Informazione


"AMBASCIATA VERDE"


Risanamento dei suoli: necessità ambientale e fattore per attrarre nuovi investimenti in Serbia

(26/02/2016) ... Il Ministero italiano dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, e il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), presso l’Ambasciata d’Italia hanno presentato ieri il primo sistema nazionale di mappatura e monitoraggio dell’inquinamento del suolo in Serbia, in conformità con gli standard internazionali...
... L’evento di oggi è parte della celebrazione del 90° anniversario giubileo della costruzione del palazzo dell’Ambasciata Italiana a Belgrado, che è un simbolo di una lunga e ricca tradizione di rapporti tra Roma e Belgrado. Il programma delle celebrazioni e delle attività (visibile su www.ambbelgrado.esteri.it) tra le altre cose si concentra sulle questioni ambientali: il progetto “Ambasciata Verde” prevede misure volte a ridurre il consumo energetico e l’impatto dell’Ambasciata sull’ambiente, con il supporto delle aziende italiane in Serbia. “Vogliamo collegare ultimi 90 anni con il futuro del palazzo”, viene detto dal’ Ambasciatore Manzo...


Nessuna menzione dell'inquinamento dovuto ai bombardamenti, direttamente (per DU e metalli pesanti) o in conseguenza degli sversamenti di sostanze altamente tossiche (es. cloruro di vinile monomero a Pančevo – https://www.cnj.it/24MARZO99/criminale.htm#choss ).




Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS cura da anni una trasmissione periodica dai microfoni di Radio Città Aperta (RCA), dedicata alle questioni "dal monte Triglav al fiume Vardar" e perciò intitolata JUGOSLAVENSKI GLAS – VOCE JUGOSLAVAhttps://www.cnj.it/informazione.htm#jugoglas
La trasmissione fu avviata nel 1993 (!), quando la cappa di propaganda antijugoslava e antiserba, particolarmente pesante nei momenti tragici della guerra fratricida e imperialista in Bosnia-Erzegovina, indusse i coraggiosi e coerenti amministratori di RCA a concedere uno spazio autogestito a Ivan Pavičevac (attualmente nostro presidente) e Milena Čubraković (grande artista, compianta amica e compagna di lotte). Da allora la trasmissione è stata mantenuta, pur con alcune variazioni di orario e veste redazionale, al fianco delle tante altre iniziative preziose, di taglio internazionalista, antimilitarista e contro-informativo, promosse da RCA. 
Anche, ma non solo, per questa nostra frequentazione di lunga data, ci teniamo a ribadire in questo difficile momento di transizione il nostro appoggio alla Radio e la nostra gratitudine a chi ci lavora per la dedizione instancabile e l'impegno sociale e politico continuamente profusi, per una informazione libera, per una società diversa, per un mondo migliore. 
(a cura della segreteria di CNJ ONLUS)


Radio Città Aperta diventa una radio on line

1) Radio Città Aperta cambia per non cambiare (23.2.2016)
2) Radio Proletaria-Radio Città Aperta chiude ma non si arrende (Rete dei Comunisti, 24.2.2016)


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Radio Città Aperta cambia per non cambiare

23 Febbraio 2016

Dal primo marzo Radio Città Aperta non trasmetterà più sugli 88.9 FM, ma diventerà una radio on line: radiocittaperta.it

Dal 1978 ad oggi sono cambiate molte cose: la società, la comunicazione, le tecnologie, il rapporto tra politica e potere. Radio Città Aperta ha resistito a momenti di crisi e ad attacchi di ogni tipo; oggi è in atto un pesante processo di normalizzazione di tutte le realtà sociali, politiche ed informative che si pongono fuori dalle dinamiche e dai percorsi utili all'attuale assetto politico ed economico.

Siamo stati per tanti anni uno strumento di informazione, di divulgazione culturale, di aggregazione sociale e politica, dando voce a categorie sociali considerate “mediaticamente” poco rilevanti dal potere e dal mainstream: una radio sempre indipendente dal potere e libera da qualsiasi condizionamento.

Abbiamo, per primi, fatto uscire dalle aule elettive fino ad allora “chiuse” di Comune e Regione quanto veniva approvato o respinto, permettendo così di avere un quadro esatto e non mediato dell'attività istituzionale dei rappresentanti dei cittadini. Un servizio democratico e trasparente che negli anni è diventato anche strumento di autofinanziamento, con l'aggiudicazione di bandi pubblici. Il “processo di normalizzazione” è anche questo: il taglio di servizi non compatibili con le attuali esigenze del potere politico, in questo caso locale, ed il conseguente taglio di fondi destinati a coprirne i costi. Nello specifico, per la radio tutto ciò ha rappresentato un progressivo strangolamento economico che ci impedisce di fatto di continuare a trasmettere in FM oltre che di gestire qualsiasi forma di progettualità e prospettiva.

Dopo quasi quarant'anni, è necessario mettere in campo una scelta coraggiosa, un rinnovamento di forma per rendere ancora più ambizioso il nostro progetto editoriale.

Continueremo a raccontare ai nostri ascoltatori quanto avviene non solo a Roma ma in Italia e nel mondo con informazione, approfondimenti ed inchieste. Continueremo ad essere un punto di riferimento con la nostra programmazione musicale, con la qualità dell'offerta culturale e l'assoluta indipendenza artistica.

Come nel 1978 fu fatta una scommessa su una tecnologia allora libera e da scoprire, l'FM, così oggi noi puntiamo sulla rete, consapevoli delle difficoltà ma anche delle opportunità che ci aspettano.

Noi non molliamo: cambiamo forma per non cambiare la sostanza, e per rilanciare ancora più forte.

radiocittaperta.it vi aspetta dal primo marzo.


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24/02/2016

Radio Proletaria-Radio Città Aperta chiude ma non si arrende

Era la fine del 1977 quando i compagni di quella che si chiamava Organizzazione Proletaria Romana - nata dalla crisi dei gruppi extraparlamentari della sinistra e dai comitati operai e di lotta nei quartieri romani - cominciarono a fare i primi esperimenti per aprire a Roma una radio che fosse cosa diversa dal movimentismo e mettesse al centro dei propri contenuti le condizioni e l’organizzazione di classe. 
Non bastavano più i volantini o i fogli di lotta, c’era bisogno di un proprio strumento di comunicazione e le tecnologie e le normative disponibili offrivano questa possibilità.
A febbraio del 1978 inizierà le trasmissioni una radio che non poteva che chiamarsi “Radio Proletaria”, la frequenza saranno gli 88,9 mhz.  Radio Proletaria ha i suoi studi nelle soffitte di un palazzo ottenuto con l’occupazione delle case del 1974 nel quartiere di Casalbruciato. “Radio Proletaria. Un contributo alla costruzione del movimento di classe” recita il primo manifesto stampato dalla radio.
Radio Proletaria, parla delle lotte sociali e operaie in corso, commenta -  interpretandoli - i fatti politici e dedica molta attenzione all’internazionalismo. I toni sono duri  e il dibattito con gli ascoltatori che chiamano in diretta è spesso asprissimo.  Radio Proletaria nasce anche in rapporto con molti giovani proletari della Tiburtina , spesso con spiccata sensibilità alla buona musica piuttosto che alle lotte. Questo connubio tra il migliore rock e le lotte sociali,  ha raggiunto in molti casi livelli di qualità indiscutibili e decisamente fuori dal comune, una qualità continuata, confermata e cresciuta negli anni dai livelli raggiunti poi da Radio Città Aperta.
Alla fine degli anni ’70, quando si delinea una violentissima controffensiva padronale e restauratrice si pone dunque il problema di come rispondere ad una sfida politica a tutto campo. “Una prima risposta l'abbiamo data con la costruzione di Radio Proletaria... come strumento di orientamento politico in una situazione in sviluppo, di aggregazione di forze, di introduzione di tematiche di classe”  era scritto in un documento dell’epoca. Da un primo bilancio viene riaffermata “una prospettiva di intervento politico che ha nella radio un suo cardine essenziale”.
L’azione repressiva nel primo anno di attività di Radio Proletaria in quegli anni sarà durissima. Inizia ad agire il “Partito della Fermezza” sperimentato nel ’77 e rafforzatosi nelle settimane del sequestro Moro, una sorta di patto tra DC, PCI e apparati dello Stato che per almeno cinque anni sottoporrà il paese alle leggi di emergenza e rovescerà contro la sinistra rivoluzionaria la guerra di bassa intensità avviata negli anni ’60 contro il Pci dagli Usa, dalla DC, dagli apparati dello Stato e dai fascisti.”.
A metà del 1978 Radio Proletaria aveva cominciato una attività di denuncia della situazione nelle carceri speciali dove erano  stati rinchiusi i prigionieri politici (gran parte dei quali militanti dei gruppi armati). Molte di queste carceri sono su isole che diventeranno tristemente famose come l’Asinara, Favignana, Pianosa.  Radio Proletaria, sostiene le manifestazioni dei familiari dei prigionieri, partecipa  e organizza  assemblee e riunioni anche a livello nazionale per organizzare in modo stabile questa attività per la chiusura delle carceri speciali e l’introduzione dei colloqui con i vetri divisori.
A febbraio del 1979 una vasta operazione di polizia, con il quartiere di Casalbruciato circondato da decine di agenti, porterà alla chiusura di Radio Proletaria e all’arresto di 23 compagni con accuse pesantissime. La Radio ospitava una riunione nazionale sulle carceri alla quale partecipavano avvocati, familiari dei prigionieri e attivisti di riviste e collettivi impegnati nella lotta contro la repressione”.  L’immediata mobilitazione dei compagni smonta l’operazione della Digos e della magistratura  pezzo su pezzo.  Dopo due mesi i compagni arrestati verranno tutti scarcerati e al processo, alcuni anni dopo, verranno assolti con formula piena.
 Dopo tre mesi di chiusura, Radio Proletaria- ospitata in quei mesi da Radio Onda Rossa - riapre e riprende le trasmissioni. Un manifesto della radio che verrà affisso sui muri di Roma scrive: “La radio riaperta, i compagni scarcerati. Una brillante operazione della Digos andata a male”. Dal 1978 Radio Proletaria diventa in qualche modo l’espressione politica di un progetto di cui i comitati popolari sulla casa o dei quartieri, il comitato disoccupati organizzati e i comitati operai di fabbrica, ne sono l’articolazione sociale e di classe. La radio prende iniziative sul terreno della lotta contro la repressione, sull’internazionalismo e sull’agenda politica. Su questi  temi verrà sviluppata una azione politica non più solo a Roma ma verranno sviluppati contatti anche in altre città. Nel 1980 sarà per giorni ai cancelli della Fiat Mirafiori occupata dagli operai, diffondendo corrispondenze in diretta su quanto accadeva a Torino, corrispondenze che sono storia del patrimonio comunicativo del movimento operaio nel nostro paese.
Nonostante un clima sempre più pesante sul piano dell’agibilità politica, Radio Proletaria, non rinuncia alla sua attività contro la repressione. Nel 1982, quando vennero denunciati numerosi episodi di tortura contro gli arrestati Radio Proletaria, insieme ad altre realtà diede vita al Comitato contro l’uso della tortura (che pubblicò un libro bianco di denuncia) affrontando apertamente sia  le reazioni degli apparati repressivi che della “politica”, la quale negava spudoratamente l’uso della tortura.  Nei primi anni Ottanta sostenne con una  campagna gli scioperi della fame dei  prigionieri politici nelle carceri contro l’art.90 (una restrizione odiosa nella detenzione), anche  affrontando un duro scontro con coloro che erano contrari a quella forma di lotta. Nel 1984 riuscì a portare la questione dell’art.90 e dello sciopero della fame dei detenuti al parlamento europeo e alla commissione diritti umani di Strasburgo insieme ad alcuni familiari di prigionieri politici, rompendo finalmente il muro di silenzio sulla vicenda.
Ma i microfoni e le trasmissioni di Radio Proletaria sono stati decisivi per far conoscere e amplificare le prime esperienze del sindacalismo di base nel nostro paese. Dalle prime RdB (diventate poi Cub e Usb), al Comu dei ferrovieri, al Comitato di Lotta dell’Atac, ai primi Cobas della scuola. In alcuni ospedali romani le RdB nasceranno perché alcuni lavoratori e delegati ne verranno a conoscenza e le realizzeranno attraverso le trasmissioni della radio.
L’altro fronte che ha visto Radio Proletaria impegnata e attiva per anni, è stato l’internazionalismo e la lotta contro la guerra. Quando l’amministrazione Usa  a fine 1979 vara la direttiva nr.39 che prevede l’installazione dei missili nucleari Cruise e Pershing in Europa (Italia, Germania, Belgio etc.), nelle trasmissioni della radio già si intuisce che ci si avvia ad uno scontro globale con l’Urss, con quella che sarà la Seconda Guerra fredda sul piano politico/militare e con  l’offensiva liberista sul piano economico. Il pericolo principale per la pace viene dalla Nato e dalla politica guerrafondaia degli Stati Uniti, dunque nessuna equidistanza  Le trasmissioni di Radio Proletaria, seguono le vicende della corsa al riarmo nucleare, ma cominciano a seguire con maggiore attenzione anche lo sviluppo dei movimenti rivoluzionari in Centro America e in America Latina dopo la vittoria del Nicaragua, in particolare nel Salvador. La lotta nel cortile di casa dell’imperialismo Usa ha indubbiamente un carattere di grande interesse, anche alla luce dell’esperienza rivoluzionaria di Cuba.  Nel 1981 Radio Proletaria organizza la prima manifestazione di solidarietà con la lotta del Salvador alla quale partecipano migliaia di persone.
Radio Proletaria partecipa attivamente ai blocchi e al campeggio contro la base militare di Comiso dove verranno installati i missili Usa e avvia su questo un progetto nazionale che porterà alla costituzione della rete “Imac ‘83” (che prende il nome dall’International  Meeting  Against  Cruise che era il campeggio di Comiso). 
In quegli anni lo scontro politico dentro il movimento per la pace si dà quindi sulla Nato e contro l’equidistanza tra Usa e Urss, una posizione che il Movimento per la Pace ed il Socialismo, evoluzione negli anni ’80 dell’OPR, ritiene profondamente sbagliata ed orienta la radio anche in funzione di questa battaglia politica (e alla luce della storia aveva ottime ragioni per ritenerla tale), essendo gli Usa quelli che hanno tutto l’interesse a promuovere l’economia di guerra e l’escalation bellica. Sono questi quindi i motivi per cui Radio Proletaria viene indicata arbitrariamente come i “filosovietica”, una etichetta strumentale e decisamente sballata, anche perché non vi era alcun rapporto con l’Unione Sovietica. “L’oro di Mosca” dalle parti della radio (purtroppo, potremmo dire,  perché sarebbe stato molto utile come abbiamo scritto in un manifesto dieci dopo) non è mai arrivato. E su questo va scritta ormai una verità definitiva che taglia la lingua a tutti i detrattori.
Nel 1990 viene presa la decisione di cambiare nome alla radio ma di salvaguardarne la natura e i contenuti. Il nome deciso è quello di Radio Città Aperta, un omaggio ad un film che celebra la Resistenza antifascista a Roma e che indica già la necessità di affrontare i flussi migratori che proprio in quegli anni cominciano a investire l’Italia.  Radio Città Aperta sarà la radio in cui le comunità immigrati per anni potranno trasmettere nella loro lingua.
La scelta di Radio Città Aperta sarà quella di consolidare il carattere popolare e di massa della radio, collegandosi strettamente ai territori, alle lotte sociali, a tutti coloro che si mettono di traverso rispetto al dominio dei poteri forti sulla città di Roma. Le dirette dei consigli comunali e regionali verranno strappate alle varie amministrazioni che per tutta una fase erano atterrite dall’idea che quello che veniva discusso nelle aule istituzionali fosse accessibile da tutti attraverso la radio. La scelta non è semplice: si tratta di rinunciare a ore di trasmissioni per dare spazio a dirette dei lavori istituzionali raramente entusiasmanti. Ma questo è anche quello che consentirà alla radio un autofinanziamento utile per sviluppare l’iniziativa politica e informativa a tutto campo. La Radio animerà il Forum per il Diritto a Comunicare insieme ad altri giornalisti indipendenti, darà spinta e impulso alla stessa Federazione Nazionale della Stampa a difesa della libertà di informazione ma anche delle crescenti figure precarie nel mondo della comunicazione. La radio sarà uno strumento attivissimo nelle mobilitazioni contro la guerra dei trent’anni avviata nel 1991 in Iraq e tuttora in corso, nella solidarietà con il popolo palestinese e con l’ondata progressista in America Latina.
Nel 1993 nasce il mensile cartaceo Contropiano, giornale per l’iniziativa di classe. Il dibattito e le proposte che si esprimono attraverso il giornale daranno vita prima al Forum dei Comunisti e poi alla Rete dei Comunisti. Dal 2011 si realizza invece il progetto del quotidiano comunista online Contropiano, un giornale che in un solo anno e mezzo vedrà crescere a migliaia i suoi lettori permettendo una comunicazione a livello nazionale. Contropiano era un periodico cartaceo che distribuiva alcune centinaia di copie in tutto paese. Come giornale online, nel 2015 ha avuto più di due milioni di lettori.
Nelle trasmissioni della radio e nelle pagine del giornale prende corpo quella profonda divaricazione critica e teorica tra l’ipotesi della Rete dei Comunisti contro la degenerazione bertinottiana nel Prc e nella sinistra sfociata nella sua crisi di questi anni.
Radio Proletaria e poi Radio Città Aperta non sono mai state solo una radio, sono state parte di un progetto complessivo sul piano della comunicazione antagonista e della lotta per il cambiamento sociale del nostro paese. Il nemico ha cercato più volte di tacitarla, qualche volta con la galera e le denunce, adesso con lo strangolamento economico voluto e imposto.
La scelta di rinunciare alle trasmissioni in modulazione di frequenza e di passare alla comunicazione online tramite la rete diventa ancora una volta una nuova sfida anticipatrice che i compagni che hanno aperto, costruito e adesso gestiscono la radio intendono prendere di petto. Le nuove tecnologie consentono costi più bassi delle vecchie, offrono immense possibilità ma impongono un cambiamento di abitudini. Così è stato ad esempio per il giornale Contropiano passato con successo dal cartaceo all’online, sullo stesso obiettivo si lavorerà per la nuova primavera di Radio Città Aperta. Non è affatto una chiusura, è un cambio di passo. La determinazione, in 38 anni, non ci ha mai fatto difetto.

Rete dei Comunisti - Roma



(srpskohrvatski / italiano)

Pro- e anti-NATO in Serbia

1) SKOJ/NKPJ: Yankee go home! (11.2.2016.)
Anti-NATO akcija u Beogradu / Azione dimostrativa a una conferenza di ambienti NATO a Belgrado
2) Governo serbo ratifica accordo con la NATO / Šta je dobio NATO (19-20.2.2016.)
3) Due cittadini serbi rapiti in novembre in Libia sono stati uccisi nei bombardamenti statunitensi


Si vedano anche:

Писмо Беофорума Председнику Томиславу Николићу / La lettera del Forum di Belgrado sulla ratifica dell'accordo con la NATO

Manif. lo scorso 22/2 a Belgrado in solidarietà con il Donbass e l'Ucraina antifascista
Beograd, 22 feb: Protest protiv održavanja konferencije "Srbija i Rusija - ruski uticaj na stabilizaciju, demokratizaciju i evropske integracije Srbije"
NKPJ I SKOJ ORGANIZOVALI ANTI-NATO I ANTIFAŠISTIČKI PROTEST 
Protiv održavanja konferencije „Srbija i Rusija – ruski uticaj na stabilizaciju, demokratizaciju i evropske integracije Srbije”. Protest je održan 22. 02. 2016. godine ispred hotela „Metropol“ u Beogradu...


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Anti-NATO akcija SKOJ-evaca u Beogradu / Azione dimostrativa dei ragazzi dello SKOJ, 11.2.2016.

A una conferenza internazionale che vedeva la partecipazione di numerosi boss legati all'Alleanza Atlantica, incluso il nuovo ambasciatore USA in Serbia, Kyle R. Scott... 

Izvor SKOJ-a: VRUĆA „DOBRODOŠLICA“ ZA NOVOG AMERIČKOG AMBASADORA
Grupa omladinskih aktivista iz redova naše Partije i naše omladinske organizacije SKOJ, prisustvovala je debati o američkoj spoljnoj politici i ulozi SAD u savremenim međunarodnim odnosima, koja se održala u Beogradu, u hotelu Metropol, 11. februara...
VIDEO: 
http://www.tanjug.rs/multimedia.aspx?izb=v&GalID=203141&vs=0&page=0
http://www.b92.net/video/vesti.php?yyyy=2016&mm=02&dd=11&nav_id=1095876

JOŠ TEKSTOVA:
http://www.tanjug.rs/full-view.aspx?izb=228637
http://www.blic.rs/vesti/svet/incident-na-debati-vuka-jeremica-napolje-fasisti-iz-nato/m0j9bnh
http://www.blic.rs/vesti/politika/debata-cirsd-a-svet-se-ne-nalazi-u-novom-hladnom-ratu/snhzfq3
http://www.nspm.rs/hronika/incident-u-hotelu-metropol-grupa-mladica-prekinula-tribinu-cirsd-o-americkoj-spoljnoj-politici.html

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http://www.resistenze.org/sito/te/po/se/posegb15-017516.htm
www.resistenze.org - popoli resistenti - serbia - 15-02-16 - n. 576

NCP di Jugoslavia: Yankee go home!

Nuovo Partito Comunista di Jugoslavia (NKPJ) | solidnet.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

15/02/2016

I membri del Nuovo Partito Comunista di Jugoslavia (NKPJ) e della sua organizzazione giovanile, la Lega della gioventù comunista (SKOJ), hanno dimostrano chiaramente che cosa pensano della politica estera degli Stati Uniti e del ruolo della Nato durante il dibattito pubblico sulla politica estera americana e il ruolo degli USA nelle attuali relazioni internazionali che ha avuto luogo a Belgrado l'11 febbraio.

I membri del NKPJ - SKOJ si sono presentati davanti una platea di 1.200 persone all'inizio della conferenza, indossando una t-shirt con la scritta "USA OUT" e "NKPJ-SKOJ", così dichiarando inequivocabilmente che noi in Serbia non guardiamo di buon occhio gli obiettivi della politica estera degli Stati Uniti e che i fascisti della Nato non sono i benvenuti. Il sistema di sicurezza operativo durante il dibattito, ha reagito rapidamente e in modo repressivo: i membri del NKPJ e del SKOJ sono stati minacciati di percosse dai servizi, che hanno utilizzato anche la ruvida forza fisica, e poi sono stati consegnati alla polizia per essere interrogati.

Il dibattito pubblico è stato aperto dall'ex ministro degli esteri della Serbia, Vuk Jeremic, che accanto al nuovo ambasciatore statunitense in Serbia ha ospitato anche un politologo americano, Joseph Nye, un decano della "Fletcher", scuola d'élite americana, James Stavridis, il presidente della Washington Center for New American Studies, Richard Fontaine e l'ex ministro degli esteri polacco Radoslaw Sikorski. Tutti questi sono feroci sostenitori dell'aggressiva politica imperialista occidentale, in primo luogo di quella statunitense. Inoltre, bisogna ricordare che gli Stati Uniti e la Nato nel 1999 hanno commesso crimini di guerra orribili contro il nostro paese e il nostro popolo che hanno causato danni materiali per 100 miliardi di dollari, usando armi proibite dalla Convenzione di Ginevra, come le bombe all'uranio impoverito e le bombe a grappolo.

Anche loro sono responsabili dell'occupazione politica ed economica e per l'alienazione del Kosovo e di Metohjna, la provincia meridionale serba, dalla Serbia, così come della frammentazione della nostra Patria, la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, e per l'avvio delle guerre fratricide sul nostro suolo.

La stampa scandalistica e i media di regime hanno stigmatizzato l'incursione dei membri di NKPJ e SKOJ come una "operazione estremista". Ma l'unica cosa estrema oggi è la situazione in cui versano i cittadini della Serbia: estreme differenze sociali, con lo Stato spinto a unirsi alle strutture della Nato e dell'Ue, soppressione delle libertà di espressione e negazione dei diritti umani fondamentali, genuina guerra ideologica di classe che mira non solo a demonizzare il passato socialista ma a mostrare con la forza bruta che non c'è altra via se non la barbarie e lo sfruttamento capitalista.

La lotta continua! Siamo sicuri che in futuro saremo più organizzati e militanti e porremo fine allo sfruttamento e alla barbarie capitalista.

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Izvor SRP-a (Hrvatska): AKCIJA SKOJ-evaca U BEOGRADU

U četvrtak, 11. februara, je, kako prenosi Tanjug, u Beogradu održana međunarodna konferencija u organizaciji Centra za međunarodne odnose i održiv razvoj (CIRSD). Na skupu je prisustvovalo više stotina ljudi i 20-ak ambasadora, a govorilo se o američkoj vanjskoj politici, odnosima između SAD-a i EU, odnosima u EU, izbjegličkoj krizi i njenom utjecaju na zemlje EU.
Ono po čemu će događaj ostati upamćen je uspiješna organizirana i zapažena akcija intervencije koju je izvela grupa članova SKOJ-a, podmlatka Nove komunističke partije Jugoslavije, koji su ušli na skup u hotelu Metropol obučeni u partijske majice i prekinuli debatu uzvikujući parole: “Van NATO fašisti”, “NATO ubojice, marš iz Srbije”. Nakon što ih je osiguranje izvelo iz sale, odvedeni su na informativni razgovor.
Vijest je dobro primljena među elektronskim i pisanim sredstvima informiranja i prenio ju je neutvrđan broj medija iz Srbije i ostalih dijelova nekadašnje Jugoslavije.

Vladimir Kapuralin, predsjednik SRP-a


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NATO oslobođen poreza u Srbiji

Blic, 20.2.2016.

Šta sve piše u zakonu koji je Nikolić potpisao

Borba protiv terorizma, rešavanje problema izbeglica i brza reakcija u kriznim situacijama tri su osnovne stvari od kojih će Srbija imati koristi posle usvajanja zakona o saradnji sa NATO.

Ovaj zakon, o kojem se danima govorilo i koji je čekao konačan sud predsednika Srbije Tomislava Nikolića, potpisan je juče. To u praksi znači da bi njegova primena mogla da počne već od 1. marta.
- Cela priča o tom zakonu je bila predimenzionirana, a on u suštini ništa novo ne donosi. Suština je pružanje logističkih i tehničkih servisa i operativno-tehnička podrška. Ovo je samo korak ka uspostavljanju regionalnog sistema u kojem Srbija priskače u pomoć i dobija pomoć u trenutno tri najvažnije stvari: borbi protiv terorizma, situaciji sa izbeglicama i u kriznim situacijama - objašnjava za „Blic“ Jelena Milić, direktorka Centra za evroatlantske studije.
Kako kaže, usvajanje ovog zakona ne znači da će po Srbiji svako vršljati kako mu se hoće i da se zna ko, kada, kako i zašto dolazi, postoje procedure, protokoli, pravila...
Na potpis predsednika Nikolića na ovaj zakon danima se čekalo. Međutim, bez obzira na to, ni juče, kao ni prethodnih dana, nije bilo moguće čuti šta šef države misli o njemu.
S druge strane, premijer Aleksandar Vučić smatra da je Srbiji potrebna saradnja s NATO.
- Naša politika je jasna, a to je da hoćemo da budemo nezavisna suverena zemlja koja hoće da sarađuje i s NATO i s Ruskom Federacijom. Ovaj sporazum se ne primenjuje automatski, ne omogućava nekontrolisani prolazak i boravak, nego važi za konkretan događaj. On se primenjuje na pripadnike stranih oružanih snaga. Prvi put Srbija obezbeđuje sebi prava koja je pre mnogo godina Alijansa dala svojim članicama, da kad ide preko teritorije neke zemlje, u Liban ili gde već, ne plaća dažbine, već prolazi isto kao drugi kod nas - objasnio je Vučić.

Šta je dobio NATO

Sloboda kretanja i diplomatski imunitet svim pripadnicima NATO u Srbiji po Bečkoj konvenciji
Razmena poverljivih informacija i opreme sa srpskom vojskom
Čvršća saradnja Srbije i NATO, odnosno njenih organizacija NSPO i NSPA
Pripadnici NATO i njihova vozila imaće slobodan prolaz kroz Srbiju, a ulazak u bezbednosne zone usaglašavaće se sa srpskim nadležnim organima
Osoblju NATO se na njihov zahtev odobrava pristup državnim i privatnim objektima u kojima se radi, uključujući i one u kojima se obavljaju probe i ispitivanja
Imovina NATO i njegovog osoblja biće oslobođena poreza i carina


--- ITALIANO:

Fonte: CEAS - Centar za evroatlantske studije / Centro per gli studi euroatlantici

NATO esonerata dalle tasse in Serbia

Blic, 20.2.2016.

Cosa c'è nella legge firmata da Nikolić

Lotta contro il terrorismo, risoluzione del problema dei migranti e risposta rapida nelle situazioni di crisi sono tre aspetti di cui beneficierà la Serbia a seguito dell'adozione della legge sulla cooperazione con la NATO

Questa legge, di cui si parla da giorni e che aspettava il giudizio finale del presidente serbo Tomislav Nikolić, è stata firmata ieri. L'applicazione potrebbe iniziare già dal primo marzo.
“Tutto il trambusto attorno a questa legge è stato esagerato, mentre la legge stessa non comporta nulla di nuovo. Si tratta della fornitura di servizi logistici e tecnici e supporto tecnico-operativo. Questo è solo un passo nella costituzione di un sistema regionale nel quale la Serbia accorre in soccorso e riceve aiuto in tre aree attuali: la lotta contro il terrorismo, il problema dei migranti, e le situazioni di crisi”, spiega al “Blic” la direttrice del Centro per gli studi euroatlantici, Jelena Milić.
La stessa afferma che l'adozione di questa legge non significa che chiunque potrà frugare per la Serbia a proprio piacimento, e che sarà noto chi, quando, come e perché del suo arrivo. Esistono procedure, protocolli, regolamenti...
La firma del presidente Nikolić è stata attesa da giorni. Tuttavia né ieri né nei giorni precedenti era possibile sentire che cosa pensi il capo dello stato di questa legge.
Dall'altro lato, il primo ministro Aleksandar Vučić sostiene che alla Serbia è necessario cooperare con la NATO.
“La nostra politica è chiara, vogliamo essere un paese indipendente e sovrano che vuole cooperare sia con la NATO che con la Federazione Russa. Questo accordo non verrà applicato automaticamente, non consente il passaggio e permanenza incontrollati, ma vale per eventi particolari. Verrà applicato ai membri di forze armate estere. Per la prima volta la Serbia si fornisce dei diritti che molti anni fa l'Alleanza aveva dato ai suoi membri, che quando passa per il territorio di un paese, in Libano o altrove, non paga alcuna imposta, ma passa allo stesso modo come altri passano da noi”, ha spiegato Vučić.

Che cosa ha ricevuto la NATO

• Libertà di movimento e immunità diplomatica a tutti i membri della NATO in Serbia secondo la convenzione di Vienna
• Scambio di informazioni confidenziali ed equipaggiamento con le forze armate serbe
• Cooperazione più solida tra la Serbia e la NATO, ovvero le sue organizzazioni NSPO e NSPA
• I membri della NATO e i loro veicoli avranno libero transito attraverso la Serbia, e l'entrata nelle zone militari verrà disposta con gli organi competenti serbi
• Al personale NATO, se ne farà domanda, verrà consentito l'accesso a edifici pubblici e privati, incluso in quelli nei quali si svolgono indagini e interrogatori
• La proprietà della NATO e del suo personale verrà esentata da tasse e dogane

(trad. A.D.)


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I DUE CITTADINI SERBI RAPITI SONO STATI UCCISI IN LIBIA NEI BOMBARDAMENTI STATUNITENSI

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(ANSA) - BELGRADO, 20 FEB - La Serbia intende chiedere spiegazioni agli Usa e alla Libia sull'operazione militare in Libia nella quale sono rimasti uccisi due cittadini serbi rapiti lo scorso novembre. Lo ha detto il ministro degli esteri Ivica Dacic. "Cercheremo di ottenere informazioni precise e spiegazioni sia dagli Usa che dalla Libia su quali fossero le loro conoscenze e sulla scelta di luoghi e obiettivi" da bombardare, ha detto Dacic aggiungendo che nessuno da Washington ha informato le autorità di Belgrado sul piano di attacco aereo. I due serbi, Jovica Stepic e Sladjana Stankovic - autista e responsabile comunicazioni dell'ambasciata di Serbia in Libia - erano stati rapiti l'8 novembre scorso in una imboscata da parte di uomini armati contro un convoglio diplomatico presso la cittadina costiera di Sabratha. L'ambasciatore americano a Belgrado Kyle Scott ha espresso profondo cordoglio e grande rammarico.

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Serbia, rimpatriate salme dei cittadini uccisi in Libia dai raid Usa

24/02 – Sono arrivate a Belgrado le salme dei due cittadini serbi che erano stati rapiti in Libia e sono rimasti uccisi nei raid americani contro postazioni del gruppo Stato Islamico. I due, un uomo e una donna che lavoravano per l’ambasciata serba in Libia, erano stati rapiti lo scorso 8 novembre a Sabratha, a Ovest di Tripoli.

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Ivica Dacic: “Tadic è il Presidente che ha perso tutto”

Posted on 24/02/2016 by Iva Nikolic in Politica 

Il partito socialista serbo (SPS) ha comunicato che Boris Tadic sarà ricordato come il presidente cha ha perso tutti i collaboratori, i partner politici, gli amici e la dignità personale, solo perchè “ha dimenticato tutto ed ha provato a costrigere gli altri di dimenticare tutto”.
“Alcune persone non sanno quando è arrivato il tempo di ritirarsi. Alcune persone non sanno accettare la responsabilità per i propri sbagli e riconoscere la propria colpa. Alcuni percepiscono il momento per un ritiro dignitoso. Alcuni capiscono che sono diventati ex e lasciano altri a lavorare. Tutto questo non lo sa Boris Tadic”, viene comunicato dal partito socialista. Ieri, nelle comunicazioni al Comitato organizzativo del Partito socialista è stato affermato che loro non si occuperanno più della questione di Tadic.
Precedentemente, Tadic ha detto che il leader dei socialisti, Ivica Dacic dovrebbe dare le dimissioni dall’incarico di ministro degli affari esteri, perchè lo ritiene risponsabile per la morte dei due cittadini serbi in Libia. Alla conferenza stampa, Tadic ha ricordato che il sequestro è successo un mese prima  e che Dacic è responsabile perchè l’indagine non era fatta prima.
“Dobbiamo avere delle risposte alla domanda perchè Dacic ha autorizzato il viaggio che ha avuto come risultato il sequestro”, ha detto Tadic. 
(Mondo 23.02.2016.)





di Davide Conti, su Il Manifesto del 18 febbraio 2016


Stragi nazifasciste e crimini italiani all’estero: un silenzio di 70 anni da cui è nato il «nostro» revisionismo storico.

La declassificazione e la pubblicazione on-line, voluta dalla Camera, di una parte dei documenti della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle «cause dell’occultamento dei fascicoli relativi ai crimini nazifascisti» è senz’altro un fatto significativo per gli studi e per la «lettura pubblica» del nostro passato prossimo. Tuttavia la ricercata catarsi della memoria nazionale, che sottende a queste operazioni, fatica a tradursi in compiuta nemesi storica in un paese come l’Italia.
Per «ritrovare» nella Procura Militare Generale di Roma i 695 fascicoli relativi alle stragi nazifasciste ed ai crimini italiani all’estero si dovette attendere il 1994 allorché la documentazione «dell’armadio della vergogna» (come recitò il titolo dell’inchiesta di Franco Giustolisi) riemerse dalla «archiviazione provvisoria» stabilita il 13 gennaio 1960 dal Procuratore militare Enrico Santacroce, già noto all’epoca per la sentenza di assoluzione emessa il 19 febbraio 1949 in favore di Mario Roatta e altri generali fascisti responsabili con il re della vergognosa fuga da Roma dell’8 settembre 1943.
La Commissione d’inchiesta istituita nel 2003 (dal governo Berlusconi con dirigenti post-fascisti ascesi al rango di ministri della Repubblica) si prefissò lo scopo di ricercare le «cause dell’occultamento dei fascicoli» ma concluse i suoi lavori con due diverse relazioni finali, come quasi sempre accade quando nella camere di compensazione politica si cerca di scrivere la storia «condivisa».
In verità il lavoro d’individuazione delle «cause» era stato già svolto e sintetizzato in modo esplicito e disarmante pochi anni prima da Paolo Emilio Taviani preminente figura della Resistenza cattolica, segretario nazionale della Dc, ministro dell’Interno e della Difesa nonché responsabile politico di primo piano di «Gladio».
Il 20 ottobre 1956 nel suo diario di memorie (pubblicato postumo nel 2000) Taviani sintetizzò in poche righe ciò che le istituzioni ed il paese avrebbero fatto fatica a raccontare per altri quarant’anni: «Gaetano Martino [ministro degli Esteri] mi scrive che non è opportuno chiedere alla Germania l’estradizione di Speidel ritenuto (ma ci sono dubbi) uno dei responsabili della strage di Cefalonia. I russi stanno per invadere l’Ungheria. Il riarmo tedesco è più che mai indispensabile. Moro [ministro della Giustizia] mi aveva detto che la competenza non è sua, ma mia e degli Esteri.
Mi ero imposto per iniziare la pratica dell’estradizione. Ma ora non ci penso neppure ad insistere per questo Speidel. Martino ha ragione».
Gli equilibri della Guerra Fredda, la necessità del riarmo tedesco-occidentale e la «ragion di Stato» divennero la base del paradigma dell’impunità sia per i crimini di guerra compiuti dai nazifascisti in Italia sia per quelli commessi dal regio esercito in Africa e nei Balcani.
Tuttavia a distanza di settant’anni dai fatti il vero nodo di criticità che rischia di far rimanere deboli iniziative come quella della Camera rimane il cortocircuito memoriale avviato proprio alla metà degli anni novanta attraverso la retorica dei «ragazzi di Salò» che trovò la tribuna più importante proprio dallo scranno più alto della stessa Camera, all’epoca presieduta da Luciano Violante.
Così il combinato disposto dell’omertoso silenzio sui crimini di guerra e della comprensione della «buona fede» dei fascisti che «andavano a cercar la bella morte» (ma più volentieri la infliggevano con stragi e torture a civili e partigiani) ha finito per tradursi politicamente con lo «sdoganamento»
post-missino e con la fine della «conventio ad excludendum» contro gli eredi del Pci. Approdando, in ultima istanza, al loro reciproco riconoscimento di accesso al governo del paese.
Mentre la documentazione sulle stragi nazifasciste rimaneva quasi sullo sfondo del dibattito nazionale, nello stesso 1994 l’opinione pubblica «moderata» considerava i partigiani dei GAP come i «veri» responsabili della strage delle Fosse Ardeatine e soltanto una protesta clamorosa davanti al Tribunale militare di Roma impedì che il capitano delle SS Erich Priebke tornasse libero in Argentina
Tra il 2003 e il 2004 seguirono poi la denuncia «del sangue dei vinti» e l’istituzionalizzazione del «giorno del ricordo» durante il quale, a suggello di una ricostruzione «narrativa» e non storica, sono stati premiati decine di repubblichini di Salò di cui il caso di Paride Mori (a cui la medaglia alla memoria dello scorso anno è stata poi revocata) non è che un esempio.
Ben vengano, dunque, le declassificazioni dei documenti che favoriscono i conti col passato perché nella conservazione e nella resa di accessibilità delle fonti risiedono il ruolo e le funzioni che le istituzioni hanno il dovere di esercitare nei confronti della storia.
Scriverla sarà compito della ricerca.


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La documentazione è quella elencata alla pagina
https://archivio.camera.it/desecretazione-atti/commissione-parlamentare-inchiesta-sui-crimini-nazifascisti-leg-XIV/list
Di seguito ne riproduciamo l'indice nella sua interezza.
Tra gli altri documenti segnaliamo che alcuni riguardano eccidi in Jugoslavia, criminali di guerra italiani in Jugoslavia e richieste di estradizione da parte jugoslava.
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Richiesta documenti
E' possibile ricevere copia digitale dei documenti declassificati di cui si intede effettuare la richiesta spuntando i relativi checkbox e compilando il modulo.
Si consiglia l'utilizzo di un "modern browser", Firefox, Safari, Chrome o Internet Explorer 9 o superiore.


Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause dell'occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti
XIV Legislatura

Documenti

  • Ministero Affari Esteri
    • 101/1 
      giovedì
      14 ottobre 1965 (734 KB)
      Lettera di trasmissione con allegato foglio riservatissimo n. 5491/2053 del 14/10/65 verosimilmente proveniente dalla Delegazione italiana presso il Consiglio Atlantico e inviata al Ministero degli affari esteri - DGAP - Ufficio IV (SS NATO).
      Il materiale allegato è compreso nell'elenco dei documenti rinvenuti dall'avv. Simone Sabattini e richiesto dalla Commissione con nota 2005/0001685/SG-CIV/1944 del 28/10/05.
    • 103/0 
      giovedì
      22 dicembre 2005 (4 MB)
      Documentazione della DGAP (Direzione Generale Affari Politici) pervenuta in Commissione a cura dell'Ispettorato generale del Ministero degli affari esteri. Lettera di trasmissione con allegato elenco riepilogativo della documentazione (p. 2-94).
      Trattasi di "documentazione indicata negli elenchi di massima redatti dall'avv. Sabattini" (consulente della Commissione) e richiesta appositamente dalla Commissione con nota 2005/0001685/SG-CIV/1944 del 28/10/05.
    • 103/1 
      (6 MB)
      Documentazione pervenuta dall'Ispettorato generale del Ministero degli affari esteri e relativa (come da elenco compreso nelle p. da 1 a 7) ai seguenti fascicoli:
      - trattative per indennizzi del nazismo;
      - contenzioso finanziario italo-tedesco;
      - trattative italo tedesche per indennizzi vittime del nazismo (danni di guerra).
    • 103/2 
      (3 MB)
      Documentazione pervenuta dall'Ispettorato generale del Ministero degli affari esteri e relativa (come da elenco compreso nelle p. da 1 a 3) ai seguenti fascicoli:
      - interpellanza n. 253 del sen. Polano ed altri riguardante magg. delle SS Joachin Peiper (presunti crimini commessi a Boves - Cuneo).
    • 103/3 
      (7 MB)
      Documentazione pervenuta dall'Ispettorato generale del Ministero degli affari esteri e relativa (come da elenco compreso nelle p. da 1 a 7) ai seguenti fascicoli:
      - Herbert Kappler - detenuto militare.
    • 103/4 
      (18 MB)
      Documentazione pervenuta dall'Ispettorato generale del Ministero degli affari esteri e relativa (come da elenco compreso nelle p. da 1 a 9) ai seguenti fascicoli:
      - criminali nazisti;
      - richiesta di informazioni sul trattamento pensionistico riservato ai perseguitati politici del regime fascista;
      - massacro di Cefalonia della divisione Aqui (passato tutto al 1970);
      - richiesta tedesca di informazioni su campi di internamento in Italia della II guerra mondiale;
      - prescrizione crimini nazisti;
      - trattative italo-tedesche per indennizzi vittime del nazismo (danni di guerra);
      - Mons. Matthias Defregger vescovo ausiliare di Monaco.
    • 103/5 
      (33 MB)
      Documentazione pervenuta dall'Ispettorato generale del Ministero degli affari esteri e relativa (come da elenco compreso nelle p. da 1 a 29) ai seguenti fascicoli:
      - indennizzi a vittime del fascismo;
      - visite a Kappler;
      - Kappler (domanda di grazia);
      - criminali nazisti ed internati o prigionieri;
      - crimini di guerra in Italia - accuse mosse da un redattore del settimanale "Stern";
      - criminali nazisti. Parte generale;
      - fucilazione 85 civili italiani nel 1944;
      - Inchiesta su fatti di Cefalonia;
      - Schmidt Helmut a Roma;
      - Protezione interessi tedeschi in Guinea;
      - Rendiconto trimestrale maggio-luglio 1971;
      - contatti R.F.G. - Guinea;
      - interessi tedeschi in Guinea - Marche consolari;
      - Adolf Marx - Passato al 1972;
      - sorvolo della Guinea da parte del Ministro Scheel durante il viaggio in Africa;
      - centro cinematografico di Boulbinet.
    • 103/6 
      (9 MB)
      Documentazione pervenuta dall'Ispettorato generale del Ministero degli affari esteri e relativa (come da elenco compreso nelle p. da 1 a 11) ai seguenti fascicoli:
      - politica militare - notizie militari;
      - esplosioni e ricerca nucleari e spaziali;
      - leggi e regolamenti;
      - Marina militare, navi scuola e crociere d'istruzione;
      - marina mercantile;
      - associazioni;
      - rappresentanze diplomatiche e consolari;
      - pubblicazioni;
      - telegrafo radio televisione;
      - film documentari e politica culturale;
      - traffico aereo e permessi sorvolo;
      - consultazioni a livello funzionari;
      - protezione interessi tedeschi nella RAU (cittadini tedeschi nella RAU accusati di spionaggio).
    • 103/7 
      (27 MB)
      Documentazione pervenuta dall'Ispettorato generale del Ministero degli affari esteri e relativa (come da elenco compreso nelle p. da 1 a 18) ai seguenti fascicoli:
      - crimini nazifascisti e criminali nazisti - parte generale;
      - SS Kappler - detenuto a Gaeta;
      - domande di grazia per Kappler;
      - risiera di S. Sabba - procedimento penale per criminali nazisti;
      - comunicati stampa.
    • 103/8 
      (5 MB)
      Documentazione pervenuta dall'Ispettorato generale del Ministero degli affari esteri e relativa (come da elenco compreso nelle p. da 1 a 5) al seguente fascicolo:
      - varie.
    • 103/9 
      martedì
      16 gennaio 1968 (9 MB)
      Documentazione fornita dal Ministero Affari Esteri e classificata segreta dalla Commissione su richiesta del predetto ministero. In particolare trattasi delle note di cui ai nn. 123, 168, 177, 260, 264, 271, 279, 280, 281, 303, 306, 380, 402, 447, 448, 456, 465, 466, 485, 518, 527, da 555 a 558, da 563 a 568, da 570 a 571, 573, 578, 587, 589, 595, 603, 605, 606, 616, 619, 624 e 625 dell'elenco fornito dal predetto ministero.
      riguardante: Herbert Kappler; Mons. Matthias Defregger; Reder e Kappler; crimini di guerra in Italia, accuse mosse da un redattore del settimanale « Stern »; prepotenze naziste a Zeltweg (Stiria); fucilazione 85 civili italiani 1944, Castelnuovo Val di Cecina (PI); massacro di Cefalonia della Divisione Acqui; protezione interessi tedeschi; sorvolo della Guinea da parte del ministro Scheel durante il viaggio in Africa; politica militare, notizie militari (Germania occidentale); associazioni; telegrafo radio televisione; protezione interessi tedeschi nella RAU (cittadini tedeschi nella RAU accusati di spionaggio); varie (contratti di lavoro sospetti); criminali nazisti - parte generale, criminali di guerra detenuti in Pesi europei; risiera di San Sabba, procedimento penale per criminali nazisti.
    • 107/0 
      mercoledì
      11 gennaio 2006 (345 KB)
      Lettera di trasmissione della documentazione acquisita in copia presso il MAE
    • 107/1 
      (6 MB)
      Busta 96 - Ufficio DGAP I - Anno 1952.
      Pratiche nominative.
      Dollmann Eugenio (Larcher Enrico).
    • 107/2 
      (23 MB)
      Busta 21 - Ufficio DGAP - Anno 1951.
      Criminali di guerra tedeschi.
      Processo a carico di Petitto Rocco, cap. Meir, magg. Haren, Lanz Hurbert, Mayr Ernst (fucilazione cap. Pierluigi Chiaramonte e Mario Pezzoli e altri).
      Processo a carico del cap. tedesco Krumhaar Waldemar.
      Notizie dalla Germania.
      Atteggiamento U.S.A.
      Atteggiamento della Gran Bretagna.
      Stampa.
      Atteggiamento inglese, danese, norvegese, francese - anno 1951.
      Atteggiamento inglese, danese, norvegese, francese - anno 1952.
    • 107/3 
      (4 MB)
      Busta 162 - Ufficio DGAP I - Anno 1950 - 1957.
      Criminali di guerra richiesti da alcuni stati esteri.
      Pratiche di estradizione.
    • 107/4 
      (6 MB)
      Busta 79 - Ufficio MAE GAB - Anno 1945.
      Processo Mario Roatta.
    • 107/5 
      (10 MB)
      Busta 661 - Ufficio DGAP II. Anno 1953.
      Grecia - Criminali di guerra.
      Pratiche nominative relative a: sergente Stellà Panaiotti e altri.
    • 107/6 
      (1 MB)
      Busta 172 - Ufficio DGAP I. Anno 1953.
      Criminali di guerra richiesti da altri stati.
      Esecutorietà delle sentenze penali a carico di cittadini italiani emesse da autorità militari straniere.
    • 107/7 
      (4 MB)
      Busta 172 - Ufficio DGAP I. Anno 1953.
      Criminali di guerra richiesti da altri stati.
      Criminali di guerra richiesti dal comando alleato.
    • 107/8 
      (7 MB)
      Busta 172 - Ufficio DGAP I. Anno 1953.
      Criminali di guerra richiesti da altri stati.
      Criminali di guerra richiesti dalla Gran Bretagna.
    • 107/9 
      (19 MB)
      Busta 172 - Ufficio DGAP I. Anno 1953.
      Criminali di guerra richiesti da altri stati.
      Criminali di guerra richiesti o detenuti dagli americani.
    • 107/10 
      (8 MB)
      Busta 172 - Ufficio DGAP I. Anno 1953.
      Criminali di guerra richiesti da altri stati.
      Criminali di guerra italiani richiesti dalla Francia.
    • 107/11 
      (16 MB)
      Busta 172 - Ufficio DGAP I. Anno 1953.
      Criminali di guerra richiesti da altri stati.
      Criminali di guerra italiani reclamati o detenuti dagli inglesi.
    • 107/12 
      (179 KB)
      Busta 130 - Ufficio DGAP I. Anno 1957.
      Jugoslavia.
      Washington 1 novembre 1957 telespresso n.14092/3792.
    • 107/13 
      (720 KB)
      Busta 20 - Ufficio DGAP I. Anno 1964.
      Germania nominativi.
      Lettera del cittadino tedesco W. Wehner relativa a italiani deportati in Bassa Sassonia.
    • 107/14 
      (1 MB)
      Busta 20 - Ufficio DGAP I. Anno 1964.
      Germania nominativi.
      Avv. J. Tochtrop - fucilazione a Garessio (Cuneo) nel luglio 1944 di civili italiani.
    • 107/15 
      (1 MB)
      Busta 78 - Ufficio DGAP I. Anno 1956.
      Traccia di conversazione.
      Incontro Italo-tedesco, traccia di conversazione.
    • 107/16 
      (694 KB)
      Busta 78 - Ufficio DGAP I. Anno 1956.
      Traccia di conversazione.
      Documentazione inerente all'incontro Italo-tedesco.
    • 107/17 
      (18 MB)
      Busta 1160 - Ufficio DGAP IV. Anno 1951.
      Criminali di guerra reclamati dai russi.
      Promemoria sulle accuse mosse da parte russa a militari italiani.
    • 107/18 
      (3 MB)
      Busta 15 - Ufficio DGAP I. Anno 1964.
      Germania 1/1.
      Theodore Saewecke ex capo SS Milano.
    • 107/19 
      (839 KB)
      Busta 139 - Ufficio DGAP I. Anno 1947.
      Stati vari V.
      Conferenza di Mosca - Parigi, 3 giugno 1947 telespresso n.476/5977/1663.
    • 107/20 
      (676 KB)
      Busta 87 - Ufficio MAE GAB. Anno 1945.
      Criminali di guerra.
      Criminali di guerra - Archivio del Gabinetto di S.E. il Ministro.
    • 107/21 
      (61 KB)
      Busta 10 - Ufficio DGAP I. Anno 1961.
      Italia 1/8.
      Visita del presidente Fanfani a Bonn (Roma 12 dicembre 1958 appunto caso Kappler)

      (Message over 64 KB, truncated)

(english / italiano)

Moldavia europeissima

1) Left forces lead protests in Moldova, face police repression (G. Butterfield, Feb 18, 2016)
2) Moldavia: è in corso un vero e proprio colpo di stato filo-occidentale (Partito dei Comunisti della Repubblica di Moldova, 20.1.2016)
3) In Moldavia si riabilita e si rende legale il nazi-fascismo (Partito dei Comunisti della Repubblica di Moldova, 3 Dicembre 2015)


=== 1 ===


Left forces lead protests in Moldova, face police repression

By Greg Butterfield 
February 18, 2016


On Feb. 15, seven anti-fascist political prisoners in Chisinau, the capital of the eastern European country of Moldova, were brutalized in court by armed riot police, while a three-judge panel looked on. The prisoners are leaders of a popular uprising against a pro-West, oligarch-backed regime.

One of the prisoners, Grigory Petrenko, leader of the leftist Red Bloc party, had his wrists “cut to the bone” by his handcuffs as he was dragged from the courthouse, according to his spouse, Lilia Petrenko. (1News.md, Feb. 16)

Another prisoner, Pavel Grigorchuk, youth leader and editor of the communist news site Grenada.md, was dragged headfirst down a flight of stairs. Others were dragged by their feet. Omega News Agency reports that the prisoners appealed for medical help after their return to Penitentiary No. 13.

Outside, more than 1,000 protesters held an angry but peaceful demonstration, surrounding the courthouse and blocking traffic. Later, masked riot police, carrying shields and swinging billy clubs, attacked the action.  The protest continued late into the evening, with activists eventually marching from the courthouse to Chisinau’s central square. (MoldNews.md, Feb. 15)

The political prisoners — including Petrenko, Grigorchuk, Mikhail Amerberg, Alexander Roshko, Andrei Druz, Oleg Buzni and Vladimir Zhurata — were violently arrested on Sept. 6, during a protest against the Western-backed government dominated by oligarch Vlad Plahotniuc. 

The prisoners, known collectively as the “Petrenko Group,” were denied release by the judicial panel on Feb. 15 — despite four leading European parliamentarians agreeing to serve as their guarantors, which under Moldovan law is sufficient for pretrial release.

Omega also reported that for the first time, representatives of the U.S. and European embassies were present in the courtroom. So far it’s unknown why they chose to show up on this particular day, after months of entreaties from local activists to monitor the case.

After the judges announced their decision, the political prisoners held a sit-down protest. Armed police in riot gear swept the media from the courtroom, pushing reporters, family members and friends of the prisoners down corridors and stairs. Then, they moved in to brutalize the prisoners and remove them by force. The attack in the courtroom was captured on a cellphone video.

Despite the attack, the prisoners raised their fists outside and chanted in solidarity with the protesters as they were herded into a police van to be returned to jail.  Demonstrators surrounded the van, rocking it, until forced back by truncheon-wielding riot cops.


Popular uprising against oligarchy

Moldova, a former republic of the Soviet Union, is a small country of about 3.5 million people in eastern Europe. To its north and east is Ukraine, where a U.S.-backed coup powered by fascist gangs seized power two years ago, unleashing a war on Russia’s western border. To its south is Romania, a member of the NATO military alliance ruled by a U.S. puppet regime.

Moldova is also in the throes of a popular uprising against oligarchy and neoliberal reforms. 

The movement sweeping Moldova has a fundamental difference from the right-wing, Euromaidan movement that seized power in Ukraine two years ago: It has a powerful left, anti-fascist and anti-imperialist wing. 

Because of this — and despite the country’s modest size — this movement threatens to upset the reactionary tide throughout the region, built up over decades by Washington/Wall Street and the Western Europe imperialist powers. 

On Jan. 20, dramatic footage was broadcast around the world of protesters entering and occupying the Parliament building in Chisinau, as a new government headed by Prime Minister Pavel Filip was sworn in two days after receiving the U.S. State Department’s blessing. 

U.S. and Western media provided no context for these seemingly chaotic images to a public kept largely unaware of Moldova’s existence, much less the economic and political plight of people suffering under International Monetary Fund-European Union “reforms,” including privatization and the cutoff of traditional trade with Russia and other former Soviet republics.

The current wave of protests was sparked in 2015 with the revelation that leading politicians appointed by the country’s top oligarch and political kingmaker, Vlad Plahotniuc, had embezzled more than $1 billion from Moldova’s banking system. 

At first, in early 2015, the protests were dominated by pro-“Euro-integration” forces, including the ultraright that seeks the country’s merger with Romania. The movement seemed similar to the one in Ukraine, known as Euromaidan, that overthrew the government in February 2014.

But in the summer of 2015, the recently formed Red Bloc party led a working-class campaign to turn back government-mandated utility-rate and fuel-price hikes. This party includes independent leftists and communists who had left or been expelled from the old Party of Communists of the Republic of Moldava.  

Red Bloc leadership turns the tide

The Red Bloc campaign spread like wildfire. Pensioners, students and workers occupied city halls and held mass assemblies in towns and villages across the country. The regime was forced to step back and temporarily halt the rate hikes. 

In Chisinau, the Red Bloc erected a tent city outside Plahotniuc’s home and staged protests at his businesses and media holdings. At this time, Red Bloc leader Petrenko was cast as “Public Enemy No.1” by oligarch-controlled media.

This mobilization of the working class, rooted in the anti-fascist traditions of Soviet times, began to shift the center of gravity in the protests. Instead of the pro-Western capitalist and middle-class opposition keeping the leadership, the protesters moved toward those who favor friendly relations and economic partnership with Russia. They also want to preserve the country’s agriculture and industry. They reject the NATO military alliance and oppose unification with pro-West Romania.

The Red Bloc began to build a pole of attraction in the movement of the left, anti-fascist and anti-EU forces, including the Party of Socialists of the Republic of Moldova and Our Party, a party representing Russian-speaking Moldovans based in the city of Balti.

When protests resumed in the autumn, there were two distinct wings in the movement — the “Euro-integration” forces of the Civic Platform “Dignity and Truth” (the DA Platform), which held a protest of tens of thousands in central Chisinau on Sept. 6, and the smaller but class-struggle-based movement headed by the Red Bloc, which held a demonstration of about 1,000 people the same day. It was at this protest where seven Red Bloc activists, including party leader Petrenko, were arrested.

Since that time, the left pole, numerically dominated by the Party of Socialists, has overtaken the pro-Euro-integration forces. The left pole has been playing the leading role in the recent mass demonstrations against the new regime, which, as before, is dominated by protégés of Plahotniuc.

The shift in momentum is clearly visible in the words and actions of the pro-Euro-integrationist DA Platform. Shortly after the Petrenko Group’s arrest, the political prisoners’ supporters were kept to the outskirts of DA Platform protests.  Some leftists who entered were attacked by fascist elements — similar to the Maidan protests in Ukraine in 2013-2014.

Now, however, the DA Platform has had to adjust its actions in response to mass pressure, and has even joined with the leftists in the Civil Forum coalition calling for unconditional release of the political prisoners, along with early parliamentary elections. (Omega, Feb. 4)

A poll taken after the January protests showed that if parliamentary elections were held soon, the Party of Socialists and Our Party would win a decisive victory, with the DA Platform coming in third. The current governing parties — the so-called Democrats, Liberal Democrats and Liberals — were far down the list.



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Moldavia: è in corso un vero e proprio colpo di stato filo-occidentale

25 Gennaio 2016

da www.pcrm.md | Traduzione di Marx21.it

Comunicato del Partito dei Comunisti della Repubblica di Moldova

Nei giorni scorsi centinaia di persone hanno fatto irruzione in Parlamento per protestare contro un nuovo governo gradito all'Unione Europea, installatosi con le modalità di un vero e proprio colpo di stato. La notizia, come sempre quando non  è conforme ai progetti imperialisti, non è stata riportata dai media. Per contribuire alla comprensione degli eventi, traduciamo qui il comunicato del Partito dei Comunisti della Repubblica di Moldova, emesso pochissimi giorni prima delle clamorose manifestazioni di protesta.

Dopo aver ignorato il risultato internazionalmente riconosciuto delle elezioni del 2009, i partiti che allora formavano l'Alleanza per l'integrazione europea hanno dato il via a pogroms e agli incendi del Parlamento e dei palazzi presidenziali, alla violazione della Legge Fondamentale nell'elezione del capo dello Stato, alla suddivisione dei ministeri e di altre posizioni tra i vari partiti secondo il manuale Cencelli, alla violazione della Costituzione, delle leggi e dei regolamenti, oltre ad aver aizzato disordini che hanno portato alla perdita del controllo sul paese e alla sua trasformazione in una enclave mafiosa e corrotta. La corruzione e la mancanza di leggi sono penetrate in ogni sfera della società, peggiorando ulteriormente la vita delle persone.

E' stato sferrato un forte attacco a tutte le strutture democratiche del paese, sono state chiuse le reti televisive sgradite, fatte pressioni politiche ed economiche sulla carta stampata, limitato il diritto di assemblea e di manifestazione e contro i partecipanti è stata usata la violenza e la persecuzione. La televisione pubblica "Moldavia 1" è controllata dal Partito Liberale ed è usata per sostenere le politiche di unione all'Europa, mentre tutte le restrizioni e le proibizioni sono dirette verso i partiti e i movimenti di opposizione.

Questo ha portato negli ultimi tempi al degrado e alla paralisi completa del sistema socioeconomico del paese, alla stagnazione e alla distruzione di qualsiasi forza di sviluppo della società.

La partecipazione diretta alla corruzione del Primo Ministro, dei vari ministri, dei parlamentari, degli ufficiali e di numerosi rappresentati a livello nazionale e locale non sarebbe stata possibile senza il supporto dato dal gruppo parlamentare dell'Alleanza per l'Integrazione Europea. I parlamentari democratici e liberali, attraverso la manipolazione delle leggi e attraverso l'intervento diretto negli specifici affari dei ministeri, hanno contribuito alla truffa da un Miliardo di Euro della Vem, alla svendita dell'aeroporto di Chisinau, alla fissazione di altissime tariffe del gas, della luce e dei trasporti e dei servizi e a una diffusione mai vista prima di corruzione ed estorsione. Questi gruppi parlamentari hanno votato la chiusura di scuole, di asili, di ospedali e per l'innalzamento del prezzo di generi alimentari e medicine, per licenziamenti di massa...

Il risultato di questa tragedia nazionale è il completo disprezzo per la volontà degli elettori espressa nelle elezioni del Novembre 2014.

La Moldavia è una vergogna mondiale. Ciò che è accaduto sembrava impossibile fino a poco tempo fa. Grossi gruppi parlamentari sono stati acquistati come merci al mercato, come dei servi. Con nostra grande vergogna, 14 dei nostri deputati hanno lasciato per questo il gruppo parlamentare comunista. Appena se ne sono andati, hanno cominciato a servire gli interessi di quelli che volevano restare al potere con ogni mezzo. È possibile che queste “anime morte” riescano nel loro intento.

Ma questi deputati traditori cosa diranno agli elettori, alle proprie famiglie, agli amici? Ormai hanno  assunto le caratteristiche di Giuda e non se ne libereranno finché vivranno.

E' importante sapere che la pratica diffusa dell'acquisto di parlamentari ha portato al ridisegno del Parlamento, che non corrisponde più alla volontà degli elettori, così come è stata espressa nel Novembre 2014. Questi traditori e i loro acquirenti si sono presi gioco della volontà degli elettori e hanno perso il loro supporto elettorale.

In queste condizioni, non è importante sapere a quale risultato porterà questo tradimento. In ogni caso, è certo che questo potere sarà privo del supporto pubblico, e non sarà capace di consolidarsi, e invece di risolvere i problemi dello stato continuerà la sua pratica distruttiva in base al principio del “divide et impera”.

Chi ha abbandonato il gruppo parlamentare, usurpando i seggi vinti dai partiti ha perso la propria qualità di rappresentante. Costoro e i loro acquirenti hanno acquistato il potere di rappresentanza al mercato, perdendo tutto il supporto sociale degli elettori e sono corresponsabili ai loro occhi.

Il Parlamento, da allora, non è più rappresentativo delle persone, e quindi non ha il diritto di agire in loro nome.

Il Comitato Centrale del Partito dei Comunisti della Repubblica di Moldova pensa che quello che sta avvenendo oggi in merito alla questione del potere non ha niente a che vedere con la politica e non rappresenta le vere aspirazioni del popolo moldavo. L'imminente fiducia al governo non è altro che una farsa.

Di conseguenza il PCRM non darà alcuna fiducia alla composizione di questo governo.

Il Comitato Centrale del PCRM

20 Gennaio 2016


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In Moldavia si riabilita e si rende legale il nazi-fascismo

3 Dicembre 2015

da skpkpss.ru

Traduzione dal russo di Mauro Gemma

Dichiarazione del Partito dei Comunisti della Repubblica di Moldova

Il Partito dei Comunisti della Repubblica di Moldova esprime la sua indignazione e protesta contro la decisione della Corte Costituzionale della Repubblica di Moldova, del 23 novembre 2015, che di fatto ha legalizzato l'attività delle organizzazioni fasciste e i simboli fascisti.

Attraverso la lettura attenta delle tesi contraddittorie esposte nella sentenza della Corte Costituzionale, i cui membri sono cittadini di un altro stato (la Romania), emerge chiaramente il carattere mirato di tali insinuazioni anticostituzionali e contro l'umanità.

Per ogni persona di buon senso e che abbia qualche conoscenza della storia la riabilitazione del fascismo, in qualsiasi forma, significa genocidio, morte e distruzione.

Probabilmente i cosiddetti “costituzionalisti” e coloro che li manipolano non sanno che, sotto i simboli nazisti nei campi di concentramento sono state bruciate vive milioni di persone. Sotto i simboli nazisti è stata ripristinata la schiavitù a metà del XX secolo. Sotto i simboli del nazismo è stata uccisa e violentata gente non solo in Unione Sovietica, ma in tutto il mondo.

Ormai da tempo l'umanità ha imparato a giudicare i gruppi criminali, banditeschi e le formazioni armate illegali. Il Tribunale Internazionale di Guerra di Norimberga per la prima volta nella storia ha condannato i crimini commessi a livello di stato dalla Germania nazista, ha condannato i suoi caporioni politici, l'ideologia e i simboli del fascismo. Da allora sono passati 70 anni... Si è informato in merito a queste pagine di storia quel deputato di un partito che in Moldavia pratica la corruzione e il latrocinio, prima di rivolgersi alla Corte Costituzionale?

Gli ordini di chi eseguono questo membro del Partito Liberal Democratico e la Corte Costituzionale, composta esclusivamente da cittadini della Romania?

Dobbiamo constatare che le riabilitazioni del passato nei giorni attuali stanno diventando sempre più frequenti. Si sono attivizzate forze che desiderano riconsiderare i risultati della Seconda Guerra Mondiale, sminuire e persino annullare il ruolo decisivo dell'Unione Sovietica nella sconfitta del fascismo, equiparare la Germania nazista, stato aggressore, all'URSS, che ha condotto la guerra di liberazione e ha avuto un numero enorme di vittime per salvare il mondo dagli orrori del nazismo.

Viviamo in un mondo turbato e instabile, di anno in anno sempre più fragile e vulnerabile. Le contraddizioni tra gli stati sviluppati e gli altri sono sempre più acute, investono la cultura, le religioni e producono disuguaglianze sociali.

La decisione della Corte Costituzionale, che di fatto ha autorizzato l'uso nel territorio del nostro paese dei simboli del nazismo, non è solo cinica, ma criminale. In tal modo viene assecondata la logica perversa dei cinque giudici romeni della Corte Costituzionale moldava, che utilizzano i loro poteri contro lo stato e il popolo. Costoro non si pongono solo al di sopra del Parlamento. Stanno cercando di riscrivere la storia. Giudici, che sono cittadini della Romania, negano le decisioni del processo di Norimberga, che ha giudicato l'ideologia e i simboli fascisti crimini contro l'umanità. Chi credono di essere questi piccoli servi dei nuovi ideologi del neonazismo e del fascismo? Il sistema parlamentare moldavo è forse così debole da non essere in condizione di reagire adeguatamente ad azioni scorrette della Corte Costituzionale?

Il Partito dei Comunisti della Repubblica di Moldova ribadisce che tutti i tentativi di riscrivere la storia conducono a gravi conseguenze, e per questa ragione non permetterà che in Moldova i neonazisti alzino la testa e che la nostra società sia nuovamente contagiata dalla “peste bruna”?

Il fascismo non passera!

Il Comitato Centrale del Partito dei Comunisti della Repubblica di Moldova




(english / italiano)

RUSSOFOBIA

1) Guy Mettan: RUSSOFOBIA. Mille anni di pregiudizi
2) Christopher Black: OPERATION BARBAROSSA 2. American Occupation of Europe Intensifies


+ due video sulla russofobìa contemporanea:

EURODIPUTADO JAVIER COUSO (I.U.) DENUNCIA LA "RUSOFOBIA" DEL PARLAMENTO EUROPEO (tena carlos, 18 feb 2016)
El organismo continental debatía este jueves qué estrategias debe adoptar para defenderse en la guerra mediática, mencionando "la propaganda rusa" como una de las principales amenazas a las que tiene que hacer frente...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=uB9xNWf-TF0

FRAU MERKEL, VUOLE ESSERE TRASCINATA IN GUERRA CONTRO LA RUSSIA? (PandoraTV, 20 feb 2016)
La decisa condanna della deputata comunista al Bundestag Sahra Wagenknecht alla recente visita della signora Merkel in Turchia...
VIDEO: http://www.pandoratv.it/?p=6318
oppure: https://www.youtube.com/watch?v=dk9I5MDYhJs


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Riceviamo e volentieri segnaliamo:

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SANDRO TETI EDITORE
IN PREPARAZIONE:

GUY METTAN

RUSSOFOBIA
Mille anni di pregiudizi

L’affermato giornalista e storico Guy Mettan indaga le distorsioni che affliggono da sempre i rapporti tra Russia e Occidente. La crisi ucraina del 2014 e il successivo intervento russo in Siria hanno fatto prepotentemente riemergere l’insieme di pregiudizi e stereotipi che in Occidente risalgono all’epoca di Carlo Magno e che sembravano essersi sopiti dopo la caduta dell’Urss.Un saggio avvincente e di grande attualità, dove Mettan decostruisce le radici stesse della russofobia europea e statunitense, narrandone l’evoluzione storica con lo stile coinvolgente dell’inchiesta giornalistica.In quest’opera di alta divulgazione, molto documentata, il racconto del sentimento antirusso diventa un’occasione per esercitare lo spirito critico di fronte a visioni del mondo preconfezionate.

L’autore: Guy Mettan, giornalista, storico e politologo svizzero è membro fondatore, nonché direttore, del Club Svizzero della Stampa. Dopo l’esordio al Journal de Genève nel 1980, collabora con numerose testate fino a divenire redattore capo della prestigiosa Tribune de Genève. Nel 1991 ha adottato una bimba orfana di Suzdal’ ricevendo di lì a poco la cittadinanza dall’amministrazione El’cin.



Guy Mettan, RUSSOFOBIA - Mille anni di pregiudizi – In preparazione l’edizione italiana
Titolo originale: Russie-Occident, une guerre de mille ans : La russophobie de Charlemagne à la crise ukrainienne, Editions des Syrtes,‎ 2015 5

Con i recenti accadimenti in Ucraina a seguito dell’Euromaidan e le conseguenti reazioni in ambito politico, diplomatico e di opinione pubblica negli USA e in Europa, il tema delle relazioni tra Russia e Occidente, con particolare attenzione alle categorie secondo cui l’Occidente guarda, pensa e racconta la Russia, è di estrema e scottante attualità. Guy Mettan, giornalista, politico e direttore del Club Suisse de la Presse, si propone di analizzare nelle sue coordinate storiche e geopolitiche, nella sua dimensione propagandistica e nelle sue conseguenze psicologiche e fattuali il fenomeno della russofobia, quella che l’autore non esita a chiamare «una guerra millenaria», condotta dagli Occidentali contro il loro «grande vicino» a colpi di cliché, rappresentazioni (spesso consciamente) distorte e persino mistificazioni della Russia e di tutto ciò che attorno ad essa gravita.
Il saggio, pubblicato per la prima volta a Ginevra nel 2015, è articolato in tre parti, nelle quali l’autore affronta il ‘cosa’, il ‘quando/dove’ e il ‘come’ del fenomeno in analisi, con il costante obiettivo di spiegarne il ‘perché’. Nella prima parte delinea il profilo della russofobia, non complotto ma vera e propria predisposizione d’animo occidentale (a volte, paradossalmente, condivisa e alimentata dagli stessi Russi), mostrando con una puntuale critica delle fonti la messa in atto del discorso russofobo in occasione di quattro eventi di recente memoria: il disastro aereo di Überlingen (2002), il sequestro di Beslan (2004), la seconda guerra in Ossezia (2008), i Giochi olimpici di Soči (2014); speciale attenzione, poi, è dedicata a riconsiderare la crisi Ucraina mettendo in questione la rappresentazione unilaterale e distorta che i media occidentali ne hanno fornito. 
Nella seconda parte si segue l’evoluzione storica e ideologica del sentimento russofobo, individuandone le origini nella rivalità politica e religiosa che prende avvio sotto Carlo Magno, colui che contese a Bisanzio il ruolo di erede dell’Impero romano. L’ossessione imperialistica resta la costante di fondo delle successive declinazioni nazionali della russofobia: quella francese, che con l’allestimento del falso testamento di Pietro il Grande sotto Luigi XV inaugura il mito dell’espansionismo russo; quella inglese, meno ‘dottrinale’ ma più capillarmente propagata, che rovescia nel XIX secolo il rapporto con la Russia dopo l’alleanza antinapoleonica; quella tedesca che, nata sotto il Secondo Reich nell’ambito della temperie culturale del nazionalismo romantico, troverà un fertile terreno nella teoria del Lebensraum; quella americana, sintesi delle precedenti, efficace risorsa per la retorica della tutela di libertà e democrazia volta a coprire e legittimare la penetrazione dei valori neocapitalistici. 
La terza parte del libro, una sorta di manualetto della russofobia, mette a nudo le dinamiche della realizzazione e del funzionamento del discorso antirusso nei media e nel mondo accademico. Tale discorso si concretizza in racconto attraverso la costruzione del cattivo perfetto, Vladimir Putin, alla guida del nemico perfetto, il feroce orso russo che brama di divorare l’Europa: l’autore torna così sugli eventi recenti, e in particolare sulla crisi ucraina, per mostrare in azione tutto il potenziale del soft power occidentale.
L’indagine di Mettan non si pone l’obiettivo di trascinare al banco degli imputati l’Occidente per rovesciare, conservandola, la visione manichea della storia che la propaganda russofoba vorrebbe delineare; l’operazione mira piuttosto a concedere alla Russia – la cui parte di responsabilità nella drammatica degenerazione di questo bipolarismo non è taciuta – quella parola che le viene con una certa metodicità negata dal sistema di informazione occidentale, in un tentativo di ricostruire la complessità dei rapporti Russia-Occidente e smascherare i pregiudizi che ci impediscono di apprezzare i tanti aspetti positivi del nostro grande vicino. Allo stesso modo, per quanto i giornalisti siano i principali responsabili, o meglio, i ‘finalizzatori’ del discorso russofobo elaborato dagli establishment e dalle lobby occidentali, il libro non vuole essere nemmeno una condanna tout court dei media (la cui libertà di azione non è mai peraltro un dato scontato); ciò che si auspica, a più riprese, è piuttosto un recupero della deontologia giornalistica. L’onestà intellettuale, la capacità (e la volontà) di informarsi cercando e interpellando fonti di opposto schieramento, soprattutto il senso critico, quell’esigenza di porre e porsi continuamente domande, anche e soprattutto quelle più scomode e che meno convengono agli schemi precostituiti: questo è ciò che Mettan – procedendo lui stesso con stile giornalistico e guarnendo con voluta insistenza e abbondanza le sue pagine di punti interrogativi – vuole risvegliare nella coscienza non solo dei giornalisti, ma di tutti coloro che, quotidianamente, sono esposti al bombardamento della russofobia e ne diventano quasi inconsciamente vittime, se non addirittura attori stessi.
Nella consapevolezza che sono i rapporti di forza a regolare le relazioni internazionali, Mettan insiste tuttavia sul potere che le domande, le giuste domande, possono esercitare sull’opinione pubblica, tanto cara ai governanti. Sensibilizzare la gente a chiedersi se le responsabilità non siano condivise, se il proprio punto di vista unilaterale sia l’unico che conti, se i propri interessi e sistemi di valori siano davvero superiori, è il solo modo per incamminarsi verso un futuro dove finalmente non ci si dichiarerà più contro l’Altro, bensì con lui.


=== 2 ===



Operation Barbarossa 2: American Occupation of Europe Intensifies

by Christopher Black 

17 February 2016


On February 1 the New York Times ran a front page story by two of their journalists confirming the intentions of the United States to increase its occupation of and military presence in Europe particularly the east. Under the title “U.S. Fortifying Europe’s East to Deter Putin” the story sets out just one in a continuing series of acts of aggression against Russia. At the same time as the Americans announced this action they pretended to negotiate with Russia in Geneva about a solution to the American and allied aggression against Syria.

Of course, the story begins with the lie in the headline of a need to “deter Putin.” It then continues with the standard set of lies and propaganda about world events that we always get from the government of that country. No one outside the United States can read these things without laughing or crying, but of course they are intended to justify the criminal actions of the American government and ruling elite to the people who have to pay for the criminal wars they conduct, that is, to justify the unjustifiable, to the citizens of the United States.

There is no need to enter once again into the real history of events in Ukraine, Syria, Europe, Asia, Africa and all the places in the world where American and European meddling have wreaked havoc and loosed Chaos with the dogs of war. The history is well known by those who are interested. But there is a need to comprehend the meaning of what the United States is doing by announcing that it will increase its military budget for eastern Europe by 400%, from a current budget of $789 million to $3.4 billion in 2017. Since the Russians are not the threat in the region, but the United States and NATO are, the placement of military hardware to support a full armoured combat brigade in the region, and right on top of Russia’s borders can have only one other purpose, aggression.

Once can even argue that the pattern of moving equipment and forces continually nearer to Russia’s border, the continuous military exercises and their increasing control of the governments of the east European states in lockstep with this military build up, looks far too much like Nazi Germany’s build of forces prior to Operation Barbarossa, the Nazi invasion of the Soviet Union in 1941. History never repeats itself exactly, we have learned that much. But the overall pattern is very similar and the objectives and motivations remain the same.

The story also quoted American officials as stating that the equipment could be used in Syria, another threat to Russia. But the main threat is against Russia itself. Indeed the writers stated,

“Still, there is no doubt the primary target of the funding is Russia.”

The Times admits that the 1997 agreement known as the NATO-Russia Founding Act stipulates that neither side can place forces along their respective borders and admits that the deployment of American and NATO troops along Russia’s borders is a clear violation of the agreement. But, being the weasels that they are, they always state that wrong is right and so they simply deny they are in violation of the agreement or excuse it based on ”Russia’s incursion” into Crimea. This makes no sense of course since the United States took over Ukraine as its protectorate in the coup in 2014. Its forces have been there ever since and it has been in violation of the agreement from the day it was signed as NATO occupied, one by one, the countries formerly protected from NATO by the Soviet Union. The agreement means nothing to them. They just shrug their shoulders if it is mentioned and chew their gum.

Since the build-up of American forces in Europe is explicitly directed at Russia and since a few months ago an American general stated that they expected Russia to engage in “hybrid warfare” in the Baltic states and regard this as a “certainty” for which NATO has to prepare, an objective observer must ask whether the US itself intends to stage a series of provocations in the Baltic and blame them on Russia.

The Americans, British and Turks have created a series of provocations in the past weeks, accusing Russia of killing civilians in Syria, of violating Turkish, therefore NATO airspace, of murdering Russians abroad on the personal orders of President Putin, and as with other leaders they have attacked and murdered in the past, now accuse President Putin of corruption, a charge they levelled at President Milosevic when he was attacked and then finally arrested in Serbia.

This writer had the opportunity of meeting with Serbian officials who were in charge of the case against Milosevic at that time and I asked them if the corruption charges were true. They told me that they were completely false but that the Americans pushed them to charge Milosevic in order to undermine support for him in Serbia and as an excuse to hold him until they could kidnap him and take him in chains to their NATO tribunal in The Hague. They further told me that the Americans had threatened to bomb them again if they refused to cooperate.

The accusations made against President Putin are in line with this strategy of setting him up to be labelled in the west as a criminal with whom negotiations are impossible and therefore, setting the stage for sowing confusion amongst the Russian people about their own leaders, and undermining support for their government. But this is only one purpose and since the Russian people are very aware of how the game works, it is unlikely that this campaign of defamation against President Putin will have any success inside Russia. So, the primary objective is to demonise him in the eyes of the western public in order to justify further aggression against Russia and since these stories receive saturation coverage in the west, the NATO propagandists are succeeding.

It took nearly ten years for Operation Barbarossa to be set up and put into effect, from the time that Hitler was made Chancellor of Germany and began to discuss with the British and French his intentions of attacking the Soviet Union. The British and French were very content for the Nazis to do that and there is no doubt that the primary objective of Hitler was always the crushing of Russia. That the attack failed is one of the reasons the NATO leaders snubbed the Moscow Victory Parade last summer since they now identify themselves with the objectives of the defeated Nazi regime.

Some doubt that the NATO powers will actually attack Russia and risk a world war and point out that the forces being placed in eastern Europe are too weak to mount any attack. But they miss the point, which is that the build up is steady, and it is increasing, along with the propaganda and increased economic warfare. The Americans are really prepositioning resources, stores, equipment and headquarters and logistics bases that can be rapidly used to build up NATO forces at the right moment. The question is when that moment will be.

Unless the European powers can escape the American pressure and become independent states once again and unless a new regime dedicated to peace arises in the United States, neither of which look likely for the foreseeable future, it rests with us, the citizens of the world to get off our chairs and get on the streets and demand that these preparations for world war be stopped. For, unless that happens, the march to war by the Americans and their NATO lieutenants appears to be inexorable.


Christopher Black is an international criminal lawyer based in Toronto, he is a member of the Law Society of Upper Canada and he is known for a number of high-profile cases involving human rights and war crimes, especially for the online magazine “New Eastern Outlook”.




10 Febbraio? Terribilmente vicino a Carnevale...

1) Iniziative:
– UDINE 19/2: CHI HA PAURA DI "RESISTENZA STORICA"?
– PADOVA fino al 24/2: "TESTA PER DENTE. CRIMINI FASCISTI IN JUGOSLAVIA 1941-1945"
2) Sulle vergognose dichiarazioni del Direttore dell'IRSML–FVG, Roberto Spazzali
3) Dopo il divieto del convegno di Gorizia: ENRICO GHERGHETTA, ESEMPIO DI PULIZIA ETNICA
4) ATTACCO FRONTALE DA FASCISTI E FASSINO CONTRO L'ANPI A TORINO
5) Trieste, il carcere del Coroneo intitolato agli agenti di custodia infoibati... Ma chi erano?
6) 10 Febbraio a Basovizza: assieme a Cosolini e Serracchiani, labari e bandiere dei nazifascisti
7) Forsennata ricerca di una nuova foiba nel Goriziano... o forse no


Vedi anche:

Napoli. L'Assessore alla Cultura, Gaetano Daniele, scivola...sulle foibe! (Redazione Contropiano, 10 Febbraio 2016)
... Stamattina, nei pressi del Bosco di Capodimonte, l'Assessore Daniele, era presente alla posa di unalapide che "ricordava l'eccidio delle foibe" in compagnia di uno sparuto gruppetto di aderenti al nodo napoletano dell'organizzazione fascista Casa Pound...


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Venerdì, 19 febbraio 2016 

ore 17.30

Sala "Dante" presso l'Hotel Cristallo

Piazzale D'Annunzio, 43

UDINE


La casa editrice Kappa Vu vi invita alla conferenza-stampa


CHI HA PAURA DI "RESISTENZA STORICA"?


Con la partecipazione di Claudia Cernigoi, Marco Barone, Alessandra Kersevan


In questi giorni, in questi mesi, in questi anni, la Kappa Vu e molti Autori della collana Resistenza Storica, siamo oggetto sia sui giornali, sia sul web, di continue diffamazioni con l'epiteto di "negazionisti" o "riduzionisti" , per le nostre ricerche sulle vicende del confine orientale nel corso del '900.

La diffamazione nei nostri confronti si accompagna ad un attacco sempre più scoperto, ormai usuale in occasione del Giorno del Ricordo, contro i partigiani italiani, come sta succedendo ora contro la Divisione Garibaldi-Natisone e i suoi comandanti, Sasso e Vanni.

Durante la conferenza - che indirizziamo in particolare al mondo della stampa, ma a cui tutti sono invitati - metteremo in evidenza quali siano i principi storiografici che ispirano il lavoro di ricerca che come gruppo di Resistenza Storica abbiamo svolto in questi anni, dimostrando anche l'inconsistenza delle argomentazioni di coloro che vorrebbero impedirci di parlare.

La virulenza degli attacchi contro i nostri studi dimostrano che non si tratta soltanto di storia, ma che si sta giocando una partita legata all'attualità , attraverso la riduzione di fatto della libertà  di parola, il restringimento degli spazi di democrazia, l'abitudine al conformismo, la costrizione al pensiero unico dominante. Non solo in quanto ricercatori storici, ma in quanto cittadini italiani ne siamo fortemente preoccupati.

Per tutti questi motivi, pensiamo che discuterne sia importante e vi invitiamo caldamente a partecipare.



Udine, 17 febbraio 2016
Per Kappa Vu edizioni
Alessandra Kersevan


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PADOVA da mercoledì 10 (dalle 19) a mercoledì 24 febbraio 2016
all'interno della Marzolo Occupata, Via Marzolo 4, rione Portello

sarà in esposizione la mostra in 18 pannelli 

"Testa per dente. Crimini fascisti in Jugoslavia 1941-1945" 

curata da Pol Vice.

Dal sito Dieci Febbraio 1947 http://www.diecifebbraio.info/testa-per-dente/
"(...) Sta dilagando, sotto l’ambiguo nome di revisionismo, la sistematica manipolazione dei fatti (negati, inventati, destrutturati ecc., a seconda dei casi), nel tentativo, tutto politico, di sostituire alla storiografia scientifica e critica una mitologia utile a garantire il consenso sociale intorno ai gruppi dominanti, specie in periodi di crisi come l’attuale. Si sa, questi metodi sono antichi; ma oggi la loro efficacia è legata all’uso monopolistico delle tecnologie mediatiche, vere armi di distrazione di massa delle intelligenze e della coscienza civile. Questa mostra vuol essere un passo (piccolo ma, speriamo, significativo) nella direzione opposta: aiutare gli italiani di oggi a imparare dalla storia per non ripetere gli stessi errori, e a recuperare quei valori della Resistenza antifascista che (al di là della retorica ufficiale) non sono mai stati realmente e coerentemente perseguiti dalla classe di governo – a partire dai mancati processi ai criminali di guerra; passando per i segreti sulle stragi di Stato, sui tentativi golpisti, sulle infiltrazioni mafiose; fino allo “svuotamento” (sostanziale prima che formale) della stessa Costituzione (divisione dei poteri, ripudio della guerra, diritti del lavoro, giustizia sociale, difesa ambientale ecc.): oggi lo Stato è sottoposto di fatto alle “leggi del mercato”, con evidenti pericoli di degenerazione autoritaria. Ma le vere risposte potranno darle solo le lotte. Sarà bene precisare che nella mostra non c’è nulla che possa essere paragonato a una “fiction”: l’impatto emotivo di alcuni contenuti è legato esclusivamente alla loro funzione documentaria. Le immagini e alcuni testi («in corsivo») sono tratti da pubblicazioni e documenti originali dell’epoca. Senza pretendere una completezza e una profondità di analisi impossibili da ottenere con un tale mezzo divulgativo, la cura nella ricerca e nella scelta del materiale è tale da non temere critiche fondate sul piano storico e metodologico. Per verifiche, consultazioni e approfondimenti sono disponibili l’elenco puntuale delle fonti e un’ampia bibliografia. Pol Vice". 

Evento facebook: https://www.facebook.com/events/1534965006796111/


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Vedi anche:

Roberto Spazzali: «Gli istriani difendevano la patria. I migranti invece sono codardi»
http://www.ilgiornale.it/news/politica/istriani-difendevano-patria-i-profughi-invece-scappano-solo-1220213.html

Foibe, il ricordo a Bondeno. Spazzali: “Autodifesa è dovere”
http://www.estense.com/?p=525479

Se questo è un direttore di istituto storico della Resistenza. Roberto Spazzali e i guasti da «Giorno del Ricordo» (di Nicoletta Bourbaki / Giap, 11/2/2016)
Martedì 9 febbraio 2016, vigilia del Giorno del Ricordo 2016. Mentre stiamo ultimando l’articolo che state per leggere, Roberto Spazzali, direttore dell’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione del Friuli Venezia Giulia (Irsml-FVG), travolto dalle critiche per certe sue esternazioni di qualche giorno prima, chiede scusa pubblicamente...

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Fonte: pagina facebook "Irsml FVG", 9.2.2016
https://www.facebook.com/Irsml/posts/952545424798879

COMUNICATO STAMPA
In merito alle polemiche recentemente comparse, Roberto Spazzali riconosce di avere pronunciato una frase inopportuna che gravemente offende le condizioni di chi oggi fugge dalla morte. E se ne scusa.
Il Direttivo dell’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia, riunitosi il 9 febbraio 2016, prende atto delle dichiarazioni di Roberto Spazzali e si rammarica per una affermazione che non corrisponde alla linea culturale e ai valori coerentemente espressi nel tempo dall’Istituto stesso. Del pari si duole della strumentalizzazione che ne è sorta a più livelli.
Il presidente
Anna Maria Vinci

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http://www.italia-resistenza.it/in_evidenza/dichiarazione-del-cda-insmli-1936/

Dichiarazione del CdA INSMLI


16/2/2016

In seguito alle polemiche suscitate dall’intervento del direttore dell’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia (IRSML), Roberto Spazzali, pubblicato sul sito «ilgiornale.it», il Consiglio di Amministrazione dell’INSMLI ritiene di doversi dissociare totalmente e profondamente dalle parole espresse. Compiere un confronto e un paragone tra i rifugiati che giungono a centinaia di migliaia in questi mesi in Europa per sfuggire a guerre e crimini contro l’umanità e gli esuli che fuggirono dalla Jugoslavia nell’immediato dopoguerra, è un nonsenso storiografico. Ogni vicenda storica ha le sue premesse e le sue condizioni di svolgimento. Però imputare ai rifugiati di oggi di essere codardi e di non saper difendere le proprie terre è, oltre che un tesi storicamente insostenibile, un’offesa al senso di giustizia e di umanità. E’ improprio, antistorico e inaccettabile risuscitare fantasmi di irredentismi, nazionalismi e contese territoriali, in un mondo globalizzato in cui i fenomeni di migrazione di massa traggono origine da tragici conflitti armati, non solo locali, e da condizioni estreme di povertà e di disuguaglianza.
Il Comune di Trieste e la Regione Friuli Venezia Giulia sono stati e sono in prima fila per approntare, nei confronti dei rifugiati dalla Siria e dai conflitti mediorientali e dei migranti più in generale, politiche di accoglienza e di integrazione che sono spesso da prendere a modello. Comprendere le ragioni storiche e politiche di questo esodo massiccio e tragico che sta mettendo in crisi gli stessi equilibri europei è un compito che gli Istituti del movimento di liberazione possono e debbono portare avanti insieme alla loro molteplice attività.
Pur essendo evidente che, come quasi ogni anno, in occasione della Giornata del ricordo ci sia chi intende strumentalizzare quella data per le proprie polemiche politiche e ideologiche, occorre riconoscere che frasi come quella pronunciata da Spazzali sembrano fatte apposta per favorire strumentalizzazioni e polemiche. L’IRSML ha meritoriamente affrontato per anni la questione delle foibe e della violenza attorno al confine orientale italiano ed è quindi evidente che l’attenzione su quanto pensano e dicono i suoi organi dirigenti è maggiore, attorno al 10 febbraio, Giornata del ricordo, di quanto non sia altrove o in altri momenti. Ma maggiore è anche la sua responsabilità nel favorire una conoscenza storica e un dibattito che, sulla base di un riconoscimento delle verità storiche, anche le più scomode e in passato spesso neglette, possa favorire la crescita di una coscienza storica e civile soprattutto tra le giovani generazioni.
Il CdA è certo che gli organi dirigenti dell’IRSML saranno in grado di rispondere con chiarezza alle polemiche suscitate e di prendere le misure necessarie perché venga riaffermata, nell’autonomia e nella libertà che è propria di ognuno, la linea storiografica e culturale che è patrimonio di tutta la rete degli Istituti della Resistenza. Auspica che l’IRSML possa intensificare la collaborazione con gli altri istituti di ricerca storica della regione e con le università presenti sul territorio e nei vicini paesi di confine, per continuare a essere un punto di riferimento per giovani ricercatori, studiosi, insegnanti e studenti in un clima di collaborazione e di approfondimento dei tanti temi e problemi storici ancora aperti o che meritano di venire studiati e divulgati.


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Sulla vicenda della negazione della sala per il convegno di "Resistenza Storica" a Gorizia si veda alla pagina
http://www.diecifebbraio.info/2016/02/gorizia-1022016-11-anni-di-giorno-del-ricordo/

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Fonte: pagina FB di Marco Barone, 10.2.2016:
 
Grazie a tutte e tutti per la solidarietà e partecipazione! 
Ha fatto il giro della rete in fretta ed in furia il caso della revoca della sala da parte della Provincia di Gorizia. Decisione unilaterale del Presidente. Sala revocata a storici, studiosi, antifascisti che, muovendosi all'interno dei parametri della Legge sul giorno del ricordo, volevano parlare delle vicende complesse del confine orientale, e di tutto ciò che vi è connesso su questo giorno. Una delle cose che ha fatto più male, se non rabbia, è stato l'esempio posto in essere da parte del Presidente della Provincia di Gorizia, per giustificare e motivare la mancata concessione della sala: " È come se il giorno della memoria dell'olocausto concedessi una sala pubblica a chi lo nega". Come se fossimo dei nazisti che negano l'olocausto. Ragionamento che si pone in linea con quello fatto dal Presidente della Lega Nazionale di Gorizia, quando ha scritto, a proposito di questo caso che:"Cosa penseresti di una conferenza di Casa Pound il 25 Aprile?". Penso che non sono due cose paragonabili, due opposti enormi ed estremi. Presso il locale Aenigma di Gorizia si è svolta una partecipata assemblea. Si è parlato del giorno del ricordo, sono state smontate tutte le falsità e menzogne che ruotano in questo giorno e rinviando ad un convegno più grande ed importante che si svolgerà prossimamente a #Gorizia. La solidarietà che è pervenuta è stata importante e continua. Quanto accaduto a Gorizia avrà delle inevitabili ripercussioni politiche, e non solo. Non si può continuare a stare con un piede in due scarpe. La storia è una cosa seria, l'antifascismo pure. Si deve scegliere da che parte stare. E se il sedere sulla poltrona viene reputato più importante, ciò avrà ovviamente delle ovvie conseguenze.Oggi a Gorizia è stata data la migliore risposta a chi continua ad attaccare quella voce che nuoce al nazionalismo nostrano, questa risposta è stata la solidarietà, pervenuta da tutta Italia, ed una sala piena di persone e contenuti, in questo 10 febbraio del 2016 in una Gorizia dove la democrazia è stata sospesa. Ci potete anche togliere le sale, ma non il diritto di parlare, ed oggi, nonostante il tutto, abbiamo parlato. mb

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Ecco cosa scrive il Presidente della Provincia di Gorizia il 9 febbraio 2016 (fonte
https://www.facebook.com/enrico.gherghetta/posts/10208757420523663):

"Vorrei occuparmi di altro, ma visto che qualcuno fa disinformazione, chiarisco perché oggi ho negato la sala di Palazzo Attems per domani a una iniziativa negazionista sulle foibe.
Cominciamo con ricordare che..
《Il Giorno del ricordo è una solennità civile nazionale italiana, celebrata il 10 febbraio di ogni anno. Istituita con la legge 30 marzo2004 n. 92[1] essa vuole conservare e rinnovare «la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale》. (da Wikipedia)
Questo significa che il 10 febbraio si ricordano le foibe per legge dello stato italiano. Questo è un obbligo di tutte le istituzioni. Non a caso domani mattina sarò alle 11 a Monfalcone e poi nel pomeriggio a Gorizia, non a titolo personale ma come Presidente della Provincia. Ci sarei cmq andato anche a titolo personale perché mio nonno, Antonio Stefanini è stato prelevato e fatto sparire a Fiume il 8 maggio 1945.
Detto questo, preciso che le sale pubbliche sono un bene collettivo di tutta la comunità, e in questo senso, da quando ci sono io, vengono date a chiunque ne faccia richiesta senza esprimermi sulla condivisione delle singole iniziative. Il patrocinio viene invece dato solo a ciò che si condivide.
Nel caso in questione è lapalissiano che il giorno del ricordo previsto per legge non possa concedere una sala pubblica a chi nega la legge. 
È come se il giorno della memoria dell'olocausto concedessi una sala pubblica a chi lo nega.
Oltre a una evidente sensibilità politica che rispetta le memorie esiste un dovere istituzionale che non a caso il parlamento ha stabilito con legge.
Questo vuol dire che la sala pubblica sarà disponibile per chi vuole negare le foibe in uno degli altri 364 giorni dell'anno. Ma non il 10 febbraio.
D'altra parte se hanno una verità storica con fondamento, essa sarà valida anche il giorno dopo.
Abbiamo sempre fatto così con tutti e ogni altra considerazione è inutile. Mi auguro che i promotori rifacciano la domanda e avranno la sala, come tutti.
PS visto che non è mio costume nascondermi dietro un dito, dico anche della iniziativa in questione non condivido nulla."

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ENRICO GHERGHETTA, ESEMPIO DI PULIZIA ETNICA

Il comunicato di Gherghetta richiede una risposta ponderata ed organica, che stiamo elaborando.
Ma vorremmo fare intanto solo un paio di osservazioni. Egli parla di un nonno "infoibato" a Fiume nel maggio 1945, Antonio Stefanini. Ma questo nome non risulta in alcun elenco di scomparsi (neppure Wikipedia, che il presidente usa come gazzetta ufficiale).
Secondo punto. Gherghetta, che avrebbe avuto il nonno "infoibato" e sostiene la (fallace) teoria della "vera e propria pulizia etnica" che avrebbe colpito gli italiani in Jugoslavia, è nato a Fiume nel 1957 (segno che i suoi genitori vi sono vissuti serenamente almeno per dodici anni dopo la fine della guerra) ed è venuto in Italia dopo. 
Citando l'enciclopedia Treccani (più qualificata che non Wikipedia, che peraltro cita questa definizione) leggiamo la definizione di "pulizia etnica".
- Programma di eliminazione delle minoranze, realizzato attraverso il loro allontanamento coatto o ricorrendo ad atti di aggressione militare e di violenza, per salvaguardare l’identità e la purezza di un gruppo etnico -. 
Gherghetta è la prova vivente che in Jugoslavia non vi fu una pulizia etnica nei confronti della popolazione di lingua italiana. Altrimenti lui non sarebbe nato a Fiume, ma in Italia.

Claudia Cernigoi
10 Febbraio 2016


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ATTACCO FRONTALE DA FASCISTI E FASSINO CONTRO L'ANPI A TORINO

http://www.lastampa.it/2016/02/10/cronaca/fassino-vergognoso-lattacco-dellanpi-alla-giornata-del-ricordo-EWPD3Zkk3RCvTFpI7pF76O/pagina.html

Foibe, esuli contro partigiani: “Denigrano il nostro dramma”

Fassino: “Chi nega distorce i fatti compie un errore inaccettabile”

10/02/2016
ROBERTO TRAVAN

TORINO – «Nessuna interpretazione può cambiare i fatti: chi nega o cerca delle giustificazioni al dramma delle foibe e dell’esodo istriano, compie un errore inaccettabile». Non ha lasciato spazio il sindaco Fassino agli attacchi che puntuali, anche quest’anno hanno cercato di inquinare il «Giorno del ricordo».  
Fassino si è accodato con queste parole all’allarme lanciato da Antonio Vatta, presidente della Consulta regionale dell’Anvgd - l’Associazione che raccoglie in Piemonte gli esuli istriani. Che ieri mattina al Cimitero Monumentale (e poi in Sala Rossa), nella giornata dedicata agli italiani massacrati o costretti alla fuga dai partigiani jugoslavi di Tito, ha accusato i membri dell’Anpi di «aver avviato una dolorosa e ingiustificata campagna denigratoria, organizzando convegni e diffondendo documenti in cui negano il dramma che colpì la nostra gente alla fine della Seconda guerra mondiale».  
Vatta, 81 anni - a Torino dal 1951 dopo aver girovagato 12 anni nei campi profughi sparsi in Italia - nella cerimonia al Cimitero Monumentale non ha usato giri di parole. «Si continua ad offendere la memoria di chi ha pagato il prezzo più alto nel dopoguerra: perché noi abbiamo perso tutto e solo recentemente ci è stato restituito il diritto di ricordare alla luce del sole il nostro dramma». Vatta ha poi denunciato pubblicamente «il tentativo vergognoso dell’Anpi di negare quanto è accaduto in Istria, a Fiume e in Dalmazia: trecentomila persone costrette ad abbandonare terre abitate da generazioni. E altre migliaia barbaramente trucidate». Infine l’affondo: «È ora di finirla con chi riscrive la storia o la nega. Abitavamo quelle terre pacificamente da sempre, e non eravamo fascisti: dopo 70 anni sentirci dire ancora certe cose ci rattrista e ci preoccupa».  
Fassino ha sottolineato che «siamo qui per riaffermare l’inaccettabilità di ogni forma di negazionismo e di riscrittura della storia. E per riaffermare che al ricordo si deve accompagnare l’impegno di evitare che tragedie simili si ripetano, cosa non scontata come dimostra la storia recente».  
Il sindaco di Torino ha ribadito che dopo anni di silenzio «si è presa coscienza che una nazione ha il dovere di assumere sulle proprie spalle ogni pagina della sua storia e non c’è pagina che possa esser cancellata e negata. Chi fu ucciso nelle foibe e chi fu cacciato dalla sua terra lo fu solo perché italiano in quella che fu un’operazione di pulizia etnica»  

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<< Nel lontano 1997, quando ancora erano pochi coloro che si occupavano di foibe, ebbi modo di consegnare personalmente all'allora non so che ruolo ricopriva Piero Fassino, una mia analisi sulle falsità a proposito di foibe diffuse all'epoca dal mancato golpista (con Borghese) Marco Pirina, che in collaborazione con l'avvocato piduista Augusto Sinagra ed al magistrato che si faceva intervistare dal Secolo d'Italia Giuseppe Pititto, stava organizzando il processo contro gli "infoibatori" (poi conclusosi in una bolla di sapone, com'era prevedibile, ma che ci fece tribolare per diversi anni). Quindi Fassino non può dire di non sapere, ciò che fa lo fa perché ha consapevolmente scelto di farlo. >>

Claudia Cernigoi, 12.2.2016

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Fonte: pagina FB "Dieci Febbraio", 12.2.2016
https://www.facebook.com/diecifebbraio1947/posts/1677459949195463

Accade a Torino che il Presidente regionale dell'Anvgd, Antonio Vatta, attacchi l'Anpi. 
Si scopre poi che suo nipote, Luigi Vatta, è stato candidato e legale per Casa Pound ed è autore di libri presentati alla sede dell'Anvgd con lo zio Antonio (nella foto sono il terzo e il quarto).
http://www.anvgd.com/public/anvgd/Image/Luigi%20Vatta%20Fiume%202.jpg

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Fonte: http://www.anpitorino.it

COMUNICATO STAMPA

Spiace constatare come la celebrazione del Giorno del Ricordo a Torino si presenti con un attacco all’ANPI, come se questa Associazione fosse responsabile di quella terribile situazione sul Confine Orientale. 
E’ merito dell’ANPI semmai condurre un lavoro di riflessione e ricerca per approfondire responsabilità, cause ed eventi. E’ improprio che una riflessione sia vista come campagna di denigrazione.
Nessuno nega il dramma di quelle terre di confine, ma proprio per questo la storia non va riscritta da un solo punto di vista, per cui da alcuni anni l’ANPI, come altri soggetti, cerca di evitare semplificazioni e falsità.
Alla Città di Torino chiediamo di favorire commemorazioni che mettano a confronto più voci, perché il Giorno del Ricordo non può essere appannaggio dell’Associazione degli Esuli Istriani, come non devono esserci attacchi che ne inquinino il significato.
Aver sfruttato questa giornata per un improprio e ingiustificato attacco all’ANPI, non fa onore alla necessità che la memoria sia giusta e utile a superare equivoci e contrapposizioni.
La Presidenza ANPI Provinciale Torino
Torino, 11/02/2016

Comunicato della sezione Anpi V^ Riunite: http://www.anpitorino.it/sezioni/V%20Cicoscr/Comunicato%20della%20sezione%20%20ANPI%20V%20RIUNITE%20TORINO.pdf
Corriere della Sera del 19 gennaio 1944: http://www.anpitorino.it/documenti/Giorno%20Ricordo%20Corriere%20della%20Sera%2019-01-1944.jpg


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http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2016/02/11/news/il-carcere-del-coroneo-intitolato-agli-agenti-di-custodia-infoibati-1.12943236

Il carcere del Coroneo intitolato agli agenti di custodia infoibati

11 febbraio 2016 – Le carceri del Coroneo di Trieste saranno intitolate alla memoria del comandante Ernesto Mari e degli agenti di custodia in forza alle carceri giudiziarie Angiolo Bigazzi e Filippo Del Papa, che il 24 maggio del 1945 furono trucidati e infoibati nella cavità Plutone di Basovizza. A renderlo noto è Paolo Sardos Albertini, presidente della Lega Nazionale e del Comitato per i martiri delle foibe nel corso del suo intervento durante la commemorazione del Giorno del ricordo.
Sardos Albertini ha espresso «soddisfazione per questa decisione, oltre che per la recente modifica alla legge con la quale sono stati ampliati i termini per la richiesta del riconoscimento ai familiari degli infoibati, in precedenza fissati in dieci anni».
Presenti alla cerimonia della foiba di Basovizza, i rappresentanti delle Associazioni degli esuli. (...)
Infine, gli interventi del capogruppo del Partito democratico alla Camera dei deputati Ettore Rosato, per il quale «l’Italia esce dall’oblio per prendere consapevolezza di un passaggio drammatico e per troppo tempo ignorato della propria storia» e della deputata di Forza Italia Sandra Savino che ha posto l’accento sui «terribili crimini dei titini perpetrati a guerra conclusa: un eccidio tenuto a lungo nascosto e sottaciuto».(p. pit.)


Fonte: pagina FB de "La Nuova Alabarda", 12.2.2016
https://www.facebook.com/LaNuovaAlabarda/posts/351571285013444

IL CARCERE DEL CORONEO DEDICATO AGLI AGENTI DI CUSTODIA INFOIBATI

Ernesto Mari, Angelo Bigazzi e Filippo Del Papa furono "infoibati" nell'abisso Plutone da un gruppo di criminali comuni infiltratisi nella Guardia del popolo al momento dell'insurrezione. Il gruppo fu scoperto dalle autorità jugoslave ed i responsabili arrestati: il compianto, solerte, pseudoricercatore storico Marco Pirina (reduce dal fallito golpe di Junio Valerio Borghese) aveva superato se stesso mettendo questi nominativi sia nell'elenco degli aguzzini in quanto facevano parte della Guardia del popolo, sia nell'elenco degli "infoibati" in quanto arrestati dagli Jugoslavi e condotti a Lubiana per essere processati.
Ma vediamo le limpide figure di coloro ai quali sarà intitolato il carcere cittadino.
Nel maggio ’45 gli agenti di custodia Giuseppe Rovello e Paolo Lopolito denunciarono alle autorità jugoslave Angelo Bigazzi ed Ernesto Mari (comandante del corpo degli agenti di custodia del Coroneo) come responsabili di internamenti in Germania di altri agenti di custodia e perciò furono successivamente accusati di avere provocato arbitrariamente l’arresto dei loro superiori; furono giudicati ed infine assolti il 7/5/47 dalla Sezione Istruttoria della Corte d’Appello di Trieste. Dopo i recuperi dalla foiba Plutone, la vedova di Mari presentò un altro esposto contro i due, ed un nuovo processo fu celebrato nel ‘49 dal Tribunale Militare di Padova. La sentenza del 25/10/49 assolse i due imputati «in ordine al reato di concorso in insubordinazione con omicidio (…) per non aver commesso il fatto». Ambedue le sentenze riconoscono che «l’autorità militare jugoslava dette riconoscimento al Corpo delle Guardie del popolo, i cui componenti divennero così pubblici ufficiali – il 12 maggio 1945 – e che proprio in tal giorno vennero arrestati Mari e Bigazzi, onde solo per gli arresti eseguiti nei giorni precedenti si può parlare di illegittimità» (Sentenza Tribunale Militare di Padova d.d. 10/11/49).
Tra le circa 300 lettere scritte da vari cittadini alle autorità jugoslave nel maggio ‘45 per chiedere la liberazione di civili e militari arrestati, c’è un’unica segnalazione che non dice bene della persona cui si riferisce, anzi: «Il sig. Bigazzi per conto mio deve rimanere al lavoro perche (sic) squadrista». Firmato «Bembo Renato, già detenuto politico SS» (In Archivio di Roman Pahor, OZZ NOB 23). 
Lopolito, denunciato nel 1944 per indisciplina alle autorità germaniche da Bigazzi e Mari, presentò una memoria nella quale asseriva che mentre era agli arresti per indisciplina «il Sottocapo Bigazzi andò a visitarlo più volte per dirgli che, come vedeva, aveva mantenuto la parola d’inviarlo in Germania, e che Mari la sera precedente la partenza» gli disse: “Come vedi ti ho fatto seguire la via dell’agente Leone (Salvatore Leone fu deportato a Buchenwald dove rimase 18 mesi; presentò una denuncia contro chi riteneva responsabili del suo arresto, tra i quali Mari, conservata in AS 1827 F 871/I, n.d.a.): domani partirai per la Germania”». 
Prosegue la sentenza: «il 18 agosto effettivamente Lopolito veniva deportato e dopo avere subito maltrattamenti e digiuno al campo di concentramento, poté rientrare a Trieste, nei primi del maggio 1945 in miserevoli condizioni. Nessun dubbio pertanto nel Lopolito che causa delle sue sofferenze fossero stati proprio Mari e Bigazzi».
Inoltre si legge che alla vedova dell’agente Tafuro, che era stato deportato in Germania, era stato detto, il 27/4/45 che il marito stava per tornare ed allora «era andata a pregare il Mari stesso perché intervenisse con la sua opera per far tornare suo marito. A tale preghiera il Mari dichiarò che aveva fatto quanto era nelle sue possibilità e che pertanto non poteva più far nulla, che nessuna colpa egli aveva dell’internamento; e poiché la Tafuro, disperata, alzò il tono di voce egli, prendendola per un braccio la minacciò: “stia zitta, che se no, la faccio finire in Germania anche lei”». Lo stesso giorno la donna ricevette la comunicazione che il marito era morto in Germania il 3 marzo; fu per questo motivo che alcuni giorni dopo si consultò con Rovello e sporse denuncia contro Mari.


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Fonte: pagina FB de "La Nuova Alabarda", 12.2.2016
https://www.facebook.com/LaNuovaAlabarda/photos/a.115168005320441.1073741826.115049368665638/351486738355232/?type=3
 
IL GIORNO DEL RICORDO CHE PIACE ALLE ISTITUZIONI

Nella foto sotto, tratta dalla pagina del Primorski Dnevnik (http://www.primorski.it/stories/trst/252903_faistini_simboli_v_bazovici/#.VrzZrvnhCM8) si vedono, nel corso della cerimonia ufficiale presso la foiba di Basovizza (dove, ricordiamo, l'unico "infoibato" fu un torturatore al servizio del nazifascismo) alla presenza della autorità civili e militari, sindaco Cosolini e governante (governatrice ci pare pacchiano) Serracchiani in testa, esposti nell'ordine i seguenti labari e bandiere.
Alpini Tagliamento (reparto autonomo della RSI); Decima Mas (conosciuta, si spera); bandiera ufficiale della RSI con l'aquila di Salò; seminascosto il labaro dell'Arma Milizia (rappresentante di tutti i corpi armati fascisti oggi fuorilegge).
La bandiera tricolore con simbolo giallo, essendo poco visibile, non l'abbiamo identificata, ma dovrebbe essa pure appartenere alla RSI.

Ecco spiegato il motivo per cui qualcuno viene tacciato di "negazionista": perché talune istituzioni di questa repubblica hanno evidentemente deciso di violare sistematicamente le leggi che vietano l'apologia del fascismo.


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Forsennata ricerca di una nuova foiba nel Goriziano... o forse no

Fonte: Il Messaggero Veneto, 16.2.2016

TITOLO: «A giorni le indicazioni per trovare la foiba»
OCCHIELLO: Il presidente della Lega Nazionale di Gorizia conferma le anticipazioni. Nel documento rimasto segreto si indicano anche i responsabili della strage

di Giulia Zanello – «Stiamo facendo riferimento a un documento di massima ufficialità e attendibilità, secretato da settant’anni nell’archivio del ministero degli Affari esteri. E sì, si può parlare di foiba, perché il terreno individuato è roccioso. Entro la fine di questa settimana o nei primi giorni della successiva sarà svelato il punto preciso». Il presidente della Lega Nazionale di Gorizia, Luca Urizio, replica con queste parole al presidente dell’Anpi provinciale, Dino Spanghero, intervenuto domenica, durante la cerimonia di commemorazione dei 23 partigiani fucilati l’11 febbraio davanti al cimitero di San Vito, sul caso scoppiato sulla presunta esistenza di una foiba nella zona di Rosazzo. Un incartamento che “pesa”, dunque, secondo Urizio, che arriva dalla Farnesina e indica che nella zona rocciosa, situata nel cuore dei Colli Orientali a cavallo tra le province di Udine e Gorizia, sarebbero state gettate, nel 1945, tra le duecento e le ottocento persone. Ma il giallo potrebbe essere presto risolto. «Finora sono stato molto vago perché le autorità mi hanno chiesto di mantenere il massimo riserbo - precisa Urizio -. Le indagini (che vedono collaborare i carabinieri della Compagnia di Palmanova, ndr) sono in corso e spero al più presto di poter fornire informazioni più dettagliate in merito al punto esatto. È questione di giorni». (...)

DUE GIORNI DOPO IL TITOLO ONLINE VIENE CAMBIATO E L'ARTICOLO MODIFICATO: La Lega Nazionale: "A giorni le indicazioni per trovare la foiba di Manzano"» [SIC - hanno cambiato zona...]

di Giulia Zanello – ...

ALTRO PEZZO – TITOLO: Il figlio di “Annibale”: non ne abbiamo mai sentito parlare
OCCHIELLO: Vanni Donato: le informative non hanno fondamento di verità. «Dubito che mio padre si sia portato nella tomba un segreto così»

di Davide Vicedomini – «Mio padre non mi ha mai parlato di una fossa comune a Rosazzo. E anche mia madre, che tuttora ha 97 anni, è rimasta colpita da questa notizia. Stento a credere che papà si sia portato nella tomba un segreto del genere». Vanni Donato è il figlio di Dante, nome di battaglia “Annibale”. Dante viene citato nell’incartamento della Farnesina come persona informata dei fatti della “presunta foiba” nel cuore del Collio dove sarebbero sepolte tra le «200 e le 800 persone». (...) «Essendo comandante degli Osovani e sindaco in pectore, visto che di lì a qualche mese avrebbe guidato il paese, probabilmente qualcuno lo riteneva una persona informata dei fatti. Ma, ve lo posso assicurare, che di un simile massacro non ho mai sentito parlare in casa. Me lo sarei ricordato, eccome, a meno che qualcuno non abbia ritenuto il caso di tenere lontani da queste notizie me e mio fratello, essendo piccoli». Vanni comunque un’idea se l’è fatta di tutta la vicenda. «Ho lavorato nell’esercito – conclude – e quel documento è un’informativa. E le informative sono un classico “si dice per sentire dire”. Non hanno alcun fondamento di verità».



Una guerra di aggressione che non ha spazio in TV


YEMEN, LA GUERRA CRIMINALE DEI SAUDITI


Speciale PandoraTV, 16/02/2016


ESCLUSIVO – Leader yemenita incontra Pandora TV e racconta la grave situazione nel martoriato paese della penisola arabica, lo Yemen: la Porta del Mar Rosso che intrappola 25 milioni di abitanti nei giochi geopolitici sauditi. Un drammatico appello all’opinione pubblica mondiale e ai giornalisti occidentali: “dove siete, mentre distruggono il nostro paese?”


VIDEO: http://www.pandoratv.it/?p=6254
oppure: https://www.youtube.com/watch?v=XG5YWGfEgPc

(english / italiano)

Pulizia etnica *dentro* il "tribunale" dell'Aia

1) Bosnian Serb military commander Zdravko Tolimir dies in Hague tribunal’s jail (RT, 9 Feb, 2016)
2) La Serbia invia al Tribunale dell’Aia una nota di protesta (Serbian Monitor / RTS 12.2.2016)
3) FLASHBACK: Murder at The Hague? The strange case of sick & suicidal Serbs (by Neil Clark, 29 Oct, 2015)


Sullo stesso argomento si vedano anche / see also:

ONE MORE DEAD AT THE HAGUE (JUGOINFO, 25 ott 2015)
Juergen Elsaesser: "LA STRADA DEL TRIBUNALE È COSPARSA DI CADAVERI" (13 marzo 2006)
COMMENTI, ANALISI ED ALTRI TESTI SUL "TRIBUNALE AD HOC"


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Bosnian Serb military commander dies in Hague tribunal’s jail

Published time: 9 Feb, 2016 18:03

General Zdravko Tolimir, one of the top commanders in the Army of Republika Srpska during the Bosnian War, has died in The Hague detention center. He had been sentenced to life in prison in 2012 for “war crimes against Bosnian Muslim population.”
The cause of death has not been reported, although last February Tolimir told the court that he had had four stents placed in his heart, according to Reuters.
“He was taken ill at the court’s detention center at around 9 pm last night,” Reuters cites the tribunal’s spokesman, Nenad Golcevski, as saying. “He received medical attention but he passed away.”
Tolimir was due to be transferred to a prison in one of the Hague Tribunal’s sponsoring countries, but died at the age of 67.
“This is a grave loss not only for the family and friends but also for all Serb people,” said Milorad Dodik, president of Republika Srpska, Bosnia’s autonomous Serb Republic.
During the Bosnian War of 1992-1995, commander Tolimir (b.1948) was intelligence chief for the main headquarters of the Army of the Serb Republic (VRS), where he supervised security affairs and reported directly to VRS commander General Ratko Mladic.
Tolimir appeared before the International Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia (ICTY) in 2007, accused of involvement in the alleged murder of 8,000 Muslim men in Srebrenica in July of 1995.
After years of trial, in April 2015, the Hague Tribunal’s appeals chamber handed Tolimir a life sentence for committing war crimes against the citizens of Srebrenica.
However, ICTY acquitted him of genocide in Zepa, another UN-protected “safe area” taken by Serbs in the last year of the Bosnian War.
Zdravko Tolimir used to be “the right-hand man of the Bosnian Serb commander Ratko Mladic and sometimes knew more than Mladic himself,” the presiding judge, Theodor Meron, said during the original trial, stressing that a life sentence was appropriate in Tolimir’s case due to the gravity of his crimes.
“The accused had knowledge and was aware of the genocidal intent of the Bosnian Serb leadership and was responsible for genocide,” the judge said.
However, this opinion was not shared by the entire panel. Judge Prisca Matimba Nyambe of Zambia said the evidence against Tolimir was “entirely circumstantial, based on presumptions, suppositions”.
“There is no evidence linking him to the crimes perpetrated by his subordinates, nor does the evidence demonstrate that he knew that those crimes were being perpetrated,” Nyambe wrote , adding that she was “wholly unpersuaded” of Tolimir’s guilt in any of the charges alleged in the indictment.
Tolimir himself always insisted he was conducting a military operation against Bosnian Muslim “terrorist groups” that were attacking the Serb civilian population.
The ICTY was established in 1993 to put those on trial who were accused of committing war crimes and crimes against humanity following the break-up of multi-ethnic Yugoslavia. Armed conflicts on the territory of Yugoslavia’s successor countries lasted throughout most of the 1990s and resulted in death of more than 130,000 people, according to a number of independent assessments.
Several ICTY defendants died during the course of their trials in The Hague, among them former Yugoslav President Slobodan Milosevic, who passed away in the court’s custody on March 11, 2006, before the completion of his four-year trial.
The Krajina Serb leader Milan Babic allegedly committed suicide in The Hague on March 5, 2006, only six days before Milosevic’s death,
In August of 2015, after being transferred to Lisbon prison unit, General Mile Mrksic, a former officer in the Yugoslav National Army, became the first to die outside of Scheveningen.
In October of 2015, Dusan Dunjic, a defense witness in former Bosnian Serb general Ratko Mladic’s case, was found dead at his hotel in The Hague just hours before he was to testify in court.
Other Serb nationals who died in ICTY detention centers are General Djordje Djukic (died 1996), Croatian Serb leader Slavko Dokmanovic (died 1998); Milan Kovacevic, former mayor of Prijedor (died 1998), General Momir Talic (died 2003); and Miroslav Deronjic, a Bosnian Serb official (died in Sweden in 2007).
Ratko Mladic, commander of the RS Army and Tolimir’s former boss, still remains on trial.

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La Serbia invia al Tribunale dell’Aia una nota di protesta

Posted on 12/02/2016 by Biagio Carrano

Il primo ministro serbo Aleksandar Vucic ha inoltrato al Tribunale Penale Internazionale dell’Aia una nota di protesta in relazione al comportamento da essa tenuta nei confronti dei rappresentanti serbi.
Vucic nella note richiede che il TPI rispetti la Serbia e non applichi doppi pesi nei confronti del paese, in particolare la Serbia non accetta che alcuni interrogatori vengano tenuti nei tribunali dei paesi di origine degli imputati, come concesso ad alcuni paesi. Vucic ricorda inoltre nella nota tutte le garanzie che ha dato la Serbia in merito al rilascio temporaneo di alcuni imputati al fine di curarsi, impegni che il Tribunale ha ignorato. Vucic ha concluso che i negoziati tra serbia e TPI riprenderanno quando questo organo dimostrerà di rispettare la Serbia.
A esplicita domanda dei cronisti Vucic ha risposto che “la vita del generale Zdravko Tolimir è molto più importante di tuttele richieste del TPI”. Anche il minsitro della giustizia Nikola Selakovic ha comunicato che invierà una nota di protesta: “La Serbia da decenni collabora con il TPI e vi sono tante prove di ciò ma merita di essere trattata come uno stato sovrano”.
Il Tribunale Penale Internazionale non ha risposto a una nota della Repubblica di Serbia dell’ottobre 2015 in cui si chiedeva il rilascio temporaneo del generale Zdravko Tolimir per consentirgli di sottoporsi a cure mediche mentre qualche giorno fa alla richiesta del TPI di procedere all’arresto di tre membri del partito radicale serbo il presidente del Tribunale Alphonse Orie non ha consentito al rappresentante della Serbia di intervenire in dibattimento.

(RTS, 12.02.2016)


=== 3: FLASHBACK ===


Murder at The Hague? The strange case of sick & suicidal Serbs

Neil Clark is a journalist, writer, broadcaster and blogger. He has written for many newspapers and magazines in the UK and other countries including The Guardian, Morning Star, Daily and Sunday Express, Mail on Sunday, Daily Mail, Daily Telegraph, New Statesman, The Spectator, The Week, and The American Conservative. He is a regular pundit on RT and has also appeared on BBC TV and radio, Sky News, Press TV and the Voice of Russia. He is the co-founder of the Campaign For Public Ownership @PublicOwnership. His award winning blog can be found at www.neilclark66.blogspot.com. He tweets on politics and world affairs @NeilClark66
Published time: 29 Oct, 2015 12:27

A Serb dies suddenly- and at the worst time possible time - during an important war crimes trial at The Hague. Does that sound familiar? 
The death of Dusan Dunjic, a forensic pathologist who was found dead in his room in the Crown Plaza Hotel just hours before he was due to testify as a key defense witness in the trial of the Bosnian Serb Ratko Mladic - unsurprisingly led some to think back to the sudden death of the former Serb President and President of Yugoslavia, Slobodan Milosevic in 2006.
Although an autopsy found that Dunjic- whose body was found by a member of the hotel staff and a representative of the Hague tribunal died of natural causes, it has been reported that the deceased’s family in Serbia, and family doctors don’t believe the ’natural causes’ explanation- with friends pointing out the 65-year-old was ‘as fit as a fiddle‘. There were also conflicting reports about where Dunjic’s body was found- one had him on a chair in his room, the other lying on the floor.
Certainly the timing of Dunjic’s death is disastrous for Mladic- who is charged with genocide, war crimes and crimes against humanity. Anyone concerned with justice, and making sure that all the evidence is gone through as thoroughly as possible when such serious crimes are being discussed, should regret the forensic pathologist’s absence from the court room.

Now if two Serbs die sudden and untimely deaths at The Hague/Scheveningen, we could put it down to coincidence. People die - and being on trial for war crimes or even testifying in such trials - is a stressful experience.
The trouble is we’re not just talking about Dunjic and Milosevic. There have been a number of strange deaths of Serbs involved with war crimes trials at The Hague, and they have tended to come at extremely convenient moments for the prosecution side. Some would say there‘s simply been too many dead bodies now to explain them all away as ‘coincidences‘.
Just imagine, as Nina Byzantina pointed out in a Twitter message, if this had all happened in Russia. At trials in which the Russian state had desperately wanted a conviction. Then I’m sure the sudden deaths of people, at key moments of the trial, would be blamed on government forces.

But these are Serbs dying under mysterious circumstances in Western Europe, in a NATO member state, so of course there can be no question of foul play! Or at least, that is what we are encouraged to think. I’d argue that at the very least we ought to be keeping an open mind, and not ruling out the possibility that some dark forces have been at work here, at least for some of the cases. After all, the stakes are very high, and NATO needs Serbs, the official ’Bad Guys’ for defying Western hegemonic ambitions in the Balkans in the 1990s, to be found guilty. But what happens when the evidence just isn‘t there?
Below is a commissioned article I wrote for a leading British newspaper over ten years ago in which I closely examined the (seemingly) sensational claims that Slobodan Milosevic was being slowly murdered in The Hague. The piece was not published. Perhaps the newspaper thought that the claims would be dismissed as ‘conspiracy theory’- or they were worried of official comeback. I don’t know. But it makes for an interesting read now, knowing that Milosevic did indeed die while held captive, and with doubts being raised over the death of the latest Serb not to leave The Hague alive.

Is Milosevic being slowly murdered at The Hague?
Slobodan Milosevic is being slowly murdered at The Hague. So claims Sloboda, or ‘Freedom,’ the Serbian pressure group at the forefront of the international campaign for the release of the former Yugoslav President.
Many will dismiss their allegations as the paranoid fantasies of conspiracy theorists. Others will believe it is all part of a plot engineered from his prison cell by Milosevic himself, anxious to evade charges of genocide, war crimes and crimes against humanity. I am not so sure. A closer examination of recent events at The Hague reveals that the claims may not be as outlandish as they first appear.
To say that the trial of Milosevic has not gone well for the NATO powers that support and finance the Tribunal would be a major understatement. The prosecution opened its case in February 2002 in a fanfare of publicity, with Chief Prosecutor Carlo Del Ponte announcing 66 charges against the ex-Yugoslav President and accusing him of “crimes of medieval savagery.”
But the brutal truth is that up to now, Del Ponte's team of prosecutors have failed to produce a single shred of convincing evidence linking Milosevic to the crimes he is accused of. 'Star' witness Ratomir Tanic was exposed as being in the pay of Western security forces, whilst ex-Yugoslav secret police chief Rade Markovic, the man who was finally going to spill the beans on Milosevic and reveal how his former master had ordered the expulsion of ethnic Albanians from Kosovo, in fact did the opposite and testified that he had been tortured to tell lies and that his written statement had been falsified by the prosecution.
Milosevic, in carrying out his own defense, has, as even his enemies concede, been brilliant in rebutting the charges against him and in cross-examining witnesses. His demeanor in court has shattered the traditional Western image of him as a crazed, comic book tyrant: the 'Butcher of the Balkans' of popular mythology. Milosevic has also made some highly damaging revelations in court about the extent to which Western security forces collaborated with groups in the Balkans linked to Al-Qaeda.
He has quoted the testimony of J.T. Caruso, the assistant director of the FBI counter-terrorism division who confirmed that Osama bin Laden's organization had supported 'Islamic fighters' in Bosnia and Kosovo. He has revealed how CIA money was diverted via Geneva, to fund the operations of these 'Islamic fighters' in the Balkans and how SAS units set up training camps in Northern Albania to train the terrorists of the Kosovan Liberation Army to shoot Yugoslav state officials.
The authorities at The Hague appear to have a major dilemma. Clearly a guilty verdict against Milosevic on the basis of the 'evidence' so far would be such a blatant miscarriage of justice that everyone who has been following the trial would see it as a politically motivated verdict. Yet acquitting Milosevic and allowing him to return home to Serbia a hero and able to rebuild his political power base would be a disastrous outcome for those politicians in the West, like Tony Blair, who are happy to pin the blame on ‘Slobo’ for all the bloodshed in the Balkans this past decade.
Milosevic's death in custody would clearly solve a few problems. In his defense, Milosevic plans to call over 1,500 witness, including Bill Clinton (who brokered the Dayton Agreement with the Serb leader in 1995), President Chirac of France and Britain's Lord Owen in an attempt to reveal the full extent of the West's involvement in the break-up of Yugoslavia. For many powerful figures in the West, the sooner Milosevic can be removed from the court room, the better.
There is no doubting that Milosevic's health has seriously deteriorated during his time at The Hague. The demands of the trial, plus the enforced separation from his wife and family have had a damaging effect on the physical well-being of a 62 year old prisoner confined to a 9ft by 15ft cell. But despite suffering from high blood pressure and complaining of fatigue, it was only in July 2002 that the Tribunal finally permitted doctors, albeit non-specialists, to examine Milosevic. The doctors' medical report described Milosevic as “a man with severe cardiovascular risk which demands future monitoring.” The recommendation was that the patient's workload be reduced and he be given more opportunity for rest. The Tribunal did not carry out the doctors' advice. Instead they did exactly the opposite.
Milosevic's workload was not reduced, but increased, with an extra three hours being added to the trial each day. Lunch break for the ex-President of Yugoslavia was sitting in a basement with only a sandwich for nourishment. Arriving back to jail so late in the evening, he was given a choice of either a dinner or a walk in the fresh air, but not both.
Instead of being given the vegetarian-centered diet recommended for heart patients, he was fed low quality, greasy food. The window in his cell was hermetically sealed, depriving him of fresh air. As if all this were not damning enough, a Dutch newspaper, NRC Handelsblad revealed that during this period, Milosevic was actually being given the wrong drugs for his medical condition. Drugs which, instead of reducing his blood pressure, in fact caused it to rise very quickly.
This astonishing revelation, which went almost unreported in the British media, was subsequently confirmed by sources within the jail. The Tribunal though refused to discuss the issue on grounds that it was “about the privacy of the defendant.” It is very difficult to escape the conclusion that the authorities at The Hague were deliberately trying to give Milosevic a heart attack. They very nearly succeeded.
In October 2002, Milosevic was taken ill, with an attack of unusually high blood pressure. The trial was then postponed, and finally on 15th November, over a fortnight later, Milosevic was allowed to be examined by a cardiologist for the first time. Dr Van Dijkman found “essential hypertension with secondary organic damage.” He reported that in recent weeks, there had been “steep increase” in Milosevic's blood pressure - to around 220/130mm Hg. He concluded that “with a combination of sufficient rest and medication the level of Milosevic's blood pressure will be an acceptable one.”
Having brushed off the concerns about Milosevic's health from an independent team of German physicians, Judge Carlo Jorde, the President of the Tribunal stated, in a letter to the Freedom Foundation of Belgrade, that Milosevic was receiving “close medical attention of a high quality from the medical staff of the UN Detention Centre.” But what actually does Mr. Jorde mean by “close medical attention of high quality”?
The truth is, not very much. At The Hague “close medical attention” amounts to a weekly visit of a prison doctor and a daily visit of a nurse who brings the pill (but as we know not necessarily the right one). The nurse incidentally doesn't come at weekends.
In 2003, albeit belatedly, Milosevic’s trial burden was lessened, with the number of weekly sessions reduced. But to counter balance this, the volume of material produced by the prosecution has increased from the already existing 500,000 pages of A4 by another 400,000, all of which Milosevic was expected to deal with in the three months he was given to prepare for his defense. This would be a Herculean and stressful task for a young man in the prime of health, let alone a sexagenarian with a serious heart condition. Not surprisingly, with the workload placed upon him, Milosevic’s condition continues to worsen.
Last week, Milosevic’s illness caused the start of his defense to be postponed, until the 16th July. If Milosevic were to die at The Hague, as seems increasingly probable, he will not be the first Serb inmate to do so in suspicious circumstances.
Five years ago, there was the 'unfortunate' suicide of Slavko Dokmanovic. Dokmanovic died just a week before he was due to be sentenced and had every reason to be optimistic of an acquittal, so weak had been the prosecution's case. The Hague Tribunal have to this day not satisfactorily explained why a man who they later said had been on 'suicide watch' had been left in his cell with a tie and manual razor.
Also in 1998, there was the death in custody of Dr Kovacevic, accused of war crimes in Bosnia. Although having a heart condition Kovacevic received similar treatment to Milosevic in jail, leading the prominent cardiologist who examined him to warn “the UN won't have time to judge him because his heart will go beforehand if he remains in prison.”
Sure enough, Kovacevic, like Dokmanovic, died shortly before he was to receive his sentence. Despite complaining about stomach pains and in his agony wailing so loudly that all the other inmates could hear him, Kovacevic remained unattended in his cell for a full five hours before the prison guards eventually arrived to find his corpse.
No doubt Kovacevic, like Milosevic had been assured of the “close medical attention of the highest quality” by the tribunal.
There are those who will no doubt question whether it matters if The Hague authorities are deliberately trying to kill Milosevic: that he is a man who does not deserve too much of our sympathy. But they are missing the point. Terrible crimes were committed in the Balkans over the last decade, and it is only right that these crimes should be thoroughly investigated and those responsible, of whatever nationality, should be held accountable. However, all men are innocent until proven guilty, and Slobodan Milosevic is no exception.
Tony Blair described the war against Yugoslavia as a war for “civilized values”. If trying to kill a prisoner in custody because you lack evidence to convict him and it is politically inexpedient to release him is an example of “civilized values,” then surely we are all in trouble.

POSTSCRIPT:
Slobodan Milosevic was found dead in his cell at The Hague at 9am on the morning of March 11, 2006. The ICTY had recently refused a request for Milosevic to go to Russia to have specialist medical treatment for his heart condition.
An autopsy took place, but it was carried out without the presence of the independent medical team sent by the Milosevic family. Neither were Russian doctors allowed access to Milosevic’s body and tissue samples.
The ICTY’s official report into Milosevic’s death stated: “These investigations have confirmed that Mr. Milosevic died of natural causes from a heart attack and that there was no poison or other chemical substance found in his body that contributed to the death.”

However, a tribunal registrar did confirm that traces of rifampicin, a tasteless, odorless drug which can easily be administered in food without the subject knowing anything about it, was found in Milosevic’s blood in a test on 12th January. Although no rifampicin was found in Milosevic’s blood at the autopsy that doesn’t mean it wasn’t there earlier that week. As the district public prosecutor explained: "Rifampicin disappears from the body quickly, and the fact that no traces were found implies only that it is not likely that rifampicin had been ingested or administered in the last few days before death.”
Could Milosevic have been murdered through the administration of rifampicin? The answer is an emphatic Yes.

In an article on Milosevic’s death in the London Times, British doctor and former MP, Thomas Stuttaford OBE, described the use of rifampicin as “a cunning way to kill a man which needs no expertise,” and explained how the drug could have been used to negate the effects of the medication Milosevic was taking for his heart condition.
“In this case, rifampicin was apparently used to block the pathway for heart medication… You don't have to be terribly skilled to establish which drugs interfere with others. They are listed in a reference book called Martindale's and any would-be poisoner could have looked up the pharmacology of the drugs that Milosevic was being prescribed and discovered those that used the same pathways.” Stuttaford wrote.
Less than 72 hours before he died, Milosevic had written a letter to the Ministry of Foreign Affairs of the Russian Federation, in which he expressed his fears that he was being poisoned.
"I think that the persistence, with which the medical treatment in Russia was denied, in the first place is motivated by the fear that through careful examination it would be discovered, that there were active, willful steps taken, to destroy my health, throughout the proceedings of the trial, which could not be hidden from Russian specialists. 
In order to verify my allegations, I'm presenting you a simple example which you can find in the attachment. This document, which I received on March 7, shows that on January 12th (i.e. two months ago), an extremely strong drug was found in my blood, which is used, as they themselves say, for the treatment of tuberculosis and leprosy, although I never used any kind of antibiotic during this five years that I'm in their prison.
Throughout this whole period, neither have I had any kind of infectious illness (apart from flu). Also the fact that doctors needed two months (to report to me), can't have any other explanation than we are facing manipulation. In any case, those who foist on me a drug against leprosy surely can't treat my illness; likewise those from which I defended my country in times of war and who have an interest to silence me."
The full text of Milosevic’s letter can be read here.
The death of the former President of Yugoslavia was not the only one at the Scheveningen detention center that week. Only six days earlier, on March 5th, another Serb, Milan Babic, was found dead in his cell.
"The Dutch authorities were called immediately. After conducting an investigation, they confirmed that the cause of death was suicide," the tribunal said in a statement. But a tribunal spokesperson also admitted that there was no indication that Babic had been contemplating suicide.
At the request of Babic’s family, an autopsy was conducted at the Netherlands Forensic Institute, which revealed that the prisoner “had also suffered a heart attack at about the same time as the hanging.”
“The final autopsy conclusion discloses that the precise cause of the death of Mr. Babic has not been determined,” stated the ICTY report into Babic’s death. The report also noted: “A question was also raised concerning the consistency of a ligature mark on the neck with the belt provided to the pathologists by the investigative police.”
As yet another Serb dies suddenly at The Hague; it’s surely time for a full, independent inquiry into all of the suspicious deaths which have taken place in and around the ICTY.
For if the ‘conspiracy theories’ are right, and people are being put to death there to serve certain political agendas, we have a right to know.





Febbraio 2011–2016

1) Febbraio 2011: quando la polizia italiana non impedì l'attacco all'ambasciata libica 
2) Bandiera Usa sull’Europa / Libia, il piano della conquista (Manlio Dinucci su il manifesto)
3) Ecco perché hanno ammazzato Gheddafi. Le email Usa che non vi dicono (C. Messora, 9.1.2016)
4) Attacco dell'Islam radicale in Europa: lungimirante la “profezia” di Gheddafi (Sputnik, 8.1.2016)


Vedi anche:

Assalto all'ambasciata libica a Roma (Libera.Tv, 23 feb 2011)
ASSALTO ALL'AMBASCIATA LIBICA A ROMA, 23 febbraio 2011.

Il sogno di Muammar Gheddafi: fornire acqua fresca a tutti i libici e rendere la Libia autosufficiente nella produzione alimentare (Enrico Vigna, ottobre 2015)
I libici la chiamavano l'ottava meraviglia del mondo. I media occidentali lo hanno definito il capriccio e il sogno irrealizzabile di un cane rabbioso. Il "cane rabbioso" nel 1991 aveva profeticamente detto circa la più grande impresa di ingegneria civile nel mondo...


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Febbraio 2011: quando la polizia italiana non impedì l'attacco all'ambasciata libica

Quando al grido di "Allah U Akbar" (ironia della storia) e "ammazzate Gheddafi", lo stato italiano lasciò l'ambasciata libica in balia degli assalitori

 
La polizia italiana non è forse tenuta a proteggere le sedi delle ambasciate? E se scientemente non lo fa, qualcuno viene
punito? 

Ricordiamo questo fatto di cinque anni fa. Il 23 febbraio 2011 a Roma in via Nomentana manifestanti al grido di Allah U Akbar e ammazzate Gheddafi, durante una manifestazione - autorizzata? non autorizzata?... - assaltarono in libertà l'ambasciata dell'allora Jamahiryia araba libica. Usando come scala una camionetta della polizia - le forze dell'ordine erano presenti in tenuta antisommossa- si arrampicarono sul muro, gettarono alla folla urlante la bandiera verde (che fu bruciata seduta stante) e vi sostituirono quella monarchica, attualmente in uso. Si vede tutto qui: https://www.youtube.com/watch?v=5f-H8ebC6OE
Immaginiamo cosa sarebbe successo se qualcuno avesse provato ad assaltare l'ambasciata Usa. Beh...non sarebbe successo niente, nel senso che lì non ci si può nemmeno avvicinare. Nemmeno in condizioni normali. Nemmeno passeggiando.
 
Marinella Correggia
08/02/2016


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L’arte della guerra
 
Bandiera Usa sull’Europa

Manlio Dinucci
 
Partecipando (come ormai d’obbligo) all’incontro dei ministri della difesa Ue il 5 febbraio ad Amsterdam, il segretario della Nato Jens Stoltenberg ha lodato «il piano degli Stati uniti di accrescere sostanzialmente la loro presenza militare in Europa, quadruplicando i finanziamenti a tale scopo». Gli Usa possono così «mantenere più truppe nella parte orientale dell’Alleanza, preposizionarvi armamenti pesanti, effettuarvi più esercitazioni e costruirvi più infrastrutture». In tal modo, secondo Stoltenberg, «si rafforza la cooperazione Ue-Nato». 

Ben altro lo scopo. Subito dopo la fine della guerra fredda, nel 1992, Washington sottolineava la «fondamentale importanza di preservare la Nato quale canale della influenza e partecipazione statunitensi negli affari europei, impedendo la creazione di dispositivi unicamente europei che minerebbero la struttura di comando dell'Alleanza», ossia il comando Usa. 

Missione compiuta: 22 dei 28 paesi della Ue, con oltre il 90% della popolazione dell’Unione, fanno oggi parte della Nato sempre sotto comando Usa, riconosciuta dalla Ue quale «fondamento della difesa collettiva». Facendo leva sui governi dell’Est, legati più agli Usa che alla Ue, Washington ha riaperto il fronte orientale con una nuova guerra fredda, spezzando i crescenti legami economici Russia-Ue pericolosi per gli interessi statunitensi. In tutta l’Europa orientale sventola, sul pennone più alto, la bandiera a stelle e strisce assieme a quella della Nato. 

In Polonia, la nuova premier Beata Szydlo ha ammainato dalla sue conferenze stampa la bandiera della Ue, spesso bruciata nelle piazze da «patrioti» che sostengono il governo nel rifiuto di ospitare i rifugiati (frutto delle guerre Usa/Nato), definiti «invasori non-bianchi». In attesa del Summit Nato, che si terrà a Varsavia in luglio, la Polonia crea una brigata congiunta di 4mila uomini con Lituania e Ucraina (di fatto già nella Nato), addestrata dagli Usa. 

In Estonia il governo annuncia «un’area Schengen militare», che permette alle forze Usa/Nato di entrare liberamente nel paese. 

Sul fronte meridionale, collegato a quello orientale, gli Stati uniti stanno per lanciare dall’Europa una nuova guerra in Libia per occupare, con la motivazione di liberarle dall’Isis, le zone costiere economicamente e strategicamente più importanti. 

Una mossa per riguadagnare terreno, dopo che in Siria l’intervento russo a sostegno delle forze governative ha bloccato il piano Usa/Nato di demolire questo Stato usando, come in Libia nel 2011, gruppi islamici armati e addestrati dalla Cia, finanziati dall’Arabia Saudita, sostenuti dalla Turchia e altri. 

L’operazione in Libia «a guida italiana» – che, avverte il Pentagono, richiede «boots on the ground», ossia forze terrestri – è stata concordata dagli Stati uniti non con l’Unione europea, inesistente su questo piano come soggetto unitario, ma singolarmente con le potenze europee dominanti, soprattutto Francia, Gran Bretagna e Germania. Potenze che, in concorrenza tra loro e con gli Usa, si uniscono quando entrano in gioco gli interessi fondamentali. 

Emblematico quanto emerso dalle mail di Hillary Clinton, nel 2011 segretaria di Stato: Usa e Francia attaccarono la Libia anzitutto per bloccare «il piano di Gheddafi di usare le enormi riserve libiche di oro e argento per creare una moneta africana in alternativa al franco Cfa», valuta imposta dalla Francia a sue 14 ex colonie. Il piano libico (dimostravamo sul manifesto nell’aprile 2011) mirava oltre, a liberare l’Africa dal dominio del Fmi e della Banca mondiale. Perciò fu demolita la Libia, dove le stesse potenze si preparano ora a sbarcare per riportare «la pace».  
 
(il manifesto, 9 febbraio 2016)

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L’arte della guerra 

Libia, il piano della conquista  

Manlio Dinucci
  

«Il 2016 si annuncia molto complicato a livello internazionale, con tensioni diffuse anche vicino a casa nostra. L'Italia c'è e farà la sua parte, con la professionalità delle proprie donne e dei propri uomini e insieme all'impegno degli alleati»: così Matteo Renzi ha comunicato agli iscritti del Pd la prossima guerra a cui parteciperà l’Italia, quella in Libia, cinque anni dopo la prima. 

Il piano è in atto: forze speciali Sas – riporta «The Daily Mirror» – sono già in Libia per preparare l’arrivo di circa 1000 soldati britannici. L’operazione – «concordata da Stati uniti, Gran Bretagna, Francia e Italia» – coinvolgerà circa 6000 soldati e marine statunitensi ed europei con l’obiettivo di «bloccare circa 5000 estremisti islamici, che si sono impadroniti di una dozzina dei maggiori campi petroliferi e, dal caposaldo Isis di Sirte, si preparano ad avanzare fino alla raffineria di Marsa al Brega, la maggiore del Nordafrica». 

La gestione del campo di battaglia, su cui le forze Sas stanno istruendo non meglio identificati «comandanti militari libici», prevede l’impiego di «truppe, carrarmati, aerei e navi da guerra». Per bombardare in Libia la Gran Bretagna sta inviando altri aerei a Cipro, dove sono già schierati 10 Tornado e 6 Typhoon per gli attacchi in Siria e Iraq, mentre un cacciatorpediniere si sta dirigendo verso la Libia. Sono già in Libia – conferma «Difesa Online» – anche alcuni team di Navy Seal Usa. 

L’intera operazione sarà formalmente «a guida italiana». Nel senso che l’Italia si addosserà il compito più gravoso e costoso, mettendo a disposizione basi e forze per la nuova guerra in Libia. Non per questo avrà il comando effettivo dell’operazione. Esso sarà in realtà esercitato dagli Stati uniti attraverso la propria catena di comando e quella della Nato, sempre sotto comando Usa. 

Un ruolo chiave avrà lo U.S. Africa Command, il Comando Africa degli Stati uniti: esso ha appena annunciato, l’8 gennaio, il «piano quinquennale» di una campagna militare per «fronteggiare le crescenti minacce provenienti dal continente africano». Tra i suoi principali obiettivi, «concentrare gli sforzi sullo Stato fallito della Libia, contenendo l’instabilità nel paese». Fu il Comando Africa degli Stati uniti, nel 2011, a dirigere la prima fase della guerra, poi diretta dalla Nato sempre sotto comando Usa, che con forze infiltrate e 10mila attacchi aerei demolì la Libia trasformandola in uno «Stato fallito». 

Ora il Comando Africa è pronto a intervenire di nuovo per «contenere l’instabilità nel paese», e lo è anche la Nato che, ha dichiarato il segretario generale Stoltenberg,  è «pronta a intervenire in Libia». E di nuovo l’Italia sarà la principale base di lancio dell’operazione. Due dei comandi subordinati dello U.S. Africa Command si trovano in Italia: a Vicenza quello dello U.S. Army Africa (Esercito Usa per l’Africa), a Napoli quello  delle U.S. Naval Forces Africa (Forze navali Usa per l’Africa). 

Quest’ultimo è agli ordini di un ammiraglio Usa, che è anche a capo delle Forze navali Usa in Europa, del Jfc Naples (Comando Nato con quartier generale a Lago Patria) e, ogni due anni, della Forza di risposta Nato. L’ammiraglio è a sua volta agli ordini del Comandante supremo alleato in Europa, un generale Usa nominato dal Presidente, che allo stesso tempo è a capo del Comando europeo degli Stati uniti. 

In tale quadro si svolgerà la «guida italiana» della nuova guerra in Libia, il cui scopo reale è l’occupazione delle zone costiere economicamente e strategicamente più importanti. Guerra che, come quella del 2011, sarà presentata quale «operazione di peacekeeping e umanitaria».
 
(il manifesto, 12 gennaio 2016)  




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Ecco perché hanno ammazzato Gheddafi. Le email Usa che non vi dicono

Pubblicato 9 gennaio 2016 - 14.41 - Da Claudio Messora

Il 31 dicembre scorso, su ordine di un tribunale, sono state pubblicate 3000 email tratte dalla corrispondenza personale di Hillary Clinton, transitate sui suoi server di posta privati anziché quelli istituzionali, mentre era Segretario di Stato. Un problema che rischia di minare seriamente la sua corsa alla Casa Bianca. I giornali parlano di questo caso in maniera generale, senza entrare nel dettaglio, ma alcune di queste email delineano con chiarezza il quadro geopolitico ed economico che portò la Francia e il Regno Unito alla decisione di rovesciare un regime stabile e tutto sommato amico dell’Italia, come la Libia di Gheddafi. Ovviamente non saranno i media mainstream generalisti a raccontarvelo, né quelli italiani né quelli di questa Europa che in quanto a propaganda non è seconda a nessuno, tantomeno a quel Putin spesso preso a modello negativo. A raccontarvelo non poteva essere che un blog, questa volta Scenari Economici di Antonio Rinaldi e del suo team, a cui vanno i complimenti.

“Due terzi delle concessioni petrolifere nel 2011 erano dell’ENI, che aveva investito somme considerevoli in infrastrutture e impianti di estrazione, trattamento e stoccaggio. Ricordiamo che la Libia è il maggior paese produttore africano, e che l’Italia era la principale destinazione del gas e del petrolio libici.

La email UNCLASSIFIED U.S. Department of State Case No. F-2014-20439 Doc No. C05779612 Date: 12/31/2015  inviata il 2 aprile 2011 dal funzionario Sidney Blumenthal (stretto collaboratore prima di Bill Clinton e poi di Hillary) a Hillary Clinton, dall’eloquente titolo “France’s client & Qaddafi’s gold”, racconta i retroscena dell’intervento franco-inglese.

Li sintetizziamo qui.

  • La Francia ha chiari interessi economici in gioco nell’attacco alla Libia.
  • Il governo francese ha organizzato le fazioni anti-Gheddafi alimentando inizialmente i capi golpisti con armi, denaro, addestratori delle milizie (anche sospettate di legami con Al-Qaeda), intelligence e forze speciali al suolo.
  • Le motivazioni dell’azione di Sarkozy sono soprattutto economiche e geopolitiche, che il funzionario USA  riassume in 5 punti:
    1. Il desiderio di Sarkozy di ottenere una quota maggiore della produzione di petrolio della Libia (a danno dell’Italia, NdR),
    2. Aumentare l’influenza della Francia in Nord Africa
    3. Migliorare la posizione politica interna di Sarkozy
    4. Dare ai militari francesi un’opportunità per riasserire la sua posizione di potenza mondiale
    5. Rispondere alla preoccupazione dei suoi consiglieri circa i piani di Gheddafi per soppiantare la Francia come potenza dominante nell’Africa Francofona.

Ma la stessa mail illustra un altro pezzo dello scenario dietro all’attacco franco-inglese, se possibile ancora più stupefacente, anche se alcune notizie in merito circolarono già all’epoca.

In sintesi Blumenthal dice:

  • Le grosse riserve d’oro e argento di Gheddafi, stimate in 143 tonnellate d’oro e una quantità simile di argento, pongono una seria minaccia al Franco francese CFA, la principale valuta africana.
  • L’oro accumulato dalla Libia doveva essere usato per stabilire una valuta pan-africana basata sul dinaro d’oro libico.
  • Questo piano doveva dare ai paesi dell’Africa Francofona un’alternativa al franco francese CFA.
  • La preoccupazione principale da parte francese è che la Libia porti il Nord Africa all’indipendenza economica con la nuova valuta pan-africana.
  • L’intelligence francese scoprì un piano libico per competere col franco CFA subito dopo l’inizio della ribellione, spingendo Sarkozy a entrare in guerra direttamente e bloccare Gheddafi con l’azione militare.


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Attacco dell'Islam radicale in Europa: lungimirante la “profezia” di Gheddafi

08.01.2016

Il leader libico aveva messo in guardia Tony Blair dall'attacco dei fondamentalisti islamici in Europa: emerge dai documenti resi pubblici del Parlamento britannico. A Londra ora riconoscono che Gheddafi fosse più perspicace dei politici occidentali.

Il leader libico Muammar Gheddafi aveva messo in guardia l'ex premier britannico Tony Blair dalla minaccia dell'estremismo islamico in Europa. Emerge dalle trascrizioni delle telefonate tra i due politici rese pubbliche dalla commissione Esteri del Parlamento della Gran Bretagna, scrive il "Telegraph".

Il 25 febbraio 2011, quando in Libia già imperversavano le rivolte, Gheddafi aveva spiegato a Blair di cercare di proteggere il Paese dagli insorti di "Al Qaeda".

"Noi non li attacchiamo, loro ci attaccano. Voglio dirle la verità. Questa situazione non è così complicata, è al contrario semplice: in Nord Africa si sono svegliate le cellule dormienti di "Al Qaeda". Le cellule libiche sono simili a quelle che hanno operato in America alla vigilia dell'11 settembre," — aveva detto Gheddafi.

"I jihadisti sono entrati in possesso di armi ed hanno diffuso la paura tra la gente. Le persone non possono lasciare le loro case. <…> Ma non viene mostrato il quadro reale della situazione, non ci sono giornalisti stranieri. Abbiamo chiesto a tutti i giornalisti di tutto il mondo di venire a vedere la verità. Si tratta di bande armate. <… > E' impossibile negoziare con loro," — sottolineava Gheddafi.

"Vogliono controllare il Mediterraneo e poi attaccare l'Europa," — aveva avvertito il leader libico.

Blair, a sua volta, aveva sostenuto la necessità della pace.

Tre settimane dopo questa telefonata la coalizione di Paesi occidentali, compresa la Gran Bretagna, aveva iniziato i raid in Libia, portando al rovesciamento di Muammar Gheddafi, scrive il "Telegraph".

"Le premonizioni di Gheddafi sembrano essere state confermate, — si afferma nell'articolo. — Dopo la sua caduta, la Libia è piombata nel caos ed è ancora travolta dalla guerra civile. Molti territori sono controllati da gruppi armati di fondamentalisti islamici legati ai terroristi del Daesh (ISIS). I terroristi, inviati dal Daesh in Francia, a novembre hanno perpetrato una serie di sanguinosi attacchi terroristici a Parigi."

Il presidente della commissione Esteri Crispin Blunt ha dichiarato che i membri della commissione prenderanno in considerazione gli "avvertimenti profetici" di Gheddafi nell'ambito dell'inchiesta sugli eventi in Libia.

Secondo Blunt, i dati attualmente disponibili suggeriscono che "i politici occidentali sono meno lungimiranti di Gheddafi nei termini dei rischi connessi con l'intervento militari sia per il popolo libico e sia per gli interessi dello stesso Occidente."





IL GIORNO DI QUALE RICORDO?

0) Che cosa ricordiamo noi il 10 Febbraio
1) Iniziativa di GORIZIA 10/2: CAMBIO SEDE causa repressione di regime
2) ALTRE INIZIATIVE SEGNALATE:
- MONTE SAN SAVINO (AR) 10/2: PARTIGIANI ITALIANI IN JUGOSLAVIA / DRUG GOJKO
- PARMA 10/2: FOIBE E FASCISMO 2016 / PARTIZANI. LA RESISTENZA ITALIANA IN MONTENEGRO
- BOLOGNA 12/2: PARTIZANI. LA RESISTENZA ITALIANA IN MONTENEGRO
- FORLI' 13/2: Alessandra Kersevan su FASCISMO, CONFINE ORIENTALE, FOIBE
- SCHIO (VI) 13/2: Claudia Cernigoi  su OPERAZIONE FOIBE. TRA STORIA E MITO
3) Il convegno sul confine orientale (italiano) dell’ANPI il 16/1/2016 a Milano (di Marco Puppini)
4) Prorogati di 9 anni i termini per assegnare le "medaglie per infoibati" (di Marco Barone)
5) ALTRE CILIEGINE:
- L'UNICO INFOIBATO AL POZZO DELLA MINIERA DI BASOVIZZA...
- IL PRIMO GIORNO DEL RICORDO DELLE "VITTIME DEL COMUNISMO PARTIGIANO"? FU ISTITUITO GIÀ DA MUSSOLINI: 30 GENNAIO.
- ARTE DI REGIME: "GLI ITALIANI, VITTIME ACERBE DI UNA PULIZIA ETNICA"
- "INFOIBATI" DI GORIZIA: DOPO TRE MESI ANCORA NON CI DICONO I NOMI


Altri link segnalati:

IL GIORNO DEL RICORDO NEL CONSIGLIO REGIONALE DEL FVG: "DALLA PULIZIA ETNICA, ALLA STRAGE DI VERGAROLLA LA PRIMA DELLA REPUBBLICA"
di Marco Barone, 2 febbraio 2016
... il top del top, lo si raggiungerà con l'assoluta falsità storica. Già in passato Cristicchi, voce e megafono di una parte di storia su queste vicende, aveva fatto intendere che "Io ricordo Vergarola, una delle più gravi stragi mai accadute in Italia, in tempo di pace”. E qui cosa si dice? Che: "la strage sulla spiaggia di Vergarolla a Pola il 18 agosto 1946, che provocò la morte di non meno di 80 persone, in gran parte italiani - ha ammonito - è emblematica del clima di allora: possiamo considerarla la prima strage della nostra Repubblica, ben prima di piazza Fontana e della stazione di Bologna"...
http://xcolpevolex.blogspot.it/2016/02/il-giorno-del-ricordo-nel-consiglio.html
Orazione pubblica per il Giorno del Ricordo tenuta da Lucia Bellaspiga presso l’Aula del Consiglio regionale del FVG (di Lucia Bellaspiga, Giornalista di Avvenire)
http://www.anvgd.it/notizie/20157-orazione-pubblica-per-il-giorno-del-ricordo-tenuta-da-lucia-bellaspiga-presso-laula-del-consiglio-regionale-del-fvg-03feb16-.html

L’INCREDIBILE STORIA DI #FOIBE, UNO DEI PIÙ GRANDI KOLOSSAL MAI GIRATI (APPUNTO, MAI GIRATI). UNA BUFALA DA #GIORNODELRICORDO
di Nicoletta Bourbaki / Giap, 31.01.2016
... Tutto inizia negli ultimi giorni del 2010, quando Il Piccolo di Trieste e una manciata di altri giornali annunciano l’intento di Zeppellini (...) di girare in Friuli Venezia Giulia un film sulle foibe, preannunciando che il successivo 10 febbraio «è prevista una conferenza stampa negli Stati Uniti, al quale parteciperà anche Paolo Sardos Albertini in rappresentanza della Lega nazionale»...
http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=23517

GIORNO DEL RICORDO... SMEMORATO - [Materiali per approfondire a cura di eQual]
... L’anno scorso abbiamo scritto una riflessione storica e politica su questo tema che è stata ripresa anche sul sito della Wu Ming Foundation all’interno di un lungo post sul tema del “10 febbraio” che smonta buona parte della propaganda sul tema delle foibe e del cosiddetto “esodo”. La scorsa primavera abbiamo invece organizzato l'evento “ITALIANI BRAVA GENTE - l'amnesìa sui crimini di guerra dell'Italia fascista” durante il quale lo storico Davide Conti (Università di Roma) ha gettato luce su un lato importante della storia recente del nostro paese, il cui oblio ha ripercussioni concrete anche sul presente...  
https://www.facebook.com/equal.info/photos/a.422973534411641.91545.381406008568394/1039068572802131/?type=3&theater
>> Articoli: 
http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=20954 //
https://equalmn.wordpress.com/2015/02/10/un-giorno-del-ricordo-smemorato/
>> Video: 
Le amnesie sui crimini di guerra dell'Italia fascista - Davide Conti (eQual Mn)
11 aprile 2015 - eQual - Mantova: ITALIANI BRAVA GENTE - l'amnesìa sui crimini di guerra dell'Italia fascista, dall'immediato dopoguerra all'apertura dell'armadio della vergogna come ostacolo allo sviluppo democratico.
Dialogano insieme DAVIDE CONTI (scrittore e ricercatore di storia all'Università di Roma) e Oscar Porcelli (laureando in storia - associazione eQual).
[L'incontro fa parte del ciclo di eventi della "Lunga strada verso la Liberazione" organizzati in collaborazione tra Arci Virgilio, Anpi Mantova ed associazione eQual]

FASCISMO, GUERRA DI STERMINIO, FOIBE: REVISIONISMO DI STATO E AMNESIE DELLA REPUBBLICA
A cura di ANPI "68 Martiri" Grugliasco, 10 febbraio 2013-2014-2015-2016
Come militanti antifascisti dell'ANPI riteniamo fondamentale condividere questo materiale e queste informazioni sul tema "giorno del ricordo" in vista di un più ampio dibattito sul neofascismo, la propaganda nazionalista e il revisionismo politico della storia: quanto segue vuole essere uno spunto utile e costruttivo per le nostre discussioni...


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10 FEBBRAIO

1943 - Inizia la storica battaglia sul fiume Neretva, detta anche la "battaglia per i feriti". Una delle battaglie più significative della Guerra di liberazione jugoslava. Durò fino al 31 marzo.
Su questa battaglia è stato girato il film omonimo, con attori prestigiosi jugoslavi e stranieri, come Orson Welles, Yul Brunner, Sergej Bondarcuk, Silva Koscina, Franco Nero.
1945 - A Remetinec, cittadina vicino Zagabria, gli ustascia hanno impicato 30 civili – croati, serbi, ebrei e lo sloveno Janko Rakus, attore di Zagabria.
1947 - A Parigi è stato firmato il Trattato di Pace tra le Forze alleate che hanno vinto la guerra e gli Stati alleati dell'ex Terzo Reich: Italia, Romania, Ungheria, Bulgaria e Finlandia.
1979 - A Lubiana muore Edvard Kardelj, eroe, teoretico marxista, rivoluzionario, statista, delfino di Tito.

(a cura di Ivan Pavičevac)


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GORIZIA mercoledì 10 febbraio 2016 alle ore 16:00

ATTENZIONE causa repressione di regime L'INIZIATIVA (anziché a Palazzo Attems) E' SPOSTATA presso: 
Aenigma Bar, VIA NIZZA N. 2, 34170 Gorizia

11 ANNI DI "GIORNO DEL RICORDO"
Tra mistificazioni storiche e rivalutazione del fascismo

Alessandra KERSEVAN: Il ruolo della X Mas al confine orientale
Claudia CERNIGOI: Il "fenomeno" delle foibe e gli scomparsi da Gorizia nel maggio 1945
Sandi VOLK: 10 anni di onorificenze della legge del Ricordo
Piero PURINI: Gli esodi prima e dopo il secondo conflitto mondiale
Marco BARONE: "Volemo tornar". L'irredentismo del terzo millennio
Nota di inquadramento storico e coordinamento del dibattito a cura di Marco PUPPINI

Organizzato da Resistenza Storica
in collaborazione con Sinistra Goriziana Antifascista


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Fonte: Marco Barone su
https://www.facebook.com/events/174126959625037/permalink/176006182770448/

Giorno del ricordo a ‪#‎Gorizia‬ e agibilità democratica: Revocata sala gestita dalla provincia a resistenza storica. Si svolgerà assemblea sulla mancanza di agibilità democratica in città e dove si parlerà in ogni caso del giorno del ricordo alle ore 16.00 il 10 febbraio presso il bar Aenigma di via Nizza 2 in Gorizia. Si invita tutta la cittadinanza a partecipare per denunciare pubblicamente quanto accaduto a Gorizia nel giorno della memoria condivisa di Stato. Segue una nota:

Era stato promosso dal gruppo di Resistenza Storica e sinistra goriziana antifascista, un convegno per il 10 febbraio dal seguente titolo, da svolgersi in Gorizia, presso il palazzo provinciale Attems:11 ANNI DI "GIORNO DEL RICORDO" Tra mistificazioni storiche e rivalutazione del fascismo. Questi gli interventi previsti: Alessandra KERSEVAN: Il ruolo della X Mas al confine orientale; Claudia CERNIGOI: Il "fenomeno" delle foibe e gli scomparsi da Gorizia nel maggio 1945; Sandi VOLK: 10 anni di onorificenze della legge del Ricordo; Piero PURINI: Gli esodi prima e dopo il secondo conflitto mondiale; Marco BARONE: "Volemo tornar". L'irredentismo del terzo millennio; nota di inquadramento storico e coordinamento del dibattito a cura di Marco PUPPINI. Contestualmente a ciò, nella stessa giornata, nella stessa città, ma in luogo diverso, è previsto il convegno organizzato dalla Lega Nazionale di Gorizia, con l'alto patrocinio della Prefettura, Provincia e Comune di Gorizia. Nella locandina, di questo convegno emerge con gran forza quella che ben può essere definita come una grande allucinazione ufologica storica, quale la pulizia etnica contro gli italiani. Quella del giorno del Ricordo è una legge profondamente ideologica. Legge che ha il suo fondamento nel revisionismo storico, nella memoria condivisa, che poi altro non è che la memoria nazionalistica di alcuni "eletti" elevata a rango di verità per tutti, dogma da condividere senza alcuna critica, salvo qualche piccola sfumatura, che deve essere concessa ma che non intaccherà la mistificazione storica, la manipolazione in chiave nazionalistica e revisionistica della storia del confine orientale. Il Presidente della Lega Nazionale di Gorizia, sulla pagina facebook dell'evento pubblico del convegno organizzato da Resistenza Storica così scriveva il 5 febbraio: " Liberi di organizzare quello che volete ma non manifestazioni provocatorie in una giornata solenne". E rilanciava il 6 febbraio: "Quando aggiornate la data del vostro evento che non può essere provocatoriamente svolto il 10 febbraio?" La Sala del palazzo Attems per lo svolgimento del convegno era stata richiesta dal consigliere PRC della provincia di Gorizia Dario Furlan, per iscritto, via mail, alla Provincia di Gorizia che attualmente è governata dal Pd. E non era emerso alcun tipo di problema, né politico né tecnico, tanto che la sala, per quello che è stato riferito a Resistenza Storica, risultava essere stata concessa. Ma, subito dopo la pubblicizzazione dell'evento in rete, da parte di Resistenza Storica, arriva una prima notizia di richiesta di spostamento dell'iniziativa. Poi, il giorno 8 febbraio, a ridosso del 10 febbraio giunge notizia informale che per una presunta inopportunità politica la sala non verrà più concessa per il 10 febbraio. A quanto pare a Gorizia il 10 febbraio possono avere agibilità democratica nei palazzi delle nostre Istituzioni, quindi di tutti, solo i cultori della memoria condivisa. Chiamasi regime antidemocratico.Tutti coloro che osano delle critiche avverso il revisionismo storico e la memoria condivisa, in quel giorno, assunto oramai per come strutturato nella sua sostanza a verità nazionalistica di Stato, gli storici, i critici, gli studiosi non allineati, in un contesto perfettamente legale, costituzionale e legittimo, non hanno diritto di parola alcuno. Ed il tutto in una città dove si svolgono manifestazioni di Casapound, i fascisti del terzo millennio, e che le recenti inchieste dell'Espresso hanno ben evidenziato di cosa stiamo parlando, "un arresto ogni tre mesi, una denuncia a settimana", una città che accoglie nella sua sede istituzionale, quale il Comune, chi fa il saluto fascista, e chi celebra la battaglia di Tarnavova, quale la Decima Mas, che Repubblica, proprio sul caso di Gorizia, ha così definito "flottiglia di torturatori e fucilatori fascisti che in Friuli Venezia Giulia operò anche per il Terzo Reich". A Gorizia vi è un problema enorme di agibilità democratica, ed è ancora più grave quando l'inopportunità politica, ergo convenienza politico elettorale, di certe e date iniziative, viene sollevata da parte di una certa sinistra governativa. E poi mischiare la convenienza politica con la ricerca storica è una cosa che si commenta da sola per la sua gravità. Insomma il 10 febbraio non tutti hanno il diritto di parlare, salvo, ad esempio, quelli che vanno in alcune scuole d'Italia, a "ricordare per ritornare" con tanto di locandina pubblica, nelle terre ancora oggi contese da una parte del nazionalismo nostrano, come l'Istria.Il 10 febbraio è un giorno ove la democrazia salta, un giorno ove ogni critica viene liquidata nella formula becera e vigliacca di negazionismo o giustificazionismo. Ennesima pagina buia e nera per Gorizia e non solo. Nonostante tutto il 10 febbraio si svolgerà presso il bar Aenigma di via Nizza 2 in Gorizia, alle ore 16, un momento assembleare dove si invita tutta la cittadinanza a partecipare per denunciare pubblicamente quanto accaduto a Gorizia nel giorno della memoria condivisa di Stato. mb

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GORIZIA, 10 FEBBRAIO 2016, PROVE TECNICHE DI REGIME

Revocato dall'amministrazione provinciale l'uso della sala per il convegno storico. 
Il Presidente della Lega Nazionale di Gorizia, sulla pagina facebook dell'evento pubblico del convegno organizzato da Resistenza Storica così scriveva il 5 febbraio: " Liberi di organizzare quello che volete ma non manifestazioni provocatorie in una giornata solenne". E rilanciava il 6 febbraio: "Quando aggiornate la data del vostro evento che non può essere provocatoriamente svolto il 10 febbraio?" La Sala del palazzo Attems per lo svolgimento del convegno era stata richiesta dal consigliere PRC della provincia di Gorizia Dario Furlan, per iscritto, via mail, alla Provincia di Gorizia che attualmente è governata dal Pd. E non era emerso alcun tipo di problema, né politico né tecnico, tanto che la sala, per quello che è stato riferito a Resistenza Storica, risultava essere stata concessa. Ma, subito dopo la pubblicizzazione dell'evento in rete, da parte di Resistenza Storica, arriva una prima notizia di richiesta di spostamento dell'iniziativa. Poi, il giorno 8 febbraio, a ridosso del 10 febbraio giunge notizia informale che per una presunta inopportunità politica la sala non verrà più concessa per il 10 febbraio. 

Ci domandiamo: Luca Urizio sapeva che la sala ci sarebbe stata revocata prima che ce lo comunicassero? 
Ma consideriamo che negare una sala pubblica ad un gruppo di storici solo perché vengono considerati dall'amministrazione pubblica "inopportuni" politicamente, significa che in questo Paese la lettura della storia è decisa dalle istituzioni che ci governano. 
E' una storia di regime.

Claudia Cernigoi
8/2/2016

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COMUNICATO STAMPA

Con un atto d'imperio paragonabile al concetto de "lo Stato sono io" di franco-borboniana reminiscenza, il presidente della provincia di Gorizia (in quota PD) Enrico Gherghetta ha revocato il già concesso uso di una sala provinciale richiesto dal gruppo consiliare di Rifondazione comunista per un convegno storico da tenersi il 10 febbraio in occasione del Giorno del ricordo, convegno che avrebbe visto la presenza di storici qualificati sull'argomento (Marco Puppini, Alessandra Kersevan, Claudia Cernigoi, Sandi Volk, Piero Purini) e dell'avvocato Marco Barone.
Il veto di Gherghetta, posto per motivi "politici" che non ha peraltro ritenuto opportuno chiarificare, non costituisce solo un gravissimo atto di censura preventiva nei confronti della libera espressione della ricerca intellettuale, ma anche una palese violazione della legge istitutiva del Giorno del ricordo (Legge 92/04) che prevede tra le altre cose l'approfondimento "delle più complesse vicende del confine orientale", approfondimento che costitutiva il senso del nostro convegno.
D'altra parte, consideriamo che Comune e Provincia di Gorizia hanno aderito acriticamente alla manifestazione commemorativa del 10 febbraio promossa da Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia e Lega nazionale di Gorizia, il cui manifesto recita (testualmente) "in memoria del dramma dell'esodo dei 350.000 istriani fiumani e dalmati - sottoposti ad una vera e propria pulizia etnica e dell'iniquo Trattato di pace", avallando quindi non solo le falsità storiche sulle cifre dell'esodo e su una presunta pulizia etnica che non è mai accaduta, ma addirittura definendo "iniquo" il Trattato di pace, legge dello Stato. 
Sono questi i motivi "politici" che hanno portato il più alto rappresentante eletto della Provincia di Gorizia a censurare un convegno storico, abusando del proprio ruolo istituzionale? E se questa è la politica espressa dal "centrosinistra" nella nostra Regione, non comprendiamo a questo punto in cosa tale politica differisca dalle esternazioni di CasaPound e dei nostalgici della Decima Mas (i cui rappresentanti sono stati senza alcuna censura o distinguo accolti nell'aula del Consiglio comunale di Gorizia con tanto di labari sia di questo corpo collaborazionista, macchiatosi di orrendi crimini contro la popolazione civile, sia della stessa RSI, in palese violazione della normativa tuttora vigente contro l'apologia del fascismo).
Invitiamo coloro che leggeranno questo comunicato condividendone i contenuti ad inviare una mail di protesta al presidente Gherghetta, a questa mail.

presidente@...

Ora e sempre Resistenza!

Claudia Cernigoi
giornalista e ricercatrice storica, Trieste
9/2/2016


=== 2: ALTRE INIZIATIVE SEGNALATE ===


--- MONTE SAN SAVINO (AR) mercoledì 10 febbraio 2016

*** alle ore 18.30
all’Interno 43 – via Sansovino 43

incontro/aperitivo con i protagonisti dell'evento teatrale DRUG GOJKO sui temi:
* Diventare testimoni. Ricordo del partigiano Nello Marignoli (con l'attore Pietro Benedetti)
* Partigiani italiani in Jugoslavia, un esempio di unità e fratellanza (con Andrea Martocchia, segretario del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS)

*** alle ore 21:15 presso il Teatro Verdi – Via Sansovino 66

DRUG GOJKO
con Pietro Benedetti
regia Elena Mozzetta

produzione ANPI Viterbo
in collaborazione con Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia

Drug Gojko (Compagno Gojko) narra, sotto forma di monologo, le vicende di Nello Marignoli, classe 1923, gommista viterbese, radiotelegrafista della Marina militare italiana sul fronte greco-albanese e, a seguito dell'8 settembre 1943, combattente partigiano nell'esercito popolare di liberazione jugoslavo. Lo spettacolo, che si avvale della testimonianza diretta di Marignoli, riguarda la storia locale, nazionale ed europea assieme, nel dramma individuale e collettivo della seconda guerra mondiale. Una storia militare, civile e sociale, riassunta nei trascorsi di un artigiano, vulcanizzatore, del Novecento, rievocati con un innato stile narrativo, emozionante quanto privo di retorica...

Prezzi dei biglietti:
LINEA VERDE intero ridotto*
Platea e Palchi I e II ordine € 10.00 € 8.00
Palchi III ordine  € 8.00 € 6.00
* ridotto: soci Rete Teatrale Aretina, Arci, Acli; studenti (fino a 25 anni), minorenni, ultra sessantacinquenni, abbonati alle stagioni dei teatri aderenti alla Rete Teatrale Aretina.
ALTRE INFO: http://www.officinedellacultura.org/teatro_cinema.php?sel=1


--- PARMA mercoledì 10 febbraio 2016

alle ore 21 presso il Cinema Astra – Piazzale Volta 3 (43123)

FOIBE E FASCISMO 2016
Manifestazione Antifascista alternativa al "giorno del ricordo" del 10 febbraio

ore 21:00 conferenza
Italiani in Jugoslavia 1941 - 1945 
dall'aggressione fascista alla Resistenza
e alla Divisione Partigiana Garibaldi

ore 21:30 filmato

PARTIZANI
La Resistenza italiana in Montenegro


Conferenza e film di ERIC GOBETTI
ricercatore dell'Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza

ingresso gratuito

ORGANIZZANO:
ANPI - ANPPIA - COMITATO ANTIFASCISTA ANTIMPERIALISTA E PER LA MEMORIA STORICA

evento facebook: https://www.facebook.com/events/1548640905459831/


--- BOLOGNA venerdì 12 febbraio 2016

alle ore 17 presso la sala dell’ex-Reffettorio, via Sant’Isaia 20

PARTIZANI. La Resistenza italiana in Montenegro

un film di Eric Gobetti (2016)
con immagini di repertorio inedite 

Nikšić, Montenegro, 9 settembre 1943. Poco dopo l’alba l’artigliere Sante Pelosin, detto Tarcisio, fa partire il primo colpo di cannone contro una colonna tedesca che avanza verso le posizioni italiane. Nelle settimane successive circa ventimila soldati italiani decidono di non arrendersi e di aderire alla Resistenza jugoslava. I partigiani della divisione Garibaldi raccontati in questo documentario sono eroi semplici, che hanno combattuto il freddo, la fame e una devastante epidemia di tifo, pagando con tremende sofferenze una scelta 
di campo consapevole e coraggiosa.

Sarà presente l’autore 

Presenta Luca Alessandrini


--- FORLI' sabato 13 febbraio 2016

alle ore 15:30 presso la Sala di Via Valverde 15

Chiacchierata e dibattito con la scrittrice

Alessandra Kersevan sul tema:
FASCISMO, CONFINE ORIENTALE, FOIBE

Non dimenticare le tragedie e i crimini del fascismo. Ricostruire le problematiche delle foibe in un’ analisi dettagliata.

Apertura sala ORE 15:00 inizio ORE 15:30
Troverai banchetti informativi sulle lotte al fascismo

Assemblea Antifascista Forlivese
www.lascintillaonline.org


--- SCHIO (VI), sabato 13 febbraio 2016

alle ore 17 presso Palazzo Toaldi Capra

Presentazione del libro 

Operazione foibe. Tra storia e mito
(Udine: Kappa Vu Edizioni, 2005
https://www.cnj.it/documentazione/bibliografia.htm#cernigoi05 )

Con l'autrice Claudia Cernigoi e Ugo De Grandis



=== 3 ===


Il convegno sul confine orientale (italiano) dell’Anpi a Milano: una riflessione

di Marco Puppini, 2 febbraio 2016

Ho assistito sabato 16 gennaio al convegno organizzato dall’Anpi nazionale a Milano sul confine orientale, cui ha partecipato una folta rappresentanza di nostri storici regionali. Non sono purtroppo riuscito per ragioni di trasporti ad assistere a tutta la tavola rotonda che si svolgeva nel pomeriggio, mentre ho assistito alle relazioni del mattino. La mia è pertanto una riflessione parziale, che vorrebbe essere utile per sollecitare un dibattito. Sono riuscito ad ascoltare per ultimo Franco Cecotti. Devo dire che non me ne sono pentito. In effetti, a mio giudizio, la prima relazione (Marta Verginella) e l’ultima che ho ascoltato (Franco Cecotti) sono state le migliori, sulle altre mantengo delle perplessità. L’impressione generale in ogni modo è stata che un ascoltatore lombardo (o comunque non friulo – giuliano) che di queste cose giustamente sa poco, alla fine del convegno non abbia risolto i suoi dubbi. “Forse la storia del confine orientale è troppo complessa” ha commentato un ascoltatore vicino a me. Non è vero, ovviamente, tutti i temi senza esclusioni sono complessi e lo storico deve raccontarli in modo comprensibile. In questo senso mi pare che la strategia comunicativa di molti oratori sia stata pessima.
Bene devo dire ha fatto Smuraglia a non prevedere interventi dal pubblico. Molte volte c’è stata una strategia organizzata in particolare dalle destre per trasformare i convegni su questi temi in risse becere. Positivo anche il fatto che ogni studioso rappresentasse se stesso e non una determinata tendenza o associazione, di fronte alle immancabili contestazioni di una associazione di esuli perché non erano presenti “suoi” relatori. Verginella ha volato forse un po’ troppo alto, ma il suo discorso è assolutamente condivisibile. Ha criticato lo stesso titolo del convegno perché nazionalista ed escludente: il confine è orientale italiano, ma anche occidentale sloveno, meglio era parlare di confine italo – sloveno (o jugoslavo). La sua critica ai limiti delle storiografie prettamente nazionali, o al “piano memoriale” attuale che privilegia vittime e testimoni invece di ricerca e documenti sono a mio giudizio corrette. Cecotti è invece andato sul concreto. Sui media si parla di foibe ed esodo almeno da 15 – 20 anni – ha affermato – perché allora c’è qualcuno ancora oggi (e talvolta si tratta di insegnanti) che pensa si parli di argomenti sconosciuti? Da 15 – 20 anni i media ospitano periodicamente articoli su questi temi, ed ogni volta i giornalisti devono scrivere che si tratta di temi di cui non si è in precedenza mai parlato. In un momento in cui il mondo si globalizza e si parla di storia mondiale, in realtà si sta affermando una storia nazionale, o meglio in questo caso una storia regionale (della Venezia Giulia) che si vuole far passare come simbolo e compendio di quella mondiale. Nell’introdurre la tavola rotonda del pomeriggio, Marcello Flores ricordava giustamente che il giorno della Memoria fa riferimento ad un fatto europeo, la Shoah, quello del Ricordo ad un fatto regionale, che ha interessato Istria e Venezia Giulia. Si tratta pertanto di eventi difficilmente paragonabili.
Anna Vinci ha mostrato le radici lontane, prefasciste, del nazionalismo italiano e del pregiudizio della superiorità della cultura latina su quella slava. Ha anche trattato la complessità della repressione fascista, il disaccordo tra le varie istituzioni repressive che controllavano il territorio. Forse dal suo discorso sono rimaste fuori proprio le violenze fasciste. Ha parlato di scuole slovene chiuse, ma vi sono state anche le associazioni culturali (150 solo nel goriziano) e altrettante economiche chiuse a forza, i beni requisiti, le italianizzazioni dei cognomi di cui non ricordo abbia parlato, il divieto nell’uso pubblico della lingua, i morti ammazzati. Forse la Vinci li ha dati per scontati, ma per il pubblico presente non lo erano. Mi è invece piaciuta l’indicazione di estendere la ricerca sulle biografie dei responsabili della politica repressiva anche agli anni del secondo dopoguerra, quando tali personaggi non erano certo scomparsi. E il parallelo (che però riguarda una ricerca ancora da fare) tra Ispettorati creati in Sicilia e Sardegna per la lotta contro la mafia e quello della Venezia Giulia contro sovversivi e sloveni (a questo proposito Vinci avrebbe potuto però accennare al fatto che Gaetano Collotti, uno dei membri dell’Ispettorato più accaniti torturatori e cacciatori di partigiani a Trieste, è stato decorato dall’Italia repubblicana dopo la guerra per i meriti acquisiti nella lotta alla mafia).
Buvoli ha molto insistito sullo scontro tra Partito Comunista Italiano e Sloveno (o Jugoslavo) durante la Resistenza. Certo, lo scontro c’è stato, era importante che il pubblico lo sapesse. Ma vi è stata anche collaborazione. Perché parlare di annientamento della Resistenza italiana nelle regioni rivendicate dagli sloveni? Il Battaglione poi Brigata Trieste ad esempio ha operato dal 1943 al 1945 nella zona slovena vicino all’attuale confine come formazione italiana con proprie bandiere ed insegne, ed ha riunito nell’estate 1944 oltre duemila combattenti prima che una parte andasse a costituire la Fratelli Fontanot all’interno della Slovenia. Certo, era sottoposta a comando sloveno dopo un breve periodo di Comando paritetico. Anche la Natisone ha operato in Slovenia nell’inverno 1944 – 45, fra moltissime difficoltà pratiche e sotto comando sloveno. Ma tra questo e l’azzeramento c’è una bella distanza. Su questi temi mi pare anche importante fare un passo in avanti. Se avessero vinto non i partigiani comunisti ma i monarchici, appoggiati dalla Gran Bretagna, le cose per il confine orientale italiano sarebbero andate meglio? Credo che in quel caso sarebbe stato molto difficile per la diplomazia italiana evitare l’annessione alla Jugoslavia di Trieste e Gorizia. Perché i comunisti sloveni apparivano così poco internazionalisti ed invece “avidi” territorialmente? La Resistenza comunista ha dovuto fare i conti nei paesi sloveni passati nel primo dopoguerra all’Italia con un ambiente sociale decisamente antifascista e nel contempo decisamente nazionalista, e con le critiche delle forze monarchiche jugoslave che li accusavano di fare il gioco degli italiani in nome dell’internazionalismo. C’era anche, certo, la diffidenza verso l’Italia che si riteneva non stesse facendo veramente i conti con il fascismo. Però credo che sarebbe stato difficile in quel contesto per i comunisti jugoslavi avere una diversa linea politica.
Interessante l’intervento di Gloria Nemec, che ha mostrato il carattere non univoco dell’esodo e la varietà di motivazioni che vi stavano dietro. Ha parlato di comunisti (nazionalisti) sloveni e croati mal disposti in Istria verso gli italiani, e questo intento punitivo è stato una delle cause dell’esodo. anche al di là delle effettive intenzioni di chi lo metteva in atto. Intento non necessariamente condiviso dai vertici di Belgrado, l’esodo infatti ha svuotato l’Istria di forze produttive che sarebbero state utili all’economia jugoslava. Nemec ha parlato di slovenizzazione dei cognomi (o forse erano restituiti alla precedente grafia prima della italianizzazione fascista?) e distruzione del tessuto economico della comunità italiana, quasi una repressione comunista e nazionalista uguale e contraria a quella fascista. Dimentica però l’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume, il teatro italiano di Fiume, il periodico e la casa editrice italiane. Certo che la pressione sugli italiani vi fu, frutto più di una politica rozza e punitiva che di un disegno pianificato dall’altro, ma pure le differenze con la snazionalizzazione fascista.
Spazzali purtroppo non mi è piaciuto, ha saltato tra vari argomenti dando molti suggerimenti senza fornire un quadro complessivo, augurandosi l’avvio di nuove ricerche che però in parte già ci sono. Perché dire che sarebbe utile fare le biografie delle vittime ma che questo ormai è quasi impossibile, mentre è possibile fare quelle dei carnefici? Esistono molti elenchi e biografie di vittime, che lui conosce, dalle quali si capisce ad esempio che non tutti furono vittime ma che alcuni erano bene inseriti nell’apparato repressivo fascista. Dice che il tema delle foibe è stato taciuto per anni nel dopoguerra perché scottante, ma anche lui evita di toccare argomenti sotto i fari mediatici come la quantificazione delle vittime, il contenuto reale della foiba di Basovizza ecc. Incomprensibile per il pubblico presente la parte dedicata ad Udovisi, che avrebbe protetto la popolazione di Portole dalle violenze naziste (comprensibile per noi, che sappiamo che Udovisi, condannato nel dopoguerra dal Tribunale di Trieste per collaborazionismo ma allora latitante in Italia, si è presentato nei primi anni Duemila su tutti i media come sopravvissuto alla foiba nella quale sarebbe stato gettato risalendo fino al bordo. Racconto che alcuni hanno giudicato improbabile, vedi Pool Vice, La foiba dei miracoli, Kappa Vu 2008). Resta la censura, non solo di Spazzali, sui lavori meticolosi ed a mio parer validi di storiche come Claudia Cernigoi o Alessandra Kersevan, ma a questo purtroppo siamo abituati.
Nel convegno – per quanto mi ricordo – non si è parlato di Porzus, e neppure del controesodo dei tremila monfalconesi in Jugoslavia dopo la guerra. Il presidente dell’Anpi, Smuraglia, si è augurato che l’analisi storica porti a superare le contrapposizioni. Effettivamente è l’unica via, e questo è un tentativo da fare. Ma temo sia un’illusione. Dalle vicende della relazione della commissione storica italo – slovena del 2000, commissionata e poi affossata dai politici, si è capito che la riflessione storica interessa a pochi.


=== 4 ===


07/02/16

Dopo diversi fallimenti, si prorogano di 9 anni e non 20 i termini per assegnare le medaglie per infoibati


Se la matematica non è una opinione e se la comprensione del testo legislativo è non opinabile, non si capisce come possa essere stato comunicato da parte della Presidente della Regione FVG che in virtù del provvedimento approvato dal Parlamento "i congiunti delle vittime potranno per altri 20 anni richiedere questo importante riconoscimento". Il riferimento è alla legge sul giorno del ricordo e la possibilità per il coniuge superstite, i figli, i nipoti e, in loro mancanza, per i i congiunti fino al sesto grado di coloro che, dall’8 settembre 1943 al 10 febbraio 1947 in Istria, in Dalmazia o nelle province dell’attuale confine orientale, sono stati soppressi e infoibati, di conseguire a domanda e a titolo onorifico senza assegni, una apposita insegna metallica. Ora, il testo come approvato dalla Commissione alla Camera cosa prevede? Che il testo della Legge 2004 numero 92 verrebbe modificato in questo modo : "le  domande devono essere presentate entro il termine di venti (e non più dieci anni) dalla data di entrata in vigore della presente legge". Ora questa misura si inserisce nella Proroga di termini in materie di competenza della Presidenza del Consiglio dei ministri) e l'emendamento, come proposto da parte della deputata del PD Malpezzi nello specifico prevede: " 1. All’articolo 4 della legge 30 marzo 2004, n. 92, la parola: « dieci » è sostituita dalla seguente: « venti ». 2. Le domande di cui al comma 1 dell’articolo 4 della legge 30 marzo 2004, n. 92, con le relative documentazioni, dovranno essere inviate alla Commissione di cui all’articolo 5 della medesima legge. 3. All’attuazione del presente articolo si provvede nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica." E comunque si dovrà in ogni caso aspettare l'esito del assembleare per il testo definitivo. 

La Legge sul giorno del ricordo si trova al suo undicesimo anno di efficacia, quindi la proroga avrà efficacia non per anni venti, ma per anni nove. Stando al testo come ora commentato. Si deve segnalare che non è la prima volta che cercano di mettere mano su quella legge. Un primo tentativo vi era stato da parte di Rosato già nel 2014 presentando una proposta di legge A.C. 2287 , stampata il 2 luglio 2014, che interveniva profondamente su alcuni aspetti della Legge del giorno di Ricordo, che Boris Pahor, per esempio, ha definito come legge poco europea e dove si proponevano anche corposi finanziamenti alla Lega nazionale. Poi vi è stato un secondo tentativo, da parte della Meloni, intervento simile a quello di Rosato, ma dove tra le altre cose si proponevano finanziamenti a favore della Società di studi fiumani che ha la proprietà dell'archivio museo storico di Fiume, pari ad euro 70.000 euro annui a decorrere dall’anno 2014. Niente da fare. Questa volta almeno non si parla di finanziamenti a certe e date realtà, e ciò è certamente una cosa da non sottovalutare. Se  più di dieci anni non sono bastati, per raggiungere i numeri epici che alcuni probabilmente speravano di raggiungere e che non potevano raggiungere per ovvietà della storia reale e non revisionista, si proroga il tutto sperando in qualche "miracolo" al contrario.



=== 5: ALTRE CILIEGINE ===


La Nuova Alabarda, 9/10/2016
 
L'UNICO INFOIBATO AL POZZO DELLA MINIERA DI BASOVIZZA, OGGI MONUMENTO NAZIONALE

Ma le autorità civili e militari, i politici, gli storici, le scolaresche ed i loro insegnanti, lo sanno che quando vanno a tributare onori ufficiali agli "infoibati" a Basovizza, in realtà l'unica persona che possono onorare è l'unica persona che è stata infoibata lì dentro, e che era un agente volontario nell'Ispettorato Speciale di PS, collaborazionista delle SS, che fu "infoibato" perché nel corso dei rastrellamenti cui partecipava si dedicava a torturare i prigionieri (anche i civili) con la corrente elettrica?

Il “caso Fabian”

Di infoibati nello Šoht ne risulta in realtà uno solo, l’ex tranviere triestino Mario Fabian che si arruolò volontario nell’Ispettorato Speciale di PS. Le persone che confessarono di avere arrestato Fabian e di averlo gettato nel pozzo della miniera furono processate e condannate nel 1949. Dalla sentenza n. 8/49 RG pronunciata dalla Corte d’Assise di Trieste il 24/3/49 emerge che alcuni partigiani si erano recati, il 4/5/45 verso le ore 16, a casa del Fabian, lo avevano arrestato e condotto a Basovizza, dove erano giunti verso le ore 18. Lì avevano consegnato il prigioniero nelle mani di altri tre partigiani, ordinando loro di distrigarlo (cioè di eliminarlo sbrigativamente) perché era un agente di polizia. 
Tra il 19 e il 20 gennaio ‘49 la polizia arrestò otto persone che «ammettevano i fatti», e nello specifico uno di essi ammise di avere ucciso Fabian con una raffica di mitra «a bruciapelo, colpendolo alla fronte», di avergli levato gli stivali e di averlo «gettato nel baratro, con l’aiuto dei compagni». Le confessioni degli arrestati si sarebbero avute subito, confermate successivamente al giudice istruttore il 28 gennaio. Il processo si concluse con la condanna per omicidio per due degli imputati, il comandante del gruppo che aveva arrestato Fabian (ed avrebbe detto agli altri di “distrigarlo”) e l’esecutore materiale.
Nella sentenza c’è un passaggio che ci sembra strano, anche perché non ne abbiamo trovato di simili in altre sentenze del genere e cioè che la Corte ritiene «attendibili» i verbali stesi dalla Polizia, poiché «contengono le dichiarazioni veramente e liberamente fatte allora dai giudicabili, perché nessuno di essi ha affermato essere dovute le confessioni rese a estorsioni o a intimidazioni». Evidentemente all’epoca c’era chi aveva pensato il contrario, altrimenti a che pro mettere per iscritto una cosa del genere? 
Questo processo fu poi annullato dalla Cassazione, e nel corso del secondo processo la difesa produsse la copia di una circolare del Distretto Militare per l’Istria datata 27/4/45 ed inviata alla sezione operativa del IX Korpus. In essa si leggono i nomi di Collotti e di sei dei suoi accoliti (tra i quali anche quello di Mario Fabian) e l’esplicito ordine di arrestarli e fucilarli. Tale circostanza fu confermata anche da un documento firmato da un capitano dell’Esercito jugoslavo, Ante Jelas, documento che fu prodotto alla Corte. Quindi gli imputati furono assolti, in quanto «non punibili avendo eseguito un ordine illegittimo quando la legge non consentiva loro alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine stesso» .
Leggiamo ora cosa scrisse l’Unità (“I crimini del brigante Collotti rievocati ad un processo per sequestro di persona”, 28/6/50) di questo secondo processo.
«Daniele Pettirosso ha raccontato come l’8 gennaio del 1945 in seguito ad un rastrellamento effettuato dai nazisti e da agenti della Collotti a S. Antonio Moccò, egli venne arrestato e condotto all’Ispettorato di via Cologna. Quivi fu interrogato saltuariamente per ben diciassette giorni e fra i suoi aguzzini il Fabian fu quello la cui fisionomia gli restò impressa. Infatti fu proprio il Fabian che lo legò alla famosa “sedia elettrica” durante “l’interrogatorio” all’osteria di Moccò». 
Seguono alcune testimonianze che parlano del rastrellamento: 
«L’imputata Hrvatič ha detto: -Avevo notato il Fabian fra gli agenti che parteciparono al rastrellamento del 10 gennaio 1945 nel paese di Moccò-, fatto confermato indirettamente dalle dichiarazioni della teste Vittoria Zerial, vicina di casa della famiglia Fabian: -Conoscevo il Fabian. Un giorno (…) mi disse di avere partecipato a un rastrellamento in quel di Moccò e se avesse comandato lui, avrebbe fatto arrestare anche il parroco del paese che aveva suonato le campane per dare l’allarme agli abitanti».

(si veda il dossier sulla "foiba" di Basovizza in
http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2012/01/la-foiba-di-Basovizza.pdf)


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IL PRIMO GIORNO DEL RICORDO DELLE "VITTIME DEL COMUNISMO PARTIGIANO"? FU ISTITUITO GIÀ DA MUSSOLINI IL 30 GENNAIO 1944 NELL'ITALIA OCCUPATA...  

SI VEDANO:

Prima pagina del Corriere della Sera del 20 gennaio 1944

Stralcio del rapporto al Comitato Centrale del Partito Comunista Sloveno n°6 dell’8 febbraio 1944 riguardante la celebrazione e le “controcelebrazioni” del 30 gennaio 1944.

Testo del volantino diffuso dal Pci nell'Italia occupata in occasione delle celebrazioni fasciste del 30 gennaio 1944

http://www.diecifebbraio.info/documenti/#300144


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ARTE DI REGIME: "GLI ITALIANI, VITTIME ACERBE DI UNA PULIZIA ETNICA"

http://ilpiccolo.gelocal.it/tempo-libero/teatro/evento/rumoroso_silenzio-82871.html

“Un ragazzo, in gita con la classe, attratto nell’antro di uno dei magazzini del Porto Vecchio di Trieste, si stacca dal gruppo fino a perdersi. In un clima surreale e fantasmagorico di polveri e lenzuola, ode sibilare un misterioso vento, che si fa voce di ricordi atroci sopiti dalla politica del “guai ai vinti”. E’ la memoria collettiva di un popolo. Gli Italiani, vittime acerbe di una pulizia etnica che, in Istria-Dalmazia, pare ormai cronaca ricorrente. Cambia bandiera la nazione, ma la falce della morte è la stessa ovunque. Ecco allora che, come sogni o colpi di magia, prendono forma dalle cose le romantiche e tragiche vite di Ferdinando e Norma, giovani Italiani, erroneamente etichettati come fascisti in una squallida e ignobile equazione senza senso. Le vite dei due giovani amanti si fondono con lo scorrere di quei giorni rossi di sangue, neri di morte. Tra amicizie adolescenziali, conoscenze fidate, nemici improvvisi, correnti di pensiero rimbalzate tra chi scappa, chi resta, chi lotta, confluite univocamente nella morte, intesa come perdita: della propria vita, della propria nazionalità, della propria identità, delle proprie cose, delle proprie case. Qualsiasi cosa scegli, qualcosa perderai. In questo quadro, Ferdinando e Norma cercano disperatamente si salvare il loro amore, la loro giovinezza, loro italianità, per coronare il sogno di un figlio e della pace. Si balla, ora a passo di risa, ora a passo di lacrime. Una speranza mai doma, folle e coraggiosa, lucida e vigliacca. Voci narranti fuori dal tempo svelano le scomode verità nascoste nelle buche della terra Istriana, negli abissi offuscati di una storia impari e una coscienza volubile. Tiriamo fuori dalla foiba i corpi, che possano parlare, che possano danzare, che possano cantare e poi raccogliersi stretti, innamorati, cresciuti e maturi di verità svelate in un Rumoroso Silenzio”.


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<< SONO PASSATI QUASI TRE MESI E STIAMO ANCORA ASPETTANDO. >> (C.C.)


Due settimane per fare luce sui nomi degli infoibati 

È il tempo richiesto da Clara Morassi Stanta per esaminare le carte ufficiali 
Urizio (Lega Nazionale): «Risultato colto grazie a bravura unita a fortuna»

di Stefano Bizzi
su Il Piccolo del 20 novembre 2015

Due settimane. È il tempo chiesto da Clara Morassi Stanta alla Lega Nazionale di Gorizia per incrociare i nomi contenuti nelle liste sulle foibe ritrovate all’archivio storico della Farnesina con quelli delle liste già note al Comitato dei congiunti dei deportati in Jugoslavia. Solo allora sarà possibile avere conferma dei numeri emersi grazie alla relazione rinvenuta al ministero degli Affari esteri dalla spedizione composta da Fabio Urizio, Ivan Buttignon e Lorenzo Salimbeni. Il fascicolo relativo alle persone scomparse da Gorizia nel maggio 1945 conta 1.023 nomi suddivisi in tre elenchi: il primo di 23 pagine, il secondo di quattro e l’ultimo di cinque. Sono soltanto tre, invece, le pagine relative ai cosiddetti “rientrati”. Sul frontespizio del fascicolo - anche questo è timbrato dall’Ufficio informazioni dello Stato maggiore del Regio esercito - viene specificato che si tratta di 204 persone. Di certo una è già stata esclusa perché accanto alla data di ritorno viene riportata un’indicazione inequivocabile: “10.8.1945 Fucilato”; per le altre, le verifiche sono doverose anche perché alcune date di ritorno non sono affatto indicate. Tra quelle indicate, la più in là nel tempo è quella dell’11 agosto. «Il numero delle persone scomparse e di quelle rientrate è in fase di verifica», ribadisce il presidente della Lega Nazionale di Gorizia. Urizio ricorda che se la priorità riguarda i nomi, nel migliaio di documenti rinvenuti a Roma sembrano esserci materiali, per certi versi, più interessanti. «Ci sono diverse cose anche sull’Esodo», dice riferendosi alle parole del presidente dell’Unione degli Istriani Massimiliano Lacota. In merito alla legge slovena sulle riparazioni dei torti, aggiunge quindi: «Magari non sono le dichiarazioni fatte di fronte al notaio di cui si è parlato oggi (ieri, ndr), ma sono comunque dichiarazioni rilasciate di fronte ai carabinieri. Il prossimo 10 febbraio, nella Giornata del ricordo, ci saranno molte cose nuove da dire sull’Esodo». Più in generale Urizio si sofferma sui motivi della ricerca. I fatti legati alle Foibe sono stati strumentalizzati politicamente per decenni e hanno diviso nettamente l’opinione pubblica di destra e di sinistra. A 70 anni di distanza le ferite di molte famiglie non sono state ancora rimarginate. «È doloroso non avere una tomba sulla quale pregare e parlare con il proprio caro – nota Urizio -. Per cui è un dovere morale permettere ai parenti delle vittime di ricordare i loro morti. Il nome dei propri congiunti sulla lapide sostituisce la tomba ed è per questo che il monumento al Parco della Rimembranza andrà aggiornato alla luce delle nostre ricerche. Ricordiamo inoltre, al fine di cancellare ogni polemica, che tutti hanno diritto ad una tomba, indipendentemente dalle ideologie che professano e dalle azioni che hanno fatto nella vita terrena». La Lega Nazionale deve ora mettere in ordine tutto il materiale raccolto. Trovarlo è stato come trovare il classico ago nel pagliaio. «È stata bravura unita a fortuna», ammette Urizio. “Bravura” perché, con metodo, il team di ricercatori è riuscito a circoscrivere i fascicoli di proprio interesse in un archivio «grande quanto piazza Vittoria»; “fortuna” perché avendo avuto a disposizione un tempo estremamente limitato «per consultarli, non poteva accedere a tutti i faldoni selezionati».



["Una cosa simile non s'è mai vista da nessuna parte!" Eppure... Sulle manovre in corso in Serbia per la riabilitazione della memoria del collaborazionista dei nazisti, Milan Nedić, si vedano anche i nostri post precedenti:
Revisionizam i protirevisionizam u Srbiji (22.10.2015.)
Nova Godina kod SUBNOR-a (20.1.2016.)
Sulla riabilitazione dei cetnizi e restaurazione dell'ancient regime in Serbia a seguito del colpo di Stato del 2000


Toga nigde nema!

1) SUBNOR: ЗНА СЕ КО ЈЕ НЕДИЋА ПОСТАВИО
2) SUBNOR: КВИСЛИНГ ЈЕ КВИСЛИНГ
3) SUBNOR: ТОГА  НИГДЕ  НЕМА!
4) REHABILITACIJA KVISLINGA NEDIĆA NEĆE PROĆI! (NKPJ) / НЕЋЕ  ПРОЋИ  КОЛАБОРАНТИ (SUBNOR)
Preko dve stotine antifašista okupilo se danas u Beogradu da iskaže svoj stav o pokušaju rehabilitacije fašiste i kvislinga, Milana Nedića...
5) ИЗДАЈА СЕ НЕ МОЖЕ ЗАБОРАВИТИ (SUBNOR)
6) ЗАУСТАВИТЕ ТЕРОР РЕВАНШИСТА (SUBNOR)


=== 1 ===


Преносимо – Објављено под Актуелно |  26. јануара 2016.

ЗНА СЕ КО ЈЕ НЕДИЋА ПОСТАВИО

Из дневног листа ”Данас” преносимо текст Драгослава Димитријевића Белог, учесника Народноослободилачког рата и активног прегаоца у СУБНОР-у Србије, у жељи и да ширу јавност упознамо са темом која заслужује пажњу због упорног настојања појединаца да истину о збивањима у Другом светском рату преиначе.

”У текстовима објављеним у „Данасу“ 8. и 10. децембра и касније о поступку рехабилитације Милана Недића није се могло сазнати ко је и зашто поставио ђенерала Недића за председника српске владе за време немачке окупације Србије 1941-1944. године, због чега је та администрација названа влада када није имала шира овлашћења од дотадашње комесарске управе Милана Аћимовића, зашто се Недић одметнуо од краља и југословенске владе и није реаговао на распарчавање Југославије, зашто се прихватио да служи окупатору, чиме је укаљао част српског и југословенског оружја, што га је коштало и чина који му је одузео краљ Петар Други итд.

Да би се саслушала и друга страна, овде се наводи телеграм упућен из Београда Министарству спољних послова немачке владе у Берлину, 29. августа 1941. године од стране Феликса Бенцлера, опуномоћеника тог министарства при Војноуправном команданту Србије, у Београду, који гласи:

„Телеграм (поверљиво). Београд, 29. август 1941. – 16,55 часова. Приспеће 29. августа 1941. – 17,40 часова.

Бр. 562 од 29.8. Н а ј х и т н и ј е!

Пошто се све јасније показивало да овдашње немачке војне и полицијске снаге и поред најјачег ангажовања и незнатног губитка, нису довољне за уништење нарастајућег комунистичког покрета, а, са друге стране, одбијено је тражено појачање, то се морао учинити покушај да сами Срби униште комунистички покрет и да се тиме спречи уједињење комунистичког и националног елемента – чему се тежи. Досадашња комесарска влада, као што је све извесно, није за то више била у стању.

Војноуправни командант се због тога одлучио да за образовање владе задужи популарог ранијег министра рата генерала Милана Недића који је познат као непријатељ комунизма. При том му је оставио слободне руке у избору својих сарадника и учинио га лично одговорним за то да у кратком року разбије устанички покрет у земљи. Данас је Недић поднео листу својих сарадника. Према њој, Аћимовић задржава министарство унутрашњих послова. Љотићева група је заступљена са три министра. Иначе листа садржи већином безбројне личности, са изузетком министра Поште и саобраћаја, генерала Јосипа Костића, познатог као способног. Мада сва имена не задовољавају, Недићев предлог је прихваћен да би се могло одмах енергично почети са борбом против комунистичког терора. Образовање владе ће бити објављено рано у суботу.

Да би се подигао ауторитет генерала Недића пред његовим министарским колегама и у земљи, он ће носити титулу министра – председника а његови сарадници титулу министра.

Међутим, утврђено је да де факто нови владин гремијум не добија никакве нове стварне надлежности које сада није имала комесарска влада. Осим тога, ново регулисање значи ударац против тобожње владе Симовића у Лондону, којој се извлачи тло испод ногу.

Војноуправни командант није генералу Недићу давао никаква обећања као противкандидату за уништење комунистичког устанка. Само је стављено у изглед повећање жандармерије од 5.000 на 10.000 људи и образовање локалних помоћних борбених јединица. Овим се Недић нада да створи ред, зашто је свакако услов да га следи компактно становништво. Пошто влада у целини није јача од претходне све зависи од тога да ли ће Недић као личност испољити очекивану покретачку снагу. Уколико то пропадне, онда преостаје само да командант без српске помоћи управља земљом и да преузме војничко уништење устанка само немачким трупама.

Препоручујем да се образовање владе у немачкој штампи третира као унутрашња српска ствар и само кратко,  при чему би се могло напоменути да се овим српском народу даје још једна могућност да се сопственим снагама ослободи од комунистичког поробљавања земље. Бенцлер“.(Снимак телеграма (писаног на машини) у АVII, Бон-2, с.747/8).

Дакле, војноуправни командант је поставио Недића као осведоченог антикомунисту за председника српске владе да би помогао окупатору да угуши устанак у Србији који су организовали комунисти.

У телеграму упућеном 15.11.1941. Команданту оружаних снага на Југоистоку, опуномоћени командујући генерал у Србији Беме је написао је и ово:

„Армијски генерал Недић, у свом досадашњем руковођењу, што се тиче коректности био је лојалан и својим средствима против устаника, упркос многим тешкоћама, постигао је видне успехе против комуниста. Недић је понављао молбе да се устаничка места бомбардују… (Подвукао приређивач овог текста).

Ја сам дошао до убеђења да је даље вођење послова председника владе од стране армијског генерала Недића било правилно и да по циљу служи немачким интересима…“(Снимак оригинала (писаног на машини) у AVII, НАВ – Т – 501, р4.251. с263 – 7).

Документи непобитно потврђују да је војноуправни командант поставио Недића као осведоченог антикомунисту за председника српске владе да би помогао окупатору да угуши устанак у Србији који су организовали комунисти”.        


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Преносимо – Објављено под Актуелно |  5. фебруара 2016.

КВИСЛИНГ ЈЕ КВИСЛИНГ

Из дневног листа „Политика“ преносимо текст о актуелној теми која има шири значај. Новинар Никола Белић је аутор.

„Јесте радио с Хитлером, али…“ На овај начин Милана Недића правдају они који за њега траже рехабилитацију пред судом демократске, а не више комунистичке Србије. Можда ни не знају да хоће да рехабилитују човека који између та два система није правио велику разлику и чији је режим на лецима тврдио да је „демократија претходница комунизма“.

Десница у Србији све гласније тврди да је Милан Недић био само „жртва“ несрећних историјских околности, да је био приморан на срадњу с Адолфом Хитлером, у мисији спасавања српског народа. Њега је „задесило“ да предводи режим који је помогао Немцима да убијају и муче Јевреје, Роме, али и нелојалне Србе – комунисте и четнике који су се борили против окупатора. Он је био „принуђен“ да помаже Немцима и на Бањици и да храном снабдева Старо сајмиште. Потом је био „приморан“ да шири антисемитску пропаганду преко свог „Новог времена“, да измишљају јудео-масонске завере и да мање или више допринесе да Немци 1942. Београд прогласе за „јуденфрај“, што је био један од најјезивијих израза у историји човечанства.

Истина је да је Недићева Србија пружила уточиште стотинама хиљада Срба који би највероватније скончали у логорима НДХ. Да ли га то заиста ослобађа терета издаје и колаборације са једним од најчудовишнијих режима у истрорији? Није ли он био Хитлеров сарадник док су Немци убијали у Крагујевцу, и не само у Крагујевцу? Историчари се не слажу око тога да ли је он знао да се спрема стрељање ђака у Шумарицама. Можда и није знао. Но да ли они који верују Недићу на реч да није знао ништа о овом зверству, верују и милионима Немаца који нису хтели да знају ништа о Аушвицу и Дахауу?

Многи за Недића траже неки посебан статус, приписују му племените побуде, кажу да није био „обичан квислинг“. У Норвешкој нико не тражи рехабилитацију за Видкуна Квислинга, чије је име постало синоним за издају. Можда је Недић необичан највише по томе што би могао да постане први рехабилитовани злочинац те врсте у Европи.

Посебно запањује цинизам са којим неки десничари Недића пореде са савременим српским политичарима: све лидере од 2000. оптужују за колаборацију са Западом, као да су данашњи Вашингтон и Брисел настављачи Трећег рајха, а тврде да је Недић деловао из племенитих побуда, док ови бирани на демократским изборима то чине због власти.

Коначно, ако су већ заиста комунисти толико искривили слику о Недићу, па је домаћа јавност тобоже остала ускраћена за истину, тешко да је Титова пропаганда могла да обмане Слободана Јовановића. Један од највећих српских умова и историчара 20. века имао је најмање разлога да верује комунистима, због којих је до смрти остао у Лондону. А његов суд био је јасан – Милан Недић је међу највећим ратним злочинцима“.


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Оштар протест – Објављено под Актуелно |  5. фебруара 2016.

ТОГА  НИГДЕ  НЕМА!

Савез удружења бораца Народноослободилачког рата, СУБНОР Београда, најенергичније протествује против намере да се судским путем рехабилитује Милан Недић који је током Другог светског рата био председник српске владе намештене одлуком хитлеровске окупационе власти.

”Преко 17 хиљада чланова само у главном граду наше државе ће се – наглашено је у саопштењу – свим расположивим демократским средствима супротставити покушајима којих нигде у свету нема”.

Београдска организација скреће пажњу јавности на срамно мењање имена улица и тргова, школа, ревидирање уџбеника, прекрајање укупне историјске истине и тиме одузимање части коју је достојном борбом и слободарством наша отаџбина извојевала заједно са антихитлеровском коалицијом у сламању фашистичких армада у Другом светском рату.

Низ месних организација СУБНОР-а, заједно са Републичким одбором и Председништвом, већ годинама указују на повампирење идеолошке заслепљености десничарских кругова и ретроградних појединачних и групних жеља да се у Србији поништи славна Народноослободилачка борба и на сцену врате и оправдају силом на срамоту колаборанти које је, после победе у тешком рату, читава поштена планета изопштила означавајући их као непријатеље човечанства и измећаре фашиста освајача.

Како се сада могу, после деценија и настојања да будемо део ЕУ засноване на цивилизацијским тековинама антифашизма, прихватити исфорсирани и неутемељени судски процеси (многи покренути од наследника да би вратили ко зна на који начин стечену имовину) коју часну Србију и током Другог светског рата покушавају да свале у каљугу издајништва.

Слободарски Београд и поносна антифашистичка Србија то неће допустити. Судови јесу независни, али има демократских могућности да се укаже на поступке који нису у општем интересу и темељно угрожавају бољитак коме тежимо и непорецив углед у свету.


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REHABILITACIJA KVISLINGA NEDIĆA NEĆE PROĆI!

Preko dve stotine antifašista okupilo se danas da iskaže svoj stav o pokušaju rehabilitacije fašiste i kvislinga, Milana Nedića. NKPJ i SKOJ uzeli su jednu od vodećih uloga u ovom protestu. Današnjim protestom poslali smo jasnu poruku – rehabilitacija izdajnika ne sme i neće proći.

Više od dvesta antifašista okupilo se danas ispred Višeg suda u Beogradu, ulica Timočka 15, kako bi izrazili protest protiv sramnog pokušaja rehabilitacije fašističkog kvislinga Milana Nedića. Učesnici protesta su, mahom, nosili komunistička obeležja. Uzvikivali su parole proput: “Služio je Hitlera, sluga okupatora”, “Hitlera je služio, s ustašama družio”. Oni su pevali partizanske pesme i dostojanstveno i energično poslali svoju poruku.

Sa druge strane, iako propagiranje fašizma nije dozvoljeno zakonom, ipak je danas zakon štitio fašiste. Država, verovatno zabrnita zbog malobrojnosti okupljenih fašista i zabrnuta da se njihov glas neće dovoljno ćuti, dozvolila je ovoj grupici korišćenje megafona. Sa druge strane, pred sam početak protesta policija je legitimisala pripadnike naše partije i našeg omladinskog saveza i strogo zabranila korišćenje megafona, preteći krivičnim prijavama. Noseći zastave Dimitrija Ljotića, zatim “južnjačku zastavu”, simbol rasizma i brojna (zakonom zabranjena) nacistička obeležja. Uzvikivali su sramne parole, za koje bi trebalo odmah da budu osuđeni: “Vidimo se na Banjici, Jajincima”, i slično...

Ističemo da je ovo samo jedna u nizu akcije koje će NKPJ i SKOJ sprovesti u cilju sprečavanja sramne rehabilitacije. Oštro se suprotstavljamo sramnom prekrajanju istorije, stavljanjem četnika, a zatim i fašista na stranu onih koji su zaista branili zemlju od okupatora.

Da podsetimo, razlozi zbog kojih se NKPJ i SKOJ protive rehabilitaciji Milana Nedića su sledeći:

- Milan Nedić je bio izdajnik srpskog naroda i Jugoslavije koji je služio interesima naci-fašističkog okupatora u Drugom svetskom ratu

- Milan Nedić je bio na čelu kvislinške marionetske „vlade“ koja je služila i pomagala okupatorskim trupama

- Milan Nedić je oganizovao kvislinške jedinice koje su se borile protiv oslobodilačkog partizanskog pokreta a finansirale su ih okupacione vlasti

- Milan Nedić je tokom Drugog svetskog rata na prostoru Jugoslavije bio na istoj strani na kojoj su bili i drugi izdajnici jugoslovenskih naroda, belogardejci, ustaše, pro-fašističke milicije izdajnika muslimanskog naroda, zelenaši, balisti, folskdojčeri, VMRO-vci i naravno četnici

- Milan Nedić je organizovao masovna hapšenja Jevreja i Roma koji su ubijani u koncentracionim logorima i drugim mestima

- Milan Nedić je kao simpatizer fašizma donosio antisemitske i antiromske i druge rasističke zakone i propise 

- Milan Nedić je organizovao kazamate u kojima su ubijani komunisti, antifašisti i drugi rodoljubi

- Milan Nedić nije spasavao srpski narod, već je naprotiv Srbe predavao fašitičkom okupatoru i direktno je odgovaran za stradanje više desetina hiljada Srba 

- Milan Nedić je sramota srpskog naroda i zaslužuje samo prezir i gađenje

Rehabilitacija izdajnika neće proći!

Smrt fašizmu – sloboda narodu!

Sekretarijat NKPJ,

Sekretarijat SKOJ-a,

Beograd,

08.02.2016.



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Београд – Објављено под Актуелно |  8. фебруара 2016.

НЕЋЕ  ПРОЋИ  КОЛАБОРАНТИ

Срамотно је да се у 21.веку на улицама Београда, граду хероју и страдалнику у Другом светском рату, појављују аветињски симболи нацистичких окупаторских армада и туђинске заставе и фотоси колабораната који су, постављени да верно служе хитлеровцима, завили у црно хиљаде породица Срба, Јевреја, Рома и других грађана.
Осуђених на смрт само због тога што не припадају ”аријевском соју” и нису по искривљеном идеолошком укусу твораца тадашњег погромашког поретка и покорних егзекутора.
Ново рочиште у судници на београдском Црвеном крсту окупило је предлагаче рехабилитације Милана Недића, председника владе у поробљеној Србији претходно и генерала краљевске војске, затим више десетина аплаудера таквом чину.
Али и, у исто време, велики број антифашиста, посебно чланова респектабилног СУБНОР-а који су се окупили на позив Градског одбора, да јавно и оштро изразе протест што се још једном у задње време грубо фалсификује историјска истина и, на основу недоказивих накнадно ширених ”сазнања”, осведочени сарадници окупатора желе да силом на срамоту прогласе доброчинитељима и тобожњим спасиоцима поробљеног народа.
Изабраник хитлеровске солдатеске, смештен у фотељу председника наметнуте владе, побегао је главом без обзира са својим газдама пред ослобођење Београда 1944. Дотерао је до Аустрије, одакле су га припадници британске армије, у оквиру антифашистичке коалиције којој су све време Другог светског рата били поуздан ослонац Народноослободилачка војска и партизанске јединице, вратиле победничким властима. У нашем главном граду спремано је суђење за разнолика недела колаборације, а током истражног поступка Недић је извршио самоубиство.
Рочиште одржано овог 8.фебруара забринуло је широку јавност не само Србије што су се у Београду, пред судском зградом, појавили појединци са уздигнутим хитлеровским поздравом, сликама не само Недића него и озлоглашеног челника окупацијске ”зборашке” дружине Љотића, а чуле су се и песме и повици карактеристични за мрачне дане Другог светског рата.
То није и не могу бити ни Београд ни Србија који су дали немерљив допринос сламању фашизма у поробљеној Европи. Слободарски народ ове земље није, без обзира на колаборанте, никад сарађивао са окупаторима и горд је на антифашизaм којим се поноси сав поштен свет. И удружене државе нашег континента којима тежимо и због тога што борбу против фашизма и нацизма прихватају и шире као цивилизацијску тековину.
СУБНОР је баштиник славне традиције и свим демократским средствима ће се, верујући у резум правне државе, одупирати враћању рецидива издаје, прогона, реваншизма, ретроградних идеја за које се веровало да их никад више нико неће ни помињати.
Градска организација Београда ће у том смислу, посебно због локација судова којима су у надлежности ”предмети” накнадне памети извесних политичких групација и појединачних интереса, наставити окупљања и, на захтев многобројног чланства, јавно се супротстављати наметнутим неодрживим покушајима рехабилитације колабораната у Другом светском рату.
Протествоваће и сви којима је Србија на срцу. Извитоперивањем прошлости нема бољитка у будућности.



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Зрењанин – Објављено под Актуелно |  8. фебруара 2016.

ИЗДАЈА СЕ НЕ МОЖЕ ЗАБОРАВИТИ

У Зрењанину и низу места одржаће се протести због покушаја рехабилитације Милана Недића.
Желимо да искажемо неслагање и критику због погубног чина, а за који сматрамо да је у служби нацистичке идеологије којом се покушава манипулисати јавност и прекрајање историје. Тиме се урушава темељ антифашизма и антифашистичке борбе како у Зрењанину, Војводини тако и у Србији – каже се у прогласу Антифашистичке акције.
Улога Недића није само у расним депешама, говорима, уредбама за хапшење, одузимању имовине и обезбеђивању логора у тадашњој Србији, као и у Недићевом „доприносу“ холокаусту Јевреја, Рома и масовним затварањима и стрељањима антифашиста/киња.
Милан Недић и његова квислиншка влада пристали су на споразум о четворогодишњој експлоатацији уже Србије бесплатне радне снаге за принудне радове за Трећи рајх и безусловно давање пољопривредних добара и производа. На мети експолатације су посебно били пољопривредни крајеви као што је Зрељанин и Банат, који су били и под индиректном контролом Милана Недића.


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Шумадија – Објављено под Актуелно |  8. фебруара 2016.

ЗАУСТАВИТЕ ТЕРОР РЕВАНШИСТА

Они што траже да се лажни пријатељ српског народа Милан Недић рехабилитује не желе да прихвате доказе на основу којих народ Шумадије слободарске и Крагујевца града страдалника и непокора подсећају још једном антифашисте и целокупну домаћу и страну јавност.
Још у јесен 1941. године у Смедеревској Паланци су Милан Недић и његов министар Велибор Јонић формирали Завод за принудно васпитавање омладине,  концентрациони логор јединствен у овом делу Балкана јер је у њему српска младост психичким и физичким методама приморавана да се одрекне антифашизма и НОП и прихвати Недићев програм стварања „Велике Србије“ у оквиру Хитлерове такозване нове Европе. Из тог логора је на Јајинце, Бањицу, на стрелиште, послато 318 лица уз благослов Недића и његових помагача злочинаца Бошка Бећаревића и Драгог Јовановића.
У центру Шумадије, у Крагујевцу, на Метином брду, по налогу Недића и осведоченог крвника  са шумаричког стратишта Марисава Петровића формиран је конценрациони логор где су из Шумадије (Тополе, Раче, Аранђеловца, Свилајнца и Крагујевца) затворени припадници НОП и недићевци стрељали њих 69 а у логоре на Бањицу и у Немачку интернирали 267 родољуба.
Баш због тога и таквих „заслуга“ квислинг Милан Недић био је гост Адолфа Хитлера и његовог министра Рибентропа.
Крагујевачке Шумарице памте по злу Недићеве припаднике „српске државне страже“ који су се утркивали ко ће пред немачке митраљезе извести више грађана Крагујевца. То се не може и никад неће заборавити. Зар  и то, а није на жaлост све, опомена да се не сме ћутати?
Патриоте, антифашисти, борци НОР-а, њихови потомци и симпатизери, резервне војне старешине и сви којима на срцу и души лежи љубав према слободи и Србији оштро дижу глас против покушаја срамне рехабилитације.
И сложно поручују да неће дозволити прекрајање историје и величање оних које су Србија и њен народ упамтили по злу.
Срби, Јевреји, Роми и сви други којима је нанео зло Милан Недић, један од водећих квислинга Србије, поново су у истом строју који одлучно каже НЕ повампирењу фашизма – стоји у саопштењу СУБНОР-а Шумадије и Крагујевца.