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CONTRORIVOLUZIONI. Le strategie eversive del neocolonialismo - Neo-colonialist subversion strategies
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BOOK: Marlene Spoerri, ENGINEERING REVOLUTION. The Paradox of Democracy Promotion in Serbia
University of Pennsylvania Press, 2014
256 pages | 6 x 9 | 6 illus. | ISBN 978-0-8122-4645-2
Marlene Spoerri is United Nations Officer at Independent Diplomat in New York City.
[Il libro candidamente descrive come Otpor e l’opposizione a Milosevic abbiano ricevuto finanziamenti, addestramento e apparati tecnologici dagli apparati dei paesi NATO]

À lire aussi, sur la situation libanaise:
LE MOUVEMENT POPULAIRE LIBANAIS ET LES BASES DE L’ÉTAT LAÏC (Marie Nassif-Debs, 12 octobre 2015)
Pour le second mois consécutif, le mouvement de revendication populaire poursuit son avance, passant à travers tous les obstacles que l’oligarchie financière libanaise –représentée par les pouvoirs politiques- tente de mettre sur sa route, à commencer par les campagnes de désinformation contre certaines de ses composantes, la répression, les arrestations arbitraires et, surtout, les menaces proférées contre les fonctionnaires qui ont rejoint ses rangs...
http://www.michelcollon.info/Le-mouvement-populaire-libanais-et.html?lang=fr

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La version originale en Français :
LIBAN 2005-2015 : D’UNE « RÉVOLUTION » COLORÉE À L’AUTRE (Ahmed Bensaada, 8 octobre 2015)
En 2011, en pleine effervescence sur la place Tahrir, on questionna Srdja Popovic sur les activités de formations révolutionnaires du centre CANVAS (Center for Applied Non Violent Action and Strategies) qu’il dirige à Belgrade. Il s’empressa de répondre, non sans une petite pointe de fierté : « Nous travaillons avec 37 pays. Après la révolution serbe, nous avons eu cinq succès : en Géorgie, en Ukraine, au Liban et aux Maldives »...
http://www.ahmedbensaada.com/index.php?option=com_content&view=article&id=323:liban-2005-2015-dune-l-revolution-r-coloree-a-une-autre&catid=46:qprintemps-arabeq&Itemid=119
oppure http://www.michelcollon.info/Liban-2005-2015-d-une-revolution.html?lang=fr
oppure http://fr.calameo.com/read/000366846977c5c2f325b
oppure http://fr.calameo.com/read/0003668465dbea75bc603


Libano 2005-2015: da una “rivoluzione colorata” a un’altra

La Rivoluzione della Monnezza

di Ahmed Bensaada
 
 
Nel 2011, mentre piazza Tahrir era in piena effervescenza, Srdja Popovic venne interpellato sulle attività di formazione rivoluzionaria del centro CANVAS (Center for Applied Non Violent Action and Strategies) che egli dirige a Belgrado. Si affrettò a rispondere, non senza una piccola punta di orgoglio: “Noi lavoriamo con 37 paesi. Dopo la rivoluzione serba, abbiamo ottenuto cinque successi: in Georgia, in Ucraina, in Libano e alle Maldive”. Nella fretta dimenticò di menzionare il quinto paese, il Kirghizistan. Aggiunse però: “E adesso l’Egitto, la Tunisia, e la lista si va allungando. Non abbiamo alcuna idea del numero dei paesi in cui è stato utilizzato il pugno di Otpor, forse una dozzina…” (1) Si tratta di una dichiarazione significativa, dimostra l’evidente relazione esistente tra le rivoluzioni colorate dei diversi movimenti di contestazione che hanno toccato il Medio Oriente, fino alla cosiddetta “primavera” araba.

[Documentario: The Revolution Business (La dichiarazione di Srdja Popovic è a 4:20): https://www.youtube.com/watch?v=lpXbA6yZY-8 ]

Le rivoluzioni colorate
 
Queste rivoluzioni, che devono la loro denominazione ai nomi con i quali esse sono state battezzate (rosa, arancione, tulipano, ecc) sono rivolte che hanno sovvertito certi paesi dell’est o ex Repubbliche sovietiche agli inizi del 21° secolo. E’ il caso della Serbia (2000), della Georgia (2003), dell’Ucraina (2004) e del Kirghizistan (2005).
 
Diversi i movimenti che le hanno guidate: “Otpor” (Resistenza) in Serbia, “Kmara” (E’ abbastanza!) in Georgia, “Pora” (E’ l’ora!) in Ucraina e “Kelkel” (Rinascita) in Kirghizistan. Il primo tra tutti, Otpor, è quello che ha provocato la caduta del regime serbo di Slobodan Milosevic. Dopo questo successo, Popovic (uno dei fondatori di Otpor) ha creato CANVAS, con l’aiuto di attivisti del movimento serbo. Come ha ammesso lo stesso Popovic, il Centro ha aiutato, consigliato e formato tutti gli altri movimenti successivi. CANVAS ha formato dissidenti in erba in tutto il mondo, soprattutto nel mondo arabo, alla pratica della resistenza individuale non violenta, ideologia teorizzata dal filosofo e politologo statunitense Gene Sharp, il cui saggio “From Dictatorship to Democracy” (Dalla Dittatura alla Democrazia) è stato il supporto ideologico di tutte le rivoluzioni colorate e della “primavera” araba (2)

[Logo di CANVAS: http://www.ossin.org/images/stories/varie2/spazzatura2.jpg ]
 
Sia CANVAS che i vari movimenti dissidenti dei paesi dell’est o delle ex Repubbliche sovietiche hanno beneficiato dell’aiuto di numerose organizzazioni statunitensi di “esportazione” della democrazia, come l’USAID (United States Agency for International Development), la NED (National Endowment for Democracy), l’IRI (International Republican Institute), il NDI (National Democratic Institute for International Affairs), Freedom House e l’OSI (Open Society Institute). Queste organizzazioni vengono finanziate dal bilancio USA o da capitali privati statunitensi, Per esempio, la NED riceve stanziamenti votati dal Congresso e i fondi vengono gestiti da un Consiglio di amministrazione nel quale sono rappresentati il Partito Repubblicano, il Partito Democratico, la Camera di Commercio degli Stati Uniti e il sindacato USA American Federation of Labour-Congress of Industrial Organization (AFL-CIO), mentre l’OSI è legata alla Fondazione Soros, dal nome del fondatore, George Soros, il miliardario statunitense, illustre speculatore finanziario (3).
 
E’ dimostrato che queste stesse organizzazioni hanno aiutato, formato e messo in rete i cyber-dissidenti arabi, protagonisti della famosa “primavera” che ha sovvertito i loro paesi (4). Si rilevano peraltro le “impronte” di queste organizzazioni negli avvenimenti di Teheran (Rivoluzione verde, 2009) (5), dell’Euromaidan (Ucraina, 2013-2014) (6) e, più recentemente, a Hong Kong (Rivoluzione degli ombrelli, 2014) (7).
 
La rivoluzione del Cedro
 
Secondo qualcuno, il più grande successo di CANVAS nella regione MENA (Middle East and North Africa) è stato certamente il Libano (Rivoluzione del Cedro, 2005) e il fallimento peggiore l’Iran (8). Ciò che spiega perché Popovic abbia fieramente menzionato il Libano come un trofeo del suo carniere “rivoluzionario” e non abbia fiatato sull’Iran.
 
La Rivoluzione del Cedro è stata un preludio della “primavera” araba, e dunque il primo paese arabo a conoscere questa “stagione” è stato il Libano. Si trattò di una serie di manifestazioni ammirevolmente bene organizzate che, agli inizi del 2005, chiedevano – tra l’altro – il ritiro delle truppe siriane dopo l’assassinio, il 14 febbraio 2014, del Primo Ministro libanese dell’epoca, Rafiq Hariri.
 
Eppure Shamine Nawani spiega, in un circostanziato articolo sul tema, che questa “rivoluzione” era stata già pianificata, quasi un anno prima della morte di Hariri. La cellula decisionale comprendeva un nocciolo duro di attivisti formato da tre amici: Eli Khoury, un esperto di comunicazione e marketing che lavora per Quantum e Saatchi & Saatchi, Samir Kassir, un saggista che dirige il Movimento della sinistra democratica (MGD), fondato nel settembre 2004 e il giornalista Samir Frangieh (9).
 
Insieme ad essi, i nomi di altri attivisti che hanno svolto un ruolo importante: Nora Joumblatt (moglie del leader druso, Walid Joumblatt), Asma Andraous (del gruppo 05AMAM, fondato dopo il 14 febbraio 2005), Gebran Tueni (all’epoca direttore del giornale An-Nahar) e Michel Elefteriades (musicista, produttore e uomo d’affari greco-libanese).

[Ely Khoury, Samir Kassir, Samis Frangieh, Nora Joumblatt, Asma Andraous e Michel Elefteriades: http://www.ossin.org/images/stories/varie2/spazzatura3.png ]
 
Gli stretti rapporti tra gli attivisti della Rivoluzione del Cedro e le organizzazioni statunitensi di promozione della democrazia sono stati spesso evocati.
 
Infatti il New York Post ha scritto (nel 2005) che, secondo fonti dei servizi di informazione USA, la CIA e altri organismi di intelligence europea hanno fornito denaro e sostegno logistico agli organizzatori delle manifestazioni anti-siriane per potenziare la pressione sul presidente siriano Bachar el-Assad e costringerlo a lasciare completamente il Libano. Secondo tali fonti, questo programma segreto era simile a quello messo in campo precedentemente dalla CIA per sostenere i movimenti “pro-democrazia” in Georgia e in Ucraina e che avevano anch’essi realizzato delle impressionanti manifestazioni pacifiche (10). 
 
Alcuni attivisti, come Bassem Chit (morto nel 2014), hanno ammesso di essere stati contattati da Freedom House nell’ambito dei suoi progetti di “finanziamento di movimenti giovanili per contribuire al processo di democratizzazione”. Secondo Bassem Chit, Jeffrey Feltman, all’epoca ambasciatore USA, ha invitato molti dirigenti del movimento anti-siriano a pranzo, e ciò proprio durante la rivoluzione del Cedro. Afferma anche che l’ambasciata statunitense ha direttamente fomentato le manifestazioni anti-siriane (11).
 
Sharmine Narwani precisa, nell’articolo citato in precedenza, che Gebran Tueni era in contatto con Frances Abouzeid, direttrice di Freedom House ad Ammam (Giordania). E’ su suo consiglio che Tueni ha invitato i formatori di CANVAS a Beirut. E’ importante sottolineare che Freedom House è il più importante finanziatore del centro di formazione serbo.
 
I serbi di CANVAS hanno formato gli attivisti libanesi nei locali del giornale An-Nahar. Ivan Marovic, cofondatore di CANVAS, ha personalmente tenuto dei corsi di formazione alla resistenza non violenta.
 
Michel Elefteriades ha incontrato Marovic e i suoi colleghi ben prima del 14 marzo 2005: “Gebran Tueni mi telefonò per dirmi che doveva dare una mano a un gruppo di Serbi che venivano ad aiutarci. Questi avevano un’aria iper-professionale rispetto a quanto intendevano fare. Io vedevo la loro mano in tutto quello che succedeva. Erano degli specialisti delle rivoluzioni colorate”. E ha aggiunto: “Poi hanno cominciato a dirci che cosa bisognava fare e cosa no. Io li ho accompagnati a degli incontri con dei giornalisti – solo di media internazionali – coi quali si sono coordinati. Si conoscevano tutti molto bene (…). Ci hanno fornito una lista di slogan che dovevano essere trasmessi dalle televisioni occidentali. Ci hanno detto, a noi e ai giornalisti occidentali, dove collocare i nostri striscioni, quando sollevarli, e perfino quali dimensioni dovevano avere. Per esempio, chiedevano ai giornalisti di avvertirli delle fasce orarie in cui sarebbero passati, poi ci dicevano di regolare gli orologi e di brandire i cartelloni esattamente alle 15.05, l’ora nella quale i canali televisivi trasmettevano in diretta da Beirut. Era una sceneggiata assoluta” (12).

[Ivan Marovic (Otpor): http://www.ossin.org/images/stories/varie2/spazzatura4.jpg ]
 
Da parte sua, Asma Andraous afferma che “tutte le organizzazioni statunitensi per la democrazia stavano là. Hanno insegnato ai giovani come fare attività di mobilitazione, cosa fare coi militanti fermati, erano tutti molto entusiasti” (13).
 
Qualche attivista ha dichiarato di essersi tenuto alla larga o di avere mantenuto le distanze dalle organizzazioni statunitensi o filo-statunitensi di promozione della democrazia. E’ il caso di Michel Elefteriades, che si sarebbe rifiutato di continuare a collaborare coi formatori di CANVAS, o di Bassem Chit, che avrebbe declinato le generose offerte di Freedom House. Altri hanno tentato di minimizzare il ruolo svolto da queste organizzazioni o sostenuto che esse erano entrate in campo solo in un momento successivo (14).
 
Tuttavia il modus operandi della rivoluzione del Cedro segue minuziosamente il protocollo delle rivoluzioni colorate organizzate da CANVAS. Tra i 199 metodi di azione non violenta elencati nel manuale di CANVAS (distribuito gratuitamente attraverso internet) citiamo a titolo di esempio la numero 33: “La fraternizzazione col nemico”, che si realizza sul campo attraverso l’offerta di fiori alle forze dell’ordine (in generale da parte di giovani e belle ragazze) (15). Tale azione si è riscontrata in tutte le rivoluzioni colorate, nei paesi arabi “primaverizzati” come nelle piazze di Hong Kong, durante la rivoluzione “degli ombrelli” (16).

[Una ragazza offre fiori alle forze dell'ordine libanesi (febbraio 2005): http://www.ossin.org/images/stories/varie2/spazzatura5.jpg
Fiori offerti alle forze dell'ordine, secondo il metodo di azione non violento n. 33 di CANVAS: http://www.ossin.org/images/stories/varie2/spazzatura6.png ]
 
D’altronde Aleksandar Maric, l’ex attivista di Otpor e formatore di CANVAS, non ha forse dichiarato che la sua organizzazione aveva stabilito contatti con i dissidenti libanesi, prima della rivoluzione del Cedro (17)? Questa precisazione ha il merito di confermare quanto riferito da Sharmine Narwani a proposito della pianificazione della “rivoluzione” ben prima dell’assassinio di Hariri.
 
Tutti inoltre hanno modo di vedere che il “Movimento del 14 marzo”, coalizione delle forze che si opponevano alla Siria creata dopo l’uccisione del Primo Ministro libanese, ha scelto come logo il pugno di Otpor, leggermente modificato con l’aggiunta di un ramo verde.
 
Ricordiamo che il pugno di Otpor è stato ampiamente utilizzato in diverse rivoluzione colorate e nelle manifestazioni che hanno contrassegnato la “primavera” araba (18).

[Logo del "Movimento del 14 marzo" libanese: http://www.ossin.org/images/stories/varie2/spazzatura7.jpg 
Qualche esempio di uso del pugno chiuso di Otpor: Serbia (Otpor), Egitto (Movimento del 6 aprile), Georgia (Kmara): http://www.ossin.org/images/stories/varie2/spazzatura8.jpg ]
  
Una curiosità riguarda il fatto che il nome “rivoluzione del Cedro” non è quello usato all’inizio dagli attivisti libanesi. Questi avevano scelto invece nomi come “intifada dell’indipendenza”, “intifada del Cedro”, “primavera del Libano” o “primavera del Cedro”.
 
Michel Elefteriades racconta che la parola “intifada”, che allude alle rivolte palestinesi, non piaceva agli specialisti di CANVAS: “Fin dal primo giorno, mi hanno detto che non dovevamo chiamare il nostro movimento ‘intifada del Cedro’, perché in Occidente la parola ‘intifada’ non gode di molta simpatia. Dicevano che l’opinione pubblica araba non è importante, che quella che conta è l’opinione pubblica occidentale. Allora hanno detto ai giornalisti di non usare la parola intifada” (19).
 
Infatti l’espressione “rivoluzione del Cedro” era più gradita alle orecchie dell’amministrazione Bush. Secondo il giornalista Jefferson Morley del Washington Post, il nome è stato inventato da Paula J. Dobriansky, la sotto segretaria di Stato alla democrazia e agli affari internazionali (2001-2009) durante le amministrazioni di Bush figlio. Esaltando la politica estera del presidente Bush, nel corso di una conferenza stampa tenuta il 28 febbraio 2005, ha dichiarato: “In Libano vediamo affermarsi una Rivoluzione del Cedro che unisce i cittadini di questa nazione nell’obiettivo di realizzare la vera democrazia e di liberarsi dall’influenza straniera.  Segni di speranza si manifestano in tutto il mondo e non dovrebbe esservi dubbio che i prossimi anni saranno importanti per la causa della libertà” (20).   
   
Tale identità di vedute tra CANVAS e l’amministrazione USA dimostra (una volta di più) una evidente concertazione, tenuto anche conto che il centro di formazione serba è prevalentemente finanziato da organizzazioni statunitensi di “esportazione” della democrazia, soprattutto Freedom House, IRI e OSI (21).
 
Occorre ricordare che Paula J. Dobriansky è non solo componete del CA di Freedom House, ma anche titolare della cattedra di Sicurezza Nazionale all’US Naval Academy. E’ anche socio fondatore del think tank neoconservatore “Project for the New American Century” (PNAC) che ebbe una notevole influenza sull’amministrazione di Bush figlio. Il suo nome compare tra i 75 firmatari di una lettera inviata nell’agosto 2013 al presidente Obama, che raccomandava al presidente di attaccare la Siria di “Bachar”, invitandolo a “rispondere in maniera decisiva e ad imporre misure che avessero delle conseguenze significative sul regime di Assad” (22).
 
Si ritrova il nome di Eli Khouri nella lista degli invitati ad una conferenza internazionale su “Democrazia e sicurezza”, tenuta a Praga (Repubblica Ceca) dal 5 al 6 giugno 2007. Un incontro che ha visto insieme molte celebrità nel campo della dissidenza, dello spionaggio, della politica e dell’accademia. Citiamo a caso l’ex presidente ceco Vaclav Havel, l’ex Primo Ministro spagnolo José Maria Aznar, il senatore USA Joseph Lieberman, l’ex direttore di Freedom House, Peter Ackerman, l’ispiratrice della rivoluzione arancione ed ex primo ministro ucraino Yulia Tymoshenko o il neocon Joshua Muravchik, anch’egli membro del PNAC (23). Nel corso della conferenza, Khoury ha avuto anche occasione di intrattenersi con l’attivista egiziano Saad Eddin Ibrahim, col dissidente sovietico (attualmente israeliano), anticomunista e sionista, Natan Sharansky e con l’oppositore russo Garri Kasparov.


Saad Eddin Ibrahim è il fondatore del “Ibn Khaldoun Center for Development Studies”, una ONG molto generosamente sovvenzionata dalla NED. Premiato da Freedom House, questo ex professore dell’università statunitense del Cairo è stato già membro del consiglio consultivo del “Project on Middle East Democracy” (POMED), una organizzazione USA che lavora di concerto con Freedom House e che è finanziariamente sostenuta dalla NED (24).
 
Ma quel che colpisce in questa lista, è il gran numero di partecipanti di primo piano provenienti da Israele; tra essi, l’ambasciatore israeliano nella Repubblica Ceca, Arie Arazi, e il suo omologo ceco, Michael Zantovsky, il responsabile economico dell’ambasciata israeliana negli Stati Uniti, Ron Dermer, oltre a molti universitari israeliani.
 
E tuttavia il clou della conferenza si è avuto, indubbiamente, con la presenza del presidente G.W.Bush, che ha approfittato dell’occasione per fare un discorso sulla libertà, la democrazia e l’attivismo politico (25).

[Discorso del presidente G.W.Bush (Czernin Palace, Praga, 5 giugno 2007): https://www.youtube.com/watch?v=waRMxPy7fxY ]

La conferenza venne organizzata dalla “Prague Security Studies Institute” (PSSI) e lo “Adelson Institute for Strategic Studies” (25).
 
Finanziato, tra gli altri, dall’OSI, il PSSI conta tra i suoi consiglieri anche James Woolsey, ex direttore della CIA (ed ex presidente del CA di Freedom House), e Madeleine Albright, la 64° segretaria di Stato USA e, a tempo perso, presidente del CA di NDI (27).
 
Lo “Adelson Institute for Strategic Studies” è un istituto di ricerca creato con un generoso dono di “Adelson Family Foundation” (Miriam and Sheldon G. Adelson). Ha come finalità ”la valutazione delle sfide mondiali cui devono fare fronte Israele e l’Occidente” e lo studio delle questioni legate al progresso della democrazia e della libertà in Medio Oriente (28). Ricordiamo che Sheldon G. Adelson è un miliardario statunitense di origine ebrea e ucraina (come Natan Sharansky). Considerato uno dei più grandi mecenati dello Stato di Israele, egli finanzia, a colpi di milioni di dollari, viaggi di ebrei in Israele, con l’obiettivo di rafforzare i legami tra Israele e la diaspora (29). Infatti la principale mission della sua fondazione è quella di “rafforzare lo Stato di Israele e il popolo ebraico” (30). Secondo il giornalista Nathan Guttman, l’ideologia di Sheldon G. Andelson è un insieme di sostegno al Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, di simpatia per il movimento dei coloni e di ostilità verso l’Autorità Palestinese” (31).

[Il miliardario sionista Sheldon G. Adelson e il suo "grande" amico Benjamin Netanyahu (Gerusalemme, 12 agosto 2007): http://www.ossin.org/images/stories/varie2/spazzatura10.jpg ]

Come può essere accaduto che Eli Khouri si sia trovato in una conferenza così prestigiosa, cui erano presenti presidenti, primi ministri, ambasciatori, falchi neocon, illustri dissidenti e un gruppo esclusivo di dirigenti israeliani? Sarà stato un ringraziamento per il ruolo proattivo da lui svolto nella rivoluzione del Cedro?
 
Di fatto Eli Khouri non è uno sconosciuto per l’amministrazione statunitense. Il cablo Wikileaks “06Beirut1544_a” ci rivela che circa un anno prima di questa conferenza egli fu tra gli invitati ad un pranzo offerto dall’ambasciatore statunitense in occasione della visita di Kristen Silverberg, segretario di Stato aggiunto alle organizzazioni internazionali. Jeffrey Feitman indica Khouri come direttore generale di Saatchi & Saatchi (una compagnia pubblicitaria) e lo descrive come uno “stratega della pubblicità e un esperto creativo” che ha contribuito al “branding” della rivoluzione del Cedro (32). In realtà il ruolo di questa compagnia è stato tanto importante che qualcuno non esita a definire la rivoluzione del Cedro come la “rivoluzione Saatchi” (33) o anche, tenuto conto del ruolo avuto anche dalle organizzazioni statunitensi, di “rivoluzione patrocinata da USAID e da Saatchi & Saatchi” (34).
 
E non è tutto. Eli Khoury è cofondatore di “Lebanon Renaissance Foundation” (LRF), una ONG fondata nel 2007 a Washington, che si definisce “una organizzazione educativa indipendente, non governativa e non settaria, i cui fondatori sono stati coinvolti in ragione delle rispettive attività professionali nella promozione della pratica della non violenza e dell’attivismo democratico” (35). Si ritrovano in questa descrizione le espressioni care ai “profeti” delle rivoluzione colorate, Srdja Popovic e Gene Sharp.
 
Questa fondazione è una “organizzazione che riceve una parte sostanziale di mezzi da un governo (USA) o dal grande pubblico” (36). Dopo avere ricevuto sostanzialmente fondi governativi statunitensi, finanzia a sua volta diversi programmi o organizzazioni con sede in Libano. Citiamo a titolo di esempio il “Sustainable Democracy Center”, una ONG libanese che è finanziata anche da USAID e NED (2003 e 2005) (37) o l’ ONG MARCH che anch’essa riceve, direttamente o indirettamente, sovvenzioni provenienti da diverse organizzazioni statunitensi per la democrazia (NED, USAID, ecc). Maggiori dettagli saranno dati su queste due ONG libanesi nella sezione seguente.
 
Secondo quanto risulta dalla sua dichiarazione dei redditi 2013 (38), LRF ha finanziato il “Lebanese Advocacy and Legal Advice Center” (LALAC), una organizzazione di lotta contro la corruzione che riceve fondi anche dal “Center for International Private Enterprise” (CIPE) (39), uno dei quattro satelliti della NED (40). Bisogna sapere che il centro LALAC è una iniziativa del “Lebanese Transparency Association” (LTA), una ONG libanese fondata nel 1999 e che è sovvenzionata dal CIPE, dal NDI, dal MEPI e dall’OSI (41). Il MEPI (Middle East Partnership Initiative) è un programma che dipende direttamente dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti attraverso l’Ufficio per gli Affari del Medio Oriente (42).
 
Infine è importante ricordare che Samir Kassir e Gebran Tueni non hanno sfortunatamente avuto la possibilità di partecipare al pranzo offerto dall’ambasciatore Feltman, né alla conferenza internazionale su “Democrazia e Sicurezza”: sono stati assassinati, rispettivamente, il 2 giugno 2005 e il 12 dicembre 2005.

Beirut e la “Lega araba del Net”
 
Come nel caso dell’Ucraina dopo la rivoluzione arancione (43), le organizzazioni statunitensi di “esportazione” della democrazia non hanno lasciato il Libano dopo la rivoluzione del Cedro, al contrario. I rapporti della NED dimostrano che, tra il 2005 e il 2014, questa organizzazione ha distribuito più di 7 milioni di dollari alle ONG libanesi. Tra il 2005 e il 2012, solo la NDI ha ricevuto più di 2 milioni di dollari per finanziare le proprie attività in Libano.
 
La formazione e la messa in rete dei cyber-attivisti arabi ha portato alla creazione di quello che il giornalista francese Pierre Boisselet ha definito la “Lega araba del net” (44). Molte riunioni tra gli attivisti-blogger arabi sono state organizzate prima e dopo la “primavera araba”. I due primi “Arab Bloggers Meeting” si sono tenuti a Beirut. Il primo (dal 22 al 24 agosto 2008) ha riunito 29 blogger provenienti da 9 paesi arabi (Libano, Egitto, Tunisia, Marocco, Arabia Saudita, Bahrein, Palestina, Iraq e Siria (45). Nel secondo meeting, che si è svolto dall’8 al 12 dicembre 2009, il numero dei cyber-attivisti arabi ha superato 60 (46). Si sono incontrate le vedette arabe del net; i tunisini Sami Ben Gharbia, Slim Ammamou e Lina Ben Mhenni, gli egiziani Alaa Abdelfattah e Wael Abbas, il mauritano Nasser Weddady, il bariano Ali Abdulemam, il marocchino Hisham AlMiraat (alias Khribchi), il sudanese Amir Ahamad Nasr, la siriana Eazan Ghazzaoui, ecc (47)

[Slim Amamou e Lina Ben Mhenni (3° Arab Bloggers Meeting, Tunisi 2011): http://www.ossin.org/images/stories/varie2/spazzatura11.jpg
Razan Ghazzaoui, Alaa Abdelfattah e Ali Abduleman (Budapest 2008): http://www.ossin.org/images/stories/varie2/spazzatura12.jpg
Per quanto i due meeting fossero stati organizzati dallo “Heinrich Boll Stiftung” (48), l’OSI di Soros ha co-finanziato il secondo (49). Da notare l’interessante partecipazione agli atelier di formazione, nella seconda edizione, del “noto” Jacob Appelbaum (2009), che ha trattato i temi dell’elusione, della sicurezza e dell’anonimato on line (50). Per i non esperti, Jacob Appelbaum è un “hacktivist” che rappresenta l’immagine pubblica dell’impresa statunitense che sviluppa TOR, un software che permette la navigazione anonima in internet e, in questo modo, aiuta ad eludere la sorveglianza e la censura degli Stati. Appelbaum viaggia per tutto l’anno per incontrare cyber-dissidenti di tutto il mondo ed insegnare loro come utilizzare gratuitamente il prodotto TOR. Per avere un’idea dell’utilizzazione del programma TOR, occorre sapere che è stato scaricato più di 36 milioni di volte solo nel 2010 (51).

[Jacob Appelbaum (3° Arab Bloggers Meeting, Tunisi 2011): http://www.ossin.org/images/stories/varie2/spazzatura14.jpg ]

La rivoluzione della “spazzatura”
 
La serie di manifestazioni che si sono svolte in Libano durante l’estate 2015 è stata chiamata da qualcuno “crisi dei rifiuti”, rivoluzione della “monnezza” o della “spazzatura” da altri. E’ nata a causa di un problema nella raccolta e nella gestione della spazzatura, ma le rivendicazioni dei manifestanti si sono rapidamente allargate e hanno preso di mira il governo, denunciando la corruzione e l’inerzia dello Stato.

[Manifestanti del Movimento "Voi puzzate!" preparano cartelloni (Beirut, 29 agosto 2015): http://www.ossin.org/images/stories/varie2/spazzatura15.jpg
Da notare che Ghandi è stato anche il "mentore" degli attivisti di Otpor e ispiratore di Gene Sharp. ]

Il collettivo civico creato nel corso delle manifestazioni ha preso il nome di “Voi puzzate!” (Tal3at Rihatkom, in arabo). Nome breve e che colpisce, ricorda perfettamente il protocollo raccomandato da CANVAS. Si iscrive nella stessa linea di “Otpor” serba (Resistenza), ”Kmara” georgiana (E’ abbastanza!) o “Pora” ucraina (E’ ora!).
 
Tra i leader più mediatizzati di questo movimento di contestazione, ricordiamo Imad Bazzi, Marwan Maalouf, Assaad Thebian e Lucien Bourijeilly.


Imad Bazzi è un cyber-attivista libanese molto noto nella blogsfera araba. Secondo il ricercatore Nicolas Dot-Pouillard, Bozzi è legato agli attivisti di Otpor e fu un fervente partigiano del ritiro siriano nel 2005 (52). Appartenendo anche lui alla “Lega araba del net”, riconosce di avere lavorato a stretto contatto coi cyber-dissidenti siriani. “E’ normale che qualcuno in Siria voglia aiutare qualcuno in Egitto, e che qualcuno in Tunisia voglia aiutare qualcun altro in Yemen”, ha dichiarato. “Noi abbiamo gli stessi problemi, tutti soffriamo per la corruzione, per l’assenza di regole certe, per l’assenza di democrazia” (53).
 
Bazzi ha preso parte a diverse conferenze sul cyber-attivismo. Nel corso di una di queste, ha conosciuto i cyber-attivisti egiziani del “Movimento del 6 aprile” che hanno giocato un ruolo innegabile nella caduta del presidente Mubarak (Bassem Samir, Israa Abdel Fattah…) e le cui attività sono state finanziate da diverse organizzazioni statunitensi di promozione della democrazia (54). Questa conferenza era co-sponsorizzata da Google e Freedom House (55).
 
Nel 2011, l’università statunitense di Beirut ha organizzato la 16° conferenza annuale dell’ “Arab-US Association of Communication Educators” (AUSACE) (56). In questa iniziativa finanziata dall’OSI di Soros, Imad Bazzi era abbinato a Sami Ben Gharbia nel medesimo gruppo. Ricordiamo che Sami Ben Gharbia, co-fondatore del sito Nawaat, è un cyber-attivista tunisino di primo piano, molto impegnato nella “primaverizzazione” della Tunisia” (57).
 
Ricordiamo che Imad Bazzi è anche stato “program fellow” di Freedom House (58) e direttore del progetto “Sustainable Democracy Center”, precedentemente citato (59).
 
Il 5 settembre 2011, solo qualche mese dopo la caduta di Mubarak, Bazzi venne arrestato dalla polizia egiziana all’aeroporto del Cairo. Ha dichiarato alla fondazione “Maharat” (una ONG libanese finanziata dalla NED che milita per i diritti dei giornalisti)(60) che si stava recando in Egitto in quanto aveva ricevuto un incarico di consulenza da parte di una istituzione. E’ stato trattenuto per più di dieci ore, ed è stato interrogato sui rapporti con i cyber attivisti egiziani come Wael Abbas, In seguito è stato espulso e rispedito a Beirut (61).
 
Per concludere il ritratto, segnaliamo che Bazzi è membro del forum “Fikra”, un forum creato dalla lobbie filo-israeliana. Tra i partecipanti si ritrovano parecchi cyber attivisti arabi, come Bassem Samir, Israa Abdel Fattah o Saad Eddin Ibrahim nonché i dissidenti siriani Radwan Ziadeh e Ausama Monajed (ex componente del Consiglio nazionale siriano – CNS). E’ inutile dire che tutti questi “interventori” sono finanziati dalle organizzazioni statunitensi di “esportazione” della democrazia (62). Vi sono anche dei falchi neocon come Joshua Muravchik (ex collega di Paula J. Dobriansky) e anche il dr. Josef Olmert, fratello dell’ex primo ministro israeliano Ehud Olmert (63).

[1- Bassem Samir; 2- Sherif Mansour (Freedom House); 3- Saad Eddin Ibrahim; 4- Dalia Ziada (cyber-attivista egiziana, membro di Fikra); 5- Israa Abdel Fattah: http://www.ossin.org/images/stories/varie2/spazzatura17.jpg ]

Marwan Maalouf è una delle figure principali del movimento “Voi puzzate!”. Secondo diversi osservatori egli avrebbe anche partecipato, nel 2005, alle manifestazioni della rivoluzione del Cedro, come militante del movimento studentesco (64). In seguito la sua evoluzione è stata impregnata di militanza “made in Usa”. Giudicate voi.
 
Infatti dal 2008 al 2011 è stato direttore di programmi per Freedom House a Washington, addetto alla regione MENA, e particolarmente alla Siria, Tunisia e Algeria. Si è poi trasferito in Tunisia (dal 2012 al 2013) per dirigervi “l’Institute for War and Peace Reporting” (IWPR) (65). Questa istituzione, che “sostiene i reporter locali, i giornalisti cittadini e la società civile” e contribuisce “alla pace e al buon governo rafforzando le capacità dei media e della società civile a prendere la parola” (66) viene finanziato da diverse organizzazioni come la NED, l’USAID e il Dipartimento di Stato (attraverso l’ambasciata degli Stati Uniti a Tunisi e il programma MEPI) (67).

[Marwan Maalouf, dopo essere stato disperso coi suoi seguaci, dopo avere tentato di dare l'assalto alla sede del Ministero dell'Ambiente (Beirut, 1° settembre 2015): http://www.ossin.org/images/stories/varie2/spazzatura18.jpg ]

Marwan Maalouf è cofondatore dell’istituto di ricerca “Menapolis”, specializzato nella governance e lo sviluppo nella regione MENA. Fra i suoi esperti figura il nome di Imad Bazzi e, tra i suoi clienti, si ritrovano (ovviamente) l’IWPR, Freedom Hoouse e la MEPI (68).
 
Secondo Martin Armstrong, giornalista britannico che lavora a Beirut, Assaad Thebian è il co-fondatore e il portavoce del movimento “Voi puzzate!”, oltre al principale organizzatore delle attuali manifestazioni (69).

[Assaad Thebian (Beirut, 28 agosto 2015): http://www.ossin.org/images/stories/varie2/spazzatura19.jpg ]

Il profilo “linkedin” di Assaad Thebian mostra che fa parte del gruppo (privato) degli “ex” del MEPI (capitolo del Libano) (70). Si legge, a proposito del gruppo: “MEPI, un programma del Dipartimento di Stato (USA), è attivo in tutta la regione. La rete degli ex comprende più di 128 persone che hanno partecipato a programmi della MEPI. La rete fornisce un ampio ventaglio di opportunità fornite agli ex studenti per continuare nel loro impegno per un rafforzamento della società civile libanese. MEPI si concentra su quattro ambiti distinti o ’pilastri’: la democrazia, l’educazione, l’economia e l’emancipazione delle donne. Il ramo libanese della rete degli ex comprende persone di varia provenienza che hanno comunque partecipato ad una serie di programmi nell’ambito dei quattro ambiti (…) Col lancio del ramo libanese della rete degli ex, le varie competenze che ciascuno ha acquisito possono essere utilizzate per permettere una partecipazione attiva continua in Libano” (71).
 
Il 29 gennaio 2014 l’associazione libanese degli ex del MEPI ha organizzato un evento a Beirut, in presenza dell’ambasciatore degli Stati Uniti in Libano, David Hale. Si trattava, in occasione del 10° anniversario del MEPI, di “rendere onore ai risultati eccezionali” di dieci “ex” del ramo libanese. Evidentemente Assaad Thebian faceva parte del gruppo (72). In tale veste, appoggiato il trofeo al pulpito, ha preso la parola per lanciare qualche frecciata al governo libanese, mentre il sig. Hale applaudiva (73). Un preludio della rivoluzione “ della spazzatura”?
 
Dal 2011 Thebian lavora come consulente nel campo dei media digitali e della comunicazione. Tra i suoi clienti figurano molte ONG, come la “Lebanese Association for Democracy of Elections” (LADE) e la “Civil Campaign for Electoral Reform” (CCER) (74). Una breve scorsa al sito del NDI permette di scoprire che questa organizzazione di “esportazione” della democrazia ha un partenariato di 17 anni con la LADE e lavora a stretto contatto con la CCER (75).
 
A differenza degli altri leader del movimento “Voi puzzate!”, Lucien Bourjeily è un uomo d’arte. Scrittore e regista è stato segnalato nel 2012 dalla CNN come una delle 8 personalità culturali più importanti in Libano. (76).
 
Nel 2013 sfidò il governo libanese con una pièce teatrale che criticava severamente la censura statale. La pièce intitolata « Bto2ta3 Aw Ma Bto2ta3 » (letteralmente “Tagli o non ti Tagli ?”) è stata censurata e questo le ha procurato una immensa pubblicità. Nel 2014 Bourjeily ha avuto altri problemi con le autorità libanesi per una storia di rinnovo del passaporto, incidente che ha agitato la blogsfera (77).

[Lucien Bourjeilly dopo avere ottenuto il suo passaporto libanese (23 maggio 2014): http://www.ossin.org/images/stories/varie2/spazzatura20.jpg ]

La pièce teatrale in questione è stata prodotta dalla ONG “MARCH” (citata più sopra in relazione ad Eli Khoury), la cui mission è di “educare, motivare e responsabilizzare i cittadini a riconoscere e a battersi per i loro diritti civili fondamentali, formare una società libanese aperta tollerante per favorire la diversità e l’uguaglianza e giungere ad una vera riconciliazione tra le diverse comunità”. Questa organizzazione viene finanziata congiuntamente dalla NED (78), dall’USAID, SKeyes Media e Maharat (79).
 
Il rapporto annuale 2014 della NED riferisce con chiarezza che obiettivo di MARCH è di “mettere su una produzione di « Bto2ta3 Aw Ma Bto2ta3 » e di documentare il lavoro svolto per ottenere l’approvazione di una pièce da parte della censura “(80) Missione compiuta: il divieto di rappresentazione della pièce è stato revocato il 25 settembre 2014 e la notizia è stata fortemente mediatizzata (81).
 
SKeyes è l’acronimo stilizzato di “Samir Kassir Eyes “ (Gli occhi di Samir Kassir, il leader della rivoluzione del Cedro). Il Centro è stato fondato a Beirut nel novembre 2007, dopo l’uccisione di Samir Kassir. Per quanto viene riferito nel suo sito, “il Centro intende essere un occhio vigile sulle violazioni della libertà di stampa e culturale; intende anche difendere i diritti dei giornalisti e degli intellettuali e la loro libertà di espressione” (82). Molti documenti dimostrano che SKeyes è finanziata dalla NED e dal NDI (83). D’altronde, prima di diventare direttore esecutivo di SKeyes nel 2011) Ayman Mhanna aveva lavorato per la NDI come direttore di programmi (2007-2011) (84).
 
Piccola precisazione: Lucien Bourjeily e Imad Bazzi sono entrambi componenti del consiglio consultivo di MARCH (85).
 
Gli attivisti di cui abbiamo parlato sono tra le figure più mediatizzate della rivoluzione della “spazzatura”, e la lista non si esaurisce qui. Ma il dissidente che rappresenta il trait d’union tra la rivoluzione del Cedro e quella della “spazzatura” è sicuramente Michel Elefteriades, una sorta di “anello mancante” del Libano rivoluzionario colorato. Dieci anni dopo, colui che fu in stretto contatto con gli specialisti della resistenza non violenta di CANVAS ritorna alla ribalta della contestazione popolare.
 
E utilizza il linguaggio apparentemente ingenuo del “profano” quando spiega la rivoluzione della “spazzatura”. “E’ una specie di rivoluzione popolare, un melange di molti movimenti – una dose di anarchia nel senso buono filosofico come l’insofferenza per ogni forma di centralizzazione del potere – è veramente un movimento popolare, quindi non penso che si fermerà”, ha dichiarato.
 
Per poi contraddirsi poco dopo: “Ci sono degli intellettuali e dei leader di opinione che monitorano (le proteste). Noi stiamo lì a verificare che non si prendano derive né che si intrometta qualche intruso per cercare di deviare le manifestazioni in altre direzioni”. (86).
 
Sull’onda della rivoluzione della “spazzatura”, Michel Elefteriades ha fondato “Harakat El Girfanine” (il movimento dei disgustati”) (87). Prova che non ha dimenticato le lezioni di CANVAS, Il logo di questo movimento, infatti, è appunto il pugno di Otpor e il nome ricorda quello dei cyber dissidenti sudanesi “Grifna” (ci siamo disgustati) (88).

[Michel Elefteriades ed il suo "Movimento dei disgustati": http://www.ossin.org/images/stories/varie2/spazzatura21.jpg
Video "promozionale del movimento dissidente sudanese "Girifna": https://www.youtube.com/watch?v=2o6Rxc_JZKg
Si ispira visibilmente a quello realizzato, qualche anno prima, dagli attivisti serbi di Otpor: https://www.youtube.com/watch?v=5GseXFpKfA0 ]

Benché le molteplici rivendicazioni del movimento “Voi puzzate!” esprimano una reale esasperazione del popolo libanese, bisogna ammettere che le inestricabili relazioni tra i leader della rivoluzione della “spazzatura” e le varie organizzazioni statunitensi di “esportazione” della democrazia non sono irrilevanti. Tali connivenze latenti sono il risultato di un lavoro di fondo che ha preceduto la rivoluzione del Cedro, che è proseguito fino ai giorni nostri e che proseguirà certamente in futuro. Come negli altri paesi arabi, la situazione sociopolitica del Libano è un terreno talmente fertile che un qualsiasi seme di contestazione può generare un caos indescrivibile. La “primavera” araba ne è la perfetta illustrazione.
 
Tanto più se si pensi che il Libano è un paese chiave nell’equazione mediorientale a cagione della sua vicinanza a Israele, le sue relazioni geopolitiche con l’esangue Siria e la presenza di un elemento di forte irritazione per gli Occidentali: Hezbollah.
 
E’ infine interessante fare un parallelo tra il Libano e l’Ucraina. Con un intervallo di circa dieci anni, entrambi i paesi sono stati teatro di due rivoluzioni “infiltrate”; le loro popolazioni non presentano uniformità nazionale (etnica, culturale o linguistica); sono geograficamente vicini a paesi di grande importanza politica per l’Occidente (Israele/Siria da un lato e Russia dall’altro) in modo da potere essere utilizzati come cavalli di Troia per raggiungere obiettivi geostrategici.
 
Le rivoluzioni arancione (2004) e del Cedro (2005) sono state tra i più grandi successi di CANVAS, Il coinvolgimento pianificato di violenti gruppi neonazisti durante l’Euromaidan (2013-2014) ha provocato drammatici sovvertimenti in Ucraina.
 
In Libano puzze “colorate” esalano dai mucchi di rifiuti che si ammassano nelle strade. E una questione si pone: che cosa partorirà la rivoluzione della “spazzatura”?


Riferimenti:
 
1)  Journeyman Pictures, Documentario « The Revolution Business », data di uscita: 27 maggio 2011, Produzione ORF, Ref. : 5171, http://journeyman.tv/62012/short-films/the-revolution-business.html
2)   Ahmed Bensaada, « Arabesque américaine : Le rôle des États-Unis dans les révoltes de la rue arabe », Éditions Michel Brûlé, Montréal (2011), Éditions Synergie, Alger (2012).
3)   Idem
4)   Idem
5)   William J. Dobson, « The Dictator's Learning Curve: Inside the Global Battle for Democracy », Random House Canada Limited, Toronto, 2012.
6)   Ahmed Bensaada, « Ucraina : autopsia di un colpo di Stato », parte 1° e parte 2°, in www.ossin,org, aprile 2014
http://www.ossin.org/ucraina/1548-ucraina-autopsia-di-un-colpo-di-stato-parte-i
http://www.ossin.org/ucraina/1549-ucraina-autopsia-di-un-colpo-di-stato-parte-ii
7)   Ahmed Bensaada, « Hong Kong : un virus sotto l’ombrello », www.ossin.org, ottobre 2014 
http://www.ossin.org/reportage-dal-mondo/reportage-estremo-oriente/56-cina2/1626-hong-kong-un-virus-sotto-lombrello
8)   Tina Rosenberg, « Revolution U », Foreign Policy, 16 febbraio 2011, http://www.foreignpolicy.com/articles/2011/02/16/revolution_u
9)   Sharmine Narwani, « Ten years on, Lebanon's 'Cedar Revolution'», RT, 13 marzo 2015, http://www.rt.com/op-edge/240365-lebanon-revolution-anniversary-cedar-2005/
10) Niles Lathem, « Give Us Leb-erty! Protesters Slam Syria In Massive Beirut Rally», New York Post, 8 marzo 2005, http://nypost.com/2005/03/08/give-us-leb-erty-protesters-slam-syria-in-massive-beirut-rally/
11)  Bassem Chit, « Lebanon: Some Things That Money Can't Buy », Socialist Review, n°306, maggio 2006, http://socialistreview.org.uk/306/lebanon-some-things-money-cant-buy
12)  Vedi riferimento 9
13)  Idem
14)  Rita Chemaly, « Le printemps 2005 au Liban : Entre mythes et réalités », L'Harmattan, Paris, gennaio 2009
15)  BBC News, « In Pictures : Beyrouth Protest », 28 febbraio 2005, http://news.bbc.co.uk/2/hi/in_pictures/4304639.stm
16)  Vedi riferimento 7
17)  Milos Krivokapic, « Les faiseurs de révolutions : entretien avec Aleksandar Maric », Politique internationale, n°106, inverno 2004-2005, http://www.politiqueinternationale.com/revue/read2.php?id_revue=20&id=77&content=texte&search=
18)  Vedi riferimento 2
19)  Vedi riferimento 9
20)  Idem
21)  Ahmed Bensaada, « Arabesque$: Enquête sur le rôle des États-Unis dans les révoltes arabes », Éditions Investig’Action, Bruxelles, 2015, cap.1
22)  Ahmed Bensaada, « Siria, il dandy e i falchi », www.ossin.org, settembre 2013
http://www.ossin.org/crisi-siria/1462-il-dandy-e-i-falchi
23)  Democracy & Security International Conference, « List of participants », Praga 5-6 giugno 2007, http://www.democracyandsecurity.org/doc/List_of_Participants.pdf
24)  Vedi riferimento 21 cap.4
25)  FORA TV, « George W. Bush on Democracy and Security », http://library.fora.tv/2007/06/05/George_W__Bush_on_Democracy_and_Security
26)  Democracy & Security International Conference, « Organizers », Praga 5-6 giugno 2007, http://www.democracyandsecurity.org/organizers.htm
27)  Prague Security Studies Institute , « International Advisory Board », http://www.pssi.cz/pssi-boards/international-advisory-board
28)  Vedi riferimento 26
29)  Ynet News, « Richest US Jew pledges USD 25 million to Taglit - birthright Israel », 2 giugno 2007, http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-3361888,00.html
30)  Adelson Family Foundation, « Welcome », http://www.adelsonfoundation.org/AFF/index.html
31)  Nathan Guttman, « Sheldon Adelson Is a Philanthropist Like No Other », Forward, 3 novembre 2014, http://forward.com/news/israel/208220/sheldon-adelson-is-a-philanthropist-like-no-other/
32)  WikiLeaks, « Câble 06BEIRUT1544_a », https://www.wikileaks.org/plusd/cables/06BEIRUT1544_a.html
33)  Michael Emerson et Senem Aydın, « Democratisation in the European Neighbourhood », CEPS, Bruxelles, 2005, p. 3.
34)  Nabil Chehade, « Political Illustration : Lebanon and Beyond - Interview of Daniel Drennan », Design Altruism Project, 7 dicembre 2011, http://design-altruism-project.org/2011/12/07/political-illustration-lebanon-and-beyond/
35)  Lebanon Renaissance Foundation, « Who We Are », http://www.lebanonrenaissance.org/whoweare
36)  Melissa Data, « Lebanon Renaissance Foundation », http://www.melissadata.com/lookups/np.asp?mp=p&ein=910190501
37)  SourceWatch, « Sustainable Democracy Center », http://www.sourcewatch.org/index.php/Sustainable_Democracy_Center
38)  ProRepublica, « Research Tax-Exempt Organizations - Lebanon Renaissance Foundation », https://projects.propublica.org/nonprofits/organizations/910190501
39)  Lebanon Renaissance Foundation, « Education », http://www.lebanonrenaissance.org/alteducation
40)  Vedi riferimento 21, capitolo 2
41)  The Libanese Transparency Association, « Annual Report 2008-2009 », http://transparency-lebanon.org/Modules/PressRoom/Reports/UploadFile/5719_31,07,YYannualreport.pdf
42)  Per maggiori informazioni sul MEPI, vedi riferimento 21, capitolo 5
43)  Vedi riferimento 6
44)  Pierre Boisselet, « La “ligue arabe” du Net », Jeune Afrique, 15 marzo 2011, http://www.jeuneafrique.com/192403/politique/la-ligue-arabe-du-net/
45)  Heinrich-Böll-Stiftung, « First Arab Bloggers Meeting 2008 », 22-24 agosto 2008, http://ps.boell.org/en/2013/11/05/first-arab-bloggers-meeting-2008-democracy
46)  Heinrich-Böll-Stiftung, « Second Arab Bloggers Meeting 2009 », 8-12 dicembre 2009, http://lb.boell.org/en/2014/03/03/second-arab-bloggers-meeting-statehood-participation
47)  Per guardare le foto del « Second Arab Bloggers Meeting 2009 » : https://www.flickr.com/groups/1272165@N24/pool/with/4193262712/
48)  Per conoscere la relazione tra gli « Stiftung » tedeschi e la NED, vedi riferimento 21, capitolo 2
49)  Heinrich-Böll-Stiftung, « Bloggers meeting report 2009 - Blogging out of Repression and Passivity, into Democracy and Change », 8-12 dicembre 2009, https://lb.boell.org/sites/default/files/downloads/Bloggers_Meeting_Report_2009.pdf
50)  Global Voices Advocacy, « Interview with Jacob Appelbaum from TOR », 14 dicembre 2009, https://advocacy.globalvoicesonline.org/2009/12/14/interview-with-jacob-appelbaum-from-tor/
51)  Per un approfondimento su TOR, vedi riferimento 21, capitolo 3
52)  Nicolas Dot-Pouillard, « Une « révolution des ordures » au Liban ? », ORIENT XXI, 2 settembre 2015, http://orientxxi.info/magazine/une-revolution-des-ordures-au-liban,1005
53)  Alia Ibrahim, « Arab cyberactivists rapidly gain traction as crises continue », Al Arabiya News, 9 aprile 2011, http://english.alarabiya.net/articles/2011/04/09/144862.html
54)  Per un approfondimento sui cyber attivisti egiziani, vedi riferimento 21, capitolo 4
55)  IkhwanWeb, « Blogging Truth to Power in the Middle East », 3 marzo 2010, http://www.ikhwanweb.com/article.php?id=23498
56)  AUSACE 2011, « Conference Program- Digital and Media Literacy: New Directions », 28-31 ottobre 2011, https://docs.google.com/spreadsheet/pub?hl=en_US&hl=en_US&key=0AkRlm628pZ6ddG9QbDdzbHNxajY4aktkMmp1UWNwNVE&single=true&gid=3&range =A1%3AB250&output=html
57)  Mezri Haddad, « La face cachée de la révolution tunisienne », Éditions Apopsix, Paris, 2011.
58)  Fikra Forum, « Imad Bazzi », http://fikraforum.org/?page_id=1783&lang=en&cid=62
59)  LinkedIn, « Imad Bazzi – Anchor at Aljadeed FM », https://www.linkedin.com/pub/imad-bazzi/24/454/9b3
60)  NED, 2014 Annual Report « Lebanon », http://www.ned.org/region/middle-east-and-northern-africa/lebanon-2014/
61)  Maharat Foundation, « Lebanese blogger arrested in Egypt, deported to Beirut », 12 settembre 2011, http://www.ifex.org/lebanon/2011/09/12/bazi_denied_entry/
62)  Ahmed Bensaada, « Gli attivisti della primavera araba e la lobbie filo-israeliana », www.ossin.org, settembre 2013 http://www.ossin.org/uno-sguardo-al-mondo/analisi/1472-gli-attivisti-della-primavera-araba-e-la-lobbie-filo-israeliana
63)  Idem
64)  Scarlett Haddad, « Marwan Maalouf, la tête dans les nuages et les pieds sur terre », L’Orient le Jour, 4 settembre 2015, http://www.lorientlejour.com/article/942496/marwan-maalouf-la-tete-dans-les-nuages-et-les-pieds-sur-terre.html
65)  LinkedIn, « Marwan Maalouf – Human Right Lawyer », https://www.linkedin.com/pub/marwan-maalouf/1a/722/856
66)  IWPR, « What we do », https://iwpr.net/what-we-do
67)  IWPR, « Donors/Funders », https://iwpr.net/about-us/supporters
68)  Menapolis, « Clients », http://menapolis.net/clients.php
69)  Martin Armstrong, « Thousands rally in Beirut as trash piles up », Middle East Eye, 30 agosto 2015, http://www.middleeasteye.net/news/thousands-demonstrate-beirut-government-reforms-639890316
70)  LinkedIn, « Assaad Thebian - Marketing & Digital Media Consultant », https://www.linkedin.com/in/assaadthebian
71)  LinkedIn, « MEPI Alumni Lebanon Chapter », https://www.linkedin.com/groups?gid=3662444&goback=%2Enppvan_assaadthebian&trk=prof-groups-membership-logo
72)  Kesserwen, « MEPI LAA Newsletter », 30 gennaio 2014, http://www.kesserwen.org/n/news.php?id=37804
73)  YouTube, « Assaad Thebian: MEPI LAA Annual Dinner Speech », 29 febbraio 2014, https://www.youtube.com/watch?v=b2D2G_edbYk
74)  United Nations Alliance of Civilizations, « Digital Tools for Newsgathering and Reporting Across Cultures Training Participant Bios », Aprile 2013, http://www.unaoc.org/wp-content/uploads/Digital-Tools-Training-Participant-Bios.pdf
75)  NDI, « Where We Work - Lebanon », https://www.ndi.org/lebanon
76)  Kesserwen, « 8 leading lights in Lebanese culture », 18 agosto 2012, http://www.kesserwen.org/n/news.php?id=22592
77)  Nour Braïdy, « l’acteur Lucien Bourjeily récupère son passeport et crie victoire », Asdaa’, 24 mai 2014, http://asdaa.eu/2013-10-30-12-58-41/18-2013-10-31-11-02-33/808-l-acteur-lucien-bourjeily-recupere-son-passeport-et-crie-victoire
78)  Vedi riferimento 60
79)  MARCH, « Resources – Partners », http://www.marchlebanon.org/en/Resources-Partners
80)  Vedi riferimento 60
81)  Facebook, « MARCH », 16 octobre 2014, https://www.facebook.com/marchlebanon/photos/a.397998033570929.77264.348852438485489/741637102540352/?type=1
82)  SKeyes, « Qui sommes-nous ? », http://www.skeyesmedia.org/fr/Who-We-Are
83)  Vedi per esempio: Frank Smyth, « Animated journalist survival guide looks ahead », Committee to Protect Journalists (CPJ), 22 agosto 2013, https://cpj.org/blog/2013/08/animated-journalist-survival-guide-looks-ahead.php
84)  LinkedIn, « Ayman Mhanna - Executive Director at Samir Kassir Foundation », https://www.linkedin.com/in/aymangmhanna
85)  MARCH, « Missions and Objectives », http://www.marchlebanon.org/en/About-Us
86)  Elsa Buchanan, « Lebanon You Stink protests: We are not Egypt, claims activist Michel Elefteriades », IBTimes, 25 agosto 2015, http://www.ibtimes.co.uk/lebanon-you-stink-protests-we-are-not-egypt-claims-activist-michel-elefteriades-1517010
87)  Al Joumhouria, « Michel Elefteriades est “dégoûté et descend se promener à la place des Martyrs” », 24 agosto 2015, http://www.aljoumhouria.com/news/index/255178
88)  Siavash Golzadeh, « Girifna – a part of Sudan’s non-violent history », Peace Monitor, 10 settembre 2013, http://peacemonitor.org/?p=836



(english / srpskohrvatski / italiano)

Kosovo: e volevano premiarli con l'UNESCO...

1) Collegamenti e segnalazioni / Links and Hints
2) NEWS:
- Aug. 27, 2015: Klecka, a base of Albanian terrorists and a crematorium with the remnants of burned bodies uncovered
- Aug. 29: Attack on expelled Djakovica Serbs attending service at the Dormition of the Mother of God Orthodox Church 
- Oct. 26: Kamenovanje autobusa / Bus Bringing Serb Pilgrims Attacked and Stoned in Pec
- Dec. 1: Porodica Ibiši teroriše Srbe
- Dec. 7: Assalto notturno a Gorazdevac per terrorizzare i serbi residenti
- Jan. 6, 2016: Assalto contro i serbi che si recano in chiesa per il Natale ortodosso a Djakovica / Eggs, snowballs thrown as Serbs visit Djakovica
3) BLOCCATO IL PIANO USA-UE PER AMMETTERE LA "REPUBBLICA DEL KOSOVO" NELL'UNESCO / ОДБИЈАЊЕ УНЕСКО ДА ПРИМИ „Р. КОСОВО“ / KOSOVO NOT ADMITTED TO UNESCO


=== 1 ===


ENCLAVE
a film by Goran Radovanović

SYNOPSIS
A Christian boy, determined to create a proper community burial for his late grandfather, crosses enemy lines and makes friends among the Muslim majority in deeply divided, war-torn Kosovo.

With this film I want to explore the essence of the Serbian/Albanian dispute, which resulted – fifteen years ago – in war, destruction and crimes. But I want to raise the following question: is coexistence still possible between these two communities in a reality marked by the presence of enclaves, isolated islands of Christian minority surrounded by a sea of Muslim majority?
My answer is crystal clear: hated based on fear of what’s different and diverse still lingers between the two ethnic communities.
And fear is the absence of love…
That’s why the hero in this story is a ten-year old boy who dares to do something unimaginable for both communities in Kosovo – Christian and Muslim: to gain a friend on the opposite side!
I wanted to make an antiwar film based on the eternal and edifying story about forgiveness and love.
– Goran Radovanović, Director –

Goran Radovanovic’s film is about a tiny Serb community living under UN protection in Kosovo.
Serbia’s nomination for best foreign-language Oscar turns clichés about the bitter civil war in Yugoslavia on their head.
Focused on a tiny Serb community living in a UN-protected enclave in Muslim Kosovo, Enclave – Goran Radovanovic’s second feature – looks at the legacy of ethnic cleansing and internecine conflict through the eyes of a small boy, Nenad.
Every day Nenad is taken to school from his father’s farm in a KFOR armored car to study alone in a school with no other pupils. Like any other boy of his age, all Nenad wants are some friends his own age. Each day, through narrow observation slits in the military vehicle he sees two Albanian boys and a shepherd boy – who has lost his father in the war and hates Serbs.
The film won an audience award last June after a competition screening at the Moscow International Film Festival.
– Source: HollywoodReporter


--- MORE LINKS:

PROTEST ALBANACA U DECANIMA 18 DECEMBAR 2015. RTS (Sava Janjic, 18 dic 2015)
Reportaža RTS o protestu kosovskih Albanaca u Dečanima 18. decembra 2015. godine.

PROTEST AGAINST DEČANI MONASTERY (Sava Janjic, 17 dic 2015)
Kosovo Albanian nationalists staged a protest today in Dečani claiming that 50% of the Monastery land must be confiscated from the Monastery which is one of 4 UNESCO sites in Kosovo. The protesters were chanting UCK (the name of Kosovo Albanian war time militia)...

KOSOVO : PAS DE LIBÉRALISATION DU RÉGIME DES VISAS (par Hysni Bajraktari / CdB – jeudi 17 décembre 2015)
Nouveau coup dur pour le Kosovo : le Conseil de l’Union européenne a refusé, mardi 15 décembre, de donner son accord à la libéralisation du régime des visas. Une mauvaise nouvelle de plus, alors que le pays est en pleine crise politique...

CRIMES DE L’UÇK : LE KOSOVO FAIT TOUT POUR RALENTIR L’OUVERTURE DU TRIBUNAL SPÉCIAL (Zeri –| jeudi 17 décembre 2015)
Le Tribunal spécial chargé de juger les crimes commis par l’Armée de libération du Kosovo (UÇK) pendant la guerre de 1998-99 doit ouvrir en 2016. Le Parlement de Pristina a d’ailleurs approuvé cette décision en août. Mais depuis rien n’a avancé et les internationaux s’agacent...

JOHN KERRY, RIPRENDERE IL DIALOGO IN KOSOVO (Violeta Hyseni Kelmendi / OBC, 3 dicembre 2015)
Il segretario di Stato USA John Kerry, in visita ieri in Kosovo, ha invitato l'opposizione a sospendere le violente poteste al contestato accordo sull'Associazione delle municipalità serbe...

UN FUNERALE A PRIŠTINA, KOSOVO METOHIJA (Radmila Todic Vulićević)
... Quando a Priština, oggi, se ne va un’anima ortodossa, il sentimento è completamente diverso... Ce ne sono ormai una trentina di vecchie signore che si sono spente. Nonna Rada Savić, una novantenne, come anche nonna Vuka Ivanović e Nada Djordjević, sono state sepolte là dove non hanno vissuto, e forse nemmeno avrebbero voluto essere sepolte...

LE KOSOVO VA SIGNER SON ACCORD DE STABILISATION ET D’ASSOCIATION AVEC L’UNION EUROPÉENNE (CdB, 23 octobre 2015)
Le Kosovo signera mardi 27 octobre son Accord de stabilisation et d’association (ASA) avec l’Union européenne. Un pas en avant symbolique, alors que le petit pays est toujours en phase de fortes turbulences politiques. La levée du régime des visas n’est par contre toujours pas à l’horizon...

GOVERNMENT: BREZOVICA IS SERBIA’S PROPERTY (Tanjug, Oct 9, 2015)
The Serbian government warned potential investors on Thursday that the Brezovica Ski Center in southern Kosovo-Metohija is in the ownership of Serbia and that the decision on its expropriation made by the Pristina authorities is illegal...
RAID DE LA POLICE AU KOSOVO : 15 SERBES ARRÊTÉS À BREZOVICA (Courrier des Balkans | Traduit par Jacqueline Dérens | jeudi 8 octobre 2015)
Les unités spéciales de la police du Kosovo (ROSU) ont arrêté mercredi 7 octobre au matin quinze Serbes à Brezovica, dans le parc naturel des Monts Sharr/Šar, au sud du Kosovo. Les personnes arrêtées, dont le directeur du parc, sont détenues à Ferizaj/Uroševac. Elles sont soupçonnées d’abus de pouvoir et de corruption...

CRIMES DE GUERRE AU KOSOVO : ARRESTATION D’UN ANCIEN DE L’UÇK (CdB, mercredi 7 octobre 2015)
Xhemshit Krasniqi, ancien soldat de l’UÇK, a été arrêté mardi lors d’une vaste opération d’Eulex et des unités des forces spéciales de la police du Kosovo à Prizren. Il est accusé de crimes de guerre commis au printemps 1999...

KOSOVO : OLIVER IVANOVIĆ A ÉTÉ REMIS EN LIBERTÉ CONDITIONNELLE (B 92, mardi 22 septembre 2015)
Oliver Ivanović, dirigeant serbe du nord du Kosovo favorable au dialogue et adversaire résolu des actuelles autorités de Belgrade, a été placé en résidence surveillée au terme de vingt mois de détention et de plus de six semaines de grève de la faim. Il est accusé de crimes de guerre, commis en 1999-2000 contre des civils albanais...

KOSOVO: NASCE L'ASSOCIAZIONE DELLE MUNICIPALITÀ SERBE (Violeta Hyseni Kelmendi | Pristina  1 settembre 2015)
Con gli accordi Pristina- Belgrado del 25 agosto, le municipalità kosovare a maggioranza serba si uniranno in un'Associazione. Uno sviluppo che si presta a letture contrastanti...

CRIMES DE GUERRE AU KOSOVO : OLIVER IVANOVIĆ, « PUNI AVANT MÊME D’ÊTRE JUGÉ » (B92, 22 août 2015)
C’est le prisonnier le plus célèbre d’Eulex. Depuis janvier 2014, le politicien serbe du Kosovo Oliver Ivanović, soupçonné de crimes de guerre, est en détention provisoire. Il a entamé une grève de la faim et vient d’être placé en soins semi-intensifs à l’hôpital de Mitrovica...


=== 2: NEWS ===

KLECKA: Suffering and Мurder of little girl Jovana in Klecka 

Posted on September 5, 2015 by Grey Carter

Serbian girl Jovana was only 11 years old when Albanian terrorists captured, beaten and detained iher together with rest of the  family.
They were taken in a camp in the village of Klecka , Lipljan , along with her mother and grandmother . The camp was under  direct rule and control of Fatmir Limaj (acquitted by the Hague cangaroo court) and Hashim Thaci.
Hasim Taci used to visit the camp. One day little Jvana was taken by the Albanian KLA bandits, Luan and Bekim Mazrreku, who, before the eyes of her mother and grandmother raped the eleven years old girl.
They tortured her, cutting her body parts for hour and forcing mother and grandmother to watch and listen…
When little Jovana  was almost dead,  they burned her alive, in the sight of the unfortunate mother and grandmother .
On 27 August, in the region of Klecka, at the height of 1,044 meters enabling the control of much of the region, the police uncovered a base of Albanian terrorists and a crematorium with the remnants of burned bodies.
According to witness accounts of captured Albanian terrorists Ljuan and Bekim Mazrek from Orahovac, those are the bodies of Serbs kidnapped by the terrorists in June. The terrorists abducted at the time close to one hundred citizens of Serb nationality – in the streets, in the fields, in the hospital, in pharmacies, but also in their homes and apartments. They have taken them in buses to Klecka and imprisoned them in improvised camps. >
There is reason to believe that most of the Serbs abducted in previous months have been killed there. It will be difficult to determine the number because the victims’ bodies were burned. So far, the remnants of 22 bodies were found. In one group of those shot, there were three elderly and two younger men, three women of the age of around thirty and two children aged seven to eleven. According to the accounts of captured terrorists, the KLA bandits have set up firing squadrons, numbering up to twenty “soldiers”. Following the pattern of Fascist reprisals, they tied the people, aligned them and shot them. Then they threw their bodies in a lime processing plant, an improvised crematorium.
“From a group of kidnapped persons, we snatched a girl. I heard someone calling her Jovana. I do not know if that was her mother. I was ordered to hold her while they raped her. Then one of the three commanders, Gani Krasnici told me to rape her. She was crying and screaming while we raped her, mumbling something in Serbian. We did not understand anything. Those who looked on were crying. Then we were told to take all women side and then gang raped them. Then Gani told us to mutilate them. The boy was around 8 years old. They were Serbs. At first, I did not want to do it, but later I had to. I cut off a woman’s ear and did not want to touch the child. The others did just about everything. They cut off their ears, gouged their eyes out and cut off their hands. I saw them gouging a woman’s eyes, both arms and then cutting both ears. I saw Skender Krasnici cutting off body parts, but I do no remember if it was a woman or a man. After that, the twenty of us were ordered to lign up and shot them. I was third in the group. In the firing squad there were also Dardan Krasnici, Skumbin Krasnici, Nebin, Ismet, Basken and Bekim Mazreku, Besim and Abazi Betici and Skender Krasnici. I do not remember the others. 
The person’s arms were tied up in one group. When we were ordered to shoot, I said no, I could not. The girl I raped and a woman with a child, whose ear I cut off, came before me. When I saw them, I lifted the gun and said I was not going to shoot them, I have had enough. Daniel hit me over the face and took my automatic rifle away. He took me to the group that was to be shot and said I was to be shot too. Hasni Kidaj and Skender Krasnici came, pointing a gun at me and took me out from the group. All the time Gani was standing behind, holding a gun with a tromblone mine and said that I would be shot unless I shoot them. I did not have any choice, I had to shoot.
The man they called Tiger gave them order to shoot. Get ready, get ready, shoot. We all shot at once at the group. We were shooting while ammunition lasted. We checked whether they were dead and then shot again. There have been some 100 people in the camp, abducted Serbs and Albanians. I do not know how many, but they were mostly Serbs. There were less Albanians. Among those abducted, there were several policemen. All of them were previously mutilated or massacred before being shot. They were individually buried in graves, along the roads exiting Klecka, on the way to Sedlar village. The graves have not been marked at all.” Aslan Klecka was in charge of teaching us to pray and worship. He told us that after the banishment of Serbs the Albanians will be the most devoted of Moslems in the world”
On the scene of the monstrous crime the police had found a small  cut off arm of Jovana, cut away from the elbow and partially burned …

[Zlocini brace Mazreku, pripadnika OVK, nad neduznim Srpskim civilima! Video svedocanstvo o zlocinima brace Mazreku.
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=NBQNYRq82aY ]

Spasm of the little fingers seemed like begging for help and waving to mother and grandmother . When asked by Judge Danica Marinkovic how they found out that the girl who was raped and murdered was Jovana, one of the Mazrreku  brothers said:
” When I ripped the girl from the hands of the mother , the woman was calling that name untill we finally executed her; and the old woman died too. Instantly . ”
Members of Serbian police in addition to other terrorists arrested and the two villains. The Mazreku brothers recognized and described the crimes that were committed in Klecka, and all what they did to little Orthodox Christian girl Jovana. All this was recorded by Judge Danica Marinkovic;  they took statements , the cameras filmed the crime scene and the villains;
The Court pronounced the verdict and sent the monsters to prison . But the West made a strong  diplomatic and non diplomatic pressure after the fall of Slobodan Milosevic; and they were – acquitted!! –  with the generous support of some blackmailed and corrupted Serbs: Biljana Kovacevic -Vuco , Natasa Kandic , Sonja Biserko , Cedomir Jovanovic , Natasa Micic , Borka Pavicevic ,  Miljenko Dereta and other well-wishers to Albanian narco supliers, these criminals  are free . I spoke about the little girl Jovana hundred times; I’m trying to record the names of   the martyrs, who died for Orthodoxy, in order to save them for oblivion.

PHOTO: The collection of poems “Jovana”, written by Slavko Nikic, was named after the girl Jovania who was barely 11 years old when Albanian terrorists kidnappped, raped  and killed in the most monstrous way in the village of Klecka in Kosmet. Together with her ​​mother Albanian bandits  hem into live fire. What is most amazing here,  is the fact that the monsters were released from the Nis prison and acquitted. 

My silent hope is that some Serbs, certainly better that us, picture Jovana on an icon,  in front of which we all could pray .
Grey Carter

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Albanian terror continues: Attack on expelled Djakovica Serbs attending service at the Dormition of the Mother of God Orthodox Church 

Posted on August 29, 2015 by Grey Carter

The Djakovica Serbs who had been driven out of their homes in Djakovica and elsewhere in Metohija, today visited the town to celebrate the Orthodox Christian holiday of the Dormition of the Mother of God at the Serb Orthodox Church (SPC) monastery of Uspenje Presvete Bogorodice (Holy Mother Assumption).
The Albanians who gathered to protest threw firecrackers and red paint at the police, RTS is reporting.
While three buses carrying the Serbs were leaving the monastery’s yard, a sizable group of people gathered at the end of the former Srpska Street, shouting slogans against Serbs and throwing firecrackers. The slogans included “Serbia cannot pass here,” and, “No reconciliation without justice.”

[PHOTO: The ISIS Forerun: Church of the Dormition of the Mother of God (16-19 . Century) in Djakovica, set on fire with the old and the new parish homes on March 17 [2004], subsequently leveled with the ground. The Cathedral of the Holy Trinity ( two bell towers that were not destroyed during mining of the church in 1999, on March 17 had been leveled with the ground. Soon after that the Albanians systematically removed the remains of the church and built a park. UNMIK / KFOR Report – March 18 : Rioters remove debris of destroyed Orthodox church with trucks and tractors , around 5,000 Albanians participated).]

(Those who forcibly seized property of thousands of Cristian Serbs, call for justice?! That’s true mimicry)
The police used tear gas and prevented them from approaching the IDPs as they were leaving the monastery. One person was detained during the breaking through the police cordon.
After a short while, the Albanians dispersed while the IDPs left the town safely with strong police escort, and headed toward the monastery of Visoki Decani.
Beside the numerous Kosovo police members who secured the monastery in Djakovica today, Italian soldiers from KFOR had also been deployed. The entrance to the street was closed to traffic.
Djakovica Mayor Mimoza Kusari Lila spoke with the police before the buses arrived “to make sure everything is ready for the visit.”
And it was.
Rocks, crowd, and Albanian mob eager to lynch…
As always the Albanian occupiers defend their criminal misdeed always by the same excuse: The War! The Albanians suffered!
(Reminder: In 2014 in some of the surrounding villages a mass grave with murdered Serbs was investigated,  The human remains were discovered, and it was comfirmed that they belonged to victims of  the KLA  from the Albanian death camp for Serbs,  “Likovci”.
EULEX Prosecution has brought an order for exhumation, autopsy and identification of the discovered remains. Before the Albanian and NATO occupation, there were thousands of Serbs living in Djakovica and the surrounding area.

After 1999,  the only living Serbs in Djakovica –  six Serbian elderly women – found  shelter in the monastery. Before the war 12,500 Serbs lived in Djakovica and the area, 4000 in the centre of the city. During the joint NATO and Albanian terror they were expelled, murdered  and some are still on the List of the Missing. Over 10 000 Serbs have simply disappeared.).
Still, the Albanian ‘mayor’ shamelesly continues with propaganda:
“This municipality suffered a lot during the war and that must be respected – but we of course know that is according to the law, and we are ready for the believers to come in peace and we know they come because of religion, and not for other reasons. When we take into account there are many in our municipality still listed as missing and all the sufferings and the situation here, it is not easy,” said she.

One thing is true: No reconciliation without justice.
There Must be Justice.
source: Blic

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Dopo l'ultima aggressione contro ragazzi serbi, di nuovo sassate contro i pellegrini ai monasteri nel Kosovo! E questi entrano a far parte dell' UNESCO?! 

Kancelarija za KiM: Kamenovanje autobusa i napad na dečake upozorenje o bezbednosti Srba 

Tanjug | 25. 10. 2015. – Kancelarija za Kosovo i Metohiju Vlade Srbije upozorila je danas da je kamenovanje autobusa sa srpskim hodočasnicima u Peći, prilikom obilaska crkve Svetog Jovana - Mitropolije u centru ovog mesta, "gromoglasno upozorenje" o stanju bezbednosti Srba i srpskih svetinja u našoj južnoj pokrajini.
Napad, koji je srećom prošao bez povređenih, dogodio se manje od 24 časa posle nasrtaja na grupu srpskih dečaka u selu Gornje Kusce, i pitamo se li je u ovim slučajevima reč o organizovanim nastojanjima da se Srbi na KiM zastraše, navodi se u saopštenju Kancelarije za KiM.
- Činjenica da se napad dogodio u prisustvu kosovske policije, svedoči o intenzitetu mržnje koja stoji iza incidenta i smelosti napadača. Ovakvi događaji, takodje, predočavaju na koliko je niskom nivou bezbednost Srba na Kosovu i Metohiji i poštovanje prava na slobodu kretanja i prava na veroispovest u južnoj srpskoj pokrajini - dodaje                                                                      Današnji napad na hodočasnike, u trenutku kada se odlučuje o tome da li će samoproglašeno Kosovo biti članica Uneska, još jedno je upozorenje kakva sudbina može zadesiti srpske svetinje, sveštenstvo i vernike ukoliko se taj plan i ostvari, jer oni koji danas upravljaju tim delom naše teritorije očigledno ne žele ili nisu sposobni da stvore normalno i tolerantno društvo, poručuju iz kancelarije za KiM.
Kancelarija za Kosovu i Metohiju apeluje na nadležne organe i političke aktere u pokrajini, ali i međunarodnu zajednicu, da preduzmu odlučne mere kako bi se eskalacija nasilja zaustavila i prestalo sa stvaranjem takve političke klime koja očigledno inspiriše nejekstremnije među kosovskim Albancima na najgori moguć način.
Poslanička grupa Srpska lista, takođe je osudila kamenovanje autobusa sa srpskim vernicima u Peći, upozorivši da to već predstavlja kontinuirani talas nasilja nad Srbima.
- Juče su napadnuta srpska maloletna deca, danas je kamenovan autobus, šta je sledeće, šta je sutra? Ovo je već kontinuirani talas nasilja nad Srbima - navodi se u saopštenju Srpske liste.
I kosovski ministar za zajednice i povratak Dalibor Jevtić najoštrije je osudio ovaj, drugi incident u samo dva dana.


Bus Bringing Serb Pilgrims Attacked and Stoned in Pec by Albanians 

Posted on October 25, 2015 by Grey Carter

Bus with a group of Orthodox Christian pilgrims from central Serbia,  was stoned during the visit to Metropolis in the center of Pec.
The bus was stoned at the moment believers came out of the church.
One of the passengers Nenad Panic sent the photographs of the damaged bus to the press.
“In the presence of two patrols, that followed the bus, in front of the church of St. John in the center of Pec the bus windows were broken, and no one was injured,” Panić says.
This is the second Albanian attack in less than 24 hours.
Yesterday four Kosovo Serbian boys have been injured and beaten by a group of Albanians yesterday on their way from school near Kusce,  Novo Brdo,  One of the attackers has been arrested.
After NATO supported Albanian jihad against Serbia 1999, remaining Orthodox Christian Serbs have often been subject to Albanian fanaticism, violence and extermination.

Sources: 
http://kossev.info/strana/arhiva/pec__kamenovan_autobus_sa_vernicima_iz_centralne_srbije/6594
http://informer.rs/vesti/srbija/38242/ALBANCI-NAPALI-MOTKAMA-SRPSKE-DECAKE-Cetvorica-povredjena-jedan-u-bolnici-u-Gracanici


Kosovo: Police Arrest Albanian Who Stoned Serb Bus

Tanjug, Oct 26, 2015

PEC – The Kosovo police arrested the 18-year-old ethnic Albanian suspected of stoning the bus transporting pilgrims from central Serbia on their visit to the local Church of Saint John on Sunday.
The release of the Kosovo police filed to Tanjug states that the suspect admitted to stoning the bus and that he did that because he was provoked by unsuitable gesticulation of one of the passengers on the bus.
The prosecutor sentenced the suspect to 48 hours of detention, the Kosovo police from Pec said in the release.
Nobody was injured in the incident which occurred on Sunday at 2.15 p.m. but considerable material damage was inflicted to the bus.
The incident occurred despite of the presence of Kosovo police patrols, the witnesses said.

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PORODICA IBIŠI TERORIŠE SRBE

Albanci bi da me kolju, a zbog stoke moram u aps!

Autor: J. Jokanović | 01.12.2015. 

Kao i sve, tako je i pravda za preostale Srbe na Kosovu i Metohiji sporo dostižna. Toliko, da su od nje digli ruke.
Persa Stojković (75) iz sela Paralovo, u opštini Novo Brdo, mora da plati kaznu od 50 evra ili da odleži tri dana u zatvoru jer je pre dve godine sa svog imanja isterala stoku u vlasništvu porodice Ibiši iz susednog sela Žagovačka Vrbica, nakon čega je dobila batine.
Baka Persa je osuđena za remećenja javnog reda i mira i svakog dana čeka da joj policija zakuca na vrata i povede je u zatvor jer, kako kaže za “Alo!”, ni u ludilu neće da plati kaznu.
- Skoro celo imanje su nam uzurpirali. Ostalo nam je nešto malo, svega desetak ari, i sad oni dovode stoku na našu zemlju štetu da nam prave. Žive pet-šest kilometara od nas, a stoku sve dovode u našu mahalu. Stoka sve pogazila, pojela povrće, probila ogradu. Istrčala sam da je poteram iz svog dvorišta kad me je jedan od trojice braće dohvatio i motkom izudarao po butini. Njihov lekar Albanac me je pregledao, imala sam ogroman hematom. I sada ja da platim što sam branila svoje imanje. Ma neću iz principa, nego idem u apsu. Sin kaže da platimo jer pravde za nas Srbe dole nema, ali ja ne odustajem. Ako treba i sudu u Strazburu ću se žaliti - priča baka Persa, koja je o tada više puta bila na meti porodice Ibiši. Oni godinama vrše tetor nad gotovo svim Srbima u selu, otimaju im i uništavaju imanja, više puta su uhvaćeni u bespravnoj seči šuma, ali im, kako kažu meštani, niko ne može ništa.
- Svaki put kad me vide, pokazuju rukom preko grla i dobacuju da će biti krvi. Prošle godine me je najmlađi od njih uhvatio i pola sata mi držao sekiru iznad glave. Slučaj nije pokrenut jer tužilaštvo navodno nije imalo dovoljno elemenata za pokretanje. Komšija ne sme iz kuće od njih, ja ponekad izađem da naberem šljive, natočim vode i skupim granje za potpalu, ali sve u strahu. A oni mi dobacuju: „Šta si došla da nam smetaš.“ „Ma kome smetam, ovo je moje dvorište, moja kuća“, odgovorim im, a oni se smeju i kažu: „Kao što je tvoja i država.“ Prete i sinovima. Strah me je jer deca rade, pa često ostajem sama. Ja dok živim - živim, al’ za njih mi je najgore - zavšava nesrećna žena.

Desetine prijava nasilnika
Svetislav Ivanović, prvi čovek opštine Novo Brdo, kaže da porodici Ibiši niko ne može ništa. - U policiji protiv njih ima desetak prijava, za mnogo toga nisu odgovarali ili bi im sudija odredio najblažu moguću kaznu. Šta to vredi kada nastavljaju da kradu, tuku Srbe i otimaju im imovinu. Da stvar bude gora, mnogi trpe maltretiranje braće i ne prijavljuju ih plašeći se da će tek onda početi da se iživljavaju. Jednostavno, ovde ljudi više ne veruju u pravdu - priča Ivanović. U ovom selu je do 1999. živelo je više od pet stotina Srba, a sada ih je ostalo svega stotinak.

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7 dicembre 2015: assalto notturno a Gorazdevac per terrorizzare i serbi residenti

https://www.facebook.com/arhimandrit.sava/posts/1215777848436351

Sava Janjic – Decani, Serbia – 7.12.2015.

Јутрос 7. децембра у 2.50 непозната лица отворила су рафалну ватру из аутомобила који је пролазио кроз српско село Гораждевац у општини Пећ. Према речима једног од очевидаца реч је о џипу који је возио 10-15 км на сат. Нападачи су најпре пуцали на споменик жртвама рата и страдалим дечацима пострадалим у терористичком нападу на реци Бистрици 2003. године, наневши велика оштећења. Настављајући пут кроз село отворили су ватру на аутомобил Србољуба Колашинца који је у потпуности изгорео, а потом су осули паљбу на кућу Саше Петровића. Нападачи су пуцали на више других објеката и једну трафику. Полиција и ватрогасци су одмах изашли на лицу места. Иако нико у овом терористичком нападу није повређен, житељи овог српског села су озбиљно узнемирени јер се сличан напад догодио пре 9. јула ове године када је такође из аутомобила у покрету нападнут споменик жртвама рата на који је бачен Молотовљев коктел. Починиоци овог као и бројних других напада на ово село и друга српска насеља и повратничке куће на простору Пећког округа никада нису пронађени. 

This morning (7 December) at 2.50 unknown attackers opened machine gun fire from the car which was passing through the Serbian village of Goraždevac, Peć Municipality (Western Kosovo). According to an eyewitness the attackers were in a jeep which was driving slowly (10-15 km/h through the village). The attackers first opened fire on the monument of war victims and Serbian children killed in a terrorist attack in 2003 and damaged it seriously. Continuing their drive along the main street they shot at the car of Srboljub Kolašinac and set it on fire and then riddled with bullets the house of Saša Petrović. A few other houses and a news-stand. The police and fire-brigade soon appeared on the spot. Although no one was hurt in this terrorist attack, the Serb villagers are seriously concerned because a similar attack occurred on July 9 this year when a Molotov cocktail was thrown from a speeding car on the monument to war victims. Perpetrators of this as well as many other attack on this village and other Serbian settlements and returnee houses in the Peć region have neer been identified and brought to justice.

TRAD.: Ieri, 7 dicembre alle ore 2,50, delle persone sconosciute hanno aperto il fuoco da una automobile che attraversava il villaggio serbo di Goraždevac, nel comune di Peć. Secondo un  testimone oculare si tratta di una jeep che andava a 10-15 km all’ ora. Gli attentatori hanno sparato prima verso il monumento alle vittime della guerra e ai ragazzi morti nell’ attacco terrorista sul fiume Bistrica nel 2003, danneggiandolo molto. Continuando il percorso attraverso il luogo hanno aperto il fuoco contro l’ automobile di Srboljub Kolašin che andata completamente in fiamme. Hanno poi aperto una  sparatoria verso la casa di Saša Petrović. Hanno poi diretto il loro assalto verso una Tabaccheria ed altri obiettivi.
Sul posto sono arrivati subito la polizia ed i pompieri. Anche se nessuno è stato ferito in questo atto terroristico, la cittadinanza di questo villaggio serbo è allarmata perchè un simile episodio era già avvenuto il 9 luglio di quest’ anno, quando con lo stesso metodo, da una automobile in movimento, si è sparato verso il monumento alle vittime di guerra e contro di esso è stata gettata una bomba molotov.
Gli autori di questo, come anche di altri attacchi in questa cittadina e contro le case d'intorno, nel circondario di Peć, non sono mai stati identificati.

Albanians "personally responsible for safety of Serbs"
Marko Djuric was in Gorazdevac on Monday when he said Kosovo Albanian politicians are personally responsible for the safety of Serbs in this enclave...
SOURCE: BETA, TANJUG TUESDAY, DECEMBER 8, 2015

Kosovo: Von Serben bewohntes Dorf angegriffen
07/12/2015
Im Kosovo ist das hauptsächlich von Serben bewohnte Dorf Gorazdevac von bewaffneten Unbekannten angegriffen worden. Ein Auto wurde in Brand gesteckt, ein Denkmal für serbische Kriegsopfer zerstört. Der serbische Regierungschef Vucic sprach von einem Angriff auf alle Serben...

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N.B. Il VIDEO delle proteste dei nazionalisti pan-albanesi contro i serbi che si recavano in chiesa per il Natale ortodosso a Djakovica è stato subito CENSURATO da YouTube:
Kosovo Albanian protests for Orthodox Christmas (Sava Janjic, 6 gen 2016)
Kosovo Albanian ultra nationalists led by opposition party Self-Determination staged protest in Djakovica this morning in order to prevent a group of Serb pilgrims and refugees to visit their church for Orthodox Christmas holidays. Kosovo police prevented protesters to block the church and preserved order...



Kosovo: Eggs, snowballs thrown as Serbs visit Djakovica

Displaced Serbs from Djakovica, a town in Kosovo, have visited a Serbian Orthodox church there on Orthodox Christmas Eve
SOURCE: TANJUG WEDNESDAY, JANUARY 6, 2016

They came in a bus escorted by the police and brought a badnjak - an oak log that is part of Serbian Christmas traditions - to the church's yard, despite the fact several dozen ethnic Albanians gathered to protest against their arrival.
The protesters gathered several dozen meters from the church and waited for three hours, in bad weather and rain, for the Serbs to arrive. They stood in front of a police cordon deployed there. 
Last year and the year before, displaced Serbs were unable to visit the church and a monastery in Djakovica on Christmas due to the opposition of local Albanians, as some of them used stones to attack their buses. 
According to reports, there were no major incidents today - "other than the eggs, snowballs and apples" that the protesters threw in the direction of the Serbs who were "not in their buses at the time, and were out of the range." 
The Kosovo police said later on Wednesday that the protest was organized by the Self-Determination Movement and ended without incidents, and that the Serbs' visit to the town went peacefully. 
Tanjug reported earlier on Wednesday there was "strong police presence along the streets leading to the church," and that the protesters at one point shouted, “This is Djakovica - no room for Serbs," along with anti-Serb insults. 
A large number of reporters gathered in the town today. 
Last year, displaced Serbs visiting their town on Orthodox Christmas Even were attacked by ethnic Albanians who used stones. 
Some 12,000 Serbs lived in Djakovica before the war, while there are only four Serb nuns living there now. 
President of an association gathering Serbs displaced from Djakovica, Djokica Stanojevic, said that Orthodox Christmas was once respected by everyone, and that Albanians would wish Serbs a happy holiday. 
"I am sad, because I have been traveling 800 kilometers to reach my town, my street, only to pass by my house that is 100 meters from here," he told reporters in the church's yard. 
He stressed that all those who "made mistakes in the past should be held responsible" but that "it should be known that Serbs, too, are a part of this town," and added that IDPs had filed requests to authorities to return to their town. 
The Serb (Srpska) List president, Slavko Simic, also arrived today on the bus that traveled from Decani, and told Tanjug the visit was not meant to provoke anyone or cause incidents, but had the goal of sending "a message of peace." 
He said Albanians should not protest but welcome their fellow Djakovica-residents "cordially" and in that way show they want the town to once again be multi-ethnic.


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100K+ SIGNATURES FOR #NOKOSOVOUNESCO IN LESS THAN 72 HRS!

We would like to thank everyone who signed our #NoKosovoUnesco petition on iPetitions, as well as all those who have contributed towards spreading the word about the petition on social networks and the media!

We’ve collected over 100,000 signatures is less than 72 hours, submitted the signatures together with a cover letter signed by 28. Jun President Filip Filipi and Serbian-Canadian Filmmaker Boris Malagurski to UNESCO Director General Irina Bokova at UNESCO’s headquarters in Paris and are now aiming at reaching our next goal: 200,000 signatures by the start of UNESCO’s Annual Conference on November 3, 2015, during which a decision will be made on whether Kosovo will be granted UNESCO membership.

Please sign the petition and share with all your friends:

www.ipetitions.com/petition/NoKosovoUnesco

Filip Filipi Janković
28. Jun President

Boris Malagurski
Serbian-Canadian Filmmaker

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UNESCO Executive Board Recommends Kosovo’s Membership

Tanjug, Oct 21, 2015

PARIS – UNESCO Executive Board has recommended by majority vote to admit Kosovo to this organization. The proposal was accepted with 27 votes in favor to 14 against, with 14 abstentions.
The representatives of Russia and Cuba, with the support of Indonesia, tried to postpone the voting. The final decision on Kosovo’s membership bid will be made by the UNESCO General Conference scheduled to meet on November 3-18.

Dacic: No decision can erase history
Serbia will continue the struggle for preservation of its cultural heritage regardless of the Wednesday decision of the UNESCO Executive Board concerning Kosovo’s membership, Serbian Minister of Foreign Affairs Ivica Dacic said on Wednesday.
We need to continue advocating preservation and protection of the cultural heritage of the Serbian Orthodox Church, Serb people and Serbia in Kosovo-Metohija and we will do so at the UNSECO General Conference due to take place in November and through all other political and diplomatic activities in the time to come, Dacic told reporters in the Serbian Ministry of Foreign Affairs.
The UNESCO Executive Board can adopt the decision as they see fit, but they cannot erase history because this has always been and will continue to be Serb cultural and religious heritage in Kosovo-Metohija, Dacic said.

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Japan Did Not Back Kosovo’s UNESCO Membership

Tanjug, Oct 22, 2015

SVILAJNAC – Japan did not back the UNESCO Executive Board recommendation for Kosovo-Metohija’s admission into the organisation, Japanese Ambassador in Serbia Juichi Takahara said on Thursday.
Japan refrained from voting as it believes that cultural heritage is a top priority for any country, Takahara told Tanjug commenting on the Wednesday session of the UNESCO Executive Board which adopted by majority vote the proposition for Kosovo to be granted membership in the organisation.
A total of 27 members voted in favour and 14 members were against the proposition, while 14 members refrained from voting, including Japan.
Let us hope that a mutually acceptable solution would be found to ensure protection for the cultural heritage in Kosovo, Takahara said.
On Thursday, Takahara delivered a donation of the Japanese government to utility company Morava in Svilajnac.

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“Orthodox Holy Sites Handed Over To Those Who Destroyed Them”

Tanjug, Oct 23, 2015

BELGRADE – The banished citizens of Djakovica, Kosovo-Metohija (KiM), released that they cannot believe that UN member countries are ready to hand over protection over Orthodox holy sites in KiM to those who destroyed them and set them on fire in the 2004 pogrom.
We cannot believe that the international community can give its blessing for this and hand over the care for Serbian cultural heritage to those who are attacking Orthodox holy sites by throwing stones at them, break into them and rob them, states the letter sent by the association of Djakovica citizens to UNESCO.
Can those, who tore down the Church of the Holy Trinity in Djakovica in 1999 and built a park in its place, be entrusted with protection of Serbian holy sites, the banished citizens of Djakovica said in the letter.

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“Kosovo In UNESCO Would Be Tragic Mistake”

Tanjug, Oct 26, 2015

BELGRADE – Admitting the self-proclaimed “Republic of Kosovo” to UNESCO would be a tragic mistake that would bring into question the survival of the Serbian cultural heritage in Kosovo, Serbian President Tomislav Nikolic and former UNESCO director-general Federico Mayor Zaragoza agreed on Monday.
President Nikolic pointed out that admission of Kosovo to international organizations should be discussed within the framework of the Belgrade-Pristina dialogue in Brussels.
Mayor expressed his disapproval of any type of abuse of UNESCO, especially for political purposes, which he said was obvious in a proposal put forward by Albania, the Serbian president’s press office said in a release.
President Nikolic asked Mayor to make effort at UNESCO to remove the question of Pristina’s membership of the organization from the agenda until further notice, the release said.

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Former UNESCO chief against Kosovo's membership  (Blic, RTS – 26. 10. 2015.)
Former Director-General of UNESCO Federico Mayor opposes Kosovo's membership in the organization, and stresses that the UN is in need of deep reforms...

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NO Kosovo in UNESCO - vittoria diplomatica della Serbia

ПОБЕДА СРБИЈЕ - КОСОВО НИЈЕ ПРИМЉЕНО У УНЕСКО
HTTP://www.politika.rs/rubrike/dogadjaji-dana/U-toku-glasanje-o-predlogu-Srbije-u-Unesko.sr.html

(Servilismo: fratelli jugoslavi votano contro la Serbia)


(Message over 64 KB, truncated)

(english / italiano)

Stalin, il nazismo e la guerra

1) Stalin e la geopolitica del revisionismo storico (A. Naryashkin / FortRuss, 28.10.2015)
2) Stalin, il nazismo e la guerra (D. Losurdo – (da Stalin. Storia e critica di una leggenda nera, 2008)
3) La storia mai raccontata del Patto Molotov-Ribbentrop / Perché l’occidente odia Stalin? (Ekatarina Blinova / Sputnik)
4) The Day the West Likes to Forget: 30 September 1938 (M. Jabara Carley, VoltaireNet 25.9.2015)


Leggi anche / Also to read:

The Munich Agreement: West's Political Conspiracy Against Stalin? (Ekaterina Blinova, 1.10.2015)
By signing the Munich Agreement with Adolf Hitler on September, 30, 1938, major European powers, Britain and France signaled to Nazi Germany: 'Move East, and we won't harm you!' Professor Grover Carr Furr of Montclair State University told Sputnik...

The Munich Betrayal: How Western Powers 'Sold' Czechoslovakia to Hitler (Ekaterina Blinova, 26.9.2015)
The Munich Agreement of September 30, 1938, concluded by Europe's major powers with Adolf Hitler, allowed the Nazis to absorb parts of Czechoslovakia and hammered the final nail in the coffin of the concept of European collective security pushed ahead by the USSR, Canadian professor of history Michael Jabara Carley told Sputnik...

Robert Conquest, un anti-necrologio (di Grover Furr | mltoday.com - 11/08/2015)
Robert Conquest, probabilmente il maggior propagandista anti-comunista e anti-stalinista del XX secolo insieme a Leon Trotsky, è morto. Naturalmente, i media capitalisti sono ossequiosi e adulatori nei suoi confronti...

9 mai 1945 (Par Jacques Sapir, 4 mai 2015)
http://russeurope.hypotheses.org/3778
ITAL.: 9 maggio 1945

Il patto sovietico-tedesco di non aggressione: chi aiutò i nazisti? (Zinoviev Club, Oleg Nazarov – 4.5.2015)
Piu di 75 anni fa, il 23 agosto 1939, venne firmato uno dei più famosi documenti diplomatici nella storia dell'umanità, il Patto sovietico-tedesco di non aggressione...
http://it.sputniknews.com/mondo/20150504/339043.html
oppure https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8380


Due novità in libreria:

1) Stalin: Opere scelte - vol. I

2) Grover Furr: Kruschev mentì (Presentazione di Domenico Losurdo)

Napoli: Ed. La Città del Sole, 2015
Distribuzione Messaggerie Libri 
INFO: info@...


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ORIG.: Stalin and the geopolitics of historical revisionism (October 28, 2015 - Albert Naryshkin, PolitRussia)



Stalin e la geopolitica del revisionismo storico

Albert Naryshkin, PolitRussia, 28 ottobre 2015 – Fort Russ

Tra pace e guerra: la questione Stalin
Non sarebbe superfluo ripetere che il mondo è oggi di fronte la minaccia di una grande guerra, ben oltre contraddizioni parrocchiali come Ucraina, Medio Oriente e periodiche incomprensioni nel Mar Cinese Meridionale. Come è noto, la guerra è la politica con altri mezzi. E la politica della guerra mondiale in qualsiasi momento, come nel nostro tempo, consiste nella massa critica di influenti attori globali che cessa di mantenere l’ordine mondiale stabilito. I giganti indeboliti non rinunciano ai propri privilegi e i nuovi arrivati che acquistano slancio non possono migliorare status ed autorità senza combattere.
Vecchie regole
Il problema, o meglio, il segno dei nostri tempi è che viviamo ancora nel mondo di Jalta-Potsdam, lo stesso mondo che i Paesi vincitori della seconda guerra mondiale hanno creato, le cui regole hanno scritto, e le cui frontiere letteralmente e in senso figurato hanno delineato. Quindi, puntano verso questo nuovo ordine mondiale. E’ vero che dopo che i sistemi coloniali inglese e francese furono smantellati, Unione Sovietica e Stati Uniti li ereditarono, ma il resto del mondo non è cambiato molto. Il sistema di Bretton Woods e il dollaro come valuta di riserva sono rimasti, insieme a parità nucleare, limitazione della sovranità di Giappone e Germania, e mantenimento da parte della Russia di uno status elevato, anche dopo il crollo dell’URSS. Germania e Giappone, tra le principali potenze mondiali, sono già stufe della situazione. Molti vorrebbero ridurre status e autorità della Russia, ma gli Stati Uniti vogliono essere ufficialmente i leader mondiali. De jure, per così dire, e non solo de facto. La situazione dell’Asia, liberata da colonialismo e drammaticamente ferita, è stata quasi ignorata nel vecchio sistema. Dopo la guerra per l’eredità dell’Unione Sovietica, i Paesi del Patto di Varsavia furono in guerra per le repubbliche ex-sovietiche. Così, nel 1997, l’Atto istitutivo sulle relazioni reciproche Russia-NATO, in cui i Paesi dell’alleanza dichiaravano di non avere alcuna intenzione di schierare grandi contingenti militari sul territorio dei nuovi membri dell’alleanza, fu firmato. Ma dopo il vertice del Galles nel 2014, la NATO ha deciso di non rispettarlo.
Sull’orlo della guerra
Una lunga lista di contraddizioni globali e regionali può essere stilata. In realtà, le parole “siamo sull’orlo della guerra” sono piuttosto riduttive della situazione reale. Il potenziale militare di Russia e Stati Uniti non ha precedenti nella storia del mondo, e ancora oggi ciò ci tiene “sulla soglia”, e in ogni caso la guerra è già da tempo iniziata, e mai finita. Tutta la nostra vita tranquilla è una vita di debiti. Tutto il nostro benessere è a credito. Ne consegue che il tributo sarà pagato da coloro che vogliono vedere il mondo così com’è, senza lenti rosa. Se le contraddizioni non vengono risolte, la guerra inizierà comunque, non dobbiamo pensare che qualcuno possa abbandonare i propri arsenali nucleari. In realtà, le esercitazioni della NATO sul territorio europeo in questo momento riguardano direttamente scenari di guerra con la Russia in questi Paesi. Leggendo queste righe e torcendosi le mani, si potrebbe esclamare: “Che sciocchezze! Beh, ‘inverno nucleare!’ Distruzione reciproca””. I militari in questo momento già lavorano sugli scenari reali di questa guerra, che “semplicemente non può scoppiare”. Tra l’altro, prima dell’inizio della seconda guerra mondiale, la maggior parte dei Paesi più forti aveva enormi scorte di armi chimiche, più efficaci di quelle attuali. E come sappiamo, semplicemente non furono utilizzate. Firmarono capitolazioni e si arresero all’occupazione, ma (queste armi) semplicemente non furono utilizzate. Non ne consegue che non saranno utilizzate le armi nucleari, ma a giudicare dall’esperienza storica, è possibile.
Il motivo
I risultati della seconda guerra mondiale furono alla base dell’ordine mondiale esistente, e coloro che cercano di distruggerlo sono coloro che di questo ordine mondiale non sono contenti, in un modo o nell’altro. Sì, parliamo della famigerata “revisione dei risultati della seconda guerra mondiale”, che tutto l'”occidente civilizzato” afferma incessantemente essere inaccettabile, e in ciò s’è impegnato costantemente negli ultimi venti anni. L’esperto di relazioni internazionali, il politologo Aleksej Fenenko, dice: “L’amministrazione Clinton ha proclamato il concetto dell'”espansione della democrazia”, l’accettazione dei Paesi ex-socialisti e delle repubbliche dell’ex-Unione Sovietica (tranne la Russia) nelle istituzioni transatlantiche comuni. Gli statunitensi, in tal modo, si assicurano i risultati geopolitici del crollo del Patto di Varsavia e dell’URSS. Questo fu sostenuto da un segmento dell’élite di quei Paesi che sostenevano il massimo distacco dalla Russia. Ecco perché la diplomazia statunitense chiude un occhio alla rinascita di movimenti nazionalisti e anche apertamente filo-fascisti negli Stati baltici, Ucraina e Georgia: per la Casa Bianca la cosa principale è ridurre l’influenza russa nell’ex-blocco sovietico“. In tale ragionamento ovvio c’è un’ulteriore verità: una nuova percezione della seconda guerra mondiale si assesta nella coscienza delle masse, in cui la Russia svolge il ruolo dell’aggressore, nonostante il fatto che fummo vittime di un’aggressione. S’insegna diligentemente che la guerra con l’Unione Sovietica e la collaborazione con l’esercito nazista in quella guerra furono buone e giuste. E’ lecito sfidare le sentenze dei processi di Norimberga e tenere parate dei veterani delle SS. L’occidente ha bisogno semplicemente di un motivo per ridurre lo status della Russia, giustamente meritato dai risultati della seconda guerra mondiale. Per farlo, le interpretazioni gesuitiche dei fatti storici e la menzogna totale, impregnate dal silenzio totale su molti lerci episodi della politica europea di questi anni, vengono diffuse. Ma il ruolo principale qui è la demonizzazione dell’URSS e di Stalin quale leader nel periodo precedente e successivo la guerra.
Come sono arrivati a paragonare Stalin e Hitler
Qui si arriva al punto chiave: l’era di Stalin e la valutazione degli eventi che ebbero luogo in quel momento. Abbiamo a lungo e con affetto creduto che fu proprio questo il nostro problema interno, valutando figure e fatti storici, traendo conclusioni, monumenti e nomi delle strade. Sembra che non valga neanche la pena di scriverne. Ma! La verità dietro le cose di solito è molto più interessante. Ecco cosa ha detto Aleksej Fenenko sulle conseguenze globali di tali decisioni: “La legittimità del moderno ordine mondiale è legata ai risultati della seconda guerra mondiale. Se i Paesi occidentali perseguono la politica di eliminare il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nell’attuale composizione (e ci sono segni di ciò), allora è necessario crearne le basi ideologiche. Perché il tema dello stalinismo, anche se Stalin morì a metà del secolo scorso, è così popolare in occidente? Perché è la base per trasformare le Nazioni Unite. Se per un momento si ammette che “Stalin e Hitler erano ugualmente responsabili della guerra”, allora la questione viene immediatamente sollevata: cosa esattamente ci fa la Russia nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite? In Germania e in Giappone, credo, un’altra questione si pone, la mera questione dell’esistenza o meno dei confini organizzati dal solo Stalin“. E poi si trae tale conclusione dall’analisi politica del problema: “Qualcosa di molto simile già successe nella storia. Nel 19° secolo, non meno di una frattura fu causato dalla figura di Napoleone Bonaparte. L’imperatore battuto fu adorato e fortemente romanzato in Francia, Paese che volle rivedere i risultati del Congresso di Vienna del 1815. I movimenti nazionali idolatravano Bonaparte, tra cui, polacchi ungheresi irlandesi ed italiani che non avrebbero avuto la possibilità di creare i propri Stati senza nuovi fermenti in Europa. E viceversa le potenze vincitrici, Russia, Gran Bretagna e Austria, non gradivano Bonaparte. Il punto non era nemmeno Napoleone, ma piuttosto le controversie sulla necessità di rivedere i risultati del Congresso di Vienna. Oggi sentiamo un pericolo simile provenire dalle dispute sullo stalinismo e l’inizio della seconda guerra mondiale: non parliamo di Stalin in quanto tale, ma della trasformazione del Consiglio di sicurezza dell’ONU a svantaggio oggettivo della Russia”.
Diplomazia
Le relazioni internazionali contemporanee sono caratterizzate da un’attività senza precedenti dei principali attori nella dinamica vita attiva. Ciò è dimostrato da sorprendente impegno e, in altri casi, da incredibile flessibilità. Il punto è che nella maggior parte delle capitali non s’è dimenticato che tipo di “gioia” sia la guerra mondiale, e cercano di evitarla. Ciò distrugge vecchie alleanze e ne crea di nuove, del tutto inaspettate, come ad esempio la convergenza tra monarchie arabe e Mosca e il netto peggioramento delle loro relazioni con Washington. La famosa mossa in cui i capi di quattro di tali Stati non parteciparono a una cena pianificata con Obama, è più che eloquente. Mentre le guerre regionali già cominciano a diffondersi in molte parti del mondo, e i nostri “partner” d’oltremare sono troppo felici di soffiare sul fuoco, Europa continentale (il Regno Unito, a tal proposito, cessa di appartenere all’Europa), Medio Oriente e Asia cercano di uscire da questa situazione. Perché non iniziare a vendere il nostro petrolio in rubli? Perché non traduciamo i nostri calcoli in yuan cinese? Perché non lasciamo il Consiglio d’Europa? Perché non fare più stupide ma efficaci manovre populiste? Perché ognuno capisca che, da un lato gli Stati Uniti semplicemente non rinunciano a dollaro come moneta mondiale, sistema di Bretton Woods e predomino nel FMI e altre organizzazioni senza una guerra, una vera e propria guerra calda. Dall’altra tutti possono vedere che il corso oggettivo della storia mondale alimenta i problemi interni degli Stati Uniti, gradualmente minandone il potere e, quindi riducendo con il passare del tempo la capacità di scatenare una grande guerra a proprio vantaggio. In tale situazione, Stalin è molto più di un paio di capitoli di un libro di storia. I numeri della “destalinizzazione”, la “riabilitazione” e altre questioni che con insistenza ci vengono imposte dall’occidente vanno considerati non solo piccoli ritocchi sui temi per stabilire la verità storica, ma come i nostri “cari soci” pensano, sono l’arma più forte nel grande gioco geopolitico che con inaudita ferocia si svolge sul pianeta.

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora


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www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 15-09-09 - n. 286

 
Stalin, il nazismo e la guerra
 
di Domenico Losurdo
 
(da Stalin. Storia e critica di una leggenda nera, Carocci, Roma 2008)
 
Nella gara per giungere ad un compromesso o ad un’intesa col nuovo regime insediatosi a Berlino, Stalin arriva decisamente ultimo. E’ del 20 luglio 1933 il Concordato tra la Germania e la Santa Sede, che garantisce la fedeltà dei cattolici tedeschi al nuovo «governo formatosi in conformità alla Costituzione» (verfassungsmässig gebildete Regierung): un riconoscimento che avviene a poca distanza di tempo dal varo delle leggi eccezionali, col ricorso al terrore, e dall’emergere dello Stato razziale, con le prime misure a carico dei funzionari di «origine non ariana». Due settimane prima si era sciolto il partito cattolico del Zentrum, i cui militanti si erano impegnati a fornire «positiva collaborazione» al «fronte nazionale diretto dal signor Cancelliere del Reich» [1]. Per quanto riguarda il mondo protestante, non bisogna dimenticare che i Deutsche Christen si schierano a favore di Hitler già subito dopo il suo avvento al potere, e assumono tale posizione adattando il cristianesimo alle esigenze del Terzo Reich, rileggendo la Riforma protestante in chiave nazionalistica e persino razzistica, per teorizzare una Chiesa fusa con la «comunità popolare» tedesca e fondata sul «riconoscimento della diversità dei popoli e delle razze come un ordinamento voluto da Dio» [2].
 
A dar prova di analoga prontezza nel cercare i favori dei nuovi governanti è anche il movimento sionista. L’organo di quest’ultimo, la «Juedische Rundschau», rimasto sostanzialmente immune dall’ondata di divieti e di persecuzioni che colpisce la stampa tedesca subito dopo l’incendio del Reichstag, poche settimane dopo, il 7 aprile 1933, chiama sionisti e nazisti ad essere «onesti partner». Il tutto sfocia nel 1935 nell’accordo di «trasferimento» in Palestina di 20.000 ebrei, autorizzati a portare con sé quasi 30 milioni di dollari, con un forte impulso alla colonizzazione e al processo che avrebbe poi condotto alla formazione dello Stato di Israele [3]. Più tardi, reagendo all’accordo di «trasferimento», anche il gran muftì di Gerusalemme cerca di ingraziarsi Hitler. Passiamo ora ai partiti politici schierati all’opposizione. «Assai debole» è il discorso pronunciato dal deputato socialdemocratico Otto Wels, in occasione della seduta del Reichstag che concede poteri straordinari a Hitler [4]. A mettere in guardia e ad organizzare la resistenza contro la barbarie ormai al potere è in primo luogo il partito comunista e «staliniano».
 
Il 1935 è anche l’anno in cui viene stipulato l’accordo navale tra Gran Bretagna e Terzo Reich. Intervenendo dopo l’avvio di un febbrile riarmo e la reintroduzione in Germania del servizio militare obbligatorio, esso alimenta le speranze di Hitler di poter giungere ad un’intesa strategica col riconoscimento della preminenza navale della Gran Bretagna e il rispetto reciproco dei due grandi imperi «germanici»: quello britannico d’oltremare e quello continentale tedesco, da edificare con la colonizzazione dell’Est europeo e l’assoggettamento degli slavi. Giustamente si è parlato a tal proposito di «cinico atteggiamento» del governo di Londra, che dà l’impressione di avallare un programma infame, già enunciato a chiare lettere nel Mein Kampf [5]. Non stupiscono le crescenti preoccupazioni di Mosca, la forte irritazione di Parigi [6] e la gioia incontenibile di Hitler, che può così celebrare quello che egli definisce il suo «giorno più felice» [7].
 
Ancora più inquietante è il ruolo della Polonia. Com’è stato osservato, essa diventa «nel suo complesso subalterna alla politica tedesca» a partire dalla firma del patto decennale di non aggressione con la Germania il 26 gennaio 1934. L’anno dopo il ministro degli Esteri Beck dichiara al suo vice: «ci sono due formazioni politiche indubbiamente condannate a scomparire, l’Austria e la Cecoslovacchia» [8]. Chiara è la consonanza col programma di Hitler, e non si tratta solo di parole: «L’ultimatum col quale la Polonia chiedeva alla Cecoslovacchia la restituzione di Teschen indusse definitivamente Beneš, secondo quel che egli stesso raccontò, ad abbandonare ogni idea di opporsi alla sistemazione di Monaco. La Polonia era stata fino a quel momento uno sciacallo più utile per la Germania all’Est di quanto non lo fosse stata l’Italia nel Mediterraneo». La Conferenza di Monaco non segna la fine della collaborazione del governo di Varsavia col Terzo Reich: «Se veramente Hitler aspirava a metter piede in Ucraina, doveva passare per la Polonia; e nell’autunno del 1938 questa non sembrava affatto una fantasia politica» [9]. Sembra persino esserci l’incoraggiamento di Varsavia. Nel gennaio dell’anno successivo, nel corso di un colloquio con Hitler, Beck dichiara: la Polonia «non attribuisce alcun significato al cosiddetto sistema di sicurezza»[10].
 
Stalin ha tutte le ragioni per essere preoccupato o angosciato. Prima della Conferenza di Monaco l’ambasciatore statunitense in Francia, William C. Bullit, aveva osservato che l’importante era di isolare il «dispotismo asiatico», salvando la «civiltà europea» da una guerra fratricida. Dopo il trionfo conseguito da Hitler un diplomatico inglese aveva annotato sul suo diario: «Dall’essere un pugnale puntato contro il cuore della Germania, la Cecoslovacchia è ora rapidamente trasformata in un pugnale contro gli organi vitali della Russia» [11]. In occasione della crisi sfociata nella Conferenza di Monaco, l’Urss era stato l’unico paese a sfidare il Terzo Reich e a confermare il suo appoggio al governo di Praga, mettendo in stato d’allerta più di settanta divisioni. Successivamente, dopo lo smembramento della Cecoslovacchia completato dal Terzo Reich nel marzo 1939, Mosca aveva inoltrato una dura nota di protesta a Berlino [12]. Ben più “composta” era stata la reazione delle altre capitali. E dunque: gli aggressori nazifascisti avevano divorato successivamente l’Etiopia, la Spagna, la Cecoslovacchia, l’Albania e in Asia la Cina, grazie alla complicità diretta o alla passività delle potenze occidentali, inclini ad indirizzare verso il paese scaturito dalla rivoluzione d’ottobre le ulteriori ambizioni e mire espansionistiche del Terzo Reich; ad Est l’Unione sovietica avverte la pressione esercitata dal Giappone sulle frontiere orientali. Si profila così il pericolo di invasione e di guerra su due fronti: solo a questo punto che Mosca comincia a muoversi in direzione del patto di non aggressione con la Germania, prendendo atto del fallimento della politica dei fronti popolari.
 
Portata avanti da Stalin con convinzione e decisione, la politica dei fronti popolari era costata non poco. Essa aveva rafforzato l’opposizione e l’agitazione trotskista in particolare nelle colonie: che credibilità poteva avere un anticolonialismo che risparmiava – così suonava l’accusa – le principali potenze coloniali del tempo, per concentrare il fuoco su un paese, la Germania, che a Versailles aveva perso anche le poche colonie prima possedute? Soprattutto, per gli stessi popoli coloniali era difficile accettare la svolta. L’Inghilterra era largamente screditata. Nella primavera del 1919 essa non solo si era resa responsabile del massacro di Amritsar, che era costato la vita a centinaia di indiani inermi, ma aveva fatto ricorso a «pubbliche fustigazioni» e a una de-umanizzante punizione collettiva e una terribile umiliazione nazionale e razziale, con l’obbligo per gli abitanti della città «di doversi trascinare a quattro zampe per tornare a casa od uscirne» [13]. Più tardi, mentre divampa la seconda guerra mondiale, il governo imperiale reprime le manifestazioni indipendentiste, mitragliandole dall’alto con l’aviazione (infra, cap. VI, § 4). Sono gli anni in cui Gandhi afferma: «In India abbiamo un governo hitleriano, sia pure camuffato in termini più blandi». E ancora: «Hitler è stato “il peccato della Gran Bretagna”. Hitler è solo la risposta all’imperialismo britannico» [14]. Anzi, a guerra ormai conclusa, Gandhi si spingerà sino a rendere omaggio a Subhas Chandra Bose che, pur di conseguire l’indipendenza, aveva combattuto a fianco dell’Asse: «Subhas era un grande patriota e ha dato la vita per il bene del paese» [15].
 
In conclusione: non era stato facile per l’Urss far passare l’idea che, nonostante le apparenze, anche per i popoli delle colonie il pericolo principale era pur sempre costituito dalla coalizione nazi-fascista, dall’asse Germania-Giappone-Italia, e in particolare dal Terzo Reich, deciso a riprendere e radicalizzare la tradizione coloniale, facendo ricorso anche a mezzi estremi. Per paesi come l’Inghilterra e la Francia la politica dei fronti popolari comportava dei costi assai più ridotti, e tuttavia essi l’avevano sabotata. A questo punto l’Urss non aveva altra scelta che l’intesa con la Germania, una mossa che è stata definita come «un’improvvisazione dell’ultimo minuto, drammatica», a cui Mosca fa ricorso in mancanza di altre alternative, «all’immediata vigilia di una nuova guerra europea» [16].
 
Si verifica così una svolta, che viene in genere valutata con lo sguardo rivolto esclusivamente all’Europa. Ma non c’è motivo per ignorare le ripercussioni in Asia. Mao Zedong esprime la sua soddisfazione: «Il patto rappresenta un colpo per il Giappone e un aiuto per la Cina», in quanto «dà maggiori possibilità all’Unione sovietica» di appoggiare «la resistenza della Cina contro il Giappone» [17]. Proprio per questa ragione il governo giapponese considera «proditorio e imperdonabile» il comportamento di Berlino [18]. In effetti, assai consistente è il flusso di armi e munizioni russe in direzione della Cina. Ben diverso è l’atteggiamento dell’Occidente:
 
«E’ una macchia nel gran libro della storia l’indifferenza con la quale l’Europa e l’America, mostrando di non avere chiara nozione della realtà, si astennero dal compiere spontaneamente il minimo sforzo per sbarrare la strada ai fascisti di Tokyo; non solo, ma quel che è peggio, gli Stati Uniti continuarono a inviare in Giappone petrolio e benzina fin quasi al grande attacco a Pearl Harbor»[19].
 
Lasciamo ora da parte l’Asia per concentrarci sull’Europa. La diffidenza reciproca tra Unione sovietica e Terzo Reich e la preparazione di entrambi allo scontro frontale non sono mai dileguate neppure durante i mesi del patto di non aggressione. Ancora prima della firma, parlando con l’alto commissario della Società delle nazioni a Danziga, Hitler charisce:
 
«Tutto ciò che io intraprendo è rivolto contro la Russia. Se l’Occidente è troppo stupido e cieco per capirlo, sarò costretto a raggiungere un’intesa con i Russi e a battere poi l’Occidente, in modo che dopo la sua sconfitta io possa rivolgermi contro l’Unione sovietica con tutte le forze da me riunite» [20].
 
A giudicare da questo brano, obiettivo costante del Führer è la costruzione di un’alleanza occidentale a guida tedesca per l’abbattimento dell’Unione sovietica; se questa alleanza non si riesce a stipulare con un’intesa preventiva, allora non resta che imporla ai partner recalcitranti dopo averli sconfitti; l’intesa transitoria con Mosca è solo un espediente per conseguire la vittoria e realizzare in tal modo l’alleanza occidentale necessaria per la definitiva resa dei conti col bolscevismo. Il patto di non aggressione è strumentale al conseguimento dell’obiettivo principale e permanente del Terzo Reich, che scatena l’operazione Barbarossa presentandola come una crociata per l’Europa alla quale sono chiamati a contribuire e in effetti contribuiscono, in varia misura e con risorse umane o materiali, paesi e popoli europei.
 

[1] Ruge, Schumann 1977, p. 50. 
[2] In Kupisch 1965, pp. 256-58. 
[3] Losurdo 2007, cap. V, § 1. 
[4] Hitler 1965, p. 238 (così si esprime il curatore). 
[5] Shirer 1974, p. 453. 
[6] Baumont 1969, p. 161. 
[7] Riportato in Goebbels 1992, p. 867 (nota 22 del curatore). 
[8] Baumont 1969, pp. 92-93 e 281. 
[9] Taylor 1996, p. 259. 
[10] Wolkogonow 1989, p. 468. 
[11] In Gardner 1993, pp. 36 e 44. 
[12] Wolkogonow 1989, pp. 465 e 460. 
[13] Brecher 1965, pp. 89-90. 
[14] Gandhi 1969-2001, vol. 80, p. 200 (Answers to Questions, 25 aprile 1941) e vol. 86, p. 223 (intervista a Ralph Coniston dell’aprile 1945). 
[15] Gandhi 1969-2001, vol. 98, p. 293. 
[16] Roberts 2006, p. 5. 
[17] Mao Zedong 1969-75, vol. 2, pp. 271 e 275. 
[18] Coox 1990, pp. 898 e 900. 
[19] Romein 1969, p. 261. 
[20] In Nolte 1987, pp. 313-14.


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ORIG.: Untold Story of Molotov-Ribbentrop Pact (23.08.2015 – Ekaterina Blinova)
The Molotov-Ribbentrop pact, inked by the USSR and Nazi Germany on August 23, 1939, is now used by Western "experts" and mainstream media to accuse the Soviet Union of "colluding" with Hitler and "betraying" his would be French and British allies, but evidence suggests otherwise...
http://sputniknews.com/politics/20150823/1026098760/molotov-ribbentrop-pact-untold-story.html


https://aurorasito.wordpress.com/2015/09/01/la-storia-mai-raccontata-del-patto-molotov-ribbentrop/

La storia mai raccontata del Patto Molotov-Ribbentrop


EKATERINA BLINOVA SPUTNIK, 25/08/2015
Il patto Molotov-Ribbentrop, firmato da Unione Sovietica e Germania nazista il 23 agosto 1939, è ora utilizzato da “esperti” e media occidentali er accusare l’Unione Sovietica di “collusione” con Hitler e “tradimento” degli alleati francese e inglesi, ma le prove suggeriscono il contrario.

Il 23 agosto 1939 Unione Sovietica e Germania nazista stipularono un trattato di non aggressione, noto anche come patto Molotov-Ribbentrop; il documento fa scattare ancora un aspro dibattito spingendo l’occidente ad accusare l’URSS di “collusione” con Hitler alla vigilia della seconda guerra mondiale. Inoltre, dal 2008, questo giorno viene segnato nei Paesi europei come “Giornata europea di commemorazione delle vittime dello stalinismo e del nazismo”. “E’ un evento annuale (23 agosto), atteso con ansia dai propagandisti russofobi occidentali, per ricordarci del ruolo iniquo sovietico nell’avviare la seconda guerra mondiale. Oggi, naturalmente, quando i media dicono “sovietico”, vogliono che si pensi alla Russia e al suo presidente Vladimir Putin. I “giornalisti occidentali non sanno decidersi su Putin: a volte è un altro Hitler, a volte un altro Stalin“, dice il professor Michael Jabara Carley dell’Università di Montreal in un articolo per Strategic Culture Foundation. Curiosamente, “esperti” e mass media occidentali tacciono sul fatto che la maggior parte delle potenze europee firmò trattati simili con Adolf Hitler prima dell’Unione Sovietica.
La Grande Alleanza che non ci fu
Ad esempio, la Polonia, “vittima” dichiarata del patto di non aggressione sovietico-germanico, firmò un patto di non aggressione con la Germania nazista il 26 gennaio 1934. “Negli anni ’30 la Polonia ebbe un ruolo cruciale. Era una semi-dittatura di estrema destra, antisemita e vicina al fascismo. Nel 1934, mentre l’URSS lanciava l’allarme su Hitler, la Polonia firmava il patto di non aggressione con Berlino. Chi ha pugnalato alla schiena chi?” Carley si chiede retoricamente. Accusando l’URSS di prendersi territori della “Polonia” (quando alcun Stato polacco esisteva più dopo l’invasione tedesca del 1° settembre, 1939) alcuni storici occidentali ancora dimostrano una peculiare forma di amnesia, dimenticando che questi territori, Ucraina e Bielorussia occidentali, furono annessi dalla Polonia durante la guerra sovietico-polacca (1919-1921). La guerra fu scatenata unilateralmente da Varsavia contro l’URSS lacerata e devastata dalla guerra civile. In generale, l’URSS si riprese il suo territorio, con l’eccezione di un frammento di Bucovina, preso da altri attori europei durante il caos della rivoluzione del 1917 e della guerra civile del 1920, osserva la storica, politica e diplomatica russa Natalija Naroshnitskaja nel suo libro “Chi stavamo combattendo e per cosa”. “Fino al 1939, la Polonia fece di tutto per sabotare gli sforzi sovietici per costruire un’alleanza antinazista, basata sulla coalizione antitedesca della Prima Guerra Mondiale tra Francia, Gran Bretagna, Italia e dal 1917 Stati Uniti… Nel 1934-1935, quando l’Unione Sovietica cercò un patto di mutua assistenza con la Francia, la Polonia tentò di ostacolarla“, ha sottolineato Carley. E Gran Bretagna e Francia? Sorprendentemente, negli anni ’30 né Londra, né Parigi si affrettarono ad unirsi alla coalizione anti-tedesca dell’URSS. Carley sottolinea il fatto che Maksim Litvinov, il commissario sovietico per gli Affari Esteri sostenuto dal leader sovietico Josif Stalin, “per primo concepì la ‘Grande Alleanza’ contro Hitler“. Tuttavia “la coalizione di Litvinov divenne la grande alleanza che non ci fu“.
Congiurando con Hitler: le élites europee si affidano ai nazisti
Gli storici concordano sul fatto che le élite conservatrici europee vedevano in Adolf Hitler un “male” minore della Russia sovietica. Inoltre, secondo l’economista statunitense Guido Giacomo Preparata, per le istituzioni inglesi e statunitensi il nazismo era una forza trainante in grado di smantellare l’Unione Sovietica, finendo ciò che fu avviato dalla prima guerra mondiale, la completa dissoluzione dell’ex-impero russo. “A Churchill, (Stanley) Baldwin (primo ministro del Regno Unito) così riassunse nel luglio 1936: ‘Se c’è una lotta in Europa da fare, vedrei i bolscevichi (bolscevichi) e nazisti farla'”, ha scritto Preparata nel suo libro “Congiurando con Hitler: come Gran Bretagna e USA crearono il Terzo Reich“. Nel frattempo, le élite europee e statunitensi non erano solo disposte a creare eventuali alleanze contro l’Unione Sovietica, ma anche finanziarono l’economia della Germania nazista, favorendo la costruzione della macchina da guerra nazista. La prestigiosa industria bellica inglese Vickers-Armstrong fornì armi pesanti a Berlino, mentre le aziende statunitensi Pratt&WhitneyDouglasBendix Aviation, per citarne solo alcune, rifornirono aziende tedesche, BMW, Siemens e altre, di brevetti, segreti militari e avanzati motori aerei, sottolinea Preparata.
Il tradimento di Monaco del 1938
Conclusione di tale gioco fu l’accordo di Monaco firmato dalle maggiori potenze d’Europa (Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia) escludendo Unione Sovietica e Cecoslovacchia, il 30 settembre 1938, permettendo alla Germania nazista di annettersi le regioni di confine settentrionali e occidentali della Cecoslovacchia. Imbarazzanti i documenti d’archivio inglesi pubblicati nel 2013 che denuncino come il Regno Unito non solo tradì la Cecoslovacchia, consentendo a Hitler d’invaderla, ma anche come volontariamente consegnò 9 milioni di dollari d’oro appartenenti alla Cecoslovacchia alla Germania nazista. I lingotti d’oro cecoslovacchi furono immediatamente inviati a Hitler nel marzo 1939, quando prese Praga. Il tradimento di Monaco di Baviera del 29-30 settembre 1938 è la data effettiva dell’inizio della seconda guerra mondiale, dice il direttore del Centro per gli Studi russi dell’Università di Lettere di Mosca e storico e pubblicista dell’Istituto di analisi dei sistemi strategici Andrej Fursov, citando la lettera di Churchill al maggiore Ewal von Kleist, membro del gruppo della resistenza tedesco ed emissario dello Stato Maggiore tedesco, poco prima dell’occupazione di Hitler della Cecoslovacchia: “Sono sicuro che la violazione della frontiera cecoslovacca di eserciti e aerei tedeschi porterà a una nuova guerra mondiale… Tale guerra, una volta iniziata, verrebbe combattuta come l’ultima (prima guerra mondiale) ad oltranza, e va considerato non ciò che potrebbe accadere nei primi mesi, ma dove saremo tutti alla fine del terzo o quarto anno“. E non è tutto. Per quanto incredibile possa sembrare, il governo inglese in realtà impedì un complotto contro Adolf Hitler nel 1938. Un gruppo di alti ufficiali tedeschi programmava di arrestare Hitler al momento di ordinare l’attacco alla Cecoslovacchia. Inspiegabilmente, la dirigenza politica inglese non solo rifiutò di aiutare la resistenza, ma ne rovinò i piani. Nel suo saggio “Il nostro miglior cambio di regime del 1938: Chamberlain ‘perse il treno’?“, l’autore inglese Michael McMenamin narra: “non c’è dubbio storico che la resistenza tedesca abbia ripetutamente avvertito gli inglesi sull’intenzione di Hitler di invadere la Cecoslovacchia nel settembre 1938… In risposta, tuttavia, il governo Chamberlain fece ogni passo diplomatico possibile… minando l’opposizione a Hitler“. Qualunque sia la motivazione di Chamberlain, invece di allarmare sull’aggressione di Hitler all’Europa, il 28 settembre 1939 “propose al (Fuhrer) una conferenza tra Gran Bretagna, Germania, Cecoslovacchia, Francia e Italia in cui Chamberlain assicurò Hitler che la Germania poteva ‘avere tutte le risorse essenziali senza guerra e senza indugio'”, scrive McMenamin citando documenti ufficiali e aggiungendo che Chamberlain chiuse un occhio sul fatto che la Germania escludesse la Cecoslovacchia dalla conferenza. Dopo che le quattro potenze decisero di accettare l’occupazione tedesca di Sudeti della Cecoslovacchia, prima di qualsiasi plebiscito e costringendo i cechi ad accettarla, Chamberlain e Hitler firmarono l’accordo di non aggressione anglo-tedesca, sottolinea l’autore. È interessante notare che, narra il professor Carley, durante la crisi cecoslovacca la Polonia (l’aspirante “vittima” del patto Molotov-Ribbentrop) si chiese se “Hitler ottiene i territori dei Sudeti, la Polonia dovrebbe avere il distretto di Teschen (in Cecoslovacchia). In altre parole, se Hitler si prende il bottino, noi polacchi ne vogliono uno“. Quindi, chi colluse con chi? Chi erano i traditori?
Perché l’occidente demonizza il patto Molotov-Ribbentrop?
Secondo Andrej Fursov, a Monaco di Baviera le quattro potenze crearono un “blocco proto-NATO” contro l’URSS. Il complesso industriale della Cecoslovacchia doveva facilitare la crescita della potenza militare tedesca e garantirne la capacità di scatenare una grande guerra contro i “bolscevichi” in Oriente, al fine di estendere il Lebensraum tedesco. E le élite europee erano interessate a tale guerra, che avrebbe esaurito Germania e Russia. Alla luce di ciò, l’unica mossa per minare questo piano e rimandarne la realizzazione fu concludere un simile patto di non aggressione tra URSS e Germania. Inoltre, il ritardo aiutò l’Unione Sovietica ad accumulare risorse al fronte per l’invasione inevitabile da occidente. Michael Jabara Carley cita Winston Churchill, allora Primo Lord dell’Ammiragliato, che disse il 1° ottobre 1939, in un’intervista all’emittente nazionale inglese, che l’azione sovietica “era chiaramente necessaria per la sicurezza della Russia contro la minaccia nazista“. Perché allora l’occidente fa ogni sforzo per demonizzare il trattato di non aggressione sovietico-tedesco, il patto Molotov-Ribbentrop? Il professor Carley nota che sia un vano tentativo di banalizzare i gravi errori nell’Europa degli anni ’30, vale a dire l’incapacità (o non volontà?) di arrestare l’avanzata della Germania nazista e di creare un’alleanza anti-hitleriana nei primi anni ’30. “Oggi i governi occidentali e i giornalisti da essi ‘ispirati’, se si possono chiamare giornalisti, non si badano agli argomenti ‘tendenziosi’ quando si tratta d’infangare la Federazione Russa. Tutto è permesso. Dovremmo lasciarli equiparare il ruolo di URSS e Germania nazista nell’avvio della seconda guerra mondiale? Certamente no. Fu Hitler che voleva la guerra, e francesi e inglesi, in particolare questi ultimi, più volte ne furono strumento rifiutando le proposte sovietiche sulla sicurezza collettiva e spingendo la Francia a fare lo stesso“, osserva il professor Carley.

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

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ORIG.: Who Controls the Past Controls the Future: Why Does West Hate Stalin? (25.08.2015 – Ekaterina Blinova)
On August 23 Europe marked a so-called "European Day of Remembrance for Victims of Stalinism and Nazism" coinciding with the date of the signing of the Molotov-Ribbentrop Pact; one of the purposes of this "day of remembrance" is to equate Stalin with Hitler, the USSR with Nazi Germany, Professor Grover Carr Furr told Sputnik...
http://sputniknews.com/politics/20150825/1026165590/why-does-west-hate-stalin.html


http://sputniknews.com/politics/20150825/1026165590/why-does-west-hate-stalin.html

Perché l’occidente odia Stalin?

EKATERINA BLINOVA SPUTNIK 25/08/2015

Il 23 agosto l’Europa ha imposto la cosiddetta “Giornata europea di commemorazione delle vittime dello stalinismo e del nazismo”, in coincidenza con la data della firma del patto Molotov-Ribbentrop; scopo di tale “giorno della memoria” è equiparare Stalin a Hitler, l’URSS alla Germania nazista, dice a Sputnik il Professor Grover Carr Furr. Attaccando e stigmatizzando l’Unione Sovietica, Stati Uniti ed alleati della NATO puntano alla Russia di oggi e alla sua leadership, che non è disposta ad inchinarsi all’occidente; in ogni caso, l’Unione Sovietica non ha mai fatto nulla di lontanamente paragonabile a ciò che i principali Paesi occidentali hanno fatto nel secolo scorso, Stati Uniti e NATO furono di gran lunga le potenze più aggressive e criminali nel mondo dalla Seconda Guerra Mondiale, dice lo storico statunitense Professor Grover Carr Furr della Montclair State University, a Sputnik. Illogica per quanto può sembrare, nonostante l’Unione Sovietica sia crollata decenni fa, la macchina della propaganda occidentale continua a diffamare la Russia sovietica; prima lo storico anglo-statunitense Robert Conquest e poi lo studioso statunitense Timothy Snyder hanno contribuito molto alla propaganda antisovietica e antirussa. “Perché c’è tanto odio verso Stalin e il comunismo? L’anticomunismo perché il comunismo è l’antitesi del capitalismo. E l’antistalinismo perché il periodo di Stalin dell’URSS fu il periodo in cui il movimento comunista mondiale agì molto bene. Inoltre, vi è antistalinismo e anticomunismo davanti per via delle atrocità del capitalismo e dell’imperialismo nel 20° secolo, che continuano ancor oggi“, ha osservato il Professor Furr.
Guerra fredda: gli storici occidentali dell’intelligence service
Il professore ha sottolineato che lo storico Robert Conquest (autore de “Il Grande Terrore: le purghe di Stalin negli anni ’30” deceduto il 3 agosto 2015) aveva lavorato per l’Information Research Department (IRD) inglese dalla creazione al 1956. L’IRD, originariamente chiamato Communist Information Bureau, fu fondato nel 1947, quando la guerra fredda iniziò. “Il compito principale era combattere l’influenza comunista nel mondo diffondendo storie tramite politici, giornalisti e altri in grado d’influenzare l’opinione pubblica”, ha spiegato il Professor Furr. Il lavoro di Conquest era contribuire alla cosiddetta “storia nera” dell’Unione Sovietica, ha osservato il professore, “in altre parole, diffondere storie false tra giornalisti e altri in grado d’influenzare l’opinione pubblica”. “Il suo libro Il Grande Terrore, testo anticomunista sul tema della lotta di potere in Unione Sovietica nel 1937, in realtà lo compilò quando lavorava per i servizi segreti. Il libro fu pubblicato con l’aiuto dell’IRD. La terza edizione fu opera della Praeger Press che pubblicava testi provenienti dalla CIA“, ha sottolineato il Professor Furr, che osserva che oggi Conquest rimane una delle più importanti fonti sull’Unione Sovietica degli storici anticomunisti e russofobi. La propaganda era mascherata da borsa di studio contro l’URSS e coordinata dai servizi segreti anglostatunitensi. Furr nota che Conquest riceveva periodicamente pesanti critiche da eminenti studiosi occidentali, che l’accusavano di “falsificazioni consapevoli” sull’Unione Sovietica. Infatti Conquest usò qualsiasi fonte ostile a Stalin e all’URSS, chiudendo un occhio sul fatto se fosse affidabile o meno. Inutile dire che lo storico anglo-statunitense Robert Conquest ha molti “seguaci”, soprattutto oggi, quando le relazioni russo-occidentali sono peggiorate enormemente. La palese falsificazione della storia è uno strumento tradizionale della guerra fredda che viene rivitalizzato. “Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato“, come George Orwell scrisse nel suo famoso libro “1984”. Non sorprende, però, che il discorso storico occidentale sia attualmente invaso dai miti politicizzati su URSS e Josif Stalin. Uno di coloro che infangano la Russia sovietica è Timothy Snyder, professore di Storia di Yale e autore di Bloodlands. Come Conquest, è un celebre autore occidentale lodato da liberali e destra statunitensi. Attaccando Stalin, Snyder cerca di convincere i lettori che Hitler non fosse peggiore, ma in un certo senso “migliore” del leader sovietico. Snyder si spinge a suggerire che “per assassinare degli ebrei (Olocausto), … Adolf Hitler dipendesse da Stalin (e dai suoi metodi)”, come il Professor David A. Bell ha osservato nella sua recente revisione di “Terra Nera” di Snyder per National Interest. Sorprendentemente, Snyder segue le orme di Conquest, il suo racconto si basa su fonti controverse, voci, semi-verità sempre ostili all’URSS, come il professor Furr ha denunciato nel suo libro “Bugie di sangue: la prova che ogni accusa contro Josif Stalin e l’Unione Sovietica su Bloodlands di Timothy Snyder è falsa“.
Patto Molotov-Ribbentrop: verità e bugie
La storia del patto Molotov-Ribbentrop del 1939 narrato da Snyder e altri storici anticomunisti è anche piena di presupposti errati. “Dicono che nel trattato Unione Sovietica e Germania nazista decisero di dividersi l’Europa. Questo è falso. Il trattato, in una clausola segreta, assegnava la Polonia orientale alla ‘sfera d’influenza sovietica’. Questo significava che quando l�

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SABATO 16 GENNAIO 2016
GIORNATA NAZIONALE DI MOBILITAZIONE CONTRO LA GUERRA
MANIFESTAZIONI NAZIONALI a ROMA (Piazza Esquilino) e MILANO (Piazza San Babila)


Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS aderisce ed invita ad aderire alle iniziative promosse nella giornata nazionale di mobilitazione indetta nel 25.mo Anniversario della aggressione occidentale e italiana contro l'Iraq, che fu momento topico dell'insanabile sfregio alla Costituzione repubblicana e prodromo di tutte le aggressioni successive, inclusa quella alla RF di Jugoslavia


1) INIZIATIVE IN TUTTA ITALIA VERSO IL 16 GENNAIO: ROVATO (BS), BOLOGNA, ROMA, TORINO, PISA...
2) TRIESTE, ROMA, MILANO... SABATO 16 GENNAIO: MOBILITAZIONE NAZIONALE CONTRO LA GUERRA
3) Il 16 gennaio le piazze gridino No alla guerra (Sergio Cararo)
4) Comunicato sul 25° Anniversario della Guerra del Golfo (Comitato promotore della campagna #NO GUERRA #NO NATO)


Vedi anche:

*** LUCIO MANISCO, DA NEW YORK PER SAMARCANDA IL 14 FEBBRAIO 1991
Un intervento del giornalista di Rai Tre che durante la Prima Guerra del Golfo per un verso godette di grande popolarità e per un altro verso suscitò furibonde polemiche a causa delle sue posizioni ritenute pregiudizialmente antiamericane e pacifiste...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=UAqzDZggilY ***

A TUTTE LE ORGANIZZAZIONI CHE RIFIUTANO LA GUERRA,  GLI INTERVENTI MILITARI DEL GOVERNO ITALIANO, IL MERCATO DELLE ARMI (Campagna EUROSTOP, 5 dicembre 2015)

Roma 16 gennaio 2016 IN PIAZZA CONTRO LA GUERRA

SANZIONI ALLA SIRIA: LE MANI INSANGUINATE DELL'ITALIA (F. Santoianni, 25 dic 2015)
Il crimine delle sanzioni alla Siria: una catastrofe umanitaria che nessuno vi racconta mentre si spargono lacrime di coccodrillo sui profughi della guerra (alimentata anche dall’Italia) che muoiono davanti alle nostre coste...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=eSrIjwVG5k0

La Notizia di Manlio Dinucci: 
BOTTI DI FINE ANNO: IL PIANO USA DI GUERRA NUCLEARE (29.12.2015)
LE 300 HIROSHIMA DELL’ITALIA (5.12.2015)
La potenza stimata delle nuove bombe nucleari Usa  B61-12, che stanno per essere schierate in Italia al posto delle B-61, equivale a quella di circa 300 bombe di Hiroshima 


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INIZIATIVE IN TUTTA ITALIA VERSO IL 16 GENNAIO:

*** ROVATO (BS), VENERDI' 8 GENNAIO
Assemblea NO guerra NO austerità

*** BOLOGNA, SABATO 9 GENNAIO 
ore 16.00, sala Quartiere Porto – Via dello Scalo 21
Assemblea cittadina
Prenotazioni pullman da Bologna: 349 492 5092 (Davide) - 328 66 75 326 (Letizia)

*** ROMA, MARTEDÌ 12 GENNAIO
Assemblea all'Università in preparazione della manifestazione del 16

*** TORINO, MARTEDÌ 12 GENNAIO
alle 17 presso il Campus Luigi Einaudi, Lungo Dora Siena 100, aula F3
Dibattito con Fulvio Scaglione (vicedirettore "Famiglia Cristiana"), Marco Santopadre (Contropiano.org). Introduce Piattaforma Eurostop Torino

*** PISA, MERCOLEDÌ 13 GENNAIO
alle 17:30 in Piazza XX settembre, di fronte al Comune di Pisa 
Presidio / Conferenza stampa 


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TRIESTE, sabato 16 gennaio 2016
alle ore 16 

Manifestazione in concomitanza con le manifestazioni nazionali contro le guerre di Roma e Milano


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ROMA e MILANO, 16 GENNAIO 2016 

MANIFESTIAMO CONTRO LA GUERRA E LA PARTECIPAZIONE ITALIANA ALLA GUERRA PER I DIRITTI DEI POPOLI E PER LA DEMOCRAZIA

25 ANNI DI GUERRA SONO DAVVERO TROPPI ORA BASTA!

BISOGNA FINALMENTE RISPETTARE L'ARTICOLO 11 DELLA COSTITUZIONE, L'ITALIA RIPUDI LA GUERRA E LE POLITICHE NEOCOLONIALI.

ESSERE NEUTRALI NELLA GUERRA E CONTRO LA GUERRA È IL SOLO MODO DI AGIRE PER FAR FINIRE LA GUERRA 

VOGLIAMO:

- Il ritiro immediato delle truppe e l'annullamento di tutte le missioni militari italiane in scenari di guerra. La cancellazione dell'acquisto degli F35 il taglio delle spese militari la fine dello sporco commercio delle armi.

- La fine degli interventi militari, dei bombardamenti, dell'ingerenza esterna e dell'ipocrita esportazione della democrazia. Invece della concorrenza tra i bombardieri è necessario un confronto politico che porti ad un accordo tra tutti gli stati coinvolti nella guerra in Medio Oriente, Solo così si isola è sconfigge il terrorismo Isis.

- La fine della NATO che non ha più alcuna giustificazione se non in una logica perversa di guerra mondiale e in ogni caso l'uscita da essa dell'Italia.

- La fine della politica coloniale d'Israele , la restituzione dei territori occupati a un stato libero di Palestina. L'autodeterminazione per il popolo curdo.

- Accoglienza e dignità per i rifugiati e i migranti.

PIATTAFORMA SOCIALE EUROSTOP

Per adesione individuali scrivere a
eurostop.it@...



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Il 16 gennaio le piazze gridino No alla guerra

di Sergio Cararo, 3 Gennaio 2016

Il prossimo 16 gennaio, una giornata di manifestazioni a livello nazionale ricorderà l’inizio di quella che possiamo definire come “La Guerra dei Trent’anni”.  La prima Guerra del Golfo con i bombardamenti sull’Iraq del 16 gennaio 1991, indica infatti l’apertura di quel Vaso di Pandora della guerra che si manifesta ormai con una escalation di cui è difficile – e allo stesso tempo inquietante – prevedere una conclusione. 

La convocazione della giornata di mobilitazione nazionale contro la guerra si è rivelata opportuna davanti al totale e assurdo vuoto di iniziativa politica su questo terreno (a parte le manifestazioni di Napoli, Firenze, Trapani, Capo Teulada).  Di fronte ad una escalation che ogni giorno può presentare il “casus belli” scatenante,  abbiamo visto ex attivisti del movimento pacifista diventati nel frattempo ministri della difesa o altissimi responsabili della sicurezza europea; una parte della sinistra che ha letteralmente sfarfallato di fronte a quanto accadeva in Libia e Siria, ostinandosi a leggere come rivolte popolari quelle che si sono rivelate ben presto come interventi di “regime change” da parte delle potenze imperialiste; un governo italiano che gioca sul consueto doppio binario della “cautela” sul piano bellico ma su atti concreti di coinvolgimento militare nei teatri di guerra (armi all’Arabia Saudita, invio di soldati in Iraq, flotta davanti alle coste libiche, sanzioni a Siria e Russia). Era tempo dunque che un pezzo di questo paese riprendesse la parola e le piazze per riaffermare quel concetto semplice e importante che dice basta guerre, le guerre sono le vostre ma i morti sono sempre i nostri.

Alla presa di responsabilità di chi ha rotto gli indugi ed ha convocato le manifestazioni del 16 gennaio, non potevano mancare i consueti “ lamenti delle vedove”,  eterni assegnatari di mutande al resto del mondo che riescono a leggere le motivazioni della mobilitazione del 16 gennaio in modi diametralmente opposti (troppo filo russo-siriana o troppo anti russa-siriana, piattaforma troppo generica o piattaforma troppo escludente etc. etc.). Per chi ha memoria del recente passato non c’è da meravigliarsi. Meraviglia invece questo soffermarsi sulle righe e sulle sfumature piuttosto che sulla posta in gioco e l’urgenza di far entrare in campo un pezzo di società – ancora minoritario per ora – che dichiari pubblicamente il proprio No alla guerra e all’attacco alla democrazia che ne deriva in tutti i paesi coinvolti. 

La guerra del XXI Secolo oggi sta devastando la Siria, l’Iraq e la Libia, ha prodotto morti e macerie in Ucraina, prima ancora aveva devastato Jugoslavia, Cecenia, Afghanistan e l’Iraq, sollecita tensioni ricorrenti in Asia. Non sono state vissute come guerre nelle agende politiche o nell’opinione pubblica occidentali, ma paesi come la Somalia, il Sudan, le repubbliche africane sono stati destabilizzati e tribalizzaie con l’intervento militare decisivo delle potenze neocoloniali – dalla Francia agli Usa, dalla Gran Bretagna all’Italia.

La Guerra dei Trent’anni cominciata dagli Usa usciti egemoni e vittoriosi nel 1991 dallo scontro globale con l’Urss, è oggi uno scenario agente che conformerà più o meno bruscamente anche il mondo che abbiamo conosciuto, anche in una Europa che molti si ostinano ad assolvere come mera esecutrice delle manovre statunitensi riducendone così le responsabilità e i pericoli che ne derivano.

Sullo sfondo di una competizione globale, feroce e a tutto campo, tra le maggiori potenze  imperialiste o non ancora tali come il polo islamico costituitosi intorno alla petromonarchia saudita, la guerra sta uscendo dalla narrazione storica o dalla testimonianza diretta delle vecchie generazioni, per entrare di prepotenza dentro l’attualità e la vita quotidiana. In molti avevano ritenuto di poter rimuovere questo scenario limitandosi ad osservare il suo manifestarsi in paesi lontani. Non erano bastate le stragi di Madrid e Londra negli anni scorsi,  ci sono volute quelle più recenti di Parigi per strappare il velo dagli occhi e far capire che se anche gli stati europei portano la guerra in giro per il mondo, prima o poi qualcuno la guerra te la restituisce anche dentro casa. La risposta dei governi non è la fuoriuscita dalle guerre e dagli interventi in cui sono coinvolti ma lo stato d’emergenza e l’aumento delle spese militari.

Meglio dunque che qualcuno cominci a denunciarlo nelle piazze piuttosto che correre come criceti sulla ruota rimanendo sempre fermi.  Altre iniziative potranno seguire,  crescere e qualificarsi successivamente al 16 gennaio. La giornata di mobilitazione offre finalmente una cornice di mobilitazione No War che ognuno potrà declinare con i propri contenuti. Riteniamo che questo possa e debba essere l’auspicio di chi scenderà in piazza il 16 gennaio, per gridare già da ora: basta con la guerra.

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COMUNICATO SUL 25° ANNIVERSARIO DELLA GUERRA DEL GOLFO

Comitato promotore della campagna #NO GUERRA #NO NATO

19 dic 2015 — Venticinque anni fa, nelle prime ore del 17 gennaio 1991, iniziava nel Golfo Persico l’operazione «Tempesta del deserto», la guerra contro l’Iraq che apriva la fase storica che stiamo vivendo.
Questa guerra, preparata e provocata da Washington con la politica del «divide et impera», veniva lanciata nel momento in cui, dopo il crollo del Muro di Berlino, stavano per dissolversi il Patto di Varsavia e la stessa Unione Sovietica. Approfittando della crisi del campo avversario, gli Stati Uniti rafforzavano con la guerra la loro presenza militare e influenza politica nell’area strategica del Golfo. 

La coalizione internazionale, formata da Washington, inviava nel Golfo una forza di 750 mila uomini, di cui il 70 per cento statunitensi, agli ordini di un generale Usa. Per 43 giorni, l’aviazione statunitense e alleata effettuava, con 2800 aerei, oltre 110 mila sortite, sganciando 250 mila bombe, tra cui quelle a grappolo che rilasciavano oltre 10 milioni di submunizioni. Partecipavano ai bombardamenti, insieme a quelle statunitensi, forze aeree e navali britanniche, francesi, italiane, greche, spagnole, portoghesi, belghe, olandesi, danesi, norvegesi e canadesi. Il 23 febbraio le truppe della coalizione, comprendenti oltre mezzo milione di soldati, lanciavano l’offensiva terrestre. Essa terminava il 28 febbraio con un «cessate-il-fuoco temporaneo» proclamato dal presidente Bush. 

La guerra del Golfo fu la prima guerra a cui partecipava sotto comando Usa la Repubblica italiana, violando l’articolo 11, uno dei principi fondamentali della propria Costituzione. I caccia Tornado dell’aeronautica italiana effettuarono 226 sortite, bombardando gli obiettivi indicati dal comando statunitense. 

Nessuno sa con esattezza quanti furono i morti iracheni nella guerra del 1991: sicuramente centinaia di migliaia, per circa la metà civili. Ufficiali statunitensi confermavano che migliaia di soldati iracheni erano stati sepolti vivi nelle trincee con carri armati trasformati in bulldozer. Alla guerra seguiva l’embargo, che provocava nella popolazione più vittime della guerra: oltre un milione, tra cui circa la metà bambini. 

Subito dopo la guerra del Golfo, gli Stati Uniti lanciavano ad avversari e alleati un inequivocabile messaggio: «Gli Stati Uniti rimangono il solo Stato con una forza, una portata e un'influenza in ogni dimensione – politica, economica e militare – realmente globali. Non esiste alcun sostituto alla leadership americana» (Strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, agosto 1991).

La Nato, pur non partecipando ufficialmente in quanto tale alla guerra del Golfo, metteva a disposizione sue forze e strutture per le operazioni militari. Pochi mesi dopo, nel novembre 1991, il Consiglio Atlantico varava, sulla base della guerra del Golfo, il «nuovo concetto strategico dell'Alleanza». Nello stesso anno in Italia veniva varato il «nuovo modello di difesa» che, stravolgendo la Costituzione, indicava quale missione delle forze armate «la tutela degli interessi nazionali ovunque sia necessario». 

Nasceva così con la guerra del Golfo la strategia che ha guidato le successive guerre sotto comando Usa – contro la Jugoslavia nel 1999, l’Afghanistan nel 2001, l’Iraq nel 2003, la Libia nel 2011, la Siria dal 2013 – accompagnate nello stesso quadro strategico dalle guerre di Israele contro il Libano e Gaza, della Turchia contro i curdi del Pkk, dell’Arabia Saudita contro lo Yemen, dalla formazione dell’Isis e altri gruppi terroristi funzionali alla strategia Usa/Nato, dall’uso di forze neonaziste per il colpo di stato in Ucraina funzionale alla nuova guerra fredda e al rilancio della corsa agli armamenti nucleari. 

Su tale sfondo il Comitato No Guerra No Nato ricorda la guerra del Golfo di 25 anni fa, nel massimo spirito unitario e allo stesso tempo nella massima chiarezza sul significato di tale ricorrenza, chiamando a intensificare la campagna per l’uscita dell’Italia dalla Nato, per una Italia sovrana e neutrale, per la formazione del più ampio fronte interno e internazionale contro il sistema di guerra, per la piena sovranità e indipendenza dei popoli.

Comitato No Guerra No Nato



(english / italiano)

Turkish Influence in the Balkans

1) Turkey’s Islamist Agenda in Kosovo (D.L. Phillips)
2) Erdogan Fulfilling His NeoOttoman Dream Through Bosnia (G. Carter) / MR. IZETBEGOVIC’S MEIN KAMPF
3) FLASHBACK: Il caso Cesur– Ikanovic– Bektasevic (2005-2006)


Vedi anche:

JIHAD DAL KOSOVO? CHE BELLA SCOPERTA... [JUGOINFO 1.12.2015]

IL RUOLO DELLA TURCHIA NELLA CRISI JUGOSLAVA (1999)


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The World Begins to See (but after the damage was done)

by Grey Carter – December 31, 2015


Our minarets are our bayonets,Our domes are our helmets, Our mosques are our barracks.  We will put a final end to ethnic segregation. No one can ever intimidate us.  If the skies and the ground were to open against us,   If floods and volcanoes were to burst, We will not turn from our mission.  My reference is Islam.”  – Tayyip Regep Erdogan, then Mayor of Istanbul, 1997.

I was surprised by an honest article concerning the ressurection of one of the bloodiest states ever – the Ottoman empire in Balkans. The article/analysis  appeared in Huffington post, and, even though some figures have been reduced (i.e.  number of the newly built mosques throughout Kosovo i Metohija) the author hits the nail and breaks the taboo and grave silence concerning the true nature of the so called state (quasi state)  of Kosovo.
Unfortunately, the author, despite his prominece and experience, at the end has completely missed the  point.
Another twenty years  period and perhaps they will make right conclusions.
I guess.

Turkey’s Islamist Agenda in Kosovo

by David L. Phillips – 12.29.2015.

Turkey’s President Recep Tayyip Erdogan addressed an audience in Prizren during an official visit to Kosovo in October 2013: “We all belong to a common history, common culture, common civilization. We are the people who are brethren of that structure. Do not forget, Turkey is Kosovo, Kosovo is Turkey!”
Turkey’s foreign policy in the Balkans promotes a neo-Ottoman agenda, aimed at expanding its influence in former territories of the Ottoman Empire. Turkey exports Islamism under the guise of cultural cooperation. It also seeks economic advantage, using business as leverage to consolidate its national interests.
The Turkish International Cooperation and Development Agency (TIKA) is a vehicle through which Turkey advances its ideological agenda. TIKA is the vanguard of Turkey’s Justice and Development Party (AKP), which supports Muslim Brotherhood chapters around the world. TIKA runs a parallel and complementary foreign policy to official state institutions, coordinating with Turkey’s Ministry of Culture and the Presidency of Religious Affairs to promote the AKP’s Islamist agenda.
TIKA operates like a social welfare agency. In Kosovo, it supports more than 400 projects in the fields of agriculture, health and education. Affordable health care is offered in Kosovo at Turkish-run hospitals and clinics, sponsored by TIKA.
Despite its extensive activities, Zeri reports that the Central Bank of Kosovo has logged only 2.7 million Euros transferred by TIKA to its Kosovo account between 2009 and 2014. TIKA transfers most funds in cash with no official record. It does not want to draw attention to its activities.
Most TIKA funds are used to restore Ottoman monuments and build mosques. For example, TIKA supported restoration of the Sultan Murat Tomb in Kosovo. It rebuilt Ottoman religious sites like the Fatih Mosque and the Sinan Pasha Mosque, which cost 1.2 million Euros. Since 2011, TIKA has restored approximately 30 religious structures from the Ottoman period and 20 new mosques across Kosovo. Erdogan personally pledged funds to build the country’s biggest mosque in Pristina.
In addition, TIKA supports regional Islamic unions and institutions. It subsidizes community based social mobilization projects, which promote Islam. TIKA’s network of Muslim community leaders and imams, which includes imams from Turkey, actively promotes Islam. Its benevolence includes food for the Iftar meal during Ramadan, delivered to impressionable Kosovars (“Kosovars” is a global media invention to mark exclusively Albanians who have flooded Kosovo Metohija after the aggression on Serbia 1999.  – G. Carter) in poor rural areas.
TIKA also sponsors schools in Pristina, Prizren, Gjakova  Djakovica – Albanization of toponymes is a crime, (someone should have warn western journalists – G. Carter) , and Peja ( it’s Pec). Some schools provide Qur’anic instruction, as well as Turkish language instruction. As many as 20,000 Turks reside in Kosovo, where Turkish is an official language. The Turkish Embassy in Pristina awards 100 scholarships for Kosovars (i.e. – Albanians, again); to study in Turkey each year.
But not all schools supported by TIKA are part of the formal education sector. Some function like madrassas, offering Islamic education, thereby contributing to the radicalization of Kosovar  (i.e. Albanian) youth. The Government of Kosovo acknowledges that more than 300 Kosovars have joined the Islamic State in Syria. The figure dates back a couple of years. Today’s number may be much higher.
Yunus Emre Turkish Cultural Centers are also vehicles for Turkish influence. According to its charter, Yunus Emre Centers “provide services abroad to people who want to have education in the fields of Turkish language, culture and art, to improve the friendship between Turkey and other countries.”
Support for educational institutions is a propaganda tool to foster a positive impression of Turkey among Kosovars. Turkey’s Minister of Education visited Kosovo and publicly asked Kosovo institutions to change history texts in order to portray Ottomans as liberators, rather than as occupants and aggressors.
Erdogan asked the Government of Kosovo to close schools established by Fetullah Gulen, with whom he had a falling out. Kosovo officials acquiesced, though Gulen schools offered quality education to Kosovars.
Turkish businessmen also benefit from Turkey’s aggressive religious and cultural promotion. A well-respected Turkish scholar asks of the AKP, “Are they Islamists or just thieves with a religious rhetoric?”
Turkey is Kosovo’s largest trading partner, after Serbia. The trade volume between Turkey and Kosovo was 206.5 million Euros in 2012. (Export to Kosovo was 199.5 million Euros; import from Kosovo only 7 million Euro). Trade volume slightly decreased in 2013-14 due to an economic slowdown in the region.
Tenders for some of the biggest public projects in Kosovo have been won by Turkish companies. The Limak Holding Company won the concession to manage the Pristina International Airport. The Çalık-Limak Consortium also acquired the Kosovo Energy Distribution Services. Limak pledged to invest 300 million Euros in the transmission system, but its investment still has not materialized.
The Merdare-Morina highway connecting Kosovo to Albania was built by the Turkish construction company, Enka, in consortium with Bechtel. Çalik-Limak has just started construction of the Pristina-Hani Elezit highway between Kosovo and Macedonia.
The award of tenders may be subject to political influence. Çalik Holding and Limak are politically well-connected. Erdogan’s son-in-law is a major shareholder in Limak.
The Turkish banking system dominates the financial sector in Kosovo. A majority of Kosovo’s major banks are Turkish, including the Turkish Economic Bank (TEB).
More than 900 Turkish companies operate in Kosovo. About 7,000 Kosovars are employed by Turkish companies in, for example, the food processing and textile sectors. It is hard to be accepted or keep a job in a business where the owner is Turkish if you don’t speak Turkish.
Kadri Veseli, a prominent Kosovo politician, was a former critic of Turkish concerns acquiring Kosovo state enterprises. Veseli bemoaned Turkey’s penetration as bad for both Kosovo’s economy and its EU aspirations.
Since becoming Speaker of Kosovo’s Parliament, however, Vaseli has not said a word about Turkey’s economic dominance. He and other prominent Kosovo politicians, including Foreign Minister Hashim Thaci, have close ties to Erdogan, as well as Turkish business and political leaders.
Turkey has cemented its influence through security cooperation. Around 2,000 Turkish soldiers were deployed as part of the KFOR peacekeeping mission in 1999. There are still 350 Turkish soldiers in Pristina and Prizren. Turkey has indicated its willingness to assume control of Bondsteel, the US base in Kosovo, as US forces withdraw.
Turkey has also shown itself a reliable political partner. Ankara was reluctant to endorse Kosovo’s independence, lest a parallel be drawn with its Kurdish minority. However, Turkey was one of the first countries to recognize Kosovo when it declared independence from Serbia in 2008. Prime Minister Ahmet Davutoğlu’s notion of “strategic depth” views Turkey as a regional power and an alternative to the EU for countries like Kosovo. Muslim solidarity is the centerpiece of Davutoğlu’s strategy to expand Turkey’s influence.
Davutoğlu explicitly linked Turkey’s foreign policy to its Ottoman legacy during a trip to Bosnia-Herzegovina in 2009. “The Ottoman centuries of the Balkans were a success story. Now we have to reinvent this.” He announced, “Turkey is back.”
Faster integration into Euro-Atlantic institutions is the best antidote to Turkey’s influence in Kosovo and the Western Balkans. US interests would also be served through intensified engagement in the region.
Closer cooperation between the US and Kosovo would be a bulwark against Turkey’s export of Islamism. It would also prevent the further radicalization of Kosovo society, staunching the flow of Kosovars (i.e. Albanian invaders in Kosovo Metohija) to join ISIS.
Mr. Phillips is Director of the Program on Peace-building and Rights at Columbia University’s Institute for the Study of Human Rights. He served as a Senior Adviser and Foreign Affairs Experts to the US Department of State during the Clinton, Bush, and Obama administrations. Phillips is author of “Liberating Kosovo: Coercive Diplomacy and US Intervention” (Kennedy School at Harvard University and NBC


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Erdogan Fulfilling His NeoOttoman Dream Through Bosnia 

Posted on October 19, 2015 by Grey Carter

ERDOGAN: Alija left Bosnia to me to take care of –

Bosnia and Herzegovina today marks 12th anniversary of the death of former president Alija Izetbegovic, and on this occasion Turkish President Recep Tayyip Erdogan stated that he “… with great respect recalls the “first and great leader of Bosnia and Herzegovina”.
– On the occasion of the 12th anniversary of his death, I remember with great respect and late first and great leader of Bosnia and Herzegovina, Alija Izetbegovic – wrote Erdogan on his Fb profile as it was quoted in Bosnia i Hercegovina.
Erdogan, in his earlier statement, said that Izetbegovic “despite all pressures, evil, assimilation attempts, has never gone out of his way.”
– In spite of years of life spent in prison, Alija did not abandon the fight for their country and people. The ability and leadership that he has shown during the last war in Bosnia and Herzegovina is ranked as one of the greatest statesmen of the 20th century and history – said Edrogan and reminded that the author of Islamic declaration had left “a legacy to him – to take care of BiH”.

Alija Izetbegovic was born on 8 August 1925 in Bosanski Samac. He was one of the founders of the Party of Democratic Action (SDA) in 1990. That same year he was elected member of the Presidency of Bosnia and Herzegovina, and later was president of the Presidency of Bosnia and Herzegovina and in its place was from 1992 until 1995. On 19 October 2003, the Muslim Fundamentalist (or Islamist) leader, Alija Izetbegovic, age 78, died of heart failure. During the Bosnian war of the 1990s, European and Muslim governments and the US referred to Izetbegovic as the president of the so-called Bosnian government. 

MR. IZETBEGOVIC’S MEIN KAMPF
After so many Bosnian Muslims continuosly support and join ISIS and other similar organizations, i.e. Muslim brotherhood, Jabhat al Nusra, many (mostly American and Western in general) nations seemed sursprised.
How, on Earth, one so great nation that has been supported, a new nation that enjoyed every possible aid from the West, turned to be so hateful towards those who were ready to kill Christians in the middle of Europe in order to support them?
Only those naive and  kept in dark by mainstream media could be surprised. Neither Bosnian muslims were the victims, nor Bosnian war was a fight for freedom nor against some Serbian aggression as it has been media – portrayed for decades.
President Alija Izetbegovic’s Islamic Declaration, first published in 1970 when it earned him a prison sentence, demanded a fully-fundamentalist Muslim state in Bosnia without scope for non-Muslim institutions or any division between religion, politics, and economics. The book was republished in 1990 in Sarajevo (by Mala Muslimanska Biblioteka). It scathingly attacks Attaturk’s reforms and holds up Pakistan as a model to be followed.
“… Do we want the Muslim nations to cease moving in circles, to stop being dependent, backward and poverty-stricken;
do we want them to once again with a sure step climb the road of dignity and enlightment and to become masters of their own fate;
do we want the springs of courage, genius and virtue to come forth strongly once again;
then we must show the way which leads to that objective:
The implementation of Islam in all fields of individuals’ personal lives, in family and in society, by renewal of the Islamic religious thought and creating a uniform Muslim community from Morocco to Indonesia. …“
… A nation, and an individual, who has accepted Islam is incapable of living and dying for another ideal after that fact. It is unthinkable for a Muslim to sacrifice himself for any tzar or ruler, no matter what his name may be, or for the glory of any nation, party or some such, because acting on the strongest Muslim instinct he recognizes in this a certain type of godlessness and idolatry. A Muslim can die only with the name of Allah on his lips and for the glory of Islam, or he may run away from the battlefield. …“             (page 17)
“… In perspective, there is but one way out in sight: creation and gathering of a new intelligence which thinks and feels along Islamic lines. This intelligence would then raise the flag of the Islamic order and together with the Muslim masses embark into action to implement this order. …” (18)
“… The shortest definition of the Islamic order defines it as a unity of faith and law, upbringing and force, ideals and interests, spiritual community and state, free will andforce. As a synthesis of these components, the Islamic order has two fundamental premises: an Islamic society and Islamic authority. The former is the essence, and the latter the form of an Islamic order. An Islamic society without Islamic power is incomplete and weak; Islamic power without an Islamic society is either a utopia or violence.
A Muslim generally does not exist as an individual. If he wishes to live and survive as a Muslim, he must create an environment, a community, an order. He must change the world or be changed himself. History knows of no true Islamic movement which was not at the same time a political movement as well. This is because Islam is a faith, but also a philosophy, a set of moral codes, an order of things, a style, an atmosphere – in a nutshell, an integral way of life. …”   page 18
Despite the hype in the Western media, Izetbegovic was not fighting to affirm (let alone reaffirm!) some supposed Bosnian nationhood. Rather, he called for:
“…the implementation of Islam in all aspects of individuals’ personal lives, in family and in society, by the renewal of Islamic religious thought, and by creating a uniform Muslim community from Morocco to Indonesia. …”[4]
In other words, the Islamist takeover of Bosnia was intended as a step towards the creation of a unified Muslim world-state.  Quite the opposite of preserving the nonexistent ‘Bosnian nation’! And yet the fiction of a Bosnian nation, threatened by supposed Serb secessionists (the Serbs were in fact the people who didn’t want to secede from Yugoslavia) was sold to ordinary people in the West.
” FOR ALL MUSLIMS THERE IS BUT ONE SOLUTION: TO CONTINUE TO FIGHT, TO STRENGTHEN AND BROADEN IT, FROM DAY TO DAY, FROM YEAR TO YEAR, NO MATTER THE VICTIMS AND NO MATTER THE TIME” ….
pages 53-54
— END —


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FLASHBACK 2005–2006: 

Il caso Cesur– Ikanovic– Bektasevic

In ordine cronologico inverso:
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TERRORISMO: BOSNIA, RINVIO A GIUDIZIO PER TRE PERSONE

(ANSA) - SARAJEVO, 13 APR - I giudici del tribunale statale bosniaco hanno rinviato a giudizio oggi Mirsad Bektasevic, cittadino svedese originario della Serbia/Montenegro, di 19 anni, il turco Abdulkadir Cesur, 21 anni e il bosniaco Bajro Ikanovic, per reati di terrorismo. Lo ha reso noto un comunicato del Tribunale. I tre sono stati arrestati nell'ottobre dell'anno scorso, secondo la stampa su segnalazione dei servizi di sicurezza svedesi e turchi, perche' progettavano un attentato suicida contro un'ambasciata, non si sa se quella britannica o quella americana, a Sarajevo. Sono seguiti sei arresti in Danimarca, in base alle informazioni delle autorita' bosniache. Sei mesi fa erano stati arrestati altri due bosniaci, Amir Bajric e Hasanovic Senad, oggi rinviati a giudizio per detenzione illegale di armi. Esplosivi di diverso tipo, armi e munizioni e una cintura da adoperare per farsi esplodere, sono stati trovati all'epoca dell'arresto del gruppo nella casa affittata dal Bektasevic. (ANSA). COR-LG
13/04/2006 18:39 

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http://www.slobodan-milosevic.org/news/dr041206.htm

Danish terror case led police to Al-Qa'idah hacker

BBC Monitoring Europe (Political) - April 12, 2006, Wednesday
Source: Danmarks Radio website, Copenhagen, in Danish 0532 gmt 12 Apr 06
Copyright 2006 British Broadcasting Corporation. Posted for Fair Use only.
Text of report by Danish radio website on 12 April; subheadings as published:

The terrorism case in Bosnia against a Danish-Turkish man and a Swedish citizen has yielded a big result for the American authorities.
The arrests led to the exposure of an infamous computer specialist who called himself the Arabic terrorist James Bond or "Irhabi 007."
Terrorist 007 – "Irhabi", which means terrorist in Arabic, has been causing both the British and American intelligence services problems for a couple of years and acted as an Al-Qa'idah warrior on the Internet, for example by hacking into the Arkansas' traffic ministry's Internet site.
From there "Irhabi 007" published everything from decapitations in Iraq to Al-Qa'idah recruitment films and weapons manuals, Newsweek magazine recently revealed. The magazine bases its information on unnamed sources in the American intelligence services.
The Al-Qa'idah hacker is also suspected of training terrorist sympathizers in fighting on the Internet.
Plans for attacking the White House – Two days after the action in the Balkans the British police went into action against three people who are suspected of planning a terrorist attack on the White House.
One of the three people arrested is 22-year-old Younis Tsouli. According to well-informed American intelligence services he later turned out to be the man behind the alias "Irhabi 007", Newsweek reports. The hacker's identity was revealed by chance.
Central sources in the American anti-terrorism authorities are talking of a major catch. It is said that the Arab "Terrorist 007" is an extremely clever computer specialist who has been linked with many Islamic terrorists online, including the Iraqi insurgent groups which are thought to be led by infamous Al-Qa'idah leader Abu Musab al-Zarqawi.
Al-Zarqawi has taken responsibility for several terrorist bombings in Iraq.
Big fish – Site, a private American organization which monitors Islamic extremists on the Internet, is also talking about a big fish. "Irhabi" is described as an infamous hacker who has been peerless in supplying Islamic extremists on the Internet with knowledge and expertise.
"He played an important role for Islamic extremists on the Internet. He enabled them to communicate, recruit and spread their radical ideology over the Internet. For example, Irhabi published horrific images from the war in Iraq and various weapons manuals on the Internet. He is also an expert in hacking and taught others how to spy on their enemies on the Internet without being detected," the head of Site, Rita Katz, tells Ritzaus [Danish news agency].
The British prosecuting authorities are now preparing a case against Younis Tsouli/Irhabi 007. This covers conspiracy to kill and planning terrorist acts.
According to Newsweek the trial will begin next January and if the Arab James Bond is convicted it will be a long time before he is online again.

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http://www.slobodan-milosevic.org/news/dr041106.htm

DANISH TURK CHARGED WITH TERRORISM IN BOSNIA

BBC Monitoring International Reports - April 11, 2006 Tuesday
Source: Danmarks Radio website, Copenhagen, in Danish 1908 gmt 11 Apr 06
Copyright 2006 Financial Times Information
Copyright 2006 BBC Monitoring/BBC Source: Financial Times Information Limited. Posted for Fair Use only.
Text of report by Danish radio website on 11 April; subheadings as published:

The prosecuting authorities in Bosnia have decided to charge a Danish Turk, a Swede and a Bosnian with terrorism offences. Two others who were accused in the case have been charged with illegal possession of weapons and the possession of dangerous materials.
The court has to decide within a week whether the charges are sufficient for a court case. Court time will then be allocated to the case. If the three terror suspects are found guilty they risk between one and 15 years' imprisonment.
Terrorist attacks in Europe – The investigations in Bosnia have been underway for almost half a year since Danish Turk CA and Swede MB were arrested and imprisoned in Sarajevo on 19 October.
They are suspected of planning a terrorist attack at an unspecified location in Europe. The Bosnian police found 20 kilograms of explosive, body belts for suicide attacks and something resembling a farewell video in association with the arrests.
According to a source in the prosecuting authorities in Sarajevo no further terrorism charges are being prepared but investigations are continuing.
Evidence from Denmark – During the trial the prosecuting authorities will probably use evidence from Denmark. Deputy Chief Constable Finn Ravnborg and Detective-Inspector Sten Skovgaard of the Glostrup Police, who are investigating the Danish part of the case, were in Sarajevo in December, where they met the Bosnian prosecuting authorities to exchange information and evidence.
The Swede's defence solicitor, Idris Kamenica, does not believe the prosecuting authorities have sufficient evidence to convict his client. However, he has not yet seen the prosecuting authorities' material.

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TERRORISMO: BOSNIA, INDAGATI UN TURCO E UNO SVEDESE

(ANSA) - SARAJEVO, 4 NOV - La procura bosniaca ha aperto un'inchiesta per reati di terrorismo e detenzione illegale di armi ed esplosivi a carico di due cittadini stranieri, arrestati in Bosnia il 19 ottobre e in stato di fermo. Lo ha reso noto la procura, riferisce l'agenzia di stampa Fena. Si tratta di Mirsad Bektasevic, cittadino svedese originario della Serbia/Montenegro e del turco Abdulkadir Cesur. L'inchiesta, ha reso noto la procura, viene condotta da un appositamente costituito team di magistrati e si sviluppa positivamente, ma per la delicatezza del caso non e' possibile rivelare per ora altri dettagli. Secondo la stampa, i due sono stati arrestati su segnalazione dei servizi di sicurezza svedesi e turchi, perche' progettavano un attentato suicida contro un'ambasciata, britannica o Usa, a Sarajevo. Insieme a loro era stato fermato anche un bosniaco, poi rilasciato perche' avrebbe solo affittato un appartamento a uno dei due arrestati. Nella casa affittata dal giovane svedese, sempre secondo la stampa, sono stati rinvenuti armi, esplosivi di diverso tipo, munizioni e una cintura da adoperare per farsi esplodere. Sono seguiti sei arresti in Danimarca, in base alle informazioni delle autorita' bosniache. (ANSA). COR
04/11/2005 18:18

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TERRORISMO: BOSNIA, ARRESTATI SVEDESE, TURCO E BOSNIACO

(ANSA) - SARAJEVO, 21 OTT - La polizia di Sarajevo ha reso noto di aver arrestato ieri tre persone, un cittadino svedese, uno turco e un bosniaco, sospettati di aver preparato un attacco terroristico in Bosnia. Per il momento, ha detto il portavoce della polizia Robert Cvrtak, non e' possibile rendere noti altri dettagli nell'interesse delle indagini. Sono state perquisite anche due case nell'area di Sarajevo nelle quali sono state trovate armi, esplosivi e altro materiale militare. Secondo la stampa locale, uno dei tre arrestati e' un diciottenne, gia' 'tenuto d'occhio' in diversi paesi europei, Germania, Svezia, Francia, e che si preparava a compiere un attentato suicida contro l'ambasciata di un paese dell'Unione europea a Sarajevo. Proprio a casa sua sarebbero state trovate armi ed esplosivo. (ANSA) COR
21/10/2005 12:31




Deportati, liberatori e falce e martello fuori da Auschwitz. Lo scempio è compiuto!

Nel  70° anniversario della liberazione di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa, il memoriale italiano che ricorda tutti i deportati italiani, l’antifascismo, la resistenza e i liberatori, è stato rimosso dal blocco 21 di Auschwitz per motivi revisionisti e negazionisti e forse sarà ricollocato accanto all’Ipercoop di Firenze.  

Vergogna ai responsabili di questa offesa.
Il 27 gennaio 2016, Giorno della Memoria, tutti con l’Armata Rossa. 

Gherush92 Committee for Human Rights 

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Per questo scempio si ringraziano, in ordine di non-apparizione:
Le istituzioni della Repubblica Italiana
Gli Istituti di Storia della Resistenza e dell'Età Contemporanea
Elie Wiesel
I giornalisti del TG1, TG2, TG3 e di tutti i quotidiani
Vittorio Sgarbi
I partiti "democratici"
Gianni Pittella e il suo padrino Martin Schulz

Sulla campagna contro lo smantellamento del Memoriale Italiano di Auschwitz si veda:



(deutsch / english / italiano)

Alla ricerca di un ordine mondiale sicuro

Dalla conferenza internazionale: “Yalta, Potsdam, Helsinki, Beograd: alla ricerca di un ordine mondiale sicuro", Belgrado, 24–25 Novembre 2015

1) Tensioni e scontri – Conseguenza delle strategie occidentali / Rede auf Tagung des Belgrad-Forums (Živadin Jovanović)
2) PROPOSITIONS of the International Conference held on 24-25 November 2015 in Belgrade, Serbia
3) «Wir sind eine Welt der Gleichen, und wir sollten uns das nicht nehmen lassen» (Anrede von Willy Wimmer)


Leggi-vedi anche / Also to read-see:

“Yalta, Potsdam, Helsinki, Belgrade: Searching for a Secure World Order”
The International Conference  held in Belgrade on 24 & 25 November 2015
0) VIDEO (links)
1) Предлози Међународне научно-друштвене конференције „Јалта-Потсдам-Хелсинки-Београд: у потрази за безбедним светским поретком“ (Сава Центар 23-25 новембар 2015)
2) Novo nije zaborav starog (SUBNOR)
3) Yalta, Potsdam, Helsinki, Belgrade. How can we build a more secure world order?
4) Živadin Jovanović: INSTABILITY AND CONFLICTS – OUTCOME OF THE STRATEGY OF THE WEST


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ORIG.: ЗАОШТРАВАЊЕ И СУКОБИ – ПОСЛЕДИЦА СТРАТЕГИЈЕ ЗАПАДА (Сава Центар 23-25 новембар 2015 – Живадин Јовановић)
http://www.beoforum.rs/sve-aktivnosti-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/88-sava-centar-23-25-novembar-2015/765-zaostravanje-i-sukobi-posledica-strategoje-zapada-zivadin-jovanovic-.html
ENGLISH: INSTABILITY AND CONFLICTS – OUTCOME OF THE STRATEGY OF THE WEST (Živadin Jovanović)



Tensioni e scontri – Conseguenza delle strategie occidentali

Intervento di Zivadin Jovanović alla conferenza internazionale “Yalta, Potsdam, Helsinki, Beograd: alla ricerca di un ordine mondiale sicuro", Belgrado, 24, 25 Novembre 2015

Settant’anni dopo la conferenza degli alleati a Yalta e Potsdam e quarant’anni dopo l’approvazione della Carta di Helsinki i rapporti internazionali sono entrati in un periodo di profondi cambiamenti. È finito il periodo dei rapporti bipolari e unipolari a livello mondiale. Non è più possibile tornare ai vecchi concetti. L’ordine mondiale sta diventando multipolare.

Il processo di multipolarità non si svolge facilmente ma non si può fermare. Sono particolarmente preoccupanti le aspirazioni di mantenere ad ogni costo, inclusa la forza militare, il dominio e il privilegio, sancire il diritto all’eccezionalità, interventi globali ed espansione militare verso l’est. La politica della forza con la quale l’occidente, con a capo gli USA, tende a mantenere i privilegi ed a controllare le ricchezze del pianeta, ha causato instabilità, conflitti e la distruzione di molti paesi e società. I centri di potenza occidentali che sono portatori di tale politica totalitaria sono responsabili per l’instabilità e le tensioni drammatiche nei rapporti a livello globale che possono portare conseguenze catastrofiche per l’umanità.

Le prime vittime di tale politica nel passato recente sono state due Jugoslavie – l’una sfasciata, causando guerre civili all’inizio degli anni ’90 di secolo scorso e l’altra distrutta durante l’aggressione illegale della NATO nel 1999. Così i Balcani sono diventati una zona di prolungata instabilità. Con la revisione della storia “in vivo” sotto il patrocinio dell’occidente, sono stati creati alcuni staterelli che difficilmente possono svilupparsi autonomamente ed essere indipendenti. La creazione forzata di frontiere nuove violando i principi fondamentali della Carta di Helsinki è ancora nel corso. La prova è l’usurpazione della regione del Kosovo e Metohija e il rilancio dei piani per creare la cosiddetta Grande Albania. La vittima più grande della strategia distruttiva degli USA e dell’occidente nei Balcani è il popolo serbo sottomesso al controllo di regimi servili. Paradossalmente, la frammentazione della nazione serba da una parte e in parallelo la creazione di altre nazioni d’altra parte, è interpretata dall’occidente come un contributo alla pace e stabilità e rispetto degli standard europei e democratici! 

La questione nazionale serba non è solo sollevata ma anche peggiorata con la frammentazione e mancanza dei diritti. È difficile che questa situazione creata con la forza sia nell’interesse

di pace e stabilità. Si tratta chiaramente delle aspirazioni geopolitiche, degli interessi imperialistici e di nient’altro.

Che sia così viene confermato da frammentazioni analoghe di una serie di altri paesi sovrani e delle nazioni in varie parti del mondo. I potenti centri occidentali, in ogni caso non rinunceranno alla strategia di “ricostruzione territoriale” dei paesi sovrani con attacchi armati, “rivoluzioni colorate” ed altri metodi inammissibili – in Sud America, Africa e Asia. Al separatismo in Europa basta come incoraggiamento anche solo l’approvazione di secessione unilaterale di Kosovo e Metohija. 

La politica di dominio, espansione militare e interventi al livello globale in flagrante violazione del diritto internazionale ha portato alla mancanza di fiducia, a divisioni, ad una retorica da guerra fredda. L’Europa è coperta da una rete di basi militari straniere, dalle forze per interventi immediati, dagli “schermi antimissili”, dalle pattuglie aeree dal Baltico fino all’Anatolia. Oggi in Europa ci sono più basi militari straniere, bombardieri e bombe nucleari che nel periodo di massima tensione della guerra fredda. Ci chiediamo: perchè tutto questo?

È l’ultimo momento utile per fermare queste tendenze pericolose e quasi drammatico aumento delle tensioni che sempre di più compromettono sicurezza, pace, convivenza e rapporti normali. Invitiamo al dialogo e partneriato nella risoluzione di tutti i problemi prima che si perda il controllo dei rapporti drammatici. Il comportamento autoritario nel palcoscenico internazionale, l’espansione militare e i doppi standard devono essere sostituiti dal rispetto reciproco, dal dialogo e dai compromessi. Buonsenso, responsabilità politica e disponibilità ai compromessi sono necessari più che mai.

Una Serbia e una Belgrado militarmente neutrali sono il sito giusto per promozione del dialogo democratico e dei pari diritti sugli argomenti più importanti di sicurezza e collaborazione. Belgrado è stata vittima di aggressioni, occupazioni e terribili distruzioni più spesso di altre capitali d’Europa. Tale fatto rappresenta il suo diritto morale e l’impegno ad essere promotore del dialogo, comprensione e ricostruzione di fiducia. D’altra parte, a Belgrado è nato il movimento dei paesi non allineati, il gruppo più numeroso dopo le Nazioni Unite a favore della libertà dei paesi sotto colonialismo, della democrazia nelle Nazioni Unite e della codificazione di diritto internazionale.

Belgrado è stata a capofila dei paesi neutrali e non allineati d’Europa – Cipro, Malta, SFRJ, Austria, Finlandia, Svezia, Svizzera – che sono stati promotori della Carta di Helsinki. Questa Carta basata sugli accordi ottenuti a Yalta e Potsdam, sui risultati della II guerra mondiale e sulla Carta delle Nazioni Unite rappresenta il risultato storico e la strada per le iniziative nuove per garantire un’uguale sicurezza a tutti i paesi, aldilà della superficie, del numero di cittadini e della forza economica o militare. Per il suo contributo al processo di sicurezza e ai rapporti di collaborazione Belgrado è stata ricambiata con la scelta di ospitare nel 1977 la prima Conferenza dell’OSCE dopo Helsinki.

La sicurezza e la stabilità in Europa sono legate alla sicurezza e stabilità nelle regioni limitrofe, nel Mediterraneo e nel mondo. Perciò la sicurezza e la stabilità permanente in Europa non possono essere garantite se non sono collegate con sicurezza e stabilità nel Medio Oriente, Asia, Nord Africa (Magreb) e in generale in tutta Africa. 

La fine della guerra in Siria ha estrema importanza non solo per i popoli della regione ma anche per l’Europa. Contemporaneamente, sono necessarie iniziative per la ricostruzione degli stati distrutti come Afganistan, Irak, Yemen, Somalia, Libia ed altri. L’Europa come gli altri paesi ricchi del mondo dovrebbero sostenere ricostruzione economica e sociale di questi paesi. Se non l’unica, ciò è una condizione molto importante per fermare immigrazioni di profughi di guerra oppure causate dalla povertà che pesa sull’Europa, particolarmente sull’Unione Europea che ha serie difficoltà anche senza queste immigrazioni.

Dopo tutti gli eventi tragici e le missioni di pace dell’OSCE e dell’ONU dall’inizio degli anni ’90 del secolo scorso fino ad oggi, non si sono normalizzati tutti i rapporti nei Balcani nè abbiamo stabilità. Secondo noi, il motivo principale è che i Balcani, nonostante siano la culla della civiltà e della democrazia europea, non sono stati mai in realtà una parte integrante d’Europa, con pari diritti. È l’ultimo momento utile per cambiare la posizione tradizionale e discriminatoria dei centri potenti occidentali sui Balcani come l’intestino cieco, deposito di tecnologie arretrate o di un territorio per tragici giochi geopolitici e sperimentazioni.

Tenendo presente il sito dove viene tenuta la nostra Conferenza e lo sviluppo preoccupante nei Balcani (frequenti attacchi terroristici, instabilità in Macedonia, Montenegro, ricatti sempre più forti dell’Occidente verso la Serbia, le pressioni per le revisioni dell’Accordo di Deyton e per l’unificazione in Bosnia Erzegovina), noi avvertiamo e invitiamo i responsabili a cessare la politica del diktat e del ricatto, a non peggiorare la situazione e a non accendere le tensioni. È molto importante appoggiare il rispetto dell’Accordo di Deyton sulla pace in Bosnia Erzegovina come pure quello della Risoluzione del Consiglio di sicurezza 1244 (1999), sullo status della regione Kosovo Metohija e dei documenti internazionali legali.

I profughi e gli immigrati sono una conseguenza degli scontri politici e militari, delle dottrine non accettabili, dei saccheggi coloniali per secoli, dell’avidità e di futuro senza certezza. Questo problema non può essere risolto costruendo recinti o mura, con le pattuglie di polizia o militari oppure con enormi centri collettivi e tanto meno facendo riferimento a Dublino o a cosiddetti accordi di riammissione.

Il presupposto immancabile per ottenere successo nella lotta contro i terroristi è fermare ogni tipo di appoggio diretto o nascosto al cosiddetto Stato islamico, fermare finanziamento, formazione e armamento delle organizzazioni dei terroristi.

Tenere una posizione uguale verso il terrorismo e i terroristi, senza distinzioni tra i “nostri” ed i “loro”, è altresì un presupposto per il successo nella lotta.

Lo sviluppo sociale ed economico dei paesi di origine del terrorismo e dell’emigrazione, inclusi i piani per la ricostruzione, formazione e occupazione dei giovani deve altresì diventare parte integrante di una strategia globale della comunità internazionale nella lotta contro il terrorismo.

Non è il momento giusto per organizzare una Conferenza al livello mondiale sulla lotta contro il terrorismo con l’obiettivo di mettere in atto l’organizzazione e portare a termine l’adozione di un Documento internazionale sotto il patrocinio dell’ONU sulla lotta contro il terrorismo?

Da Helsinki 1975 fino a Belgrado 2015 sono successi grossi cambiamenti nei rapporti globali. Quando è stata fondata, l’OSCE aveva 35 membri, oggi ce ne sono 57. In 40 anni l’OSCE ha avuto esperienze positive ma anche numerose negative. All’inizio degli anni ’90 l’OSCE ha violato il sistema del consenso e per quanto riguarda la Yugoslavia ha emesso u a decisione pericolosa “ad hoc” senza precedenti secondo il modello del “consenso meno uno”. Alla fine del 1998 e agli inizi del 1999 l’OSCE si è lasciata manipolare durante la Missione per la verifica nel Kosovo. Invece di costituire una Missione civile per la verifica dell’attuazione dell’accordo del 13 ottobre 1998, tale Missione di 1300 persone era in primis costituita dalle persone del servizio d’informazione dell’esercito e della polizia, che hanno appoggiato la ricostruzione e l’abilitazione dell’organizzazione terroristica UCK, messa in rotta durante le operazioni antiterroristiche delle forze di sicurezza serbe. Questa Missione aveva come rappresentante l’americano Wolker, che ha preparato l’aggressione della NATO, pianificata molto prima della Missione stessa. Durante l’aggressione, l’aviazione NATO ha usato l’UCK come alleato di terra.

Oggi l’OSCE fronteggia nuove sfide. Ci sono dei motivi per riflettere seriamente sulla Carta dell’OSCE in cui sarebbero elaborati gli obiettivi, organizzazione e metodi di lavoro e adeguati alle esperienze acquisite, ai cambiamenti riscontrati e alle nuove sfide.

La sicurezza non è privilegio dei potenti e grandi nè dei membri dei club esclusivi, ma un pari diritto di tutti i popoli e stati, aldilà del loro territorio o della loro forza militare o economica. Perciò i nostri sforzi devono essere indirizzati verso la costruzione e il miglioramento del sistema che potrà garantire uguale sicurezza a tutti gli stati e popoli.

 

Traduzione di Rajka V. Per Forum Belgrado Italia


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Rede von Zivadin Jovanovic auf Tagung des Belgrad-Forums

Am 24. und 25. November fand in der Hauptstadt Serbiens eine Tagung des »Belgrad-Forums« unter dem Titel »Jalta, Potsdam, Helsinki, Belgrad: Auf der Suche nach einer Sicherheitsordnung« statt. Der Präsident des Forums, Zivadin Jovanovic, hielt eine Rede zum Thema »Instabilität und Konflikte – das Resultat der Strategie des Westens«, die jetzt auf deutsch vorliegt. Ein Auszug:

Siebzig Jahre nach den Konferenzen der Alliierten in Jalta und Potsdam, und 40 Jahre nachdem die Schlussakte von Helsinki angenommen wurde, sind die internationalen Beziehungen in eine Periode tiefgreifender Veränderungen eingetreten. Die Zeitalter bipolarer und unipolarer Weltordnung sind vorüber. Eine Wiederherstellung der alten Methoden und Konzepte ist nicht mehr möglich. Die Weltordnung entwickelt sich unwiderruflich zu einer multipolaren hin. (…) Der Prozess der Multipolarisierung verläuft nicht glatt. Besonders beunruhigend sind Tendenzen, die darauf abzielen, Vorherrschaft und Privilegien gewisser Länder zu erhalten, die das von ihnen beanspruchte Recht auf eine Ausnahmestellung, auf globalen Interventionismus und militärische Expansion Richtung Osten mit allen Mitteln, auch mit militärischer Gewalt, legitimieren wollen. Das Ergebnis einer solchen Politik der Gewalt, wie sie der von den USA beherrschte Westen anwendet, wenn es darum geht, diese Privilegien beizubehalten und den Reichtum unseres Planeten zu kontrollieren, bedeuten Destabilisierung, Konflikte, und die Verwüstung vieler Staaten und Gesellschaften. Die Verfechter einer solchen totalitären Politik tragen die Verantwortung für die Destabilisierung und die dramatische Eskalation, durch die der Menschheit eine Katastrophe droht.

Erste Opfer dieser Politik waren in jüngster Zeit die zwei Jugoslawien – einmal, als das Land Anfang der 1990er Jahre durch aufgezwungene Bürgerkriege zerrissen wurde, und zum zweiten, als es durch die illegale Aggression der NATO im Jahre 1999 verwüstet wurde. Damit wurde der Balkan zu einer Zone anhaltender Instabilität. Der vom Westen geförderte Prozess eines Umschreibens der Geschichte »in vivo« (»im lebenden Organismus«, jW) brachte mehrere Kleinstaaten hervor, die kaum eine Chance auf autonome Entwicklung und Unabhängigkeit haben. Und es hat den Anschein, als ob die gewaltsame Festlegung neuer Grenzen unter Verletzung der Grundprinzipien des Helsinki-Dokuments noch nicht zu Ende ist. (…) Die wirtschaftlichen und sozialen Probleme nehmen rasch zu, die Arbeitslosigkeit bei Jugendlichen erreicht dramatische Größenordnungen.

Diese Einschätzung wird gestützt durch das Zerschlagen einer Reihe anderer souveräner Staaten und Nationen in der ganzen Welt auf ähnliche Weise. Offensichtlich verzichten die westlichen Machtzentren nicht auf ihre Strategie einer »territorialen Neuordnung« souveräner Staaten durch bewaffnete Überfälle, »Farb-Revolutionen« und andere unerlaubte Methoden, wie sie in Südamerika, Afrika und Asien angewandt werden. Das liberale Kapitalismussystem produziert Finanz- und Wirtschaftskrisen, Armut, Elend. Das hat zu einer Wirtschaftsmigration noch nie dagewesenen Ausmaßes geführt. Gleichzeitig treiben Aggressionen und bewaffnete Konflikte Millionen aus ihrer Heimat ins Exil.

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Source: http://www.jungewelt.de/2015/12-12/039.php


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The participants of the International Science and Public Conference Yalta – Potsdam – Helsinki – Belgrade: In Search for Secure World Order dedicated to the historic agreements and pressing issues of security and cooperation in Europe, which has brought together representatives of many states around Europe, Asia and America, following the results of a widespread public dialog and opinion interchange that took place during the year of the 70th anniversary of the Yalta and Potsdam Conferences and the 40th anniversary of the signing of the Final Act of the Conference on Security and Cooperation in Europe, consider it necessary to declare:

The issues of security and cooperation in Europe and in the whole world have been a long established subject matter of interstate agreements and inter-country collaboration. At the same time, we believe that the current state of affairs makes a true progress and continuous headway movement impossible without the support of the public opinion and involvement of non-governmental initiatives in the development of the system of security and cooperation in Europe, based on mutual trust.

This has become ever more evident after Turkish military air force shot down the Russian fighter jet conducting a flight as part of the anti-terrorist operation in Syria and Iraq, which may lead to tragic consequences for peace in the whole world. The Conference also underscores that without Russia’s participation it is impossible to resolve the Syrian crisis and counteract international terrorism deeply rooted in many regions around the globe.

We are convinced that the terrorist attacks in Turkey, the explosion of the Russian jet over the Sinai peninsula and mass murders in Paris that claimed hundreds of lives have brutally challenged the global community and demonstrated the necessity of searching for the new approaches, reinforcing and joining the efforts for a coordinated fight against international terrorism and extremism as a global threat to humanity. 

In this respect we consider it necessary to urge the Organization for Security and Cooperation in Europe, other international organizations and the global community in general to consider specific proposals on optimization of activity in the sphere of security and cooperation, strengthening mutual understanding and the search of compromises on the pressing issues. We suppose that the International Science and Public Conference Yalta – Potsdam – Helsinki – Belgrade: In Search for Secure World Order, held in Serbia, a country with a non-aligned status and rich traditions of a European political center of the Nonaligned Movement, may start a meaningful international public dialog on the ways of creating an effective system of security and cooperation in Europe. Therefore we believe that the Final Document of the International Conference may be presented at the OSCE Ministerial Council that will take place on 3-4 December, 2015 in Belgrade.

 

SECURITY AND COOPERATION IN EUROPE AT THE PRESENT STAGE

 

The Yalta and Potsdam Conferences and the signing of the Final Act of the Conference on Security and Cooperation in Europe, the anniversaries of which are celebrated this year, have become the most important events in the contemporary history and in many respects have laid the foundation for the modern system of security in Europe and in the world in general. This system somehow successfully functioned in the post-war period and has become a significant heritage of the overall results of WWII, and came as the result of immense losses, suffered by the peoples during the years of the world’s latest global conflict. 

However the current stage of international relations in Europe and the world is characterized by a growing danger of acute conflicts, absence of effective global and regional safety practices and major turmoil prevention mechanisms.

Today’s world is facing increasing risks and threats to its security and stability. A special concern is that the existing framework of foreign relations in Europe is experiencing a crisis of mutual trust. 

Breach of the main principles of the international law, including the UN Charter, the Helsinki Final Act, unfortunately, has become a norm. Here in Belgrade, the capital of Serbia where this Conference takes place, we should not forget that Yugoslavia was the first victim of the direct violation of the Helsinki Agreements. In this respect we ask all actors of foreign relations to support the observance of international law and the main principles of foreign relations, to fulfill in good faith all obligations and strengthen credibility of universal international organizations. 

Considering the location of this Conference, we emphasize a vital necessity of supporting peace and security in the Balkans as a constituting part of Europe and of the European system of security, and in this respect, a particular importance of the strict observance of the Dayton Accord, the UN Security Council Resolution №1244 (year 1999) and other international legal documents of obligations. 

Europe and the world in general are witnessing a rapid increase in extremism and terrorism. Indeed security and stability in Europe are inseparable from the stability in the other regions of the world. Therefore the future of the European stability can be perceived and correctly reflected only within the context of stability in the Middle East, Asia and Africa. 

A particular concern is that growing propensity towards conflict in Europe leads to yet another exceptionally dangerous trend – the trend of world fragmentation, drawing of new dividing lines, also in Europe. In this respect, one should acknowledge the fact that resolving the pressing issues of security and safety, laying the foundations of the system of collaboration in the European space in the XXI century, will have to take place against the background of acute social and economic problems, unprecedented migration, growing military escalation, and multiple relapses to block thinking. Security is not a privilege; it is an equal right of all peoples and states. Therefore our efforts should be aimed at the development and improvement of the system that will guarantee equal security for everyone. 

We are sure that at present Europe should set a course for creating a truly free space, based on respect of the international law and equality of all people and states, regardless of the size of the territory, population, economic or military power. We believe that the main condition for this is to respect and observe the UN Charter, the principles of the Helsinki Final Act, the Charter of Paris, the role of the UN and in particular the role of the UN Security Council, without any exceptions, lawlessness or double standards. 

We suppose that in the XXI century all peoples and states in Europe should enjoy equal possibilities in the sphere of security irrespective of their participation in military, economic and regional organizations. This denotes a necessity of creation of a common area of security and a new level of cooperation and trust among the European countries. 

We see Europe of the XXI century as the area of true partnership, respect of sovereignty and territorial integrity, where there rules the freedom of choice of inner development and foreign policy, without any interference into internal affairs, especially in the sphere of security, elections, constitutional arrangement, privatization and human rights. We support the prevention of any conflicts by way of dialog and strictly political means that would guarantee observation of legal interests of all parties.

 

THE ROLE OF ORGANIZATION OF SECURITY AND COOPERATION IN EUROPE

 

We strongly believe that the 40th anniversary of the Helsinki Final Act is a good reason for an open public demand for returning the function of the main Common European security organization to the OSCE. 

We think that under the circumstances of the European security crisis the OSCE is to obtain a new chance for constructive implementation of the principles, on which the system of security in Europe was being built for years, the principles worked out following the results of the Yalta and Potsdam Conferences of 1945 and based on the outcome of the Helsinki Conference on Security and Cooperation in Europe of 1975. We are convinced that the OSCE has a potential for a significant input into resolving the migrant crisis in Europe, overcoming the return of block thinking, strengthening trust and helping the recovery from crisis in the area of the European security in general.

In this respect we consider it necessary to: 

1. Assist the adoption of the Charter of the Organization for Security and Cooperation in Europe aimed at securing the independence and objectivity in the work of the OSCE, making the OSCE a fully-featured international organization, as well as providing better accordance of its activity to the goals originally set at its establishment. 
It is necessary to re-confirm the principles on which the system of security in Europe was being built for years, and which were worked out following the results of the Yalta and Potsdam Conferences of 1945 and based on the outcome of the Helsinki Conference on Security and Cooperation in Europe of 1975. It is important to ascertain that all of the OSCE member-states fully adhere to them without exception.

2. Initiate non-governmental assistance in the work undertaken by the OSCE.

The conference participants also address the OSCE and public interest organizations in the member countries proposing to grant this event the status of an annual public conference on the pressing issues concerning security and cooperation in Europe.

We strongly believe that holding an annual conference in the OSCE presiding country inviting the best experts and public figures in Europe shall facilitate the establishment of a system of non-governmental monitoring of the OSCE activities and a system of public expert assessment of the pressing issues related to security and cooperation in Europe. We think that this proposition will enjoy a broad support of the European society as a timely idea aimed at developing interstate interaction in Europe based on the principles of openness and dialog.

3. From our point of view, the first crucial point towards solving the pressing issues of security and cooperation in Europe shall be the creation of a continuously operating sociopolitical International Expert Center (under the auspices of the annual science and public conference) responsible for:

а) monitoring the OSCE activities in order to provide information on the Organization's work at the annual science and public conference on the issues of security and cooperation in Europe,

б) holding regular closed sessions in the presiding country in order to provide independent experts with a platform for exchange of opinions on the pressing issues of security and cooperation.

 

Creating an International Center designed to become a continuous expert platform for exchange of opinions and broad expert consultations concerning issues of security and cooperation is, in our view, especially relevant whenever there is a deficit of confidence building measures and efficient and permanent information interchange channels.

We, the participants of the International Science and Public Conference «Yalta – Potsdam – Helsinki – Belgrade: In Search for Secure World Order» on the pressing issues of security and cooperation in Europe, are convinced that in the XXI century Europe is facing a difficult process of overcoming animosities and de-escalating the propensity towards conflict, solving multiple economic and social problems, and consequences of open violation of international law. We are positive that through joined effort we will be able to create a truly free space based on the principles of security and cooperation without demarcation lines and «iron curtains» which may become an example for the whole contemporary world to follow.

Participants of the Conference call on the Ministry of the Foreign Affairs of Serbia (as the OSCE 2015 presiding country) represented by the Minister of Foreign Affairs Ivica Dačić to inform the Ministers of Foreign Affairs of the OSCE member countries, who shall meet on December 3-4, 2015 in Belgrade, about the International Conference and its conclusions.


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«Wir sind eine Welt der Gleichen, und wir sollten uns das nicht nehmen lassen»

von Willy Wimmer

Am 24. und 25. November 2015 war die serbische Hauptstadt Belgrad der Treffpunkt einer internationalen wissenschaftlichen Konferenz unter dem Titel «Jalta, Potsdam, Helsinki, Belgrad: Auf der Suche nach einer Sicherheitsordnung». Die Zusammenkunft der Wissenschaftler, Diplomaten, Politiker und Persönlichkeiten des öffentlichen Lebens aus über 20 Ländern Europas und der Welt war dem 70. Jahrestag der Konferenzen von Jalta und Potsdam (1945) gewidmet. Die Veranstalter waren das Belgrade Forum for a World of Equals und zwei russische Organisationen: das Center of National Glory und der Fund of Saint Andrew. Der Text gibt die dortige Rede von Willy Wimmer wieder.

Hochverehrter Herr Staatspräsident,
Herr stellvertretender Ministerpräsident Dacic,
meine Herren Co-Vorsitzenden,
für die serbische Seite, Herr Jovanovic,
für die russische Seite, Herr Jakunin

Es besteht kein Zweifel. Die Welt ist im Umbruch. Es besteht auch kein Zweifel daran, dass der Name der Stadt Belgrad mit diesem Umbruch verbunden ist. Vielleicht ist Belgrad sogar das erste europäische und damit für uns sichtbare Signal für diesen Umbruch. Es war Belgrad, das mitten im Frieden Ziel von Nato-Bomben geworden ist. Belgrad sollte der Schlüssel zur unipolaren Welt sein.
Und heute? Wir treffen uns in Belgrad. Wir müssen uns fragen, ob Belgrad uns Hoffnung oder Antworten auf unsere Fragen gibt? Oder ist unser Treffen in Belgrad nur ein Zwischenschritt auf dem Weg in eine noch grössere Katastrophe für uns in Europa und darüber hinaus?
Fast scheint es so, dass es eine gewisse Art von Hoffnung gibt. Diese Hoffnung, ob wir es wollen oder nicht, ist mit dem Auftreten der Russischen Föderation im syrischen Konflikt verbunden. Ich will aus Zeitgründen nicht auf den Grund eingehen, warum es diesen schrecklichen Bürgerkrieg mit Millionen Opfern gibt. Bevor Syrien als Land vollends ausgelöscht werden konnte, hat die Russische Föderation in Übereinstimmung mit allen geltenden Regeln des Völkerrechtes entschieden, in den Konflikt einzugreifen. Sie hat dies an der Seite der legitimen Regierung getan, und zum ersten Male seit gut vier Jahren scheint der Bürgerkrieg nicht uferlos zu werden. Die Mächte reden miteinander.
Dieses entschlossene russische Vorgehen nach dem Motto «bis hierher und nicht weiter» haben wir bereits nach dem von anderen Kräften unterstützten Putsch in der Ukraine gesehen. Wenn wir nach gut zwei Jahren die damalige Entwicklung in der Ukraine betrachten, hat die Russische Föderation uns alle in Europa und vielleicht sogar darüber hinaus vor dem grossen Krieg bewahrt. Es war offenkundig, dass andere über den Putsch ihre Vorteile in Zusammenhang mit der Krim suchen wollten. Auch und gerade wegen der Rolle der Krim in Zusammenhang mit der Entwicklung in Syrien. Wenn dies in Übereinstimmung mit den geltenden Regeln des Völkerrechtes zu einer Volksabstimmung mit anschliessender Aufnahme der Krim in den Staatsverband der Russischen Föderation geführt hat, dann sollte man sich an anderer Stelle fragen, warum man die Ukraine in den Putsch getrieben hat.
Dabei müssen wir Belgrad im Auge behalten und der Russischen Föderation den Erfolg in Syrien wünschen, ohne den es für uns alle sehr dunkel wird. Es hat nicht nur etwas mit den allgemein akzeptierten Regeln des Völkerrechtes zu tun. Die sollten mit dem Krieg gegen die Bundesrepublik Jugoslawien endgültig beseitigt werden. Dabei ist man gezielt gegen die Charta der Vereinten Nationen vorgegangen und wollte sie genau so zerstören, wie man später die chinesische Botschaft in Belgrad vor einer absehbaren Beendigung des Jugoslawien-Krieges gezielt durch einen angeblich «einsamen Bomber» zerstört hat.
Das war nicht irgendein Ereignis. Mit den Bomben auf eine friedliche Stadt sollte von der Charta der Vereinten Nationen über die Schlussakte von Helsinki bis hin zu dem Wiener Übereinkommen für diplomatische Verhandlungen alles das zerstört werden, was es uns möglich gemacht hat, das Ende des Kalten Krieges und – ich sage das als Deutscher – das Ende der Teilung unseres Landes zu erreichen. Wir haben zu keinem Zeitpunkt in unserer europäischen Geschichte über derart viele völkerrechtlich allgemein akzeptierte Regeln verfügt, um mit kleinen und grösseren Schwierigkeiten fertig zu werden. Weg damit, das war das Motto aus Übersee.
Wenn wir 1990 an das «gemeinsame Haus Europa» denken konnten und der Ansicht waren, der Krieg werde uns auf Dauer erspart, dann währte diese Hoffnung nicht lange. Der Krieg wurde wieder mit dem Angriff auf einen Gründungsstaat der Vereinten Nationen und Pfeiler der Helsinki-Bewegung eine bittere Realität. Wenn es Francois Hollande, Wladimir Putin und Angela Merkel in Zusammenhang mit Minsk II nicht gegeben hätte, dann hätten wir vermutlich schon den grossen Krieg. Die Botschaft ist eindeutig. Nur der Respekt vor den geltenden Regeln des Völkerrechtes und die friedliche Konfliktbeilegung sichern uns unser Überleben und unseren Kindern eine Zukunft.
Diese Konferenz hier schlägt einen grossen Bogen und geht bis auf Jalta zurück. Da ist man natürlich versucht, tiefer zu bohren, und dann kommen Orte mit Jahreszahlen dazu, die früher liegen, 1914 oder 1919. Aber auch das scheint keine Lösung zu sein. Wir müssen an das Jahr 1871 und die Gründung des Deutschen Reiches denken. Wir haben es alle in diesem Frühjahr gehört. Seit diesem Zeitpunkt war es angeblich das Ziel amerikanischer ­Politik, eine gedeihliche Zusammenarbeit zwischen Russland und Deutschland zu hintertreiben. Wir sind alle gut beraten, an das Ende der napoleonischen Kriege zu denken. Nach den mörderischen Entwicklungen im Dreissigjährigen Krieg und den Kriegszügen Napoleons in Europa sollte derartiges nicht mehr vorkommen. Dafür gab es die Idee des russischen Zaren Alexander und des österreichischen Kanzlers Metternich, friedliche Konfliktlösung auf der Basis einer «Heiligen Allianz» zu betreiben. Es war ein frühes Helsinki. Ich werde natürlich nicht vergessen, was man mir im Weissen Haus 1988 sagte: dass selbst der militärische Aufbau der Sowjetunion in Eu­ropa nichts anderes sei als das Bemühen dieses Landes, die Konsequenzen aus dem Vorgehen von Napoleon bis Hitler zu ziehen.
Was hindert uns eigentlich, unsere Länder zu lieben und gleichzeitig unsere Nachbarn zu achten? Belgrad sagt es doch mit dem Motto des Belgrader Forums: Wir sind eine Welt der Gleichen, und wir sollten uns das nicht nehmen lassen.






Jasna Tkalec

Fantom slobode

Novi Sad: Mediterran Publishing, 2015

Format:20,5x14 cm
Obim:149 str.
Povez: meki
Cena: 800 dinara

Građansko društvo u svojim najrazvijenijim oblicima nije rešilo problem slobode, kao ni problem društvene ravnopravnosti. Iako je upravo sloboda jedna od njegovih temeljnih pretpostavki i jedan od najvećih postulata Francuske revolucije 1789. sa parolom „Sloboda, jednakost, bratstvo!“ – ni posle 220 godina opstanka i bitisanja tog društva problem slobode nije ništa više rešen no ostala dva elementa slogana velikog antifeudalnog pokreta građanske klase. Parole i ciljevi revolucija su jedno, a njihova ostvarenja, kao i sama mogućnost realizacije – kako proizlazi iz dalje i bliže prošlosti – sasvim su drugi par rukava… Šta je pak sa slobodom, koja je apstraktnija, a za koju društvo – legitimišući se i izvlačeći svoju legitimnost na bazi demokratije (slobodne volje građana izražene na izborima opštim pravom glasa) – tvrdi da je u potpunosti ostvaruje?
 
Jasna Tkalec (Zagreb 1941), završila je Filozofski fakultet u Zagrebu (romanistika i klasična filologija), te se usavršavala na Univerzitetu u Firenci. Radila je kao profesor na XVI gimnaziji u Zagrebu (1966/74) i kao lektor na Univerzitetu u Trstu. Sekretar je Odbora za kulturu Socijalističkog Saveza RH od 1976. Godine 1984. boravila je u Rimu kao stipendista Instituta Gramši, a 1986/1987. radila u Parizu. Prevodila je knjige iz područja političke teorije (Prudon) i umetnosti. Objavljivala je u časopisima: Naše teme, Žena, Dometi, Delo, Kulturni radnik, Pitanja i Oko, baveći se društvenenom teorijom, posebno Gramšijem i feminističkom kritikom. Nakon raspada zemlje radi kao slobodna novinarka za Novi forum, Nokat, Hrvatsku ljevicu (među čijim je osnivačima), Novosti, te za italijanske listove il Manifesto, Liberazione i Avvenimenti. Devedesetih godina zbog članaka u kojima je oštro kritikovala režim u Hrvatskoj osuđena je na tri meseca zatvora. Živela je u Bologni i Rimu 1991/93, od kada je, sve do 2000, bila stalni saradnik časopisa Balcanica (Rim). Član je redakcije časopisa Novi Plamen.


Poznati lm Luja Bunjuela iz 1974. godine, koji pokazuje paradoks slobo- de u buržoaskom društvu. Ljudi se pozivaju na zajedničko druženje pri iz- bacivanju, a ne pri uzimanju hrane. U drugoj sceni nepoznati strelac s vrha nebodera preciznom puškom ubija prolaznike. Nažalost, apsurd savremene zbilje pokazao se realnijim od nadrealističke imaginacije lmskog autora. J.T. „Novi Plamen“, br. 15, Zagreb, 2011.

Sadržaj: 

Sloboda i sužnji 9
Frojd i lozo ruskog simbolizma. Pitanje polnosti i pitanje slobode 17
Revolucionari duha. Može li se uvećati duhovni horizont? 23
„Ljudi mesečeve svetlosti“ 32 
Sloboda žudnje 37 
Sloboda spoznaje 42 
Teritorija slobode 48
Sloboda ljubavi – sloboda smrti: Panagulis 55 
Sloboda izbora – sloboda smrti 58 
Sloboda i demokratija 65 
Sloboda i žene 70 
Sloboda stvaralaštva 79 
Sloboda izražavanja 85 
Kastrirano stvaralaštvo 92 
Sloboda i društveni mehanizmi 101
Nesloboda u slobodi 108 
Sloboda u sputanosti 116 
Sloboda i građanska društva 121 
Individualne slobode i umetnička sloboda 130 
Od trubadura do veb-generacije i do kulture neotribalista 136 
Proba orkestra i simfonija slobode 144



NOVA KNJIGA: FANTOM SLOBODE


29.10.2015.

„Gresi istorije su kao dugoročne menice: njihovo se plaćanje proteže na budućnost i puno je nemilih iznenađenja.“ O tome piše Jasna Tkalec u knjizi Fantom slobode navodeći mnoge primere, a deo objavljuje korzoportal.

 

Sloboda i građanska društva
ideje, koje je, uprkos kraljevskih kruna i imperatorskih titula, uprkos plemićkih naslova i prestola razdeljenih rođacima i prijateljima kao karamele, uprkos nepravičnih ratova i masakra do kojih je dolazilo zbog Napoleonove pohlepe i megalomanije, ipak on, paradoksalno, raširio i ugradio, upravo te nove ideje, u duše čak i vlastitih žrtava. Ideje slobode i napretka. Revolucionarne principe i koncepte jedinstva i nezavisnosti...
(Oriana Falači, Šešir pun trešanja)
Građansko društvo, ili kako ga još nazivaju kapitalizam, predstavlja se javnosti sveta – a tim je započelo i svoju karijeru u istoriji – kao bastion ljudskih prava, garant bogatstva razlika, zaštitnik i borac za neograničenu individualnu slobodu. Sve te slobode zajamčene su zakonima i ustavom zemlje, koji im je prirodan temelj i okvir. I tu je reč o pravima, koja se na sasvim drugi način realizuju u stvarnom životu. Građansko se društvo u svakoj prilici poziva na demokratiju i njegovi pobornici smatraju ga utvrđenjem slobode. U nekim razdobljima, ne samo u odnosu na feudalna društva i privilegije aristokratije, građansko je društvo to zaista i bilo. Do poraza Napoleona 1815. kod Vaterloa, s Bonapartinim pobedama to je društvo nosilo i pobede nad feudalnim tradicijama, mrskim privilegijama aristokratije, nad njenom nadutošću i takozvanim „urođenim pravima“, koja su bila nasledna i uopšte nisu vodila računa o kvalitetu ličnosti niti o njenom vladanju. Dok je građanstvo radilo i gomilalo dobra proizvodnjom i trgovinom, a kmetovi robovali, aristokratija je plesala, lovila, izmišljala zabave i dokolice, negovala vlastitu prefinjenost i raskoš, kulturu i umetnost, ali i razvrat, zasnivajući vlastitu moć na tuđem znoju i teškom dirinčenju, istovremeno duboko prezirući sve ostale društvene staleže.
Napoleon je, sledeći prosvetiteljsko geslo o pravednoj nagradi prema zaslugama, tvrdio kako se maršalska palica nalazi u rancu svakog vojnika. Oficiri Napoleonove vojske napredovali su u karijeri svojom hrabrošću i sposobnošću na bojnom polju, a ne zbog plemićke titule porodice, stečene rođenjem, koja im je omogućavala ulazak u prestižna vojna učilišta. Murat, Napoleonov oficir, dogurao je ne samo do maršala, već ga je Napoleon proglasio i vicekraljem Italije, a titulu kralja dodelio svom maloletnom sinu, Napoleonu II – Orliću[1], kojeg je dobio sa austrougarskom princezom Marijom Lujzom. Bio je to neslućeni uspon građanskog društva i bogate buržoazije, koja je oponašala sjaj aristokratije u vreme Carstva, uzlet kakav Evropa nikad pre nije doživela. Pogazivši Republiku proizišlu iz Revolucije, iako ga je Konvent poslao da za nju ratuje, Napoleon je oslobodio Evropu stegnutu uzdama feudalizma i silom oružja u evropske zemlje unosio tekovine revolucionarne 1789. godine. Opijen ratnom slavom i uspesima, prezreo je narodnu skupštinu, proglasio se prvo konzulom a zatim imperatorom, oterao u mladim danima voljenu suprugu Žozefinu i oženio se kćerkom habzburškog cara. Ali mu ovo orođavanje s evropskim plemstvom i majmunisanje aristokratskih titula nije donelo sreće, kao ni pohod na Rusiju, nespremnu da skine feudalne lance. Ona je u Napoleonovoj najezdi videla samo stranu okupaciju, pa je slavna Grande Armée propala na povratku kući na ruskoj zimi, gonjena i uništavana od odreda ruske vojske i ruskih partizana poraženih u bitkama. Napoleon se našao sam, prognan na ostrvo Elbu i nakon bega odatle u Pariz i poslednjeg pokušaja od 100 dana vladavine, doživeo je definitivni poraz, a Evropu je zapljusnula Restauracija, utvrđena Bečkim kongresom 1815.
Nadarenog Murata streljali su u Napulju Burboni, ostrvljeni naročito na revolucionare i na sve napredno. Ova dinastija, došavši u Napulj preko španske krune, zapatila je u tom gradu tako ogromno rasprostranjenu i zaostalu sirotinju, čuvene lazarone, čije je preživljavanje zavisilo o milosti kralja i klera, da je baš ta sirotinja u samo nekoliko godina dva puta usrdno pomogla burbonskoj dinastiji da u krvi uguši dva revolucionarna pokušaja i samu sebe izruči nasleđenoj nečuvenoj fizičkoj i duhovnoj bedi, koja će praviti goleme probleme budućim pokolenjima, kao i svima onima što će se brinuti za taj grad, pokrajinu i zemlju. Gresi istorije su kao dugoročne menice: njihovo se plaćanje proteže na budućnost i puno je nemilih iznenađenja.
U odnosu na prilike u Napulju, Španiji, carskoj Rusiji (pa i samoj Francuskoj, kolevci građanske revolucije, nakon pada Napoleona Bonaparte), građanska prava i demokratske slobode, kasnije garantovane pravom glasa, za koje se tek krajem 19. veka postiglo obuhvatanje masa[2], u odnosu na pređašnje stanje, značile su ogroman korak napred. Napoleonov zakon bio je umnogome uzor napretka, ne samo po unutrašnjoj veoma spretnoj organizaciji države već i po dotad nezamislivim slobodama, koje je garantovao ljudima, ukidajući privilegije rođenja, uvodeći slobodu veroispovesti, izjednačujući Jevreje sa nejevrejskim stanovništvom i nezakonitu decu sa zakonitom. Formalno – svi građani postali su jednaki pred zakonom. U imovinska prava nije dirano i privatno vlasništvo štitio je zakon. Dolaskom Restauracije i Bečkim kongresom 1815. ponovo je zakoračeno unatrag, i mada su se vratili aristokrate-emigranti, mnoga od stečenih prava građana bilo je nemoguće dokinuti. Uostalom, u Parizu je građanstvo izlazilo na barikade i velikodušno ginulo gotovo svake prestupne godine. Ipak se, sve do sloma Luja Napoleona i uspostavljanja Treće Republike nakon Sedana, nije moglo govoriti o konačnoj pobedi revolucionarnih načela iz 1789. godine. Ta su načela pobedila bezmalo sto godina kasnije: 1870!
Mnoge od građanskih sloboda, koje se danas smatraju prirodnim, nije bilo lako ni izboriti ni ostvariti. U Italiji je razvod braka uveden tek 1970. godine, a potvrđen referendumom 1974. Priznavanje nezakonite dece i njihovih zakonskih prava nasleđivanja, izjednačenih sa zakonitim potomcima, omogućeno je bez pogovora tek nedavnim pronalaskom DNK analize! Pravo na život, osnovno od svih ljudskih prava, zavisilo je od ostvarivanja prava na dostojnu nadnicu i na lečenje, a sva su ona, nakon mukotrpne borbe u prvoj polovini 19. veka, ne bez daljnjih teškoća, bila uvođena kroz celu drugu polovinu tog stoleća. Svakako da je pravo na život podrazumevalo i zabranu izvršenja smrtne kazne nad krivcima, bez obzira na težinu zločina. Taj je koncept teško krčio sebi put i konačno pobedio u Evropi i u SAD-u. U većini država SAD-a je postojao ranije no u Evropi, ali je kasnije ukinut zbog raširenosti kriminala. Kako dokazuju sve statistike, smrtna kazna nimalo ne utiče na smanjenje broja teških kriminalnih radnji, dok celo društvo pretvara u kolektivnog ubicu. I borba za humanizaciju društva i ublažavanje izdržavanja zatvorskih kazni trijumfovala je u Evropi tek u drugoj polovini 20. veka. Zaštita manjina, ne samo etničkih, domet je civilizacije tek u poslednjim desetlećima minulog veka. Progoni religijskih, etničkih, polnih, jezičkih ili zdravstvenih manjina postojali su u Evropi sve donedavno i ukidanje tlačenja, ponižavanja, maltretiranja, segregacija, zabrana, kazni ili prisilnog lečenja predstavlja skorašnje domete i stvar je još uveliko nezaživljenih civilizacijskih dostignuća u pravima. Ove domete sloboda danas u većini zapadnih zemalja, bar formalno, garantuju zakoni.

[1] Napoleon II (1811–1822), sin Napoleona I, koga su u Beču, gradu njegove majke, zvali Franc (François), bio je francuski car samo dva dana, kada ga je sam Napoleon proglasio naslednikom, nakon Vaterloa, u dvorcu Bloa, a potom je otišao u izgnanstvo na ostrvce Sv. Helenu. L’Aiglon („Orlić“) živeo je s majkom prvo u Rambujeu, a kasnije na bečkom dvoru. Za revolucionarnih dana u Parizu 1830. godine narod se pozivao na Orlića. Napoleon II, mladić čudesne lepote, umire u Šonbrunu u dvadeset i prvoj godini života, navodno od tuberkuloze.
[2] U većini zemalja žene su dobile pravo glasa tek 1945, a u Švajcarskoj tek 1971. godine!

Jasna Tkalec: Fantom slobode, Mediterran Publishing, 2015.





Il Montenegro, ventinovesima stella della NATO

di Antonio Mazzeo, lunedì 21 dicembre 2015

Nei primi mesi del 2017 il piccolo Montenegro entrerà a far parte della grande NATO. La decisione è stata assunta il 2 dicembre scorso in occasione del vertice dei ministri degli esteri dei 28 paesi membri dell’Alleanza. Una settimana prima, il Segretario generale della NATO Jens Stoltenberg e il vice Alexander Vershbowsi si erano incontrati in Belgio con il ministro per gli affari esteri montenegrino Igor Lukšić e il titolare del dicastero della difesa Milica Pejanović-Đurišić per sottoscrivere un pre-accordo tra le parti. “Si tratta di un giorno importante per il Montenegro, i Balcani occidentali e l’Alleanza”, ha enfatizzato Jens Stoltenberg. “I progressi fatti dal Montenegro facilitano pure la possibilità che diventi membro dell’Unione europea. I paesi NATO e EU costituiscono una comunità delle moderne democrazie. Noi condividiamo gli stessi valori e nove cittadini dell’Unione europea su dieci vivono in un paese NATO. Insieme, l’open door NATO e l’allargamento EU hanno rafforzato la sicurezza e la stabilità in tutta Europa”.

Per il Segretario generale della NATO, grazie al lavoro con i partner dell’Alleanza, “le forze armate del Montenegro sono ora più forti e più capaci nel proteggere il popolo montenegrino”. “L’ingresso di questo paese porterà benefici alla NATO”, ha aggiunto Stoltenberg. “Rafforzerà la sicurezza e la stabilità dei Balcani occidentali, una regione per lungo tempo caratterizzata dall’instabilità e dai conflitti. Il Montenegro ha una consolidata tradizione militare e si è specializzato in settori come la guerra in montagna e la sicurezza marittima. È importante che il paese continui nel cammino delle riforme interne soprattutto sull’adeguamento della Difesa e sullo stato di diritto”. Sui tempi necessari per l’adesione del Montenegro, Jens Stoltenberg ritiene che le procedure di ratifica dell’accordo da parte dei parlamenti dei ventotto paesi NATO richiederanno almeno un anno e che comunque il tutto si possa concludere entro l’inizio del 2017. “Nel frattempo coinvolgeremo il Montenegro in tutte le attività dell’Alleanza, compreso il summit in programma l’8 e il 9 luglio 2016 a Varsavia, dove potrà partecipare, senza diritto di voto, a tutti gli incontri istituzionali”, ha concluso il segretario generale dell’Alleanza Atlantica.

La rilevanza geostrategica dell’incorporazione del Montenegro nella NATO è stata sottolineata dallo studioso Luca Susic di Analisi difesa. “L’ingresso del piccolo Montenegro ha in realtà un peso politico ben superiore a quello militare”, spiega Susic. “Si tratta infatti di un risultato importante della NATO, innanzitutto perché permette di sferrare l’ultimo e decisivo colpo al già moribondo storico legame fra il paese e la Russia e, in secondo luogo, perché Bruxelles ottiene praticamente il controllo totale delle coste settentrionali del Mediterraneo, realizzando un continuum dalle Colonne d’Ercole ad Antiochia”. Per l’analista, inoltre, la NATO consolida ulteriormente la propria presenza nell’area ex-jugoslava ed “incrementa la già forte pressione esercitata sulla Serbia, che si trova ad essere letteralmente circondata da stati membri dell’Alleanza o da territori controllati da questa (si pensi al Kosovo)”.

Il forte rischio che l’adesione del Montenegro esasperi le tensioni tra la NATO e Mosca è stato rilevato dall’esperto di questioni militari Gianandrea Gaiani. “Elementari ragioni di opportunità diplomatica e prudenza consiglierebbero la NATO a rimandare l’adesione del Montenegro, decisione che non muterebbe gli assetti strategici, non indebolirebbe l’Alleanza occidentale ma favorirebbe quei Paesi europei (Italia inclusa) impegnati a ricucire lo strappo con la Russia determinato dalla crisi a Kiev e dall’annessione della Crimea”, scrive Gaiani su Il Mattino. “Con un po’ di malizia è facile pensare che l’invito al Montenegro punti a creare un clima sfavorevole alla nascita della nuova inattesa alleanza tra Russia e Francia contro lo Stato Islamico in Siria. (…) In prospettiva avere i montenegrini come alleati potrebbe rivelarsi un pessimo affare anche per l’Italia. La base navale di Bar, l’aeroporto di Golubovci o una delle quattro basi aeree militari oggi non più impiegate dalle piccole forze armate montenegrine potrebbero in futuro ospitare forze aeree e navali statunitensi oggi schierate in Italia, Spagna e Germania offrendo costi decisamente più contenuti”.

Dal dicembre 2006, il Montenegro è uno dei membri della NATO Partnership for Peace. Al summit dei Capi di Stato dell’Alleanza a Bucarest nell’aprile 2008, il paese balcanico fu invitato ad intensificare il dialogo con Bruxelles nella prospettiva di un rapido ingresso nella grande alleanza militare. Le prime consultazioni si realizzarono il 24 giugno dello stesso anno in occasione di un incontro tra i viceministri degli esteri e della difesa montenegrini Dragana Radulović e Drasko Jovanović e il vicesegretario NATO per la sicurezza, la cooperazione e la partnership, Robert F. Simmons. A Partire del 2009, la NATO e il Montenegro iniziarono a operare congiuntamente nell’ambito del cosiddetto Membership Action Plan, il programma che “aiuta le nazioni partner a prepararsi in vista di un loro possibile futuro ingresso nella NATO”. Nel 2010, le autorità di Podgorica autorizzarono la partecipazione di un plotone di fanteria e di un piccolo staff di addestratori dell’esercito alla missione militare NATO in Afghanistan. Nello specifico, i militari montenegrini furono impiegati nella protezione del centro di “formazione” della polizia e delle forze armate afgane a Kabul e dello scalo militare di Mazar-e-Sharif, quartier generale del Comando regionale Nord della coalizione internazionale.

Nel marzo 2012, l’allora comandante in capo delle forze NATO, l’ammiraglio statunitense James Stavridis, si recò in visita ufficiale in Montenegro. “Colgo l’occasione per ringraziare il paese per la professionale cooperazione militare e l’eccellente supporto alla missione di peacekeeping NATO in Afghanistan; militarmente, il Montenegro è pronto a fare ingresso nell’Alleanza”, dichiarò allora James Stavridis. Un ulteriore passo verso la completa integrazione nella NATO fu compiuto il 16 ottobre 2013 in occasione della visita del Presidente del Montenegro Filip Vujanovic al quartier generale dell’Alleanza in Belgio, dove incontrò l’allora segretario generale NATO, il generale Anders Fogh Rasmussen.

Nel settembre 2014 il vertice dei Capi di stato e di governo dei paesi membri dell’Alleanza, tenutosi in Galles, assunse la decisione di intensificare i colloqui con le autorità montenegrine; il mese seguente, il NATO Military Committee, la maggiore autorità militare NATO, presieduta dal generale Bartels, si recò in visita a Podgorica per incontrare i vertici delle forze armate locali e verificare la sostenibilità dei nuovi programmi strategici adottati. Nel corso della visita, i membri del Comitato militare NATO parteciparono come osservatori ad alcune esercitazioni militari navali e terrestri e al trasferimento di armi e munizioni nell’installazione “Milovan Šaranović” di Danilovgrad.

Il 5 marzo 2015, il comandante della Kosovo Force (KFOR), generale Francesco Paolo Figliuolo, incontrava a Pogdorica il ministro degli interni Rasko Konjevic e il ministro della difesa Milica Pejanovic Djurisic per discutere sull’evoluzione della situazione socio-politica e della sicurezza in Kosovo. Nel corso del meeting, il Montenegro ribadiva la disponibilità a collaborare con la NATO e le autorità kosovare nella gestione del controllo delle aree di confine e della “lotta alla criminalità organizzata”. Lo scorso 4 settembre, infine, quattro unità assegnate al gruppo navale NATO di contromisure mine (Standing NATO Mine Countermeasures Group TWO - SNMCMG2), schierato nel Mediterraneo a supporto dell’operazione Active Endeavour di “contrasto al terrorismo internazionale”, effettuavano una breve sosta nel porto di Bar. La “visita” della flotta NATO coincideva con una tavola rotonda sulla Sicurezza nell’Adriatico organizzata nella città montenegrina dal NATO Defense College e dalle forze armate locali, in collaborazione con l’Unione Europea. A conclusione della visita, lo Standing NATO Mine Countermeasures Group TWO prendeva parte a un’esercitazione in mare aperto con alcune unità della flotta del Montenegro. 
Dal 2011 al 2014, il paese balcanico è stato pure partner del progetto di “studio” GEPSUS (Geographical Information Processing for Environmental Pollution-Related Security within Urban Scale Environments) sugli effetti in ambito urbano degli agenti inquinanti “specialmente nel contesto di un attacco terroristico”, finanziato dal NATO Science for Peace and Security (SPS) Programme e realizzato da un equipe di scienziati provenienti da Italia, Israele e Slovenia. Il progetto si è concluso con la realizzazione di un apposito centro di formazione e simulazione GEPSUS a Podgorica.




"BISOGNA PRIVATIZZARE TUTTO" PER ENTRARE NELLA SACRA UNIONE EUROPEA

Una importante riunione del governo ucraino culmina in rissa: da un lato l'oligarca Avakov, ladro e profittatore che proclama "Bisogna privatizzare tutto!" (per comprare tutto lui), dall'altra l'ex presidente georgiano Saakashvili, attuale reggente di Odessa, guerrafondaio responsabile di crimini contro la pace, agente della NATO, razzista russofobo e che tuttavia – come tutti nella riunione di governo – parla in lingua russa! 
Nota giustamente Giulietto Chiesa presentando il video: "C’è da sperare che questa Ucraina entri finalmente in Europa, così anche nel Parlamento di Bruxelles assisteremo allo scambio di torte in faccia e insulti pittoreschi". 

Torte in faccia (PTV, 25/12/2015): http://www.pandoratv.it/?p=5422
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=kHSV6Rbq6-U




Per chi volesse saperne di più su Babbo Natale


E' cosa nota che la figura mitica di Babbo Natale si ispira a un preciso personaggio storico, vale a dire Nicola, vescovo di Myra, città della Licia in Anatolia (oggi Demre, Turchia), vissuto nel IV secolo, proclamato Santo dalle chiese cristiane e considerato – tra le altre cose – protettore dei bambini.
San Nicola nei paesi nordici e anglofoni diventa "Santa Claus", appellativo derivato da Sinterklaas, il nome olandese di San Nicola. Infatti nei Paesi Bassi, in Svizzera ed in alcune altre culture, "Sinterklaas" o "Nikolaus" o "Santa Claus" si presenta ai bambini (magari affiancato da un asinello, o tirando una slitta...) con regali, consigli o ammonizioni annualmente alla vigilia del 6 dicembre, giorno dedicato a questo santo, non avendo nulla a che fare con il Natale.

Nelle culture cristiano-ortodosse, dove in base al calendario tradizionale giuliano il Natale cade due settimane dopo rispetto a quello cattolico, e nei paesi socialisti, dove il calendario civile assume un significato prevalente su quello religioso, ad "apparire" ai bambini è un tizio molto somigliante a Santa Claus detto "Babbo Gelo", che di solito si presenta per Capodanno o comunque per tutto il periodo delle feste, senza alcun nesso specifico con il 25 dicembre. 

Anche nelle culture turbocapitaliste occidentali, in effetti, la figura di Babbo Natale o Santa Claus che dir si voglia ha oramai perso il legame con le ricorrenze religiose, essendone piuttosto la sua negazione in quanto una delle tante leve simboliche del delirio consumista. Pare che un ruolo-chiave in questa trasformazione genetica l'abbia avuta la nota ditta produttrice della Coca-Cola: essa avrebbe infatti "consacrato" il vestito rosso e bianco che tutti adesso conoscono per la sua pubblicità natalizia, negli anni Trenta del XX secolo, mentre in precedenza la veste di "Nikolaus" era più frequentemente verde

Tornando a San Nicola di Myra, notiamo che la sua figura in Italia è più nota come San Nicola di Bari. Questo perché le sue Reliquie nel 1087 furono trafugate dalla Turchia ed in parte traslate proprio a Bari, dove per ospitarle quell'anno stesso fu costruita la nota basilica, da allora meta di pellegrinaggio di fedeli.

Gli zar di Serbia della dinastia Nemanja (Nemaide), a partire dal fondatore per finire a Stefano Dušan, dalle loro residenze e conventi nella "vecchia Serbia" (Raška e Kosovo) erano usi inviare frequentemente doni alla Basilica di San Nicola di Bari, proprio in virtù della grande importanza che il Santo ha sempre assunto per le culture cristiano-orientali, bizantine ed ortodosse, data la sua origine anatolica.
Nella Basilica resta a tutt'oggi una unica, importante traccia di tali donazioni: si tratta della preziosa icona di San Nicola, collocata dietro l’altare che custodisce le reliquie del Santo.
L'icona è stata a lungo attribuita ad Uroš II Milutin, lo stesso che aveva donato l’altare d’argento nel 1319; ma oggi, specie fra gli studiosi serbi, prevale l’opinione che essa sia da attribuirsi piuttosto al figlio, Uroš III (1322 – 1331). Egli l’avrebbe inviata alla Basilica come ringraziamento a San Nicola che gli aveva restituito la vista dopo che il padre l’aveva fatto accecare come ribelle.
Nell'icona – che riproduciamo in allegato – il Santo di Myra è ritratto tra i donatori, nella versione definitiva identificati con Stefano Dečanski e suo figlio Dušan.

Un gioiello dell'arte serbo-bizantina è dunque in Italia. Lo sapevate? In barba a Babbo Natale...

E tuttavia: Auguri a chi ci crede. E soprattutto Buone Feste e Buon Anno Nuovo 2016 a tutti, belli e brutti, dal
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS – od Italijanske Koordinacije za Jugoslaviju
sve najbolje za praznike i Srečna Nova Godina 2016. svim jugoslavenima i prijateljima na svijetu!


(a cura di Italo Slavo. Fonti:




(русский / english / italiano
In ordine cronologico inverso - Inversed chronological order)

Comunisti fuorilegge in Ucraina

1) Lettera all'ANPI sull'Ucraina (Giorgio Langella, 21.12.2015)
2) Difendiamo i comunisti ucraini! L'attività del Partito Comunista di Ucraina è stata ufficialmente proibita... (PCFR, 19.12.2015)
3) La repressione dei comunisti in Ucraina. Intervista a Andrei Che Sokolov (NST, 20.11.2015)
4) Appello dei comunisti ucraini ai partiti comunisti e operai (Ottobre 2015)
5) Kiev junta bans the activities of two communist parties (Oct. 1, 2015)
6) Comunicato sul caso dei quadri del KKE presi di mira dal governo ucraino (29.9.2015)
7) Ucraina: aiutiamo i perseguitati politici Sergej Tkachenko e Denis Timofeev (23.7.-26.8.2015)
8) ALTRI LINK / MORE FLASHBACKS
9) VISNJICA - CILIEGINA: Aprile 2015. Due consiglieri comunali della Lega Nord di Milano si sono fatti promotori di un‘iniziativa volta a “mettere al bando tutti i partiti che in Italia si rifanno all’ideologia comunista.” Proprio come in Ucraina e Lettonia. Proprio come piace all'Unione Europea.


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Lettera all'ANPI sull'Ucraina

di Giorgio Langella

Quello che sta accadendo in Ucraina è di estrema gravità.

Organizzazioni dichiaratamente nazi-fasciste sono parte integrante di un governo nato da un vero e proprio colpo di stato finanziato anche da forze occidentali che si dichiarano democratiche. L’eccidio di Odessa del 2 maggio 2014 quando decine di cittadini inermi furono massacrati da un’orda di fascisti e la guerra scatenata contro le popolazioni del Donbass che si sono rifiutate di subire le angherie del governo di Kiev e stanno resistendo all’avanzata di tristi battaglioni di “volontari” che si fregiano di simboli nazisti (e sono solo alcuni esempi di cosa sta succedendo in Ucraina) non hanno certo avuto il dovuto risalto, né il doveroso e fermo contrasto da parte degli antifascisti europei e italiani.

In questi giorni si apprende che l’attività del Partito Comunista di Ucraina è stata ufficialmente proibita dalla giunta di Kiev.

Non si può far finta di nulla. Tutte le forze sane italiane ed europee devono battersi contro ogni discriminazione e in difesa dei comunisti ucraini, la cui libertà e vita è messa in discussione. La logica e l’esperienza ci dicono che presto la giunta di Kiev scatenerà il terrore individuale contro chiunque sia sospettato di essere comunista. Nessun antifascista può permettere che possano avvenire nuove tragedie come quella di Odessa, come gli omicidi politici e il genocidio nel Donbass.

Il pericolo della rinascita di governi fascisti, xenofobi e razzisti in Europa è evidente.

Non possiamo restare indifferenti di fronte a tutto questo.

Chiedo, da iscritto all’ANPI di Vicenza e come segretario regionale veneto del Partito Comunista d’Italia, che l’ANPI prenda una netta posizione denunciando con forza quanto sta accadendo in Ucraina e la connivenza che il governo italiano, la UE, la Nato e gli USA dimostrano nei confronti di un governo, quello di Kiev, antidemocratico e sostenuto da forze dichiaratamente nazi-fasciste. Le stesse che i nostri padri hanno combattuto e vinto con la lotta di Liberazione.

Ora e sempre Resistenza!

21 dicembre 2015


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Difendiamo i comunisti ucraini! Fermiamo il neofascismo!

19 Dicembre 2015 

Dichiarazione del Presidium del Comitato Centrale del Partito Comunista della Federazione Russa

da kprf.ru | Traduzione dal russo di Mauro Gemma 

“L'attività del Partito Comunista di Ucraina è stata ufficialmente proibita... Oggi tutte le forze sane del pianeta devono battersi in difesa dei comunisti ucraini, la cui libertà e vita è messa in gioco. Non c'è dubbio che dopo il divieto del Partito Comunista la giunta di Kiev cercherà di scatenare il terrore individuale. Più di una volta si è dimostrato che è pronta a farlo: a Odessa allo stesso modo di Khatyn, con gli omicidi politici e il genocidio nel Donbass. Non possiamo permettere che nuove tragedie avvengano!... Ci appelliamo ai dirigenti dei paesi dell'Unione Europea: voi che vi pronunciate regolarmente sull'inviolabilità dei diritti umani, perché non imponete alla presuntuosa dirigenza ucraina di smetterla? Non è la prima volta che avete dimostrato di saper imporre la vostra volontà a Kiev. Dimostrate allora questa volta la vostra disponibilità ad agire come difensori dei diritti civili e delle libertà.”

Fermare gli eredi della banda hitleriana!

L'attività del Partito Comunista di Ucraina è stata ufficialmente proibita da un tribunale. Per tutti coloro che hanno a cuore gli ideali di libertà, uguaglianza e amicizia tra i popoli, per chi ricorda le lezioni della storia, quanto accaduto a Kiev significa solo una cosa: la dittatura fascista a Kiev ha completato il suo disegno. Nella carta dell'Europa è nuovamente apparso uno stato, i cui caporioni sono ideologicamente gli eredi della banda hitleriana. Le conseguenze di ciò potrebbero tragicamente riflettersi in tutto il mondo e, in particolare, in Europa.

Il passo cinico della dirigenza ucraina non è inaspettato. Il colpo di stato portato a compimento a Kiev nel 2014, era colorato di marrone. E' stato attuato ad opera di coloro che dichiarano apertamente la loro adesione all'ideologia nazista. Nel corso della guerra nel Donbass, la giunta fascista ha dimostrato con una serie di azioni odiose la sua natura contraria all'umanità: il terrore contro la popolazione civile, le torture e gli omicidi di massa.

Il governo illegale ucraino, seguendo la strada battuta dai nazisti tedeschi, ha ripetutamente cercato di vietare il Partito Comunista. Ciò ha incontrato la resistenza di giudici onesti e responsabili, di molti rappresentanti della società civile. I coraggiosi, rischiando la sicurezza personale, non si sono fatti portare al guinzaglio dai brutali radicali. Ma il costante sostegno politico degli Stati Uniti e dei loro complici della NATO ha convinto chi ha preso il potere in Ucraina che tutto gli era permesso. Il regime “banderista” di Kiev ha limitato l'attività dei comunisti, ha incoraggiato la demolizione dei monumenti dell'epoca sovietica, ha proibito i simboli sovietici, fino ad arrivare al definitivo divieto illegale del PCU.

Il Partito Comunista di Ucraina ha difeso disinteressatamente i semplici cittadini, che il colpo di stato ha gettato nella povertà e privato dei diritti. Ha difeso gli ideali di fratellanza e amicizia tra i popoli russo e ucraino, mentre i fanatici impazziti urlavano “non saremo mai fratelli”. Proprio per queste ragioni il PCU è stato oggetto dei durissimi attacchi da parte delle autorità di Kiev. Il fascismo, dando l'assalto al potere, ha sempre cominciato con il divieto dell'attività dei partiti comunisti e il massacro dei patrioti onesti e coraggiosi.

Oggi tutte le forze sane del pianeta devono battersi in difesa dei comunisti ucraini, la cui libertà e vita è messa in gioco. Non c'è dubbio che dopo il divieto del Partito Comunista la giunta di Kiev cercherà di scatenare il terrore individuale. Più di una volta si è dimostrato che è pronta a farlo: a Odessa allo stesso modo di Khatyn, con gli omicidi politici e il genocidio nel Donbass. Non possiamo permettere che nuove tragedie avvengano!

Ci appelliamo ai dirigenti dei paesi dell'Unione Europea: voi che vi pronunciate regolarmente sull'inviolabilità dei diritti umani, perché non imponete alla presuntuosa dirigenza ucraina di smetterla? Non è la prima volta che avete dimostrato di saper imporre la vostra volontà a Kiev. Dimostrate allora questa volta la vostra disponibilità ad agire come difensori dei diritti civili e delle libertà.

Allo stesso tempo, il Presidium del CC del PCFR sottolinea il fatto che alcuni politici degli USA e dell'UE sono direttamente coinvolti nelle azioni dei fascisti di Kiev. Questi signori sono al servizio di quelle forze della globalizzazione che stanno operando consapevolmente per provocare una conflagrazione militare nella speranza di utilizzarla per fare fronte alla crisi economica e rafforzare la propria egemonia politica. Sono proprio degni di condividere le stesse responsabilità dei fascisti ucraini, di fronte al tribunale della storia.

Il Presidium del CC del PCFR richiama l'attenzione sul fatto che la proibizione del Partito Comunista di Ucraina non è sufficientemente denunciata dagli strumenti di informazione di massa russi. Noi crediamo che questa situazione sia inaccettabile. Non abbiamo dubbi: gli ammiratori dell'ideologia della destra liberale simpatizzano per la giunta di Kiev. Tuttavia, siamo convinti che la maggioranza la pensa diversamente. Qualsiasi giornalista che si consideri un professionista onesto è tenuto oggi ad alzare la voce in difesa di coloro i cui diritti e libertà sono violati nel modo più cinico e le cui vite sono in pericolo.

Il Presidium del CC del PCFR fa appello al presidente e a chi dirige il governo della Russia perché si adotti una posizione energica e si riaffermi la fedeltà verso l'eredità dei padri e dei nonni – vincitori del fascismo. Occorre offrire il massimo sostegno alle repubbliche del Donbass e risolvere la questione con il loro riconoscimento ufficiale. Tale richiesta è stata avanzata già da molto tempo.    Il PCFR vi insiste dal 2014.

La Russia dispone di leve potenti per esercitare pressione su Poroshenko e i prepotenti teppisti che gli stanno attorno. Se non si utilizza la pressione politica, domani tutti saremo costretti a difendere il paese con le armi in mano dai fanatici “banderisti”.

La nuova offensiva delle forze neofasciste minaccia di incendiare militarmente tutto il mondo e in primo luogo l'Europa. Il PCFR lancia un appello alle forze progressiste di tutti i paesi ad alzare la propria voce in difesa del Partito Comunista di Ucraina, a sostegno delle norme democratiche più elementari. Oggi siamo ancora in tempo per fermare gli eredi della banda hitleriana. Il PCFR invita tutte le persone oneste ad unirsi e a respingere i nuovi fomentatori della guerra. Questa minaccia non è meno pericolosa del terrorismo internazionale.

Difendiamo i comunisti ucraini! Fermiamo il neofascismo!


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La repressione dei comunisti in Ucraina. Intervista a Andrei Che Sokolov

(NST, 20 novembre 2015)

Dalla Commissione Internazionale NST. Traduzione nostra

Intervista di Internazionalisti 36 al prigioniero comunista Andrei Che Sokolov, dal carcere della Junta fascista ucraina.

Andrei, raccontaci cosa è successo il giorno della tua cattura e di cosa ti hanno accusato? 

Il 16 dicembre del 2014 mi stavo spostando con la mia Matiz da Donetsk a Gorlovka, nella DNR (Repubblica Popolare di Donetsk). In guerra molte cose che dipendono dalla fortuna. Io non l’ho avuta – mi sono perso e sono finito al posto di blocco n. 37 delle VSU (Forze Armate di Ucraina) vicino al villaggio Krasnij Partizan. In quel momento il villaggio era ancora in mano alle forze ucraine. Più tardi, a gennaio, sarebbe stato liberato dai miliziani della DNS…ma in quel momento no, così mi hanno arrestato.

Siccome la matricola della mia auto e il mio passaporto sono russi, mi hanno immediatamente incappucciato, mi hanno legato le mani con lacci di plastica e mi hanno rinchiuso dentro una buca per due settimane. Per loro ero un “nemico della nazione”, un russo…un moskal. Sotto percosse, torture e minacce di essere immediatamente giustiziato, sono stato costretto a “confessare” che stavo aiutando i miliziani nella ricostruzione della fabbrica di Donetsk y Torrez, legata alle “necessità di difesa delle DNR”. Così sono diventato un “collaboratore dei terroristi” secondo l’articolo 258 – 3 UKK (da 8 a 15 anni di condanna poiché l’Ucraina considera le Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk come organizzazioni terroriste). Io sono un operaio metallurgico, per l’esattezza tornista, possiedo nella mia casa di Mosca una piccola officina per la lavorazione del metallo. Sono un buon conoscitore di questo tipo di lavoro con materiali distinti, specialmente in sistemi di tiro (precedentemente ero stato condannato in Russia per la manipolazione di sistemi di armi, essendo un militante del movimento di sinistra radicale). Basandosi su tutto questo, gli accusatori ucraini hanno deciso di accusarmi di lavorare per la repubblica nella creazione del complesso militare-industriale del Ministero della Difesa della DNR.

Il 28 dicembre 2014 mi hanno trasferito al SBU (Servizio di Sicurezza ucraino, ndt) di Mariupol ed è lì che è iniziata ufficialmente la mia detenzione. E’ stato allora che, finalmente, sono riuscito a comunicare con i miei famigliari e a potergli dire di essere prigioniero. Mi hanno messo in un carcere locale, cosa di cui ho approfittato per impugnare le mie confessioni estorte nelle camere di tortura. Dopo un breve periodo istruttorio, adesso comincia il processo. Nego tutte le accuse e porto 11 mesi di prigionia senza alcuna prova processuale e senza testimoni. Tutte le accuse consistono nell’auto-incriminazione estorta sotto tortura. Hanno persino cambiato la data e il luogo di detenzione, in realtà sequestro, cioè il 16 dicembre al posto di blocco, né lo menzionano, dando come data e luogo il 28 dicembre a Mariupol. Al momento della “detenzione” io ero completamente disarmato e vestito da civile. Sono un volontario civile della DNR.

Come sei stato trattato in prigione e quale è la tua situazione attuale?

Come ho detto prima, sono passato dai “sotterranei” (i centri di tortura, ndt) e ora mi trovo in un carcere comune. C’è una enorme differenza tra i “sotterranei” nelle zone dell’ATO (zona di guerra, ndt), dove la gente subisce torture e crudeltà o semplicemente scompare senza alcuna traccia, poiché non è detenuta legamente e né i suoi famigliari né i suoi amici sanno dove si trovi. In questo modo nessuno è responsabile della vita e dello stato di salute dei prigionieri. Non sono stato tra quelli trattati peggio per essere un russo e non un miliziano locale. Qui ho conosciuto diversi prigionieri russi, come Sasha, che nel braccio aveva inciso la parola “moskal” con un coltello. A me questo non è toccato. Ciò mi ha ricordato quello che avevo letto prima della guerra sul trattamento dei paracadutisti francesi nei confronti dei resistenti – i patrioti algerini rinchiusi in sotterranei simili a questi. Torturavano gli algerini ma anche i cittadini francesi. Sulla mia esperienza personale riguardo questo cosa, ho scritto dettagliatamente nel mio articolo “tutti parlano in prigione1”.

Nelle prigioni “normali” le condizioni sono tollerabili. Il cibo è cattivo, ma i compagni riescono a farci avere pacchi con alimenti. All’inizio mi hanno dato un avvocato “pubblico” (totalmente inutile), ma adesso ne ho uno che si occupa del caso. Noi prigionieri della DNR siamo tenuti singolarmente in celle con prigionieri comuni, manteniamo comunicazioni fra noi, ci consideriamo prigionieri politici e chiediamo che ci mettano nello stesso gruppo. E’ necessario per implementare la solidarietà e il mutuo appoggio. A Odessa e Artiomovsk, dove ci sono moltissimi prigionieri politici, questi sono raggruppati nello stesso settore penitenziaio. Vogliamo vedere se questo si riesce a ottenere per tutte le carceri ucraine.

Da poco Valeriy Berest, che come te è stato detenuto il 16 dicembre ed è stato rinchiuso nel SIZO (prigione preventiva isolata) di Mariupol, è stato scambiato con altri prigionieri e si trova libero. Quali sono le possibilità di vederti in uno scambio di prigionieri? 

Sì, il 28 ottobre, presso la linea del fronte, nella città dal pacifico nome di Shastie (in russo felicità, ndt) tra l’Ucraina e la LNR (Repubblica Popolare di Lugamsk), c’è stato uno scambio di prigionieri sotto la formula -11×9. Cioè 11 dei nostri prigionieri in mano all’Ucraina per 9 militari delle VSU. Tra i nostri ce n’era uno che avevo conosciuto nella prigione di Mariupol, il miliziano Valery Berest (in realtà dei nostri 11, solo 3 erano miliziani, i più erano civili). Mi sento molto contento e felice che Valery adesso sia libero. Ci siamo conosciuti nel SBU durante i primi interrogatori, inoltre siamo stati catturati lo stesso giorno. Ci interrogavano nella stessa stanza dell’ispettore del SBU, e ci hanno tenuti nella stessa cella nel periodo delle “indagini”.

Ci hanno portato assieme nel carcere. E’ stato il primo compagno che ho incontrato durante il periodo dei “sotterranei”, con cui potevo parlare. Sino a quel momento ero sempre stato solo e con una sacco che mi copriva il viso. Così ci siamo raccontati le nostre storie. E’ un abitante della città di Donetsk, un operaio di 49 anni. Lui non si era unito immediatamente alla guerriglia, ma solo quando ha cominciato a essere testimone della distruzione e morte causata dagli attacchi dell’artiglieria sul distretto in cui viveva con la sua anziana madre. E’ entrato nelle Milizie per difendere la sua casa e la sua città. E’ stato mandato a fare da guardia ai posti di blocco, è passato per il freddo delle trincee. Un soldato semplice, con tutto ciò che questo significa in una guerra. E’ caduto prigioniero, come me, per un errore. Usciva da una zona ucraina vicino a Volnovaja. Era vestito con il suo uniforme, che gli hanno sequestrato non appena arrivato nel luogo di detenzione. Per questo gli avevo dato la mia maglia, era un inverno freddo – gennaio – e con quella è apparso nelle foto dello scambio. Però questo non è avvenuto subito.

A marzo, lui con altri 18 prigionieri sono stati trasferiti da Mariupol a Jarkov al “deposito” del SBU, e lì ha passato quasi mezzo anno, in condizioni molto peggiori rispetto a una prigione normale. Da lì non è possibile stabilire contatti con nessuno, non sono permessi i pacchi col cibo, non sono permesse visite dei famigliari e nemmeno lasciano avvicinare i rappresentanti della Croce Rossa Internazionale. E’ come stare in una tomba!

Lì sono rinchiusi circa 50 prigionieri senza alcuna condanna giudiziaria, senza nessuna accusa legale, totalmente a capriccio del SBU. Voglio che questo si sappia nel modo più ampio possibile, che si sappia nella famosa Commissione dei Diritti Umani del Parlamento Europeo. Ai prigionieri danno da mangiare gli avanzi della mensa dei membri del SBU. Non si somministrano medicamenti, a Valeri è venuto un infarto e gli hanno dato una pastiglia di valeriana. Negli scambi escono solo pochi, la maggior parte continua nella “lotta”. In più, attualmente nelle carceri ucraine ci sono più di 1300 prigionieri politici, e gli scambi, nella scala attuale, non cambiano praticamente nulla della situazione generale dei prigionieri. Solo una amnestia generale o uno scambio tutti x tutti potrebbe essere una soluzione, alla quale, ovviamente, il potere ucraino non vuole arrivare. Per questo, le mie possibilità di far parte di uno scambio sono le stesse di quelle che hanno gli altri -11 x 1300. Così è questa matematica…le possibilità sono ridotte.

Hai aiutato la DNR come ingegnere, quali sono gli aiuti ricevuti dalla DNLNR per sostenere il tuo caso? 

Il loro sostegno sarebbe quello di farmi includere nella lista dei prigionieri di guerra della DNR, non c’è altro modo di aiutarmi. Tutto ciò che può essermi di aiuto già lo stanno facendo i miei compagni della DNLNR e dell’Ucraina per propria iniziativa. L’avvocato e l’invio di pacchi costa denaro e i miei famigliari di Mosca cercano di raccoglierlo, ho anche aiuti dal SRI del Belgio, c’è un conto elettronico per la raccolta di denaro nella FR. Tutto ciò mi permette un sostentamento in carcere, senza il quale la vita qui sarebbe molto più difficile. I miei compagni di danno l’appoggio morale, pubblicano i miei articoli e le mie note, vanno esponendo l’andamento del processo. So che non si sono dimenticati di me e sento questa solidarietà, cosa molto importante per un prigioniero politico. In quanto al tema dell’inclusione ufficiale nella lista di scambio, la commissione del consolato della FR in Jarkov mi ha visitato solo una volta. A nessuna delle mie udienze pubbliche ha assistito alcun giornalista della stampa russa o alcun rappresentante della FR, la sala sempre vuota, anche se l’accesso al pubblico non era proibito. Solo il mio avvocato e io, mentre la pena che rischio è fra gli 8 e i 15 anni di prigione.

Alla fine, Andrey, come possiamo aiutarti? 

Ripeto, per il prigioniero politico è molto importante la solidarietà. Siamo sempre una minoranza, e sempre ci dividono e cercano di spezzarci il morale. La divulgazione dell’informazione sui nostri prigionieri e la raccolta di aiuti per i prigionieri politici sono i migliori strumenti per darci sostegno. In questo momento, i prigionieri esplicitamente comunisti come me, sono pochi, un paio di dozzine in tutta l’Ucraina, la maggior parte dei prigionieri sono miliziani o militanti anti-maidan di diversa provenienza. Però la repressione contro tutto ciò che sia di sinistra è solo cominciata, adesso siamo in pochi ma la situazione peggiorerà. Già si stanno adottando leggi contro la simbologia comunista (da 10 a 15 anni), sotto cui cadrà anche la sinistra moderata, come ad esempio il KPU. Penso che questo porterà alla radicalizzazione della sinistra ucraina in generale, il che porterà a una maggiore repressione e più prigionieri. Per poter far fronte a questo, credo che dobbiamo approfittare dell’esperienza dei movimenti della sinistra rivoluzionaria degli anni ’70-’80 dell’america latina e dell’Europa. Abbiamo bisogno anche di aprire un “fronte carcerario” in combinazione con la difesa poltico-giuridica contando sulla solidarietà e sull’aiuto dei compagni di Russia e Europa. La guerra in Donbass momentaneamente ha perso di intensità, però la guerra sociale è solo cominciata e proseguirà. La miseria, il collasso dell’economia, il potere oligarchico, il paramilitarimo dei battaglioni e la crisi politica del regime – sono i nostri cocktail molotov in Ucraina e la sinistra deve usarli per vincere.

Per questo tutti i problemi e gli obiettivi devono richiamare a livello internazionale, quanto più possibile. E in questo campo i mezzi di contro-informazione come il vostro “Internazionalistas 3”, hanno un valore insostituibile.

Grazie compagni per la vostra solidarietà e il vostro sostegno! Grazie per questa intervista che mi dà la possibilità di esporre la mia situazione di prigioniero e la nostra lotta in Ucraina.

NO PASARAN!

6 novembre, prigione di Volianskaya della provincia di Zaporojze, Ucraina, Andrei “Che”.

P.S. I miei auguri per la commemorazione del 7 novembre della nostra Grande Rivoluzione di Ottobre

foto dello scambio di prigionieri politici del 28 ottobre: http://denyaleto.livejournal.com/84668.html?page=1



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Appello dei comunisti ucraini ai partiti comunisti e operai

(Ottobre 2015)

http://www.marx21.it/index.php/comunisti-oggi/in-europa/26190-appello-dei-comunisti-ucraini-ai-partiti-comunisti-e-operai

Il 5 novembre 2015, il Tribunale amministrativo di appello di Kiev esaminerà la richiesta di appello del Partito Comunista di Ucraina (KPU) in merito alle decisioni della Corte amministrativa distrettuale di Kiev su 4 suoi ricorsi  contro il Ministero della Giustizia di Ucraina. Tutte le decisioni della prima istanza sono state prese in aperta e grossolana violazione delle fondamentali garanzie procedurali del diritto a un giusto processo.  Il nostro partito è sostenuto da un team di competenti avvocati.  In ogni caso, al momento è molto importante per noi ricevere il sostegno di compagni, membri del Parlamento Europeo o dei parlamenti nazionali, in considerazione del fatto che la decisione che a nel processo del 5 novembre verrà assunta renderebbe possibile la messa al bando del KPU.  

Il nostro Partito sosterrà tutte le spese. 

Sulle persecuzioni a cui i comunisti ucraini sono sottoposti da parte delle autorità golpiste di Kiev:  
http://www.marx21.it/index.php/comunisti-oggi/in-europa/25423-il-parlamento-golpista-ucraino-approva-il-divieto-della-propaganda-e-dei-simboli-comunisti 
http://www.marx21.it/index.php/comunisti-oggi/in-europa/25382-appello-del-partito-comunista-ducraina-ai-leader-dei-partiti-comunisti-e-operai-e-ai-parlamentari-europei 

L'appello dall'Italia:  http://www.marx21.it/internazionale/area-ex-urss/24392-no-alla-messa-fuorilegge-del-partito-comunista-ducraina.html 


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Kiev junta bans the activities of two communist parties

October 1: The District Administrative Court of Kiev (OASK) has banned the activities of two communist parties.

As reported by the press service of OASK, on September 30 the Court adopted decisions in cases brought by the Ministry of Justice of Ukraine against the Communist Party of Ukraine (Renewed) and the Communist Party of Workers and Peasants (KPRS) to terminate the activities of a political party, saying the claims are satisfied in full and the activities of these parties banned.
The report added that consideration of the administrative case on the suit by the Ministry of Justice against the Communist Party of Ukraine (KPU) to terminate the activities of a political party continues, as the Communist Party of Ukraine appealed the order of the Ministry of Justice, which is the basis for the ban of its activities.
The trial on the suit of the Ministry of Justice against the Communist Party to terminate its activities is scheduled for October 8, 2015, at 14.00.
As UNIAN reported earlier, on July 8, 2014, the Ministry of Justice of Ukraine and State Registration Service (Ukrgosreestr) appealed to the District Administrative Court of Kiev with a lawsuit to ban the activities of the Communist Party of Ukraine. According to the lawsuit, the KPU commits acts aimed at changing the constitutional order by violent means; violates the sovereignty and territorial integrity of Ukraine; issues propaganda for war, violence, and incitement of ethnic hatred; encroaches on human rights and freedoms; and that representatives of the Communist Party systematically appeal for the creation of paramilitary groups.

Source: http://www.unian.net/politics/1139485-kievskiy-sud-prekratil-deyatelnost-dvuh-kommunisticheskih-partiy.html
Translated by Greg Butterfield


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Comunicato dell'Ufficio stampa sul caso dei quadri del KKE, inaccettabilmente presi di mira dal governo ucraino

Partito Comunista di Grecia (KKE) | kke.gr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

30/09/2015

Il presidente dell'Ucraina, P. Poroshenko, verso la metà dello scorso settembre ha comminato tramite decreto una serie di sanzioni contro 105 persone giuridiche e 338 persone fisiche, per presunte attività contro l'Ucraina.
Tra i primi ci sono imprese, banche e istituti russi, comprese alcune organizzazioni e istituzioni di questo paese.
Anche tra le persone fisiche si possono trovare principalmente figure politiche della Russia, così come parlamentari, giornalisti, avvocati di altri paesi. Tra questi, i compagni Sotiris Zarianopoulos, europarlamentare del KKE, Giorgos Lamproulis, deputato del KKE e Giorgos Magganas, quadro del KKE.
I dirigenti del KKE, rispondendo all'invito delle "Repubbliche Popolari" del Donbass, andarono come "osservatori" alle elezioni che si svolsero a novembre 2014.
Con questa decisione, le autorità ucraine hanno lanciato delle accuse gravi e senza fondamento contro i quadri del KKE, accusandoli di sostenere il "terrorismo" e di agire contro gli "interessi nazionali e l'integrità territoriale" dell'Ucraina.
Queste accuse inaccettabili rivolte contro i quadri del KKE vengono lanciate da quelle forze salite al governo con il sostegno di Usa e Ue, oltre a quello delle forze fasciste. L'Ucraina però non sta venendo demolita dai quadri del KKE che, come altri da vari paesi di tutto il mondo, erano presenti in qualità di "osservatori" in un processo elettorale. Quest'opera di distruzione proviene invece dalle stesse autorità ucraine, le quali in preda a un delirio nazionalista hanno rovesciato con un colpo di stato il precedente governo, distrutto e vandalizzato i monumenti antifascisti e sovietici, bandito i partiti politici e tra questi il Partito Comunista d'Ucraina, proceduto alla riabilitazione e legittimazione storica dei nazisti ucraini, dichiarandosi infine favorevoli all'adesione del paese alle unioni imperialiste della Nato e dell'Ue. Con queste loro stesse azioni stanno causando la "disintegrazione" del proprio paese.
Il KKE denuncia questa inaccettabile decisione presa dal presidente dell'Ucraina contro i suoi quadri e ne chiede l'annullamento immediato.

Atene, 29/09/2015
Ufficio stampa del Comitato Centrale del KKE


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Ucraina: aiutiamo i perseguitati politici

26 Agosto 2015

A seguire, il modello della lettera da inviare al Tribunale ucraino dove si tiene il processo contro Sergej Tkachenko e Denis Timofeev.

Un anno fa, il 1 settembre, nella regione di Dnepropetrovsk venivano arrestati due membri del Partito Comunista d’Ucraina: Sergej Tkachenko (segretario del partito e consigliere comunale a Dneprodzerzhinsk) e Denis Timofeev, segretario del partito a Baglejsk e capo della locale organizzazione Antifascista.

Solo successivamente sono stati resi noti i capi d’accusa: “attività separatiste” e detenzione e fabbricazione di armi (i due sarebbero stati intenti alla fabbricazione di granate in casa…).

Nel dicembre del 2014, la prima udienza del processo vide negare il rilascio su cauzione dei due militanti politici che da allora si vedono prorogare continuamente i due mesi di custodia cautelare in carcere (Timofeev poté beneficiare di alcune settimane ai domiciliari, per poi tornare in carcere su pressione del Procuratore della Repubblica a fine dicembre 2014).

Formalmente, i due restano in carcere accusati di “separatismo” in quanto oppositori della guerra nel Donbass  e della “Operazione Anti Terrorismo”, e di possesso di armi rinvenute “presumibilmente” (!) nelle loro abitazioni (art. 263 e 110 del Codice Penale).

Le ultime udienze (agosto 2015) si sono svolte nella violazione palese del diritto dei detenuti a difendersi: l’udienza del 13 agosto è stata anticipata da una udienza non prevista l’11, senza informare gli avvocati, e si è svolta quindi senza i legali degli imputati. Il giudice Tatiana Ivchenko e il pubblico ministero ne hanno approfittato per tentare di convincere i due, senza riuscirvi, ad assumere in propria difesa degli avvocati designati dal tribunale, in modo da risolvere “più velocemente” il caso promettendo addirittura di produrre la sentenza nella stessa giornata. L’udienza del 13 agosto si è svolta invece senza la presenza dei testimoni dell’accusa, e ai legali dei detenuti è stato vietato di esporre obiezioni alle contraddittorie testimonianze precedentemente prodotte e nuovamente riportate dall’accusa. La seduta si è conclusa con l’ennesima proroga di due mesi della detenzione (fino al 10 ottobre), e fissando una nuova udienza per l’8 settembre.

In vista della nuova udienza fissata per l’8 settembre, chiediamo ai nostri lettori di inviare, per posta o per e-mail, questa lettera in italiano e ucraino al Tribunale:

Dnipropetrovsk Region Court
Dniprodzerzhinsk, Guby str. 5
Ukraine, 51925

e-mail: inbox@...

______

Data:

Paese:

Al Tribunale Distrettuale di Dniprodzerzhinsk

Con la presente intendo esprimere la mia preoccupazione per le accuse penali e per il processo contro Sergej Tkachenko e Denis Timofeev che si tiene presso il Vs. tribunale. Apprendo che i due sono stati accusati ai sensi degli articoli 110 e 263 del Codice Penale dell'Ucraina.

Secondo le mie informazioni, i due imputati si sono apertamente espressi in favore di una risoluzione pacifica del conflitto politico in Ucraina orientale. Condivido questo punto di vista e non vedo alcun motivo per perseguire penalmente chi esprime questa posizione in Ucraina.

Sono preoccupato per il lungo periodo di detenzione degli imputati. Le loro richieste di libertà condizionale agli arresti domiciliari durante i lavori del Tribunale sono state negate dalla Vs. Corte. Questa sembra essere una grave violazione dei loro diritti.

Esorto il vostro tribunale a procedere rapidamente con questo caso, fornendo agli avvocati della difesa tutte le prove che i Pubblici Ministeri sostengono di avere contro gli imputati.

In fede,

Nome _______

Indirizzo / indirizzo e-mail ______



Дата:_______

Країна:_______

Заводському райнному суду м. Дніпродзержинська

Я пишу, щоб висловити свою стурбованість щодо кримінальних звинувачень і судового розгляду справи проти Сергія Ткаченка та Дениса Тимофєєва, яку розглядає ваш суд.

Їх звинувачують за статтями 110 та 263 Кримінального кодексу України.

За моїми даними, двоє обвинувачених висловлювалися за мирне вирішення політичного конфлікту на сході Україні. Я поділяю цю точку зору і не бачу причин, чому хтось в Україні має бути притягнутим за це до кримінальної відповідальності.

Я також стурбований тривалим утриманням обвинувачених під вартою. Їх апелляції щодо умовного звільнення під домашній арешт на час судового розсідування були відхилені судом. Це здається мені серйозним обмеження їх прав.

Я закликаю ваш суд розглянути цю справу якомога швидше, зокрема забезпечуючи адвокатів всіма доказами, що мають бути висунуті прокурорами у відношенні обвинувачуваних.

З повагою, _______

Адреса / e-mail: __________

A cura di Flavio Pettinari, animatore di “Con l’Ucraina antifascista” e collaboratore di Marx21.it

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http://www.marx21.it/comunisti-oggi/in-europa/25896-aiutiamo-i-prigionieri-politici-ucraini.html

Aiutiamo i prigionieri politici ucraini

23 Luglio 2015
– Fonte: "Con l'Ucraina antifascista" https://www.facebook.com/ucrainaantifascista

Sergey Tkachenko e Denis Timofeyev sono compagni ucraini membri del Partito Comunista d’Ucraina. In seguito a delle accuse fabbricate a tavolino possono rischiare10 anni di carcere. Si trovano in un carcere di Dnepropetrovsk dal 1 Settembre 2014. In tutto questo tempo l'inchiesta non ha mostrato prove della loro colpa ma gli arrestati rimangono in prigione per via della situazione politica. In questo periodo loro e le loro famiglie hanno bisogno di un supporto finanziario.

Durante le perquisizioni nelle case di ciascuno di loro da parte della SBU (servizi di sicurezza ucraini) sono stati trovati numeri della rivista “Novorossia”, vietata, una granata e un pacco di tritolo. Ci sono seri motivi per credere che le “prove materiali” sono state piazzate dalle guardie stesse, cioè tutti gli oggetti sono stati “scoperti” alla fine della perquisizione nei posti già controllati prima.

La scusa per le perquisizioni era l'apparizione di una rivista locale del PCU, “Prometeo”, anche se la perizia ha dimostrato che la rivista non contiene nessun appello al separatismo. I difensori dei comunisti sottolineano che il processo si sta portando avanti con delle violazioni, per esempio le domande dei difensori ai testimoni sono state respinte dalla procura. La corte si rifiuta di cambiare le condizioni della detenzione degli arrestati. Secondo gli avvocati ciò contraddice le leggi europee che sono state implementate anche in Ucraina. Le famiglie dei detenuti stanno passando tempi duri. Tkachenko ha tre figli minorenni, Timofeev né ha due.

Dettagli per chi vuole inviare un aiuto economico: 

Web Money:

USD: Z318054284218
EUR: E720490705762
Bank transfers in Euro (EUR)
Account with Institution
BIC DEUTDEFF
DEUTSCHE BANK AG
FRANKFURT/MAIN, GERMANY
Beneficiary Bank
BIC SABRUAUK
SBERBANK OF RUSSIA’ JSC
Kyiv, Ukraine
CORRESPONDENT ACCOUNT NUMBER: 100947712600
Beneficiary: /26200000112733 OLENA TKACHENKO
Oppure:
Account with Institution
BIC COBADEFF
COMMERZBANK AG
FRANKFURT/MAIN, GERMANY
Beneficiary Bank
BIC SABRUAUK
‘SBERBANK OF RUSSIA’ JSC
Kyiv, Ukraine
CORRESPONDENT ACCOUNT NUMBER: 4008865602
Beneficiary: /26200000112733 OLENA TKACHENKO

Per informazioni: colonoscop@...
http://ukraine-human-rights.org/ukrainian-political-prison…/


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ALTRI LINK / MORE FLASHBACKS

Contro il fascismo e la guerra in Ucraina e in Europa (da www.avante.pt, Traduzione di Marx21.it – 8 Ottobre 2015)
Conversazione con Petro Simonenko, primo segretario del Partito Comunista Ucraina, ospite della Festa di Avante! 2015.

Censura politica dell'arte in Ucraina (da www.solidnet.org, 19 Agosto 2015)
Appello del Partito Comunista di Ucraina ai partiti comunisti e operai degli altri paesi
http://www.marx21.it/internazionale/area-ex-urss/25958-censura-politica-dellarte-in-ucraina.html

L’Ucraina non è più un soggetto indipendente della politica internazionale (12 Agosto 2015 – da www.kpu.ua)
Negli anni dell’indipendenza l’Ucraina ha perso lo status di soggetto della politica internazionale, trasformandosi in oggetto di manipolazione. Lo ha dichiarato il leader del Partito Comunista di Ucraina Petro Simonenko...

Communist Andrei Sokolov in 8th month of Ukrainian captivity (Union Borotba, 4/8/2015)
Our comrade, communist Andrei Sokolov, is already in his 8th month as a political prisoner of the Ukrainian junta...

L’Ucraina, ridotta a colonia, consegna il controllo delle sue frontiere ai privati stranieri (Dichiarazione di Petro Simonenko, Segretario del Partito Comunista di Ucraina - da www.kpu.ua - 29 Luglio 2015)
La decisione del regime al potere di trasferire le dogane delle frontiere occidentali alla gestione di una compagnia privata britannica... rappresenta il riconoscimento della propria incompetenza e incapacità di contrastare il contrabbando e la corruzione... Si tratta, in definitiva, di una manifestazione dell’incapacità di gestire lo stato e di uno sputo in faccia al popolo dell’Ucraina, a cui è negato il diritto di essere padrone sulla propria terra e a cui spetta solo il destino della schiavitù coloniale... Il trasferimento di tutto il confine economico occidentale al controllo di una compagnia privata straniera è un assolutamente prevedibile passo antipopolare nella forma e anti-ucraino nella sostanza da parte del governo. Ciò rappresenta una rinuncia de facto alla sovranità politica dell’Ucraina e un atto di tradimento della nazione...
http://www.marx21.it/internazionale/area-ex-urss/25914-lucraina-ridotta-a-colonia-consegna-il-controllo-delle-sue-frontiere-ai-privati-stranieri.html

I comunisti russi denunciano la scalata della repressione anticomunista in Ucraina
Dichiarazione del Partito Comunista della Federazione Russa (26 Luglio 2015 – da kprf.ru)
Il gruppo filo-americano al governo a Kiev, che si era impadronito del potere in Ucraina nel febbraio del 2014, ha fatto ancora un passo sulla strada dell’annientamento della democrazia nel paese. Il ministro della Giustizia ha firmato un documento che proibisce al Partito Comunista di Ucraina di partecipare alle elezioni di qualsiasi livello. In tal modo, è dato di capire che ciò rappresenta solo un passo intermedio verso la completa proibizione del partito comunista...

Nuovo giro di vite fascista in Ucraina. Al bando i partiti comunisti (Redazione Contropiano, 24 Luglio 2015)
… "il Partito Comunista d'Ucraina nella sua attività non è conforme alla legge sulla de-comunistizzazione. La conseguenza giuridica di ciò è che questa forza politica e altri due partiti politici comunisti non possono essere soggetti al processo elettorale e partecipare alle elezioni presidenziali e alle elezioni locali « ...
Ucraina: è stato bandito il Partito Comunista (24 Luglio 2015)
Leader comunisti, parteciperemo comunque a elezioni – Il partito comunista ucraino parteciperà alle elezioni locali fissate per il 25 ottobre nonostante sia stato ufficialmente messo al bando dal governo filo-occidentale al potere a Kiev. Lo ha annunciato il leader dei comunisti ucraini, Petro Simonenko, sfidando cosi’ il bando decido dal ministro di grazia e giustizia. (Notizia ANSA 24 luglio 201515:33)
http://www.marx21.it/comunisti-oggi/in-europa/25901-ucraina-e-stato-bandito-il-partito-comunista.html

Kiev junta continues trial of communist Alexander Bondarchuk
Tomorrow, July 10, 2015, at 14.30 in Darnytskyi district court of Kiev (address: Kyiv, vul. Kosice, 5A), another court hearing will be held in the case of the editor-in-chief of "Working Class" and opposition politician Alexander V. Bondarchuk... 

Resistenza al regime fascista di Kiev (18 giugno 2015)
1.1) PROMULGATE LE LEGGI SPECIALI IN UCRAINA: I COMUNISTI E I LORO SIMBOLI SONO FUORILEGGE
1.2) Il Ministero degli Esteri russo condanna le leggi anticomuniste e “revisioniste” varate in Ucraina
1.3) Istituita in Ucraina la "Opposizione di sinistra" / "United Left Opposition" / „Linke Opposition“
2.0) More Links
2.1) Open Letter from Scholars and Experts on Ukraine Re. the So-Called "Anti-Communist Law"
/ Lettera aperta di studiosi dell’Ucraina sulla cosiddetta “legge anti-comunista” 
2.2) Arrestato in Ucraina Sergej Gordienko, uno dei massimi dirigenti comunisti
2.3) Assassinii politici in Ucraina
2.4) Campaigns of the "Union of the political political prisoners and political refugees of Ukraine"

L’uovo del serpente (di Pedro Guerreiro - 29 Maggio 2015)
Le leggi

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