugoslavi.html

La pagina Facebookhttp://www.facebook.com/partigianijugoslavi.it

 

Ordina il libro: http://www.odradek.it/html/ordinazione.html

 

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Il SUBNOR (Associazione Partigiani) della Serbia si ritrova da quindici anni in una condizione di marginalità, innanzitutto in quanto è sottoposto a un "embargo" che ne impedisce la penetrazione sui media e nelle principali sedi pubbliche di discussione e decisione.
Questi quindici anni sono quelli della cosiddetta "nuova Serbia democratica": si tratta cioè della fase storica che ha avuto inizio con il colpo di Stato delle forze nazionaliste, europeiste e atlantiste dell'ottobre 2000, che colsero l'occasione della vittoria di misura di Koštunica contro Milošević non solo per scalzare con la violenza ogni residuo della gestione socialista e progressista ex-jugoslava, ma anche per stravolgere i cardini della società in termini valoriali e culturali, a partire dalla cancellazione dello stesso nome della Jugoslavia dalle carte geografiche. 
Al giro del boa del Settantesimo della Liberazione, il SUBNOR si ritrova dunque oggi pressoché da solo a condurre battaglie fondamentali, come quella antirevisionista, in un contesto altamente sfavorevole nel quale le più note figure di collaborazionisti del nazifascismo e criminali di guerra (Mihajlović, Nedić...) vengono o rischiano di essere "riabilitate" anche formalmente–giuridicamente, dopo la trionfale riammissione nel chiacchiericcio mediatico "democratico europeo".
Non diversamente che in altri paesi, come l'Italia, dove l'attacco ai valori resistenziali e costituzionali è stato sferrato fino in fondo, anche in Serbia il passaggio di testimone generazionale del Settantesimo assume dunque una quantità di implicazioni ed una rilevanza che la generazione dei partigiani qualche decennio fa non avrebbe mai potuto né voluto immaginare... (a cura di Italo Slavo)



Медији – Објављено под Актуелно |  10. децембра 2015.

КАКО ”ПОБЕДИТИ” БЛОКАДУ

Већ пуних 15 година масовна и у свету призната и позната организација СУБНОР Србије не може да продре, по правилу моћних уредника, у већину јавних гласила, оних такозваних централних, у Београду.
И Председништво и Републички одбор, уз честе протесте многобројних чланова организације, нису успели да одобровоље медије да објаве бар детаљ из свеобухватне и готово свакодневних активности које у основи имају велики значај и за бољитак нашег друштва и, према томе, свих генерација у држави.
Јасна блокада је кренула после петооктобарских промена, па је на недемократски начин одбијана и свака помисао да се простор у новинама, неки минут на радију или најкраћа секвенца на телевизији издвоји за учеснике антифашистичке борбе у Другом светском рату и преко 130 хиљада њихових потомака, поштовалаца слободара, следбеника историјске истине и поштења.
Београдске редакције се не либе да игноришу СУБНОР и кад је, са Владом Србије, коорганизатор масовних манифестација значајних за потомство које се на прошлости мора учити како ће ступати у будућност.
О начину како пребродити изразиту идеолошку заслепљеност и реваншистичке побуде одговорних појединаца који сматрају да све из ранијег периода треба урнисати, расправљано је на седници Комисије за информисање и издавачку делатност СУБНОР-а Србије.
Учесници су изразили непоколебљиву одлуку да упорним радом и у свом делокругу обезбеде нормалан и примеран цивилизованој средини проток вести јер је у питању широк општи интерес за бољитак наше државе. С тим у вези је истакнуто да у низу такозваних локалних средина медији показују изражену заинтересованост за акције борачке организације и професионално се одазивају сваком позиву схватајући да тиме одужују дуг и према својим суграђанима.
У дебати су Мара Кнежевић Керн, Слободан Лазаревић, Јовица Дојчиновић, Жељко Зиројевић, Мирољуб Васић, Душан Чукић нагласили значај потпунијег информисања у оквиру општинских, градских и окружних одбора и то не само путем месечника ”Борац” и сваким даном све ангажованијег и атрактивнијег портала на интернетској мрежи, који је у кратком року окупио близу 700 хиљада посетилаца са један милион и преко 600 хиљада прегледа текстова. То посебно радује јер је познато да су корисници интернета углавном млађи људи.
СУБНОР Србије јесте захваљујући наметнутим законским одлукама од пре неколико година сврстан у такозвани невладин сектор, али је јасно да је у питању масовна организација специфичног значаја и од користи, по циљевима и делатности, за државу која је управо ових дана одлучила и да уведе посебан празник, 4.децембар, као датум који симболизује ослободилачку борбу народа Србије од 1912, преко Првог и Другог светског рата и одбране од НАТО агресије 1999.
У том склопу СУБНОР очекује да се законским путем врати и репрезентативност која је, с разлогом и по потреби, остала синдикатима и нема, сигурни смо, сметње да се у прописима о удружењима дода и борачка ветеранска организација и на тај начин онемогући постојање садашњих око 850 углавном непотребних групација са истим циљем и без реалних услова.




(Svi Bilteni Udruženja "Naša Jugoslavija":


Inizio messaggio inoltrato:

Da: Nasa Jugoslavija <zajedno  @nasa-jugoslavija.org>
Data: 6 dicembre 2015 19:53:26 CET
Oggetto: Novi broj biltena

Postovani,
 
obavjestavamo vas da je objavljen novembarski broj naseg casopisa "bilten" - 12 po redu. Mozete ga pronaci na nasoj stranici www.nasa-jugoslavija.org
 
Srdacan pozdrav,
 
Dalibor Tomic
Udruzenje "Nasa Jugoslavija"
Savez Jugoslavena


Kuda ide EU???

Sadržaj

Antun Barac
i jugoslavonestvo
Ante Švalba

Što je socijalizam (1. dio)
Prof. Dr. Sci. Pavle Vukčević

Crveni makovi
Mihovil Pavlek Miškina

Vladimir Majakovski
Dušan Opačić

Ja pišem svim jezičkim varijantama
Meša Selimović

Doživotni sam pacijent genocida
Svetozar Livada

Pobratimstvo lica u svemiru
Tin Ujević

Razmišljanje jednog običnog srpskog vola
Radoje Domanović

Vjenčanje u
radničkim uniformama
Svjedočanstvo

– bilten –
Časopis Udruženja „Naša Jugoslavija“
godina VI broj 12 novembar 2015

www.nasa-jugoslavija.org zajedno@...
bilten objavljujemo isključivo u online izdanju
Jezik srpskohrvatski / хрватскосрпски
Izlazi dva puta godišnje
bilten uređuju:
Zlatko Stojković Frederik Goda Dalibor Tomić




Medjugorje, Prebilovci, Šurmanci


Dalla pagina dedicata sul nostro sito: https://www.cnj.it/documentazione/varie_storia/prebilovci.htm

1) Michael E. Jones: IL FANTASMA DI ŠURMANCI: REGINA DELLA PACE, PULIZIA ETNICA, VITE DISTRUTTE
2) Giancarlo Bocchi: MEDJUGORJE, LA FABBRICA DELLE APPARIZIONI


Vedi anche:

• Link e documenti utili
• James Martinez: LA REGINA DEI PROFITTI (2000) 
• INTERVISTA a E. Michael Jones, autore di due libri sulle apparizioni della Madonna a Međugorje (marzo 2008)
• News. Medjugorje, il Papa sui veggenti: «Questa non è identità cristiana» ...


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IL FANTASMA DI ŠURMANCI: REGINA DELLA PACE, PULIZIA ETNICA, VITE DISTRUTTE

di Michael E. Jones (estratti – Testo completo, in lingua inglese: The Ghost of Šurmanci: Queen of Peace, Ethnic Cleansing, Ruined Lives)


Durante la primavera e l'estate del 1941, gli ustascia crearono un fugace ma feroce stato croato indipendente (NDH). Gli ustascia del Međugorje esplorarono la zona geologica, traendo nota della maggiore foiba, la più utile per il loro futuro scopo. Poi, nel giugno 1941, circa due mesi dopo la creazione della NDH, ustascia armati si presentarono nel villaggio a prevalenza serba di Prebilovci, sulla sponda est della Neretva, ed in altre enclavi serbe, annunciando ai paesani che verranno tutti deportati a Belgrado. Ai serbi venne detto che verranno riunificati alla loro patria serba. La corsa del treno fu molto più breve del previsto, almeno di quanto pensassero i passeggeri serbi, ai cui venne ordinato di scendere al paese Šurmanci, sulla sponda ovest della Neretva, marciando oltre ai colli per non essere mai più rivisti.

Circa tre mesi più tardi, il predecessore del Vescovo Zanić, Alojsije Mišić, ordinario di Mostar, scrisse al cardinale Stepinac, riferendogli di inquietanti resoconti di atrocità commesse contro i serbi nella sua diocesi. Uomini catturati come animali - scrisse Mišić - massacrati, uccisi; uomini lanciati dai precipizi ... da Mostar e Čapljina un treno con sei carrozze piene di madri, giovani ragazze e bambini ... fino a Šurmanci ... condotti su per la montagna e ... gettati vivi dai precipizi ... A ... Mostar stesso vennero trovati a centinaia, portati in vagoni fuori città e abbattuti come animali.

Circa 600 serbi, incluso preti, donne e bambini, furono gettati nella foiba sopra Šurmanci e poi, dopo avervi gettato granate, le canaglie ustascia li seppellirono, molto probabilmente vivi. Paris riportò la lista dei responsabili, una lista che include nomi come Ostojić e Ivanković, nomi comuni nell'area - nomi, infatti, di persone che ancora oggi vivono a Međugorje. Brian Hall si chiede nel suo libro sullo smembramento della Jugoslavia se l'Ostojić con cui stava a Međugorje era l'Ostojić accusato dell'atrocità di Šurmanci.

Paris sostenne che due preti presero parte al massacro di Šurmanci. Marko Zovko era un prete, ma non un francescano come il più conosciuto Jozo Zovko, l'uomo che, per molti versi, creò le apparizioni di Međugorje. Marko Zovko era il segretario del vescovo Ćule, il successore di Mišić. Imparai ciò dall'attuale vescovo di Mostar, Ratko Perić, che fa risalire la citazione di Paris al libro di Viktor Novak, Magnum Crimen.

La situazione religiosa è complicata ulteriormente dal fatto che la Chiesa Cattolica dell'Erzegovina è divisa in due fazioni, una fedele al vescovo di Mostar, e l'altra ai francescani, in aperta ribellione sia contro l'ordinario locale sia contro l'ordine francescano generale di Roma dal 1976, quando si rifiutarono di consegnare un numero di parrocchie da loro amministrate, alla giurisdizione del vescovo di Mostar. 

Come i suoi predecessori Mišić e Zanić, il vescovo Perić ha dovuto fare i conti con i rabbiosi nazionalisti francescani erzegovesi, la forza motrice dietro alle apparizioni di Međugorje e la collaborazione con le atrocità degli ustascia durante la II Guerra Mondiale. Nel gennaio del 1997, Perić ha dato un'intervista a Yves Chiron nella rivista francese Present, dove ammette che Međugorje è afflitta da disordini ecclesiastici, come francescani esercitanti funzioni ministeriali senza missione canonica; comunità religiose fondate senza permesso, edifici eretti senza l'assenso ecclesiale, e la continua organizzazione di pellegrinaggi laddove è stato determinato non ci fossero apparizioni. "Međugorje - concluse Perić - non promuove la pace e l'unità ma crea confusione e divisione, e non semplicemente nella sua diocesi" (Present, 25 gennaio 1997).

Perić ha sperimentato di prima mano quanto può essere bellicosa la "Regina della Pace" e i suoi sostenitori. Nell'aprile del 1995 il vescovo fu attaccato da una banda nella sua cancelleria, e la sua croce al petto strappata. E' stato poi picchiato, forzato in un'automobile appostata e portato in una cappella non autorizzata gestita dai francescani di Međugorje, e lì tenuto in ostaggio per 10 ore. E' stato solo quando il sindaco di Mostar si presentò con le truppe dell'ONU che il vescovo è stato rilasciato.

Ciò che colpisce ancor più della vicinanza spaziale tra le atrocità e le apparizioni, è l'inquietante coincidenza delle date. Sembra che tutti i maggior eventi della storia balcanica avvengano di giugno. La battaglia di Kosovo Polje si svolse il 28 giugno 1389. L'assassinio dell'Arciduca Ferdinando a Sarajevo il 28 giugno 1914, una specie di strana commemorazione simbolica della battaglia di Kosovo Polje. I croati proclamarono l'indipendenza il 25 giugno 1991, che corrispose al decimo anniversario delle apparizioni di Međugorje, le quali occorsero al quarantesimo anniversario del massacro di Šurmanci.



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Medjugorie, la fabbrica delle apparizioni

di Giancarlo Bocchi – 26 giu 2015
fonte: pagina fb di Giancarlo Bocchi; una versione ridotta del testo è stata pubblicata sabato 27 giugno 2015 sul Manifesto

Altro che miracoli. Estremismo cattolico guerresco e un giro d’affari da 3 miliardi di euro. Il ruolo dei «francescani con il Rolex» e lo spettro delle pulizie etnico-religiose dietro il business delle apparizioni in Erzegovina. Che ora papa Bergoglio si prepara a smontare

Alla fine della guerra, nel dicembre del 1995, la Bosnia era distrutta, senza più attività produttive, con strade e infrastrutture in rovina e gran parte della popolazione senza lavoro.
Una sola attività aveva ripreso utili a ritmi vertiginosi: la “fabbrica di miracoli e apparizioni” della Madonna di Medjugorje, che divenne in breve tempo una specie di miniera d’oro.
Lunghe file di pullman provenienti da tutta Europa intasavano le strade malandate della Croazia e della Bosnia. Frotte di fedeli accorrevano nel paesetto dell’Erzegovina davanti a una chiesa color tortora, stretta tra due aguzzi campanili che se nelle intenzioni avevano voluto sfidare la levità dei minareti, riuscivano solo a ricordare il disegno di un bambino.
Dopo il sanguinoso conflitto che aveva provocato 100 mila morti, fatto tremare i governi europei e aperto una ferita planetaria e non più rimarginabile tra i credenti di diverse religioni, migliaia di cattolici, soprattutto stranieri, si accalcavano a Medjugorje per incontrare i veggenti e invocare l’apparizione della Gospa (la Madonna) che proprio in quei luoghi dilaniati dal feroce nazionalismo croato cattolico era incredibilmente chiamata “la Regina della pace” e si manifestava, secondo i veggenti, a orari fissi.

Nel 1995 alcuni dei sei veggenti originari, di prima della guerra, avevano defezionato, si erano trasferiti altrove, allontanandosi dai discussi francescani croato-bosniaci che fin dal 1981 amministravano la fabbrica delle apparizioni.
Con la guerra fratricida etnico-religiosa, erano resuscitati anche i fantasmi di un angoscioso passato, che aveva visto per protagonisti proprio i francescani di Bosnia e Croazia, l’Ordine che gestiva il tempio di Medjugorje.
Temprati e induriti da una guerra che durava da centinaia di anni, prima contro l’avanzare della chiesa ortodossa e poi contro l’impero ottomano e il diffondersi della religione musulmana, quei francescani avevano visto nella seconda guerra mondiale l’occasione per sterminare i nemici religiosi.
Si erano subito schierati con il dittatore ustascia Ante Pavelić, alleato di fascisti e nazisti, e avevano partecipato alla “pulizia etnico-religiosa”, alle conversioni forzate, alle deportazioni, alle stragi ordinate dagli ustascia e perfino al genocidio nel campo di sterminio di Jasenovac dove furono eliminati almeno 600 mila jugoslavi, serbi, ebrei, rom e dissidenti di altre etnie.
A Jasenovac il comandante delle squadre della morte era un frate francescano, Miroslav Filipović, detto “il satana nero”, che, condannato a morte alla fine della guerra per i crimini commessi, chiese di vestire per l’ultima volta il saio prima di essere fucilato.
Neanche altri esponenti del clero cattolico croato e bosniaco si opposero alle violenze degli ustascia, nell’inanità complice del Vaticano che riceveva a Roma addirittura delegazioni di ustascia e criminali di guerra. Lo storico Marco Aurelio Rivelli scrisse: “Quello attuato dalla dittatura di Pavelić, di forte impronta cattolica e sostenuta apertamente da tutte le strutture del cattolicesimo croato (episcopato, clero, ordini religiosi, francescani in particolare), fu un genocidio dalle esclusive connotazioni religiose, e i più colpiti furono gli “scismatici” serbo-ortodossi”.
Proprio il Vaticano, con la collaborazione dei francescani e del clero croato, alla fine della seconda guerra mondiale organizzò la “ratline”, chiamata come la corda, la “grisella”, che collegata alle sartie, permette ai topi la salita fino alla cima degli alberi dei velieri, l’ultimo rifugio durante un naufragio prima di essere inghiottiti dalle acque. Attraverso la “ratline” sfuggirono alla giustizia criminali nazisti e fascisti, con in testa Ante Pavelić. Riuscirono, passando per l’Italia, a sfuggire ai tribunali di guerra nascondendosi in Sud America, Stati Uniti e Medio Oriente. Il centro operativo della via di fuga, della “grisella”, era un monastero croato, San Girolamo degli Illiri, a poca distanza dai palazzi Vaticani, sulla sponda opposta del Tevere.
Anche il massimo esponente del clero cattolico croato, Alojzije Stepinac, restò in silenzio davanti all’orrore e anzi assicurò ad Ante Pavelić “sincera e leale collaborazione” tanto da meritare l’appellativo di “arcivescovo del genocidio”.
Malgrado i legami con Pavelić, il silenzio complice sui crimini commessi dal suo clero e tutte le ombre sul suo operato, Papa Wojtyła beatificò Alojzije Stepinac, considerandolo una vittima del governo comunista jugoslavo anziché un sostenitore dei fascisti ustascia e campione dell’estremismo religioso.

Ma lo sguardo obliquo del papa aveva forse anche un’altra spiegazione. La beatificazione di Alojzije Stepinac aveva permesso al Vaticano di rientrare in possesso, grazie a un accordo ratificato con l’allora presidente croato Franjo Tuđman, in occasione della visita del papa, delle proprietà immobiliari che il regime comunista aveva sequestrato alla chiesa nel dopoguerra, a causa della complicità criminale con gli ustascia.
Il monastero francescano di Siroki Brijeg, roccaforte ideologico-religioso del movimento ustascia e fulcro spirituale dei cattolici d’Erzegovina durante la seconda guerra mondiale, fu chiuso dal governo jugoslavo, ma intorno rimase per anni il focolaio dell’estremismo nazionalista cattolico.
Per questo, senza conoscere la storia dei francescani di Croazia, di Bosnia e l’intreccio di fanatismo religioso e interessi economici e politici che ne è originato, è difficile discernere anche solo nei contorni la costruzione di un fenomeno come la fabbrica delle apparizioni di Medjugorje.
In Erzegovina la comunità cattolica, circa 400 mila persone, era la più compatta e numerosa dell’intera nazione e diversamente dagli altri cattolici di Bosnia, che seguivano il clero Vaticano, era devotissima ai nazionalisti, secessionisti ed estremisti francescani.
Questi frati già alla metà degli anni ’70 entrarono in conflitto con i vertici della Chiesa per una questione di proprietà immobiliari legate a diverse parrocchie nella loro giurisdizione. Prevalsero e si tennero le parrocchie, ma il contrasto con la diocesi di Mostar (che ha la giurisdizione su Medjugorje) divenne insanabile.
A quel momento risalgono i primi segni del progetto delle apparizioni, come il ritrovamento di rosari di fabbricazione sconosciuta in vari luoghi intorno a Medjugorje. Benché più banali che misteriosi, i francescani li definirono segni premonitori o miracolosi.

Si arrivò così al 24 giugno 1981. Sei ragazzi dissero aver visto “una figura femminile luminosa sul sentiero che costeggia il Podbrdo”. Durante altre apparizioni i sei giovani veggenti, Ivanka Ivanković, Mirjana Dragićević, Vicka Ivanković, Ivan Dragićević, Jakov Čolo e Marija Pavlović, descrissero meglio la figura della presunta “Madonna”: “Tra i 18 e i 20 anni, snella, alta circa 165 cm. Il suo viso è lungo e ovale con capelli neri. Gli occhi sono azzurri con ciglia delicate, il naso è piccolo e grazioso e le guance sono rosee. Ha belle labbra rosse e sottili e il suo sorriso è di una gentilezza indescrivibile. Ha una semplice veste azzurro-grigia che scende liberamente verso il basso mescolandosi con la piccola nuvola biancastra su cui sta in piedi. Il suo velo è bianco e copre la testa e le spalle e scende anch’esso fino alla piccola nuvola. Ha una corona con 12 stelle dorate sulla testa”. Non serve certo un semiologo per capire che quella descrizione risente dell’iconografia classica e popolare tramandata da quadri e santini, ma date l’eco mondiale del fenomeno e la netta presa di distanza del Vaticano occorreva il suffragio scientifico.
Già alla metà degli anni ’80 alcuni medici e studiosi cattolici si impegnarono in sommarie quanto modeste indagini, nel tentativo di avvalorare l’intensa attività mariana di Medjugorje, difforme da quella che si era manifestata in luoghi di culto accreditati dal Vaticano come Fatima, Lourdes, Tepeyac.
Pressato da alcuni colleghi cattolici, iniziò gli studi e le ricerche sulle apparizioni di Medjugorje anche il professor Marco Margnelli, neurofisiologo, già braccio destro di Giulio Maccacaro alla rivista “Sapere”, ricercatore del CNR di Milano, del Karl Ludwig Institut fur Physiologie dell’Università di Lipsia e dell’Università del North Carolina.
Marco Margnelli era uno dei massimo esperti mondiali di stati della coscienza e di estasi e aveva studiato in profondità le relazione tra fenomeni mistico-religiosi e droghe naturali e sintetiche. Dopo la sua prima visita a Medjugorje, tornò in Italia con molti dubbi sui “francescani con il rolex” che gestivano l’attività proficua dei veggenti.
Il francescano Jozo Zovko, parroco di Medjugorje, era già stato arrestato più di una volta per “attentato alla sicurezza e all’unità dello Stato jugoslavo”. Mentre il frate più vicino ai veggenti, il loro “direttore spirituale”, padre Tomislav Vlašić, l’estensore materiale, per loro conto di quella che venne definita una lettera scritta dalla Madonna al Papa (poi smentita dai veggenti) era stato accusato dal vescovo di Mostar Zanic di essere l’ideatore delle apparizioni, ma aveva combinato ben di peggio. Era stato accusato di aver “divulgazione di dubbie dottrine, manipolazione delle coscienze, sospetto misticismo, disobbedienza ad ordini legittimamente impartiti ed addebiti contra sextum” (ossia contro il sesto comandamento, che riguarda i peccati di natura sessuale, ovvero per aver messo incita una suora) ed era stato ridotto dal papa allo stato laicale con l’interdizione perpetua ad essere anche solo ospitato in un convento francescano.
Malgrado questo contorno ambiguo e opaco, Marco Margnelli era incuriosito da alcuni aspetti scientifici ancora da indagare, nati dallo studio dei veggenti. Disse in una intervista: ”Mi irritava l’atteggiamento degli “esperti” dai quali i teologi orecchiavano le loro trattazioni, degli psichiatri o degli psicoanalisti che pontificavano paragoni e confronti tra deliri patologici ed esperienze estatiche, tra menti sane e menti malate senza mai avere visto un estatico da vicino o aver studiato una vera estasi.” Margnelli invece aveva studiato in India degli yogi che sapevano cambiare il loro stato fisiologico, far aumentare i battiti del cuore, aumentare la temperatura del corpo e controllare il dolore. Uno di loro gli aveva detto: “Si può arrivare a controllare tutto, corpo e mente ma che i veri prodigi si hanno quando si acquista il controllo del cervello.” Da neurofisiologo Margnelli voleva spiegare scientificamente “i prodigi” e non certo avventurarsi nella spiegazione di miracoli veri o presunti. Secondo lo scienziato “l’estasi era uno stato di coscienza”. Nulla che avesse una relazione con il soprannaturale. Era questo che cercava di dimostrare scientificamente .
Nella seconda metà degli anni ‘80, Marco Margnelli ritornò a Medjugorje insieme ad una numerosa equipe. Vennero svolte diverse indagini scientifiche e apparve chiaro agli studiosi che i veggenti erano in uno stato alterato di coscienza. Scrisse Margnelli: ”Una condizione che si può ottenere anche attraverso tecniche di meditazione, come l’auto-training, ma non in modo così profondo…” Margnelli lasciava aperta un porta per future indagini, ma le sue dichiarazioni vennero usate e distorte per consolidare la presunta veridicità delle apparizioni. Venne anche diffusa la falsa notizia “che il noto scienziato ateo Marco Margnelli si era convertito al cattolicesimo dopo aver conosciuto i veggenti”. In privato Margnelli ci rise sopra: “Questi sono matti”. Disse senza perdere altro tempo a smentire quegli oscuri manipolatori della verità. In quel periodo fu anche avvicinato da un misterioso personaggio, che sembrava più un agente segreto, anche se era un monsignore, responsabile di una delle strutture più misteriose del Vaticano specializzata nell’indagare e catalogare i fenomeni paranormali.
La questione di “Medjugorje” si era trasformata ormai in una guerra a sfondo politico oltre che religioso tra istituzioni cattoliche. Più aumentava il numero di pellegrini cattolici a Medjugorje (nove milioni registrati solo nel 1987), più si acuivano i contrasti tra la Chiesa e l’Ordine francescano. Per non consegnare alla Chiesa le parrocchie contese fin dagli anni ‘70, i francescani arrivarono perfino a murare l’ingresso delle chiese e addirittura sequestrarono per 15 giorni il loro più strenuo oppositore, il vescovo di Mostar.
Poco prima del definito disfacimento della Repubblica jugoslava, il 10 aprile 1991, i vescovi del paese, riuniti a Zara, emisero una dichiarazione congiunta su Medjugorje: “Sulla base di quanto finora si è potuto investigare, non si può affermare che abbiamo a che fare con apparizioni e rivelazioni soprannaturali”.
Anche frate Jozo Zovko, l’altra anima nera dei veggenti, venne sospeso dalle funzioni pastorali.

Nel 1992, con lo scoppio della guerra di Bosnia si esaurirono i pellegrinaggi, ma gli echi di notizie di fatti miracolosi, sapientemente amministrate dai francescani di Medjugorje vennero propagate sui mezzi di comunicazione.
Diffusero perfino una foto di un missile piantato davanti al santuario con la notizia che la Madonna ne aveva mutato la traiettoria salvando chiesa e i fedeli. Il fotoreporter Claudio Olivato che in quel periodo passò da Medjugorje, si reso conto che si trattava di una bufala, anche perché il missile non aveva minimamente scalfito il selciato davanti alla chiesa.
I francescani di Croazia e Bosnia, come già era accaduto durante la seconda guerra mondiale, durante la guerra di Bosnia, smentendo la loro “Regina della pace”, furono la punta di diamante dell’estremismo cattolico guerresco. Con la copertura di alcune associazioni umanitarie, come “Il Pane di Sant’Antonio” e la “Caritas di Ghedi”, (da non confondere con la Caritas italiana) si misero ad aiutare la loro fazione secessionista.
Il responsabile di queste attività era un frate croato, Bozo Blazevic, che smistava gli aiuti umanitari, ma anche altro, dal centro logistico della Caritas francescana di Spalato, diretta da padre Leonar Orec. Riguardo le attività misteriose del frate il giornalista Luca Rastello scrisse: “Il 29 maggio del 1993 un piccolo convoglio di un gruppo di volontari bresciani viene contattato a Spalato da Spomenka Bobas e padre Orec. Poiché vanno in Bosnia centrale, i religiosi li pregano di consegnare quattro pacchi a Vitez: con questa scusa li forniscono di documenti con il marchio del pane di sant’Antonio, un po’ come se firmassero l’ignara spedizione dei bresciani… Poche ore dopo, appena transitati da Gornji Vakuf, i cinque bresciani vengono intercettati da una banda di irregolari bosniaci che sequestra il carico e i documenti e uccide a freddo Fabio Moreni insieme a Sergio Lana e Guido Puletti.” Non si seppe mai cosa contenessero i 4 pacchi del frate Bozo Blazevic, ma il 22 dicembre 1993, a bloccare un altro convoglio umanitario fu il comandante Goran Cisic. Sotto i generi alimentari chiamati “aiuto umanitario” saltarono fuori lanciarazzi, mortai e altro. Due giornalisti italiani, Ettore Mo ed Eros Bicic, involontariamente testimoni dei traffici in corso vennero arrestati per qualche ora mentre il frate Blazevic, amico personale del presidente Tudjman, ripartì senza problemi.

Alla fine della guerra, le numerose e segrete attività dei francescani di supporto alle fazioni estremiste e secessioniste cattoliche, vennero ignorate dai tribunali locali, ma anche da quelli internazionali, e caddero nell’oblio.
Il grande business delle apparizione e dei miracoli di Medjugorje riprese a pieno ritmo senza più ostacoli.
Nel 1996 Tarcisio Bertone, allora segretario della Congregazione per la dottrina della Fede, in una lettera concluse che «i pellegrinaggi ufficiali a Medjugorje, intesa come luogo di autentiche apparizioni della Vergine, non possono essere organizzati né a livello parrocchiale, né diocesano». Ma lasciò aperte le porte al proficuo turismo religioso: “Ai pellegrinaggi a Medjugorje che si svolgono in maniera privata
Qualcuno ha stimato stimato che dal 1981 al 2013, “l’ammontare totale delle spese turistiche prodotte a Medjugorje si sia aggirato intorno ai 2,85 miliardi di euro. Inoltre, valutando in circa 23 milioni i pellegrini arrivati nel paesino dell’Erzegovina negli anni presi in considerazione, le spese di viaggio ammonterebbero a quasi 8,5 miliardi di euro, per un giro d’affari mondiale di circa 11 miliardi di euro”. Non sappiamo se queste cifre sia esatte al centesimo, ma sono molto verosimili.
Alla fine degli anni ‘90, chi scrive incontrò il Prof. Marco Margnelli con l’idea di fare un documentario su Medjugorje. Lo conoscevo fin dagli anni ‘70 e ne apprezzavo le sue capacità e la sua rettitudine. L’incontrò durò parecchie ore. Margnelli nel corso degli anni aveva approfondito alcuni studi sull’ipnosi e sugli stati coscienza e aveva un’idea precisa sui veggenti. Ma il progetto documentaristico venne rimandato a causa dello scoppiò del conflitto in Kosovo e qualche tempo dopo il prof. Margnelli si ammalò gravemente. L’idea documentaristica venne abbandonata definitivamente ma ho ancora il nastro con quello che mi disse e ricordo la risposta che lo scienziato diede alla mia domanda se quello che i veggenti vedevano fosse un fatto sovrannaturale.
Nessun miracolo… Si tratta di autosuggestione”. Rispose Margnelli in modo netto.

A distanza di quindici anni dalle ultime ricerche del prof. Marco Margnelli, tra poco la parola su Medjugorje passerà a Papa Bergoglio. Anche se in questi giorni è stata diffusa ad arte la notizia che “si rischia lo scisma (tra i croati) se sconfesserà le apparizioni della Madonna”, dopo aver fatto pulizia dei preti pedofili, dei monsignori affaristi, dello Ior e della finanza vaticana, quale sarà l’orientamento del Papa, che ha preso il nome di Francesco, con i francescani di Bosnia e la loro fabbrica delle apparizioni?
La Madonna è madre! E ama tutti noi. Ma non è un capo ufficio della posta, per inviare messaggi tutti i giorni”. Ha detto qualche settimana fa riguardo le visioni quotidiane dei veggenti di Medjugorje.





Il fascismo della Chiesa uniate

1) Molotov nelle chiese ortodosse di Kiev (8 dicembre 2014)
2) Firenze, colletta nella chiesa ucraina per comprare equipaggiamenti militari (15 gennaio 2015)
3) In Ucraina proclamata una crociata contro l'ortodossia (4 marzo 2015)
4) Metropolita Antonij: Sugli scandali che circondano la Chiesa non si può costruire una politica decente dello Stato (19 ottobre 2015)
5) Ucraina: "Dio non ascolta chi prega in russo" (2 dicembre 2015)


Si vedano anche:

Agosto 2014: a Bologna il sacerdote promuove la raccolta fondi per l'equipaggiamento dell'esercito di Kiev
https://www.cnj.it/documentazione/ucraina/bologna190814.jpg

Settembre 2014: al funerale di un caduto dell'organizzazione filo nazista "Pravy Sektor" il prete della Chiesa greco-cattolica Nikolaj Zaliznjak ha urlato: «Per ognuno dei nostri decine di loro cadranno!» 
Gennaio 2015: Firenze, colletta nella chiesa ucraina per comprare equipaggiamenti militari

Vatican clergy and Ukrainian nationalism (I) (By Andrew KORYBKO (USA), Wed, Apr 22, 2015)
http://orientalreview.org/2015/04/22/vatican-clergy-and-ukrainian-nationalism-i/
Vatican clergy and Ukrainian nationalism (II) (By Andrew KORYBKO (USA), Thu, Apr 23, 2015)
http://orientalreview.org/2015/04/23/vatican-clergy-and-ukrainian-nationalism-ii/
Papa Francesco è l’agente del nazionalismo ucraino più influente al mondo (di Andrew Korybko, 22-23 aprile 2015)
http://sakeritalia.it/europa/ucraina/papa-francesco-e-lagente-del-nazionalismo-ucraino-piu-influente-al-mondo/

Quelle convergenze tra il Papa e Putin (di Gianni Valente - 9/6/2015)
La seconda visita del presidente al Pontefice: la Chiesa cattolica non si allinea al «cordone sanitario» anti-russo dei circoli occidentali. Lo zar pronto a chiarire a Francesco la posizione russa...
http://vaticaninsider.lastampa.it/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/francesco-francisco-francis-putin-41650/ 


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Molotov nelle chiese ortodosse di Kiev

Scritto da Ukraina.ru - 8 dicembre 2014

Nella notte del 2 dicembre, persone non identificate hanno incendiato la Chiesa ortodossa ucraina nel complesso memoriale Babi Yar "Una bottiglia Molotov è stata gettata all’interno attraverso la grata della finestra. Il fuoco ha attaccato le pareti, la finestra e alcune parti infiammabili della Chiesa". Ha dichiarato Padre Serhiy Temnik. Egli ha detto che il guardiano della chiesa ha visto le fiamme e si è messo subito a spegnere il fuoco, salvando le reliquie che erano sull’altare. Padre Serhiy ha aggiunto che la chiesa era stata minacciata molte volte negli ultimi tempi e anche recentemente, ma questa è stata la prima volta che la chiesa è stata attaccata.
Questo non è il primo attacco ad una chiesa ortodossa in Ucraina. Nel mese di ottobre, un gruppo di 50 persone accompagnati dalla polizia ha sequestrato la Chiesa ortodossa di Intercessione della Vergine Santa in Turka, una città nella regione di Lviv. Nel mese di agosto, facinorosi ucraini avevano interrotto un servizio nella Chiesa dell'Intercessione, nel villaggio di Chervona Motovylivka e hanno intimato a Padre Volodymyr Navozenko di "lasciare l'Ucraina in una settimana", o lo avrebbero ucciso.

Da Ukraina.ru  - Traduzione di Enrico V. per CISNU/CIVG


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Firenze, colletta nella chiesa ucraina per comprare equipaggiamenti militari

Raccolta tra i fedeli per donare una termocamera. Il sacerdote dei Santi Simone e Giuda: permettono di identificare i nemici di notte vogliamo salvare delle vite. Ma è polemica sul web: sono delle armi e vengono usate per uccidere, state finanziando una guerra. L'Arcidiocesi si dissocia: "Non siamo stati informati"

di GERARDO ADINOLFI
15 gennaio 2015

Sul volantino giallo, sopra la scritta: "Il popolo deve essere unito per non far morire l’Ucraina" c’è un’immagine ripresa da un videogioco di guerra, Battlefield. Un soldato, sguardo fiero e arrabbiato con metà corpo avvolto dalle fiamme. E dietro un carro armato che avanza verso il nemico. Un’immagine che contrasta con il luogo dove viene e sarà diffuso: la chiesa dei Santi Simone e Giuda a Firenze e la chiesa di San Francesco, a Prato, luoghi di ritrovo della comunità ucraina delle due città toscane. Il volantino è pubblicato anche sulla pagina Facebook della “Chiesa Greco- Cattolica Ucraina in Firenze”. 
Sul foglio c’è un annuncio che invita la comunità a lasciare un’offerta libera per «comprare - si legge - una buona imager Pulsar Quantum HD50S per un gruppo di soldati ucraini che adesso combattono in prima linea del fronte sul territorio di Donetsk e Lugansk in Ucraina». La Pulsar è una termocamera, uno strumento capace di individuare persone in condizioni di buio, fumo o nebbia attraverso il rilevamento del calore. Costa sui 3.100 euro ed è acquistabile anche su Internet. Una tecnologia comune che, però, in contesti di guerra può diventare un‘arma capace di scovare il “nemico” di notte. A confermarlo anche un video, pubblicato sul sito uahelp.center, (Centro di aiuto per l’Ucraina), in cui si spiegano le caratteristiche della termocamera. "Nel buio assoluto imager può aiutare a fare questo - si legge sopra il link del video che mostra l’uccisione di quattro soldati scovati tramite immagini termiche - scusate la crudeltà, siamo in guerra". 
Sul volantino si spiega che la termocamera «può salvare la vita dei ragazzi ucraini". "Noi vogliamo che loro tornino vivi - si legge - lì dove ce l’hanno, i soldati possono dormire tranquilli sapendo che la pattuglia notturna segnalerà i cambiamenti delle temperature nella zona circostante, sia l’uomo che le macchine in movimento. E quindi permette di agire con successo sia nell’attacco, sia per la difesa".

Per partecipare alla colletta il volantino indica alcuni numeri telefonici, oppure un codice Iban dove inviare i fondi intestato alla Chiesa rettoria dei Santi Simone e Giuda. Un annuncio che, lanciato dalla pagina della chiesa, ha creato polemiche in rete. «Ritirate subito questa colletta - scrive un italiano - come Chiesa state finanziando la guerra», si legge in un post poi non più visibile sulla pagina. Altri commenti, pro e contro, sono scritti in ucraino o in russo. La Chiesa dei Santi Simone e Giuda fa parte dell’Arcidiocesi di Firenze e ha come sacerdote padre Volodymir Voloshyn: "Non ho messo un annuncio per comprare le armi - spiega il sacerdote che spiega di non aver avvertito la Curia dell’iniziativa - la termocamera viene usata anche per altri scopi. In Italia forse tutto è visto come un’arma ma in Ucraina bisogna salvare la gente, bisogna aiutarla". La comunità, negli scorsi mesi, ha organizzato marce e raccolto medicine, abiti caldi, cibo da inviare in Ucraina. "Non è un’arma - ribadisce padre Voloshyn - serve per difendere i nostri soldati dagli attacchi notturni. Il nostro è un esercito che è stato completamente distrutto. Ci mancano apparecchi costosi". Una volta raccolti i fondi la termocamera andrà a un gruppo di volontari in Ucraina che la donerà ad un battaglione del fronte. "Non è un’iniziativa della Chiesa - spiega Yulia, uno dei numeri da chiamare sul volantino - ma di tutta la comunità. Anche se siamo all’estero non possiamo veder morire i nostri connazionali, se possiamo aiutarli li aiutiamo in tutti i modi che possiamo". Sul sito uahelp si legge: "Questione di vita o di morte, questa robetta vale come minimo 3 vite umane".

Dopo l'articolo pubblicato su Repubblica l'Arcidiocesi di Firenze si dissocia "L’Arcivescovo e i suoi collaboratori nel governo pastorale - si legge - segnalano di non essere stati messi al corrente e si dissociano dall’iniziativa che viene giudicata impropria per una realtà ecclesiale".


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In Ucraina proclamata una crociata contro l'ortodossia

4 marzo 2015

In Ucraina è in corso una vera e propria guerra religiosa. E’ in corso preordinato attivamente dal cattolicesimo. Bruciano le chiese ortodosse. I preti ortodossi cercano di i modi per trasferire la loro famiglia fuori dall’Ucraina occidentale verso altre regioni del paese.
Di questo ha riferito a Kiev l'attivista per i diritti umani, coordinatore del movimento «Madri dell'Ucraina» Galina Zaporozhzeva, commentando gli ultimi avvenimenti a Sumy.
Come saputo precedentemente, il 1° marzo, nella Settimana del trionfo dell'Ortodossia, all'ingresso della Cattedrale Spaso-Preobrazhenskij di Sumy, 20 persone in maschera e tuta militare con il logo del «Settore di Destra» hanno organizzato una nuova provocazione.
Fra loro c'era il «libertario» (del Partito fascista Svoboda “Libertà” ndt)Vladimir Ganzin, che è proprio durante la messa ha picchiato il custode della cattedrale. Quindi i «Destri» hanno bloccato l'ingresso e minacciato di violenza il Vescovo, clero e fedeli. È stato segnalato che una parte di aggressori erano sotto l'effetto di droghe. Tuttavia i fedeli hanno respinto i radicali lontano dal Vescovo e gli aggressori hanno dovuto ritirarsi.
Due settimane fa, il 12 febbraio, i nazionalisti hanno profanato le chiese delle regioni di Volynsk e Rivno: sfondato le porte della Cattedrale Voskresen’kaja della città di Kovel’ e della chiesa di San Giovanni Battista-Teologico è stata danneggiata la recinzione e rotti i vetri di una finestra. In precedenza, nella regione di Rivne vandali avevano profanato otto chiese e altre due sono state date alle fiamme a Kiev.
Ricordiamo che, nella notte del 27 gennaio 2015, aggressori hanno dato fuoco ad una delle chiese del Patriarcato di Mosca a Kiev, alla vigilia hanno tentato di bruciare l’edificio nazionale storico-commemorativo, la chiesa nella riserva naturale «Babi Jar». A Natale è stata ridotta in cenere la centennale chiesa di Leopoli.
Un enorme numero di chiese distrutte nella zona ATO. In particolare colpite con i «Grad». Dieci chiese nella Diocesi di Donezk durante i bombardamenti dell’artiglieria trasformate in rovine e più di 70 distrutte in parte. Galina Zaporozhzeva ha fatto notare come tutti i fatti di sangue e gli atti di vandalismo si svolgano in Ucraina in occasione delle feste ortodosse.
Lo confermano gli eventi dello scorso anno. A Natale e all’Epifania sono avvenuti scontri sul Kreschatkik a Kiev. La Domenica delle Palme ci sono stati disordini a Zaporozhe quando i manifestanti hanno circondato cinquemila radicali arrivati da Dnepropetrovsk. Alla vigilia di Pasqua hanno inondato le persone di farina e colpite con uova.
L’attivista dei diritti umani ha anche ricordato la tragedia della Casa dei Sindacati verificatasi il 2 maggio 2014, quando molti ortodossi si stavano recando al cimitero per commemorare i defunti. In quell’occasione tutta la polizia era presente ed i radicali, approfittando di questo, hanno organizzato nella Casa dei Sindacati la «Chatyn odessita».
«Tutto quello che accade in Ucraina è una crociata contro l’ortodossia. Si sono già rivolti a me preti dell’Ucraina occidentale che hanno chiesto di aiutarli a trasferire le loro famiglie in altre regioni. Ci sono attacchi non solo contro noi sacerdoti, ma contro le nostre mogli ed i nostri figli. Loro non possono andarsene perché è necessario il permesso del Patriarcato.
I media non fanno luce su questo, ma in Ucraina davvero è in corso una guerra religiosa in piena regola che mira a dividere il paese», riassume la Zaporozhzeva. Nel Patriarcato di Mosca credono anche che distruggendo le chiese ortodosse in Ucraina determinati circoli politici attuali di Kiev perseguano molteplici obiettivi politici e cerchino di dare all'opposizione della parte occidentale ed orientale del paese un carattere religioso.
«È molto triste che qualcuno stia cercando di attaccare le chiese forse perseguendo molteplici obiettivi politici. Anche durante le più terribili guerre le zone sacre, di solito sono rimaste indenni, le parti in guerra non le hanno toccate. Anche nei momenti più acuti delle lotte a Kiev la gente ha trovato rifugio nelle chiese. E gli appelli al sequestro di questo o quell’edificio di culto, grazie a Dio, non sono mai arrivati. Nessuno ha cercato di organizzare atti di vandalismo contro le chiese», così ha commentato gli atti di vandalismo il Presidente del Dipartimento Sinodale per la cooperazione fra chiesa e società del Patriarcato di Mosca, padre Vsevolod.
Ecco cosa disse in precedenza il Patriarca di Mosca e di tutta la Rus’ Kirill.
I «Pravoseki» non solo si fanno beffa delle icone e degli oggetti sacri, ma anche deridono crudelmente i servitori della Chiesa.
Così i nazionalisti hanno ucciso tre preti ortodossi e arrestato più di una dozzina di monaci. I ministri ortodossi sono costantemente sottoposti a torture, umiliazioni e vengono cacciati dai «sostenitori di Bandera». Pochi giorni fa armati del «Settore Destro» hanno occupato la chiesa del villaggio Butin della regione di Ternopil nell'ovest dell'Ucraina.
I radicali hanno rifiutato di far entrare i fedeli in chiesa, a causa di ciò i credenti non sono stati in grado di seguire la  liturgia mattutina. E quando il sacerdote russo è entrato in chiesa questa era già stata occupata da rappresentanti del patriarcato di Kyiv. E quando i nazionalisti ucraini hanno celebrato l'anniversario della fondazione dell'esercito ribelle ucraino, in Ucraina sono stati distribuiti volantini contenenti appelli alla distruzione del clero della chiesa Ucraina del Patriarcato di Mosca.
I fascisti fanno di tutto per sradicare la chiesa ortodossa in Ucraina e a riguardo della cosiddetta «pulizia» non viene intrapresa nessuna azione per fermare queste terribili azioni né da parte del governo, né da parte di semplici ucraini residenti. Ricordiamo che i «banderovci» negli anni 1941-1945 hanno organizzato un vero terrore contro l'Ortodossia in Ucraina. Avendo costruire la loro tanto ambita indipendente Ucraina con la loro chiesa indipendente, in cinque anni l’UPA ha ammazzato più di 900 preti ortodossi.


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Metropolita Antonij: Sugli scandali che circondano la Chiesa non si può costruire una politica decente dello Stato

Scritto da RIA Novosti Ucraina – 19 ottobre 2015


In Ucraina, la comunità è talmente affascinata dalla politica da non prestare attenzione quando invadono le cose sacre, quando si verificano attacchi e razzie nelle chiese e nei templi. La Chiesa Ortodossa Ucraina ha avuto 30 templi sequestrati in tutto il paese ha e le razzie spesso si spiegano con "sentimenti patriottici". Sul ruolo dei politici, di "Settore Destro" e dello Stato in questi processi, RIA Novosti Ucraina ha intervistato il responsabile amministrativo della Chiesa Ortodossa Ucraina, il metropolita Antonij di Borispol e Brovary.

Cosa pensa che motivi la gente a invadere i templi come aggressori, entrando così in conflitto aperto?

Gli uomini sono spesso manipolati. Ora, lo stato d'animo di molti è stato influenzato negativamente dalla televisione. Non tutti possono sopravvivere quando su base quasi quotidiana si riversano sulla Chiesa fiumi di menzogne ​​e falsità, che battono sempre sullo stesso punto. Che la Chiesa Ortodossa Ucraina (COU) è una "quinta colonna" di "traditori" che lavorano per l'FSB. È interessante notare che non è mai stata mostrata alcuna prova. Ne esce un'immagine ben fatta e un testo costruito in modo gesuitico. Nelle persone patriottiche, ripetere questa disinformazione comincia a provocare un'ondata di rifiuto, ma non verso gli autori di provocazioni contro la COU, bensì contro la nostra Chiesa. Di questi sentimenti pubblici si servono alcuni politici, soprattutto a livello di autorità locali, e i rappresentanti del patriarcato di Kiev. Abbiamo registrato un sacco di casi in cui i residenti di alcune località hanno deliberatamente contrastato la COU. A tal fine, in particolare, hanno usato metodi di campagna personale attiva e distribuzione di volantini con falsi "fatti" della nostra Chiesa. Come risultato, la gente è sospinta verso uno "pseudo-patriottismo." Bandendo la comunità della COU dal loro tempio, pensano di partecipare a una causa santa e di aiutare il loro stato. In realtà ne esce un quadro diverso – di ucraini che opprimono altri ucraini, creando gravi focolari aggiuntivi di destabilizzazione della situazione sociale nel paese. Alla luce di questo vorrei sottolineare l'enorme responsabilità delle forze che provocano tali confronti. Per aumentare il numero dei loro beni ecclesiastici, così come per ottenere preferenze politiche o altri vantaggi, stanno spingendo la società verso un abisso di odio e inimicizia. Questa posizione non può essere chiamata patriottica. Mina chiaramente i fondamenti della vita e dello sviluppo del nostro paese.

Pensa che la società ucraina sia ora divisa anche dall'intolleranza per motivi religiosi?

Questo è un problema. Le linee di frattura ora dividono anche le famiglie. Le faccio un esempio concreto. Recentemente, nel villaggio di Katerinovka nella regione di Ternopil, il "Settore Destro" e la polizia hanno picchiato fedeli disarmati della COU. Una delle donne ferite è stata intervistata dai media, e ha parlato di quest'incidente. Secondo le sue parole, ora non sa come vivere, ha paura, ha timore di tornare a casa. L'intervista ha provocato una forte reazione della figlia di questa donna, che ha contestato in modo aggressivo il fatto che sua madre aveva difeso la loro fede e la loro comunità dall'illegalità. Il risultato – una famiglia divisa, un legame tra madre e figlia strappato da un sequestro di una nostra chiesa. E ci sono molti di questi esempi. A causa delle avventure dei politici, dell'irresponsabilità di alcuni media, del desiderio di trarre profitto dalle proprietà altrui, ci sono gravi drammi familiari, e i fratelli, gli amici, i parenti diventano di ieri acerrimi nemici. Tutto questo è una bomba a orologeria per la stabilità della nostra società e del nostro stato.

Ha delle statistiche sulle chiese catturate fino a oggi? Continua un processo di sequestri? Quali sono le previsioni?

Fino ad oggi, alla COU sono state sequestrate più di 30 chiese. Le zone più problematiche sono Ternopil e Rivne. I sequestri avvengono direttamente o con la forza, con sostegno di radicali di "Settore Destro" e organizzazioni simili, o con svolgimento di "referendum" illegali. La loro essenza è semplice – votare per il passaggio del tempio dalla COU al patriarcato di Kiev, ma non tra i membri della comunità, bensì tra tutti gli abitanti del villaggio in cui si trova il tempio. Di conseguenza, votano atei, credenti di altre religioni o persone che si fanno vedere in una chiesa ortodossa, nella migliore delle ipotesi, una o due volte l'anno. Ci sono state occasioni in cui hanno fermato la gente per strada e hanno chiesto loro di mettere una firma nei posti giusti. O in cui hanno formato neonati che vivono nelle rispettive località. Vi è una flagrante violazione della legge. Siamo in attesa delle elezioni, ed è possibile che alcune forze politiche cercheranno di aumentare il loro rating con la partecipazione ai processi di sequestro dei nostri templi. Non possono mostrare al loro elettorato la prova dei propri successi in altri settori, quali l'economia. E per nascondere il loro tasso di fallimento si gettano nello pseudo-patriottismo e nella "lotta contro la quinta colonna". Alla luce di questo sembra molto rivelatore il recente sequestro della chiesa della COU nella città di Konstantinovka nella regione di Donetsk. Nella chiesa a noi sequestrata il patriarcato di Kiev ha celebrato un "servizio", a cui hanno partecipato solo i militari a guardia del posto. Nessun credente residente a Konstantinovka era nella chiesa. Tuttavia, anche questo non è importante. Il patriarcato di Kiev ha abbandonato le proprie chiese sul territorio non controllato dell'Ucraina. E invece di pensare a come prendersi cura del loro gregge abbandonato al proprio destino, preferiscono occuparsi di scorrerie e cercare parrocchiani stranieri per la strada.

 

Intervista del Centro per l'Informazione della Chiesa Ortodossa Ucraina

RIA Novosti Ucraina - Traduzione di Padre Ambrogio per CISNU- civg.it



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Ucraina: "Dio non ascolta chi prega in russo"

di FP, 2 Dicembre 2015

L'agenzia UINP (Portale Indipendente Ucraino di Notizie) riportava il 27 novembre scorso un fatto quantomeno curioso, ma perfettamente inquadrato nell'odierna “democrazia” Poro-Jatsenukiana. Il Metropolita della diocesi Lutskaja e Volynskaja (quella Volynija che, negli anni della guerra, fu teatro dei più feroci massacri perpetrati dai filonazisti ucraini ai danni di polacchi e ebrei) della chiesa ortodossa ucraina del patriarcato di Kiev, Mikhail Zinkevič, rivolto ai fedeli ha detto: ”Voi oggi vi trovate nella vostra cattedrale e dovete pregare nella vostra lingua ucraina e non nella lingua dell'occupante. Chi prega in un'altra lingua … che non si inganni. Perché dio ascolta noi e mai loro”. Zinkevič avrebbe anche accusato coloro che frequentano le parrocchie della chiesa ortodossa ucraina del patriarcato di Mosca, di finanziare con ciò stesso la guerra civile nel Donbass: “Chi sostiene quelle chiese, chi fa delle offerte, chi compra le candele, porta soldi agli uccisori dei vostri figli. Ogni candela acquistata nelle chiese del patriarcato di Mosca, è una pallottola per uccidere i vostri figli”. 
Terminando l'omelia, scrive UINP, il metropolita avrebbe minacciato di morte coloro che simpatizzano per la Russia.
La sortita del metropolita Zinkevič fa il paio con la supplica rivolta da Petro Porošenko a papa Bergoglio per la beatificazione del capo della chiesa greco-cattolica ucraina, Andrej Šeptitskij, schierato coi nazisti tedeschi e i filonazisti ucraini durante la seconda guerra mondiale. Non a caso, pare che proprio dal 1941, con l'occupazione nazista dell'Ucraina, dati la separazione del patriarcato di Kiev da quello di Mosca e la nascita della cosiddetta chiesa ortodossa autocefala ucraina, con le conseguenti persecuzioni, uccisioni e terrorismo contro i seguaci moscoviti da parte dei nazionalisti e filonazisti ucraini e la susseguente fuga, nel 1943 e 1944 dei vescovi autocefali a fianco dei nazisti in ritirata.