Informazione
Dal 1978 ad oggi sono cambiate molte cose: la società, la comunicazione, le tecnologie, il rapporto tra politica e potere. Radio Città Aperta ha resistito a momenti di crisi e ad attacchi di ogni tipo; oggi è in atto un pesante processo di normalizzazione di tutte le realtà sociali, politiche ed informative che si pongono fuori dalle dinamiche e dai percorsi utili all'attuale assetto politico ed economico.
Siamo stati per tanti anni uno strumento di informazione, di divulgazione culturale, di aggregazione sociale e politica, dando voce a categorie sociali considerate “mediaticamente” poco rilevanti dal potere e dal mainstream: una radio sempre indipendente dal potere e libera da qualsiasi condizionamento.
Abbiamo, per primi, fatto uscire dalle aule elettive fino ad allora “chiuse” di Comune e Regione quanto veniva approvato o respinto, permettendo così di avere un quadro esatto e non mediato dell'attività istituzionale dei rappresentanti dei cittadini. Un servizio democratico e trasparente che negli anni è diventato anche strumento di autofinanziamento, con l'aggiudicazione di bandi pubblici. Il “processo di normalizzazione” è anche questo: il taglio di servizi non compatibili con le attuali esigenze del potere politico, in questo caso locale, ed il conseguente taglio di fondi destinati a coprirne i costi. Nello specifico, per la radio tutto ciò ha rappresentato un progressivo strangolamento economico che ci impedisce di fatto di continuare a trasmettere in FM oltre che di gestire qualsiasi forma di progettualità e prospettiva.
Dopo quasi quarant'anni, è necessario mettere in campo una scelta coraggiosa, un rinnovamento di forma per rendere ancora più ambizioso il nostro progetto editoriale.
Continueremo a raccontare ai nostri ascoltatori quanto avviene non solo a Roma ma in Italia e nel mondo con informazione, approfondimenti ed inchieste. Continueremo ad essere un punto di riferimento con la nostra programmazione musicale, con la qualità dell'offerta culturale e l'assoluta indipendenza artistica.
Come nel 1978 fu fatta una scommessa su una tecnologia allora libera e da scoprire, l'FM, così oggi noi puntiamo sulla rete, consapevoli delle difficoltà ma anche delle opportunità che ci aspettano.
Noi non molliamo: cambiamo forma per non cambiare la sostanza, e per rilanciare ancora più forte.
radiocittaperta.it vi aspetta dal primo marzo.
Radio Proletaria-Radio Città Aperta chiude ma non si arrende
Non bastavano più i volantini o i fogli di lotta, c’era bisogno di un proprio strumento di comunicazione e le tecnologie e le normative disponibili offrivano questa possibilità.
A febbraio del 1978 inizierà le trasmissioni una radio che non poteva che chiamarsi “Radio Proletaria”, la frequenza saranno gli 88,9 mhz. Radio Proletaria ha i suoi studi nelle soffitte di un palazzo ottenuto con l’occupazione delle case del 1974 nel quartiere di Casalbruciato. “Radio Proletaria. Un contributo alla costruzione del movimento di classe” recita il primo manifesto stampato dalla radio.
Radio Proletaria, parla delle lotte sociali e operaie in corso, commenta - interpretandoli - i fatti politici e dedica molta attenzione all’internazionalismo. I toni sono duri e il dibattito con gli ascoltatori che chiamano in diretta è spesso asprissimo. Radio Proletaria nasce anche in rapporto con molti giovani proletari della Tiburtina , spesso con spiccata sensibilità alla buona musica piuttosto che alle lotte. Questo connubio tra il migliore rock e le lotte sociali, ha raggiunto in molti casi livelli di qualità indiscutibili e decisamente fuori dal comune, una qualità continuata, confermata e cresciuta negli anni dai livelli raggiunti poi da Radio Città Aperta.
Alla fine degli anni ’70, quando si delinea una violentissima controffensiva padronale e restauratrice si pone dunque il problema di come rispondere ad una sfida politica a tutto campo. “Una prima risposta l'abbiamo data con la costruzione di Radio Proletaria... come strumento di orientamento politico in una situazione in sviluppo, di aggregazione di forze, di introduzione di tematiche di classe” era scritto in un documento dell’epoca. Da un primo bilancio viene riaffermata “una prospettiva di intervento politico che ha nella radio un suo cardine essenziale”.
L’azione repressiva nel primo anno di attività di Radio Proletaria in quegli anni sarà durissima. Inizia ad agire il “Partito della Fermezza” sperimentato nel ’77 e rafforzatosi nelle settimane del sequestro Moro, una sorta di patto tra DC, PCI e apparati dello Stato che per almeno cinque anni sottoporrà il paese alle leggi di emergenza e rovescerà contro la sinistra rivoluzionaria la guerra di bassa intensità avviata negli anni ’60 contro il Pci dagli Usa, dalla DC, dagli apparati dello Stato e dai fascisti.”.
A metà del 1978 Radio Proletaria aveva cominciato una attività di denuncia della situazione nelle carceri speciali dove erano stati rinchiusi i prigionieri politici (gran parte dei quali militanti dei gruppi armati). Molte di queste carceri sono su isole che diventeranno tristemente famose come l’Asinara, Favignana, Pianosa. Radio Proletaria, sostiene le manifestazioni dei familiari dei prigionieri, partecipa e organizza assemblee e riunioni anche a livello nazionale per organizzare in modo stabile questa attività per la chiusura delle carceri speciali e l’introduzione dei colloqui con i vetri divisori.
A febbraio del 1979 una vasta operazione di polizia, con il quartiere di Casalbruciato circondato da decine di agenti, porterà alla chiusura di Radio Proletaria e all’arresto di 23 compagni con accuse pesantissime. La Radio ospitava una riunione nazionale sulle carceri alla quale partecipavano avvocati, familiari dei prigionieri e attivisti di riviste e collettivi impegnati nella lotta contro la repressione”. L’immediata mobilitazione dei compagni smonta l’operazione della Digos e della magistratura pezzo su pezzo. Dopo due mesi i compagni arrestati verranno tutti scarcerati e al processo, alcuni anni dopo, verranno assolti con formula piena.
Dopo tre mesi di chiusura, Radio Proletaria- ospitata in quei mesi da Radio Onda Rossa - riapre e riprende le trasmissioni. Un manifesto della radio che verrà affisso sui muri di Roma scrive: “La radio riaperta, i compagni scarcerati. Una brillante operazione della Digos andata a male”. Dal 1978 Radio Proletaria diventa in qualche modo l’espressione politica di un progetto di cui i comitati popolari sulla casa o dei quartieri, il comitato disoccupati organizzati e i comitati operai di fabbrica, ne sono l’articolazione sociale e di classe. La radio prende iniziative sul terreno della lotta contro la repressione, sull’internazionalismo e sull’agenda politica. Su questi temi verrà sviluppata una azione politica non più solo a Roma ma verranno sviluppati contatti anche in altre città. Nel 1980 sarà per giorni ai cancelli della Fiat Mirafiori occupata dagli operai, diffondendo corrispondenze in diretta su quanto accadeva a Torino, corrispondenze che sono storia del patrimonio comunicativo del movimento operaio nel nostro paese.
Nonostante un clima sempre più pesante sul piano dell’agibilità politica, Radio Proletaria, non rinuncia alla sua attività contro la repressione. Nel 1982, quando vennero denunciati numerosi episodi di tortura contro gli arrestati Radio Proletaria, insieme ad altre realtà diede vita al Comitato contro l’uso della tortura (che pubblicò un libro bianco di denuncia) affrontando apertamente sia le reazioni degli apparati repressivi che della “politica”, la quale negava spudoratamente l’uso della tortura. Nei primi anni Ottanta sostenne con una campagna gli scioperi della fame dei prigionieri politici nelle carceri contro l’art.90 (una restrizione odiosa nella detenzione), anche affrontando un duro scontro con coloro che erano contrari a quella forma di lotta. Nel 1984 riuscì a portare la questione dell’art.90 e dello sciopero della fame dei detenuti al parlamento europeo e alla commissione diritti umani di Strasburgo insieme ad alcuni familiari di prigionieri politici, rompendo finalmente il muro di silenzio sulla vicenda.
Ma i microfoni e le trasmissioni di Radio Proletaria sono stati decisivi per far conoscere e amplificare le prime esperienze del sindacalismo di base nel nostro paese. Dalle prime RdB (diventate poi Cub e Usb), al Comu dei ferrovieri, al Comitato di Lotta dell’Atac, ai primi Cobas della scuola. In alcuni ospedali romani le RdB nasceranno perché alcuni lavoratori e delegati ne verranno a conoscenza e le realizzeranno attraverso le trasmissioni della radio.
L’altro fronte che ha visto Radio Proletaria impegnata e attiva per anni, è stato l’internazionalismo e la lotta contro la guerra. Quando l’amministrazione Usa a fine 1979 vara la direttiva nr.39 che prevede l’installazione dei missili nucleari Cruise e Pershing in Europa (Italia, Germania, Belgio etc.), nelle trasmissioni della radio già si intuisce che ci si avvia ad uno scontro globale con l’Urss, con quella che sarà la Seconda Guerra fredda sul piano politico/militare e con l’offensiva liberista sul piano economico. Il pericolo principale per la pace viene dalla Nato e dalla politica guerrafondaia degli Stati Uniti, dunque nessuna equidistanza Le trasmissioni di Radio Proletaria, seguono le vicende della corsa al riarmo nucleare, ma cominciano a seguire con maggiore attenzione anche lo sviluppo dei movimenti rivoluzionari in Centro America e in America Latina dopo la vittoria del Nicaragua, in particolare nel Salvador. La lotta nel cortile di casa dell’imperialismo Usa ha indubbiamente un carattere di grande interesse, anche alla luce dell’esperienza rivoluzionaria di Cuba. Nel 1981 Radio Proletaria organizza la prima manifestazione di solidarietà con la lotta del Salvador alla quale partecipano migliaia di persone.
Radio Proletaria partecipa attivamente ai blocchi e al campeggio contro la base militare di Comiso dove verranno installati i missili Usa e avvia su questo un progetto nazionale che porterà alla costituzione della rete “Imac ‘83” (che prende il nome dall’International Meeting Against Cruise che era il campeggio di Comiso).
In quegli anni lo scontro politico dentro il movimento per la pace si dà quindi sulla Nato e contro l’equidistanza tra Usa e Urss, una posizione che il Movimento per la Pace ed il Socialismo, evoluzione negli anni ’80 dell’OPR, ritiene profondamente sbagliata ed orienta la radio anche in funzione di questa battaglia politica (e alla luce della storia aveva ottime ragioni per ritenerla tale), essendo gli Usa quelli che hanno tutto l’interesse a promuovere l’economia di guerra e l’escalation bellica. Sono questi quindi i motivi per cui Radio Proletaria viene indicata arbitrariamente come i “filosovietica”, una etichetta strumentale e decisamente sballata, anche perché non vi era alcun rapporto con l’Unione Sovietica. “L’oro di Mosca” dalle parti della radio (purtroppo, potremmo dire, perché sarebbe stato molto utile come abbiamo scritto in un manifesto dieci dopo) non è mai arrivato. E su questo va scritta ormai una verità definitiva che taglia la lingua a tutti i detrattori.
Nel 1990 viene presa la decisione di cambiare nome alla radio ma di salvaguardarne la natura e i contenuti. Il nome deciso è quello di Radio Città Aperta, un omaggio ad un film che celebra la Resistenza antifascista a Roma e che indica già la necessità di affrontare i flussi migratori che proprio in quegli anni cominciano a investire l’Italia. Radio Città Aperta sarà la radio in cui le comunità immigrati per anni potranno trasmettere nella loro lingua.
La scelta di Radio Città Aperta sarà quella di consolidare il carattere popolare e di massa della radio, collegandosi strettamente ai territori, alle lotte sociali, a tutti coloro che si mettono di traverso rispetto al dominio dei poteri forti sulla città di Roma. Le dirette dei consigli comunali e regionali verranno strappate alle varie amministrazioni che per tutta una fase erano atterrite dall’idea che quello che veniva discusso nelle aule istituzionali fosse accessibile da tutti attraverso la radio. La scelta non è semplice: si tratta di rinunciare a ore di trasmissioni per dare spazio a dirette dei lavori istituzionali raramente entusiasmanti. Ma questo è anche quello che consentirà alla radio un autofinanziamento utile per sviluppare l’iniziativa politica e informativa a tutto campo. La Radio animerà il Forum per il Diritto a Comunicare insieme ad altri giornalisti indipendenti, darà spinta e impulso alla stessa Federazione Nazionale della Stampa a difesa della libertà di informazione ma anche delle crescenti figure precarie nel mondo della comunicazione. La radio sarà uno strumento attivissimo nelle mobilitazioni contro la guerra dei trent’anni avviata nel 1991 in Iraq e tuttora in corso, nella solidarietà con il popolo palestinese e con l’ondata progressista in America Latina.
Nel 1993 nasce il mensile cartaceo Contropiano, giornale per l’iniziativa di classe. Il dibattito e le proposte che si esprimono attraverso il giornale daranno vita prima al Forum dei Comunisti e poi alla Rete dei Comunisti. Dal 2011 si realizza invece il progetto del quotidiano comunista online Contropiano, un giornale che in un solo anno e mezzo vedrà crescere a migliaia i suoi lettori permettendo una comunicazione a livello nazionale. Contropiano era un periodico cartaceo che distribuiva alcune centinaia di copie in tutto paese. Come giornale online, nel 2015 ha avuto più di due milioni di lettori.
Nelle trasmissioni della radio e nelle pagine del giornale prende corpo quella profonda divaricazione critica e teorica tra l’ipotesi della Rete dei Comunisti contro la degenerazione bertinottiana nel Prc e nella sinistra sfociata nella sua crisi di questi anni.
Radio Proletaria e poi Radio Città Aperta non sono mai state solo una radio, sono state parte di un progetto complessivo sul piano della comunicazione antagonista e della lotta per il cambiamento sociale del nostro paese. Il nemico ha cercato più volte di tacitarla, qualche volta con la galera e le denunce, adesso con lo strangolamento economico voluto e imposto.
La scelta di rinunciare alle trasmissioni in modulazione di frequenza e di passare alla comunicazione online tramite la rete diventa ancora una volta una nuova sfida anticipatrice che i compagni che hanno aperto, costruito e adesso gestiscono la radio intendono prendere di petto. Le nuove tecnologie consentono costi più bassi delle vecchie, offrono immense possibilità ma impongono un cambiamento di abitudini. Così è stato ad esempio per il giornale Contropiano passato con successo dal cartaceo all’online, sullo stesso obiettivo si lavorerà per la nuova primavera di Radio Città Aperta. Non è affatto una chiusura, è un cambio di passo. La determinazione, in 38 anni, non ci ha mai fatto difetto.
Rete dei Comunisti - Roma
Beograd, 22 feb: Protest protiv održavanja konferencije "Srbija i Rusija - ruski uticaj na stabilizaciju, demokratizaciju i evropske integracije Srbije"
Protiv održavanja konferencije „Srbija i Rusija – ruski uticaj na stabilizaciju, demokratizaciju i evropske integracije Srbije”. Protest je održan 22. 02. 2016. godine ispred hotela „Metropol“ u Beogradu...
A una conferenza internazionale che vedeva la partecipazione di numerosi boss legati all'Alleanza Atlantica, incluso il nuovo ambasciatore USA in Serbia, Kyle R. Scott...
Grupa omladinskih aktivista iz redova naše Partije i naše omladinske organizacije SKOJ, prisustvovala je debati o američkoj spoljnoj politici i ulozi SAD u savremenim međunarodnim odnosima, koja se održala u Beogradu, u hotelu Metropol, 11. februara...
http://www.tanjug.rs/multimedia.aspx?izb=v&GalID=203141&vs=0&page=0
http://www.b92.net/video/vesti.php?yyyy=2016&mm=02&dd=11&nav_id=1095876
JOŠ TEKSTOVA:
http://www.tanjug.rs/full-view.aspx?izb=228637
http://www.blic.rs/vesti/svet/incident-na-debati-vuka-jeremica-napolje-fasisti-iz-nato/m0j9bnh
http://www.blic.rs/vesti/politika/debata-cirsd-a-svet-se-ne-nalazi-u-novom-hladnom-ratu/snhzfq3
http://www.nspm.rs/hronika/incident-u-hotelu-metropol-grupa-mladica-prekinula-tribinu-cirsd-o-americkoj-spoljnoj-politici.html
www.resistenze.org - popoli resistenti - serbia - 15-02-16 - n. 576
NCP di Jugoslavia: Yankee go home!
Nuovo Partito Comunista di Jugoslavia (NKPJ) | solidnet.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
15/02/2016
I membri del Nuovo Partito Comunista di Jugoslavia (NKPJ) e della sua organizzazione giovanile, la Lega della gioventù comunista (SKOJ), hanno dimostrano chiaramente che cosa pensano della politica estera degli Stati Uniti e del ruolo della Nato durante il dibattito pubblico sulla politica estera americana e il ruolo degli USA nelle attuali relazioni internazionali che ha avuto luogo a Belgrado l'11 febbraio.
I membri del NKPJ - SKOJ si sono presentati davanti una platea di 1.200 persone all'inizio della conferenza, indossando una t-shirt con la scritta "USA OUT" e "NKPJ-SKOJ", così dichiarando inequivocabilmente che noi in Serbia non guardiamo di buon occhio gli obiettivi della politica estera degli Stati Uniti e che i fascisti della Nato non sono i benvenuti. Il sistema di sicurezza operativo durante il dibattito, ha reagito rapidamente e in modo repressivo: i membri del NKPJ e del SKOJ sono stati minacciati di percosse dai servizi, che hanno utilizzato anche la ruvida forza fisica, e poi sono stati consegnati alla polizia per essere interrogati.
Il dibattito pubblico è stato aperto dall'ex ministro degli esteri della Serbia, Vuk Jeremic, che accanto al nuovo ambasciatore statunitense in Serbia ha ospitato anche un politologo americano, Joseph Nye, un decano della "Fletcher", scuola d'élite americana, James Stavridis, il presidente della Washington Center for New American Studies, Richard Fontaine e l'ex ministro degli esteri polacco Radoslaw Sikorski. Tutti questi sono feroci sostenitori dell'aggressiva politica imperialista occidentale, in primo luogo di quella statunitense. Inoltre, bisogna ricordare che gli Stati Uniti e la Nato nel 1999 hanno commesso crimini di guerra orribili contro il nostro paese e il nostro popolo che hanno causato danni materiali per 100 miliardi di dollari, usando armi proibite dalla Convenzione di Ginevra, come le bombe all'uranio impoverito e le bombe a grappolo.
Anche loro sono responsabili dell'occupazione politica ed economica e per l'alienazione del Kosovo e di Metohjna, la provincia meridionale serba, dalla Serbia, così come della frammentazione della nostra Patria, la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, e per l'avvio delle guerre fratricide sul nostro suolo.
La stampa scandalistica e i media di regime hanno stigmatizzato l'incursione dei membri di NKPJ e SKOJ come una "operazione estremista". Ma l'unica cosa estrema oggi è la situazione in cui versano i cittadini della Serbia: estreme differenze sociali, con lo Stato spinto a unirsi alle strutture della Nato e dell'Ue, soppressione delle libertà di espressione e negazione dei diritti umani fondamentali, genuina guerra ideologica di classe che mira non solo a demonizzare il passato socialista ma a mostrare con la forza bruta che non c'è altra via se non la barbarie e lo sfruttamento capitalista.
La lotta continua! Siamo sicuri che in futuro saremo più organizzati e militanti e porremo fine allo sfruttamento e alla barbarie capitalista.
Ono po čemu će događaj ostati upamćen je uspiješna organizirana i zapažena akcija intervencije koju je izvela grupa članova SKOJ-a, podmlatka Nove komunističke partije Jugoslavije, koji su ušli na skup u hotelu Metropol obučeni u partijske majice i prekinuli debatu uzvikujući parole: “Van NATO fašisti”, “NATO ubojice, marš iz Srbije”. Nakon što ih je osiguranje izvelo iz sale, odvedeni su na informativni razgovor.
Vijest je dobro primljena među elektronskim i pisanim sredstvima informiranja i prenio ju je neutvrđan broj medija iz Srbije i ostalih dijelova nekadašnje Jugoslavije.
NATO oslobođen poreza u Srbiji
Blic, 20.2.2016.
Šta sve piše u zakonu koji je Nikolić potpisao
Borba protiv terorizma, rešavanje problema izbeglica i brza reakcija u kriznim situacijama tri su osnovne stvari od kojih će Srbija imati koristi posle usvajanja zakona o saradnji sa NATO.
Ovaj zakon, o kojem se danima govorilo i koji je čekao konačan sud predsednika Srbije Tomislava Nikolića, potpisan je juče. To u praksi znači da bi njegova primena mogla da počne već od 1. marta.
- Cela priča o tom zakonu je bila predimenzionirana, a on u suštini ništa novo ne donosi. Suština je pružanje logističkih i tehničkih servisa i operativno-tehnička podrška. Ovo je samo korak ka uspostavljanju regionalnog sistema u kojem Srbija priskače u pomoć i dobija pomoć u trenutno tri najvažnije stvari: borbi protiv terorizma, situaciji sa izbeglicama i u kriznim situacijama - objašnjava za „Blic“ Jelena Milić, direktorka Centra za evroatlantske studije.
Kako kaže, usvajanje ovog zakona ne znači da će po Srbiji svako vršljati kako mu se hoće i da se zna ko, kada, kako i zašto dolazi, postoje procedure, protokoli, pravila...
Na potpis predsednika Nikolića na ovaj zakon danima se čekalo. Međutim, bez obzira na to, ni juče, kao ni prethodnih dana, nije bilo moguće čuti šta šef države misli o njemu.
S druge strane, premijer Aleksandar Vučić smatra da je Srbiji potrebna saradnja s NATO.
- Naša politika je jasna, a to je da hoćemo da budemo nezavisna suverena zemlja koja hoće da sarađuje i s NATO i s Ruskom Federacijom. Ovaj sporazum se ne primenjuje automatski, ne omogućava nekontrolisani prolazak i boravak, nego važi za konkretan događaj. On se primenjuje na pripadnike stranih oružanih snaga. Prvi put Srbija obezbeđuje sebi prava koja je pre mnogo godina Alijansa dala svojim članicama, da kad ide preko teritorije neke zemlje, u Liban ili gde već, ne plaća dažbine, već prolazi isto kao drugi kod nas - objasnio je Vučić.
Šta je dobio NATO
Sloboda kretanja i diplomatski imunitet svim pripadnicima NATO u Srbiji po Bečkoj konvenciji
Razmena poverljivih informacija i opreme sa srpskom vojskom
Čvršća saradnja Srbije i NATO, odnosno njenih organizacija NSPO i NSPA
Pripadnici NATO i njihova vozila imaće slobodan prolaz kroz Srbiju, a ulazak u bezbednosne zone usaglašavaće se sa srpskim nadležnim organima
Osoblju NATO se na njihov zahtev odobrava pristup državnim i privatnim objektima u kojima se radi, uključujući i one u kojima se obavljaju probe i ispitivanja
Imovina NATO i njegovog osoblja biće oslobođena poreza i carina
Lotta contro il terrorismo, risoluzione del problema dei migranti e risposta rapida nelle situazioni di crisi sono tre aspetti di cui beneficierà la Serbia a seguito dell'adozione della legge sulla cooperazione con la NATO
Questa legge, di cui si parla da giorni e che aspettava il giudizio finale del presidente serbo Tomislav Nikolić, è stata firmata ieri. L'applicazione potrebbe iniziare già dal primo marzo.
“Tutto il trambusto attorno a questa legge è stato esagerato, mentre la legge stessa non comporta nulla di nuovo. Si tratta della fornitura di servizi logistici e tecnici e supporto tecnico-operativo. Questo è solo un passo nella costituzione di un sistema regionale nel quale la Serbia accorre in soccorso e riceve aiuto in tre aree attuali: la lotta contro il terrorismo, il problema dei migranti, e le situazioni di crisi”, spiega al “Blic” la direttrice del Centro per gli studi euroatlantici, Jelena Milić.
La stessa afferma che l'adozione di questa legge non significa che chiunque potrà frugare per la Serbia a proprio piacimento, e che sarà noto chi, quando, come e perché del suo arrivo. Esistono procedure, protocolli, regolamenti...
La firma del presidente Nikolić è stata attesa da giorni. Tuttavia né ieri né nei giorni precedenti era possibile sentire che cosa pensi il capo dello stato di questa legge.
Dall'altro lato, il primo ministro Aleksandar Vučić sostiene che alla Serbia è necessario cooperare con la NATO.
“La nostra politica è chiara, vogliamo essere un paese indipendente e sovrano che vuole cooperare sia con la NATO che con la Federazione Russa. Questo accordo non verrà applicato automaticamente, non consente il passaggio e permanenza incontrollati, ma vale per eventi particolari. Verrà applicato ai membri di forze armate estere. Per la prima volta la Serbia si fornisce dei diritti che molti anni fa l'Alleanza aveva dato ai suoi membri, che quando passa per il territorio di un paese, in Libano o altrove, non paga alcuna imposta, ma passa allo stesso modo come altri passano da noi”, ha spiegato Vučić.
Che cosa ha ricevuto la NATO
Posted on 24/02/2016 by Iva Nikolic in Politica
Il partito socialista serbo (SPS) ha comunicato che Boris Tadic sarà ricordato come il presidente cha ha perso tutti i collaboratori, i partner politici, gli amici e la dignità personale, solo perchè “ha dimenticato tutto ed ha provato a costrigere gli altri di dimenticare tutto”.
“Alcune persone non sanno quando è arrivato il tempo di ritirarsi. Alcune persone non sanno accettare la responsabilità per i propri sbagli e riconoscere la propria colpa. Alcuni percepiscono il momento per un ritiro dignitoso. Alcuni capiscono che sono diventati ex e lasciano altri a lavorare. Tutto questo non lo sa Boris Tadic”, viene comunicato dal partito socialista. Ieri, nelle comunicazioni al Comitato organizzativo del Partito socialista è stato affermato che loro non si occuperanno più della questione di Tadic.
Precedentemente, Tadic ha detto che il leader dei socialisti, Ivica Dacic dovrebbe dare le dimissioni dall’incarico di ministro degli affari esteri, perchè lo ritiene risponsabile per la morte dei due cittadini serbi in Libia. Alla conferenza stampa, Tadic ha ricordato che il sequestro è successo un mese prima e che Dacic è responsabile perchè l’indagine non era fatta prima.
“Dobbiamo avere delle risposte alla domanda perchè Dacic ha autorizzato il viaggio che ha avuto come risultato il sequestro”, ha detto Tadic.
(Mondo 23.02.2016.)
La declassificazione e la pubblicazione on-line, voluta dalla Camera, di una parte dei documenti della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle «cause dell’occultamento dei fascicoli relativi ai crimini nazifascisti» è senz’altro un fatto significativo per gli studi e per la «lettura pubblica» del nostro passato prossimo. Tuttavia la ricercata catarsi della memoria nazionale, che sottende a queste operazioni, fatica a tradursi in compiuta nemesi storica in un paese come l’Italia.
Per «ritrovare» nella Procura Militare Generale di Roma i 695 fascicoli relativi alle stragi nazifasciste ed ai crimini italiani all’estero si dovette attendere il 1994 allorché la documentazione «dell’armadio della vergogna» (come recitò il titolo dell’inchiesta di Franco Giustolisi) riemerse dalla «archiviazione provvisoria» stabilita il 13 gennaio 1960 dal Procuratore militare Enrico Santacroce, già noto all’epoca per la sentenza di assoluzione emessa il 19 febbraio 1949 in favore di Mario Roatta e altri generali fascisti responsabili con il re della vergognosa fuga da Roma dell’8 settembre 1943.
La Commissione d’inchiesta istituita nel 2003 (dal governo Berlusconi con dirigenti post-fascisti ascesi al rango di ministri della Repubblica) si prefissò lo scopo di ricercare le «cause dell’occultamento dei fascicoli» ma concluse i suoi lavori con due diverse relazioni finali, come quasi sempre accade quando nella camere di compensazione politica si cerca di scrivere la storia «condivisa».
In verità il lavoro d’individuazione delle «cause» era stato già svolto e sintetizzato in modo esplicito e disarmante pochi anni prima da Paolo Emilio Taviani preminente figura della Resistenza cattolica, segretario nazionale della Dc, ministro dell’Interno e della Difesa nonché responsabile politico di primo piano di «Gladio».
Il 20 ottobre 1956 nel suo diario di memorie (pubblicato postumo nel 2000) Taviani sintetizzò in poche righe ciò che le istituzioni ed il paese avrebbero fatto fatica a raccontare per altri quarant’anni: «Gaetano Martino [ministro degli Esteri] mi scrive che non è opportuno chiedere alla Germania l’estradizione di Speidel ritenuto (ma ci sono dubbi) uno dei responsabili della strage di Cefalonia. I russi stanno per invadere l’Ungheria. Il riarmo tedesco è più che mai indispensabile. Moro [ministro della Giustizia] mi aveva detto che la competenza non è sua, ma mia e degli Esteri.
Mi ero imposto per iniziare la pratica dell’estradizione. Ma ora non ci penso neppure ad insistere per questo Speidel. Martino ha ragione».
Gli equilibri della Guerra Fredda, la necessità del riarmo tedesco-occidentale e la «ragion di Stato» divennero la base del paradigma dell’impunità sia per i crimini di guerra compiuti dai nazifascisti in Italia sia per quelli commessi dal regio esercito in Africa e nei Balcani.
Tuttavia a distanza di settant’anni dai fatti il vero nodo di criticità che rischia di far rimanere deboli iniziative come quella della Camera rimane il cortocircuito memoriale avviato proprio alla metà degli anni novanta attraverso la retorica dei «ragazzi di Salò» che trovò la tribuna più importante proprio dallo scranno più alto della stessa Camera, all’epoca presieduta da Luciano Violante.
Così il combinato disposto dell’omertoso silenzio sui crimini di guerra e della comprensione della «buona fede» dei fascisti che «andavano a cercar la bella morte» (ma più volentieri la infliggevano con stragi e torture a civili e partigiani) ha finito per tradursi politicamente con lo «sdoganamento»
post-missino e con la fine della «conventio ad excludendum» contro gli eredi del Pci. Approdando, in ultima istanza, al loro reciproco riconoscimento di accesso al governo del paese.
Mentre la documentazione sulle stragi nazifasciste rimaneva quasi sullo sfondo del dibattito nazionale, nello stesso 1994 l’opinione pubblica «moderata» considerava i partigiani dei GAP come i «veri» responsabili della strage delle Fosse Ardeatine e soltanto una protesta clamorosa davanti al Tribunale militare di Roma impedì che il capitano delle SS Erich Priebke tornasse libero in Argentina
Tra il 2003 e il 2004 seguirono poi la denuncia «del sangue dei vinti» e l’istituzionalizzazione del «giorno del ricordo» durante il quale, a suggello di una ricostruzione «narrativa» e non storica, sono stati premiati decine di repubblichini di Salò di cui il caso di Paride Mori (a cui la medaglia alla memoria dello scorso anno è stata poi revocata) non è che un esempio.
Ben vengano, dunque, le declassificazioni dei documenti che favoriscono i conti col passato perché nella conservazione e nella resa di accessibilità delle fonti risiedono il ruolo e le funzioni che le istituzioni hanno il dovere di esercitare nei confronti della storia.
Scriverla sarà compito della ricerca.
https://archivio.camera.it/desecretazione-atti/commissione-parlamentare-inchiesta-sui-crimini-nazifascisti-leg-XIV/list
Di seguito ne riproduciamo l'indice nella sua interezza.
Tra gli altri documenti segnaliamo che alcuni riguardano eccidi in Jugoslavia, criminali di guerra italiani in Jugoslavia e richieste di estradizione da parte jugoslava.
Richiesta documenti
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Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause dell'occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti
XIV Legislatura
Documenti
- Ministero Affari Esteri
- 101/1
giovedì
14 ottobre 1965 (734 KB)Lettera di trasmissione con allegato foglio riservatissimo n. 5491/2053 del 14/10/65 verosimilmente proveniente dalla Delegazione italiana presso il Consiglio Atlantico e inviata al Ministero degli affari esteri - DGAP - Ufficio IV (SS NATO).
Il materiale allegato è compreso nell'elenco dei documenti rinvenuti dall'avv. Simone Sabattini e richiesto dalla Commissione con nota 2005/0001685/SG-CIV/1944 del 28/10/05. - 103/0
giovedì
22 dicembre 2005 (4 MB)Documentazione della DGAP (Direzione Generale Affari Politici) pervenuta in Commissione a cura dell'Ispettorato generale del Ministero degli affari esteri. Lettera di trasmissione con allegato elenco riepilogativo della documentazione (p. 2-94).
Trattasi di "documentazione indicata negli elenchi di massima redatti dall'avv. Sabattini" (consulente della Commissione) e richiesta appositamente dalla Commissione con nota 2005/0001685/SG-CIV/1944 del 28/10/05. - 103/1
(6 MB)Documentazione pervenuta dall'Ispettorato generale del Ministero degli affari esteri e relativa (come da elenco compreso nelle p. da 1 a 7) ai seguenti fascicoli:
- trattative per indennizzi del nazismo;
- contenzioso finanziario italo-tedesco;
- trattative italo tedesche per indennizzi vittime del nazismo (danni di guerra). - 103/2
(3 MB)Documentazione pervenuta dall'Ispettorato generale del Ministero degli affari esteri e relativa (come da elenco compreso nelle p. da 1 a 3) ai seguenti fascicoli:
- interpellanza n. 253 del sen. Polano ed altri riguardante magg. delle SS Joachin Peiper (presunti crimini commessi a Boves - Cuneo). - 103/3
(7 MB)Documentazione pervenuta dall'Ispettorato generale del Ministero degli affari esteri e relativa (come da elenco compreso nelle p. da 1 a 7) ai seguenti fascicoli:
- Herbert Kappler - detenuto militare. - 103/4
(18 MB)Documentazione pervenuta dall'Ispettorato generale del Ministero degli affari esteri e relativa (come da elenco compreso nelle p. da 1 a 9) ai seguenti fascicoli:
- criminali nazisti;
- richiesta di informazioni sul trattamento pensionistico riservato ai perseguitati politici del regime fascista;
- massacro di Cefalonia della divisione Aqui (passato tutto al 1970);
- richiesta tedesca di informazioni su campi di internamento in Italia della II guerra mondiale;
- prescrizione crimini nazisti;
- trattative italo-tedesche per indennizzi vittime del nazismo (danni di guerra);
- Mons. Matthias Defregger vescovo ausiliare di Monaco. - 103/5
(33 MB)Documentazione pervenuta dall'Ispettorato generale del Ministero degli affari esteri e relativa (come da elenco compreso nelle p. da 1 a 29) ai seguenti fascicoli:
- indennizzi a vittime del fascismo;
- visite a Kappler;
- Kappler (domanda di grazia);
- criminali nazisti ed internati o prigionieri;
- crimini di guerra in Italia - accuse mosse da un redattore del settimanale "Stern";
- criminali nazisti. Parte generale;
- fucilazione 85 civili italiani nel 1944;
- Inchiesta su fatti di Cefalonia;
- Schmidt Helmut a Roma;
- Protezione interessi tedeschi in Guinea;
- Rendiconto trimestrale maggio-luglio 1971;
- contatti R.F.G. - Guinea;
- interessi tedeschi in Guinea - Marche consolari;
- Adolf Marx - Passato al 1972;
- sorvolo della Guinea da parte del Ministro Scheel durante il viaggio in Africa;
- centro cinematografico di Boulbinet. - 103/6
(9 MB)Documentazione pervenuta dall'Ispettorato generale del Ministero degli affari esteri e relativa (come da elenco compreso nelle p. da 1 a 11) ai seguenti fascicoli:
- politica militare - notizie militari;
- esplosioni e ricerca nucleari e spaziali;
- leggi e regolamenti;
- Marina militare, navi scuola e crociere d'istruzione;
- marina mercantile;
- associazioni;
- rappresentanze diplomatiche e consolari;
- pubblicazioni;
- telegrafo radio televisione;
- film documentari e politica culturale;
- traffico aereo e permessi sorvolo;
- consultazioni a livello funzionari;
- protezione interessi tedeschi nella RAU (cittadini tedeschi nella RAU accusati di spionaggio). - 103/7
(27 MB)Documentazione pervenuta dall'Ispettorato generale del Ministero degli affari esteri e relativa (come da elenco compreso nelle p. da 1 a 18) ai seguenti fascicoli:
- crimini nazifascisti e criminali nazisti - parte generale;
- SS Kappler - detenuto a Gaeta;
- domande di grazia per Kappler;
- risiera di S. Sabba - procedimento penale per criminali nazisti;
- comunicati stampa. - 103/8
(5 MB)Documentazione pervenuta dall'Ispettorato generale del Ministero degli affari esteri e relativa (come da elenco compreso nelle p. da 1 a 5) al seguente fascicolo:
- varie. - 103/9
martedì
16 gennaio 1968 (9 MB)Documentazione fornita dal Ministero Affari Esteri e classificata segreta dalla Commissione su richiesta del predetto ministero. In particolare trattasi delle note di cui ai nn. 123, 168, 177, 260, 264, 271, 279, 280, 281, 303, 306, 380, 402, 447, 448, 456, 465, 466, 485, 518, 527, da 555 a 558, da 563 a 568, da 570 a 571, 573, 578, 587, 589, 595, 603, 605, 606, 616, 619, 624 e 625 dell'elenco fornito dal predetto ministero.
riguardante: Herbert Kappler; Mons. Matthias Defregger; Reder e Kappler; crimini di guerra in Italia, accuse mosse da un redattore del settimanale « Stern »; prepotenze naziste a Zeltweg (Stiria); fucilazione 85 civili italiani 1944, Castelnuovo Val di Cecina (PI); massacro di Cefalonia della Divisione Acqui; protezione interessi tedeschi; sorvolo della Guinea da parte del ministro Scheel durante il viaggio in Africa; politica militare, notizie militari (Germania occidentale); associazioni; telegrafo radio televisione; protezione interessi tedeschi nella RAU (cittadini tedeschi nella RAU accusati di spionaggio); varie (contratti di lavoro sospetti); criminali nazisti - parte generale, criminali di guerra detenuti in Pesi europei; risiera di San Sabba, procedimento penale per criminali nazisti. - 107/0
mercoledì
11 gennaio 2006 (345 KB)Lettera di trasmissione della documentazione acquisita in copia presso il MAE - 107/1
(6 MB)Busta 96 - Ufficio DGAP I - Anno 1952.
Pratiche nominative.
Dollmann Eugenio (Larcher Enrico). - 107/2
(23 MB)Busta 21 - Ufficio DGAP - Anno 1951.
Criminali di guerra tedeschi.
Processo a carico di Petitto Rocco, cap. Meir, magg. Haren, Lanz Hurbert, Mayr Ernst (fucilazione cap. Pierluigi Chiaramonte e Mario Pezzoli e altri).
Processo a carico del cap. tedesco Krumhaar Waldemar.
Notizie dalla Germania.
Atteggiamento U.S.A.
Atteggiamento della Gran Bretagna.
Stampa.
Atteggiamento inglese, danese, norvegese, francese - anno 1951.
Atteggiamento inglese, danese, norvegese, francese - anno 1952. - 107/3
(4 MB)Busta 162 - Ufficio DGAP I - Anno 1950 - 1957.
Criminali di guerra richiesti da alcuni stati esteri.
Pratiche di estradizione. - 107/4
(6 MB)Busta 79 - Ufficio MAE GAB - Anno 1945.
Processo Mario Roatta. - 107/5
(10 MB)Busta 661 - Ufficio DGAP II. Anno 1953.
Grecia - Criminali di guerra.
Pratiche nominative relative a: sergente Stellà Panaiotti e altri. - 107/6
(1 MB)Busta 172 - Ufficio DGAP I. Anno 1953.
Criminali di guerra richiesti da altri stati.
Esecutorietà delle sentenze penali a carico di cittadini italiani emesse da autorità militari straniere. - 107/7
(4 MB)Busta 172 - Ufficio DGAP I. Anno 1953.
Criminali di guerra richiesti da altri stati.
Criminali di guerra richiesti dal comando alleato. - 107/8
(7 MB)Busta 172 - Ufficio DGAP I. Anno 1953.
Criminali di guerra richiesti da altri stati.
Criminali di guerra richiesti dalla Gran Bretagna. - 107/9
(19 MB)Busta 172 - Ufficio DGAP I. Anno 1953.
Criminali di guerra richiesti da altri stati.
Criminali di guerra richiesti o detenuti dagli americani. - 107/10
(8 MB)Busta 172 - Ufficio DGAP I. Anno 1953.
Criminali di guerra richiesti da altri stati.
Criminali di guerra italiani richiesti dalla Francia. - 107/11
(16 MB)Busta 172 - Ufficio DGAP I. Anno 1953.
Criminali di guerra richiesti da altri stati.
Criminali di guerra italiani reclamati o detenuti dagli inglesi. - 107/12
(179 KB)Busta 130 - Ufficio DGAP I. Anno 1957.
Jugoslavia.
Washington 1 novembre 1957 telespresso n.14092/3792. - 107/13
(720 KB)Busta 20 - Ufficio DGAP I. Anno 1964.
Germania nominativi.
Lettera del cittadino tedesco W. Wehner relativa a italiani deportati in Bassa Sassonia. - 107/14
(1 MB)Busta 20 - Ufficio DGAP I. Anno 1964.
Germania nominativi.
Avv. J. Tochtrop - fucilazione a Garessio (Cuneo) nel luglio 1944 di civili italiani. - 107/15
(1 MB)Busta 78 - Ufficio DGAP I. Anno 1956.
Traccia di conversazione.
Incontro Italo-tedesco, traccia di conversazione. - 107/16
(694 KB)Busta 78 - Ufficio DGAP I. Anno 1956.
Traccia di conversazione.
Documentazione inerente all'incontro Italo-tedesco. - 107/17
(18 MB)Busta 1160 - Ufficio DGAP IV. Anno 1951.
Criminali di guerra reclamati dai russi.
Promemoria sulle accuse mosse da parte russa a militari italiani. - 107/18
(3 MB)Busta 15 - Ufficio DGAP I. Anno 1964.
Germania 1/1.
Theodore Saewecke ex capo SS Milano. - 107/19
(839 KB)Busta 139 - Ufficio DGAP I. Anno 1947.
Stati vari V.
Conferenza di Mosca - Parigi, 3 giugno 1947 telespresso n.476/5977/1663. - 107/20
(676 KB)Busta 87 - Ufficio MAE GAB. Anno 1945.
Criminali di guerra.
Criminali di guerra - Archivio del Gabinetto di S.E. il Ministro. - 107/21
(61 KB)Busta 10 - Ufficio DGAP I. Anno 1961.
Italia 1/8.
Visita del presidente Fanfani a Bonn (Roma 12 dicembre 1958 appunto caso Kappler)
(Message over 64 KB, truncated)
By Greg Butterfield
On Feb. 15, seven anti-fascist political prisoners in Chisinau, the capital of the eastern European country of Moldova, were brutalized in court by armed riot police, while a three-judge panel looked on. The prisoners are leaders of a popular uprising against a pro-West, oligarch-backed regime.
One of the prisoners, Grigory Petrenko, leader of the leftist Red Bloc party, had his wrists “cut to the bone” by his handcuffs as he was dragged from the courthouse, according to his spouse, Lilia Petrenko. (1News.md, Feb. 16)
Another prisoner, Pavel Grigorchuk, youth leader and editor of the communist news site Grenada.md, was dragged headfirst down a flight of stairs. Others were dragged by their feet. Omega News Agency reports that the prisoners appealed for medical help after their return to Penitentiary No. 13.
Outside, more than 1,000 protesters held an angry but peaceful demonstration, surrounding the courthouse and blocking traffic. Later, masked riot police, carrying shields and swinging billy clubs, attacked the action. The protest continued late into the evening, with activists eventually marching from the courthouse to Chisinau’s central square. (MoldNews.md, Feb. 15)
The political prisoners — including Petrenko, Grigorchuk, Mikhail Amerberg, Alexander Roshko, Andrei Druz, Oleg Buzni and Vladimir Zhurata — were violently arrested on Sept. 6, during a protest against the Western-backed government dominated by oligarch Vlad Plahotniuc.
The prisoners, known collectively as the “Petrenko Group,” were denied release by the judicial panel on Feb. 15 — despite four leading European parliamentarians agreeing to serve as their guarantors, which under Moldovan law is sufficient for pretrial release.
Omega also reported that for the first time, representatives of the U.S. and European embassies were present in the courtroom. So far it’s unknown why they chose to show up on this particular day, after months of entreaties from local activists to monitor the case.
After the judges announced their decision, the political prisoners held a sit-down protest. Armed police in riot gear swept the media from the courtroom, pushing reporters, family members and friends of the prisoners down corridors and stairs. Then, they moved in to brutalize the prisoners and remove them by force. The attack in the courtroom was captured on a cellphone video.
Despite the attack, the prisoners raised their fists outside and chanted in solidarity with the protesters as they were herded into a police van to be returned to jail. Demonstrators surrounded the van, rocking it, until forced back by truncheon-wielding riot cops.
Popular uprising against oligarchy
Moldova, a former republic of the Soviet Union, is a small country of about 3.5 million people in eastern Europe. To its north and east is Ukraine, where a U.S.-backed coup powered by fascist gangs seized power two years ago, unleashing a war on Russia’s western border. To its south is Romania, a member of the NATO military alliance ruled by a U.S. puppet regime.
Moldova is also in the throes of a popular uprising against oligarchy and neoliberal reforms.
The movement sweeping Moldova has a fundamental difference from the right-wing, Euromaidan movement that seized power in Ukraine two years ago: It has a powerful left, anti-fascist and anti-imperialist wing.
Because of this — and despite the country’s modest size — this movement threatens to upset the reactionary tide throughout the region, built up over decades by Washington/Wall Street and the Western Europe imperialist powers.
On Jan. 20, dramatic footage was broadcast around the world of protesters entering and occupying the Parliament building in Chisinau, as a new government headed by Prime Minister Pavel Filip was sworn in two days after receiving the U.S. State Department’s blessing.
U.S. and Western media provided no context for these seemingly chaotic images to a public kept largely unaware of Moldova’s existence, much less the economic and political plight of people suffering under International Monetary Fund-European Union “reforms,” including privatization and the cutoff of traditional trade with Russia and other former Soviet republics.
The current wave of protests was sparked in 2015 with the revelation that leading politicians appointed by the country’s top oligarch and political kingmaker, Vlad Plahotniuc, had embezzled more than $1 billion from Moldova’s banking system.
At first, in early 2015, the protests were dominated by pro-“Euro-integration” forces, including the ultraright that seeks the country’s merger with Romania. The movement seemed similar to the one in Ukraine, known as Euromaidan, that overthrew the government in February 2014.
But in the summer of 2015, the recently formed Red Bloc party led a working-class campaign to turn back government-mandated utility-rate and fuel-price hikes. This party includes independent leftists and communists who had left or been expelled from the old Party of Communists of the Republic of Moldava.
Red Bloc leadership turns the tide
The Red Bloc campaign spread like wildfire. Pensioners, students and workers occupied city halls and held mass assemblies in towns and villages across the country. The regime was forced to step back and temporarily halt the rate hikes.
In Chisinau, the Red Bloc erected a tent city outside Plahotniuc’s home and staged protests at his businesses and media holdings. At this time, Red Bloc leader Petrenko was cast as “Public Enemy No.1” by oligarch-controlled media.
This mobilization of the working class, rooted in the anti-fascist traditions of Soviet times, began to shift the center of gravity in the protests. Instead of the pro-Western capitalist and middle-class opposition keeping the leadership, the protesters moved toward those who favor friendly relations and economic partnership with Russia. They also want to preserve the country’s agriculture and industry. They reject the NATO military alliance and oppose unification with pro-West Romania.
The Red Bloc began to build a pole of attraction in the movement of the left, anti-fascist and anti-EU forces, including the Party of Socialists of the Republic of Moldova and Our Party, a party representing Russian-speaking Moldovans based in the city of Balti.
When protests resumed in the autumn, there were two distinct wings in the movement — the “Euro-integration” forces of the Civic Platform “Dignity and Truth” (the DA Platform), which held a protest of tens of thousands in central Chisinau on Sept. 6, and the smaller but class-struggle-based movement headed by the Red Bloc, which held a demonstration of about 1,000 people the same day. It was at this protest where seven Red Bloc activists, including party leader Petrenko, were arrested.
Since that time, the left pole, numerically dominated by the Party of Socialists, has overtaken the pro-Euro-integration forces. The left pole has been playing the leading role in the recent mass demonstrations against the new regime, which, as before, is dominated by protégés of Plahotniuc.
The shift in momentum is clearly visible in the words and actions of the pro-Euro-integrationist DA Platform. Shortly after the Petrenko Group’s arrest, the political prisoners’ supporters were kept to the outskirts of DA Platform protests. Some leftists who entered were attacked by fascist elements — similar to the Maidan protests in Ukraine in 2013-2014.
Now, however, the DA Platform has had to adjust its actions in response to mass pressure, and has even joined with the leftists in the Civil Forum coalition calling for unconditional release of the political prisoners, along with early parliamentary elections. (Omega, Feb. 4)
A poll taken after the January protests showed that if parliamentary elections were held soon, the Party of Socialists and Our Party would win a decisive victory, with the DA Platform coming in third. The current governing parties — the so-called Democrats, Liberal Democrats and Liberals — were far down the list.
Comunicato del Partito dei Comunisti della Repubblica di Moldova
Nei giorni scorsi centinaia di persone hanno fatto irruzione in Parlamento per protestare contro un nuovo governo gradito all'Unione Europea, installatosi con le modalità di un vero e proprio colpo di stato. La notizia, come sempre quando non è conforme ai progetti imperialisti, non è stata riportata dai media. Per contribuire alla comprensione degli eventi, traduciamo qui il comunicato del Partito dei Comunisti della Repubblica di Moldova, emesso pochissimi giorni prima delle clamorose manifestazioni di protesta.
Dopo aver ignorato il risultato internazionalmente riconosciuto delle elezioni del 2009, i partiti che allora formavano l'Alleanza per l'integrazione europea hanno dato il via a pogroms e agli incendi del Parlamento e dei palazzi presidenziali, alla violazione della Legge Fondamentale nell'elezione del capo dello Stato, alla suddivisione dei ministeri e di altre posizioni tra i vari partiti secondo il manuale Cencelli, alla violazione della Costituzione, delle leggi e dei regolamenti, oltre ad aver aizzato disordini che hanno portato alla perdita del controllo sul paese e alla sua trasformazione in una enclave mafiosa e corrotta. La corruzione e la mancanza di leggi sono penetrate in ogni sfera della società, peggiorando ulteriormente la vita delle persone.
E' stato sferrato un forte attacco a tutte le strutture democratiche del paese, sono state chiuse le reti televisive sgradite, fatte pressioni politiche ed economiche sulla carta stampata, limitato il diritto di assemblea e di manifestazione e contro i partecipanti è stata usata la violenza e la persecuzione. La televisione pubblica "Moldavia 1" è controllata dal Partito Liberale ed è usata per sostenere le politiche di unione all'Europa, mentre tutte le restrizioni e le proibizioni sono dirette verso i partiti e i movimenti di opposizione.
Questo ha portato negli ultimi tempi al degrado e alla paralisi completa del sistema socioeconomico del paese, alla stagnazione e alla distruzione di qualsiasi forza di sviluppo della società.
La partecipazione diretta alla corruzione del Primo Ministro, dei vari ministri, dei parlamentari, degli ufficiali e di numerosi rappresentati a livello nazionale e locale non sarebbe stata possibile senza il supporto dato dal gruppo parlamentare dell'Alleanza per l'Integrazione Europea. I parlamentari democratici e liberali, attraverso la manipolazione delle leggi e attraverso l'intervento diretto negli specifici affari dei ministeri, hanno contribuito alla truffa da un Miliardo di Euro della Vem, alla svendita dell'aeroporto di Chisinau, alla fissazione di altissime tariffe del gas, della luce e dei trasporti e dei servizi e a una diffusione mai vista prima di corruzione ed estorsione. Questi gruppi parlamentari hanno votato la chiusura di scuole, di asili, di ospedali e per l'innalzamento del prezzo di generi alimentari e medicine, per licenziamenti di massa...
Il risultato di questa tragedia nazionale è il completo disprezzo per la volontà degli elettori espressa nelle elezioni del Novembre 2014.
La Moldavia è una vergogna mondiale. Ciò che è accaduto sembrava impossibile fino a poco tempo fa. Grossi gruppi parlamentari sono stati acquistati come merci al mercato, come dei servi. Con nostra grande vergogna, 14 dei nostri deputati hanno lasciato per questo il gruppo parlamentare comunista. Appena se ne sono andati, hanno cominciato a servire gli interessi di quelli che volevano restare al potere con ogni mezzo. È possibile che queste “anime morte” riescano nel loro intento.
Ma questi deputati traditori cosa diranno agli elettori, alle proprie famiglie, agli amici? Ormai hanno assunto le caratteristiche di Giuda e non se ne libereranno finché vivranno.
E' importante sapere che la pratica diffusa dell'acquisto di parlamentari ha portato al ridisegno del Parlamento, che non corrisponde più alla volontà degli elettori, così come è stata espressa nel Novembre 2014. Questi traditori e i loro acquirenti si sono presi gioco della volontà degli elettori e hanno perso il loro supporto elettorale.
In queste condizioni, non è importante sapere a quale risultato porterà questo tradimento. In ogni caso, è certo che questo potere sarà privo del supporto pubblico, e non sarà capace di consolidarsi, e invece di risolvere i problemi dello stato continuerà la sua pratica distruttiva in base al principio del “divide et impera”.
Chi ha abbandonato il gruppo parlamentare, usurpando i seggi vinti dai partiti ha perso la propria qualità di rappresentante. Costoro e i loro acquirenti hanno acquistato il potere di rappresentanza al mercato, perdendo tutto il supporto sociale degli elettori e sono corresponsabili ai loro occhi.
Il Parlamento, da allora, non è più rappresentativo delle persone, e quindi non ha il diritto di agire in loro nome.
Il Comitato Centrale del Partito dei Comunisti della Repubblica di Moldova pensa che quello che sta avvenendo oggi in merito alla questione del potere non ha niente a che vedere con la politica e non rappresenta le vere aspirazioni del popolo moldavo. L'imminente fiducia al governo non è altro che una farsa.
Di conseguenza il PCRM non darà alcuna fiducia alla composizione di questo governo.
Il Comitato Centrale del PCRM
20 Gennaio 2016
Traduzione dal russo di Mauro Gemma
Dichiarazione del Partito dei Comunisti della Repubblica di Moldova
Il Partito dei Comunisti della Repubblica di Moldova esprime la sua indignazione e protesta contro la decisione della Corte Costituzionale della Repubblica di Moldova, del 23 novembre 2015, che di fatto ha legalizzato l'attività delle organizzazioni fasciste e i simboli fascisti.
Attraverso la lettura attenta delle tesi contraddittorie esposte nella sentenza della Corte Costituzionale, i cui membri sono cittadini di un altro stato (la Romania), emerge chiaramente il carattere mirato di tali insinuazioni anticostituzionali e contro l'umanità.
Per ogni persona di buon senso e che abbia qualche conoscenza della storia la riabilitazione del fascismo, in qualsiasi forma, significa genocidio, morte e distruzione.
Probabilmente i cosiddetti “costituzionalisti” e coloro che li manipolano non sanno che, sotto i simboli nazisti nei campi di concentramento sono state bruciate vive milioni di persone. Sotto i simboli nazisti è stata ripristinata la schiavitù a metà del XX secolo. Sotto i simboli del nazismo è stata uccisa e violentata gente non solo in Unione Sovietica, ma in tutto il mondo.
Ormai da tempo l'umanità ha imparato a giudicare i gruppi criminali, banditeschi e le formazioni armate illegali. Il Tribunale Internazionale di Guerra di Norimberga per la prima volta nella storia ha condannato i crimini commessi a livello di stato dalla Germania nazista, ha condannato i suoi caporioni politici, l'ideologia e i simboli del fascismo. Da allora sono passati 70 anni... Si è informato in merito a queste pagine di storia quel deputato di un partito che in Moldavia pratica la corruzione e il latrocinio, prima di rivolgersi alla Corte Costituzionale?
Gli ordini di chi eseguono questo membro del Partito Liberal Democratico e la Corte Costituzionale, composta esclusivamente da cittadini della Romania?
Dobbiamo constatare che le riabilitazioni del passato nei giorni attuali stanno diventando sempre più frequenti. Si sono attivizzate forze che desiderano riconsiderare i risultati della Seconda Guerra Mondiale, sminuire e persino annullare il ruolo decisivo dell'Unione Sovietica nella sconfitta del fascismo, equiparare la Germania nazista, stato aggressore, all'URSS, che ha condotto la guerra di liberazione e ha avuto un numero enorme di vittime per salvare il mondo dagli orrori del nazismo.
Viviamo in un mondo turbato e instabile, di anno in anno sempre più fragile e vulnerabile. Le contraddizioni tra gli stati sviluppati e gli altri sono sempre più acute, investono la cultura, le religioni e producono disuguaglianze sociali.
La decisione della Corte Costituzionale, che di fatto ha autorizzato l'uso nel territorio del nostro paese dei simboli del nazismo, non è solo cinica, ma criminale. In tal modo viene assecondata la logica perversa dei cinque giudici romeni della Corte Costituzionale moldava, che utilizzano i loro poteri contro lo stato e il popolo. Costoro non si pongono solo al di sopra del Parlamento. Stanno cercando di riscrivere la storia. Giudici, che sono cittadini della Romania, negano le decisioni del processo di Norimberga, che ha giudicato l'ideologia e i simboli fascisti crimini contro l'umanità. Chi credono di essere questi piccoli servi dei nuovi ideologi del neonazismo e del fascismo? Il sistema parlamentare moldavo è forse così debole da non essere in condizione di reagire adeguatamente ad azioni scorrette della Corte Costituzionale?
Il Partito dei Comunisti della Repubblica di Moldova ribadisce che tutti i tentativi di riscrivere la storia conducono a gravi conseguenze, e per questa ragione non permetterà che in Moldova i neonazisti alzino la testa e che la nostra società sia nuovamente contagiata dalla “peste bruna”?
Il fascismo non passera!
Il Comitato Centrale del Partito dei Comunisti della Repubblica di Moldova
El organismo continental debatía este jueves qué estrategias debe adoptar para defenderse en la guerra mediática, mencionando "la propaganda rusa" como una de las principales amenazas a las que tiene que hacer frente...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=uB9xNWf-TF0
oppure: https://www.youtube.com/watch?v=dk9I5MDYhJs
SANDRO TETI EDITORE
IN PREPARAZIONE:
GUY METTAN
Mille anni di pregiudizi
Guy Mettan, RUSSOFOBIA - Mille anni di pregiudizi – In preparazione l’edizione italiana
Titolo originale: Russie-Occident, une guerre de mille ans : La russophobie de Charlemagne à la crise ukrainienne, Editions des Syrtes, 2015 5
Con i recenti accadimenti in Ucraina a seguito dell’Euromaidan e le conseguenti reazioni in ambito politico, diplomatico e di opinione pubblica negli USA e in Europa, il tema delle relazioni tra Russia e Occidente, con particolare attenzione alle categorie secondo cui l’Occidente guarda, pensa e racconta la Russia, è di estrema e scottante attualità. Guy Mettan, giornalista, politico e direttore del Club Suisse de la Presse, si propone di analizzare nelle sue coordinate storiche e geopolitiche, nella sua dimensione propagandistica e nelle sue conseguenze psicologiche e fattuali il fenomeno della russofobia, quella che l’autore non esita a chiamare «una guerra millenaria», condotta dagli Occidentali contro il loro «grande vicino» a colpi di cliché, rappresentazioni (spesso consciamente) distorte e persino mistificazioni della Russia e di tutto ciò che attorno ad essa gravita.
Il saggio, pubblicato per la prima volta a Ginevra nel 2015, è articolato in tre parti, nelle quali l’autore affronta il ‘cosa’, il ‘quando/dove’ e il ‘come’ del fenomeno in analisi, con il costante obiettivo di spiegarne il ‘perché’. Nella prima parte delinea il profilo della russofobia, non complotto ma vera e propria predisposizione d’animo occidentale (a volte, paradossalmente, condivisa e alimentata dagli stessi Russi), mostrando con una puntuale critica delle fonti la messa in atto del discorso russofobo in occasione di quattro eventi di recente memoria: il disastro aereo di Überlingen (2002), il sequestro di Beslan (2004), la seconda guerra in Ossezia (2008), i Giochi olimpici di Soči (2014); speciale attenzione, poi, è dedicata a riconsiderare la crisi Ucraina mettendo in questione la rappresentazione unilaterale e distorta che i media occidentali ne hanno fornito.
Nella seconda parte si segue l’evoluzione storica e ideologica del sentimento russofobo, individuandone le origini nella rivalità politica e religiosa che prende avvio sotto Carlo Magno, colui che contese a Bisanzio il ruolo di erede dell’Impero romano. L’ossessione imperialistica resta la costante di fondo delle successive declinazioni nazionali della russofobia: quella francese, che con l’allestimento del falso testamento di Pietro il Grande sotto Luigi XV inaugura il mito dell’espansionismo russo; quella inglese, meno ‘dottrinale’ ma più capillarmente propagata, che rovescia nel XIX secolo il rapporto con la Russia dopo l’alleanza antinapoleonica; quella tedesca che, nata sotto il Secondo Reich nell’ambito della temperie culturale del nazionalismo romantico, troverà un fertile terreno nella teoria del Lebensraum; quella americana, sintesi delle precedenti, efficace risorsa per la retorica della tutela di libertà e democrazia volta a coprire e legittimare la penetrazione dei valori neocapitalistici.
La terza parte del libro, una sorta di manualetto della russofobia, mette a nudo le dinamiche della realizzazione e del funzionamento del discorso antirusso nei media e nel mondo accademico. Tale discorso si concretizza in racconto attraverso la costruzione del cattivo perfetto, Vladimir Putin, alla guida del nemico perfetto, il feroce orso russo che brama di divorare l’Europa: l’autore torna così sugli eventi recenti, e in particolare sulla crisi ucraina, per mostrare in azione tutto il potenziale del soft power occidentale.
L’indagine di Mettan non si pone l’obiettivo di trascinare al banco degli imputati l’Occidente per rovesciare, conservandola, la visione manichea della storia che la propaganda russofoba vorrebbe delineare; l’operazione mira piuttosto a concedere alla Russia – la cui parte di responsabilità nella drammatica degenerazione di questo bipolarismo non è taciuta – quella parola che le viene con una certa metodicità negata dal sistema di informazione occidentale, in un tentativo di ricostruire la complessità dei rapporti Russia-Occidente e smascherare i pregiudizi che ci impediscono di apprezzare i tanti aspetti positivi del nostro grande vicino. Allo stesso modo, per quanto i giornalisti siano i principali responsabili, o meglio, i ‘finalizzatori’ del discorso russofobo elaborato dagli establishment e dalle lobby occidentali, il libro non vuole essere nemmeno una condanna tout court dei media (la cui libertà di azione non è mai peraltro un dato scontato); ciò che si auspica, a più riprese, è piuttosto un recupero della deontologia giornalistica. L’onestà intellettuale, la capacità (e la volontà) di informarsi cercando e interpellando fonti di opposto schieramento, soprattutto il senso critico, quell’esigenza di porre e porsi continuamente domande, anche e soprattutto quelle più scomode e che meno convengono agli schemi precostituiti: questo è ciò che Mettan – procedendo lui stesso con stile giornalistico e guarnendo con voluta insistenza e abbondanza le sue pagine di punti interrogativi – vuole risvegliare nella coscienza non solo dei giornalisti, ma di tutti coloro che, quotidianamente, sono esposti al bombardamento della russofobia e ne diventano quasi inconsciamente vittime, se non addirittura attori stessi.
Nella consapevolezza che sono i rapporti di forza a regolare le relazioni internazionali, Mettan insiste tuttavia sul potere che le domande, le giuste domande, possono esercitare sull’opinione pubblica, tanto cara ai governanti. Sensibilizzare la gente a chiedersi se le responsabilità non siano condivise, se il proprio punto di vista unilaterale sia l’unico che conti, se i propri interessi e sistemi di valori siano davvero superiori, è il solo modo per incamminarsi verso un futuro dove finalmente non ci si dichiarerà più contro l’Altro, bensì con lui.
On February 1 the New York Times ran a front page story by two of their journalists confirming the intentions of the United States to increase its occupation of and military presence in Europe particularly the east. Under the title “U.S. Fortifying Europe’s East to Deter Putin” the story sets out just one in a continuing series of acts of aggression against Russia. At the same time as the Americans announced this action they pretended to negotiate with Russia in Geneva about a solution to the American and allied aggression against Syria.
Of course, the story begins with the lie in the headline of a need to “deter Putin.” It then continues with the standard set of lies and propaganda about world events that we always get from the government of that country. No one outside the United States can read these things without laughing or crying, but of course they are intended to justify the criminal actions of the American government and ruling elite to the people who have to pay for the criminal wars they conduct, that is, to justify the unjustifiable, to the citizens of the United States.
There is no need to enter once again into the real history of events in Ukraine, Syria, Europe, Asia, Africa and all the places in the world where American and European meddling have wreaked havoc and loosed Chaos with the dogs of war. The history is well known by those who are interested. But there is a need to comprehend the meaning of what the United States is doing by announcing that it will increase its military budget for eastern Europe by 400%, from a current budget of $789 million to $3.4 billion in 2017. Since the Russians are not the threat in the region, but the United States and NATO are, the placement of military hardware to support a full armoured combat brigade in the region, and right on top of Russia’s borders can have only one other purpose, aggression.
Once can even argue that the pattern of moving equipment and forces continually nearer to Russia’s border, the continuous military exercises and their increasing control of the governments of the east European states in lockstep with this military build up, looks far too much like Nazi Germany’s build of forces prior to Operation Barbarossa, the Nazi invasion of the Soviet Union in 1941. History never repeats itself exactly, we have learned that much. But the overall pattern is very similar and the objectives and motivations remain the same.
The story also quoted American officials as stating that the equipment could be used in Syria, another threat to Russia. But the main threat is against Russia itself. Indeed the writers stated,
“Still, there is no doubt the primary target of the funding is Russia.”
The Times admits that the 1997 agreement known as the NATO-Russia Founding Act stipulates that neither side can place forces along their respective borders and admits that the deployment of American and NATO troops along Russia’s borders is a clear violation of the agreement. But, being the weasels that they are, they always state that wrong is right and so they simply deny they are in violation of the agreement or excuse it based on ”Russia’s incursion” into Crimea. This makes no sense of course since the United States took over Ukraine as its protectorate in the coup in 2014. Its forces have been there ever since and it has been in violation of the agreement from the day it was signed as NATO occupied, one by one, the countries formerly protected from NATO by the Soviet Union. The agreement means nothing to them. They just shrug their shoulders if it is mentioned and chew their gum.
Since the build-up of American forces in Europe is explicitly directed at Russia and since a few months ago an American general stated that they expected Russia to engage in “hybrid warfare” in the Baltic states and regard this as a “certainty” for which NATO has to prepare, an objective observer must ask whether the US itself intends to stage a series of provocations in the Baltic and blame them on Russia.
The Americans, British and Turks have created a series of provocations in the past weeks, accusing Russia of killing civilians in Syria, of violating Turkish, therefore NATO airspace, of murdering Russians abroad on the personal orders of President Putin, and as with other leaders they have attacked and murdered in the past, now accuse President Putin of corruption, a charge they levelled at President Milosevic when he was attacked and then finally arrested in Serbia.
This writer had the opportunity of meeting with Serbian officials who were in charge of the case against Milosevic at that time and I asked them if the corruption charges were true. They told me that they were completely false but that the Americans pushed them to charge Milosevic in order to undermine support for him in Serbia and as an excuse to hold him until they could kidnap him and take him in chains to their NATO tribunal in The Hague. They further told me that the Americans had threatened to bomb them again if they refused to cooperate.
The accusations made against President Putin are in line with this strategy of setting him up to be labelled in the west as a criminal with whom negotiations are impossible and therefore, setting the stage for sowing confusion amongst the Russian people about their own leaders, and undermining support for their government. But this is only one purpose and since the Russian people are very aware of how the game works, it is unlikely that this campaign of defamation against President Putin will have any success inside Russia. So, the primary objective is to demonise him in the eyes of the western public in order to justify further aggression against Russia and since these stories receive saturation coverage in the west, the NATO propagandists are succeeding.
It took nearly ten years for Operation Barbarossa to be set up and put into effect, from the time that Hitler was made Chancellor of Germany and began to discuss with the British and French his intentions of attacking the Soviet Union. The British and French were very content for the Nazis to do that and there is no doubt that the primary objective of Hitler was always the crushing of Russia. That the attack failed is one of the reasons the NATO leaders snubbed the Moscow Victory Parade last summer since they now identify themselves with the objectives of the defeated Nazi regime.
Some doubt that the NATO powers will actually attack Russia and risk a world war and point out that the forces being placed in eastern Europe are too weak to mount any attack. But they miss the point, which is that the build up is steady, and it is increasing, along with the propaganda and increased economic warfare. The Americans are really prepositioning resources, stores, equipment and headquarters and logistics bases that can be rapidly used to build up NATO forces at the right moment. The question is when that moment will be.
Unless the European powers can escape the American pressure and become independent states once again and unless a new regime dedicated to peace arises in the United States, neither of which look likely for the foreseeable future, it rests with us, the citizens of the world to get off our chairs and get on the streets and demand that these preparations for world war be stopped. For, unless that happens, the march to war by the Americans and their NATO lieutenants appears to be inexorable.
Christopher Black is an international criminal lawyer based in Toronto, he is a member of the Law Society of Upper Canada and he is known for a number of high-profile cases involving human rights and war crimes, especially for the online magazine “New Eastern Outlook”.
Venerdì, 19 febbraio 2016
ore 17.30
Sala "Dante" presso l'Hotel Cristallo
Piazzale D'Annunzio, 43
UDINE
La casa editrice Kappa Vu vi invita alla conferenza-stampa
CHI HA PAURA DI "RESISTENZA STORICA"?
Con la partecipazione di Claudia Cernigoi, Marco Barone, Alessandra Kersevan
In questi giorni, in questi mesi, in questi anni, la Kappa Vu e molti Autori della collana Resistenza Storica, siamo oggetto sia sui giornali, sia sul web, di continue diffamazioni con l'epiteto di "negazionisti" o "riduzionisti" , per le nostre ricerche sulle vicende del confine orientale nel corso del '900.
La diffamazione nei nostri confronti si accompagna ad un attacco sempre più scoperto, ormai usuale in occasione del Giorno del Ricordo, contro i partigiani italiani, come sta succedendo ora contro la Divisione Garibaldi-Natisone e i suoi comandanti, Sasso e Vanni.
Durante la conferenza - che indirizziamo in particolare al mondo della stampa, ma a cui tutti sono invitati - metteremo in evidenza quali siano i principi storiografici che ispirano il lavoro di ricerca che come gruppo di Resistenza Storica abbiamo svolto in questi anni, dimostrando anche l'inconsistenza delle argomentazioni di coloro che vorrebbero impedirci di parlare.
La virulenza degli attacchi contro i nostri studi dimostrano che non si tratta soltanto di storia, ma che si sta giocando una partita legata all'attualità , attraverso la riduzione di fatto della libertà di parola, il restringimento degli spazi di democrazia, l'abitudine al conformismo, la costrizione al pensiero unico dominante. Non solo in quanto ricercatori storici, ma in quanto cittadini italiani ne siamo fortemente preoccupati.
Per tutti questi motivi, pensiamo che discuterne sia importante e vi invitiamo caldamente a partecipare.
Per Kappa Vu edizioni
Alessandra Kersevan
Dal sito Dieci Febbraio 1947 http://www.diecifebbraio.info/testa-per-dente/
"(...) Sta dilagando, sotto l’ambiguo nome di revisionismo, la sistematica manipolazione dei fatti (negati, inventati, destrutturati ecc., a seconda dei casi), nel tentativo, tutto politico, di sostituire alla storiografia scientifica e critica una mitologia utile a garantire il consenso sociale intorno ai gruppi dominanti, specie in periodi di crisi come l’attuale. Si sa, questi metodi sono antichi; ma oggi la loro efficacia è legata all’uso monopolistico delle tecnologie mediatiche, vere armi di distrazione di massa delle intelligenze e della coscienza civile. Questa mostra vuol essere un passo (piccolo ma, speriamo, significativo) nella direzione opposta: aiutare gli italiani di oggi a imparare dalla storia per non ripetere gli stessi errori, e a recuperare quei valori della Resistenza antifascista che (al di là della retorica ufficiale) non sono mai stati realmente e coerentemente perseguiti dalla classe di governo – a partire dai mancati processi ai criminali di guerra; passando per i segreti sulle stragi di Stato, sui tentativi golpisti, sulle infiltrazioni mafiose; fino allo “svuotamento” (sostanziale prima che formale) della stessa Costituzione (divisione dei poteri, ripudio della guerra, diritti del lavoro, giustizia sociale, difesa ambientale ecc.): oggi lo Stato è sottoposto di fatto alle “leggi del mercato”, con evidenti pericoli di degenerazione autoritaria. Ma le vere risposte potranno darle solo le lotte. Sarà bene precisare che nella mostra non c’è nulla che possa essere paragonato a una “fiction”: l’impatto emotivo di alcuni contenuti è legato esclusivamente alla loro funzione documentaria. Le immagini e alcuni testi («in corsivo») sono tratti da pubblicazioni e documenti originali dell’epoca. Senza pretendere una completezza e una profondità di analisi impossibili da ottenere con un tale mezzo divulgativo, la cura nella ricerca e nella scelta del materiale è tale da non temere critiche fondate sul piano storico e metodologico. Per verifiche, consultazioni e approfondimenti sono disponibili l’elenco puntuale delle fonti e un’ampia bibliografia. Pol Vice".
Evento facebook: https://www.facebook.com/events/1534965006796111/
http://www.ilgiornale.it/news/politica/istriani-difendevano-patria-i-profughi-invece-scappano-solo-1220213.html
Foibe, il ricordo a Bondeno. Spazzali: “Autodifesa è dovere”
http://www.estense.com/?p=525479
COMUNICATO STAMPA
In merito alle polemiche recentemente comparse, Roberto Spazzali riconosce di avere pronunciato una frase inopportuna che gravemente offende le condizioni di chi oggi fugge dalla morte. E se ne scusa.
Il Direttivo dell’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia, riunitosi il 9 febbraio 2016, prende atto delle dichiarazioni di Roberto Spazzali e si rammarica per una affermazione che non corrisponde alla linea culturale e ai valori coerentemente espressi nel tempo dall’Istituto stesso. Del pari si duole della strumentalizzazione che ne è sorta a più livelli.
Il presidente
Anna Maria Vinci
Dichiarazione del CdA INSMLI
Grazie a tutte e tutti per la solidarietà e partecipazione!
Ha fatto il giro della rete in fretta ed in furia il caso della revoca della sala da parte della Provincia di Gorizia. Decisione unilaterale del Presidente. Sala revocata a storici, studiosi, antifascisti che, muovendosi all'interno dei parametri della Legge sul giorno del ricordo, volevano parlare delle vicende complesse del confine orientale, e di tutto ciò che vi è connesso su questo giorno. Una delle cose che ha fatto più male, se non rabbia, è stato l'esempio posto in essere da parte del Presidente della Provincia di Gorizia, per giustificare e motivare la mancata concessione della sala: " È come se il giorno della memoria dell'olocausto concedessi una sala pubblica a chi lo nega". Come se fossimo dei nazisti che negano l'olocausto. Ragionamento che si pone in linea con quello fatto dal Presidente della Lega Nazionale di Gorizia, quando ha scritto, a proposito di questo caso che:"Cosa penseresti di una conferenza di Casa Pound il 25 Aprile?". Penso che non sono due cose paragonabili, due opposti enormi ed estremi. Presso il locale Aenigma di Gorizia si è svolta una partecipata assemblea. Si è parlato del giorno del ricordo, sono state smontate tutte le falsità e menzogne che ruotano in questo giorno e rinviando ad un convegno più grande ed importante che si svolgerà prossimamente a #Gorizia. La solidarietà che è pervenuta è stata importante e continua. Quanto accaduto a Gorizia avrà delle inevitabili ripercussioni politiche, e non solo. Non si può continuare a stare con un piede in due scarpe. La storia è una cosa seria, l'antifascismo pure. Si deve scegliere da che parte stare. E se il sedere sulla poltrona viene reputato più importante, ciò avrà ovviamente delle ovvie conseguenze.Oggi a Gorizia è stata data la migliore risposta a chi continua ad attaccare quella voce che nuoce al nazionalismo nostrano, questa risposta è stata la solidarietà, pervenuta da tutta Italia, ed una sala piena di persone e contenuti, in questo 10 febbraio del 2016 in una Gorizia dove la democrazia è stata sospesa. Ci potete anche togliere le sale, ma non il diritto di parlare, ed oggi, nonostante il tutto, abbiamo parlato. mb
Cominciamo con ricordare che..
《Il Giorno del ricordo è una solennità civile nazionale italiana, celebrata il 10 febbraio di ogni anno. Istituita con la legge 30 marzo2004 n. 92[1] essa vuole conservare e rinnovare «la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale》. (da Wikipedia)
Questo significa che il 10 febbraio si ricordano le foibe per legge dello stato italiano. Questo è un obbligo di tutte le istituzioni. Non a caso domani mattina sarò alle 11 a Monfalcone e poi nel pomeriggio a Gorizia, non a titolo personale ma come Presidente della Provincia. Ci sarei cmq andato anche a titolo personale perché mio nonno, Antonio Stefanini è stato prelevato e fatto sparire a Fiume il 8 maggio 1945.
Detto questo, preciso che le sale pubbliche sono un bene collettivo di tutta la comunità, e in questo senso, da quando ci sono io, vengono date a chiunque ne faccia richiesta senza esprimermi sulla condivisione delle singole iniziative. Il patrocinio viene invece dato solo a ciò che si condivide.
Nel caso in questione è lapalissiano che il giorno del ricordo previsto per legge non possa concedere una sala pubblica a chi nega la legge.
È come se il giorno della memoria dell'olocausto concedessi una sala pubblica a chi lo nega.
Oltre a una evidente sensibilità politica che rispetta le memorie esiste un dovere istituzionale che non a caso il parlamento ha stabilito con legge.
Questo vuol dire che la sala pubblica sarà disponibile per chi vuole negare le foibe in uno degli altri 364 giorni dell'anno. Ma non il 10 febbraio.
D'altra parte se hanno una verità storica con fondamento, essa sarà valida anche il giorno dopo.
Abbiamo sempre fatto così con tutti e ogni altra considerazione è inutile. Mi auguro che i promotori rifacciano la domanda e avranno la sala, come tutti.
PS visto che non è mio costume nascondermi dietro un dito, dico anche della iniziativa in questione non condivido nulla."
Il comunicato di Gherghetta richiede una risposta ponderata ed organica, che stiamo elaborando.
Ma vorremmo fare intanto solo un paio di osservazioni. Egli parla di un nonno "infoibato" a Fiume nel maggio 1945, Antonio Stefanini. Ma questo nome non risulta in alcun elenco di scomparsi (neppure Wikipedia, che il presidente usa come gazzetta ufficiale).
Secondo punto. Gherghetta, che avrebbe avuto il nonno "infoibato" e sostiene la (fallace) teoria della "vera e propria pulizia etnica" che avrebbe colpito gli italiani in Jugoslavia, è nato a Fiume nel 1957 (segno che i suoi genitori vi sono vissuti serenamente almeno per dodici anni dopo la fine della guerra) ed è venuto in Italia dopo.
Citando l'enciclopedia Treccani (più qualificata che non Wikipedia, che peraltro cita questa definizione) leggiamo la definizione di "pulizia etnica".
- Programma di eliminazione delle minoranze, realizzato attraverso il loro allontanamento coatto o ricorrendo ad atti di aggressione militare e di violenza, per salvaguardare l’identità e la purezza di un gruppo etnico -.
Gherghetta è la prova vivente che in Jugoslavia non vi fu una pulizia etnica nei confronti della popolazione di lingua italiana. Altrimenti lui non sarebbe nato a Fiume, ma in Italia.
10 Febbraio 2016
Fassino: “Chi nega distorce i fatti compie un errore inaccettabile”
ROBERTO TRAVAN
Fassino ha sottolineato che «siamo qui per riaffermare l’inaccettabilità di ogni forma di negazionismo e di riscrittura della storia. E per riaffermare che al ricordo si deve accompagnare l’impegno di evitare che tragedie simili si ripetano, cosa non scontata come dimostra la storia recente».
Il sindaco di Torino ha ribadito che dopo anni di silenzio «si è presa coscienza che una nazione ha il dovere di assumere sulle proprie spalle ogni pagina della sua storia e non c’è pagina che possa esser cancellata e negata. Chi fu ucciso nelle foibe e chi fu cacciato dalla sua terra lo fu solo perché italiano in quella che fu un’operazione di pulizia etnica»
https://www.facebook.com/diecifebbraio1947/posts/1677459949195463
Accade a Torino che il Presidente regionale dell'Anvgd, Antonio Vatta, attacchi l'Anpi.
Si scopre poi che suo nipote, Luigi Vatta, è stato candidato e legale per Casa Pound ed è autore di libri presentati alla sede dell'Anvgd con lo zio Antonio (nella foto sono il terzo e il quarto).
Spiace constatare come la celebrazione del Giorno del Ricordo a Torino si presenti con un attacco all’ANPI, come se questa Associazione fosse responsabile di quella terribile situazione sul Confine Orientale.
E’ merito dell’ANPI semmai condurre un lavoro di riflessione e ricerca per approfondire responsabilità, cause ed eventi. E’ improprio che una riflessione sia vista come campagna di denigrazione.
Nessuno nega il dramma di quelle terre di confine, ma proprio per questo la storia non va riscritta da un solo punto di vista, per cui da alcuni anni l’ANPI, come altri soggetti, cerca di evitare semplificazioni e falsità.
Alla Città di Torino chiediamo di favorire commemorazioni che mettano a confronto più voci, perché il Giorno del Ricordo non può essere appannaggio dell’Associazione degli Esuli Istriani, come non devono esserci attacchi che ne inquinino il significato.
Aver sfruttato questa giornata per un improprio e ingiustificato attacco all’ANPI, non fa onore alla necessità che la memoria sia giusta e utile a superare equivoci e contrapposizioni.
La Presidenza ANPI Provinciale Torino
Torino, 11/02/2016
Comunicato della sezione Anpi V^ Riunite: http://www.anpitorino.it/sezioni/V%20Cicoscr/Comunicato%20della%20sezione%20%20ANPI%20V%20RIUNITE%20TORINO.pdf
Corriere della Sera del 19 gennaio 1944: http://www.anpitorino.it/documenti/Giorno%20Ricordo%20Corriere%20della%20Sera%2019-01-1944.jpg
11 febbraio 2016 – Le carceri del Coroneo di Trieste saranno intitolate alla memoria del comandante Ernesto Mari e degli agenti di custodia in forza alle carceri giudiziarie Angiolo Bigazzi e Filippo Del Papa, che il 24 maggio del 1945 furono trucidati e infoibati nella cavità Plutone di Basovizza. A renderlo noto è Paolo Sardos Albertini, presidente della Lega Nazionale e del Comitato per i martiri delle foibe nel corso del suo intervento durante la commemorazione del Giorno del ricordo.
Presenti alla cerimonia della foiba di Basovizza, i rappresentanti delle Associazioni degli esuli. (...)
Infine, gli interventi del capogruppo del Partito democratico alla Camera dei deputati Ettore Rosato, per il quale «l’Italia esce dall’oblio per prendere consapevolezza di un passaggio drammatico e per troppo tempo ignorato della propria storia» e della deputata di Forza Italia Sandra Savino che ha posto l’accento sui «terribili crimini dei titini perpetrati a guerra conclusa: un eccidio tenuto a lungo nascosto e sottaciuto».(p. pit.)
IL CARCERE DEL CORONEO DEDICATO AGLI AGENTI DI CUSTODIA INFOIBATI
Ma vediamo le limpide figure di coloro ai quali sarà intitolato il carcere cittadino.
Nel maggio ’45 gli agenti di custodia Giuseppe Rovello e Paolo Lopolito denunciarono alle autorità jugoslave Angelo Bigazzi ed Ernesto Mari (comandante del corpo degli agenti di custodia del Coroneo) come responsabili di internamenti in Germania di altri agenti di custodia e perciò furono successivamente accusati di avere provocato arbitrariamente l’arresto dei loro superiori; furono giudicati ed infine assolti il 7/5/47 dalla Sezione Istruttoria della Corte d’Appello di Trieste. Dopo i recuperi dalla foiba Plutone, la vedova di Mari presentò un altro esposto contro i due, ed un nuovo processo fu celebrato nel ‘49 dal Tribunale Militare di Padova. La sentenza del 25/10/49 assolse i due imputati «in ordine al reato di concorso in insubordinazione con omicidio (…) per non aver commesso il fatto». Ambedue le sentenze riconoscono che «l’autorità militare jugoslava dette riconoscimento al Corpo delle Guardie del popolo, i cui componenti divennero così pubblici ufficiali – il 12 maggio 1945 – e che proprio in tal giorno vennero arrestati Mari e Bigazzi, onde solo per gli arresti eseguiti nei giorni precedenti si può parlare di illegittimità» (Sentenza Tribunale Militare di Padova d.d. 10/11/49).
Tra le circa 300 lettere scritte da vari cittadini alle autorità jugoslave nel maggio ‘45 per chiedere la liberazione di civili e militari arrestati, c’è un’unica segnalazione che non dice bene della persona cui si riferisce, anzi: «Il sig. Bigazzi per conto mio deve rimanere al lavoro perche (sic) squadrista». Firmato «Bembo Renato, già detenuto politico SS» (In Archivio di Roman Pahor, OZZ NOB 23).
Lopolito, denunciato nel 1944 per indisciplina alle autorità germaniche da Bigazzi e Mari, presentò una memoria nella quale asseriva che mentre era agli arresti per indisciplina «il Sottocapo Bigazzi andò a visitarlo più volte per dirgli che, come vedeva, aveva mantenuto la parola d’inviarlo in Germania, e che Mari la sera precedente la partenza» gli disse: “Come vedi ti ho fatto seguire la via dell’agente Leone (Salvatore Leone fu deportato a Buchenwald dove rimase 18 mesi; presentò una denuncia contro chi riteneva responsabili del suo arresto, tra i quali Mari, conservata in AS 1827 F 871/I, n.d.a.): domani partirai per la Germania”».
Prosegue la sentenza: «il 18 agosto effettivamente Lopolito veniva deportato e dopo avere subito maltrattamenti e digiuno al campo di concentramento, poté rientrare a Trieste, nei primi del maggio 1945 in miserevoli condizioni. Nessun dubbio pertanto nel Lopolito che causa delle sue sofferenze fossero stati proprio Mari e Bigazzi».
Inoltre si legge che alla vedova dell’agente Tafuro, che era stato deportato in Germania, era stato detto, il 27/4/45 che il marito stava per tornare ed allora «era andata a pregare il Mari stesso perché intervenisse con la sua opera per far tornare suo marito. A tale preghiera il Mari dichiarò che aveva fatto quanto era nelle sue possibilità e che pertanto non poteva più far nulla, che nessuna colpa egli aveva dell’internamento; e poiché la Tafuro, disperata, alzò il tono di voce egli, prendendola per un braccio la minacciò: “stia zitta, che se no, la faccio finire in Germania anche lei”». Lo stesso giorno la donna ricevette la comunicazione che il marito era morto in Germania il 3 marzo; fu per questo motivo che alcuni giorni dopo si consultò con Rovello e sporse denuncia contro Mari.
https://www.facebook.com/LaNuovaAlabarda/photos/a.115168005320441.1073741826.115049368665638/351486738355232/?type=3
IL GIORNO DEL RICORDO CHE PIACE ALLE ISTITUZIONI
Nella foto sotto, tratta dalla pagina del Primorski Dnevnik (http://www.primorski.it/stories/trst/252903_faistini_simboli_v_bazovici/#.VrzZrvnhCM8) si vedono, nel corso della cerimonia ufficiale presso la foiba di Basovizza (dove, ricordiamo, l'unico "infoibato" fu un torturatore al servizio del nazifascismo) alla presenza della autorità civili e militari, sindaco Cosolini e governante (governatrice ci pare pacchiano) Serracchiani in testa, esposti nell'ordine i seguenti labari e bandiere.
Alpini Tagliamento (reparto autonomo della RSI); Decima Mas (conosciuta, si spera); bandiera ufficiale della RSI con l'aquila di Salò; seminascosto il labaro dell'Arma Milizia (rappresentante di tutti i corpi armati fascisti oggi fuorilegge).
La bandiera tricolore con simbolo giallo, essendo poco visibile, non l'abbiamo identificata, ma dovrebbe essa pure appartenere alla RSI.
Ecco spiegato il motivo per cui qualcuno viene tacciato di "negazionista": perché talune istituzioni di questa repubblica hanno evidentemente deciso di violare sistematicamente le leggi che vietano l'apologia del fascismo.
OCCHIELLO: Il presidente della Lega Nazionale di Gorizia conferma le anticipazioni. Nel documento rimasto segreto si indicano anche i responsabili della strage
YEMEN, LA GUERRA CRIMINALE DEI SAUDITI
Speciale PandoraTV, 16/02/2016
ESCLUSIVO – Leader yemenita incontra Pandora TV e racconta la grave situazione nel martoriato paese della penisola arabica, lo Yemen: la Porta del Mar Rosso che intrappola 25 milioni di abitanti nei giochi geopolitici sauditi. Un drammatico appello all’opinione pubblica mondiale e ai giornalisti occidentali: “dove siete, mentre distruggono il nostro paese?”
VIDEO: http://www.pandoratv.it/?p=6254
oppure: https://www.youtube.com/watch?v=XG5YWGfEgPc
Bosnian Serb military commander dies in Hague tribunal’s jail
Posted on 12/02/2016 by Biagio Carrano
Il primo ministro serbo Aleksandar Vucic ha inoltrato al Tribunale Penale Internazionale dell’Aia una nota di protesta in relazione al comportamento da essa tenuta nei confronti dei rappresentanti serbi.
Vucic nella note richiede che il TPI rispetti la Serbia e non applichi doppi pesi nei confronti del paese, in particolare la Serbia non accetta che alcuni interrogatori vengano tenuti nei tribunali dei paesi di origine degli imputati, come concesso ad alcuni paesi. Vucic ricorda inoltre nella nota tutte le garanzie che ha dato la Serbia in merito al rilascio temporaneo di alcuni imputati al fine di curarsi, impegni che il Tribunale ha ignorato. Vucic ha concluso che i negoziati tra serbia e TPI riprenderanno quando questo organo dimostrerà di rispettare la Serbia.
A esplicita domanda dei cronisti Vucic ha risposto che “la vita del generale Zdravko Tolimir è molto più importante di tuttele richieste del TPI”. Anche il minsitro della giustizia Nikola Selakovic ha comunicato che invierà una nota di protesta: “La Serbia da decenni collabora con il TPI e vi sono tante prove di ciò ma merita di essere trattata come uno stato sovrano”.
Il Tribunale Penale Internazionale non ha risposto a una nota della Repubblica di Serbia dell’ottobre 2015 in cui si chiedeva il rilascio temporaneo del generale Zdravko Tolimir per consentirgli di sottoporsi a cure mediche mentre qualche giorno fa alla richiesta del TPI di procedere all’arresto di tre membri del partito radicale serbo il presidente del Tribunale Alphonse Orie non ha consentito al rappresentante della Serbia di intervenire in dibattimento.
(RTS, 12.02.2016)
Murder at The Hague? The strange case of sick & suicidal Serbs
However, a tribunal registrar did confirm that traces of rifampicin, a tasteless, odorless drug which can easily be administered in food without the subject knowing anything about it, was found in Milosevic’s blood in a test on 12th January. Although no rifampicin was found in Milosevic’s blood at the autopsy that doesn’t mean it wasn’t there earlier that week. As the district public prosecutor explained: "Rifampicin disappears from the body quickly, and the fact that no traces were found implies only that it is not likely that rifampicin had been ingested or administered in the last few days before death.”
Throughout this whole period, neither have I had any kind of infectious illness (apart from flu). Also the fact that doctors needed two months (to report to me), can't have any other explanation than we are facing manipulation. In any case, those who foist on me a drug against leprosy surely can't treat my illness; likewise those from which I defended my country in times of war and who have an interest to silence me."
1) Febbraio 2011: quando la polizia italiana non impedì l'attacco all'ambasciata libica
ASSALTO ALL'AMBASCIATA LIBICA A ROMA, 23 febbraio 2011.
I libici la chiamavano l'ottava meraviglia del mondo. I media occidentali lo hanno definito il capriccio e il sogno irrealizzabile di un cane rabbioso. Il "cane rabbioso" nel 1991 aveva profeticamente detto circa la più grande impresa di ingegneria civile nel mondo...
Quando al grido di "Allah U Akbar" (ironia della storia) e "ammazzate Gheddafi", lo stato italiano lasciò l'ambasciata libica in balia degli assalitori
punito?
Ricordiamo questo fatto di cinque anni fa. Il 23 febbraio 2011 a Roma in via Nomentana manifestanti al grido di Allah U Akbar e ammazzate Gheddafi, durante una manifestazione - autorizzata? non autorizzata?... - assaltarono in libertà l'ambasciata dell'allora Jamahiryia araba libica. Usando come scala una camionetta della polizia - le forze dell'ordine erano presenti in tenuta antisommossa- si arrampicarono sul muro, gettarono alla folla urlante la bandiera verde (che fu bruciata seduta stante) e vi sostituirono quella monarchica, attualmente in uso. Si vede tutto qui: https://www.youtube.com/watch?v=5f-H8ebC6OE
Marinella Correggia
08/02/2016
Bandiera Usa sull’Europa
Manlio Dinucci
Ben altro lo scopo. Subito dopo la fine della guerra fredda, nel 1992, Washington sottolineava la «fondamentale importanza di preservare la Nato quale canale della influenza e partecipazione statunitensi negli affari europei, impedendo la creazione di dispositivi unicamente europei che minerebbero la struttura di comando dell'Alleanza», ossia il comando Usa.
Missione compiuta: 22 dei 28 paesi della Ue, con oltre il 90% della popolazione dell’Unione, fanno oggi parte della Nato sempre sotto comando Usa, riconosciuta dalla Ue quale «fondamento della difesa collettiva». Facendo leva sui governi dell’Est, legati più agli Usa che alla Ue, Washington ha riaperto il fronte orientale con una nuova guerra fredda, spezzando i crescenti legami economici Russia-Ue pericolosi per gli interessi statunitensi. In tutta l’Europa orientale sventola, sul pennone più alto, la bandiera a stelle e strisce assieme a quella della Nato.
In Polonia, la nuova premier Beata Szydlo ha ammainato dalla sue conferenze stampa la bandiera della Ue, spesso bruciata nelle piazze da «patrioti» che sostengono il governo nel rifiuto di ospitare i rifugiati (frutto delle guerre Usa/Nato), definiti «invasori non-bianchi». In attesa del Summit Nato, che si terrà a Varsavia in luglio, la Polonia crea una brigata congiunta di 4mila uomini con Lituania e Ucraina (di fatto già nella Nato), addestrata dagli Usa.
In Estonia il governo annuncia «un’area Schengen militare», che permette alle forze Usa/Nato di entrare liberamente nel paese.
Sul fronte meridionale, collegato a quello orientale, gli Stati uniti stanno per lanciare dall’Europa una nuova guerra in Libia per occupare, con la motivazione di liberarle dall’Isis, le zone costiere economicamente e strategicamente più importanti.
Una mossa per riguadagnare terreno, dopo che in Siria l’intervento russo a sostegno delle forze governative ha bloccato il piano Usa/Nato di demolire questo Stato usando, come in Libia nel 2011, gruppi islamici armati e addestrati dalla Cia, finanziati dall’Arabia Saudita, sostenuti dalla Turchia e altri.
L’operazione in Libia «a guida italiana» – che, avverte il Pentagono, richiede «boots on the ground», ossia forze terrestri – è stata concordata dagli Stati uniti non con l’Unione europea, inesistente su questo piano come soggetto unitario, ma singolarmente con le potenze europee dominanti, soprattutto Francia, Gran Bretagna e Germania. Potenze che, in concorrenza tra loro e con gli Usa, si uniscono quando entrano in gioco gli interessi fondamentali.
Emblematico quanto emerso dalle mail di Hillary Clinton, nel 2011 segretaria di Stato: Usa e Francia attaccarono la Libia anzitutto per bloccare «il piano di Gheddafi di usare le enormi riserve libiche di oro e argento per creare una moneta africana in alternativa al franco Cfa», valuta imposta dalla Francia a sue 14 ex colonie. Il piano libico (dimostravamo sul manifesto nell’aprile 2011) mirava oltre, a liberare l’Africa dal dominio del Fmi e della Banca mondiale. Perciò fu demolita la Libia, dove le stesse potenze si preparano ora a sbarcare per riportare «la pace».
(il manifesto, 9 febbraio 2016)
L’arte della guerra
Libia, il piano della conquista
Manlio Dinucci
«Il 2016 si annuncia molto complicato a livello internazionale, con tensioni diffuse anche vicino a casa nostra. L'Italia c'è e farà la sua parte, con la professionalità delle proprie donne e dei propri uomini e insieme all'impegno degli alleati»: così Matteo Renzi ha comunicato agli iscritti del Pd la prossima guerra a cui parteciperà l’Italia, quella in Libia, cinque anni dopo la prima.
Il piano è in atto: forze speciali Sas – riporta «The Daily Mirror» – sono già in Libia per preparare l’arrivo di circa 1000 soldati britannici. L’operazione – «concordata da Stati uniti, Gran Bretagna, Francia e Italia» – coinvolgerà circa 6000 soldati e marine statunitensi ed europei con l’obiettivo di «bloccare circa 5000 estremisti islamici, che si sono impadroniti di una dozzina dei maggiori campi petroliferi e, dal caposaldo Isis di Sirte, si preparano ad avanzare fino alla raffineria di Marsa al Brega, la maggiore del Nordafrica».
La gestione del campo di battaglia, su cui le forze Sas stanno istruendo non meglio identificati «comandanti militari libici», prevede l’impiego di «truppe, carrarmati, aerei e navi da guerra». Per bombardare in Libia la Gran Bretagna sta inviando altri aerei a Cipro, dove sono già schierati 10 Tornado e 6 Typhoon per gli attacchi in Siria e Iraq, mentre un cacciatorpediniere si sta dirigendo verso la Libia. Sono già in Libia – conferma «Difesa Online» – anche alcuni team di Navy Seal Usa.
L’intera operazione sarà formalmente «a guida italiana». Nel senso che l’Italia si addosserà il compito più gravoso e costoso, mettendo a disposizione basi e forze per la nuova guerra in Libia. Non per questo avrà il comando effettivo dell’operazione. Esso sarà in realtà esercitato dagli Stati uniti attraverso la propria catena di comando e quella della Nato, sempre sotto comando Usa.
Un ruolo chiave avrà lo U.S. Africa Command, il Comando Africa degli Stati uniti: esso ha appena annunciato, l’8 gennaio, il «piano quinquennale» di una campagna militare per «fronteggiare le crescenti minacce provenienti dal continente africano». Tra i suoi principali obiettivi, «concentrare gli sforzi sullo Stato fallito della Libia, contenendo l’instabilità nel paese». Fu il Comando Africa degli Stati uniti, nel 2011, a dirigere la prima fase della guerra, poi diretta dalla Nato sempre sotto comando Usa, che con forze infiltrate e 10mila attacchi aerei demolì la Libia trasformandola in uno «Stato fallito».
Ora il Comando Africa è pronto a intervenire di nuovo per «contenere l’instabilità nel paese», e lo è anche la Nato che, ha dichiarato il segretario generale Stoltenberg, è «pronta a intervenire in Libia». E di nuovo l’Italia sarà la principale base di lancio dell’operazione. Due dei comandi subordinati dello U.S. Africa Command si trovano in Italia: a Vicenza quello dello U.S. Army Africa (Esercito Usa per l’Africa), a Napoli quello delle U.S. Naval Forces Africa (Forze navali Usa per l’Africa).
Quest’ultimo è agli ordini di un ammiraglio Usa, che è anche a capo delle Forze navali Usa in Europa, del Jfc Naples (Comando Nato con quartier generale a Lago Patria) e, ogni due anni, della Forza di risposta Nato. L’ammiraglio è a sua volta agli ordini del Comandante supremo alleato in Europa, un generale Usa nominato dal Presidente, che allo stesso tempo è a capo del Comando europeo degli Stati uniti.
In tale quadro si svolgerà la «guida italiana» della nuova guerra in Libia, il cui scopo reale è l’occupazione delle zone costiere economicamente e strategicamente più importanti. Guerra che, come quella del 2011, sarà presentata quale «operazione di peacekeeping e umanitaria».
(il manifesto, 12 gennaio 2016)
Pubblicato 9 gennaio 2016 - 14.41 - Da Claudio Messora
Il 31 dicembre scorso, su ordine di un tribunale, sono state pubblicate 3000 email tratte dalla corrispondenza personale di Hillary Clinton, transitate sui suoi server di posta privati anziché quelli istituzionali, mentre era Segretario di Stato. Un problema che rischia di minare seriamente la sua corsa alla Casa Bianca. I giornali parlano di questo caso in maniera generale, senza entrare nel dettaglio, ma alcune di queste email delineano con chiarezza il quadro geopolitico ed economico che portò la Francia e il Regno Unito alla decisione di rovesciare un regime stabile e tutto sommato amico dell’Italia, come la Libia di Gheddafi. Ovviamente non saranno i media mainstream generalisti a raccontarvelo, né quelli italiani né quelli di questa Europa che in quanto a propaganda non è seconda a nessuno, tantomeno a quel Putin spesso preso a modello negativo. A raccontarvelo non poteva essere che un blog, questa volta Scenari Economici di Antonio Rinaldi e del suo team, a cui vanno i complimenti.
“Due terzi delle concessioni petrolifere nel 2011 erano dell’ENI, che aveva investito somme considerevoli in infrastrutture e impianti di estrazione, trattamento e stoccaggio. Ricordiamo che la Libia è il maggior paese produttore africano, e che l’Italia era la principale destinazione del gas e del petrolio libici.
La email UNCLASSIFIED U.S. Department of State Case No. F-2014-20439 Doc No. C05779612 Date: 12/31/2015 inviata il 2 aprile 2011 dal funzionario Sidney Blumenthal (stretto collaboratore prima di Bill Clinton e poi di Hillary) a Hillary Clinton, dall’eloquente titolo “France’s client & Qaddafi’s gold”, racconta i retroscena dell’intervento franco-inglese.
Li sintetizziamo qui.
- La Francia ha chiari interessi economici in gioco nell’attacco alla Libia.
- Il governo francese ha organizzato le fazioni anti-Gheddafi alimentando inizialmente i capi golpisti con armi, denaro, addestratori delle milizie (anche sospettate di legami con Al-Qaeda), intelligence e forze speciali al suolo.
- Le motivazioni dell’azione di Sarkozy sono soprattutto economiche e geopolitiche, che il funzionario USA riassume in 5 punti:
- Il desiderio di Sarkozy di ottenere una quota maggiore della produzione di petrolio della Libia (a danno dell’Italia, NdR),
- Aumentare l’influenza della Francia in Nord Africa
- Migliorare la posizione politica interna di Sarkozy
- Dare ai militari francesi un’opportunità per riasserire la sua posizione di potenza mondiale
- Rispondere alla preoccupazione dei suoi consiglieri circa i piani di Gheddafi per soppiantare la Francia come potenza dominante nell’Africa Francofona.
Ma la stessa mail illustra un altro pezzo dello scenario dietro all’attacco franco-inglese, se possibile ancora più stupefacente, anche se alcune notizie in merito circolarono già all’epoca.
In sintesi Blumenthal dice:
- Le grosse riserve d’oro e argento di Gheddafi, stimate in 143 tonnellate d’oro e una quantità simile di argento, pongono una seria minaccia al Franco francese CFA, la principale valuta africana.
- L’oro accumulato dalla Libia doveva essere usato per stabilire una valuta pan-africana basata sul dinaro d’oro libico.
- Questo piano doveva dare ai paesi dell’Africa Francofona un’alternativa al franco francese CFA.
- La preoccupazione principale da parte francese è che la Libia porti il Nord Africa all’indipendenza economica con la nuova valuta pan-africana.
- L’intelligence francese scoprì un piano libico per competere col franco CFA subito dopo l’inizio della ribellione, spingendo Sarkozy a entrare in guerra direttamente e bloccare Gheddafi con l’azione militare.
Il leader libico aveva messo in guardia Tony Blair dall'attacco dei fondamentalisti islamici in Europa: emerge dai documenti resi pubblici del Parlamento britannico. A Londra ora riconoscono che Gheddafi fosse più perspicace dei politici occidentali.
Il leader libico Muammar Gheddafi aveva messo in guardia l'ex premier britannico Tony Blair dalla minaccia dell'estremismo islamico in Europa. Emerge dalle trascrizioni delle telefonate tra i due politici rese pubbliche dalla commissione Esteri del Parlamento della Gran Bretagna, scrive il "Telegraph".
Il 25 febbraio 2011, quando in Libia già imperversavano le rivolte, Gheddafi aveva spiegato a Blair di cercare di proteggere il Paese dagli insorti di "Al Qaeda".
"Noi non li attacchiamo, loro ci attaccano. Voglio dirle la verità. Questa situazione non è così complicata, è al contrario semplice: in Nord Africa si sono svegliate le cellule dormienti di "Al Qaeda". Le cellule libiche sono simili a quelle che hanno operato in America alla vigilia dell'11 settembre," — aveva detto Gheddafi.
"I jihadisti sono entrati in possesso di armi ed hanno diffuso la paura tra la gente. Le persone non possono lasciare le loro case. <…> Ma non viene mostrato il quadro reale della situazione, non ci sono giornalisti stranieri. Abbiamo chiesto a tutti i giornalisti di tutto il mondo di venire a vedere la verità. Si tratta di bande armate. <… > E' impossibile negoziare con loro," — sottolineava Gheddafi.
"Vogliono controllare il Mediterraneo e poi attaccare l'Europa," — aveva avvertito il leader libico.
Blair, a sua volta, aveva sostenuto la necessità della pace.
Tre settimane dopo questa telefonata la coalizione di Paesi occidentali, compresa la Gran Bretagna, aveva iniziato i raid in Libia, portando al rovesciamento di Muammar Gheddafi, scrive il "Telegraph".
"Le premonizioni di Gheddafi sembrano essere state confermate, — si afferma nell'articolo. — Dopo la sua caduta, la Libia è piombata nel caos ed è ancora travolta dalla guerra civile. Molti territori sono controllati da gruppi armati di fondamentalisti islamici legati ai terroristi del Daesh (ISIS). I terroristi, inviati dal Daesh in Francia, a novembre hanno perpetrato una serie di sanguinosi attacchi terroristici a Parigi."
Il presidente della commissione Esteri Crispin Blunt ha dichiarato che i membri della commissione prenderanno in considerazione gli "avvertimenti profetici" di Gheddafi nell'ambito dell'inchiesta sugli eventi in Libia.
Secondo Blunt, i dati attualmente disponibili suggeriscono che "i politici occidentali sono meno lungimiranti di Gheddafi nei termini dei rischi connessi con l'intervento militari sia per il popolo libico e sia per gli interessi dello stesso Occidente."
... il top del top, lo si raggiungerà con l'assoluta falsità storica. Già in passato Cristicchi, voce e megafono di una parte di storia su queste vicende, aveva fatto intendere che "Io ricordo Vergarola, una delle più gravi stragi mai accadute in Italia, in tempo di pace”. E qui cosa si dice? Che: "la strage sulla spiaggia di Vergarolla a Pola il 18 agosto 1946, che provocò la morte di non meno di 80 persone, in gran parte italiani - ha ammonito - è emblematica del clima di allora: possiamo considerarla la prima strage della nostra Repubblica, ben prima di piazza Fontana e della stazione di Bologna"...
http://xcolpevolex.blogspot.it/2016/02/il-giorno-del-ricordo-nel-consiglio.html
Orazione pubblica per il Giorno del Ricordo tenuta da Lucia Bellaspiga presso l’Aula del Consiglio regionale del FVG (di Lucia Bellaspiga, Giornalista di Avvenire)
http://www.anvgd.it/notizie/20157-orazione-pubblica-per-il-giorno-del-ricordo-tenuta-da-lucia-bellaspiga-presso-laula-del-consiglio-regionale-del-fvg-03feb16-.html
... Tutto inizia negli ultimi giorni del 2010, quando Il Piccolo di Trieste e una manciata di altri giornali annunciano l’intento di Zeppellini (...) di girare in Friuli Venezia Giulia un film sulle foibe, preannunciando che il successivo 10 febbraio «è prevista una conferenza stampa negli Stati Uniti, al quale parteciperà anche Paolo Sardos Albertini in rappresentanza della Lega nazionale»...
http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=23517
... L’anno scorso abbiamo scritto una riflessione storica e politica su questo tema che è stata ripresa anche sul sito della Wu Ming Foundation all’interno di un lungo post sul tema del “10 febbraio” che smonta buona parte della propaganda sul tema delle foibe e del cosiddetto “esodo”. La scorsa primavera abbiamo invece organizzato l'evento “ITALIANI BRAVA GENTE - l'amnesìa sui crimini di guerra dell'Italia fascista” durante il quale lo storico Davide Conti (Università di Roma) ha gettato luce su un lato importante della storia recente del nostro paese, il cui oblio ha ripercussioni concrete anche sul presente...
https://www.facebook.com/equal.info/photos/a.422973534411641.91545.381406008568394/1039068572802131/?type=3&theater
>> Articoli:
http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=20954 //
https://equalmn.wordpress.com/2015/02/10/un-giorno-del-ricordo-smemorato/
>> Video:
Le amnesie sui crimini di guerra dell'Italia fascista - Davide Conti (eQual Mn)
11 aprile 2015 - eQual - Mantova: ITALIANI BRAVA GENTE - l'amnesìa sui crimini di guerra dell'Italia fascista, dall'immediato dopoguerra all'apertura dell'armadio della vergogna come ostacolo allo sviluppo democratico.
Dialogano insieme DAVIDE CONTI (scrittore e ricercatore di storia all'Università di Roma) e Oscar Porcelli (laureando in storia - associazione eQual).
[L'incontro fa parte del ciclo di eventi della "Lunga strada verso la Liberazione" organizzati in collaborazione tra Arci Virgilio, Anpi Mantova ed associazione eQual]
A cura di ANPI "68 Martiri" Grugliasco, 10 febbraio 2013-2014-2015-2016
Su questa battaglia è stato girato il film omonimo, con attori prestigiosi jugoslavi e stranieri, come Orson Welles, Yul Brunner, Sergej Bondarcuk, Silva Koscina, Franco Nero.
1945 - A Remetinec, cittadina vicino Zagabria, gli ustascia hanno impicato 30 civili – croati, serbi, ebrei e lo sloveno Janko Rakus, attore di Zagabria.
1947 - A Parigi è stato firmato il Trattato di Pace tra le Forze alleate che hanno vinto la guerra e gli Stati alleati dell'ex Terzo Reich: Italia, Romania, Ungheria, Bulgaria e Finlandia.
1979 - A Lubiana muore Edvard Kardelj, eroe, teoretico marxista, rivoluzionario, statista, delfino di Tito.
Tra mistificazioni storiche e rivalutazione del fascismo
Alessandra KERSEVAN: Il ruolo della X Mas al confine orientale
Claudia CERNIGOI: Il "fenomeno" delle foibe e gli scomparsi da Gorizia nel maggio 1945
Sandi VOLK: 10 anni di onorificenze della legge del Ricordo
Piero PURINI: Gli esodi prima e dopo il secondo conflitto mondiale
Marco BARONE: "Volemo tornar". L'irredentismo del terzo millennio
Nota di inquadramento storico e coordinamento del dibattito a cura di Marco PUPPINI
Organizzato da Resistenza Storica
in collaborazione con Sinistra Goriziana Antifascista
https://www.facebook.com/events/174126959625037/permalink/176006182770448/
Giorno del ricordo a #Gorizia e agibilità democratica: Revocata sala gestita dalla provincia a resistenza storica. Si svolgerà assemblea sulla mancanza di agibilità democratica in città e dove si parlerà in ogni caso del giorno del ricordo alle ore 16.00 il 10 febbraio presso il bar Aenigma di via Nizza 2 in Gorizia. Si invita tutta la cittadinanza a partecipare per denunciare pubblicamente quanto accaduto a Gorizia nel giorno della memoria condivisa di Stato. Segue una nota:
Era stato promosso dal gruppo di Resistenza Storica e sinistra goriziana antifascista, un convegno per il 10 febbraio dal seguente titolo, da svolgersi in Gorizia, presso il palazzo provinciale Attems:11 ANNI DI "GIORNO DEL RICORDO" Tra mistificazioni storiche e rivalutazione del fascismo. Questi gli interventi previsti: Alessandra KERSEVAN: Il ruolo della X Mas al confine orientale; Claudia CERNIGOI: Il "fenomeno" delle foibe e gli scomparsi da Gorizia nel maggio 1945; Sandi VOLK: 10 anni di onorificenze della legge del Ricordo; Piero PURINI: Gli esodi prima e dopo il secondo conflitto mondiale; Marco BARONE: "Volemo tornar". L'irredentismo del terzo millennio; nota di inquadramento storico e coordinamento del dibattito a cura di Marco PUPPINI. Contestualmente a ciò, nella stessa giornata, nella stessa città, ma in luogo diverso, è previsto il convegno organizzato dalla Lega Nazionale di Gorizia, con l'alto patrocinio della Prefettura, Provincia e Comune di Gorizia. Nella locandina, di questo convegno emerge con gran forza quella che ben può essere definita come una grande allucinazione ufologica storica, quale la pulizia etnica contro gli italiani. Quella del giorno del Ricordo è una legge profondamente ideologica. Legge che ha il suo fondamento nel revisionismo storico, nella memoria condivisa, che poi altro non è che la memoria nazionalistica di alcuni "eletti" elevata a rango di verità per tutti, dogma da condividere senza alcuna critica, salvo qualche piccola sfumatura, che deve essere concessa ma che non intaccherà la mistificazione storica, la manipolazione in chiave nazionalistica e revisionistica della storia del confine orientale. Il Presidente della Lega Nazionale di Gorizia, sulla pagina facebook dell'evento pubblico del convegno organizzato da Resistenza Storica così scriveva il 5 febbraio: " Liberi di organizzare quello che volete ma non manifestazioni provocatorie in una giornata solenne". E rilanciava il 6 febbraio: "Quando aggiornate la data del vostro evento che non può essere provocatoriamente svolto il 10 febbraio?" La Sala del palazzo Attems per lo svolgimento del convegno era stata richiesta dal consigliere PRC della provincia di Gorizia Dario Furlan, per iscritto, via mail, alla Provincia di Gorizia che attualmente è governata dal Pd. E non era emerso alcun tipo di problema, né politico né tecnico, tanto che la sala, per quello che è stato riferito a Resistenza Storica, risultava essere stata concessa. Ma, subito dopo la pubblicizzazione dell'evento in rete, da parte di Resistenza Storica, arriva una prima notizia di richiesta di spostamento dell'iniziativa. Poi, il giorno 8 febbraio, a ridosso del 10 febbraio giunge notizia informale che per una presunta inopportunità politica la sala non verrà più concessa per il 10 febbraio. A quanto pare a Gorizia il 10 febbraio possono avere agibilità democratica nei palazzi delle nostre Istituzioni, quindi di tutti, solo i cultori della memoria condivisa. Chiamasi regime antidemocratico.Tutti coloro che osano delle critiche avverso il revisionismo storico e la memoria condivisa, in quel giorno, assunto oramai per come strutturato nella sua sostanza a verità nazionalistica di Stato, gli storici, i critici, gli studiosi non allineati, in un contesto perfettamente legale, costituzionale e legittimo, non hanno diritto di parola alcuno. Ed il tutto in una città dove si svolgono manifestazioni di Casapound, i fascisti del terzo millennio, e che le recenti inchieste dell'Espresso hanno ben evidenziato di cosa stiamo parlando, "un arresto ogni tre mesi, una denuncia a settimana", una città che accoglie nella sua sede istituzionale, quale il Comune, chi fa il saluto fascista, e chi celebra la battaglia di Tarnavova, quale la Decima Mas, che Repubblica, proprio sul caso di Gorizia, ha così definito "flottiglia di torturatori e fucilatori fascisti che in Friuli Venezia Giulia operò anche per il Terzo Reich". A Gorizia vi è un problema enorme di agibilità democratica, ed è ancora più grave quando l'inopportunità politica, ergo convenienza politico elettorale, di certe e date iniziative, viene sollevata da parte di una certa sinistra governativa. E poi mischiare la convenienza politica con la ricerca storica è una cosa che si commenta da sola per la sua gravità. Insomma il 10 febbraio non tutti hanno il diritto di parlare, salvo, ad esempio, quelli che vanno in alcune scuole d'Italia, a "ricordare per ritornare" con tanto di locandina pubblica, nelle terre ancora oggi contese da una parte del nazionalismo nostrano, come l'Istria.Il 10 febbraio è un giorno ove la democrazia salta, un giorno ove ogni critica viene liquidata nella formula becera e vigliacca di negazionismo o giustificazionismo. Ennesima pagina buia e nera per Gorizia e non solo. Nonostante tutto il 10 febbraio si svolgerà presso il bar Aenigma di via Nizza 2 in Gorizia, alle ore 16, un momento assembleare dove si invita tutta la cittadinanza a partecipare per denunciare pubblicamente quanto accaduto a Gorizia nel giorno della memoria condivisa di Stato. mb
GORIZIA, 10 FEBBRAIO 2016, PROVE TECNICHE DI REGIME
Revocato dall'amministrazione provinciale l'uso della sala per il convegno storico.
Il Presidente della Lega Nazionale di Gorizia, sulla pagina facebook dell'evento pubblico del convegno organizzato da Resistenza Storica così scriveva il 5 febbraio: " Liberi di organizzare quello che volete ma non manifestazioni provocatorie in una giornata solenne". E rilanciava il 6 febbraio: "Quando aggiornate la data del vostro evento che non può essere provocatoriamente svolto il 10 febbraio?" La Sala del palazzo Attems per lo svolgimento del convegno era stata richiesta dal consigliere PRC della provincia di Gorizia Dario Furlan, per iscritto, via mail, alla Provincia di Gorizia che attualmente è governata dal Pd. E non era emerso alcun tipo di problema, né politico né tecnico, tanto che la sala, per quello che è stato riferito a Resistenza Storica, risultava essere stata concessa. Ma, subito dopo la pubblicizzazione dell'evento in rete, da parte di Resistenza Storica, arriva una prima notizia di richiesta di spostamento dell'iniziativa. Poi, il giorno 8 febbraio, a ridosso del 10 febbraio giunge notizia informale che per una presunta inopportunità politica la sala non verrà più concessa per il 10 febbraio.
Ci domandiamo: Luca Urizio sapeva che la sala ci sarebbe stata revocata prima che ce lo comunicassero?
Ma consideriamo che negare una sala pubblica ad un gruppo di storici solo perché vengono considerati dall'amministrazione pubblica "inopportuni" politicamente, significa che in questo Paese la lettura della storia è decisa dalle istituzioni che ci governano.
E' una storia di regime.
8/2/2016
Con un atto d'imperio paragonabile al concetto de "lo Stato sono io" di franco-borboniana reminiscenza, il presidente della provincia di Gorizia (in quota PD) Enrico Gherghetta ha revocato il già concesso uso di una sala provinciale richiesto dal gruppo consiliare di Rifondazione comunista per un convegno storico da tenersi il 10 febbraio in occasione del Giorno del ricordo, convegno che avrebbe visto la presenza di storici qualificati sull'argomento (Marco Puppini, Alessandra Kersevan, Claudia Cernigoi, Sandi Volk, Piero Purini) e dell'avvocato Marco Barone.
Il veto di Gherghetta, posto per motivi "politici" che non ha peraltro ritenuto opportuno chiarificare, non costituisce solo un gravissimo atto di censura preventiva nei confronti della libera espressione della ricerca intellettuale, ma anche una palese violazione della legge istitutiva del Giorno del ricordo (Legge 92/04) che prevede tra le altre cose l'approfondimento "delle più complesse vicende del confine orientale", approfondimento che costitutiva il senso del nostro convegno.
D'altra parte, consideriamo che Comune e Provincia di Gorizia hanno aderito acriticamente alla manifestazione commemorativa del 10 febbraio promossa da Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia e Lega nazionale di Gorizia, il cui manifesto recita (testualmente) "in memoria del dramma dell'esodo dei 350.000 istriani fiumani e dalmati - sottoposti ad una vera e propria pulizia etnica e dell'iniquo Trattato di pace", avallando quindi non solo le falsità storiche sulle cifre dell'esodo e su una presunta pulizia etnica che non è mai accaduta, ma addirittura definendo "iniquo" il Trattato di pace, legge dello Stato.
Sono questi i motivi "politici" che hanno portato il più alto rappresentante eletto della Provincia di Gorizia a censurare un convegno storico, abusando del proprio ruolo istituzionale? E se questa è la politica espressa dal "centrosinistra" nella nostra Regione, non comprendiamo a questo punto in cosa tale politica differisca dalle esternazioni di CasaPound e dei nostalgici della Decima Mas (i cui rappresentanti sono stati senza alcuna censura o distinguo accolti nell'aula del Consiglio comunale di Gorizia con tanto di labari sia di questo corpo collaborazionista, macchiatosi di orrendi crimini contro la popolazione civile, sia della stessa RSI, in palese violazione della normativa tuttora vigente contro l'apologia del fascismo).
Invitiamo coloro che leggeranno questo comunicato condividendone i contenuti ad inviare una mail di protesta al presidente Gherghetta, a questa mail.
presidente@...
Ora e sempre Resistenza!
Claudia Cernigoi
giornalista e ricercatrice storica, Trieste
*** alle ore 18.30 all’Interno 43 – via Sansovino 43
incontro/aperitivo con i protagonisti dell'evento teatrale DRUG GOJKO sui temi:
* Diventare testimoni. Ricordo del partigiano Nello Marignoli (con l'attore Pietro Benedetti)
* Partigiani italiani in Jugoslavia, un esempio di unità e fratellanza (con Andrea Martocchia, segretario del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS)
*** alle ore 21:15 presso il Teatro Verdi – Via Sansovino 66
DRUG GOJKO
con Pietro Benedetti
regia Elena Mozzetta
produzione ANPI Viterbo
in collaborazione con Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia
Drug Gojko (Compagno Gojko) narra, sotto forma di monologo, le vicende di Nello Marignoli, classe 1923, gommista viterbese, radiotelegrafista della Marina militare italiana sul fronte greco-albanese e, a seguito dell'8 settembre 1943, combattente partigiano nell'esercito popolare di liberazione jugoslavo. Lo spettacolo, che si avvale della testimonianza diretta di Marignoli, riguarda la storia locale, nazionale ed europea assieme, nel dramma individuale e collettivo della seconda guerra mondiale. Una storia militare, civile e sociale, riassunta nei trascorsi di un artigiano, vulcanizzatore, del Novecento, rievocati con un innato stile narrativo, emozionante quanto privo di retorica...
Prezzi dei biglietti:
LINEA VERDE intero ridotto*
Platea e Palchi I e II ordine € 10.00 € 8.00
Palchi III ordine € 8.00 € 6.00
* ridotto: soci Rete Teatrale Aretina, Arci, Acli; studenti (fino a 25 anni), minorenni, ultra sessantacinquenni, abbonati alle stagioni dei teatri aderenti alla Rete Teatrale Aretina.
ALTRE INFO: http://www.officinedellacultura.org/teatro_cinema.php?sel=1
--- PARMA mercoledì 10 febbraio 2016
alle ore 21 presso il Cinema Astra – Piazzale Volta 3 (43123)
FOIBE E FASCISMO 2016
Manifestazione Antifascista alternativa al "giorno del ricordo" del 10 febbraio
ore 21:00 conferenza
Italiani in Jugoslavia 1941 - 1945
dall'aggressione fascista alla Resistenza
e alla Divisione Partigiana Garibaldi
ore 21:30 filmato
PARTIZANI
La Resistenza italiana in Montenegro
Conferenza e film di ERIC GOBETTI
ricercatore dell'Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza
ingresso gratuito
ORGANIZZANO:
ANPI - ANPPIA - COMITATO ANTIFASCISTA ANTIMPERIALISTA E PER LA MEMORIA STORICA
evento facebook: https://www.facebook.com/events/1548640905459831/
con immagini di repertorio inedite
Nikšić, Montenegro, 9 settembre 1943. Poco dopo l’alba l’artigliere Sante Pelosin, detto Tarcisio, fa partire il primo colpo di cannone contro una colonna tedesca che avanza verso le posizioni italiane. Nelle settimane successive circa ventimila soldati italiani decidono di non arrendersi e di aderire alla Resistenza jugoslava. I partigiani della divisione Garibaldi raccontati in questo documentario sono eroi semplici, che hanno combattuto il freddo, la fame e una devastante epidemia di tifo, pagando con tremende sofferenze una scelta
di campo consapevole e coraggiosa.
Presenta Luca Alessandrini
Alessandra Kersevan sul tema:
FASCISMO, CONFINE ORIENTALE, FOIBE
Non dimenticare le tragedie e i crimini del fascismo. Ricostruire le problematiche delle foibe in un’ analisi dettagliata.
Apertura sala ORE 15:00 inizio ORE 15:30
Troverai banchetti informativi sulle lotte al fascismo
Assemblea Antifascista Forlivese
www.lascintillaonline.org
di Marco Puppini, 2 febbraio 2016
Bene devo dire ha fatto Smuraglia a non prevedere interventi dal pubblico. Molte volte c’è stata una strategia organizzata in particolare dalle destre per trasformare i convegni su questi temi in risse becere. Positivo anche il fatto che ogni studioso rappresentasse se stesso e non una determinata tendenza o associazione, di fronte alle immancabili contestazioni di una associazione di esuli perché non erano presenti “suoi” relatori. Verginella ha volato forse un po’ troppo alto, ma il suo discorso è assolutamente condivisibile. Ha criticato lo stesso titolo del convegno perché nazionalista ed escludente: il confine è orientale italiano, ma anche occidentale sloveno, meglio era parlare di confine italo – sloveno (o jugoslavo). La sua critica ai limiti delle storiografie prettamente nazionali, o al “piano memoriale” attuale che privilegia vittime e testimoni invece di ricerca e documenti sono a mio giudizio corrette. Cecotti è invece andato sul concreto. Sui media si parla di foibe ed esodo almeno da 15 – 20 anni – ha affermato – perché allora c’è qualcuno ancora oggi (e talvolta si tratta di insegnanti) che pensa si parli di argomenti sconosciuti? Da 15 – 20 anni i media ospitano periodicamente articoli su questi temi, ed ogni volta i giornalisti devono scrivere che si tratta di temi di cui non si è in precedenza mai parlato. In un momento in cui il mondo si globalizza e si parla di storia mondiale, in realtà si sta affermando una storia nazionale, o meglio in questo caso una storia regionale (della Venezia Giulia) che si vuole far passare come simbolo e compendio di quella mondiale. Nell’introdurre la tavola rotonda del pomeriggio, Marcello Flores ricordava giustamente che il giorno della Memoria fa riferimento ad un fatto europeo, la Shoah, quello del Ricordo ad un fatto regionale, che ha interessato Istria e Venezia Giulia. Si tratta pertanto di eventi difficilmente paragonabili.
Anna Vinci ha mostrato le radici lontane, prefasciste, del nazionalismo italiano e del pregiudizio della superiorità della cultura latina su quella slava. Ha anche trattato la complessità della repressione fascista, il disaccordo tra le varie istituzioni repressive che controllavano il territorio. Forse dal suo discorso sono rimaste fuori proprio le violenze fasciste. Ha parlato di scuole slovene chiuse, ma vi sono state anche le associazioni culturali (150 solo nel goriziano) e altrettante economiche chiuse a forza, i beni requisiti, le italianizzazioni dei cognomi di cui non ricordo abbia parlato, il divieto nell’uso pubblico della lingua, i morti ammazzati. Forse la Vinci li ha dati per scontati, ma per il pubblico presente non lo erano. Mi è invece piaciuta l’indicazione di estendere la ricerca sulle biografie dei responsabili della politica repressiva anche agli anni del secondo dopoguerra, quando tali personaggi non erano certo scomparsi. E il parallelo (che però riguarda una ricerca ancora da fare) tra Ispettorati creati in Sicilia e Sardegna per la lotta contro la mafia e quello della Venezia Giulia contro sovversivi e sloveni (a questo proposito Vinci avrebbe potuto però accennare al fatto che Gaetano Collotti, uno dei membri dell’Ispettorato più accaniti torturatori e cacciatori di partigiani a Trieste, è stato decorato dall’Italia repubblicana dopo la guerra per i meriti acquisiti nella lotta alla mafia).
Buvoli ha molto insistito sullo scontro tra Partito Comunista Italiano e Sloveno (o Jugoslavo) durante la Resistenza. Certo, lo scontro c’è stato, era importante che il pubblico lo sapesse. Ma vi è stata anche collaborazione. Perché parlare di annientamento della Resistenza italiana nelle regioni rivendicate dagli sloveni? Il Battaglione poi Brigata Trieste ad esempio ha operato dal 1943 al 1945 nella zona slovena vicino all’attuale confine come formazione italiana con proprie bandiere ed insegne, ed ha riunito nell’estate 1944 oltre duemila combattenti prima che una parte andasse a costituire la Fratelli Fontanot all’interno della Slovenia. Certo, era sottoposta a comando sloveno dopo un breve periodo di Comando paritetico. Anche la Natisone ha operato in Slovenia nell’inverno 1944 – 45, fra moltissime difficoltà pratiche e sotto comando sloveno. Ma tra questo e l’azzeramento c’è una bella distanza. Su questi temi mi pare anche importante fare un passo in avanti. Se avessero vinto non i partigiani comunisti ma i monarchici, appoggiati dalla Gran Bretagna, le cose per il confine orientale italiano sarebbero andate meglio? Credo che in quel caso sarebbe stato molto difficile per la diplomazia italiana evitare l’annessione alla Jugoslavia di Trieste e Gorizia. Perché i comunisti sloveni apparivano così poco internazionalisti ed invece “avidi” territorialmente? La Resistenza comunista ha dovuto fare i conti nei paesi sloveni passati nel primo dopoguerra all’Italia con un ambiente sociale decisamente antifascista e nel contempo decisamente nazionalista, e con le critiche delle forze monarchiche jugoslave che li accusavano di fare il gioco degli italiani in nome dell’internazionalismo. C’era anche, certo, la diffidenza verso l’Italia che si riteneva non stesse facendo veramente i conti con il fascismo. Però credo che sarebbe stato difficile in quel contesto per i comunisti jugoslavi avere una diversa linea politica.
Interessante l’intervento di Gloria Nemec, che ha mostrato il carattere non univoco dell’esodo e la varietà di motivazioni che vi stavano dietro. Ha parlato di comunisti (nazionalisti) sloveni e croati mal disposti in Istria verso gli italiani, e questo intento punitivo è stato una delle cause dell’esodo. anche al di là delle effettive intenzioni di chi lo metteva in atto. Intento non necessariamente condiviso dai vertici di Belgrado, l’esodo infatti ha svuotato l’Istria di forze produttive che sarebbero state utili all’economia jugoslava. Nemec ha parlato di slovenizzazione dei cognomi (o forse erano restituiti alla precedente grafia prima della italianizzazione fascista?) e distruzione del tessuto economico della comunità italiana, quasi una repressione comunista e nazionalista uguale e contraria a quella fascista. Dimentica però l’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume, il teatro italiano di Fiume, il periodico e la casa editrice italiane. Certo che la pressione sugli italiani vi fu, frutto più di una politica rozza e punitiva che di un disegno pianificato dall’altro, ma pure le differenze con la snazionalizzazione fascista.
Spazzali purtroppo non mi è piaciuto, ha saltato tra vari argomenti dando molti suggerimenti senza fornire un quadro complessivo, augurandosi l’avvio di nuove ricerche che però in parte già ci sono. Perché dire che sarebbe utile fare le biografie delle vittime ma che questo ormai è quasi impossibile, mentre è possibile fare quelle dei carnefici? Esistono molti elenchi e biografie di vittime, che lui conosce, dalle quali si capisce ad esempio che non tutti furono vittime ma che alcuni erano bene inseriti nell’apparato repressivo fascista. Dice che il tema delle foibe è stato taciuto per anni nel dopoguerra perché scottante, ma anche lui evita di toccare argomenti sotto i fari mediatici come la quantificazione delle vittime, il contenuto reale della foiba di Basovizza ecc. Incomprensibile per il pubblico presente la parte dedicata ad Udovisi, che avrebbe protetto la popolazione di Portole dalle violenze naziste (comprensibile per noi, che sappiamo che Udovisi, condannato nel dopoguerra dal Tribunale di Trieste per collaborazionismo ma allora latitante in Italia, si è presentato nei primi anni Duemila su tutti i media come sopravvissuto alla foiba nella quale sarebbe stato gettato risalendo fino al bordo. Racconto che alcuni hanno giudicato improbabile, vedi Pool Vice, La foiba dei miracoli, Kappa Vu 2008). Resta la censura, non solo di Spazzali, sui lavori meticolosi ed a mio parer validi di storiche come Claudia Cernigoi o Alessandra Kersevan, ma a questo purtroppo siamo abituati.
Nel convegno – per quanto mi ricordo – non si è parlato di Porzus, e neppure del controesodo dei tremila monfalconesi in Jugoslavia dopo la guerra. Il presidente dell’Anpi, Smuraglia, si è augurato che l’analisi storica porti a superare le contrapposizioni. Effettivamente è l’unica via, e questo è un tentativo da fare. Ma temo sia un’illusione. Dalle vicende della relazione della commissione storica italo – slovena del 2000, commissionata e poi affossata dai politici, si è capito che la riflessione storica interessa a pochi.
07/02/16
Dopo diversi fallimenti, si prorogano di 9 anni e non 20 i termini per assegnare le medaglie per infoibati
L'UNICO INFOIBATO AL POZZO DELLA MINIERA DI BASOVIZZA, OGGI MONUMENTO NAZIONALE
Ma le autorità civili e militari, i politici, gli storici, le scolaresche ed i loro insegnanti, lo sanno che quando vanno a tributare onori ufficiali agli "infoibati" a Basovizza, in realtà l'unica persona che possono onorare è l'unica persona che è stata infoibata lì dentro, e che era un agente volontario nell'Ispettorato Speciale di PS, collaborazionista delle SS, che fu "infoibato" perché nel corso dei rastrellamenti cui partecipava si dedicava a torturare i prigionieri (anche i civili) con la corrente elettrica?
Il “caso Fabian”
Di infoibati nello Šoht ne risulta in realtà uno solo, l’ex tranviere triestino Mario Fabian che si arruolò volontario nell’Ispettorato Speciale di PS. Le persone che confessarono di avere arrestato Fabian e di averlo gettato nel pozzo della miniera furono processate e condannate nel 1949. Dalla sentenza n. 8/49 RG pronunciata dalla Corte d’Assise di Trieste il 24/3/49 emerge che alcuni partigiani si erano recati, il 4/5/45 verso le ore 16, a casa del Fabian, lo avevano arrestato e condotto a Basovizza, dove erano giunti verso le ore 18. Lì avevano consegnato il prigioniero nelle mani di altri tre partigiani, ordinando loro di distrigarlo (cioè di eliminarlo sbrigativamente) perché era un agente di polizia.
Tra il 19 e il 20 gennaio ‘49 la polizia arrestò otto persone che «ammettevano i fatti», e nello specifico uno di essi ammise di avere ucciso Fabian con una raffica di mitra «a bruciapelo, colpendolo alla fronte», di avergli levato gli stivali e di averlo «gettato nel baratro, con l’aiuto dei compagni». Le confessioni degli arrestati si sarebbero avute subito, confermate successivamente al giudice istruttore il 28 gennaio. Il processo si concluse con la condanna per omicidio per due degli imputati, il comandante del gruppo che aveva arrestato Fabian (ed avrebbe detto agli altri di “distrigarlo”) e l’esecutore materiale.
Nella sentenza c’è un passaggio che ci sembra strano, anche perché non ne abbiamo trovato di simili in altre sentenze del genere e cioè che la Corte ritiene «attendibili» i verbali stesi dalla Polizia, poiché «contengono le dichiarazioni veramente e liberamente fatte allora dai giudicabili, perché nessuno di essi ha affermato essere dovute le confessioni rese a estorsioni o a intimidazioni». Evidentemente all’epoca c’era chi aveva pensato il contrario, altrimenti a che pro mettere per iscritto una cosa del genere?
Questo processo fu poi annullato dalla Cassazione, e nel corso del secondo processo la difesa produsse la copia di una circolare del Distretto Militare per l’Istria datata 27/4/45 ed inviata alla sezione operativa del IX Korpus. In essa si leggono i nomi di Collotti e di sei dei suoi accoliti (tra i quali anche quello di Mario Fabian) e l’esplicito ordine di arrestarli e fucilarli. Tale circostanza fu confermata anche da un documento firmato da un capitano dell’Esercito jugoslavo, Ante Jelas, documento che fu prodotto alla Corte. Quindi gli imputati furono assolti, in quanto «non punibili avendo eseguito un ordine illegittimo quando la legge non consentiva loro alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine stesso» .
Leggiamo ora cosa scrisse l’Unità (“I crimini del brigante Collotti rievocati ad un processo per sequestro di persona”, 28/6/50) di questo secondo processo.
«Daniele Pettirosso ha raccontato come l’8 gennaio del 1945 in seguito ad un rastrellamento effettuato dai nazisti e da agenti della Collotti a S. Antonio Moccò, egli venne arrestato e condotto all’Ispettorato di via Cologna. Quivi fu interrogato saltuariamente per ben diciassette giorni e fra i suoi aguzzini il Fabian fu quello la cui fisionomia gli restò impressa. Infatti fu proprio il Fabian che lo legò alla famosa “sedia elettrica” durante “l’interrogatorio” all’osteria di Moccò».
Seguono alcune testimonianze che parlano del rastrellamento:
«L’imputata Hrvatič ha detto: -Avevo notato il Fabian fra gli agenti che parteciparono al rastrellamento del 10 gennaio 1945 nel paese di Moccò-, fatto confermato indirettamente dalle dichiarazioni della teste Vittoria Zerial, vicina di casa della famiglia Fabian: -Conoscevo il Fabian. Un giorno (…) mi disse di avere partecipato a un rastrellamento in quel di Moccò e se avesse comandato lui, avrebbe fatto arrestare anche il parroco del paese che aveva suonato le campane per dare l’allarme agli abitanti».
(si veda il dossier sulla "foiba" di Basovizza in
http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2012/01/la-foiba-di-Basovizza.pdf)
Stralcio del rapporto al Comitato Centrale del Partito Comunista Sloveno n°6 dell’8 febbraio 1944 riguardante la celebrazione e le “controcelebrazioni” del 30 gennaio 1944.
Testo del volantino diffuso dal Pci nell'Italia occupata in occasione delle celebrazioni fasciste del 30 gennaio 1944
http://www.diecifebbraio.info/documenti/#300144
“Un ragazzo, in gita con la classe, attratto nell’antro di uno dei magazzini del Porto Vecchio di Trieste, si stacca dal gruppo fino a perdersi. In un clima surreale e fantasmagorico di polveri e lenzuola, ode sibilare un misterioso vento, che si fa voce di ricordi atroci sopiti dalla politica del “guai ai vinti”. E’ la memoria collettiva di un popolo. Gli Italiani, vittime acerbe di una pulizia etnica che, in Istria-Dalmazia, pare ormai cronaca ricorrente. Cambia bandiera la nazione, ma la falce della morte è la stessa ovunque. Ecco allora che, come sogni o colpi di magia, prendono forma dalle cose le romantiche e tragiche vite di Ferdinando e Norma, giovani Italiani, erroneamente etichettati come fascisti in una squallida e ignobile equazione senza senso. Le vite dei due giovani amanti si fondono con lo scorrere di quei giorni rossi di sangue, neri di morte. Tra amicizie adolescenziali, conoscenze fidate, nemici improvvisi, correnti di pensiero rimbalzate tra chi scappa, chi resta, chi lotta, confluite univocamente nella morte, intesa come perdita: della propria vita, della propria nazionalità, della propria identità, delle proprie cose, delle proprie case. Qualsiasi cosa scegli, qualcosa perderai. In questo quadro, Ferdinando e Norma cercano disperatamente si salvare il loro amore, la loro giovinezza, loro italianità, per coronare il sogno di un figlio e della pace. Si balla, ora a passo di risa, ora a passo di lacrime. Una speranza mai doma, folle e coraggiosa, lucida e vigliacca. Voci narranti fuori dal tempo svelano le scomode verità nascoste nelle buche della terra Istriana, negli abissi offuscati di una storia impari e una coscienza volubile. Tiriamo fuori dalla foiba i corpi, che possano parlare, che possano danzare, che possano cantare e poi raccogliersi stretti, innamorati, cresciuti e maturi di verità svelate in un Rumoroso Silenzio”.
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”У текстовима објављеним у „Данасу“ 8. и 10. децембра и касније о поступку рехабилитације Милана Недића није се могло сазнати ко је и зашто поставио ђенерала Недића за председника српске владе за време немачке окупације Србије 1941-1944. године, због чега је та администрација названа влада када није имала шира овлашћења од дотадашње комесарске управе Милана Аћимовића, зашто се Недић одметнуо од краља и југословенске владе и није реаговао на распарчавање Југославије, зашто се прихватио да служи окупатору, чиме је укаљао част српског и југословенског оружја, што га је коштало и чина који му је одузео краљ Петар Други итд.
Да би се саслушала и друга страна, овде се наводи телеграм упућен из Београда Министарству спољних послова немачке владе у Берлину, 29. августа 1941. године од стране Феликса Бенцлера, опуномоћеника тог министарства при Војноуправном команданту Србије, у Београду, који гласи:
„Телеграм (поверљиво). Београд, 29. август 1941. – 16,55 часова. Приспеће 29. августа 1941. – 17,40 часова.
Бр. 562 од 29.8. Н а ј х и т н и ј е!
Пошто се све јасније показивало да овдашње немачке војне и полицијске снаге и поред најјачег ангажовања и незнатног губитка, нису довољне за уништење нарастајућег комунистичког покрета, а, са друге стране, одбијено је тражено појачање, то се морао учинити покушај да сами Срби униште комунистички покрет и да се тиме спречи уједињење комунистичког и националног елемента – чему се тежи. Досадашња комесарска влада, као што је све извесно, није за то више била у стању.
Војноуправни командант се због тога одлучио да за образовање владе задужи популарог ранијег министра рата генерала Милана Недића који је познат као непријатељ комунизма. При том му је оставио слободне руке у избору својих сарадника и учинио га лично одговорним за то да у кратком року разбије устанички покрет у земљи. Данас је Недић поднео листу својих сарадника. Према њој, Аћимовић задржава министарство унутрашњих послова. Љотићева група је заступљена са три министра. Иначе листа садржи већином безбројне личности, са изузетком министра Поште и саобраћаја, генерала Јосипа Костића, познатог као способног. Мада сва имена не задовољавају, Недићев предлог је прихваћен да би се могло одмах енергично почети са борбом против комунистичког терора. Образовање владе ће бити објављено рано у суботу.
Да би се подигао ауторитет генерала Недића пред његовим министарским колегама и у земљи, он ће носити титулу министра – председника а његови сарадници титулу министра.
Међутим, утврђено је да де факто нови владин гремијум не добија никакве нове стварне надлежности које сада није имала комесарска влада. Осим тога, ново регулисање значи ударац против тобожње владе Симовића у Лондону, којој се извлачи тло испод ногу.
Војноуправни командант није генералу Недићу давао никаква обећања као противкандидату за уништење комунистичког устанка. Само је стављено у изглед повећање жандармерије од 5.000 на 10.000 људи и образовање локалних помоћних борбених јединица. Овим се Недић нада да створи ред, зашто је свакако услов да га следи компактно становништво. Пошто влада у целини није јача од претходне све зависи од тога да ли ће Недић као личност испољити очекивану покретачку снагу. Уколико то пропадне, онда преостаје само да командант без српске помоћи управља земљом и да преузме војничко уништење устанка само немачким трупама.
Препоручујем да се образовање владе у немачкој штампи третира као унутрашња српска ствар и само кратко, при чему би се могло напоменути да се овим српском народу даје још једна могућност да се сопственим снагама ослободи од комунистичког поробљавања земље. Бенцлер“.(Снимак телеграма (писаног на машини) у АVII, Бон-2, с.747/8).
Дакле, војноуправни командант је поставио Недића као осведоченог антикомунисту за председника српске владе да би помогао окупатору да угуши устанак у Србији који су организовали комунисти.
У телеграму упућеном 15.11.1941. Команданту оружаних снага на Југоистоку, опуномоћени командујући генерал у Србији Беме је написао је и ово:
„Армијски генерал Недић, у свом досадашњем руковођењу, што се тиче коректности био је лојалан и својим средствима против устаника, упркос многим тешкоћама, постигао је видне успехе против комуниста. Недић је понављао молбе да се устаничка места бомбардују… (Подвукао приређивач овог текста).
Ја сам дошао до убеђења да је даље вођење послова председника владе од стране армијског генерала Недића било правилно и да по циљу служи немачким интересима…“(Снимак оригинала (писаног на машини) у AVII, НАВ – Т – 501, р4.251. с263 – 7).
Документи непобитно потврђују да је војноуправни командант поставио Недића као осведоченог антикомунисту за председника српске владе да би помогао окупатору да угуши устанак у Србији који су организовали комунисти”.
„Јесте радио с Хитлером, али…“ На овај начин Милана Недића правдају они који за њега траже рехабилитацију пред судом демократске, а не више комунистичке Србије. Можда ни не знају да хоће да рехабилитују човека који између та два система није правио велику разлику и чији је режим на лецима тврдио да је „демократија претходница комунизма“.
Десница у Србији све гласније тврди да је Милан Недић био само „жртва“ несрећних историјских околности, да је био приморан на срадњу с Адолфом Хитлером, у мисији спасавања српског народа. Њега је „задесило“ да предводи режим који је помогао Немцима да убијају и муче Јевреје, Роме, али и нелојалне Србе – комунисте и четнике који су се борили против окупатора. Он је био „принуђен“ да помаже Немцима и на Бањици и да храном снабдева Старо сајмиште. Потом је био „приморан“ да шири антисемитску пропаганду преко свог „Новог времена“, да измишљају јудео-масонске завере и да мање или више допринесе да Немци 1942. Београд прогласе за „јуденфрај“, што је био један од најјезивијих израза у историји човечанства.
Истина је да је Недићева Србија пружила уточиште стотинама хиљада Срба који би највероватније скончали у логорима НДХ. Да ли га то заиста ослобађа терета издаје и колаборације са једним од најчудовишнијих режима у истрорији? Није ли он био Хитлеров сарадник док су Немци убијали у Крагујевцу, и не само у Крагујевцу? Историчари се не слажу око тога да ли је он знао да се спрема стрељање ђака у Шумарицама. Можда и није знао. Но да ли они који верују Недићу на реч да није знао ништа о овом зверству, верују и милионима Немаца који нису хтели да знају ништа о Аушвицу и Дахауу?
Многи за Недића траже неки посебан статус, приписују му племените побуде, кажу да није био „обичан квислинг“. У Норвешкој нико не тражи рехабилитацију за Видкуна Квислинга, чије је име постало синоним за издају. Можда је Недић необичан највише по томе што би могао да постане први рехабилитовани злочинац те врсте у Европи.
Посебно запањује цинизам са којим неки десничари Недића пореде са савременим српским политичарима: све лидере од 2000. оптужују за колаборацију са Западом, као да су данашњи Вашингтон и Брисел настављачи Трећег рајха, а тврде да је Недић деловао из племенитих побуда, док ови бирани на демократским изборима то чине због власти.
Коначно, ако су већ заиста комунисти толико искривили слику о Недићу, па је домаћа јавност тобоже остала ускраћена за истину, тешко да је Титова пропаганда могла да обмане Слободана Јовановића. Један од највећих српских умова и историчара 20. века имао је најмање разлога да верује комунистима, због којих је до смрти остао у Лондону. А његов суд био је јасан – Милан Недић је међу највећим ратним злочинцима“.
”Преко 17 хиљада чланова само у главном граду наше државе ће се – наглашено је у саопштењу – свим расположивим демократским средствима супротставити покушајима којих нигде у свету нема”.
Београдска организација скреће пажњу јавности на срамно мењање имена улица и тргова, школа, ревидирање уџбеника, прекрајање укупне историјске истине и тиме одузимање части коју је достојном борбом и слободарством наша отаџбина извојевала заједно са антихитлеровском коалицијом у сламању фашистичких армада у Другом светском рату.
Низ месних организација СУБНОР-а, заједно са Републичким одбором и Председништвом, већ годинама указују на повампирење идеолошке заслепљености десничарских кругова и ретроградних појединачних и групних жеља да се у Србији поништи славна Народноослободилачка борба и на сцену врате и оправдају силом на срамоту колаборанти које је, после победе у тешком рату, читава поштена планета изопштила означавајући их као непријатеље човечанства и измећаре фашиста освајача.
Како се сада могу, после деценија и настојања да будемо део ЕУ засноване на цивилизацијским тековинама антифашизма, прихватити исфорсирани и неутемељени судски процеси (многи покренути од наследника да би вратили ко зна на који начин стечену имовину) коју часну Србију и током Другог светског рата покушавају да свале у каљугу издајништва.
Слободарски Београд и поносна антифашистичка Србија то неће допустити. Судови јесу независни, али има демократских могућности да се укаже на поступке који нису у општем интересу и темељно угрожавају бољитак коме тежимо и непорецив углед у свету.
REHABILITACIJA KVISLINGA NEDIĆA NEĆE PROĆI!
Preko dve stotine antifašista okupilo se danas da iskaže svoj stav o pokušaju rehabilitacije fašiste i kvislinga, Milana Nedića. NKPJ i SKOJ uzeli su jednu od vodećih uloga u ovom protestu. Današnjim protestom poslali smo jasnu poruku – rehabilitacija izdajnika ne sme i neće proći.
Više od dvesta antifašista okupilo se danas ispred Višeg suda u Beogradu, ulica Timočka 15, kako bi izrazili protest protiv sramnog pokušaja rehabilitacije fašističkog kvislinga Milana Nedića. Učesnici protesta su, mahom, nosili komunistička obeležja. Uzvikivali su parole proput: “Služio je Hitlera, sluga okupatora”, “Hitlera je služio, s ustašama družio”. Oni su pevali partizanske pesme i dostojanstveno i energično poslali svoju poruku.
Sa druge strane, iako propagiranje fašizma nije dozvoljeno zakonom, ipak je danas zakon štitio fašiste. Država, verovatno zabrnita zbog malobrojnosti okupljenih fašista i zabrnuta da se njihov glas neće dovoljno ćuti, dozvolila je ovoj grupici korišćenje megafona. Sa druge strane, pred sam početak protesta policija je legitimisala pripadnike naše partije i našeg omladinskog saveza i strogo zabranila korišćenje megafona, preteći krivičnim prijavama. Noseći zastave Dimitrija Ljotića, zatim “južnjačku zastavu”, simbol rasizma i brojna (zakonom zabranjena) nacistička obeležja. Uzvikivali su sramne parole, za koje bi trebalo odmah da budu osuđeni: “Vidimo se na Banjici, Jajincima”, i slično...
Ističemo da je ovo samo jedna u nizu akcije koje će NKPJ i SKOJ sprovesti u cilju sprečavanja sramne rehabilitacije. Oštro se suprotstavljamo sramnom prekrajanju istorije, stavljanjem četnika, a zatim i fašista na stranu onih koji su zaista branili zemlju od okupatora.
Da podsetimo, razlozi zbog kojih se NKPJ i SKOJ protive rehabilitaciji Milana Nedića su sledeći:
- Milan Nedić je bio izdajnik srpskog naroda i Jugoslavije koji je služio interesima naci-fašističkog okupatora u Drugom svetskom ratu
- Milan Nedić je bio na čelu kvislinške marionetske „vlade“ koja je služila i pomagala okupatorskim trupama
- Milan Nedić je oganizovao kvislinške jedinice koje su se borile protiv oslobodilačkog partizanskog pokreta a finansirale su ih okupacione vlasti
- Milan Nedić je tokom Drugog svetskog rata na prostoru Jugoslavije bio na istoj strani na kojoj su bili i drugi izdajnici jugoslovenskih naroda, belogardejci, ustaše, pro-fašističke milicije izdajnika muslimanskog naroda, zelenaši, balisti, folskdojčeri, VMRO-vci i naravno četnici
- Milan Nedić je organizovao masovna hapšenja Jevreja i Roma koji su ubijani u koncentracionim logorima i drugim mestima
- Milan Nedić je kao simpatizer fašizma donosio antisemitske i antiromske i druge rasističke zakone i propise
- Milan Nedić je organizovao kazamate u kojima su ubijani komunisti, antifašisti i drugi rodoljubi
- Milan Nedić nije spasavao srpski narod, već je naprotiv Srbe predavao fašitičkom okupatoru i direktno je odgovaran za stradanje više desetina hiljada Srba
- Milan Nedić je sramota srpskog naroda i zaslužuje samo prezir i gađenje
Rehabilitacija izdajnika neće proći!
Smrt fašizmu – sloboda narodu!
Sekretarijat NKPJ,
Sekretarijat SKOJ-a,
Beograd,
08.02.2016.
Осуђених на смрт само због тога што не припадају ”аријевском соју” и нису по искривљеном идеолошком укусу твораца тадашњег погромашког поретка и покорних егзекутора.
Ново рочиште у судници на београдском Црвеном крсту окупило је предлагаче рехабилитације Милана Недића, председника владе у поробљеној Србији претходно и генерала краљевске војске, затим више десетина аплаудера таквом чину.
Али и, у исто време, велики број антифашиста, посебно чланова респектабилног СУБНОР-а који су се окупили на позив Градског одбора, да јавно и оштро изразе протест што се још једном у задње време грубо фалсификује историјска истина и, на основу недоказивих накнадно ширених ”сазнања”, осведочени сарадници окупатора желе да силом на срамоту прогласе доброчинитељима и тобожњим спасиоцима поробљеног народа.
Изабраник хитлеровске солдатеске, смештен у фотељу председника наметнуте владе, побегао је главом без обзира са својим газдама пред ослобођење Београда 1944. Дотерао је до Аустрије, одакле су га припадници британске армије, у оквиру антифашистичке коалиције којој су све време Другог светског рата били поуздан ослонац Народноослободилачка војска и партизанске јединице, вратиле победничким властима. У нашем главном граду спремано је суђење за разнолика недела колаборације, а током истражног поступка Недић је извршио самоубиство.
Рочиште одржано овог 8.фебруара забринуло је широку јавност не само Србије што су се у Београду, пред судском зградом, појавили појединци са уздигнутим хитлеровским поздравом, сликама не само Недића него и озлоглашеног челника окупацијске ”зборашке” дружине Љотића, а чуле су се и песме и повици карактеристични за мрачне дане Другог светског рата.
То није и не могу бити ни Београд ни Србија који су дали немерљив допринос сламању фашизма у поробљеној Европи. Слободарски народ ове земље није, без обзира на колаборанте, никад сарађивао са окупаторима и горд је на антифашизaм којим се поноси сав поштен свет. И удружене државе нашег континента којима тежимо и због тога што борбу против фашизма и нацизма прихватају и шире као цивилизацијску тековину.
СУБНОР је баштиник славне традиције и свим демократским средствима ће се, верујући у резум правне државе, одупирати враћању рецидива издаје, прогона, реваншизма, ретроградних идеја за које се веровало да их никад више нико неће ни помињати.
Градска организација Београда ће у том смислу, посебно због локација судова којима су у надлежности ”предмети” накнадне памети извесних политичких групација и појединачних интереса, наставити окупљања и, на захтев многобројног чланства, јавно се супротстављати наметнутим неодрживим покушајима рехабилитације колабораната у Другом светском рату.
Протествоваће и сви којима је Србија на срцу. Извитоперивањем прошлости нема бољитка у будућности.
Желимо да искажемо неслагање и критику због погубног чина, а за који сматрамо да је у служби нацистичке идеологије којом се покушава манипулисати јавност и прекрајање историје. Тиме се урушава темељ антифашизма и антифашистичке борбе како у Зрењанину, Војводини тако и у Србији – каже се у прогласу Антифашистичке акције.
Улога Недића није само у расним депешама, говорима, уредбама за хапшење, одузимању имовине и обезбеђивању логора у тадашњој Србији, као и у Недићевом „доприносу“ холокаусту Јевреја, Рома и масовним затварањима и стрељањима антифашиста/киња.
Милан Недић и његова квислиншка влада пристали су на споразум о четворогодишњој експлоатацији уже Србије бесплатне радне снаге за принудне радове за Трећи рајх и безусловно давање пољопривредних добара и производа. На мети експолатације су посебно били пољопривредни крајеви као што је Зрељанин и Банат, који су били и под индиректном контролом Милана Недића.
Још у јесен 1941. године у Смедеревској Паланци су Милан Недић и његов министар Велибор Јонић формирали Завод за принудно васпитавање омладине, концентрациони логор јединствен у овом делу Балкана јер је у њему српска младост психичким и физичким методама приморавана да се одрекне антифашизма и НОП и прихвати Недићев програм стварања „Велике Србије“ у оквиру Хитлерове такозване нове Европе. Из тог логора је на Јајинце, Бањицу, на стрелиште, послато 318 лица уз благослов Недића и његових помагача злочинаца Бошка Бећаревића и Драгог Јовановића.
У центру Шумадије, у Крагујевцу, на Метином брду, по налогу Недића и осведоченог крвника са шумаричког стратишта Марисава Петровића формиран је конценрациони логор где су из Шумадије (Тополе, Раче, Аранђеловца, Свилајнца и Крагујевца) затворени припадници НОП и недићевци стрељали њих 69 а у логоре на Бањицу и у Немачку интернирали 267 родољуба.
Баш због тога и таквих „заслуга“ квислинг Милан Недић био је гост Адолфа Хитлера и његовог министра Рибентропа.
Крагујевачке Шумарице памте по злу Недићеве припаднике „српске државне страже“ који су се утркивали ко ће пред немачке митраљезе извести више грађана Крагујевца. То се не може и никад неће заборавити. Зар и то, а није на жaлост све, опомена да се не сме ћутати?
Патриоте, антифашисти, борци НОР-а, њихови потомци и симпатизери, резервне војне старешине и сви којима на срцу и души лежи љубав према слободи и Србији оштро дижу глас против покушаја срамне рехабилитације.
И сложно поручују да неће дозволити прекрајање историје и величање оних које су Србија и њен народ упамтили по злу.
Срби, Јевреји, Роми и сви други којима је нанео зло Милан Недић, један од водећих квислинга Србије, поново су у истом строју који одлучно каже НЕ повампирењу фашизма – стоји у саопштењу СУБНОР-а Шумадије и Крагујевца.