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Come uccisero il Brasile d’Europa (parte 2)

9 maggio 2015

Mentre la Nazionale si prepara ai Mondiali, dal 1989 la Jugoslavia inizia ad essere scossa da liberismo e nazionalismo. Ad Italia ’90 andrà in scena l’ultimo atto del Brasile d’Europa

Di Carlo Perigli



Il calcio, almeno da parte di chi lo gioca, per il momento prova a rimanerne fuori. Se dal 1989 le sei Repubbliche accelerano il processo di allontanamento dalla Federazione, la Nazionale rimane coesa. Così, mentre sulla scena politica ed economica iniziano ad affacciarsi i partiti nazionalisti e l’economia liberista, la selezione che si appresta a viaggiare verso l’Italia rimane fedele alla sua identità jugoslava. I giovani sono cresciuti e ora affiancano senatori del calibro di Stojkovic, Savicevic e Katanec. La squadra è rodata, domina le qualificazioni senza perdere nemmeno una partita ed elimina la più blasonata Francia. Ma all’alba delle notti magiche una serie di episodi iniziano a scuotere il calcio jugoslavo, lastricandone la strada verso la distruzione.

Il primo, probabilmente anche il più famoso, racconta gli eventi che si svolsero al Maksimir di Zagabria il 13 maggio 1990, nella cornice dell’ormai noto, per quanto mai giocato, incontro tra Dinamo e Stella Rossa. A differenza del passato, questa volta gli scontri avvengono in una cornice politica totalmente inedita. L’8 aprile l’Hdz, il partito nazionalista guidato da Franjo Tudjman, ha vinto le prime elezioni multipartitiche in Croazia, della quale il 30 maggio diventerà poi Presidente. Sugli spalti compaiono le bandiere a scacchi, mentre i vessilli jugoslavi appaiono con un ampio buco al posto della stella rossa. L’ormai noto calcio volante, rifilato da Boban ad un poliziotto, divenne presto il simbolo del progressivo ma inevitabile allontanamento di Zagabria dal resto della Federazione. I nazionalisti si erano ormai affermati, e per nulla al mondo avrebbero rinunciato a sfruttare il calcio come infallibile strumento di propaganda.

Tuttavia, la prima vera scollatura tra la Nazionale jugoslava e il suo pubblico avviene circa venti giorni dopo. Il teatro è sempre il Maksimir, che stavolta ospital’amichevole tra Jugoslavia e Olanda, ultimo test prima della partenza per l’Italia. Lasciamo il racconto degli eventi alle parole di Dragan Stojkovic, capitano e leader di quella selezione:

«Facemmo la preparazione a Zagabria e giocammo un amichevole contro l’Olanda. I tifosi di casa iniziarono ad intonare cori contro di noi e a favore degli olandesi. Era molto strano da vedere e da sentire, e il ct dell’Olanda Leo Beenhakker in conferenza stampa dichiarò di non sapere che la sua nazionale avesse così tanti fan là. Più tardi qualcuno gli spiegò che [la situazione] era contro di noi. A quel punto capimmo che qualcosa sarebbe successo, ma in squadra non c’erano problemi. Avevamo Prosinecki dalla Croazia, Pancev dalla Macedonia, Susic dalla Bosnia, Katanec dalla Slovenia, io dalla Serbia e Savicevic dal Montenegro. Non abbiamo mai avuto questo genere di problemi e mai discutemmo o scherzammo su questo».

Nonostante le premesse però, in Italia la Jugoslavia conferma il suo talento, passa agevolmente il girone (sconfitta solo dalla Germania) e delizia il mondo contro la Spagna, grazie alle prodezze di un meraviglioso Dragan Stojkovic, autore di una straordinaria doppietta. Sugli spalti sventolano le bandiere con la stella rossa, il pubblico sostiene la sua Nazionale, ma un ulteriore episodio contribuirà nuovamente a destabilizzare l’ambiente sportivo. Poco prima della partita con l’Argentina, valida per i quarti di finale, Srecko Katanec, mediano e punto di riferimento della selezione, chiede al c.t. Ivica Osim di essere escluso dalla formazione titolare: «Per favore non mi  faccia giocare, ho ricevuto delle minacce nella mia città, sono preoccupato di giocare per la Nazionale». Osim capisce, la situazione sta diventando instabile e nemmeno la Nazionale ne è più immune.

Non è più una questione di bilanciamento tra le varie Repubbliche per le convocazioni, gli avversari di quella Nazionale ora si chiamano politica e criminalità, che incitano quelli che una volta erano i suoi tifosi. La Jugoslavia in campo resiste, perdendo solamente ai rigori nonostante l’inferiorità numerica per circa novanta minuti. L’errore decisivo, ironia della sorte, è proprio di capitan Stojkovic. I mondiali italiani confermano però la maturità del calcio jugoslavo, pronto a puntare i Campionati Europei del 1992. Nessuno poteva immaginare che quell’esplosione di talento avrebbe rappresentato il canto del cigno del promettente Brasile d’Europa.

(Segue...)




Come uccisero il Brasile d’Europa (parte 3)

16 maggio 2015

Dal 1990 al 1992 la Nazionale jugoslava viene coinvolta negli eventi storici e uccisa dal fax dell’Uefa, che la esilierà dal calcio fino al 1998

Di Carlo Perigli


(Segue da Parte 2http://popoffquotidiano.it/2015/05/09/come-uccisero-il-brasile-deuropa-parte-2/ )


Il 12 settembre 1990 la Jugoslavia inizia le qualificazioni agli Europei del 1992battendo l’Irlanda del Nord per 2-0. Quello degli slavi del sud è un cammino implacabile, che porterà la Nazionale a passare agevolmente il girone, vincendo 7 delle 8 partite, con 24 gol realizzati e solamente 4 subiti. Oltre a Davor Suker, la Jugoslavia inizierà ad amare anche Darko Pancev, implacabile attaccante che vincerà la classifica marcatori con 10 gol. Numeri impressionanti, stracciati da una storia fatta di nazionalismi, guerre e interventismo occidentale, che spazzeranno via ogni aspetto della società jugoslava, calcio compreso.

Per quanto riguarda il nostro racconto invece, la parola “fine” potrebbe riportare già una prima data il 16 maggio 1991, giorno in cui la Jugoslavia batte le Isole Far Oer per 7-0. Vittoria a parte, si tratta dell’ultima volta in cui la rappresentativa dei 6 Stati, 5 nazioni, 4 culture, 3 religioni e 2 alfabeti scende in campo. Dal giorno dopo i croati lasceranno lo spogliatoio, tra giugno e dicembre diventeranno stranieri. Per il calcio jugoslavo, inteso come la rappresentazione sportiva della patria di tutti gli slavi del sud, inizia un rapido declino. Un primo segnale si ha nella finale di Coppa di Jugoslavia, giocata l’8 maggio a Belgrado tra Stella Rossa e Hajduk di Spalato, a pochi giorni da uno dei violenti scontri a fuoco che imperversano a Borovo Selo, a pochi chilometri da Vukovar. Pensando alle due sfidanti, torna in mente la stessa partita giocata nel 1980, quando uno stadio intero piangeva la morte del Maresciallo Tito. No, questa volta l’atmosfera è decisamente diversa, e a spiegare come in 11 anni tutto fosse cambiato c’è il tristemente famoso “spero che i nostri ragazzi uccidano la tua famiglia a Borovo” sussurrato da Stimac a Mihajlovic, serbo – all’epoca jugoslavo – nato a Vukovar, parte di quel complesso rompicapo di etnie chiamato Jugoslavia, che solo uno squilibrato cercherebbe di risolvere tracciando linee nette.

Per assurdo, alla fine del mese il calcio jugoslavo conosce il momento più alto della sua storia. A Bari la Stella Rossa batte l’Olympique Marsiglia e alza per la prima volta la Coppa Campioni. In piccolo, quella squadra è una riproduzione della Nazionale jugoslava, dove il macedone Pancev segna a ripetizione, imbeccato dal montenegrino Savicevic, mentre il croato Prosinecki disegna geometrie impensabili aiutato dai serbi Mihajlovic e Jugovic. In difesa, il bosniaco Šabanadžović formava la cerniera di una squadra formidabile e multietnica. La notte del 29 maggio 1991 anche Bari divenne una piccola Jugoslavia. Tra musiche balcaniche e fiumi di rakija, va di scena una festa che non guarda differenze etniche di sorta, in un ballo che idealmente abbraccia ancora tutte e sei le Repubbliche.

Dall’altra parte dell’Adriatico invece, gli eventi ormai sono precipitati. Le squadre croate e slovene hanno lasciato la Prva Liga jugoslava, che nel 1992 smetterà di esistere per lasciare il passo al campionato della Repubblica Federale di Jugoslavia, alla quale partecipano le squadre serbe e montenegrine. La nazionale Jugoslavia esiste ancora, e a dispetto della politica vola in Danimarca per rappresentare tutte le nazionalità, croati esclusi. Ci sono sette giocatori serbi, sei montenegrini, due da Slovenia e Macedonia, uno dalla Bosnia. Vivono il ritiro tutti insieme, senza parlare di politica, nonostante la stampa non chieda altro, nonostante vengano ospitati in bungalow isolati e controllati da forze di polizia con unità cinofila al seguito, nonostante perfino i Primi Ministri delle selezioni avversarie non perdano occasione per delegittimare la loro presenza agli Europei. Finchè non arriva quel fax, con il quale il nostro racconto trova la sua conclusione definitiva, quando la politica riesce ad entrare a piedi pari sul calcio con la complicità di tutta la terna arbitrale. La Uefa esegue le disposizioni contenute nella Risoluzione 757 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che decreta l’embargo per la Repubblica Federale di Jugoslavia prevedendo inoltre l’immediata sospensione degli scambi scientifici, tecnici e culturali, nonché l’esclusione da tutte le manifestazioni sportive. Innegabile, quello calcistico è decisamente il lato più trascurabile, ma allo stesso tempo è il dito nella piaga, lo schiaffo che umilia, il colpo di grazia che esilia la Jugoslavia fino ai Mondiali del 1998. Ecco come hanno ucciso il Brasile d’Europa.

Chiudiamo la terza ed ultima parte del racconto ricorrendo nuovamente alle parole di Dragan Stojkovic, che sintetizzano al meglio quanto il calcio fosse distante dalla politica, ma anche quanto quest’ultima si interessò anche ad un semplice pallone.

«È stato il giorno più brutto della mia vita, e la cosa peggiore è che non potevo spiegare ai giocatori il perché. Questo è sport, non politica, e le due cose non dovrebbero mai andare di pari passo. Stavano accadendo cose terribili nel mio Paese, delle quali mi vergogno profondamente. Ma quando vidi quei giocatori, vidi le loro espressioni distrutte quando gli diedi la notizia, volevo sapere perché la Uefa era arrivata a tal punto. Se avevano deciso di escluderci dalla competizione, perché non dircelo prima? Ci stavamo allenando, eravamo già in hotel in Svezia, e ora dovevamo andare a casa. Dovevamo tornare alla realtà. E ancora, nessuno mi spiegava il perchè».






(italiano / deutsch)

Die neue deutsche Arroganz

1) Il BND, servizio segreto tedesco, spia politici tedeschi, alti funzionari del Ministero degli Esteri francese e dell'Eliseo e perfino della Commissione Europea
2) Die neue deutsche Arroganz:
* BND spionierte französische Regierung aus
* BND spioniert mit Hilfe der Deutschen Telekom die Telekom Austria aus


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L'americana NSA spiava l'Europa con l'aiuto dei servizi segreti tedeschi

24.04.2015

La statunitense National Security Agency (NSA) per oltre dieci anni spiava i politici e uomini d'affari in Europa sfruttando le opportunità tecniche dei servizi segreti tedeschi, riferisce “Spiegel”.

Come chiarito dalla rivista, i collaboratori della NSA si rivolgevano ai loro colleghi tedeschi per verificare tramite i propri canali i numeri dei cellulari e gli indirizzi IP delle persone interessate. In particolare erano finiti nel mirino dell'agenzia di intelligence americana i rappresentanti del gruppo aerospaziale europeo "Eads" e della società "Eurocopter", così come diversi funzionari e politici francesi. Tutte queste azioni venivano effettuate all'insaputa del Servizio d'informazione federale tedesco (BND, servizi segreti).
La BND si è accorta dell'illegalità di queste attività solo nel 2008. Si era scoperto che alcune richieste dell'intelligence degli Stati Uniti non erano coerenti con gli obiettivi e le disposizioni dei servizi segreti tedeschi nell'ambito degli accordi USA-Germania per la lotta comune contro il terrorismo globale. Ciononostante la BND ha avviato i controlli solo nel 2013. Si è scoperto che venivano spiate circa 2mila persone di interesse per gli Stati Uniti. Secondo "Spiegel", il cancelliere tedesco non era stato informato di questo fatto. Contemporaneamente nel febbraio 2014 Berlino aveva rifiutato un accordo di antispionaggio con Washington.

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I tedeschi aiutavano gli USA a spiare l'Europa

03.05.2015

L'agenzia di intelligence tedesca BND non solo collaborava con la NSA americana, svolgendo i loro compiti in Germania, ma effettuava anche attività di spionaggio in altri Paesi della UE.
"La stazione di intercettazioni della BND a Bad Aibling per anni è stata illegalmente sfruttata per le attività di spionaggio della NSA negli altri Paesi europei. Tra le vittime figurano alti funzionari del ministero degli Esteri francese, dell'Eliseo e della Commissione Europea", — scrive il giornale tedesco "Sueddeutsche Zeitung".

Il primo scandalo è scoppiato nell'agosto 2013, dopo le rivelazioni di Edward Snowden. In seguito era emerso che la NSA intercettava anche il cellulare del cancelliere tedesco Angela Merkel. Un paio di settimane fa lo scandalo ha raggiunto un nuovo livello, dopo che si è scoperto che in un modo o nell'altro la BND aiutava i suoi colleghi americani a raccogliere informazioni sui politici europei e ad impegnarsi in attività di spionaggio industriale. Adesso è chiaro perché il cancelliere tedesco non ha reagito duramente al fatto che il suo telefono era sotto controllo: di cosa indignarsi se proprio la tedesca BND era direttamente implicata nello scandalo? 
Una commissione speciale del Bundestag (Parlamento tedesco) è ora al lavoro per far luce sulle attività in Europa della NSA, impegnata nello spionaggio industriale e nella raccolta di informazioni sui politici tramite i servizi segreti tedeschi. I partiti di opposizione della Germania chiedono indagini e le dimissioni del direttore della BND. Contemporaneamente il governo ha promesso di riformare l'agenzia.
Tuttavia la cancelleria tedesca aveva ignorato inizialmente gli avvertimenti sulle attività di spionaggio della NSA, ha dichiarato in un'intervista alla tedesca SNA Radio André Hahn, presidente della commissione del Bundestag per il controllo sui servizi segreti. Ora l'ufficio della cancelleria riconosce che c'erano dei rapporti tra il 2005 e 2008. Se questo è vero, allora la cancelleria federale era obbligata ad insistere sul fatto che la BND fermasse tali attività e a rivolgersi agli americani affermando che tali forme di spionaggio sono inaccettabili.
La cooperazione tra NSA e BND iniziò con lo scopo di impedire il contrabbando di armi e contrastare le minacce terroristiche dopo l'11 settembre 2001, — afferma André Hahn. Ma se, in contrasto con le condizioni di questa collaborazione sono state spiate aziende e soggetti privati, tramite uomini che gli americani hanno mandato ad hoc, si tratta di un significativo scostamento rispetto agli accordi. Tuttavia finora l'elenco di questi selettori non è noto e la lista è stata segretata. André Hahn ritiene che debba essere trasmessa alla commissione del Bundestag e alla commissione d'inchiesta. Solo allora si potrà valutare il danno effettivo subito dalla Germania e dalle istituzioni europee.
Si ha l'impressione che i fatti non siano oggetto dell'inchiesta. Ottenere l'accesso ai documenti sul caso è piuttosto difficile e richiede molto tempo, afferma Hahn. Ovviamente la grande coalizione al potere in Germania teme che fornendo le informazioni necessarie si scoprirà qualcos'altro. In questo caso il cancelliere in persona potrebbe impegnarsi per chiarire la situazione, ordinando di dare la lista alla commissione. Solo allora si potrà valutare con precisione le imprese, le istituzioni e le personalità che sono finite nel mirino dell'intelligence. Vogliamo chiarire la questione, ma ci scontriamo con meccanismi insormontabili e la protezione reciproca del segreto negli ambienti governativi, — ha detto in un'intervista a "Radio SNA" André Hahn.

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Opposizione tedesca sul piede di guerra per scandalo spionaggio con americana NSA

03.05.2015

In precedenza i media avevano riferito che l'agenzia di intelligence americana NSA aveva sfruttato i mezzi tecnici dei servizi segreti tedeschi per spiare politici francesi, tra cui il ministero degli Esteri, l'Eliseo, e i rappresentanti della Commissione Europea.
L'opposizione tedesca minaccia di portare in trubunale il governo federale nel caso in cui non fornisca informazioni dettagliate a riguardo delle presunte attività di spionaggio della statunitense "National Security Agency" (NSA) in Germania.
I "Verdi" e "Die Linke" (sinistra radicale) chiedono i dettagli sulle richieste della NSA per capire cosa l'agenzia di intelligence americana voleva spiare e sapere con l'aiuto dei servizi segreti tedeschi (BND), scrive il giornale "Welt am Sonntag".
"Se non otterremo risposte, significa che difendete le spie che infrangono la legge",
— ha dichiarato la rappresentante della sinistra radicale nella commissione d'inchiesta del caso Martina Renner, aggiungendo che il governo
"deve decidere da quale parte stare."
Ha chiesto misure radicali anche la rappresentante dell'organizzazione giovanile del Partito Socialdemocratico tedesco Johanna Uekermann, che ha espresso la necessità di dimissioni del ministro dell'Interno in carica Thomas de Maiziere a seguito dello scandalo di spionaggio.

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Il Grande Fratello USA guarda l'Italia 

di Mario Sommossa, 5/5/2015

Nell'Agosto del 2013, le rivelazioni del funzionario della NSA americana, Edward Snowden, sorpresero il mondo e sconvolsero l'Europa. Si scoprì che l'agenzia di spionaggio non solo sorvegliava spostamenti e conversazioni telefoniche di nemici, o potenziali tali, ma anche degli alleati europei compresa la Cancelliera tedesca Angela Merkel.

Anche i giornali e i politici italiani ne parlarono, ma senza scaldarsi troppo.  Non si seppe con chiarezza se anche i vertici del nostro Stato e i rappresentanti dei nostri maggiori partiti erano stati intercettati e controllati. E' certo che, con il senno di poi, possano nascere dei dubbi su come si ottennero e furono divulgate le notizie sulla vita privata di Silvio Berlusconi, informazioni che contribuirono a gettare discredito su di lui e su tutto il governo, fino alla caduta dello stesso. 
In Germania si alzarono le proteste di rito per la sovranità violata ma, perfino da loro, tutto finì a "tarallucci e vino". Anche se si era scoperto che, sistematicamente, i nostri amici americani si comportavano in Europa come fossero a casa loro, il tempo tutto rimedia e le necessità del realismo politico restano sempre superiori al garbo e al rispetto reciproco. Un po' meno realiste ma senza poter nulla fare furono le aziende europee perché, non contenta di controllare i nostri politici, la NSA praticava anche spionaggio industriale a favore delle grandi corporation USA.
Tutto sembrava, comunque, appartenere al passato salvo che, oggi, si scopre un seguito ancora più inquietante. Il 30 Aprile scorso il giornale tedesco Sud Deutsche Zeitung ha pubblicato la notizia che non solo la NSA praticava lo spionaggio ai danni degli alleati ma, su suo incarico, lo faceva pure il BND, il servizio segreto tedesco, che spiava e spia politici tedeschi, alti funzionari del Ministero degli Esteri francese e dell'Eliseo e perfino della Commissione Europea. Se la scusante allora addotta dagli americani fu che lo spionaggio industriale serviva per raccogliere informazioni su possibili esportazioni illegali verso Paesi sotto embargo, sarà curioso sentire le motivazioni per cui sono state messe sotto "ascolto " anche la Commissione Europea e la politica estera francese.
Non dobbiamo tuttavia stupirci troppo. Ogni servizio segreto fa il proprio mestiere e, a voler essere concilianti, potremmo giustificare gli americani col fatto che non si puo' mai fidarsi ciecamente di nessuno, nemmeno degli amici.  
Ma anche se volessimo "comprendere" i servizi d'oltreoceano, ciò che merita una riflessione più attenta è che le spie tedesche hanno agito contro un altro membro dell'Unione Europea e contro l'Unione stessa proprio per conto degli Stati Uniti. Interrogato in merito dalle opposizioni, il governo tedesco ha negato di essere informato di queste pratiche e, tantomeno, di averle autorizzate. Ciò nonostante, la Cancelliera Merkel e la tenuta della sua maggioranza attuale sono messe in discussione perché delle due l'una: o veramente i vertici di Berlino non ne sapevano nulla e quindi si creerebbe un problema di gestione, oppure ne erano perfettamente al corrente e il caso diventerebbe ancora più grave. Ricordiamo che per spionaggio ai danni di concorrenti politici in una campagna elettorale il presidente Nixon fu costretto a dimettersi. Non ci sembra per niente che al di fuori di una competizione elettorale la cosa diventi meno grave, anzi. 
Se, comunque, accettassimo per buona l'ipotesi che il servizio segreto tedesco abbia fatto di testa sua, nasce allora una domanda ancora più preoccupante. Come fidarsi di un'istituzione che ha poteri profondamente invasivi nella vita privata e pubblica di alleati e uomini politici se essa, anziché essere a totale disposizione del proprio Paese, si mette al servizio di una potenza straniera, per quanto amica?
La preoccupazione si aggrava se pensiamo che quanto fatto dalla BND non si limiti alla Germania ma possa accadere, nello stesso modo, anche da noi. E' vero che, su molti soggetti, tutte le organizzazioni di spionaggio alleate lavorano insieme e da qui nascono frequentazioni e conoscenze che possono portare, magari involontariamente, a qualche leggerezza. Tuttavia non ci risulta, né si è mai sentito, che fossero i servizi americani a spiare i loro politici per conto di una qualunque organizzazione europea o tantomeno italiana. Siamo sicuri, dopo le rivelazioni del quotidiano tedesco, ripreso anche da Le Monde, che non stia avvenendo la stessa cosa a Roma, oggi?
Considerati i rapporti di forza del nostro paese con l'alleato americano e la nostra tradizionale sudditanza nei confronti di qualunque "suggerimento" in arrivo da Washington, il dubbio resta ed è destinato a crescere.


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Die neue deutsche Arroganz
 

04.05.2015
BERLIN/PARIS
 
(Eigener Bericht) - Der deutsche Auslandsgeheimdienst hat die im Auftrag der NSA abgefangene Kommunikation höchster französischer Regierungsstellen für seine eigene Spionagetätigkeit genutzt. Dies geht aus aktuellen Medienberichten hervor. Demnach hat der BND nicht nur Metadaten, sondern auch den Inhalt von E-Mails und Telefonaten aufgezeichnet und sich daraus zur Erstellung seiner Berichte bedient. Betroffen waren nicht nur die Verwaltung des französischen Staatspräsidenten, sondern auch österreichische Regierungsbehörden und die EU-Kommission. Insider urteilen, es sei dem BND eindeutig um "die politische Ausspähung unserer europäischen Nachbarn" gegangen; die durch das Bekanntwerden dieser Tatsache ausgelöste Affäre habe mit der Aufdeckung der deutschen Spionage in Frankreich, Österreich und bei der EU "ihren Scheitelpunkt noch nicht erreicht". Die Enthüllungen erfolgen zu einem Zeitpunkt, zu dem neue Verbalattacken aus der Bundesregierung in Frankreich Empörung hervorrufen. Mitte April hatte Bundesfinanzminister Wolfgang Schäuble behauptet, Frankreich könnte "froh sein", sollte jemand das französische Parlament zu Sparmaßnahmen "zwingen". Französische Spitzenpolitiker hatten sich daraufhin heftig über die "neue deutsche Arroganz" beschwert.

In Text und Ton

Der Bundesnachrichtendienst (BND) hat jahrelang mehrere europäische Verbündete Deutschlands sowie die EU bespitzelt und die Daten an den US-Militärgeheimdienst NSA weitergegeben. Dies bestätigen aktuelle Medienberichte. Grundlage dafür war demnach ein deutsch-US-amerikanisches Memorandum of Understanding aus dem Jahr 2002, das offiziell geschlossen wurde, um im "Anti-Terror-Krieg" nach dem 11. September 2001 gemeinsam Spionage zu treiben. Von 2002 bis 2013 habe der BND auf der Basis dieses Abkommens massenhaft Kommunikation abgefangen und darin auf Ersuchen der NSA nach rund 690.000 Telefonnummern und etwa 7,8 Millionen IP-Kombinationen gesucht, heißt es: "Deutsche und amerikanische Personen und Einrichtungen" seien von der Ausforschung ausgenommen gewesen [1]; auf verbündete Staaten sei hingegen keinerlei Rücksicht genommen. Die Spionage beschränkte sich nicht nur auf sogenannte Metadaten, sondern umfasste auch Telefonate und E-Mails, die in Ton- und Textdateien aufgezeichnet wurden.[2]

Die Nachbarn ausgespäht

Dabei richteten sich die Maßnahmen entgegen dem offiziellen Zweck - dem Vorgehen gegen tatsächliche oder angebliche Terroristen - auch gegen Politiker, Ministerialbeamte und Konzerne. Aktuellen Berichten zufolge ist das Memorandum of Understanding von 2002 offenbar eingehalten worden; deutsche Politiker seien gar nicht ausgeforscht worden, deutsche Unternehmen nur in sehr geringer Zahl. Allerdings seien deutsch-französische Konzerne wie Airbus (Ex-EADS) oder Eurocopter ausspioniert worden. Insbesondere hat sich die Spionage offenkundig gegen Staaten gerichtet, die als bedeutende Verbündete Deutschlands gelten können. Laut den Berichten fing der BND mit Hilfe seiner Abhöranlage im bayerischen Bad Aibling, die auf das gezielte Abgreifen der Kommunikation mit dem Nahen und Mittleren Osten einschließlich Afghanistans spezialisiert ist, Kommunikationsdaten hochrangiger Beamter des französischen Außenministeriums und des Élysée-Palastes, österreichischer Behörden sowie der EU-Kommission ab. Es sei eindeutig um "die politische Ausspähung unserer europäischen Nachbarn und von EU-Institutionen" gegangen, wird ein Insider zitiert.[3] Insbesondere habe der BND die abgefangenen Daten keineswegs nur an die NSA weitergeleitet, sondern sie auch selbst ausgewertet, heißt es nun; seine Mitarbeiter hätten "die Daten jahrelang ... begutachtet, ausgewertet, teilweise kopiert und in Berichten verwertet".[4]

Unter Freunden

Damit bestätigt sich, dass die Bundesrepublik sich gegenüber ihren europäischen Verbündeten erlaubt, was sie sich von der NSA im eigenen Land verbittet. "Ausspähen unter Freunden, das geht gar nicht", hatte Bundeskanzlerin Angela Merkel im Herbst 2013 zur US-Spionage in Deutschland erklärt.[5] Entsprechend heißt es nun, das Kanzleramt sei über die Ausforschung von Verbündeten in Europa nicht informiert gewesen. Allerdings liegen längst gegenteilige Berichte vor, die nicht nur die Amtszeit von Innenminister Thomas de Maizière (2005 bis 2009), sondern womöglich auch diejenige von Außenminister Frank-Walter Steinmeier (bis 2005) an der Spitze des Kanzleramts betreffen (german-foreign-policy.com berichtete [6]). Entsprechend werden in Berlin mittlerweile besorgte Warnungen laut. "Sollte sich herausstellen, dass Partner gezielt, allein aus Gründen wirtschaftlicher Interessen und des Informationsvorsprungs ausspioniert wurden, wird dies zu Belastungen im bilateralen, aber auch im innereuropäischen Verhältnis führen" [7], erklärt der stellvertretende Vorsitzende der SPD-Bundestagsfraktion Rolf Mützenich: "Vertrauen im deutsch-französischen Verhältnis" sei jedoch "existenziell für die europäische Integration". Dabei rechnen Insider mit weiteren Enthüllungen. Der CDU-Bundestagsabgeordnete Armin Schuster, Mitglied im Parlamentarischen Kontrollgremium, erklärt: "Ich fürchte, die Affäre hat ihren Scheitelpunkt noch nicht erreicht."[8]

Kein Gleichgewicht

Die Enthüllungen über das Ausspionieren französischer Regierungsstellen durch den BND erfolgen zu einem Zeitpunkt, zu dem das dominante Auftrumpfen der Bundesregierung in Frankreich für neue Verstimmungen sorgt. Bereits seit Jahren leistet sich das deutsche Polit-Establishment einen abschätzigen Umgang mit dem Verbündeten, der den gängigen politischen Sonntagsreden über eine angebliche deutsch-französische "Freundschaft" Hohn spricht. Bereits Anfang 2011 deklassierte ein Journalist aus dem Berliner Establishment den damaligen französischen Staatspräsidenten Nicolas Sarkozy, indem er ihm "die Rolle des Vizekanzlers" unter einer "EU-Kanzlerin" Merkel zuschrieb: Sarkozy dürfe "durchaus die Initiative" übernehmen, müsse sich allerdings damit abfinden, "im Konfliktfall von der Kanzlerin immer wieder gebremst" zu werden.[9] Ende 2012 hatte eine deutsche Außenpolitik-Expertin gefordert, nun auch offiziell das zwischen Berlin und Paris immer wieder vorgeschobene "Gleichgewichts-Paradigma aufzugeben".[10] Ende 2014 beschimpfte EU-Kommissar Günther Oettinger Frankreich als "Wiederholungstäter", weil es sich Spardiktaten aus Berlin und Brüssel verweigerte, und verlangte von der EU ultimativ "Härte" gegenüber Paris.[11] Die Beispiele ließen sich vermehren.

"Das Parlament zwingen"

Mitte April hat nun Bundesfinanzminister Wolfgang Schäuble (CDU) den früheren Verbalattacken gegen Frankreich eine neue hinzugefügt. Mit Blick auf die massiven französischen Widerstände gegen die deutschen Spardiktate hatte er erklärt: "Frankreich könnte froh sein, wenn jemand das Parlament zwingen würde, aber das ist schwierig, so ist die Demokratie".[12] Der Wunsch des deutschen Ministers, das Parlament eines souveränen Nachbarstaates zu "zwingen", ist in Paris auf Empörung gestoßen. "Die Frankreichfeindlichkeit von Wolfgang Schäuble" sei "unerträglich, inakzeptabel und kontraproduktiv", protestierte der Vorsitzende von Frankreichs Regierungspartei Parti socialiste (PS), Jean-Christophe Cambadélis. Jean-Luc Mélenchon, Präsidentschaftskandidat des oppositionellen Front de gauche im Jahr 2012, forderte von Schäuble eine "Entschuldigung bei der französischen Bevölkerung".[13] Die Äußerungen des deutschen Ministers zeigten "die neue deutsche Arroganz", die exakt "zu dem Zeitpunkt" zutage trete, zu dem Berlin "Europa dominiert". Dass Berlin sich über Jahre die Ausforschung höchster französischer Regierungsstellen genehmigt hat, passt dazu.
[1] Georg Mascolo: BND half NSA beim Ausspähen von Frankreich und EU-Kommission. www.sueddeutsche.de 29.04.2015.
[2] BND wertete Daten für eigene Zwecke aus. www.handelsblatt.com 02.05.2015.
[3] Georg Mascolo: BND half NSA beim Ausspähen von Frankreich und EU-Kommission. www.sueddeutsche.de 29.04.2015.
[4] BND wertete Daten für eigene Zwecke aus. www.handelsblatt.com 02.05.2015.
[5] Marlies Uken: Für Merkel geht Abhören unter Freunden gar nicht. www.zeit.de 24.10.2013.
[6] S. dazu "Russland, China, Terror".
[7] Mützenich warnt vor Schaden für Europa. www.ksta.de 30.04.2015.
[8] "Die Affäre hat ihren Scheitelpunkt noch nicht erreicht". www.badische-zeitung.de 02.05.2015.
[9] Andreas Rinke: Die EU-Kanzlerin. Angela Merkel überträgt ihren Regierungsstil auf die europäische Ebene. www.internationalepolitik.de 21.01.2011. S. dazu Die Kanzlerin Europas.
[10] Claire Demesmay: Zusammen ist man weniger allein. www.theeuropean.de 23.12.2012. S. dazu Nicht mehr auf Augenhöhe.
[11] Günther H. Oettinger: Déficit français: Bruxelles ne doit pas céder. Les Echos 21.11.2014. S. dazu Eine kontrollierte Entgleisung.
[12] Michaela Wiegel: "Unerträgliche Frankreichfeindlichkeit". www.faz.net 17.04.2015.
[13] Le ministre allemand des Finances voudrait réformer la France de force. www.ledauphine.com 17.04.2015.


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Die neue deutsche Arroganz (II)
 

18.05.2015

BERLIN/WASHINGTON/WIEN
 
(Eigener Bericht) - Der Bundesnachrichtendienst (BND) hat in Kooperation mit dem US-Militärgeheimdienst NSA massenhaft E-Mails aus Österreich sowie aus Luxemburg und der Tschechichen Republik abgefangen und gespeichert. Dies geht aus einer internen E-Mail eines für die Zusammenarbeit mit Geheimdienst und Polizei zuständigen Mitarbeiters der Deutschen Telekom AG hervor, die der österreichische Nationalratsabgeordnete Peter Pilz veröffentlicht hat. Demnach hat der BND von der Telekom schon Anfang Februar 2005 grünes Licht für den Zugriff auf eine Glasfaserleitung erhalten, über die die Internetkommunikation zwischen Luxemburg einerseits und Österreich sowie zahlreichen weiteren Staaten andererseits läuft. Damals lag die Zuständigkeit für den BND in letzter Instanz bei Kanzleramtschef Frank-Walter Steinmeier (SPD). Betroffen war laut Berichten auch Österreichs Inlandsgeheimdienst. Wer Kenntnis über dessen Kommunikation habe, wisse "fast alles über das politische Leben in dieser Republik", urteilt Pilz. Ernsthafte Proteste der betroffenen Regierungen bleiben in der deutsch dominierten EU bisher aus. Die Bundesregierung hingegen setzt die technologische Aufrüstung des BND fort, die die deutsche Spionage letztlich "auf Augenhöhe" mit der NSA bringen soll - auch im Internet.

Ausgeleitet und dupliziert

Der Bundesnachrichtendienst (BND) hat in Kooperation mit dem US-Militärgeheimdienst NSA Einwohner und Regierungsstellen von mindestens vier engen EU-Verbündeten sowie vermutlich diverse in Wien ansässige internationale Organisationen wie die Internationale Atomenergie-Organisation (IAEO) ausspioniert. Dies geht aus einer internen E-Mail eines Mitarbeiters der Deutschen Telekom AG hervor, die der österreichische Nationalratsabgeordnete Peter Pilz (Grüne) Ende vergangener Woche veröffentlicht hat.[1] Der Telekom-Mitarbeiter teilt darin seinem BND-Kontaktmann mit, man habe soeben eine neue Glasfaserleitung von Frankfurt am Main nach Luxemburg freigeschaltet, über die nun "kein nationaler Verkehr mehr" geführt werde. Für den BND, der als Auslandsgeheimdienst deutsche Staatsbürger theoretisch nicht ausforschen darf, war dies ein Signal, künftig freie Hand beim Zugriff auf die Leitung zu haben, die unter anderem nach Wien führt. "Die Daten der Telekom Austria wurden am Internetknoten Frankfurt über das BND-Büro in der Deutschen Telekom AG ausgeleitet, dupliziert, nach Pullach in die BND-Zentrale weitergeleitet", schildert Peter Pilz die deutsche Maßnahme; dann seien sie "von der Technischen Aufklärung (TA) ... für den automatisierten Zugriff zugänglich gemacht" worden.[2]

Spionageziel: Internationale Organisationen

Pilz' Enthüllung offenbart bereits den zweiten Fall umfassender Internetspionage gegen Österreich. Schon im März war bekannt geworden, dass die NSA den Internetprovider UPC (früher: chello.at) auf einer Liste von insgesamt 35 Spionagezielen führte - unter anderem neben den französischen Providern Alcatel-Lucent und Wanadoo. Deren Daten würden abgeschöpft, indem sie "an einem Absaugknoten" vorbeigeführt würden, hieß es damals; dies geschehe "mit der Hilfe von privaten Telekomkonzernen" und deren Glasfaserkabeln. "Der Großteil" werde dabei in den Vereinigten Staaten abgesaugt; jedoch befänden sich "auch acht Vorrichtungen außerhalb von US-Territorium".[3] Die BND-NSA-Kooperation am Knotenpunkt DE-CIX in Frankfurt am Main sorgt schon seit geraumer Zeit immer wieder für Schlagzeilen.[4] Bereits im März mutmaßten Beobachter anlässlich der Ausforschung von UPC, einem Unternehmen, das ungefähr 464.000 Kunden in Österreich hat, das besondere Interesse an der Ausforschung österreichischer Kommunikation könne auf "die Vielzahl an internationalen Organisationen in Wien" zurückzuführen sein. Ausdrücklich genannt wurde die IAEO, in deren Netzwerk bereits zuvor die Spionage-Malware "Regin" gefunden worden war, die der NSA zugeschrieben wird.[5]

Fast alles über Österreich

Schwer wiegt zudem, dass der BND offenbar auch Österreichs Inlandsgeheimdienst abgeschöpft hat. Laut Recherchen des ARD-Magazins "Fakt" ist mit dem nicht näher bezeichneten österreichischen "Bundesamt", das Berichten zufolge ins Visier der BND-NSA-Internetspionage geraten ist, das "Bundesamt für Verfassungsschutz und Terrorismusbekämpfung" gemeint.[6] Dort "gibt es Daten über zehntausende Personen", erklärt der Nationalratsabgeordnete Pilz: Wer auf sie Zugriff habe, wisse "fast alles über das politische Leben in dieser Republik".

Start unter Rot-Grün

Technisch grünes Licht für das massenhafte Abschöpfen österreichischer Kommunikationsdaten erhielt der BND ausweislich der E-Mail aus der "Regionalstelle für staatliche Sonderaufgaben" (ReSA) der Deutschen Telekom in Frankfurt am Main [7] am 3. Februar 2005 - also noch zur Amtszeit von Bundeskanzler Gerhard Schröder und seinem Kanzleramtschef Frank-Walter Steinmeier. Für Aktivitäten des BND war damals ganz wie heute in letzter Instanz der Kanzleramtschef zuständig.

Erste Priorität

Dabei betrifft das Abschöpfen der Daten offenkundig nicht nur Österreich, sondern auch weitere EU-Verbündete. Ausweislich der ReSA-E-Mail durchliefen gleich vier Kommunikationsströme der "ersten Prioritätenliste" des BND die neue Glasfaserleitung der Deutschen Telekom: neben Luxemburg-Wien auch Luxemburg-Prag, Ankara-Luxemburg und Luxemburg-Moskau.[8] Damit gerieten zumindest auch Daten aus Luxemburg und der Tschechischen Republik systematisch in die Speicher des BND. Schon vor wenigen Tagen war bekannt geworden, dass der deutsche Auslandsgeheimdienst auch Daten aus Frankreich abschöpfte und dabei sogar die Kommunikation französischer Regierungsstellen ausspionierte.[9] Ob Vergleichbares auch in der luxemburgischen Heimat von EU-Kommissionspräsident Jean-Claude Juncker und in Prag geschah, ist bislang nicht bekannt. Wenig überraschend ist hingegen die Ausforschung von Kommunikation mit Personen oder Institutionen in Russland und in der Türkei.

Kein offizieller Protest

Ernsthafte Proteste kommen bislang lediglich aus der französischen und aus der österreichischen Opposition. Der österreichische Oppositionsabgeordnete Peter Pilz spricht von einem "glatten Rechtsbruch", fordert die Telekom Austria auf, rechtliche Schritte gegen die Deutsche Telekom in die Wege zu leiten, und spricht sich für die Einsetzung eines parlamentarischen Untersuchungsausschusses in Wien aus.[10] Bereits kürzlich hat der französische Oppositionelle Jean-Luc Mélenchon, Präsidentschaftskandidat des "Front de gauche" im Jahr 2012, eine "neue deutsche Arroganz" konstatiert, die nicht zufällig "zu dem Zeitpunkt" zutage trete, zu dem Berlin "Europa dominiert".[11] Die französische Regierung hingegen verzichtet bislang auf jeden offiziellen Protest; Österreichs Innenministerin hat lediglich eine Strafanzeige "gegen unbekannt" gestellt. Aus Luxemburg und der Tschechischen Republik sind bislang keinerlei Beschwerden gegen die europäische Hegemonialmacht zu hören.

Eine größere Rolle in der Welt

Unterdessen treibt Berlin den Ausbau der BND-Internetspionage voran. Im Rahmen einer "Strategischen Initiative Technik" hat die Bundesregierung dem Auslandsgeheimdienst in einem ersten Schritt fast eine Drittelmilliarde Euro zur Verfügung gestellt, um seine Fähigkeiten in puncto E-Mail- und Onlinespionage zu verbessern und nach Möglichkeit "auf Augenhöhe" mit der NSA zu gelangen.[12] "Will Deutschland eine größere Rolle in der Welt spielen", heißt es dazu in der führenden Zeitschrift der Berliner Außenpolitik-Eliten, der "Internationalen Politik", "führt an einem Ausbau der Kapazitäten kein Weg vorbei."[13] Über eine Milliarde Euro gibt die Bundesrepublik aus, um den BND aus Pullach nach Berlin zu holen, wo er engere Beziehungen zu Ministerien und Parlament aufbauen soll. Erst kürzlich hat die Bundesregierung eingeräumt, dass die ursprünglich auf 720 Millionen Euro veranschlagten Kosten für den Neubau der Berliner BND-Zentrale schon jetzt auf über eine Milliarde Euro gestiegen sind. Die Gesamtkosten für den Umzug werden mittlerweile auf 1,588 Milliarden Euro beziffert. Die Stärkung des nationalen Geheimdienstes, der noch die engsten EU-Verbündeten ausforscht, gehört untrennbar zur Konsolidierung der deutschen Dominanz über Europa und zur neuen deutschen Weltpolitik hinzu.[14]

[1] Die E-Mail ist hier einsehbar: netzpolitik.org/wp-upload/2005-02-03-BND-Telekom-AT.jpg .
[2] Fabian Schmid: BND spionierte für NSA Leitungen der Telekom Austria aus. derstandard.at 15.05.2015.
[3] Fabian Schmid, Markus Sulzbacher: NSA spionierte gezielt österreichische UPC-Kunden aus. derstandard.at 11.03.2015.
[4] S. dazu Beredtes Schweigen und Der Airbus für's Internet.
[5] Fabian Schmid, Markus Sulzbacher: NSA spionierte gezielt österreichische UPC-Kunden aus. derstandard.at 11.03.2015.
[6] BND hatte österreichischen Geheimdienst im Visier. www.mdr.at 05.05.2015.
[7] Für Zuarbeiten für Geheimdienste und Polizeien beschäftigt die Deutsche Telekom an ihren Standorten in Berlin, Frankfurt am Main, Hannover und Münster rund 40 Mitarbeiter. Andre Meister: Interne E-Mail: BND und Deutsche Telekom haben auch Österreich, Tschechien und Luxemburg abgehört (Update). netzpolitik.org 15.05.2015.
[8] Andre Meister: Interne E-Mail: BND und Deutsche Telekom haben auch Österreich, Tschechien und Luxemburg abgehört (Update). netzpolitik.org 15.05.2015.
[9] BND wertete Daten für eigene Zwecke aus. www.handelsblatt.com 02.05.2015. S. dazu Die neue deutsche Arroganz.
[10] Fabian Schmid: BND spionierte für NSA Leitungen der Telekom Austria aus. derstandard.at 15.05.2015.
[11] S. dazu Die neue deutsche Arroganz.
[12] S. dazu Eine deutsch-europäische NSA und Erfordernisse der Weltpolitik.
[13] Peter Neumann: Algorithmen und Agenten. Wo es gerade in Deutschland bei der Geheimdienstarbeit hapert. Internationale Politik November /Dezember 2014.
[14] S. dazu In und durch Europa führen und Die Bilanz eines Jahres.






(deutsch / english / srpskohrvatski / italiano)


Kumanovo e altri tentativi di riattizzare il fuoco...


1) GRANDE ALBANIA: “L’unione con il Kosovo è inevitabile, che all’UE piaccia o no”, parola di Edi Rama
2) ‘GREATER ALBANIA’ statement awakens old ghosts in Balkans 
3) NEWS:
Macedonia. Raid dell'Uck al confine: "Vogliamo la grande Albania" / Vucic: Bruxelles deve dire apertamente la vera ragione per la quale non stati aperti i primi capitoli nelle trattative sull’adesione della Serbia all’Unione europea / I Serbi che vivono in Kosovo hanno paura dopo attacchi terroristici degli albanesi in Macedonia / Прети ли Куманово да запали Балкан и Србију?
4) ANGST VOR TERROR IN MAZEDONIEN. UÇK bekennt sich zu Angriffen in Kumanovo am Wochenende
5) FALLISCE IL GOLPE USA IN MACEDONIA (di Thierry Meyssan)
6) THE GEARS OF WAR GRIND FOR GREATER ALBANIA (by A. Korybko, SputnikNews)


Leggi anche / isto procitaj:

Diritto e ... rovescio internazionale nel caso jugoslavo
di Andrea Martocchia, segretario Coord. Naz. per la Jugoslavia ONLUS
Flashback / Diritto, adieu / La notizia più recente / Il Kosovo e la missione EULEX / Altri aspetti dello stato di illegalità in Kosovo / Il caso Jelisić / La magistratura come prosecuzione della guerra con altri mezzi
Articolo pubblicato nell'ultimo numero (1/2015) di MarxVentuno rivistahttp://www.marx21.it/component/content/article/32-la-rivista-marxventuno/25447-marxventuno-n1-2015.html

AGGIORNAMENTI DAL KOSMET MARTORIATO (JUGOINFO 19 aprile 2015)
Kosovo: storia di un fallimento /  Kosovo: continuano le aggressioni / Che succede a Kosovska Mitrovica? / Jedanaest godina od pogroma nad Srbima na KiM / Se Priština non formerà il Tribunale per i crimini dell’UCK, lo farà l’ONU / Il premier albanese Edi Rama: "Kosovo e l’Albania si uniranno in modo classico" / Belgrado: se Thaci viene in Serbia verrà arrestato... 

SERBIA, SFIORATA LA CRISI DIPLOMATICA CON TIRANA (Sarah Camilla Rege, 1 maggio 2015)

LAZANSKI SVE PREDVIDEO: Amerikanci prave rat u Makedoniji zbog Turskog toka! (VIDEO – 10. Maj 2015.)
VIDEO: Lazanski - Makedonija najslabija karika Turskog toka (3 mag 2015)

CHE SUCCEDE IN MACEDONIA? (di Giulietto Chiesa, 11.05.2015)
Gli incidenti di Kumanovo (cinque morti tra le guardie di frontiera macedoni) e quelli, precedenti, dell’attacco alla stazione di polizia di Goshince, dodici giorni fa, indicano una seria svolta nella inquieta situazione politica macedone...

BOSNIA E MACEDONIA NEL MIRINO DI JIHADISTI E UCK (di Luca Susic, 12 maggio 2015)

L'Occidente infuriato contro Gruevski perché ha sventato i piani dei terroristi pan-albanesi!

L’OCCIDENTE AVVERTE IL PRIMO MINISTRO GRUEVSKI (di Giovanni Vale, 13 maggio 2015)
Usa e Ue chiedono di fare chiarezza dopo le accuse emerse dalle intercettazioni. Il premier sostituisce due ministri
http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2015/05/13/news/macedonia-l-occidente-avverte-gruevski-1.11411864

VEDI ANCHE:
* i video della polizia macedone
https://www.youtube.com/user/MVRMacedonia1231
* regime albano-kosovaro schiera forze speciali al confine
http://web-tribune.com/aktuelno/uvod-u-najavljeni-opsti-rat-pristina-zapocela-gomilanje-specijalnih-snaga-prema-jugu-srbije-i-makedoniji#
* a Presevo dopo gli scontri di Kumanovo sono confluiti 700 albano-macedoni
http://srbin.info/2015/05/10/u-presevo-stiglo-oko-700-albanaca-iz-makedonije/


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da www.eastjournal.net

ALBANIA: “L’unione con il Kosovo è inevitabile, che all’UE piaccia o no”, parola di Edi Rama

Posted 8 aprile 2015  
di Matteo Zola

L’unione tra il Kosovo e l’Albania “è inevitabile e indiscutibile“. E si farà “dentro l’Unione Europea, oppure senza il consenso di Bruxelles come reazione alla cecità e alla pigrizia europea”. Queste le parole del primo ministro albanese, Edi Rama, rilasciate durante un’intervista congiunta con il ministro degli Esteri kosovaro, Hashim Thaci, all’emittente televisiva di Pristina “Klan Kosova”. Parole che pesano nel contesto balcanico. A stretto giro è giunta la secca replica del primo ministro serbo, Aleksandar Vučić: “questo non avverrà mai. Le dichiarazioni di Rama servono solo a destabilizzare la regione”. La notizia finisce qui, ma è inevitabile che faccia discutere.

Negli ultimi anni Belgrado ha cercato di portare avanti una politica di normalizzazione nelle relazioni con l’Albania e sulla questione del Kosovo. Il primo ministro Vučić e il presidente Nikolić, pur provenendo da un partito radicalmente nazionalista, sono i fautori di questa politica di distensione. Forse per opportunismo, forse perché spinti dall’Unione Europea, forse perché in cerca di una nuova verginità politica, i due leader hanno tuttavia fatto quanto nessuno prima: l’”Accordo sui principi che disciplinano la normalizzazione delle relazioni” tra la Repubblica di Serbia e la Repubblica del Kosovo siglato nell’aprile del 2013 è stata un’intesa storica. Belgrado, che per anni si è rifiutata di accettare il fatto compiuto dell’indipendenza del Kosovo, voltava così pagina.

Malgrado l’accordo, le tensioni sono rimaste. Il primo ministro serbo Vučić, pur avendo firmato l’accordo, continua a usare le vecchie retoriche nazionaliste, utili per mantenere il consenso. Le dichiarazioni di Edi Rama sembrano avere lo stesso scopo: distrarre l’opinione pubblica albanese dai problemi reali. Rama si è fin qui distinto per una buona dose di “situazionismo”, rivolgendosi alle istituzioni europee con toni e argomenti ben diversi da quelli che poi esibisce in casa. Ma anche a volerlo credere sinceramente intenzionato a perseguire l’unità nazionale, il premier albanese dimostra di non avere capito che cosa rappresenta concretamente l’indipendenza del Kosovo, un paese che ospita la più grande base militare americana in Europa, una testa di ponte per la Nato in una regione che – oggi più che mai – subisce l’attrazione di Mosca. E proprio in virtù di questo ruolo speciale, ai leader kosovari sono stati perdonati crimini, ruberie, traffici commessi durante e dopo la guerra. L’annessione è impossibile almeno finché il Kosovo resterà nell’orbita del neocolonialismo americano. L’intervento di Rama, se non è dettato da opportunismo, tradisce una certa ingenuità politica.

A Belgrado, per una volta, si fa gli offesi stando dalla parte di quelli che vogliono la “stabilità”. Ma non mancano i mal di pancia per una dichiarazione che, se fosse venuta da parte serba, avrebbe fatto gridare allo scandalo mezza Europa e che provenendo invece da parte albanese è stata trattata alla stregua di una “gaffe”. Belgrado però si limita all’indignazione sussiegosa consapevole che, visto il passato recente del paese, non può permettersi di fare la vittima.

Non c’è dunque da attendersi ulteriori reazioni, né l’episodio deve essere assurto a suffragio delle abituali retoriche che descrivono i Balcani come una inesauribile polveriera. Quel che è certo è che ci sono leader, nei Balcani, che non sono all’altezza della fase storica in cui si trovano. Di leader così ne è piena l’Europa, e dichiarazioni improvvide ne sentiremo ancora. Il Kosovo, dal canto suo, ha ben altri problemi da affrontare che le opposte manie di grandezza.



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‘Greater Albania’ statement awakens old ghosts in Balkans 

10/04/2015

Belgrade was upset. Left out of Europe, an isolated Albania had threatened to unify with Kosovo, and awaken conflicts in the Balkans, Prime Minister Edi Rama had said.

Rama’s statement was a message to Brussels on the necessity of intensifying Kosovo’s EU accession which, according to Tirana and Pristina, is progressing too slowly.

On the other hand, some Belgrade analysts believe that Rama’s statement was aimed “the public at home,” while Kosovo Foreign Minister Hashim Thaci said that Rama’s statement had been misinterpreted.

Rama made it clear that the primary objective was unification through European integration. However, the mere mention of the word “unification” is a very sensitive subject in the Western Balkans.

The topic of borders – the secession or unification of territories – was closed in the region after the wars in the former Yugoslavia in the 1990s. The stance of the international community is that no redrawing of borders is possible in the Balkans.

Countries in the region are also aiming to improve their relations through European integration, and show the EU that they have overcome old hostilities and are ready to cooperate and one day live and function together within the EU. The development of good neighborly relations is one of the criteria they must meet in order to join the EU.

Serbia refuses to recognize Kosovo’s independence, but is participating in an EU-mediated dialog with Pristina on the normalization of relations.

'Two alternatives'

In a joint interview with Kosovo Deputy Prime Minister and Foreign Minister Hashim Thaçi given to Pristina television Klan Kosova, Rama, as conveyed on 7 April, said that the unification of Kosovo and Albania had two alternatives, and that it was all up to the EU.

The first is unification within the European Union. But if the EU continues to close its doors to Kosovo, then “the two countries will be forced to unite in a classical way”, said Rama.

The Albanian premier stated that “the two countries advocate unification through membership in the European Union”.

Thaçi commented that Rama’s words were not a threat to the European Union, but rather a reality that could easily come true in the future, and which could be a result of Kosovo’s isolation from the EU.

Rama reiterated that it was a disgrace for the EU that the visa liberalization process had not been completed for Kosovo citizens, who were the only ones without that benefit in the region, while Thaci said that Kosovo had already fulfilled all obligations for visa liberalization.

During a visit to Zagreb the following day, 8 April, Thaçi commented that the Albanian prime minister’s statement had been misinterpreted, and that at no point had there been talk of the possibility of national unification, or of the changing of borders.

“We are not talking about changing borders at all, but rather about reducing their visibility, according to the European model, so that people can move freely. We will all belong to that European space one day,” said Thaçi.

'Provocations unacceptable'

On 8 April, the European Union reacted to Rama’s statement, making it clear that “provocations are unacceptable”, since the Western Balkan countries “are progressing each at their own pace” in European integration, which “includes regional cooperation, reconciliation and good neighborly relations”.

European Commission spokesperson Maja Kocijančič said that the Western Balkans had a clear European prospect, and that “all partners in the region have confirmed their determination to reach that goal”.

She said that the countries in the region had also confirmed their resolve to “meet the necessary requirements, with full respect for the principles and standards of the EU”, and that the countries are making progress on that path, each at their own pace.

“The aforementioned determination also includes regional cooperation, reconciliation and good neighborly relations; all provocative statements are unacceptable in that framework,” read the EU’s response to Rama.

Belgrade dissatisfied with reactions 

Serbia has strongly condemned Rama’s statement, and made it clear that it expects the international community to do the same. Belgrade has announced intensified diplomatic activities regarding the matter in international organizations and other countries.

The Serbian Ministry of Foreign Affairs has handed a letter of protest to the Albanian ambassador in Belgrade, which underlined that the positions of Albanian Prime Minister Edi Rama were unacceptable for Serbia, Ministry officials said.

Metohija Marko Djurić , Head of the Serbian government’s Office for Kosovo, said that Rama’s statement was “an attack on peace, a brutal threat to stability in the region, and a dangerous call for the redrawing of borders”, whereas Serbian Prime Minister Aleksandar Vučić said that “Kosovo and Albania will never be united” and asked the Albanian leaders “to stop further causing instability in the region”.

The EU, in the eyes of Serbian officials, was late with its reaction, which wasn’t strong enough.

Serbian Foreign Minister Ivica Dačić said on 8 April that he expected that the EU would “treat everyone the same”, and severely condemn the Albanian premier’s statement about the “unification” of Albania and Kosovo.

“The issue is not just that he (Rama) said that. The issue is that few are reacting to it. How much time should pass before someone makes a statement and condemns such an act? I expect that the EU will treat all of us equally and condemn such statements,” said Dačić.

The Serbian minister went on to say that Kocijančič had reacted to Rama’s statement, but had not “exactly mentioned it directly,” although she did say it was unacceptable.

Calling on the EU to react to “the politicization of the topic” and “irresponsible statements,” Dačić also said that Serbia wanted good relations with Albania, and that it took a lot of time to build them and just a little time to “tear the whole thing down”.



=== 3 ===

Un gruppo di albanesi armati, arrivati dal Kosovo, ha brevemente preso possesso di un piccolo commissariato di polizia alla frontiera Nord della Macedonia nella notte tra lunedì e martedì, reclamando la creazione di uno stato albanese sul territorio della piccola repubblica dell'ex Jugoslavia. L'hanno affermato le autorità macedoni. "Verso le 2.30 un gruppo di una quarantina di persone armate venute dal Kosovo ha attaccato il posto di Gosince, che si trova a 500 metri dalla frontiera" ha dichiarato Ivo Kotevski, portavoce della polizia macedone. Gli assalitori avevano le insegne dell'Uck, l'Esercito di liberazione del Kosovo, il gruppo indipendentista che si batté per il Kosovo contro la Serbia nel conflitto del 1998-99. I quattro poliziotti macedoni che erano nel posto di polizia sono stati insultati, picchiati e ammanettati. (fonte: Askanews)


da http://voiceofserbia.org/it/

Vucic: Bruxelles deve dire apertamente la vera ragione 

07. 05. 2015. – Il premier serbo Aleksandar Vucic ha detto che la ragione per la quale non stati aperti i primi capitoli nelle trattative sull’adesione della Serbia all’Unione europea non è l’accordo sulla normalizzazione dei rapporti tra Belgrado e Pristina. Belgrado ha implementato tutti i punti di quell’accordo. La Comunità dei comuni serbi in Kosovo non è stata ancora formata. L’apertura dei primi capitoli dipende dalla quesione del nostro dialogo con Pristina, ha detto Vucic. Devono dire apertamente che il problema non è l’accordo di Bruxelles, ma bensì il fatto che noi non siamo disposti a dare agli albanesi kosovari il lago artificiale Gazivode. Che dicano apertamente che per questa ragione non saranno avviate le trattative con Bruxelles. Noi abbiamo offerto la divisione 50% per 50% di Gazivode. Le autorità di Pristina non hanno accettato la nostra offerta, ha dichiarato Vucic.



Serbi che vivono in Kosovo hanno paura dopo attacchi terroristici degli albanesi in Macedonia

13. 05. 2015. - I serbi che vivono in Kosovo hanno paura dopo gli attacchi terroristici degli albanesi in Macedonia e gli annunci dei loro esponenti che sarà creata la grande Alabnia, è stato rilevato alla riunione del direttore dell’ufficio del Governo serbo per il Kosovo Marko Djuric, i deputati serbi, i rappresentanti del partito dei serbi kosovari Lista serba e i ministri serbi dell’esecutivo kosovaro. Gli albanesi bloccano l’implementazione dell’accordo sulla normalizzazione dei rapporti tra Belgrado e Pristina e non vogliono realizzare quello che è stato accordato a Bruxelles, è stato rilevato alla riunione.



Прети ли Куманово да запали Балкан и Србију? (Emisija UPITNIK na RTS, УТОРАК, 12. МАЈ 2015)

Dall'interessante programma della televisione serba sintetizziamo alcuni spunti:
* il rappresentante del partito dei Serbi di Macedonia ricorda che già a causa della guerra civile macedone del 2001 – causata da un tentativo di "fare in Macedonia come era stato fatto in Serbia nel 1999" cioè di strappare la parte con presenza albanofona – un certo numero di Serbi della zona di Kumanovo era dovuto scappare e non è mai più ritornato;
* l'esperto di questioni militari del Parlamento serbo fa notare che la UE non ha reagito in alcun modo, diversamente ad es. dalla risonanza accordata all'attentato di Parigi a Charlie Hebdo... C'è una chiara disponibilità USA verso il progetto della Grande Albania, mentre la UE non ha alcuna politica su questo;
* dei 30 terroristi che si sono arresi a Kumanovo, ben 18 sono originari del Kosovo;
* è menzionata esplicitamente la Germania e viene detto che la FYROM non ha ottenuto alcuna collaborazione dalla NATO quando pochi mesi fa ha chiesto informazioni sui pericoli terroristici;
* i pan-albanesi cercano di sfruttare la destabilizzazione della FYROM che è in corso da tempo, anche confluendo alla manifestazione delle opposizioni a Skopje che è in programma 
per domenica 17 maggio;
* al minuto 33 si fa vedere una mappa della Grande Albania e si menzionano le dichiarazioni di un "intellettuale" albanese che dice che i fatti di Kumanovo sono l'inizio della lotta di unificazione della Grande Albania;
* mentre era in corso la trasmissione è arrivata la notizia che il premier della FYROM ha fatto un rimpasto di governo cambiando tra gli altri il Ministro dell'Interno.

VIDEO: http://www.rts.rs/page/tv/ci/story/17/%D0%A0%D0%A2%D0%A1+1/1916850/%D0%A3%D0%BF%D0%B8%D1%82%D0%BD%D0%B8%D0%BA.html 
(segnalato da Valentina R. e Samantha M., sintesi a cura di Andrea M.)


=== 4 ===


Aus: Ausgabe vom 12.05.2015, Seite 2 / Ausland

Angst vor Terror in Mazedonien

UÇK bekennt sich zu Angriffen in Kumanovo am Wochenende

Von Roland Zschächner


Ein Strafgericht in Skopje hat gegen 30 Männer, die an den Gefechten am Wochenende in der Stadt Kumanovo beteiligt gewesen sein sollen, Untersuchungshaft verhängt. Ihnen werden laut einer Meldung der Nachrichtenagentur MIA am Montag »Terrorismus« sowie der Angriff auf die verfassungsmäßige Sicherheit und Ordnung Mazedoniens vorgeworfen. Unter den Festgenommenen sind unter anderem 18 Kosovoalbaner, neun mazedonische sowie ein albanischer Staatsbürger, der in Deutschland gemeldet ist. Unterdessen kehrten die evakuierten Bewohner in ihre Häuser zurück.

Am Samstag morgen griffen rund 50 schwerbewaffnete Männer eine Polizeistation in der 40 Kilometer nordöstlich von Skopje gelegenen Stadt an. Bei den mehr als 28 Stunden andauernden Gefechten starben acht Beamte einer Spezialeinheit. 14 Aufständische wurden laut offiziellen Angaben »neutralisiert«. Die Hintergründe der Attacke blieben bislang unklar.

Ministerpräsident Nikola Gruevski erklärte am Sonntag, ohne nähere Angaben zu machen, bei den Angreifern habe es sich um Mitglieder der »gefährlichsten Terrorgruppe des Balkans« gehandelt. Laut Gazeta Express bekannte sich die sogenannte Kosovo-Befreiungsarmee UÇK zu der Attacke. 2001 hatten die Separatisten mit Anschlägen das Land destabilisiert. Auf westlichen Druck hin wurde eine Waffenstillstand geschlossen. Der politische Arm der UÇK, die Demokratische Union für Integration, ist mittlerweile Teil der Regierung.

Die mazedonische Polizei stellte am Sonntag abend zwei Videos ins Internet, in denen die Verhafteten präsentiert werden. Die Männer tragen Uniformen mit den Symbolen der vom Westen 1999 im Krieg gegen Jugoslawien hofierten UÇK. Nun wächst die Angst vor neuen ethnischen Spannungen.

Die Angreifer sollen von fünf ehemaligen Mitgliedern der Untergrundarmee geführt worden sein – darunter Mirsad Ndrecaj, der als »Kommandeur NATO« bekannt ist. Ndrecaj diente laut regionalen Medien nach 1999 als Bodyguard für den ehemaligen kosovarischen Ministerpräsidenten Ramush Haradinaj. Auch die anderen Verdächtigen hätten enge Verbindungen zu hochrangigen Politikern der abtrünnigen serbischen Region.

Am Sonntag abend tagte in Skopje der nationale Sicherheitsrat. Anschließend forderte der mazedonische Präsident, Gjorge Ivanov, laut der Zeitung Republika mehr Unterstützung der NATO und der Europäischen Union für sein Land.



=== 5 ===

http://www.voltairenet.org/article187582.html

LA GUERRA DEL GAS SI ESTENDE ALL’EUROPA

Fallisce il golpe USA in Macedonia


di  Thierry Meyssan

La Macedonia ha appena messo in condizione di non nuocere un gruppo armato di cui sorvegliava i mandanti da almeno otto mesi. Ha così evitato un nuovo tentativo di colpo di stato, pianificato da Washington per il 17 maggio. Si trattava di allargare alla Macedonia il caos già installato in Ucraina al fine di impedire il passaggio di un gasdotto russo verso l’Unione europea.

RETE VOLTAIRE | DAMASCO (SIRIA)  | 13 MAGGIO 2015

Il caso di Kumanovo

La polizia macedone ha lanciato il 9 maggio 2015, all’alba, un’operazione volta ad arrestare un gruppo armato che si era infiltrato nel paese e che sospettava stesse preparando diversi attentati.
La polizia aveva evacuato la popolazione civile prima di dare l’assalto.

Dopo che i sospetti hanno aperto il fuoco, è seguita una dura battaglia che ha lasciato 14 morti dal lato dei terroristi e 8 dal lato delle forze dell’ordine. Ben 30 individui sono stati fatti prigionieri. Si calcolano parecchi feriti.

Non un’azione terroristica, ma un tentativo di colpo di stato

La polizia macedone era manifestamente ben informata prima di lanciare la sua operazione. Secondo il ministro degli Interni, Ivo Kotevski, il gruppo stava preparando un’operazione molto importante per il 17 maggio (vale a dire in occasione della manifestazione indetta dall’opposizione albanofona a Skopje).
L’identificazione dei sospetti ha permesso di stabilire che erano quasi tutti ex membri dell’ UÇK (l’Esercito di Liberazione del Kosovo). [1]
Tra questi troviamo: 
• Sami Ukshini detto “Comandante Sokoli”, la cui famiglia ha svolto un ruolo storico in seno all’ UÇK. 
• Rijai Bey, ex guardia del corpo di Ramush Haradinaj (lui stesso trafficante di droga, capo militare del dell’UÇK e poi Primo Ministro del Kosovo. Fu processato due volte dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia per crimini di guerra, ma assolto perché 9 testimoni cruciali furono uccisi durante il suo processo). 
• Dem Shehu, attuale guardia del corpo del leader e fondatore del partito BDI albanese, Ali Ahmeti. 
• Mirsad Ndrecaj detto il “Comandante della NATO”, nipote di Malic Ndrecaj comandante della 132ma Brigata dell’ UÇK.
I principali responsabili di questa operazione, tra cui Fadil Fejzullahu (morto durante l’assalto) sono vicini all’ambasciatore degli Stati Uniti a Skopje, Paul Wohlers.
Quest’ultimo è figlio di un diplomatico statunitense, Lester Wohlers, che ha giocato un ruolo importante nella propaganda atlantista e ha diretto il dipartimento cinema della US Information Agency. Il fratello di Paul, Laurence Wohlers, è attualmente ambasciatore presso la Repubblica Centrafricana. Lo stesso Paul Wohlers, ex pilota della US Navy, è uno specialista di controspionaggio. È stato vice direttore del Centro per le operazioni del Dipartimento di Stato (ossia il servizio di sorveglianza e protezione dei diplomatici).

[FOTO: Fadil Fejzullahu, un leader del gruppo armato è morto durante l’assalto, qui con il suo capo, l’ambasciatore degli Stati Uniti a Skopje Paul Wohlers.]


Perché non v’è alcun dubbio circa i mandanti, il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, è intervenuto persino prima della fine dell’assalto. Non per dichiarare la propria condanna del terrorismo e il suo sostegno al governo costituzionale di Macedonia, ma per trasformare il gruppo terroristico in un’opposizione etnica legittima: «È con grande preoccupazione che seguo gli eventi in corso a Kumanovo. Rivolgo le mie condoglianze alle famiglie delle persone uccise o ferite. È importante che tutti i dirigenti politici e responsabili di comunità lavorino insieme per riportare la calma e procedano a un’indagine trasparente per determinare quel che è accaduto. Faccio vivamente appello a tutti affinché diano prova di moderazione e evitino un’ulteriore escalation, nell’interesse del paese e dell’intera regione.»
Bisogna essere ciechi per non capire.
Nel mese di gennaio 2015, la Macedonia sventava un tentativo di colpo di Stato in favore del capo dell’opposizione, il socialdemocratico Zoran Zaev. Quattro persone venivano arrestate e Zaev si vedeva confiscare il suo passaporto, intanto che la stampa atlantista cominciava a denunciare una "deriva autoritaria del regime" (sic).
Zoran Zaev è pubblicamente sostenuto dalle ambasciate degli Stati Uniti, del Regno Unito, della Germania e dei Paesi Bassi. Ma non c’è finora nessuna altra traccia nel tentativo di golpe che della responsabilità degli Stati Uniti.
Il 17 maggio, il partito socialdemocratico (SDSM) [2] di Zoran Zaev doveva organizzare una manifestazione. Doveva distribuire 2.000 maschere in modo da impedire alla polizia di identificare i terroristi in mezzo al corteo. Durante l’evento, il gruppo armato camuffato con queste maschere doveva attaccare varie istituzioni e lanciare una pseudo "rivoluzione" di piazza paragonabile a quella della Maidan di Kiev.
Questo colpo di Stato era coordinato da Mile Zechevich, un ex dipendente di una delle fondazioni di George Soros.
Per comprendere l’urgenza di Washington di rovesciare il governo di Macedonia, dobbiamo tornare alla guerra dei gasdotti. Per la politica internazionale è una grande scacchiera dove ogni movimento di un pezzo provoca conseguenze sugli altri.

[FOTO: Il gasdotto Turkish Stream dovrebbe passare attraverso la Turchia, la Grecia, la Macedonia e la Serbia per rifornire l’UE del gas russo. Su iniziativa del presidente ungherese Viktor Orbán, i ministri degli Esteri dei paesi coinvolti si sono incontrati il 7 aprile a Budapest per coordinarsi di fronte agli Stati Uniti e all’Unione europea.]

La guerra del gas

Dal 2007, gli Stati Uniti tentano di tagliare le comunicazioni tra la Russia e l’Unione europea. Sono riusciti a sabotare il progetto South Stream, costringendo la Bulgaria ad annullare la sua partecipazione, ma il 1° Dicembre 2014, in mezzo alla sorpresa generale, il presidente russo Vladimir Putin ha lanciato un nuovo progetto riuscendo a convincere il suo omologo turco Recep Tayyip Erdoğan a fare un accordo con lui, benché la Turchia sia un membro della NATO [3]. Si era convenuto che Mosca avrebbe consegnato del gas ad Ankara, che a sua volta ne consegnerebbe all’Unione europea, aggirando l’embargo anti-russo di Bruxelles. Il 18 aprile 2015, il nuovo primo ministro greco, Alexis Tsipras, dava il suo gradimento affinché il gasdotto attraversasse il suo paese. [4] Il primo ministro macedone, Nikola Gruevski, aveva – a sua volta - discretamente negoziato nel mese di marzo. [5] Infine, la Serbia, che faceva parte del progetto South Stream, aveva indicato al ministro dell’Energia russo Aleksandar Novak, quando lo ha ricevuto a Belgrado ad aprile, che anche il suo paese era pronto a passare alla progetto Turkish Stream [6] .
Per fermare il progetto russo, Washington ha moltiplicato le iniziative: 
 In Turchia, sostiene il CHP contro il presidente Erdoğan sperando di fargli perdere le elezioni; 
 in Grecia, l’8 maggio ha inviato Amos Hochstein, direttore dell’Ufficio delle risorse energetiche, per richiamare il governo Tsipras affinché rinunci al suo accordo con Gazprom; 
 ha previsto – a ogni buon conto – di bloccare il tracciato del gasdotto piazzando uno dei suoi fantocci al potere in Macedonia; 
 in Serbia, ha rilanciato il progetto di secessione del pezzo di territorio che permette la giunzione con l’Ungheria, la Vojvodina. [7]
Ultima osservazione e non di minor conto: il Turkish Stream alimenterà l’Ungheria e l’Austria mettendo fine al progetto alternativo mediato dagli Stati Uniti con il presidente Hassan Rouhani (contro il parere delle Guardie Rivoluzionarie) basato sull’approvvigionamento di gas iraniano [8].

Traduzione 
Matzu Yagi


[1] « L’UÇK, une armée kosovare sous encadrement allemand », par Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 15 avril 1999.

[2] Il partito SDSM è membro dell’Internazionale socialista.


(srpskohrvatski / italiano)

Riabilitato il leader dei cetnici in Serbia

0) LINKS
1) Uno solo è stato il movimento antifascista. Lettera di un veterano
2) Riabilitato Draza Mihailovic (Tanjug)
3) Cetnici e partigiani, Belgrado non vede più le differenze (C. Perigli)
4) SUBNOR: ПРСТ У ОКО И СЕМЕ РАЗДОРА / UN VERDETTO VERGOGNOSO


=== 0: LINKS ===

IZDAJNIK I RATNI ZLOČINAC DRAŽA MIHAILOVIĆ PRED SUDOM
Stenografske beleške i dokumenta sa suđenja Dragoljubu-Draži Mihailoviću

original na čirilici: Beograd, Savez Udruzenja Novinara FNRJ-e 1946

prijepis originala na latinski: Zagreb, Zaklada "August Cesarec" 2011
ISBN 978-953-95475-3-8

na raspolaganju kod CNJ-onlus / copie disponibili presso CNJ-onlus
// Il traditore e criminale di guerra Draza Mihajlovic dinanzi alla Corte.
Trascrizioni stenografiche e documenti del processo a Dragoljub-Draža Mihailović //
15 euro + spese di spedizione. Per ordini: jugocoord @ tiscali.it


prevod na engleski:

THE TRIAL OF DRAGOLJUB-DRAŽA MIHAJLOVIĆA 

Stenographic records

Belgrade: Union of the journalists' associations of the Federative People's Republic of Yugoslavia,  1946
(download: https://www.cnj.it/documentazione/varie_storia/Trial-indictment.pdf PDF, 9MB)

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Dr Branko Latas: DOKUMENTI O SARADNJI ČETNIKA SA OSOVINOM 
http://www.znaci.net/00001/114.htm

VIDEO: Izdajnici i ratni zlocinci (6/8)
http://www.youtube.com/watch?v=RfHEpIAwCDE

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PROTIV REHABILITACIJE RATNOG ZLOČINCA DRAŽE MIHAILOVIĆA 

SFR Jugoslavija - SFR Yugoslavia, 27 mar 2012

ISTORIJU NE PIŠU POBEDNICI NITI KOMUNISTI VEĆ SAMI UČESNICI I NJIHOVI DOKUMENTI

ČETNIČKI DOKUMENTI O SARADNJI SA SILOM OSOVINE 
http://www.znaci.net/00001/114_1.pdf
DOKUMENTI JUGOSLOVENSKE IZBEGLIČKE VLADE 
http://www.znaci.net/00001/114_2.pdf
DOKUMENTI VELIKE BRITANIJE 
http://www.znaci.net/00001/114_3.pdf
AMERIČKI DOKUMENTI 
http://www.znaci.net/00001/114_4.pdf
DOKUMENTI NEMAČKOG RAJHA 
http://www.znaci.net/00001/114_5.pdf 
DOKUMENTI NDH O SARADNJI ČETNIKA I USTAŠA 
http://www.znaci.net/00001/114_7.pdf
Dokumenti Kraljevine Italije
http://www.znaci.net/00001/114_6.pdf

Nacionalista ne samo da ne osudjuje zlocine koje je pocinila njegova strana, nego ima izvanrednu sposobnost da za njih cak ni ne cuje............
Svakog nacionalistu proganja ubedjenje da se proslost moze izmeniti. On provodi deo svog vremena u svetu maste gde se stvari desavaju onako kako je trebalo da se dese -- u kojoj je, na primer, spanska armada bila uspesna a ruska revolucija ugusena 1918. -- i prenece delice ovog sveta u istorijske udzbenike kad god je to moguce. Veliki deo propagandistickog pisanja u nase vreme svodi se na ciste izmisljotine. Materijalne cinjenice se zataskavaju, datumi menjaju, citati izvlace iz konteksta i krivotvore tako da im se menja znacenje. Izostavljaju se primeri koji, kako se smatra, nisu smeli da se dogode i na kraju se negiraju.

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Revisionismo di Stato in Serbia (JUGOINFO Nov 2012.)

Protiv rehabilitacije četnika i ustaša (JUGOINFO Feb 2013.)

Falsifikovanje istorije na RTS (JUGOINFO Nov 2013.)

Najzad prekinuto snimanje serije "Ravna gora" (JUGOINFO Jan 2014.)

ОТВОРЕНО ПИСМО СУБНОР СРБИЈЕ ДОМАЋОЈ И СВЕТСКОЈ ЈАВНОСТИ
(Рехабилитација Драже Михаиловића – SUBNOR, 19. март 2012.)

КОМЕ  ТРЕБА ТАЈ ЗЛИ  ПОКУШАЈ (Шумадија, Поморавље, 7. март 2015.)

ОРКЕСТРИРАНИ  НАПАД  НА  ИСТИНУ (Нови стари фалсификати, 12. март 2015.)

ЗЛИ ДУСИ  НА СРПСКОМ НЕБУ (Јавни протест, 6. април 2015.)

СВИ ЗАЈЕДНО ПРОТИВ ПОВАМПИРЕЊА ФАШИЗМА (Апел слободара, 8. април 2015.)

САМО  СУ  ПАРТИЗАНИ  ПОБЕДНИЦИ (Реаговање, 9. април 2015.)

ФАЛСИФИКАТОРИМА СЕ ПРИКЉУЧИО РТС (Срамота над срамотама, 29. април 2015.)

СВАКА РЕЧ ЈЕ ЛАЖ (Alla RTS, ogni parola è una bugia / Протест Војводине, 30. април 2015.)

Протест Барајева: http://www.subnor.org.rs/protest-barajeva
Протест Београд: http://www.subnor.org.rs/protest-beograd
(Proteste a Barajevo e Belgrado contro la riabilitazione di Draza)

ДОКЛЕ ТАЈ ОТРОВНИ ЈЕЗИК (Војводина, 12. мај 2015.)

КО КОМЕ ТРЕБА ДА ЗВИЖДИ (СУБНОР Србије одговара саветнику Антићу, 12. мај 2015.)

ПАРТИЗАН САМ, ТИМ СЕ ДИЧИМ (Београд, 13. мај 2015.)

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Altri link su RIABILITAZIONE DEI CETNIZI E RESTAURAZIONE DELL'ANCIEN REGIME


=== 1 ===

ORIG.: САМО ЈЕДАН АНТИФАШИСТИЧКИ ПОКРЕТ (Писмо ветерана, 12. мај 2015.)

Lettera di un veterano

12 maggio 2015

UNO SOLO E’ STATO IL MOVIMENTO ANTIFASCISTA 

Nella rassegna stampa mattutina nel giorno della Vittoria, alla TV  Pink,  il Sig. Andjelković, tra l’ altro, ha detto: “possiamo essere fieri perchè la Serbia ha avuto due movimenti antifascisti”. Non citando nessun fatto storico a proposito. Ecco un altro tentativo di revisione della II Guerra Mondiale come ultimamente è sempre più frequente nell’ avvicinarsi della decisione sulla riabilitazione di Draža (Mihajlović).

Il succitato “analista politico” è completamente incompetente nel giudizio perchè non tiene conto dei fatti storici che sono stati definitivamente stabiliti 70 anni fa dai principali statisti e capi della coalizione antifascista, su chi è stato antifascista nel nostro paese e chi no. Draža non viene citato come antifascista nemmeno con una parola ed in nessuna enciclopedia nelle loro valutazioni su chi lo fosse e chi non lo fosse, nella II Guerra Mondiale. Le loro citazioni non possono essere accusate di essere di parte, di avere pregiudizi.

Voglio citare soltanto alcuni dei grandi (statisti e generali) che hanno formato la coalizione antifascista e che hanno potuto valutare meglio il contributo di Tito e del suo esercito alla vittoria sul mostro di  Hitler:

Winston Churchill nell’ agosto del 1944 ha detto: “La ragione per cui abbiamo smesso di aiutare Mihajlović e i suoi cetnizi è semplice. Lui non lottava contro Hitler. Ci siamo schierati decisamente dalla parte di Tito, per la sua grande forza e coraggio contro l’ esercito tedesco... I partigiani sono ora i padroni della situazione e rappresentano il pericolo mortale per i tedeschi...”.

Rooswelt, presidente degli USA: “La deliberazione di Tito di lottare contro il nazismo è il punto di svolta nella storia della II G.M.”.

Stalin scrive: “La eroica lotta del fraterno popolo jugoslavo e del suo glorioso EPL contro l’ occupatore tedesco induce la profonda simpatia dell’ Unione Sovietica e serve come esempio che ispira tutti i popoli schiavizzati d’ Europa” (Mosca, 7 marzo 1944, riportato su “Nova Jugoslavija” il 15 marzo dello stesso anno).

De Gaulle scrive: “Tito è stato un combattente vittorioso, malgrado circostanze tra le più difficili. Tito è un eroe leggendario”.

George Patton, generale americano: “Il maresciallo Tito e i suoi partigiani hanno avuto il coraggio politico e militare di prendere le armi nel mezzo dell’ Europa occupata e quando le cose non andavano bene, per infliggere un inaspettato duro colpo morale a Hitler. E non soltanto morale ma anche un serio colpo militare, il che ha comportato l’ impiego di un gran numero di divisioni tedesche per il fronte jugoslavo che sono state così sottratte al fronte europeo sia orientale che occidentale...”.

Adolf Hitler nella lettera a Mussolini scrive: “Anche se siamo riusciti a sbaragliare una parte delle organizzazioni di Tito e ad infliggere grosse perdite umane e materiali, ci sorprende e  preoccupa la misura in cui è avanzata l’ organizzazione dei ribelli. E’ il momento decisivo di sedare la rivolta, se non vogliamo esporci al rischio che al momento dello sbarco anglosassone nei Balcani prendiamo la coltellata alle spalle...”.

Putin, presidente della Federazione di Russia, il 16 ottobre 2014 disse: “L’ Unione Sovietica e la Jugoslavia insieme hanno condotto la lotta implacabile contro il nazismo... I partigiani tenevano impegnate 10 divisioni di Hitler. Essi non hanno concesso a queste divisioni di essere impiegate contro l’ Unione Sovietica e le sue città di Stalingrado e Kursk...” (su “Vojni veteran”, ottobre 2014)

Il premier serbo Vučić ha detto: “Siamo orgogliosi della lotta contro il fascismo e non nasconderemo né ci vergogneremo di fronte a nessuno per la vittoria riportata sul fascismo in Serbia. Di questo siamo stati sempre orgogliosi e sempre lo saremo”. Vučić anche quest’ anno, durante la celebrazione della Giornata della Vittoria a Belgrado, ha sottolineato che nella II Guerra Mondiale "il nostro paese ha sacrificato se stesso per una grande idea, l’ idea alla base dell’ Europa… Abbiamo dimostrato che abbiamo saputo scegliere sempre tra il bene e il male. I serbi sono antifascisti. Hanno lottato e lotteranno sempre contro il fascismo”. (“Politika”, 10 maggio 2015).

Per quanto riguarda la rivendicazione del succitato analista politico, che in Serbia sarebbero esistiti due movimenti antifascisti che hanno facilitato la nostra strada verso l’ Europa pur estendendo le vecchie divisioni nella nostra società, lascio ai lettori di valutare loro stessi.

 

Branko Gulan

pilota, capitano d’ aviazione, veterano della Guerra di Liberazione Popolare

[trad.: IP]


=== 2 ===

Rehabilitovan Draža Mihailović (Tanjug, 14 Maj 2015)
Viši sud u Beogradu rehabilitovao je komandanta Kraljevske vojske u otadžbini generala Dragoljuba Dražu Mihailovića i vratio mu građanska prava koja su mu bila oduzeta u političko-ideološkom procesu komunističkog režima 1946. godine... 


[segue la traduzione della notizia]:

Riabilitato Draza Mihailovic 

La Corte Superiore di Belgrado ha riabilitato il comandante del Regio Esercito in Patria, generale Dragoljub Draza Mihailovic, e gli ha restituito i suoi diritti civili di cui era stato privato nel processo politico-ideologico del regime comunista nel 1946.

Il Giudice Aleksandar Trešnjev ha dichiarato che il tribunale ha accettato l’esposizione per la riabilitazione ed ha cancellato la condanna con cui Mihajlovic fu sentenziato a condanna di morte il 15 luglio 1946 e fucilato due giorni dopo.

  Ai sensi della Legge sulle riabilitazioni, non è possibile presentare ricorso, vale a dire che questo verdetto è definitivo.

Il Giudice Trešnjev ha detto che la sentenza del Tribunale Supremo della FNRJ nella sua parte in cui si riferiva a Mihajlovic, ora si considera nulla e nulle sono le sue conseguenze giuridiche, così come quelle relative ai beni personali.

"Dragoljub Mihailović ora si considera una persona priva di condanne ", ha detto il Giudice Trešnjev, ricevendo in seguito il forte applauso e saluti dal pubblico in aula.

L’emanazione del verdetto è stata seguita da tanti media e del pubblico, per questo motivo la Sala grande del Palazzo della Giustizia era strapiena.

Diritti di esclusiva per filmare la dichiarazione del proscioglimento sono stati assegnati all’agenzia informativa Tanjug e alla Radio-televisione della Serbia.

Tra i presenti, tra gli altri, erano anche il Principe Aleksandar Karađorđević, il Presidente della Srpska radikalna stranka Vojislav Šešelj, appartenenti del Ravnogorski pokret, dell’Obraz, delle Žene u crnom ed altri interessati, tra cui anche le persone nei costumi etnici e quelli con insegne dei chetnitzi.

Il Tribunale ha stabilito che la sentenza in oggetto, fu emanata dopo un processo illecito, per motivi politici e ideologici.

La prima domanda per la riabilitazione era presentata da nipote di Mihailović, ovvero da Vojislav Mihailović nel 2006, a cui in seguito si sono riunite alcune associazione e partiti politici.

Nel 2006, alla proposta per la riabilitazione, ha aderito il partito di Srpska liberalna stranka di Kosta Čavoški, l’associazione Udruženje pripadnika Jugoslovenske vojske u otadžbini, l’associazione Udruženje političkih zatvorenika i žrtava komunističkog režima, la professoressa del diritto internazionale Smilja Avramov e altri.

Con questo verdetto del Tribunale, si confermano le affermazioni degli esponenti – proponenti della riabilitazione, che Mihailović non ebbe i diritti di difesa durante il processo, che non s’incontrò mai con suo avvocato prima dell’inizio del processo, che non ebbe diritto al processo imparziale, mentre l’imputazione gli fu notificata soltanto sette giorni prima del processo. 

Egli non ebbe diritto di ricorso a quella condanna, e fu fucilato di nascosto, due giorni dopo.

Uno speciale Comitato sta stabilendo il posto esatto del luogo di fucilazione, poiché si presume che sue salme furono trasferite a un posto diverso.

Di Mihailović non esiste la tomba.

In mancanza di altre prove riguardo morte di Mihailović, in base alla Decisione del Primo tribunale ordinario di Belgrado del 2013, come data della morte è stato stabilito il 17 luglio 1946, poiché il tribunale ha stabilito che egli fu fucilato in quel giorno.

[trad.: DK]


=== 3 ===


Cetnici e partigiani, Belgrado non vede più le differenze

L’Alta Corte di Belgrado ha accettato la richiesta di riabilitazione di Dragoljub Mihailovic, comandante dei cetnici durante la seconda guerra mondiale

Di Carlo Perigli

14 maggio 2015

Cetnici e partigiani in Serbia sono uguali, ora più che mai. Questa, in estrema sintesi, la conclusione che si può trarre dal percorso iniziato dai primi anni del 2000, e che ha trovato un ulteriore tassello nella sentenza resa oggi dall’Alta Corte di Belgrado, che ha fondamentalmente riabilitato Dragoljub ‘Draza’ Mihailovic, comandante dell’esercito jugoslavo in patria durante la seconda guerra mondiale. Il tribunale ha difatti annullato la sentenza di condanna resa nei confronti del leader dei cetnici il 15 luglio 1945, con la quale Mihailovic veniva condannato a morte per i numerosi crimini di guerra commessi, adducendo come motivazione le interferenze politiche ed ideologiche rese all’epoca dal regime comunista.

Una sentenza che sembra inserirsi alla perfezione in un un percorso più ampio, volto all’equiparazione di cetnici e partigiani, entrambi inquadrati nella comune lotta al nazifascismo. Un periodo di revisionismo iniziato dopo il “colpo di Stato dal volto democratico” del 5 ottobre 2000, che aveva sancito la fine del governo Milosevic e l’insediamento della nuova classe politica, decisamente più vicina ai nazionalisti monarchici e meno invisa agli occhi di Washington. Così, nel 2004 il Parlamento di Belgrado approvò una legge che equipara i diritti dei cetnici a quelli dei partigiani, assegnando anche i primi alcune garanzie previdenziali oltre al certificato di ex combattenti. L’anno successivo l’incontro del movimento cetnico a Ravna Gora per la prima volta veniva finanziata attingendo al budget statale, attraverso una decisione dell’allora governo serbo, il cui ministro degli esteri era Vuk Draskovic, fondatore del Movimento del Rinnovamento Serbo e promotore della sopracitata legge. Un filone a cui hanno partecipato anche gli Stati Uniti, che il 9 maggio del 2005, proprio nella giornata mondiale della celebrazione per la vittoria sulle forze nazifasciste, consegnavano, nei locali dell’ambasciata di Belgrado, la medaglia al merito e la Legion of Merit – la più alta onorificenza prevista da Washinton –  a Gordana Mhailovic, nipote di Dragoljub. 

Soddisfazione è stata espressa da Oliver Antic, consigliere del Presidente della Repubblica Tomislav Nikolic, mentre Aleksandar Karadjordjevic, erede della stirpe che governò in Serbia, ha parlato di una sentenza che sana “un’ingiustizia non solo contro un patriota, ma contro il nostro Paese e la nostra gente”.

Una vulgata che contrasta nettamente con le ricostruzioni avanzate dagli storici nel corso degli anni, nelle quali i cetnici, dopo un primo periodo di avvicinamento alle forze anglo-americane, collaborarono strettamente con gli occupanti nazi-fascisti, in quella che da più parti è stata definita una “lotta senza quartiere” contro il movimento partigiano guidato da Tito. Nessuna lotta anti-fascista, nè tantomeno di liberazione nazionale, le posizioni dei cetnici sono sempre rimaste sulla linea del collaborazionismo con le forze occupanti.

“Con un tratto di penna del giudice – ha dichiarato la Federazione delle Associazioni dei Veterani della Guerra di Liberazione Popolare (Subnor)– la verità è stata drasticamente svenduta e, al tempo stesso, sono stati cancellati il contributo storico innegabile fornito dalla Serbia nella disfatta del fascismo e nell’insuperabile vittoria della coalizione anti-hitleriana di cui sono state degne partecipi le unità dell’esercito popolare partigiano. […] La riabilitazione equivale a spargere il sale su una ferita ancora fresca: essa è un dito infilato nell’occhio degli attuali vicini ma anche dell’intero mondo antifascista che guarda con rispetto al nostro popolo e alla terra innegabilmente gloriosa di combattenti esclusivamente partigiani nella storia del genere umano. Forse che adesso, dopo settanta anni, può un qualche pezzo di carta, alla ricerca di una verità già provata, giustificare chi ha mendicato sotto bandiera straniera, al termine di una guerra di quattro anni, avendo di fronte l’Armata Rossa e l’Esercito popolare di liberazione? Dov’era questo Draza con la sua camarilla al termine del percorso della Liberazione? Perché ha declinato pubblicamente, sia di fronte al governo in esilio che a Pietro II a Londra, all’ordine di unirsi ai partigiani, su cui concordavano ferventemente gli inglesi, gli americani, i francesi e i russi? [..] Sarà con questa triste deriva serba di dolore e incomprensibile indulgenza che si otterrà l’adesione all’Unione Europea, verso cui tendiamo e sappiamo che nella Seconda guerra mondiale ha avuto schiere di collaborazionisti? [...] Senza motivo o necessità si gettano semi di discordia e si indica alla comunità internazionale progressista che l’area dei Balcani è terreno in cui, secondo la propria volontà e arbitrio, senza elementi, si possono tagliare fuori la storia e la verità. E le conseguenze sono incalcolabili. Il SUBNOR di Serbia, con oltre 100.000 soci e una partecipazione attiva nelle organizzazioni internazionali, è molto preoccupato per la situazione. Ma è fermamente convinto che la riabilitazione è immotivata, legalmente infondata e scorretta (come, per esempio, che il condannato non abbia avuto alcun diritto di ricorso), e quindi insostenibile. Nell’interesse del popolo della Serbia e per la reputazione acquisita nella eliminazione del fascismo in Europa, soprattutto in occasione del 70° anniversario della Vittoria”.



=== 4 ===


Срамна пресуда
Објављено под Актуелно |  14. мај 2015.

ПРСТ У ОКО И СЕМЕ РАЗДОРА

Савез удружења бораца народноослободилачког рата 1941-1945. и 1999.године, СУБНОР Србије, са запрепашћењем је примио изрицање пресуде по којој је Виши суд у Београду ослободио кривице и рехабилитовао без призива Дражу Михаиловића, команданта четника током Другог светског рата.

Потезом судског пера драстично је прекројена истина и, у исто време, избрисани историјски непорецив допринос Србије у сламању фашизма и ненадмашна победа антихитлеровске коалиције чији су достојан саборац биле јединице народне партизанске војске.

Рехабилитација челника групације која је од 1941. године, избегавајући и, по правилу, сарађујући са окупаторском солдатеском, палила читава села, силовала, пљачкала, камом убијала чак и дечицу у колевци, као казнена експедиција прокрстарила у мучком походу многе крајеве негдашње заједничке државе, представља и нову одмазду над стотинама хиљада жртава и њихових потомака.

Рехабилитација је посипање соли на увек свежу рану, прст у око садашњим суседима, али и читавом антифашистичком свету који са поштовањем гледа на наш народ и непорециво славно место искључиво партизанских бораца у историји човечанства.

Зар сада, после седам деценија, може некакав папир да потре доказану истину, оправда бег под туђим заставама, пред Црвеном армијом и Народноослободилачком војском, на крају четворогодишњег рата?

Где је тај Дража са својом камарилом био на крају победоносног пута ослободилаца, зашто га се одрекла јавно и избегличка влада и Петар II из Лондона и наредио да се прикључи партизанима, због чега су се и Енглези, Американци и Французи и Руси са тим здушно сагласили?

Пада ли некоме у свету и помисао да рехабилитује колаборанте, да ли то чине Французи са маршалом Петеном, Норвежани са премијером Квислингом и многи други?

Хоће ли овим отужним српским путем туге и несхватљивог опроста кренути чланство Европске уније, чијим редовима стремимо и знамо да је у Другом светском рату имало издашних колабораната? Чак и тамо где, баш у ово садашње време, ничу нови следбеници нацистичких фирера.

Опасан, несхватљив преседан прави се у овој нама јединој отаџбини.

Сеје се без разлога и потребе семе раздора и указује слободарској међународној заједници да је Балкан подручје у којем се, по нечијој вољи и налогу, без доказа, могу прекрајати историја и истина. А последице су несагледиве.

СУБНОР Србије, са преко 100.000 агилних чланова и угледним учешћем у међународним ветеранским организацијама, веома је забринут због настале ситуације. Али и чврсто верује, да је рехабилитација без основа, правно неутемељена, чак и нетачна (као, на пример, да осуђени није имао право на жалбу) и због тога неодржива. У интересу народа Србије и стеченог угледа у сламању фашизма у Европи, посебно у години седме деценије победе.

       РЕПУБЛИЧКИ ОДБОР СУБНОР-а СРБИЈЕ

[SLIKE: Молба Драже Михаиловића за помиловање упућена 15. јула 1946.]


--- TRAD.:

Un verdetto vergognoso

14 maggio 2015.

Dito nell'occhio e seme di discordia

La Federazione delle Associazioni dei veterani della Guerra di Liberazione Nazionale del 1941-1945 e del 1999, SUBNOR di Serbia, con stupore ha saputo del verdetto con cui l'Alta Corte di Belgrado ha assolto e riabilitato senza appello Draza Mihailovic, comandante dei cetnici durante la Seconda Guerra Mondiale.

Con un tratto di penna del giudice, la verità è stata drasticamente svenduta e, al tempo stesso, sono stati cancellati il contributo storico innegabile fornito dalla Serbia nella disfatta del fascismo e nella insuperabile vittoria della coalizione anti-hitleriana, di cui sono state degne partecipanti le unità dell'esercito popolare partigiano.

La riabilitazione del leader del gruppo che, dal 1941, mentre eludeva e di norma cooperava con le forze di occupazione, andava bruciando interi villaggi, violentando, saccheggiando, uccidendo a coltellate anche piccoli bambini nella culla, nel corso di spedizioni punitive durante la dura campagna in corso in molte parti dell'ex Stato comune, rappresenta una rivincita su centinaia di migliaia di vittime e sui loro discendenti.

La riabilitazione equivale a spargere il sale su una ferita ancora fresca; essa è un dito infilato nell'occhio degli attuali vicini ma anche dell'intero mondo antifascista che guarda con rispetto al nostro popolo e alla terra innegabilmente gloriosa di combattenti esclusivamente partigiani nella storia del genere umano.

Forse che adesso, dopo settanta anni, può un qualche pezzo di carta, alla ricerca di una verità già provata, giustificare chi ha mendicato sotto bandiera straniera, al termine di una guerra di quattro anni, avendo di fronte l'Armata Rossa e l'Esercito popolare di liberazione?

Dov'era questo Draza con la sua camarilla al termine del percorso della Liberazione? Perché ha declinato pubblicamente, sia di fronte al governo in esilio che a Pietro II a Londra, all'ordine di unirsi ai partigiani, su cui concordavano ferventemente gli inglesi, gli americani, i francesi e i russi?

Ritiene qualcuno al mondo o ha pensato di riabilitare i collaborazionisti? Forse lo fanno i francesi con il maresciallo Pétain, i norvegesi con il primo ministro Quisling, o tanti altri?

Sarà con questa triste deriva serba di dolore e incomprensibile indulgenza che si otterrà l'adesione all'Unione Europea, verso cui tendiamo e sappiamo che nella Seconda guerra mondiale ha avuto schiere di collaborazionisti? Addirittura, proprio in questo momento, con l'apertura a nuovi seguaci del Führer nazista.

Un pericoloso, incomprensibile precedente si verifica in questa che è per noi l'unica patria.

Senza motivo o necessità si gettano semi di discordia e si indica alla comunità internazionale progressista che l'area dei Balcani è terreno in cui, secondo la propria volontà e arbitrio, senza elementi, si possono tagliare fuori la storia e la verità. E le conseguenze sono incalcolabili.

Il SUBNOR di Serbia, con oltre 100.000 soci e una partecipazione attiva nelle organizzazioni internazionali, è molto preoccupato per la situazione. Ma è fermamente convinto che la riabilitazione è immotivata, legalmente infondata e scorretta (come, per esempio, che il condannato non abbia avuto alcun diritto di ricorso), e quindi insostenibile. Nell'interesse del popolo della Serbia e per la reputazione acquisita nella eliminazione del fascismo in Europa, soprattutto in occasione del 70.mo della Vittoria.

COMITATO REPUBBLICANO DEL SUBNOR DI SERBIA

IMMAGINI: La richiesta di perdono di Draza Mihailovic del 15 luglio 1946.





UNA CANNONATA IN FRONTE

Nordcorea: «Ministro della Difesa giustiziato con una cannonata» (di Guido Santevecchi, corrispondente da Pechino – 13/5/2015)
Sarebbe stato condannato per essersi addormentato in presenza di Kim Jong-un...

Nordcorea, «azzerato» cerchio magico di Kim. La ferocia del dittatore e le bufale sul web (di Alessandro Fulloni, 13 maggio 2015)
Dai fedelissimi eliminati dando ai corpi in pasto ai cani a generali e funzionari di regime eliminati a cannonate, lanciafiamme e colpi di mortaio: talvolta è impossibile la verifica...

Ucciso da un plotone esecuzione con armi antiaereo! L’ultima bufala sulla Corea del Nord (Francesco Santoianni, 13 maggio 2015)

Ministro nord-coreano ucciso a cannonate: finalmente è arrivata la “prova” (Francesco Santoianni, 13 maggio 2015)

I servizi segreti sudcoreani smentiscono la morte del ministro nordcoreano Hyon Yong-chol (Internazionale, 13/5/2015)
I servizi segreti sudcoreani hanno smentito la notizia secondo la quale la Corea del Nord avrebbe fatto uccidere il ministro della difesa, Hyon Yong-chol...

El ministro norcoreano de Defensa aparece en la TV tras los informes de su ejecución (RT 14 may 2015)
El ministro de Defensa de Corea de Norte, Hyon Yong-chol, ha aparecido en un programa de la televisión norcoreana después de que el Servicio Nacional de Inteligencia surcoreano declarara que había sido fusilado con un cañón antiaéreo, informa Yonhap...

Gruppo Facebook: << Inventare notizie truculente sulla Corea del Nord >>



(castellano / deutsch / english /  italiano)

Carovana e Forum antifascista a Lugansk, Novorossija

1) Anche una delegazione del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia onlus alla Carovana e al Forum antifascista in Donbass, 6–10 maggio 2015
2) Milano 17/5: Siria e Donbass. Dalla trincea della guerra imperialista
3) LINKS: Prima / Durante / I primi report / Utili
4A) Forum "Antifascismo Internazionalismo Solidarietà" (AIS) ad Alchevsk, 8 maggio 2015:
– Statement: NO to fascism in Ukraine!
– International appeal to lift the blockade & end hostilities in Donbass
– Statement: Support for and solidarity with the residents of Donbass
– Links and Reports
4B) Com. Ucraina Antifascista BO e CNJ onlus: Joint intervention to the International Forum, Lugansk 8.5.2015
5) MATERIALI PER L'APPROFONDIMENTO:
– I reportage del progetto "Non un passo indietro. Con il Donbass antifascista" (Rete Noi Saremo Tutto, marzo-maggio 2015 – LINKS)
– LINKS sulla Brigata "Fantasma" di A. Mozgovoi e l'Unità 404


=== 1 ===

Carovana e Forum antifascista in Donbass, 6–10 maggio 2015


(Comunicato congiunto di Comitato Ucraina Antifascista di BolognaCoordinamento Nazionale per la Jugoslavia onlus)

Una delegazione del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia onlus si è recata nella LNR (Repubblica Popolare di Lugansk) al seguito della seconda Carovana antifascista organizzata dal gruppo musicale Banda Bassotti.
La Carovana, composta da più di cento antifascisti/e di numerosi paesi, è stata presa in consegna, al confine russo-ucraino, dalla scorta della Brigata Prizrak ("Fantasma"), che ha condotto il gruppo fino ad Alchevsk, dove è stata offerta ospitalità in un dormitorio militare. 

Il giorno 7 maggio ad Alchevsk la Carovana ha consegnato gran parte dei materiali ed aiuti raccolti in Italia – vestiario, medicine, piccoli utensili, denaro, cibo – ai responsabili per le questioni umanitarie della Brigata. Il giorno stesso una parte della Carovana è stata condotta in visita presso un asilo e alla mensa delle persone disagiate, istituzioni destinatarie di gran parte degli aiuti umanitari.
In serata la Carovana si è recata a Stakanov, interessante città operaia dove sono forti ed evidenti le memorie del periodo sovietico. A fare gli onori di casa qui è stata l'unità militare dei Cosacchi, che ha messo a disposizione lo splendido teatro cittadino per una prima performance della Banda Bassotti; si è tuttavia preferito spostare l'esibizione all'aperto, nel parco pubblico cittadino, in un clima di festa popolare.

Il giorno 8 maggio, di nuovo ad Alchevsk, presso la Casa della Chimica, si è tenuto il Forum "Antifascismo, Internazionalismo e Solidarietà", organizzato congiuntamente dai Comunisti di Lugansk e dal Comitato per il Donbass Antinazista di Roma, sotto il patrocinio della Brigata Prizrak. Al Forum, che è durato dalle 11 alle 18 circa, sono intervenute non solo le numerose realtà partecipanti alla Carovana – incluso il nostro Coordinamento – ma anche svariate ulteriori delegazioni sopraggiunte successivamente, soprattutto dalla Russia, nonché lo stesso Alexey Mozgovoy (comandante della Brigata Prizrak), Alexey Markov (comandante dell'unità 404 interna alla stessa Brigata) ed altri esponenti delle autorità militari protagoniste della rivoluzione in atto nel Donbass.
Lo stesso giorno, la delegazione del Comitato Ucraina Antifascista di Bologna ha incontrato una referente del "Battaglione Umanitario" cui ha consegnato una parte della somma raccolta in Italia a scopi umanitari.

Il giorno 9 maggio, mentre la gran parte della Carovana partecipava alla sfilata per il Giorno della Vittoria organizzata a Alchevsk dalla "Prizrak" e la Banda Bassotti si esibiva con un concerto nella stessa città in un clima meraviglioso, la nostra delegazione era a Lugansk per incontrare altri destinatari degli aiuti raccolti. Abbiamo avuto così la possibilità di assistere alle grandi celebrazioni per il 70.mo della Vittoria organizzate dalle istituzioni della LNR, proseguire per tutto il giorno nel centro cittadino.

La nostra delegazione è rientrata a Rostov sul Don il giorno 10 maggio, dove in serata si è riunita al resto della Carovana, per scambiare le prime impressioni e calorosi saluti con il resto della Carovana in attesa di riprendere l'aereo per l'Italia. Anche a Rostov era palpabile il clima di festa e di orgoglio popolare per le celebrazioni del 70.mo della sconfitta del nazifascismo.

Su questa esperienza avremo tempo di comunicare ulteriori dettagli e pubblicare ancora foto e video nei prossimi giorni. Un primo bilancio sintetico è il seguente: gli obiettivi immediati della nostra missione sono stati tutti pienamente ottenuti; per dare continuità all'esperienza, che si è svolta in un contesto militare e politico instabile e in presenza di molteplici referenti, sarà necessario fare una riflessione più approfondita confrontandosi con le realtà omologhe alla nostra, partecipanti o meno alla Carovana. 

NO PASARAN!
IL DONBASS SARA' LA TOMBA DEL FASCISMO!

(FOTO: 


=== 2 ===

INIZIATIVA segnalata

Milano, domenica 17 maggio 2015 
alle ore 20 presso la Casa Rossa, Via Monte Lungo 2 (MM1 Turro)

SIRIA E DONBASS dalla trincea della guerra imperialista

dalle 20,30 ne parliamo con Iyad Khuder giovane giornalista da Damasco via Skype e Leonardo Cribio di ritorno dalla Carovana del Donbass
dalle 20 apericena



=== 3: LINKS ===

--- PRIMA:

Auf die Einladung des Premierministers von Lugansk (20.10.2014) wird Bassotti in den Donbass zurückkehren um in Lugansk ein antifaschistisches Konzert zu geben
Faschistische Tendenzen sind in Europa unübersehbar, in der Ukraine treten sie offen zutage. Die Banda-Bassotti aus Rom tritt entschieden dagegen auf und organisiert wieder eine Antifaschistische-Karavane in den Donbass...
VIDEO: http://youtu.be/7cuM5_92b2s (CASTELLANO / ENGLISH)
 
Antifaschistische Karavane: Bassotti geht im Mai in den Donbass
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?&v=01Yq_OIAQdY (CASTELLANO / ENGLISH)
 
Banda-Bassotti bei der Rosa-Luxemburg-Konferenz 2015
https://www.youtube.com/watch?v=AXZyu6HjT_I
 
A maggio la Carovana Antifascista in Donbass: intervista alla Banda Bassotti (di Francesco Fustaneo, 21 Marzo 2015)

Adesione del PRC di Roma alla Carovana Antifascista della Banda Bassotti in Donbass (26 mar 2015)

8 maggio a Lugansk: i comunisti da tutto il mondo per sostenere il Donbass (11 aprile 2015)
di Maksim Chalenko, primo segretario del comitato cittadino di Lugansk del Partito Comunista di Ucraina
http://www.marx21.it/comunisti-oggi/nel-mondo/25433-8-maggio-a-lugansk-i-comunisti-da-tutto-il-mondo-per-sostenere-il-donbass.html
La traduzione del comunicato è stata ripresa nel sito ufficiale dei comunisti di Lugansk https://vk.com/comfront

Prc aderisce a carovana antifascista e a forum di Lugansk (di Paolo Ferrero e Fabio Amato, 29 apr 2015)

La Banda Bassotti lleva su música y lucha antifascista a Donbass (teleSUR tv, 8 mag 2015)
La caravana antifascista organizada por la banda italiana Banda Bassotti llegó a Donbass donde entregaron ayuda humanitaria. La agrupación realizará una actuación musical y un foro con diversos invitados internacionales para apoyar a esta región ucraniana. teleSUR.

--- DURANTE:

Регион Сегодня: Банда "Бассотти", заехала в Стаханов... (Новый Канал Новороссии, 8 mag 2015)
Заявление группы #БАНДА "БАССОТТИ".
Нас сейчас около 100 человек . 100 добровольцев , которые принадлежат организациям коммунистов , #интернационалистов и антифашистов со всё Европы и России. Они примут участие в торжественной церемонии в честь #Дня Победы в народной республики Донбасс. Вероятно организации, присутствующие в караване дадут жизнь форуму, организованному совместно с представителями коммунистов народной республики Луганск .
Мы привезем солидарность антифашисткой #Европы, которая не поддается преобладающей слепоте.
Сейчас, когда Америка и Обама сбросили маски и открыто поставляют на территорию #Украины военный персонал и технику , мы должны приложить максимум усилий , чтобы наш голос пронизал тишину...

Mozgovoi: Lugansk officials' threats force cancellation of Alchevsk Victory Day Parade

Dai compagni della carovana antifascista di solidarietà con il Donbass (PRC 11 mag 2015)
Pubblichiamo il diario dei nostri compagni del PRC e dei GC che stanno partecipando alla carovana antifascista con la Banda Bassotti nel Donbass

Алчевск. 9 Мая.

"Bella Ciao" per le strade di Alchevsk (9 maggio 2015)

"Интернационал" в Алчевске

Ukraine: Banda Bassotti rocks Lugansk on eve of Victory Day (RT, 9 mag 2015)
Italian anti-fascist punk band Banda Bassotti rocked Alchevsk in the Lugansk region, Friday, on the eve of World War II Victory Day celebrations...

9 мая в Алчевске (Алексей Мозговой - Голос народа, 9 mag 2015)
…Торжественный парад в Алчевске, посвященный 70-летию Победы состоялся. Восхищает массовое посещение праздника – это доказывает, что память не уничтожить и историю не переписать. Каждый человек показал, что он помнит подвиг народа и чтит память наших героев. Помни павших, но не забывай живых...

Video della sfilata ad Alchevsk, 9 maggio 2015

Donbass ★ Desfile Militar de 9 de mayo de 2015 en Lugansk

--- I PRIMI REPORT:

Donbass: la Carovana Antifascista è tornata (di Marco Santopadre, 12 Maggio 2015)

Carovana Antifascista in Donbass. La solidarietà è un’arma (di Marco Santopadre, 13 Maggio 2015)

Donbass: antifascisti da tutto il mondo con la Banda Bassotti per la Carovana antifascista (lunedì 11 maggio - di Évariste Galois)

Alexei Mozgovoi on the May holidays & international solidarity (May 12, 2015)

--- UTILI:

La pagina FB dei Comunisti di Lugansk (ex KPU) / Луганск Обком КПУ

Il blog di Alexei Mozgovoi e della "Prizrak"
ОМБр "Призрак" Алексея Мозгового – за НОВОРОССИЮ!

Il blog di Alexei Markov "Red Rat"

Red Star Over Donbass


=== 4A ===


Statement
Participants in the Donbass International Solidarity Forum 
Antifascism, Internationalism, Solidarity

NO to fascism in Ukraine!

We, the participants of the Donbass International Solidarity Forum Antifascism, Internationalism, Solidarity, state that as a result of the coup d' etat in Ukraine, the fascists came to power. The criminal regime finally did away with the remnants of the country's sovereignty, unleashed civil war in the Donbass, brought the national economy to collapse, and condemned residents to a daily struggle for existence and survival. The Ukrainian fascists adopted all the methods of their historical predecessors --  Nazi Germany, Italy and Spain  and moved to open political terror, physical violence against dissidents, and the banning of communist ideology.

We strongly condemn all acts of the Ukrainian authorities in fueling the war in Donbass, forcing its citizens to participate in hostilities, banning political ideologies, rehabilitating the Nazi collaborators of the Great Patriotic War and World War II, and perpetrating massacres of opposition groups and individuals opposed to manifestations of fascism. We consider it unacceptable for a Member State of the United Nations to practice such political repression and persecution.

We call on all antifascist forces of the world to add their voices to ours in exposing and combatting the crimes of fascism in Ukraine.

We invite all opponents of neo-Nazism, hate, racism, anti-Semitism and xenophobia to support the Ukrainian antifascist fighters in their struggle against the ruling political regime. Today, antifascists around the world must do whatever they can to fight the brown plague which raises its head in Ukraine.

We demand that the governments of the world do the same and strongly condemn the actions and character of the Ukrainian authorities. The crimes of fascists should not receive public praise from the international community. The European Union countries should stop supporting the Nazi regime and unite their efforts to restore the rule of law and democracy in Ukraine.


We demand that the President of Ukraine, the Cabinet of Ministers of Ukraine and the Verkhovna Rada of Ukraine immediately stop the killing of civilians in the Donbass region, stop political persecution of the opposition, and stop using the courts as a a punitive body for reprisals against dissidents.

Adopted on May 8, 2015
Alchevsk, Lugansk People's Republic

Translated by Greg Butterfield

---


Appeal
to Members of Legislative Assemblies,
Governments, and Heads of State of the World,
and to International Organizations,
on the need to facilitate lifting the blockade
and ending hostilities in the Donbass

We, the participants of the Donbass International Solidarity Forum “Antifascism, Internationalism,  Solidarity,” expressing our support for the residents of the Lugansk and Donetsk regions, appeal to the governments of the European Union, the United States, members of the European Parliament, and representatives of the countries of the United Nations to take all possible measures, including economic and political sanctions, against the State of Ukraine, in order to make the Government of Ukraine fulfill all the provisions of international agreements, including Minsk, aimed at ending the war and restoring peaceful life to the Donbass:

-  complete ceasefire in the Donbass;
-  withdrawal of heavy weapons;
-  admittance, delivery, storage and distribution of humanitarian aid;
-  restoration of social and economic relations, including payment of pensions and other benefits.

We believe that the members of legislative assemblies, governments and heads of state of the world should resolutely condemn all violations by the Ukrainian side of the provisions of international agreements on the establishment of peace: killings, torture and intimidation of civilians, looting, the economic blockade of the region, and obstacles to the free movement of people in the Lugansk and Donetsk regions.

We are confident that pressure from the international community will force the Ukrainian authorities to end the blockade of the region, which inflicted severe blows on the economy of Donbass, and give the region an opportunity to rebuild its economy, aid the lives of innocent people, and contribute to an early recovery from the consequences of the humanitarian catastrophe. Residents of Donbass should be able to receive the necessary medicines, foods, and construction materials to rebuild infrastructure.

We draw the attention of the international community to the fact that the vast majority of soldiers forcibly mobilized into the ranks of the Ukrainian army do not want to participate in a fratricidal war. However, Ukrainian legislation provides for the imprisonment of those who refuse to go and kill civilians in the Donetsk and Lugansk regions. We believe this practice is unacceptable and inadmissible.

We appeal to the international community to take all measures to ensure that peace and stability return to the Donbass. For the sake of stability and to overcome the consequences of humanitarian disasters in Eastern Europe, in order to prevent any attempts to violate civil rights and freedoms, all countries of the world should unite their efforts in a common pursuit -- to help the Donbass.

Adopted on May 8, 2015
Alchevsk, Lugansk People's Republic

Translated by Greg Butterfield

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Statement
Support for and solidarity with the residents of Donbass

We, the participants of the Donbass International Solidarity Forum "Antifascism, Internationalism, Solidarity, express our deepest concern for the fate of the inhabitants of the Donetsk and Lugansk regions, caught in the midst of a civil war. 

Since being unleashed by Ukraine in 2014, fighting with heavy weapons, including aircraft, has claimed the lives of tens of thousands of people. More than 1 million were displaced. The regular Ukrainian army and so-called "volunteer" battalions staged a real slaughter in the Donbass, cracking down on civilians who did not want to leave their homes. The region's economy suffered enormous damage. Restoration of the economy, overcoming the consequences of the humanitarian disaster, will require billions of dollars and years of work. 

We believe that participation of the governments of other countries in unleashing the military conflict in the Donbass today imposes responsibility on the entire world community for the future of the region. And we, as progressive forces, cannot stand apart.

We consider it our duty to express our full support to the residents of the Donetsk and Lugansk regions affected by fascism, who refuse to bow their heads before it. We are ready to devote our joint efforts to defend peace and justice in the Donbass. The residents of Donbass should have the right to determine their own future.

We believe that free Donbass will choose the leftist path of development. Socialism and labor solidarity -- that is the road to a new, fair life for everyone who has lived through the horrors of war.

We are united with the Donbass in our desire for peace, social justice and democracy.


We call on the entire international community to turn its eyes toward the Donbass and support Lugansk and Donetsk in their quest for freedom, development and peace, as well as in their struggle against the fascist regime in Ukraine.

Adopted on May 8, 2015
Alechevsk, Lugansk People's Republic

Translated by Greg Butterfield

--- LINKS

Intervento Rifondazione Comunista al Forum di Lugansk (8 mag 2015)

Immagine conclusiva dal Forum Internazionale (Alchevsk, 8 maggio 2015)
Форум "АИС" 8 мая 2015 года, Алчевск - Forum "AIS" May 8? 2015, Alchevsk (8 mag 2015)
Инициированный коммунистами Луганщины Международный форум солидарности с жителями Донбасса «Антифашизм. Интернационализм. Солидарность» состоялся 8 мая в Алчевске...

Comitato per il Donbass Antinazista, 13 maggio 2015
Il Donbass International Forum di Alchevsk è stato un momento importante di condivisione dove abbiamo avuto modo di conoscere le diverse realtà che come noi hanno deciso di supportare l'insurrezione del Donbass, ognuna con la propria storia e le proprie lezioni apprese dall'esempio novorusso. Durante lo svolgimento del forum abbiamo anche ricevuto la visita del Comandante Aleksey Borisovich Mozgovoy della Brigata Prizrak e del Commissario Alexey Markov dell'Unità 404 che ci hanno portato un importante saluto e contributo.
Il Commissario, da sempre refrattario a semplificazioni e comode illusioni, ha sottolineato la necessità di continuare questa lotta novorussa sul campo e nel cuore del nemico, l'Unione Europea, tenendo a mente che la situazione è lontana dall'essere monolitica: non ci sono solo nemici o solo amici, nella Russia e nell'occidente.
E' necessaria una ricomposizione delle forze, che possa servire in Donbass come altrove per la costituzione di una nuova concezione della società. Questo, d'altra parte, è stato il nostro obiettivo fin dall'inizio.

--- REPORT 1


Луганск Обком КПУ – May 9, 2015

МЕЖДУНАРОДНЫЙ ФОРУМ СОЛИДАРНОСТИ С ЖИТЕЛЯМИ ДОНБАССА СОБРАЛ В АЛЧЕВСКЕ ПРЕДСТАВИТЕЛЕЙ 13 СТРАН МИРА

Инициированный Луганскими коммунистами Международный форум солидарности с жителями Донбасса «Антифашизм. Интернационализм. Солидарность» состоялся 8 мая в Алчевске.
На форум прибыли 177 делегатов, представляющих 31 организацию из 13 стран мира (Беларуси, Великобритании, Германии, Греции, Испании, Италии, Польши, Российской Федерации, Страны Басков, Турции, Украины, Франции, Швеции). Более 20 организаций мира направили участникам Форума письма поддержки.
Участники Форума решительно осудили проявления фашизма в Украине, выражающиеся в политическом терроре, физических расправах и преследованиях инакомыслящих, запрете коммунистической идеологии.
Участники Форума поддержали жителей Донбасса в их стремлении к миру и борьбе с фашизмом.
Форум призвал правительства стран ЕС, США, депутатов Европейского парламента, представителей стран мира в ООН принять все возможные меры, включая экономические и политические санкции против государства Украина, с целью выполнения правительством Украины всех положений международных договоренностей, в том числе и Минских, направленных на прекращение войны и возрождение мирной жизни на Донбассе.
Участники форума приняли решение о создании Международного комитета солидарности с Донбассом «Антифашизм. Интернационализм. Солидарность», главной целью которого будет объединение политических партий, общественных организаций и движений, независимых активистов, готовых поддержать Донбасс на пути сохранения мира, противостояния фашизму и построения социально-справедливого общества.


Donbass International Solidarity Forum draws representatives from 13 countries
(Translated by Greg Butterfield)

Initiated by the Communists of Lugansk, an International Solidarity Forum with residents of Donbass, “Antifascism, Internationalism, Solidarity,” took place on May 8 in Alchevsk.
The Forum was attended by 177 delegates representing 31 organizations from 13 countries (Belarus, Great Britain, Germany, Greece, Spain, Italy, Poland, the Russian Federation, the Basque country, Turkey, Ukraine, France and Sweden). More than 20 organizations from around the world sent letters of support to the Forum.
The Forum strongly condemned manifestations of fascism in Ukraine, including political terror, massacres, persecution of dissidents, and the prohibition of Communist ideology.
Forum participants supported the residents of Donbass in their quest for peace and their struggle against fascism.
The Forum called on the EU governments, the United States, the deputies of the European Parliament, and representatives of the countries at the UN to take all possible measures, including economic and political sanctions, against the State of Ukraine and the Ukrainian Government to implement all the provisions of international agreements, including Minsk, aimed at ending the war and restoring peaceful life in the Donbass.
The Forum adopted a decision to establish an International Committee of Solidarity with the Donbass: "Antifascism, Internationalism, Solidarity,” whose main goal is united action by political parties, public organizations and movements, and independent activists to support the Donbass, preserve peace, oppose fascism and build a just society.

PHOTOS: https://www.facebook.com/LuganskObkomKPU/posts/1605203723029952 / http://redstaroverdonbass.blogspot.it/2015/05/donbass-international-solidarity-forum.html

--- REPORT 2


Луганск Обком КПУ – May 8, 2015

В Алчевске продолжает свою работу Международный форум солидарности с жителями Донбасса «Антифашизм. Интернационализм. Солидарность».
Международный форум, инициированный коммунистами, призван обсудить пути решения самых наболевших проблем региона.
Организаторы уверены, что участники Форума – представители политических партий, общественных организаций и независимые активисты смогут повлиять на правительства своих стран с целью оказания давления международной общественности на Киев. Только так можно остановить гражданскую войну на Донбассе, и дать людям шанс на послевоенное возрождение их региона.
‪#‎AISForum‬  ‪#‎Luhansk‬


International Solidarity Forum underway in Lugansk
(Translated by Greg Butterfield)

May 8, 2015: In Alchevsk, the International Solidarity Forum with the residents of Donbass, 'Antifascism, Internationalism, Solidarity' is underway. 
The international forum, initiated by the Communist Party - Lugansk Regional Committee, aims to discuss ways to solve the most urgent problems of the region. 
The organizers are confident that the Forum participants -- representatives of political parties, public organizations and independent activists, can influence their governments and the international community to put pressure on Kiev. 
The only way is to stop the civil war in the Donbass, and give people the chance for a post-war revival of the region.

PHOTOS: https://www.facebook.com/LuganskObkomKPU/posts/1605101276373530 / http://redstaroverdonbass.blogspot.it/2015/05/international-solidarity-forum-underway.html

--- REPORT 3


Sulle note dell’Internazionale. Alcune iniziali considerazioni sul Forum Internazionale tenutosi ad Alcevsk (8 maggio)

maggio 9th, 2015

Il Forum Internazionale che si è tenuto ad Alcevsk, città della Repubblica Popolare di Lugansk, è stato un importante momento di confronto tra le differenti realtà che compongono la resistenza ucraina e novorossa con le realtà internazionali che ne sostengono la lotta.
Uno scambio politico che ha voluto andare oltre la fotografia dei rapporti di forza sul campo e al di là della necessità contingente ed ineludibile della lotta al risorgente fascismo, per cercare di delineare l’apertura di una prospettiva internazionalista e di classe.
In questo senso collocare la lotta del Donbass all’interno della più generale lotta anti-imperialista, che non si esaurisce dentro i confini della Novorossija, e ribadire la necessità della trasformazione politico-sociale sono stati alcuni dei punti fermi della lunga carrellata degli interventi.
La profondità strategica di chi in Donbass ed in Ucraina lotta in maniera indipendente non solo contro un’aggressione militare tout-court ed una feroce dittatura, ma contro un sistema oligarchico per l’affermazione di una società differente, non può che essere l’ampliamento e l’intensificazione delle relazioni con uno spettro di forze che – in un quadrante diverso – combattono lo stesso nemico e gli stessi “falsi amici”.

Ma quest’approdo a livello di condivisione di coscienza politica tra gli intervenuti al forum è una premessa per un’ assunzione di responsabilità comune che detta un’ agenda non poco impegnativa per il futuro, tra l’altro tutta da costruire e che, per così dire, “inchioda” ai nostri occhi – almeno in Italia – chi ha preso parola al forum ad un livello di iniziativa politica più elevato di quello fino ad ora conosciuto rispetto a questo “fronte”.

Questa impostazione internazionalista e di classe naturalmente è vista come fumo negli occhi da chi considera il conflitto solo all’interno del paradigma etno-linguistico, la Novorossjia come niente di più che un stato cuscinetto strategicamente importante a livello geo-politico e la sua popolazione una pedina sacrificabile sull’altare dell’accordo delle differenti oligarchie sia ucraine che russe.
Queste forze sono le vere “quinte colonne” della contro-rivoluzione preventiva, tesa a svuotare le giovani repubbliche popolari del loro contenuto progressista e ad impedire ulteriori sviluppi dei tratti più interessanti di queste esperienze, che di fatto vengono “rimosse” o addirittura “negate” anche in Italia da chi, seppure a parole si dica schierato con la Novorossjia, ne diviene affossatore.

Differenti interventi delle milizie, tra cui quello di Mozgovoi che ha “aperto” il forum, si sono alternati a quello delle organizzazioni politiche locali e a quelle provenienti da Germania, Grecia, penisola iberica, Turchia e ovviamente dall’Italia.
Le delegazioni erano composte sia da organizzazioni politiche vere e proprie, sia da comitati di appoggio locali specifici, mentre numerosi saluti sono giunti da coloro che non hanno potuto partecipare.
La traduzione costante dal russo all’inglese e viceversa ha permesso di seguire agevolmente la lunga sezione dei lavori, con la sala che ha visto un buon livello di partecipazione e di attenzione ed un ricambio fisiologico dei partecipanti.
Da segnalare anche la presenza dell’emittente televisiva sud-americana Telesur e dei media russi, oltre ad alcuni centri di informazione locali legati alle milizie, che permetteranno di dare a questo appuntamento la visibilità che merita.

In questo report non vogliamo fare una ve

(Message over 64 KB, truncated)

(francais / deutsch
Mentre un centinaio di alti ufficiali della ex-DDR sottoscrivono un appello per promuovere rapporti di pace con la Russia, Angela Merkel – come loro originaria della Germania Est – si reca a Mosca con un giorno di ritardo sulle celebrazioni per la Vittoria sul nazismo, al solo scopo di gettare benzina sul fuoco delle tensioni. La Cancelliera tedesca ha cianciato di una "criminale e illegale annessione della Crimea" da parte della Federazione Russa, quando invece tutti sanno che la Crimea si è separata dall'Ucraina solo a seguito del golpe euronazista di febbraio 2014 e la unione alla Federazione Russa è stata sancita con un partecipatissimo referendum, in un clima di gioia collettiva. A cura di Italo Slavo)


Kriegshetze vs. Friedensappell aus Ostdeutschland

1) Kriegshetze. Skandalöse Äußerungen Merkels in Moskau

2) Une centaine de généraux allemands appellent l’Otan à cesser ses actions antirusses / »Soldaten für den Frieden«: Die Führungsspitze der ehemaligen DDR-Streitkräfte warnt vor Krieg. Kooperation statt Konfrontation mit Russland


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junge Welt (Berlin), Ausgabe vom 12.05.2015, Seite 8 / Ansichten

Kriegshetze

Skandalöse Äußerungen Merkels in Moskau

Von Arnold Schölzel

Was gehört dazu, sich als Repräsentantin eines deutschen Staates in Moskau 70 Jahre nach dem Zweiten Weltkrieg hinzustellen und von einer »verbrecherischen und völkerrechtswidrigen Annexion der Krim« zu sprechen? Antwort: Erstens das Fehlen jeglichen Funkens Anstand. Das war bereits klar, als der Boykott der russischen Feierlichkeiten zum 9. Mai angekündigt wurde – insofern war es eine Wiederholungstat. Zweitens das verordnete Vergessen dessen, was »verbrecherische Annexion« an solch einem Tag der Erinnerung an Vernichtung und Kolonisierung – auch der Krim – durch einen deutschen Staat bedeutet. Der keiner linken Neigung verdächtige Historiker Götz Aly wies in der Berliner Zeitung am vergangenen Dienstag auf den ersten Befehl des sowjetischen Stadtkommandanten Berlins Nikolai Bersarin vom 2. Mai 1945 hin, in dem von Wiederherstellung des Gesundheitswesens, von Lebensmittelversorgung und Hilfe für kranke Kinder die Rede war. Aly setzte hinzu: »Ersparen wir uns erste Wehrmachtsbefehle in Minsk, Kiew oder Smolensk«. Der Name von Bersarin sollte nach 1990 auf Betreiben der SPD aus dem Berliner Stadtbild verschwinden, um seine Ehrenbürgerschaft gab es eine lange Auseinandersetzung auf Frontstadtniveau. Das war ein Beispiel für die Staatspolitik, die Angela Merkel mit ihrem Vokabular würdig vertreten hat.

Diese zutiefst reaktionäre, ja revanchistische Haltung ist drittens auch Quelle jener Ignoranz, die die Regierungschefin eines Staates, der unter ihrer Führung an jeder staatsterroristischen Aktion des Westens in den vergangenen zehn Jahren teilgenommen hat, gegenüber Meinungen auch deutscher Völkerrechtler zur »Annexion« der Krim pflegt. Dort gab es keine Annexion, so argumentieren nicht wenige Juristen, sondern eine Sezession, die durch ein Referendum legitimiert wurde.

Der Affront übersteigt das gewohnte Maß auf dem diplomatischen Parkett des Kalten Krieges. Es handelt sich um Kriegshetze, wie sie ansonsten von den in Kiew durch die von den USA installierten Kreaturen à la Jazenjuk zu hören ist. Mit ihrer Wortwahl hat sich die Kanzlerin fest an die Seite der »Fuck the EU«-Strategen gestellt. Lügen und Russophobie sind wichtigste Bestandteile der dazugehörigen westlichen Propaganda.

Fest steht zugleich: Derzeit zeigen die USA und ihre bundesdeutsche Lobby Angela Merkel die Instrumente. Die Vorgänge um die BND- und NSA-Affäre haben dazu geführt, dass die SPD öffentlich auf Distanz zu ihr persönlich geht und von »Lügen« aus dem Kanzleramt spricht. Das besagt, dass der Druck aus Washington, schärfer gegenüber Moskau aufzutreten, zunimmt. Gleichzeitig lässt aber der Druck des deutschen Kapitals, wenigstens den Handel mit Russland nicht weiter einzuschränken, nicht nach. Merkels Worte sind insofern ein deutliches Signal: Sie hat sich für Eskalation, wenn nicht für Krieg entschieden.


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Magnifique : Une centaine de généraux allemands appellent l’Otan à cesser ses actions antirusses... !

BREIZATAO – ETREBROADEL (09/05/2015) Près d’une centaine de généraux et d’officiers supérieurs ont signé une lettre ouverte intitulée « Soldats pour la paix », dans laquelle ils condamnent la politique des USA vis-à-vis de la Russie.

Selon les militaires, le remaniement du monde sous l’égide des USA et de leurs vassaux a conduit à de nombreuses guerres. Pourtant, l’histoire montre qu’il est préférable d’être ami avec les Russes plutôt que l’inverse. Cette lettre sera envoyée au Bundestag et aux ambassades des pays de l’OTAN.

Ces anciens militaires appellent les pays de l’OTAN à stopper l’hystérie militaire et la russophobie. La lettre « Soldats pour la paix » a été publiée sur le site du quotidien allemand Junge Welt.

« Nous savons bien ce qu’est la guerre, et nous prônons la paix », indique le message signé par les ex-ministres de la Défense de l’ex-RDA Heinz Kessler et Theodor Hoffmann, trois généraux de corps d’armée, 19 généraux de division, 61 généraux de brigade, dont le cosmonaute Sigmund Jähn, plusieurs amiraux, ainsi que des colonels et des capitaines.

« Le remaniement du monde sous l’égide des USA et de leurs alliés a conduit aux guerres en Yougoslavie, en Afghanistan, en Irak, au Yémen, au Soudan, en Libye et en Somalie », souligne la lettre.

Les militaires allemands indiquent que la stratégie américaine vise à éliminer la Russie en tant que concurrent et à affaiblir l’Union européenne. Et la tentative de faire de l’Ukraine un membre de l’UE et de l’OTAN, selon eux, est une aspiration à créer un « cordon sanitaire » de la région balte jusqu’à la mer Noire pour isoler la Russie du reste de l’Europe, ce qui rend impossible l’union entre la Russie et l’Allemagne.

Les signataires de cette lettre remarquent également une campagne sans précédent des médias, une atmosphère d’hystérie militaire et de russophobie. D’après eux, cette tendance va à l’encontre du rôle diplomatique que pourrait jouer l’Allemagne au regard de sa situation géopolitique, de son expérience historique et des intérêts objectifs du peuple.

« Nous n’avons pas besoin d’une campagne militaire contre la Russie, mais d’une entente mutuelle et d’une coexistence pacifique. Nous n’avons pas besoin d’une dépendance militaire des USA, mais de notre propre responsabilité pour la paix », écrivent les militaires.

« En tant que militaires, nous savons bien que la guerre ne doit pas être un outil de la politique. En s’appuyant sur notre expérience, nous pouvons évaluer les conséquences pour toute l’Europe », a déclaré dans une conférence de presse l’ex-ministre de la Défense de la RDA l’amiral Theodor Hoffmann. Selon ce dernier, plusieurs signataires de cette lettre ont été témoins de la Seconde Guerre mondiale. Il a souligné également que les problèmes clés de notre époque ne pouvaient être réglés qu’en coopération avec la Russie.

« L’expérience montre qu’il vaut mieux être ami qu’ennemi avec les Russes », conclut Hoffmann.

(source)


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junge Welt (Berlin), Ausgabe vom 06.05.2015, Seite 1 / Titel

Generäle sagen nein

»Soldaten für den Frieden«: Die Führungsspitze der ehemaligen DDR-Streitkräfte warnt vor Krieg. Kooperation statt Konfrontation mit Russland

Von Peter Wolter

Etwa 100 Generäle der vor 25 Jahren aufgelösten Nationalen Volksarmee (NVA) der DDR haben sich angesichts der Ukraine-Krise mit einem Friedensappell an die Öffentlichkeit gewandt. Unmittelbarer Anlass sind die Feierlichkeiten zum 70. Jahrestag der Befreiung vom deutschen Faschismus. Zu den Unterzeichnern gehören zwei ehemalige Verteidigungsminister, drei Generaloberste, 19 Generalleutnante sowie 61 Generalmajore sowie etliche Admiräle.

»Die Mehrheit der Unterzeichner hat noch den Zweiten Weltkrieg an der Front erlebt«, erklärte der frühere DDR-Verteidigungsminister Theodor Hoffmann am Dienstag in Berlin bei der Vorstellung des Aufrufs »Soldaten für den Frieden«. »Wir Militärs wissen sehr gut, dass Krieg kein Mittel der Politik sein darf, von unserer Erfahrung her können wir sehr gut die Folgen für ganz Europa einschätzen.« Die militärische Stärke des Warschauer Vertrages habe mit dafür gesorgt, dass aus dem kalten Krieg kein heißer geworden sei. Seit der Auflösung des Bündnisses akzeptiere der Westen aber immer häufiger militärische Stärke als Mittel der Politik – Beispiele seien die diversen Kriege um den Irak, auf dem Balkan, in Afghanistan, Libyen und anderswo.

»In der einen oder anderen Form war auch die deutsche Bundeswehr an all diesen Kriegen beteiligt«, sagte Hoffmann, der zuletzt den Rang eines Admirals bekleidete. »Sie hat Aufklärungsaufgaben übernommen, Daten ausgetauscht und sogar bei der Luftbetankung von Kampfflugzeugen geholfen.« Das widerspreche der Vereinbarung des früheren Bundeskanzlers Helmut Kohl mit dem damaligen DDR-Staats-und Parteichef Erich Honecker, dass von deutschem Boden nie wieder Krieg ausgehen darf.

Angeführt von den USA seien die NATO-Länder jetzt zum kalten Krieg zurückgekehrt und begründeten dies mit der angeblichen Aggressivität Russlands, sagte Hoffmann weiter. Die meisten Unterzeichner des Aufrufs hätten allerdings ganz andere Erfahrungen mit diesem Land gemacht, etliche hätten auch dort studiert. »Die Erfahrung lehrt uns, dass es besser ist, die Russen zum Freund und nicht zum Feind zu haben.« Die wichtigsten Probleme der Gegenwart ließen sich auch nur in Zusammenarbeit mit Russland lösen.


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junge Welt (Berlin), Ausgabe vom 06.05.2015, Seite 3 / Schwerpunkt

Soldaten für den Frieden

Dokumentiert: Die Führungsspitze der ehemaligen DDR-Streitkräfte warnt vor Krieg und fordert Kooperation statt Konfrontation mit Russland

Als Militärs, die in der DDR in verantwortungsvollen Funktionen tätig waren, wenden wir uns in großer Sorge um die Erhaltung des Friedens und den Fortbestand der Zivilisation in Europa an die deutsche Öffentlichkeit.

In den Jahren des Kalten Krieges, in denen wir eine lange Periode der Militarisierung und Konfrontation unter der Schwelle eines offenen Konflikts erlebten, haben wir unser militärisches Wissen und Können für die Erhaltung des Friedens und den Schutz unseres sozialistischen Staates DDR eingesetzt. Die Nationale Volksarmee war keinen einzigen Tag an kriegerischen Auseinandersetzungen beteiligt, und sie hat bei den Ereignissen 1989/90 maßgeblich dafür gesorgt, dass keine Waffen zum Einsatz kamen. Frieden war immer die wichtigste Maxime unseres Handelns. Deshalb sind wir entschieden dagegen, dass der militärische Faktor erneut zum bestimmenden Instrument der Politik wird. Es ist eine gesicherte Erfahrung, dass die brennenden Fragen unserer Zeit mit militärischen Mitteln nicht zu lösen sind.

Es sei hier daran erinnert, dass die Sowjetarmee im Zweiten Weltkrieg die Hauptlast bei der Niederschlagung des Faschismus getragen hat. Allein 27 Millionen Bürger der Sowjetunion gaben ihr Leben für diesen historischen Sieg. Ihnen, wie auch den Alliierten, gilt am 70. Jahrestag der Befreiung unser Dank.

Jetzt konstatieren wir, dass der Krieg wieder zum ständigen Begleiter der Menschheit geworden ist. Die von den USA und ihren Verbündeten betriebene Neuordnung der Welt hat in den letzten Jahren zu Kriegen in Jugoslawien und Afghanistan, im Irak, Jemen und Sudan, in Libyen und Somalia geführt. Fast zwei Millionen Menschen wurden Opfer dieser Kriege, und Millionen sind auf der Flucht.

Nun hat das Kriegsgeschehen wiederum Europa erreicht. Offensichtlich zielt die Strategie der USA darauf ab, Russland als Konkurrenten auszuschalten und die Europäische Union zu schwächen. In den letzten Jahren ist die NATO immer näher an die Grenzen Russlands herangerückt. Mit dem Versuch, die Ukraine in die EU und in die NATO aufzunehmen, sollte der Cordon sanitaire von den baltischen Staaten bis zum Schwarzen Meer geschlossen werden, um Russland vom restlichen Europa zu isolieren. Nach amerikanischem Kalkül wäre dann auch eine deutsch-russische Verbindung erschwert oder verhindert.

Um die Öffentlichkeit in diesem Sinne zu beeinflussen, findet eine beispiellose Medienkampagne statt, in der unverbesserliche Politiker und korrumpierte Journalisten die Kriegstrommeln rühren. In dieser aufgeheizten Atmosphäre sollte die Bundesrepublik Deutschland eine den Frieden fördernde Rolle spielen. Das gebieten sowohl ihre geopolitische Lage als auch die geschichtlichen Erfahrungen Deutschlands und die objektiven Interessen seiner Menschen. Dem widersprechen die Forderungen des Bundespräsidenten nach mehr militärischer Verantwortung und die in den Medien geschürte Kriegshysterie und Russenphobie.

Die forcierte Militarisierung Osteuropas ist kein Spiel mit dem Feuer – es ist ein Spiel mit dem Krieg!

Im Wissen um die zerstörerischen Kräfte moderner Kriege und in Wahrnehmung unserer Verantwortung als Staatsbürger sagen wir in aller Deutlichkeit: Hier beginnt bereits ein Verbrechen an der Menschheit.

Sind die vielen Toten des Zweiten Weltkrieges, die riesigen Zerstörungen in ganz Europa, die Flüchtlingsströme und das unendliche Leid der Menschen schon wieder vergessen? Haben die jüngsten Kriege der USA und der NATO nicht bereits genug Elend gebracht und viele Menschenleben gefordert?

Begreift man nicht, was eine militärische Auseinandersetzung auf dem dichtbesiedelten europäischen Kontinent bedeuten würde?

Hunderte Kampfflugzeuge und bewaffnete Drohnen, bestückt mit Bomben und Raketen, Tausende Panzer und gepanzerte Fahrzeuge, Artilleriesysteme kämen zum Einsatz. In der Nord- und Ostsee, im Schwarzen Meer träfen modernste Kampfschiffe aufeinander und im Hintergrund ständen die Atomwaffen in Bereitschaft. Die Grenzen zwischen Front und Hinterland würden sich verwischen. Millionen Mütter und Kinder würden um ihre Männer, um ihre Väter und Brüder weinen. Millionen Opfer wären die Folge. Aus Europa würde eine zerstörte Wüstenlandschaft werden.

Darf es soweit kommen? Nein und nochmals Nein!

Deshalb wenden wir uns an die deutsche Öffentlichkeit:
Ein solches Szenario muss verhindert werden.
Wir brauchen keine Kriegsrhetorik, sondern Friedenspolemik.
Wir brauchen keine Auslandseinsätze der Bundeswehr und auch keine Armee der Europäischen Union.
Wir brauchen nicht mehr Mittel für militärische Zwecke, sondern mehr Mittel für humanitäre und soziale Erfordernisse.
Wir brauchen keine Kriegshetze gegen Russland, sondern mehr gegenseitiges Verständnis und ein friedliches Neben- und Miteinander.
Wir brauchen keine militärische Abhängigkeit von den USA, sondern die Eigenverantwortung für den Frieden. Statt einer »Schnellen Eingreiftruppe der NATO« an den Ostgrenzen brauchen wir mehr Tourismus, Jugendaustausch und Friedenstreffen mit unseren östlichen Nachbarn.
Wir brauchen ein friedliches Deutschland in einem friedlichen Europa.
Mögen sich unsere Kinder, Enkel und Urenkel in diesem Sinne an unsere Generation erinnern.

Weil wir sehr gut wissen, was Krieg bedeutet, erheben wir unsere Stimme gegen den Krieg, für den Frieden.


Armeegeneral a.D. Heinz Keßler

Admiral a.D. Theodor Hoffmann

Die Generaloberste a.D. Horst Stechbarth; Fritz Streletz; Fritz Peter

Die Generalleutnante a.D. Klaus Baarß; Ulrich Bethmann; Max Butzlaff; Manfred Gehmert; Manfred Grätz; Wolfgang Kaiser; Gerhard Kunze; Gerhard Link; Wolfgang Neidhardt; Walter Paduch; Werner Rothe; Artur Seefeldt; Horst Skerra; Wolfgang Steger; Horst Sylla; Ehrenfried Ullmann; Alfred Vogel; Manfred Volland; Horst Zander

Vizeadmiral a.D. Hans Hofmann









“Corpi di civili di pace” e politiche imperialiste

di Valter Lorenzi - Emanuela Grifoni*
05/05 2015

Ricostruire il movimento contro la guerra nella chiarezza e nell’indipendenza, fuori e contro logiche eurocentriche, subalterne e complici delle politiche aggressive del polo imperialista europeo.

Nel silenzio dei mass media, in questi mesi il Governo Renzi ha portato a compimento un progetto coltivato da tempo: il coinvolgimento diretto di strutture civili “di pace” all’interno delle future operazioni di guerra. Sul modello statunitense di inizi anni  ’60 del secolo scorso, si rende sistematica quella integrazione alla quale hanno lavorato precedenti governi di centro – sinistra, con l’attiva collaborazione di Centri studi universitari, OnG, Associazioni, sindacati concertativi. A chiudere il cerchio dell’operazione, che non a caso cade in un momento di alta tensione nel Mediterraneo e nell’Est Europa, raccolte di firme e campagne “pacifiste” provenienti da quello stesso mondo che in questi anni ha collaborato attivamente con i Ministeri degli Esteri, ai margini delle operazioni di “peace keeping” e “peace building” in ex Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Libano. Il grado di maturità di un polo imperialista si misura anche dalla capacità d’integrazione ideologica, politica e militare di settori della “società civile”, corpi intermedi inservibili per la mediazione sociale “in patria”, ma potenzialmente utili come nuovi “missionari” nelle avventure coloniali prossime venture. 

Il 20 marzo 2003 il New York Times titolava in prima pagina: “La seconda potenza mondiale è scesa in piazza”. Così facendo, descriveva un grande movimento internazionale, che in oltre 600 città del mondo portò milioni di pacifisti in strada contro l’aggressione all’Iraq. Risolto il contenzioso storico con l’avversario sovietico, crollato su se stesso e sepolto sotto le macerie del muro di Berlino nel 1989, gli Stati Uniti d’America rilanciarono con forza la loro politica di potenza. Nel mondo dell’informazione, della cultura e dei movimenti altermondialisti si parlava di “Secolo americano”, di “fine della Storia”, di “moltitudini” in movimento.

Il Movimento pacifista, capace di mobilitare un così vasto numero di persone nel mondo, esprimeva e rappresentava un generalizzato senso di repulsa contro politiche aggressive che riportavano il mondo a epoche precedenti, quando il colonialismo occidentale imponeva, con le armi e l’occupazione fisica di grandi territori, la legge dello sfruttamento intensivo delle risorse naturali e umane. Quel movimento trovò nel nostro paese terreno fertile, trasformandosi in un fenomeno politico di prima grandezza, che affondava le radici in una sinistra ancora vitale, reduce dalle precedenti mobilitazioni no global.

Grandi mobilitazioni che avvenivano però in un contesto di “smobilitazione ideologica”, di rifiuto pregiudiziale delle categorie interpretative che avevano guidato la sinistra di classe nella lettura della realtà e delle sue dinamiche. La lotta contro le aggressioni militari si traduceva così in un rifiuto generico e generale della violenza, a favore di un mondo senza guerre. Prevaleva cioè una visione etico/morale dell’agire individuale e collettivo, di genuino rigetto dei massacri che si stavano perpetrando, di pacifismo interclassista e  non – violento, che non analizzava i processi materiali alla base della nuova spinta alla guerra, se non in termini di ingiusta rapina delle risorse di un Sud sfruttato da sempre da parte di un Occidente ricco e mal governato. Nel nostro paese quest’atteggiamento politico/culturale fu coltivato, esaltato e fomentato da una rappresentanza politica, sindacale, di “movimento” che si preparava a entrare nei governi Prodi e nei successivi esecutivi di centro sinistra, sino ad assumere ai giorni nostri ruoli di primo rilievo a livello nazionale ed europeo.

Una rappresentanza politica di “sinistra” sospinta in alto proprio da quei movimenti, che ha attraversato il decennio che abbiamo alle spalle con alterne vicende, fatte per alcuni di rovinose cadute, per altri di strepitosi successi personali oltre che politici: La sinistra “radicale” estromessa dal Parlamento nel 2008, alcune ex pacifiste proiettate ai massimi vertici del governo italiano e della UE.

Carriere costruite sul filo del rasoio, a cavallo tra guerra e pace, nel senso letterale del termine.

Negli anni del grande movimento pacifista d’inizio secolo, poco dopo l’esecutivo D’Alema (responsabile dei bombardamenti sulla Jugoslavia nel 1999) e prima dei governi di centro sinistra, agivano tra le fila dei pacifisti di professione personaggi allora sconosciuti, divenuti oggi figure di primo piano. Parliamo di Federica Mogherini, attivista ecoordinatrice del Social Forum di Firenze nel 2004, e di Roberta Pinotti boy scout e militante dei «Blocchi non violenti» genovesi. Tutte e due presenti alla kermesse no-global di Porto Alegre del 2001.  Come sappiamo oggi la prima è Alto rappresentante della UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza (ex ministro degli Esteri del governo Renzi), la seconda è ministro della difesa nel Governo Renzi. Ci giunge notizia che l’ex nonviolenta genovese intende far partecipare l’Italia alla guerra dei droni: ha chiesto a Washington di poter armare gli MQ-9 Reaper, i droni killer Usa acquistati recentemente dall’Italia, di 14 missili «Fuoco dell’inferno»

Alla luce di questa brevissima ricostruzione storica, proprio per questo plasticamente esemplificativa della parabola di un intero ceto politico, c’è poco da sorprendersi per l’attuale disorientamento nelle aree socio/culturali che, nel decennio passato, espressero importanti livelli di mobilitazione sui temi della pace e della guerra.

Le responsabilità delle scelte politiche e personali appena ricordate non esauriscono però le ragioni dell’inabissamento e della scomparsa del movimento pacifista. Avversari altrettanto temibili hanno agito in questi anni.

Nel breve lasso di tempo di un decennio la Storia ha iniziato a correre grazie ad una crisi sistemica del capitalismo senza precedenti, accompagnata in questa volata verso l’abisso da una leadership politica, mediatica e militare impegnata a plasmare le opinioni pubbliche al nuovo corso, fatto di aggressioni militari sempre più devastanti, che stanno ridisegnando i rapporti di forza tra poli imperialisti e paesi una volta definiti “in via di sviluppo”, che oggi sono a capo di aree economiche  (BRICS) capaci di competere - sul terreno delle regole di mercato -  con i colossi d’Occidente.

In questi anni di grandi trasformazioni sono vorticosamente cambiate, e continuano a cambiare in corsa, alleanze e nemici da combattere. Da Al Qaeda si è passati all’ISIS, con un ritorno alla logica della “guerra di civiltà” e di religione che, nella propaganda, surclassa la campagna mediatica, repressiva e di guerra successiva all’attentato dell’11 settembre 2001 contro le torri gemelle.

Le recenti sollecitazioni di Papa Francesco alla “comunità internazionale” per fermare il genocidio di cristiani in Medio Oriente, le sue prese di posizione contro la Turchia nel centesimo anniversario dal massacro degli armeni, sono solo una delle cartine di tornasole che evidenzia il clima che si respira nel paese e a livello internazionale. Anche i terribili “effetti collaterali” delle aggressioni militari sono utilizzati cinicamente per mantenere alta la tensione in un’opinione pubblica già scossa dalle devastazioni economiche e sociali imposte dalla Troika europea. Parliamo degli attentati in Francia (Charlie Hebdo) e in Belgio, ma anche dei flussi migratori provenienti dalle coste libiche. Fenomeni diversi, ma con le stesse radici, usati ossessivamente dai mass media per legittimare presenti e future scelte repressive e di guerra.

In questo clima tornano a essere utili organizzazioni che hanno progressivamente adeguato la loro prassi alle esigenze d’intervento “umanitario” e di “peace keeeping” nelle innumerevoli “missioni di pace” promosse in questi anni (oltre 4.500 militari italiani impegnati in 28 operazioni internazionali). Adeguamento e “affiancamento” premiati con lauti finanziamenti, carriere politiche e parlamentari. Parliamo di OnG, sindacati concertativi, associazionismo laico e cattolico, impegnati da sempre a orientare la propria base di massa su terreni di compatibilità con lo stato di cose presenti, soprattutto quando alla guida del paese s’insediano governi di centro sinistra. Il governo Renzi, anche per la presenza in quell’esecutivo delle due “signore della pace” (Mogherini / Pinotti), è il migliore per l’incontro tra questo “consorzio” di realtà socio/culturali e le future proiezioni all’estero dell’esercito tricolore, specie in una fase nella quale si torna a parlare di “corridoi umanitari” per risolvere la crisi dei flussi migratori.

Vediamo come.

Il decreto attuativo inserito nell’ultima Legge di Stabilità apre la strada alla sperimentazione dei Corpi Civili di Pace Firmato dai Ministri Poletti e Gentiloni il 30 gennaio 2015 e presentato a Palazzo Chigi il 2 febbraio 2015, alla presenza del succitato Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Luigi Bobba (Sottosegretario al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con delega alle politiche giovanili e al servizio civile nazionale) e Mario Giro (Sottosegretario al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale). Un primo contingente di 500 volontari è già pronto per la sperimentazione, gestito dal Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale.

Un progetto che non parte da zero. Il primo importante momento di “promozione” di questo progetto fu nel 2007, quando durante il secondo governo Prodi l’allora viceministra degli Esteri Patrizia Sentinelli (PRC) convocò il Tavolo Interventi Civili di Pace (per vedere quali realtà fanno parte di questo Tavolo cliccate su http://www.interventicivilidipace.org/wp/tavolo-icp/ ).

In questi ultimi mesi abbiamo avuto modo di seguire la campagna “Un’altra Difesa è possibile!” (http://www.difesacivilenonviolenta.org/). Condita con la solita retorica non violenta, non armata e iper umanitarista, la campagna intende molto più prosaicamente connettersi con i su menzionati provvedimenti governativi. Basta andare alla proposta di legge http://www.difesacivilenonviolenta.org/la-proposta-di-legge/  per capire l’operazione. All’Art 1 – comma 1 immancabile il riferimenti all’articolo 11 della Costituzione, rafforzato però dal richiamo all’articolo 52, che parla invece dell’adempimento del dovere di “difesa della Patria”. Un accostamento che da solo rende l’idea del cambiamento di clima che s’intende interpretare e coadiuvare, anche se riflette una miopia politica evidente, data la subalternità delle “patrie” ai diktat dell’Unione Europea e della sua Troika.

Infine, basta scorrere di poche righe per trovare al comma 2 i  “Corpi Civili di Pace”…!  “la cui sperimentazione – prosegue il comma -  è inserita nella Legge 27 dicembre 2013, n. 147 che prevede l’istituzione di un contingente da impegnare in azioni di pace non governative nelle aree di conflitto o a rischio di conflitto….

Per capire i legami tra questo mondo e i decreti attuativi dell’esecutivo Renzi occorre andare a vedere il video della firma del su citato decreto attuativo: https://www.youtube.com/watch?v=M_blvP2lGCo

Al minuto 3.55 del video, il Ministro Poletti dichiara che “La presidenza italiana durante il semestre europeo ha fortemente spinto l’idea del servizio civile europeo”, per cui è facile intendere come l’iniziativa che sta portando avanti la campagna  sia in piena compatibilità con i Ministeri presenti in conferenza stampa, compreso quello degli Esteri e di tutto il Governo Renzi.

Al min. 39.16 del video, Luisa del Turco del Tavolo Interventi Civili di Pace (sopra citati), si felicita del risultato ottenuto grazie alla sinergia col Ministero degli Esteri, ricordando che le associazioni che si occupano di peace building (come appunto il Tavolo Interventi Civili di Pace), sono nate proprio da un’iniziativa del Ministero degli Esteri. Oggi questi progetti trovano una forma concreta all’interno della programmazione ministeriale, e un finanziamento di 9 milioni di euro nella Legge di Stabilità.

Ecco il testo della conferenza stampa tenutasi a Roma il 29 gennaio 2015 http://www.gioventuserviziocivilenazionale.gov.it/dgscn-news/2015/1/corpi-civili-di-pace.aspx)

Sappiamo che le basi associative di queste organizzazioni sono fatte da tante persone in buona fede, spinte da motivazioni più che encomiabili, così come è risaputo che in zone di guerra non ci si va senza la “protezione” dei militari, ultimo anello della catena di comando al vertice della quale ci sono le decisioni di politica estera del governo in carica. Una contraddizione che salta agli occhi, e che in questi mesi ha creato non pochi dubbi tra chi doveva andare a convincere il passante ad aderire e firmare per la campagna “un’altra difesa è possibile”.

Di ben altra pasta sono fatti i leader e i quadri intermedi di quel network di “professionisti della pace”, impegnati in questi giorni a far approvare ordini del giorno e delibere in vari consigli comunali a sostegno della loro campagna, trovando non a caso totale e incondizionata approvazione bipartisan tra i consiglieri comunali e le Giunte di centro – destra – “sinistra”.

L’operazione ci pare evidente: riempire di “contenuti” le leggi quadro del governo Renzi, con “decreti attuativi” in salsa pacifista, al fine di intruppare quel poco che rimane del movimento pacifista all’interno delle politiche estere di un esecutivo intento a trovare, in ambito europeo e NATO, la forma migliore per riprendersi le agognate coste libiche, evitando i quotidiani rischi corsi dai pozzi petroliferi in mano all’ENI.

Uno scenario complesso, quello libico, forse ancor più di altri, per la molteplicità d’interessi che si muovono dietro le quinte della rappresentazione fantastica raccontataci quotidianamente da mass media oramai totalmente al servizio delle strategie di guerra dei singoli paesi, delle multinazionali del petrolio, di alleanze politiche e economiche che aggregano interi continenti, Unione Europea in primis. 

In quello scenario la funzione dei “corpi civili di pace” potrebbe essere molto importante, data la moltitudine di disperati che da quelle coste si muove per fuggire da rapine e guerre, a cercare miglior vita dopo aver superato la prova mortale del mare.

In questi mesi gli eventi bellici in corso hanno riacceso il dibattito all’interno di aree politiche da sempre sensibili alla lotta contro la guerra. La campagna No guerra No NATO e le iniziative “Guerra alla guerra” promosse dalla Rete dei Comunisti hanno destato l’interesse di migliaia di compagni, di organizzazioni politiche, sindacali, di movimento, intenzionate a riprendere la mobilitazione contro il bellicismo dei paesi imperialisti, che sta riportando l’umanità sull’orlo di esplosioni potenzialmente incontrollabili.

Occorre che nel lavoro di ricomposizione di un movimento contro la guerra all’altezza della sfida i militanti nowar abbiano chiaro, ancor più di ieri, di quali e quanti siano gli strumenti a disposizione dell’avversario, soprattutto nelle retrovie del conflitto, dove siamo chiamati a combattere. I “corpi civili di pace” sono parte integrante degli strumenti di guerra che l’imperialismo occidentale si è dato, a partire dai “peace corps” statunitensi istituiti dal democratico John F. Kennedy nel marzo 1961.  

Oggi in Italia il progetto renziano dei “corpi civili di pace” impone alle aree socio/culturali di riferimento del PD un passaggio senza ritorno, che chiude una storia d’infiltrazione, condizionamento e paralisi nei movimenti determinatisi negli anni scorsi contro militarismo e guerra. I burocrati del pacifismo professionale s’intruppano così nelle carovane imperialiste e coloniali, pronte a muoversi di nuovo verso i territori di riconquista. Un passaggio delicato, che implica un altissimo livello di mistificazione ideologica, al fine di “conquistare i cuori e le menti” di tante persone disorientate dalla quotidiana guerra mediatica sui temi di politica estera.  

Le caratteristiche della prossima guerra non sono le stesse di quella precedente.

Per combatterla occorre che i sinceri pacifisti, gli antimilitaristi, gli antimperialisti e i comunisti affinino le loro capacità di riconoscere e denunciare i “professionisti della pace”, ancora più pericolosi degli eserciti in armi, perché addestrati a parlare la “lingua dei giusti” in mezzo alla nostra gente.

Valter Lorenzi - Emanuela Grifoni (Rete dei Comunisti, Pisa)





(deutsch / srpskohrvatski / italiano)

70.mo Liberazione / 3: 

NOVE MAGGIO 1945–2015

1) INIZIATIVE e LINKS
2) La verità sulla Seconda guerra mondiale non è più gradita in Europa
3) Alla parata di Mosca le sedie vuote dell’Europa
4) Putin: cercare di riabilitare il nazismo è cinico e inammissibile
5) НАЦИЗАМ КАО ПОКРЕТАЧКА СНАГА ЕВРОАТЛАНСКИХ ИНТЕГРАЦИЈА (П. ИСКЕНДЕРОВ)


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La Parata della Vittoria sulla Piazza Rossa il 9 maggio in diretta su Sputnik-Italia
http://it.sputniknews.com/mondo/20150508/358767.html

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MILANO 

IL 9 MAGGIO ALLE 14.00 VIA MERCANTI

FESTA per il GIORNO DELLA VITTORIA SUL NAZIFASCISMO OCCIDENTALE NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE 

VI ASPETTIAMO PER LA PACE IN DONBASS E UCRAINA CONTRO IL NAZIFASCISMO GOVERNATIVO IN UCRAINA PAGATO DA NATO AMERICA E UE E SOSTENUTO DAL GOVERNO D'ITALIA...

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CESENA

9 Maggio 1945: vittoria sul nazi-fascismo 
70 anni fa l’Armata Rossa dei popoli dell’Unione Sovietica entrava a Berlino issando la bandiera sul Reichstag, ponendo fine ai deliri di Hitler e Mussolini saliti al potere grazie all’appoggio delle democrazie occidentali e delle loro banche per stroncare le spinte emancipatrici dei movimenti operai verso il socialismo.In Europa e in Italia da anni è in atto un pericoloso revisionismo storico che vuole cancellare il sacrificio di 27 milioni di sovietici caduti nella Seconda Guerra Mondiale e estirpare dalla memoria tutte le resistenze dei popoli aggrediti dal fascismo italiano: Etiopia, Libia, Grecia, Albania, Jugoslavia... E' un'operazione che mira a rilegittimare la guerra fuori dai confini in “difesa degli interessi nazionali” in barba al dettato Costituzionale. Oggi, dopo 20 anni di guerre ”giuste”, “umanitarie” o di “civiltà”, la NATO, l’Unione Europea e gli USA non si fanno scrupolo di finanziare e armare in Ucraina e nel Baltico forze apertamente neo-naziste al Governo contro le minoranze e la popolazione russa del Donbass in un pericoloso gioco da apprendisti stregoni dagli sviluppi imprevedibili come è successo in Medio Oriente dopo aver finanziato e armato Al Qaeda e L’ISIS. Esprimiamo e organizziamo solidarietà agli antifascisti ucraini di oggi che resistono, coscienti che il cammino della liberazione dallo sfruttamento e dall’imperialismo che affama, reprime e costringe ad emigrare centinaia di milioni di persone è ancora lungo e tortuoso.

Lunedì 11 maggio h.21.00 Circolo ARCI Magazzino Parallelo Via Genova (zona ex mercato ortofrutticolo) Cesena 
proiezione del film “Va' e vedi” regia di Elem Klimov (URSS 1986)
Il film, dallo sconvolgente impatto emotivo, mostra i massacri compiuti in Bielorussia dai nazisti dove centinaia di villaggi e paesi vennero cancellati insieme ai loro abitanti, attraverso gli occhi di un adolescente che, sconvolto dall’orrore, andrà a combattere con i partigiani per “restare umano”.

Giovedì 14 aprile [data da confermare] h.21.00 Via Cesare Battisti 57 Cesena 
Tornando dal Donbass. Ucraina: nazismo di ieri e di oggi. 
Incontro con Marco Santopadre (redazione di Contropiano – giornale comunista online) appena tornato dalle repubbliche popolari del Donbass raggiunte con la Carovana di solidarietà antifascista

Per info: Comitato Difesa Sociale Cesena e Rete dei Comunisti Cesena, email: momotombo@...

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Cinque cose da sapere sul Giorno della Vittoria (Riccardo Pessarossi, 08.05.2015)
http://it.sputniknews.com/opinioni/20150508/361705.html

Zweckgebundenes Gedenken (70 Jahre Befreiung von der NS-Herrschaft – GFP 08.05.2015) 
Uminterpretationen der Geschichte und eine Instrumentalisierung des NS-Gedenkens zu außenpolitischen Zwecken überschatten den 70. Jahrestag der Befreiung Europas vom NS-Terror. Antirussische Stellungnahmen haben heute die Gedenkveranstaltungen in mehreren NATO-Staaten geprägt. Moskau habe im Ukraine-Konflikt nichts Geringeres als "die europäische Friedensordnung" in Frage gestellt, hieß es im Deutschen Bundestag. Der polnische Staatspräsident BronisÅ‚aw Komorowski fühlte sich durch Russland "an die dunkelsten Zeiten der europäischen Geschichte des 20. Jahrhunderts" erinnert. Eine bekannte deutsche Tageszeitung schrieb den Bürgerkrieg in der Ostukraine allein einer "militärische(n) Offensive Russlands" zu, um diese dann mit dem NS-Vernichtungskrieg gegen die Sowjetunion zu parallelisieren. Man solle der Befreiung Europas vom NS-Terror nicht mehr gedenken, hieß es; vielmehr solle man Spenden sammeln "für Prothesen für die verkrüppelten ukrainischen Soldaten". In der von Berlin protegierten prowestlich gewendeten Ukraine wiederum werden ehemalige NS-Kollaborateure als "Befreier" gepriesen...
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59111)

РУСИЈА ОДЛИКОВАЛА СУБНОР СРБИЈЕ (Велико признање, 8. мај 2015.)
http://www.subnor.org.rs/veliko-priznanje

ВЕТЕРАНИ ЗНАЈУ ЗАШТО СУ ПРОТИВ РАТА (Међународна сарадња, 8. мај 2015.)
http://www.subnor.org.rs/medjunarodna-saradnja-25

БУКТИЊУ  СЛОБОДЕ  НИКО   НЕ  УТУЛИ (Јубилеј победе, 6. мај 2015.)
http://www.subnor.org.rs/jubilej-pobede

Mosca: Alla parata della Vittoria sfileranno 16500 uomini e 200 unità di mezzi (04.05.2015)
http://it.sputniknews.com/mondo/20150504/342656.html

Disfatta e capitolazione incondizionata della Germania nazista
da: Accademia delle Scienze dell'URSS, Storia universale vol. X, Teti Editore, Milano, 1975 – Capitolo XIV

9 maggio 1945: Il discorso della Vittoria (9 Maggio 1945)
da: Stalin, Problemi della pace, Prefazione di Pietro Secchia, Edizioni di Cultura Sociale, 1953 
http://www.resistenze.org/sito/te/cu/st/custfe06-016295.htm


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La verità sulla Seconda guerra mondiale non è più gradita in Europa

28.04.2015

Soltanto un europeo su otto sa del ruolo decisivo dell’Unione Sovietica nella liberazione dell’Europa durante la Seconda guerra mondiale.
Ciò emerge da un recente sondaggio svolto dalla britannica ICM Reserarch per l'agenzia Sputnik.

Tre mila persone di differente età e sesso provenienti da diverse paesi hanno preso parte nei sondaggi. (1000 persone in ogni Paese).


rispondenti dell'inchiesta, tenuta nel periodo tra il 20 marzo e il 9 aprile intervistando 3000 persone in Gran Bretagna, Francia e Germania, dovevano scegliere tra 5 varianti della risposta, e soltanto il 13% ha riconosciuto il ruolo decisivo dell'esercito sovietico.
Il 61% dei francesi e il 52% dei tedeschi hanno detto che furono gli Stati Uniti a liberare l'Europa. In Gran Bretagna questa variante è stata scelta dal 16%, mentre il 46% degli intervistati ha detto che le battaglie decisive furono vinte dai britannici.
Questi risultati sono una conseguenza diretta dei tentativi di riscrivere la storia.
Secondo le varie stime, l'Armata Rossa ha liberato quasi il 50% del territorio degli Stati che esistono oggi in Europa, senza considerare la parte europea della Russia. Il prezzo in vite umane, pagato dalla Russia, supera di alcune volte le perdite degli alleati. Nel territorio liberato dall'Armata Rossa, oggi diviso tra 16 Stati d'Europa, vivevano, complessivamente, più di 120 milioni di persone. Altri 6 paesi sono stati liberati dai sovietici insieme agli alleati.


=== 3 ===

Vedi anche: 

30 leader mondiali confermano presenza a Mosca per celebrazioni vittoria su nazifascismo (30.04.2015)
http://it.sputniknews.com/mondo/20150430/323846.html

Lavrov: se qualcuno non viene a Mosca il 9 maggio, per noi non è un problema (28.04.2015)
http://it.sputniknews.com/politica/20150428/316260.html

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Alla parata di Mosca le sedie vuote dell’Europa

08.05.2015

Il ministro degli Esteri Gentiloni sarà presente alla deposizione dei fiori alla Statua del Milite Ignoto e all’incontro al Cremlino. Stessa scelta per il suo omologo francese Fabius. La Merkel sarà in visita a Mosca il giorno successivo alla parata.

Diplomazie internazionali imbarazzate: partecipare o non partecipare alle celebrazioni della vittoria della Russia sul nazismo nella Seconda Guerra Mondiale? Dinanzi all'insostenibilità della tesi, prevalente sino a non poco più di un mese fa, d'ignorare il ruolo politico e militare della Russia nella sconfitta del nazismo, che avrebbe aggravato la tensione che si respira nei rapporti diplomatici fra Europa e Russia, oggi le cancellerie europee più importanti, agendo a geometria variabile, senza un accordo comune, vanno a Mosca non a stringere la mano, bensì a portare un gesto di saluto, con una chiave di lettura distensiva, ma certamente non comune a tutta l'unione Europea.

L'Italia, come al solito, per non dispiacere nessuno, ha scelto la consueta via di mezzo. Il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, a margine di un convegno dell'Ispi, così si è espresso:

"L'Italia, come la Francia e altri paesi europei parteciperà" alla cerimonia di deposizione dei fiori alla Tomba del Milite Ignoto — al Giardino Alezandrovskij — e all'incontro al Cremlino domani, in occasione delle celebrazioni che si terranno a Mosca, nella giornata commemorativa del 70esimo anniversario della vittoria russa nella Seconda Guerra Mondiale, "perchè è giusto ricordare l'enorme contributo che l'allora Unione Sovietica ha dato alla liberazione dell'Europa dal nazifascismo e le milioni di vittime russe".

L'Italia, però, prosegue Gentiloni, "non parteciperà alla parata militare — che aprirà le celebrazioni — perchè è altrettanto giusto dare un segnale di distinzione rispetto a quello che è successo nell'ultimo anno con l'annessione della Crimea e con le tensioni in corso a est dell'Ucraina".

Alla parata del 9 maggio, la più grande nella storia della Russia contemporanea, a cui prenderanno parte 15 mila soldati, 200 mezzi militari e 143 tra aerei ed elicotteri sarà presente con le stesse modalità del ministro Gentiloni, anche il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius. 

Mentre la Cancelliera tedesca, Angela Merkel, effettuerà una visita ufficiale a Mosca il giorno successivo, 10 maggio. Le commemorazioni della vittoria sovietica sulle truppe hitleriane hanno portato in Russia anche il Ministro degli esteri tedesco. Ricevuto dal suo omologo Lavrov, il ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, ha reso omaggio a Volgograd, la Stalingrado di sovietica memoria, ai caduti dell'omonima battaglia che segnò le sorti del secondo conflitto mondiale, e ha espresso il cordoglio del popolo tedesco: "Chiedo perdono a nome della Germania per le incommensurabili sofferenze che i tedeschi portarono qui, in questa città e in tutta la Russia, in tutte quelle parti dell'ex Urss che oggi costituiscono l'Ucraina e la Bielorussia e in tutta l'Europa."

Alle celebrazioni nella capitale russa parteciperanno 30 capi di stato e di governo, come riferisce Dmitri Peskov, portavoce di Putin.

Tra essi spicca la presenza del presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, a conferma di un rapporto sempre più stretto fra Cina e Russia, ma anche la partecipazione di Raul Castro, presidente della Repubblica di Cuba.

Saranno presenti alla parata anche il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, il presidente della Repubblica dell'India, Pranab Mukherjee, il presidente della Repubblica di Serbia, Tomislav Nikolic e il premier greco, Alexis Tsipras.

Da parte sua, l'ex presidente dell'Urss, Mikhail Gorbaciov, condanna le assenze dei leader occidentali come un "segno di disprezzo" verso chi ha combattuto subendo forti perdite e ritiene che la scelta della Cancelliera tedesca, Angela Merkel, di andare nella capitale russa senza però assistere alla parata sia frutto delle pressioni Usa.


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Putin: cercare di riabilitare il nazismo è cinico e inammissibile

05.05.2015

Tali azioni sono amorali e estremamente pericolose

Cercare di riscrivere la storia per compiacere la congiuntura politica, di riabilitare i nazisti e i loro complici, è cinico e inammissibile, ha dichiarato Vladimir Putin nel suo messaggio di saluto, inviato ai partecipanti della prima Conferenza russo-cinese sul "Ruolo dell'URSS e della Cina nella disfatta del nazifascismo e del militarismo giapponese nella Seconda guerra mondiale".

Il messaggio del presidente è stato letto dal vice ministro degli Esteri russo Igor Morgulov.

"Per noi sono assolutamente inammissibili i tentativi di riscrivere la storia per compiacere la congiuntura politica, di riabilitare i nazisti e i loro complici. Tali azioni sono non solo amorali, ma anche estremamente pericolose, in quanto spingono il mondo verso nuovi conflitti, verso la crudeltà e la violenza", — legge il messaggio di Putin.

Il presidente della Russia si è detto convinto che la conferenza "potrà favorire l'affermazione di una visione veritiera in merito agli eventi della guerra, aiuterà a immortalare le azioni eroiche dei nostri padri e nonni, e apporterà un importante contributo all'educazione delle giovani generazioni nello spirito del patriottismo, dell'umanesimo e dell'amicizia fra i popoli".


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НАЦИЗАМ КАО ПОКРЕТАЧКА СНАГА ЕВРОАТЛАНСКИХ ИНТЕГРАЦИЈА


 

ПЕТАР ИСКЕНДЕРОВ:

Нацизам у Украјини може натерати владе суседних земаља ЕУ да се умешају у сукобе

Пораст нацизма у Европи, чији смо сведоци последњих година, као и активирање фашистичких групација и култивисање фашистичке идеологије на нивоу вођстава појединих држава, скрива иза себе дубоке узроке. Ова појава не може да се своди само на „несмотреност” западног јавног мњења и политичких елита и њихову неспособности да извлаче поуке из историје. Тежња западних граитеља Новог светског поретка да искористе савремени нацизам у својству европских интеграција (које су се већ практично слиле у евроатлантске интеграције) игра кључну улогу у овом процесу, који представља својеврсну ревизију резултата Другог светског рата и дезавуисање одлука Нирнбершког трибунала.
Ради се о тежњи да се, као прво, на подобан начин мобилише јавно мњење земаља и читавих региона под паролама евроатлантизма и русофобије, а, као друго, да се испровоцирају опоненти на одговарајућу реакцију како би са своје стране њих оптужили за дестабилизацију ситуације.
Поменути механизам први пут је испробан током деведесетих година на простору бивше Југославије. Тада је акценат стављен на националистичке и отворено фашистичке партије, покрете и организације, прво у Хрватској, потом у Босни и Херцеговини, а онда и у албанском табору на Косову и Метохији. Тим снагама је додељена улога катализатора антисрпског расположења на њиховим територијама у циљу стварања повољног сценарија за западно јавно мњење. Био је то први ниво коришћења нацизма и његових савремених носилаца. Други ниво је пуштен у погон после очекиване реакције Београда. Оваква реакција, независно од њене оправданости и конкретних пројава, проглашена је залагањем за великодржавље и покушај дестабилизације региона. То је омогућавало западној политици да се попне на трећи степен интервенције, стварајући неопходну пропагандистичку основу за оружане акције под окриљем УН (у Босни и Херцеговини) или чак и без њега (СР Југославија 1999. године). Поред тога, сличан приступ омогућио је да се развије широка обрада локалног јавног мњења, стављајући га пред дилему: или Србија… (Русија, Исток…) или Европска Унија (НАТО, западна цивилизација).

НАЦИСТИ БОРЦИ ЗА ЕВРОПСКЕ ВРЕДНОСТИ

Такав сценарио се у овом тренутку Запад реализује и у односу према Украјини. Било би наивно веровати да западни лидери, организације цивилног друштва и медији немају информације о деловању Десног сектора и других снага које су захватиле власт у Кијеву пре више од годину дана. Поготово што активност украјинских националиста представља директну претњу за опстанак и самог постојања многобројних етничких група које имају тесне везе са својим сународницима у Мађарској, Словачкој, Румунији, Грчкој и другим земљама-чланицама ЕУ. Међутим, западни сценарио захтева од ЕУ да затвори очи пред овом апсолутно очигледном опасношћу, како би искористила отворено националистичке и фашистичке снаге за максималну мобилизацију антиросијског и антируског фактора у Украјини, све под тим истим евроатлантистичким паролама. Овакав приступ предвиђа позиционирање савремених нациста у својству „бораца за демократију и европске вредности”, а њихових опонената у виду становника источне Украјине као присталица тоталитаризма, руске пете колоне и чак отворених терориста. Истовремено се апсолутно законита дејства Руске Федерације по питању пружања политичке и хуманитарне помоћи становништву Донбаса проглашавају за антиукрајинске акције и акт мешања у унутрашње послове суверене и притом демократске државе.

Сличан сценарио реализује се не само у Украјини него и на другим постсовјетским просторима. Од почетка деведесетих година вођство САД и ЕУ непрекидно жмуре пред акцијама фашистичких покрета и неонацистичких организација у прибалтичким земљама. А сваки покушај Русије да привуче пажњу светског јавног мњења и међународних организација на обнову нацизма и кршењу права рускојезичког становништва у прибалтичким земљама – квалификује се поново као руско „мешање у унутрашње послове”. Чак ни амерички конгресмен Дана Роранбахер, који је познат по доста уравнотеженој позицији, није се уздржао од сличне схеме у интервјуу који је дао руском часопису Коммерсант, позвавши Русију да се уздржи од „мешања у унутрашње послове балтичких држава”. [1]
Јасно је да је од Брисела и Вашингтона наивно очекивати да ће одустати од коришћења нацизма у својству покретачке силе и пропагандног обезбеђења евроинтеграцијских процеса у условима када идеје европских интеграција очигледно губе политичку, социјално-економску и финансијску привлачност, а у самој ЕУ се умножавају сукоби и правци унутрашњих раскола. Ипак, раст антибриселског расположења у земљама чланицама ЕУ сада приморава западне центре да почну са кориговањем својих позиција.

ЧЕШКО ДИСТАНЦИРАЊЕ

Други важан фактор је објективна способност фашистичких и неонацистичких снага да временом излазе изван контроле својих покровитеља и повереника. Чак и сада, поједини кораци власти у Кијеву почињу да изазивају забринутост у низу европских престоница. Поготово у Чешкој, која је већ затражила од украјинских власти објашњење у вези са прихватањем закона о хероизацији ОУН-УПА [2] од стране Врховне Раде, припретивши да у супротном она неће ратификовати споразум о асоцијацији Украјине са ЕУ.

Још пре самита у Риги у Праг је требало да слети украјински министар иностраних послова Климкин и објасни како стоје ствари са бандеровцима итд.”, изјавио је с тим у вези министар иностраних послова Чешке Љубомир Заоралек. [3]
Подразумева се да се од шефа ресора иностраних послова земље која је 1938. године постала жртва Минхенског договора Запада са Хитлером могла очекивати још жешћа формулација поводом догађаја у Украјини, поготово поводом одлука власти у Кијеву да изједначе Хитлерову Немачку са СССР. Ево како је то, на пример, описао шеф израелског Визентал центра Ефраим Зуроф: „Одлука да се забране нацизам и комунизам представља изједначавање најстрашнијег режима геноцида у историји људског рода са режимом који је ослободио Аушвиц и помогао да се оконча режим страха Трећег рајха”. [4]
Чак и у западним медијима већ се могу срести објективне оцене. Тако шведски часопис Aftonbladet подсећа да се „руководству и народу Совјетског Савеза не може порећи једно – жеља да се разбије Хитлеров режим… Ради тога је Црвена армија морала истерати Немце из окупираних земаља. Руси су чак морали освојити и саму Немачку. У том смислу Црвена армија се заиста реално борила за ослобођење источне Европе од фашизма”… [5]
Било како било, даље харање нацизма у Украјини прети да породи оружане сукобе не само на истоку него и на западу земље. А то са своје стране може натерати владе суседних земаља ЕУ да се умешају у сукобе. Наравно, под условом да су интереси сународника за њих важнији од наставка геополитичког играња са савременим нацистима у име евроантлантизма.
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Упутнице:
[1] Коммерсантъ, 27.04.2015
[2] ОУН-УПА – Украјинска устаничка армија и Организација украјинских националиста – две пронацистичке организације у Украјини из периода Другог светског рата (примедба преводиоца).
[3] http://www.fondsk.ru/news/2015/04/28/chehia-trebuet-razjasnenij-ot-ukrainy-po-povodu-zakona-o-geroizacii-oun-upa-33012.html
[4] The Jerusalem Post, 14.04.2015
[5] http://inosmi.ru/world/20150428/227758531.html#ixzz3Yg4ALiTZ






Cronache calcistiche... in Jugoslavia

1) 4 Maggio 1980: “La partita è sospesa, il compagno Tito è morto” (C. Perigli)
2) Come uccisero il Brasile d’Europa (parte 1 – C. Perigli)



=== 1 ===

Sulle manifestazioni di cordoglio per la morte di Tito, il 4 maggio 1980, si veda anche la nostra pagina dedicata:

VIDEO: Hajduk - Zvezda Druže tito Mi Ti Se Kunemo
https://www.youtube.com/watch?v=gyG7CzJbFHI

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http://popoffquotidiano.it/2015/05/04/la-partita-e-sospesa-il-compagno-tito-e-morto/

“La partita è sospesa, il compagno Tito è morto”

Carlo Perigli 
4 maggio 2015

La tensione agonistica venne spazzata via dalla disperazione, mentre la rivalità e la paura dei disordini lasciarono il posto ad un unico coro, intonato da tutto lo stadio

È il pomeriggio del 4 maggio 1980, al Pojiud di Spalato va di scena una delle partite più importanti della Prva Liga. I padroni di casa dell’Hajduk stanno affrontando la Stella Rossa di Belgrado, una sfida particolarmente sentita da più punti di vista. I croati, campioni in carica, dopo una stagione altalenante cercano di qualificarsi per la Coppa Uefa, mentre i serbi inseguono lo scudetto dopo due anni di diugono. Croati contro serbi, all’epoca importava meno, a preoccupare più che altro è la Torcida, il gruppo ultras dell’Hajduk. È una delle prime realtà organizzate d’Europa, all’epoca l’unica dei Balcani, e già dagli anni ’50 si è resa protagonista di numerosi scontri in tutta la Jugoslavia, subendo a più riprese la repressione del governo. Ora, di fronte all’Hajduk c’è la Stella Rossa, tradizionalmente la squadra del Ministero degli Interni, della polizia e  c’è il timore che possano ripetersi gli scontri che, solamente due anni prima, avevano caratterizzato l’incontro casalingo con il Partizan.

Fin da subito, la partita è particolarmente sentita e tesa. In campo si combatte senza esclusione di colpi, sugli spalti i tifosi ce la mettono tutta, mentre buona parte del Paese segue la partita tramite la tv nazionale jugoslava. Al 41’ minuto però, il pallone smette di rotolare e lo spettacolo agonistico si interrompe bruscamente. Tre uomini entrano in campo, indicando all’arbitro di sospendere la partita: c’è un annuncio da fare. I giocatori si avvicinano rapidamente, mentre sugli spalti regna il silenzio. Il presidente dell’Hajduk prende il microfono e rende pubblica la notizia che tutti aspettano da tempo, ma che nessuno avrebbe voluto sentire: «il compagno Tito è morto».

Sguardi allibiti, i giocatori in campo rimangono con lo sguardo fisso nel vuoto e le mani nei capelli. Molti piangono, altri, come la bandiera dell’Hajduk Zlatko Vujovic, non reggono la pressione e si accasciano sul terreno. Viene proclamato un minuto di silenzio, costantemente “interrotto” dalle lacrime dei presenti. Piangono i tifosi sugli spalti, tanto i serbi quanto i croati, piangono i fotografi e gli addetti al campo. Anche l’arbitro, il bosniaco Muharemagic, non riesce a dissimulare una disperazione che coinvolge tutti i 35mila presenti. La rivalità, gli attriti, la paura dei disordini, tutto lascia il passo ad un’unica voce, che in pochi attimi coinvolge tutto lo stadio. Torcida e tifosi della Stella Rossa, spalatini e belgradesi, ortodossi e cattolici, tutti abbracciati dalla stessa canzone. «Druze Tito mi ti se kunemo, da sa tvoga puta ne skrenemo».


=== 2 ===

http://popoffquotidiano.it/2015/04/28/come-uccisero-il-brasile-deuropa-parte-1/

Come uccisero il Brasile d’Europa (parte 1)

Carlo Perigli 
28 aprile 2015

Ascesa e scomparsa di una delle Nazionali di calcio più spettacolari di tutti i tempi. La Jugoslavia era pronta a vincere tutto, finchè la politica non entrò a gamba tesa

Sguardi persi nel vuoto, molti piangono, qualcuno addirittura per il nervosismo rigetta la cena. É la sera del 1 giugno 1992, il Brasile d’Europa è stato appena ucciso da un fax proveniente da Berna. Brasile d’Europa, così veniva chiamata la Nazionale di calcio jugoslava verso la fine degli anni ’80, per via di quello straordinario catalogo di estro e fantasia con cui quella generazione faceva sognare un Paese intero, da Lubiana a Skopje.

Quel fax parte dalla sede dell’Uefa e arriva a Stoccolma, dove la Jugoslavia è in ritiro a otto giorni dall’inizio dei campionati europei di Svezia. C’è scritto che, in osservanza della Risoluzione 757 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la Jugoslavia non potrà essere accettata in alcuna competizione sportiva. È solamente il colpo di grazia al calcio jugoslavo, già duramente segnato da guerre e secessioni. In Svezia finisce una storia iniziata in tutt’altro modo, a cinque anni e migliaia di chilometri di distanza. Termina in lacrime ciò che nel 1987 era iniziato con i caroselli a Santiago de Chile, quando un gruppo di ragazzini terribili aveva inaspettatamente dominato e vinto il Mondiale Under 20.

Un vero e proprio fulmine a ciel sereno, tanto che nessuno credeva veramente in quella competizione. Sicuramente non la Federazione, che aveva deciso di risparmiare elementi di spicco come Boksic, Mihajlovic, Jugovic e Djordjevic, capitano della selezione. Tantomeno la stampa jugoslava, considerato che l’unico giornalista inviato in Cile, Torna Mihajlovic, lavorava per una rivista non sportiva, il settimanale “Arena”, ed era lì più che altro per preparare un reportage sulla comunità serba. Ciò che l’omonimo di Sinisa, come molti altri, non sapeva, è che la fascia da capitano Djordjevic l’aveva lasciata al diciottenne Robert Prosinecki, piede vellutato e temperamento da pub, che dì lì a poco sarebbe stato premiato come miglior giocatore della competizione, mentre Davor Suker arrivava secondo nella classifica marcatori.

La Jugoslavia si riscopre terreno fertile di campioni, si punta ad Italia ’90, questa selezione può eguagliare le gesta – per quanto in ultimo sfortunate – della Nazionale guidata da Dragan Dzajic negli anni ’60. A differenza di quegli anni però, sul Paese iniziano a spirare venti di guerra. Partono da lontano, la crisi economica pervade i Balcani, i diktat del Fondo Monetario internazionale preparano il terreno per una sorta di nazionalismo economico, che presto invaderà anche la scena politica. Il resto verrà da se.

(segue..)




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2 Maggio 2014-2015: ODESSA, POGROM EUROPEISTA
 
1) INIZIATIVE nel primo Anniversario: Milano, Bologna, Torino, Roma, Sarnano (AP)...
2) LINK. Video e documenti sul pogrom del 2 maggio 2015
3) ODESSA OGGI. Repressione e lotta antifascista  in clandestinità
4) DOCUMENTO ESCLUSIVO: la testimonianza diretta di un aguzzino


Terrorismo vero e proprio

1) La «guerra mondiale contro il terrorismo» ha ucciso almeno 1,3 milioni di civili
2) Le guerre dell’Occidente hanno ucciso quattro milioni di musulmani dal 1990 ad oggi 


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ORIG.: La « guerre mondiale contre le terrorisme » a tué au moins 1,3 million de civils
par Marc De Miramon, vendredi, 24 avril, 2015



La «guerra mondiale contro il terrorismo» ha ucciso almeno 1,3 milioni di civili


La «guerra mondiale contro il terrorismo» ha ucciso almeno 1,3 milioni di civili. Traduciamo un articolo dal sito del quotidiano comunista francese L’Humanité . Nell’articolo si lamenta giustamente che l’informazione francofona ha ignorato questi dati impressionanti. Si può dire lo stesso per quella italiana. 

Un rapporto pubblicato da un gruppo di medici insigniti del premio Nobel della pace rivela che quasi un milione di civili iracheni, 220.000 Afgani e 80.000 Pachistani sono morti, nel nome della battaglia condotta dall’Occidente contro «il terrore». 

 «Io credo che la percezione causata dalle perdite civili costituisca uno dei più pericolosi nemici con cui ci siamo confrontati», dichiarava nel giugno 2009 il generale statunitense Stanley McCrystal, durante il suo discorso inaugurale come comandate della Forza internazionale d’assistenza e sicurezza in Afghanistan (ISAF). Questa frase, messa in esergo al rapporto appena pubblicato dalla «Associazione internazionale dei medici per la prevenzione dalla guerra nucleare (IP-PNW), insignita del premio Nobel per la pace nel 1985, mostra l’importanza e l’impatto potenziale del lavoro effettuato da questa equipe di scienziati che tenta di stabilire un conto delle vittime civili della «guerra contro il terrorismo» in Iraq, in Afghanistan e in Pakistan.

 «I fatti sono cocciuti» 

 Per introdurre questo lavoro globalmente ignorato dai media francofoni, l’ex-coordinatore umanitario per l’ONU in Irak Hans von Sponeck scrive: «Le forze multinazionali dirette dagli Stati Uniti in Iraq, l’ISAF in Afghanistan (…) hanno metodicamente tenuto i conti delle proprie perdite. (…). Quelli che riguardano i combattenti nemici e i civili sono (al contrario) ufficialmente ignorati. Questo, certamente, non costituisce una sorpresa. Si tratta di un’omissione deliberata.» Contare questi morti avrebbe «distrutto gli argomenti secondo i quali la liberazione di un dittatore in Iraq per mezzo della forza militare, il fatto di cacciare Al Qaida dall’Afghanistan o di eliminare reparti terroristi nelle zone tribali del Pakistan, hanno permesso di impedire che il terrorismo attentasse al suolo statunitense, di migliorare la sicurezza globale, e permesso ai diritti umani di avanzare, il tutto con dei costi “difendibili”».

Ciononostante, «i fatti sono testardi», continua. «I governi e la società civile sanno che tutte queste frasi sono assurdamente false. Le battaglie militari sono state vinte in Iraq e in Afhanistan ma a dei costi enormi per la sicurezza degli uomini e la fiducia tra le nazioni.» Certo, la responsabilità dei morti civili incombe ugualmente sugli «squadroni della morte» e sul «settarismo» che portava i germi dell’attuale guerra sciito-sunnita, sottolinea l’ex segretario della Difesa Donald Rumsfeld nelle sue memorie («Know and Unknown», Penguin Books, 2011). Ma come ricorda il dottor Robert Gould (del Centro medico dell’università della California), uno degli autori del rapporto, «la volontà dei governi di nascondere il quadro completo degli interventi militari e delle guerra non ha nulla di nuovo. Riguarda gli Stati Uniti, la storia della guerra in Vietnam è emblematica. Il costo immenso per l’insieme dell’Asia del Sud-Est, che include la morte stimata di almeno 2 milioni di Vietnamiti non combattenti, e l’impatto a lungo termine sulla salute e l’ambiente degli erbicidi come l’agente arancio, non sono ancora pienamente riconosciuti dalla maggioranza del popolo americano». E Robert Gould stabilisce un altro parallelismo tra la crudeltà dei Khmer rossi, che emergono da una Cambogia devastata dai bombardanti, e la recente destabilizzazione «post-guerra» dell’Iraq e i suoi vicini, che ha reso possibile la crescita di forza del gruppo terroristico detto «Stato islamico».

 TOTALE STIMATO A 3 MILIONI

 Assai lontano dalle cifre fino a ora ammesse, come le 110000 morti ricordate da uno dei riferimenti in materia, l’«Iraq Body Count» (IBC) che include in un database i morti civili confermati da almeno due fonti giornalistiche, il rapporto conferma la tendenza stabilita dalla rivista medica «Lancet» la quale ha stimato il numero dei morti iracheni a 655.000 tra il 2003 e il 2006. Dopo lo scatenamento della guerra da parte di George W. Bush, lo studio del IPPN  ha condotto alla cifra vertiginosa di 1 milione di morti civili in Iraq, 220.000 in Afghanistan e 80.000 in Pakistan. Se si aggiunge, per ciò che riguarda l’antica Mesopotamia, il bilancio della prima guerra del Golfo (200.000 morti) e quello del crudele embargo inflitto dagli Stati Uniti (tra i 500.000 e 1,7 milioni di morti), sono circa 3 milioni di morti che sono direttamente imputabili alle politiche occidentali, il tutto in nome dei diritti dell’uomo e della democrazia.

In conclusione al rapporto, gli autori citano il relatore speciale delle Nazioni Unite dal 2004 al 2010 sulle esecuzioni extragiudiziarie, sommarie o arbitrali: secondo Philip Alston, che si esprimeva nell’ottobre 2009, le indagini sulla realtà degli attacchi dei droni erano quasi impossibili da condurre, a causa dell’assenza totale di trasparenza e il rifiuto delle autorità statunitensi di cooperare. Poi, aggiungeva, dopo aver insistito sul carattere illegale in rapporto al diritto internazionale di questi omicidi mirati, che «la posizione degli Stati Uniti era insostenibile». Tre settimane più tardi, Barack Obama riceveva il premio Nobel alla pace…

DURANTE QUESTO TEMPO, IN IRAQ, IN AFGHANISTAN, IN PAKISTAN … Il 20 aprile scorso, la «coalizione antidjihadista» diretta dagli Stati Uniti indicava in un comunicato di aver condotto in 24 ore 36 raids aerei contro le posizioni del gruppo «Stato islamico», di cui 13 nella provicincia di Al-Anbar, a ovest di Bagdad. Quanti sono i «danni collaterali» civili in questa regione, una delle più colpite dalle violenze dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003? I comunicati militari restano sistematicamente muti su questa questione, quando più di 3200 «azioni» aeree, secondo la neolingua moderna, sono stati effettuate dal mese di agosto 2014 e la presa di Mossoul da parte dello «Stato islamico». Il 18 aprile, è un attentato suicida, «tecnica» di combattimento sconosciuta in Afghanistam prima del 11 settembre 2001, a fare 33 morti presso le frontiere pachistane. Alla fine del mese di marzo, le forze di sicurezza pachistane menzionavano 13 «jihadisti» legati ai talebani uccisi durante un attacco di droni statunitensi. Quasi 10.000 soldati americani sono ancora di stanza in Afghanistan.

traduzione di Stefano Acerbo


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ORIG.: Unworthy victims: Western wars have killed four million Muslims since 1990
by Nafeez Ahmed – Wednesday 8 April 2015

SEE THE REPORT: Body count (Physicians for Social Responsability, March 2015)
Casualty figures after 10 years of the "War on Terror": Iraq, Afghanistan, Pakistan
http://www.psr.org/assets/pdfs/body-count.pdf

https://drive.google.com/file/d/0BweZqygiAb5POWh2dVlzU1F4SFk/view?pli=1

LE GUERRE DELL’OCCIDENTE HANNO UCCISO QUATTRO MILIONI DI MUSULMANI DAL 1990 AD OGGI 

di Nafeez Massadeq Ahmed 
Fonte: www.middleeasteye.net 
all'indirizzo www.middleeasteye.net/columns/unworthy-victims-western-wars-have-killed-four-million-muslims-1990-39149394 dove c'è il testo originale in inglese con numerose note bibliografiche. 

Il mese scorso la PSR (Physicians for Social Responsibility) di Washington ha pubblicato uno studio secondo il quale dieci anni di guerra al terrore dal 9/11 ad oggi sono costati la vita a circa 1,3 milioni di persone, forse anche 2 milioni. Il rapporto di 97 pagine del gruppo di medici premi Nobel per la Pace è il primo che cerca di calcolare il numero delle vittime civili degli interventi statunitensi in Iraq, Afghanistan e Pakistan nel quadro delle operazioni contro il terrorismo. 
Il rapporto PSR è stato realizzato da un team interdisciplinare di esperti in salute pubblica, tra cui il dr. Robert Gould, direttore del Centro Medico di educazione e ricerca medica dell’Università della California, e il prof. Tim Takaro della Facoltà di Scienze Mediche della Simon Fraser University. Eppure, è stato praticamente oscurato dai canali anglofoni d’informazione, nonostante sia stato il primo sforzo di un’organizzazione internazionale di medici della sanità pubblica nel produrre un calcolo scientificamente provato del numero delle persone uccise nella guerra al Terrore condotta da USA e UK. 

Attenti allo scarto fra cifre ufficiali e cifre reali 

Il dr. Hans von Sponeck, ex vice segretario generale delle Nazioni Unite, descrive il rapporto PSR come un contributo importante nel coprire il divario che esiste tra il numero reale delle vittime civili della guerra in Iraq, Afganistan e Pakistan e le cifre fittizie, manipolate e talvolta anche fraudolente che vengono fatte circolare. Il rapporto fa una revisione critica delle stime precedenti delle vittime civili della guerra al terrore ed esprime una forte critica della cifra più citata dai maggiori canali d’informazione, come il IBC (Iraq-Body-Count/Conta dei morti in Iraq) di 110.000 persone decedute. Si tratta di una cifra desunta mettendo insieme le varie notizie di stampa sulle uccisioni di civili; tuttavia il rapporto PSR individua gravi lacune e problemi di metodo in tale approccio. Ad esempio, a Najaf sono stati seppelliti 40.000 corpi fin dall’inizio della Guerra: l’IBC registra solo 1.354 morti nello stesso periodo. E un esempio che mostra chiaramente quale sia il divario tra le cifre dell’IBC e quelle reali in questo caso specifico di un fattore 1:30. 
Divari di questo genere pullulano nel database di IBC. In un altro caso, IBC registrava solo tre attacchi aerei nel 2005, quando invece il numero reale degli attacchi aerei era salito a 120 in quell’anno. Ancora una volta un divario, e questa volta di un fattore 1:40. Secondo lo studio PSR, il tanto contestato rapporto Lancet che ha stimato 655.000 morti iracheni fino al 2006 (e oltre un milione fino ad oggi per estrapolazione) era probabilmente molto più accurato dei dati forniti da IBC. Infatti, il rapporto PSR confermava un consenso virtuale tra epidemiologi sull’affidabilità dello studio Lancet. Nonostante le critiche siano legittime, la metodologia statistica applicata segue lo standard universalmente accettato per determinare le morti nelle zone di conflitto utilizzato dalle agenzie internazionali e dai governi. 

Negazione politicizzata 

Il PSR ha anche rivisto la metodologia di altri studi che indicavano cifre più basse, come il documento pubblicato dal New England Journal of Medicine, che mostrava diversi gravi limiti. Il documento ignorava le aree colpite da maggiore violenza, come Baghdad, Anbar e Ninive, basandosi su dati inesatti di IBC ed estrapolando quelli di queste aree. Inoltre, indicava restrizioni politicamente motivate nella raccolta e nell’analisi dei dati: le interviste erano state condotte dal Ministero della Salute Iracheno, che era completamente dipendente dal nuovo potere occupante" e si era rifiutato di fornire i dati esatti dei morti iracheni su sollecitazione degli Stati Uniti. 
In particolare, il PSR ha analizzato le rivendicazioni fatte da Michael Spaget, John Sloboda ed altri a fronte dell’accusa di potenziale fraudolenza dei metodi di raccolta dei dati utilizzati dallo studio. Tali rivendicazioni sono risultate del tutto inconsistenti. Le poche critiche giustificate, conclude il rapporto PSR, non discutono i risultati dello studio Lancet nel loro insieme. Queste cifre rappresentano ancora i dati più veritieri attualmente disponibili. I risultati del Lancet sono anche confermati dai dati di un nuovo studio di PLOS Medicine, che indica 500.000 morti civili nella guerra. In generale, PSR conclude che il numero più vicino alla realtà dei civili morti in Iraq dal 2003 a oggi è di circa 1 milione. A questi, lo studio PSR aggiunge circa 220.000 in Afganistan e 80.000 in Pakistan, uccisi direttamente o indirettamente nella Guerra al Terrore condotta dagli USA: una cifra prudente sarebbe 1,3 milioni di persone, ma la cifra reale potrebbe anche raggiungere i 2 milioni. 
Tuttavia, anche lo studio PSR presenta dei limiti. In primo luogo, la guerra al terrore lanciata dopo il 9/11 non era una cosa nuova, ma l’estensione di politiche interventiste precedenti sia in Iraq sia in Afganistan. In secondo luogo, il numero piuttosto contenuto delle vittime civili afgane mostrato dal PSR, indica che questo ha probabilmente sottovalutato il prezzo umano degli scontri in Afganistan. 

Iraq 

La guerra in Iraq non è iniziata nel 2003, ma nel 1991 con la prima Guerra del Golfo, seguita poi dal regime sanzionatorio delle Nazioni Unite. Un precedente rapporto di Beth Daponte, allora demografa dell’ufficio censimenti del governo americano, mostrava che le morti irachene causate direttamente e indirettamente dall’impatto della prima Guerra del Golfo, fossero intorno alle 200,000, di cui la maggior parte civili. Nel frattempo, quel suo studio fu fatto sparire dalla circolazione. 
Dopo che le forze guidate dagli Stati Uniti si ritirarono, la guerra in Iraq proseguì in ogni caso sul fronte economico, con il regime di sanzioni imposte dalle N.U. su sollecitazione di USA e U.K., con il pretesto di dover negare a Saddam Hussein i beni e le materie prime necessarie per poter costruire armi di distruzione di massa. Molti prodotti inclusi nella lista delle materie negate comprendevano anche beni di prima necessità di uso quotidiano. Cifre fornite dalle Nazioni Unite hanno mostrato che 1,7 milioni di civili iracheni sono morti come conseguenza del regime sanzionatorio importo dall’Occidente, e metà di questi erano bambini. Queste eliminazioni di massa appaiono come intenzionali. Tra i prodotti inclusi nella lista delle sanzioni delle N.U. c’erano prodotti chimici e attrezzature essenziali per la depurazione delle risorse idriche nazionali. Un documento segreto dell’agenzia d’intelligence del Ministero della Difesa statunitense, scoperto dal prof. Thomas Nagy della School of Business della George Washington University, indicava chiaramente le intenzioni di genocidio del popolo iracheno. 
In un suo documento per l’Associazione degli Studiosi di Genocidi della University of Manitoba, il prof. Nagi spiegava che il documento DIA conteneva dettagli minuziosi di un metodo praticamente infallibile per far degradare il sistema idrico di un’intera nazione nel giro di una decina di anni. La politica sanzionatoria avrebbe creato le condizioni per la diffusione delle malattie, comprese vere e proprie epidemie su vasta scala, causando di conseguenza l’eliminazione di una vasta porzione della popolazione Irachena. Questo significa che solo in Iraq, la guerra condotta dagli USA dal 1991 al 2003 ha ucciso 1,9 milioni di iracheni; poi, dal 2003 ad oggi, un altro milione circa. In totale, circa 3 milioni di iracheni morti nel giro di due decenni. 

Afganistan 

In Afganistan, la stima del rapporto PSR delle morti totali potrebbe anche essere molto prudente. 
Sei mesi dopo la campagna di bombardamenti successiva al 2001, il giornalista del Guardian Jonathan Steele rivelò che rimasero uccisi un numero tra i 1.300 e gli 8.000 afgani, ed altri 50.000 morirono come conseguenza indiretta della guerra. Nel suo libro La conta dei morti: la mortalità che si sarebbe potuta evitare nel mondo dal 1950 ad oggi (Body count: global avoidable mortality since 1950) del 2007, il prof. Gideon Polya applicò la stessa metodologia utilizzata dal Guardian per i dati della Divisione Demografica delle Nazioni Unite sulla mortalità annuale per calcolare cifre plausibili delle morti in eccesso/evitabili. Biochimico in pensione della La Trobe University di Melbourne, Polya concluse che il totale delle uccisioni evitabili in Afganistan dal 2001 causate dalle privazioni imposte, ammontavano a circa 3 milioni di persone, di cui 900.000 bambini sotto i cinque anni. Benché i risultati del prof. Polya non siano stati pubblicati in giornali accademici, il suo studio del 2007 Body Count è stato raccomandato dalla sociologa prof. Jacqueline Carrigan della California State University e definito un profilo ad alto contenuto di dati sulla situazione della mortalità infantile nel mondo, in una rivista pubblicata dal Routledge journal - Socialism and Democracy. 
Come per l’Iraq, in Afganistan gli interventi statunitensi sono iniziati molto prima del 9/11, sotto forma di sostegno militare, logistico e finanziario segreto ai Talebani dal 1992 in poi. Questo supporto da parte degli Stati Uniti ha dato un forte impulso alla belligeranza talebana consentendogli di conquistare il 90% del territorio afgano. In un rapporto del 2001 della National Academy of Sciences su migrazioni forzate e mortalità, l’illustre epidemiologo Steven Hansch, direttore di Relief International, osservò che la mortalità evitabile totale in Afganistan causata dagli impatti indiretti della guerra nel corso degli anni ‘90 potrebbe attestarsi ovunque tra i 200.000 e i 2 milioni di morti. 
Anche l’Unione Sovietica, naturalmente, ne fu responsabile, per il suo ruolo nella distruzione intenzionale delle infrastrutture civili afgane, causando indirettamente moltissime morti. Tutto questo suggerisce che, nel complesso, il numero totale di morti afgane conseguenza diretta e indiretta dell’intervento statunitense nel paese a partire dai primi anni ‘90 fino ad oggi, potrebbe raggiungere i 3,5 milioni. 

Per concludere 

Secondo i dati qui considerati, il numero totale di gente morta a causa degli interventi militari degli Stati Uniti in Iraq e in Afganistan dal 1990 sia per uccisione diretta o per le conseguenze a lungo termine delle privazioni imposte si aggira intorno ai 4 milioni (2 milioni in Iraq dal 1991 al 2003, più 2 milioni nella guerra al terrore) e potrebbe anche raggiungere i 6/8 milioni contabilizzando anche le stime superiori delle morti evitabili in Afganistan. Sono cifre che probabilmente superano la realtà, ma questo non lo sapremo mai con certezza. Le forze armate degli Stati Uniti e del Regno Unito, per una questione di politica, si rifiutano di tenere traccia del numero di vittime civili nelle operazioni militari, considerate solo degli inconvenienti irrilevanti. 
A causa della grave mancanza di dati certi in Iraq, della quasi totale assenza di informazioni per l'Afganistan e dell’indifferenza dei governi occidentali riguardo alle morti civili, è letteralmente impossibile determinare la reale portata delle perdite di vite umane. In assenza anche della possibilità di conferme certe, queste cifre forniscono stime plausibili sulla base di metodologie statistiche standard, in mancanza di prove certe disponibili. Pur non fornendo un dato preciso, danno una chiara indicazione della portata della distruzione in queste aree. 
Gran parte di queste morti viene giustificata nel contesto della lotta contro la tirannia e il terrorismo. Tuttavia, a causa del silenzio dei maggiori mezzi d’informazione, la maggior parte delle persone non ha idea della reale portata distruttiva della guerra al terrore protratta negli anni da USA e UK in Iraq e Afganistan.