Informazione


Sabato 21 febbraio2015   ore  21:00

CIRCOLO ARCI CLAUDIO ZILLERI 
Via della Viccinella, 4 
Capranica (VT)

PIETRO BENEDETTI

in

DRUG
GOJKO

REGIA DI

ELENA MOZZETTA


TRATTO DAI RACCONTI 
DEL PARTIGIANO NELLO MARIGNOLI
IDEATO DA GIULIANO CALLISTI E SILVIO ANTONINI
TESTI TEATRALI - PIETRO BENEDETTI
CONSULENZA LETTERARIA - ANTONELLO RICCI
MUSICHE - BEVANO QUARTET E FIORE BENIGNI
FOTO - DANIELE VITA
UN RINGRAZIAMENTO PARTICOLARE A NELLO MARIGNOLI



Drug Gojko (Compagno Gojko) narra, sottoforma di monologo, le vicende di Nello Marignoli, classe 1923, gommista viterbese, radiotelegrafista della Marina militare italiana sul fronte greco - albanese e, a seguito dell’8 settembre 1943, Combattente partigiano nell’Esercito popolare di liberazione jugoslavo. Lo spettacolo, che si avvale della testimonianza diretta di Marignoli, riguarda la storia locale, nazionale ed europea assieme, nel dramma individuale e collettivo della Seconda guerra mondiale. Una storia militare, civile e sociale, riassunta nei trascorsi di un artigiano, vulcanizzatore, del Novecento, rievocati con un innato stile narrativo, emozionante quanto privo di retorica.


«QUELLO CHE DICO, DICO POCO»
Note di Antonello Ricci sullo spettacolo Drug Gojko di Pietro Benedetti

L’inizio è sul dragamine Rovigno: una croce uncinata issata al posto del tricolore. Il finale è l’abbraccio tra madre e figlio, finalmente ritrovati, nella città in macerie.
Così vuole l’epos popolare. Così dispiega la sua odissea di guerra un bravo narratore: secondo il più convenzionale degli schemi, in ordine cronologico.
Ma mulinelli si aprono, di continuo, nel flusso del racconto. Rompono la superficie dello schema complessivo, lo increspano, lo fanno singhiozzare magari fino a contraddirlo: parentesi, divagazioni, digressioni, precisazioni, correzioni, rettifiche, commenti, esempi, sentenze, morali.
Così, proprio così Nello racconta il suo racconto di guerra. Nello Marignoli da Viterbo: gommista in tempo di pace; in guerra, invece, prima soldato della Regia Marina italica e poi radiotelegrafista nella resistenza jugoslava.
Nello è narratore di straordinaria intensità. Tesse trame per dettagli e per figure, una dopo l’altra, una più bella dell’altra: la ricezione in cuffia, l’8 settembre, dell’armistizio; il disprezzo tedesco di fronte al tricolore ammainato; l’idea di segare nottetempo le catene al dragamine e tentare la fuga in mare aperto; il barbiere nel campo di prigionia: «un ometto insignificante» che si rivela ufficiale della Decima Brigata Herzegovaska; le piastrine degli italiani trucidati dai nazisti: poveri figli col cranio sfondato e quelle misere giacchette a -20°; il cadavere del soldato tedesco con la foto di sua moglie stretta nel pugno; lo zoccolo pietoso del cavallo che risparmia i corpi senza vita sul sentiero; il lasciapassare partigiano e la picara«locomotiva umana», tutta muscoli e nervi e barba lunga, che percorre a piedi l’Italia, da Trieste a Viterbo; la stella rossa sul berretto che indispettisce i camion anglo-americani e non li fa fermare; la visione infine, terribile, assoluta, della città in macerie.
Ma soprattutto un’idea ferma: la certezza che le parole non ce la faranno a tener dietro, ad accogliere e contenere, a garantire forma compiuta e un senso permanente all’immane sciagura scampata dal superstite (e testimone). «Quello che dico, dico poco».
Da qui riparte Pietro Benedetti col suo spettacolo Drug Gojko. Da questa soglia affacciata su ciò che non si potrà ridire. Da un atto di fedeltà incondizionata al raffinato artigianato del ricordo ad alta voce di Nello Marignoli. Il racconto di Nello è ripreso da Pietro pressoché alla lettera, con tutti gli stigmi e i protocolli peculiari di una oralità “genuina” e filologica, formulaica e improvvisata al tempo stesso. Pausa per pausa, tono per tono, espressione per espressione. Pietro stila il proprio copione con puntiglio notarile, stillandolo dalla viva voce di Nello.
Questa la scommessa (che è anche ipotesi critica) di Benedetti: ricondurre i modi di un canovaccio popolare entro il canone del copione recitato, serbando però, al massimo grado, fisicità verace del narrare e verità delle sue forme.
Anche per questo la scena è scarna. Così da rendere presente e tangibile il doppio piano temporale su cui racconto e spettacolo si fondano (quello dei fatti e quello dei ricordi): sul fondo un manifesto antipartigiano firmato Casa Pound, che accoglie al suo ingresso Nello-Pietro in tuta da lavoro; sulla sinistra un pneumatico da TIR in riparazione; al centro il bussolotto della ricetrasmittente.
Andiamo a cominciare.

Sulla testimonianza di Nello Marignoli, partigiano italiano in Jugoslavia, si vedano anche:
* il libro "Diario di guerra" (Com. prov. ANPI, Viterbo 2004)
* il documentario-intervista "Mio fratello Gojko" (di Giuliano Calisti e Francesco Giuliani - DVD_60’_italia_2007) 

Lo spettacolo è ora anche un libro per i tipi di Davide Ghaleb Editore





Gli errori si pagano, i crimini anche

1) Manlio Dinucci – Gli incendiari gridano al fuoco 
2) Marinella Correggia – Libia 2011: troppi ignavi, silenziosi o consenzienti mentre la Nato apriva la strada ai nazi-califfi
3) Vincenzo Brandi – Ministro Gentiloni: senza vergogna
4) Diego A. Bertozzi – A Tripoli, a Tripoli ! 


Vedi anche:

A grande richiesta, proiettiamo per chi non le avesse mai viste e per chi se l'è dimenticate, a imperitura memoria, le immagini dell'assalto all'ambasciata libica di Roma. Pregasi notare come le bandiere di Re Idris si confondono con quelle di noti partiti sedicenti comunisti italiani. Il filmato si conclude con il rogo del vessillo della Jahamairyya al grido di Allah etc. Applausi. (Dal profilo FB di Serena M Nusdorfer)
ASSALTO ALL'AMBASCIATA LIBICA A ROMA (Libera.Tv, 23 feb 2011)

«IL MEDITERRANEO SARÀ INVASO» (intervista a cura di Laurent Valdiguié, 7 marzo 2011)
Gheddafi da Tripoli: «La scelta è tra me o Al Qaeda. L'Europa tornerà ai tempi del Barbarossa»

GHEDDAFI, NAPOLITANO: «ADESSO UN PAESE LIBERO» (20/10/2011)
VIDEO: http://video.sky.it/news/politica/gheddafi_napolitano_adesso_un_paese_libero/v100206.vid
I PADRI DEL DISASTRO LIBIA E L’INCIAMPO NAPOLITANO (di Michele Marsonet, 16 febbraio 2015)
Napolitano senatore analizza errori sull'Ucraina. Da Presidente i suoi errori sulla Libia visti dallo studioso

PRODI: «DA TRIPOLI A KIEV QUESTA EUROPA È ASSENTE SU TUTTO» (di Marco Ballico - Il Piccolo, 14 febbraio 2015)
http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2015/02/14/news/prodi-da-tripoli-a-kiev-questa-europa-e-assente-su-tutto-1.10862941


=== 1 ===

L’arte della guerra

Gli incendiari gridano al fuoco 
 
Manlio Dinucci 


La guerra che divampa in Libia miete sempre più vittime non solo sulla terra ma sul mare:.molti dei disperati, che tentano la traversata del Mediterraneo, annegano. «Da sotto il mare ci chiedono dove sia finita la nostra umanità», scrive Pier Luigi Bersani. Dovrebbe anzitutto chiedersi dove sia finita la sua umanità, e con essa la sua capacità etica e politica,, quando, il 18 marzo 2011 alla vigilia della guerra Usa/Nato contro la Libia, in veste di segretario del Pd, esclamava «alla buon’ora» , sottolineando che «l’articolo 11 della Costituzione ripudia la guerra, non l’uso della forza per ragioni di giustizia». 

Enrico Letta, che con Bersani si appella ora al senso umanitario , dovrebbe ricordarsi quando il 25 marzo 2011, in veste di vicesegretario del Pd, dichiarava «Guerrafondaio è chi è contro l'intervento internazionale in Libia e non certo noi che siamo costruttori di pace».,. 

Una «sinistra» che nascondeva le vere ragioni – economiche, politiche e strategiche – della guerra, sostenendo per bocca di Massimo D’Alema (già esperto di «guerra umanitaria» in Jugoslavia)  che «in Libia la guerra c’era già, condotta da Gheddafi contro il popolo insorto, un massacro che doveva essere fermato» (22 marzo 2011). 

Sostanzialmente sulla stessa linea perfino il segretario del Prc Paolo Ferrero che, il 24 febbraio 2011 a guerra iniziata, accusava Berlusconi di aver messo «giorni per condannare le violenze di Gheddafi», sostenendo che si doveva «smontare il più in fretta possibile il regime libico». Lo stesso giorno, giovani «comunisti» del Prc, insieme a «democratici» del Pd, assaltavano a Roma l’ambasciata di Tripoli, bruciando la bandiera della repubblica libica e issando quella di re Idris (la stessa che sventola oggi a Sirte occupata dai jihadisti, come ha mostrato il Tg1 tre giorni fa). 

Una «sinistra» che scavalcava la destra, spingendo alla guerra il governo Berlusconi, all’inizio restio (per ragioni di interesse) ma subito dopo cinico nello stracciare il Trattato di non-aggressione e nel partecipare all’attacco con basi e forze aeronavali. 

In sette mesi, l’aviazione Usa/Nato effettuava 10mila missioni di attacco, con oltre 40mila bombe e missili, mentre venivano infiltrate in Libia forze speciali, tra cui migliaia di commandos qatariani, e allo stesso tempo finanziati e armati gruppi islamici fino a poco prima definiti terroristi. Tra cui quelli che, passati in Siria per rovesciare il governo di Damasco, hanno fondato l’Isis e quindi invaso l’Iraq. 

Si è così disgregato lo Stato libico, provocando l’esodo forzato – e di conseguenza l’ecatombe nel Mediterraneo – degli immigrati africani che avevano trovato lavoro in questo paese. Provocando una guerra interna tra settori tribali e religiosi, che si combattono per il controllo dei campi petroliferi e delle città costiere, oggi in mano principalmente a formazioni aderenti all’Isis. 

Il ministro degli esteri del governo Renzi, Paolo Gentiloni, dopo aver ribadito che «abbattere Gheddafi era una causa sacrosanta», lancia l’allarme perché «l'Italia è minacciata dalla situazione in Libia, a 200 miglia marine di distanza». Annuncia quindi che giovedì riferirà in Parlamento sull'eventuale partecipazione italiana a un intervento militare internazionale «in ambito Onu». In altre parole, a una seconda guerra in Libia presentata come «peacekeeping», secondo quanto già richiesto da Obama a Letta nel giugno 2013, caldeggiata dalla Pinotti e approvata da Berlusconi. 

Siamo di nuovo al bivio: che posizione prenderanno quanti lavorano per creare una nuova sinistra e, al suo interno, l’unità dei comunisti?
 
(il manifesto, 17 febbraio 2015)



=== 2 ===

Libia 2011: troppi ignavi, silenziosi o consenzienti mentre la Nato apriva la strada ai nazi-califfi. 

Con atrocità e massacri, l’intero Medioriente e buona parte dell’Africa pagano per le guerre dei governanti occidentali e l'ignavia dei relativi popoli. In tanti dovrebbero mettersi in ginocchio. 

Adesso che il nazismo dello Stato sedicente islamico dilaga in Libia e sgozza lavoratori migranti egiziani sulle spiagge mentre altri frutti delle guerre occidentali dirette o indirette  continuano a morire in mare; adesso che il risultato della guerra Nato del 2011 si dispiega pienamente, adesso che- veramente da tempo -  gli altri effetti sono in Siria, Iraq, Africa, ammetterà qualche colpa chi nel 2011 per sette lunghi mesi non fece nulla, tacque o peggio avallò le menzogne mena-guerra dei cosiddetti “ribelli” poi rivelatisi bande islamiste e razziste che ora confluiscono nel califfato nazista - nazista per le infernali azioni e l'equivalente pensiero? 

Anche la Nato peraltro è nazista, visto che uccide a tutto spiano a casa d’altri e fa da aviazione a mostri, a volte apposta, altre volte alla Frankenstein. Lo scrivevamo su uno dei nostri cartelli il 14 febbraio 2015, partecipando come spezzone antiNato e antiguerra filoNato nel Donbass alla manifestazione per la Grecia (visto che Syriza almeno al tempo era per l’uscita dalla nato e contro l’appoggio europeo a Kiev). Eravamo visibili, anche sotto il palco. Ed era già arrivata la notizia di Sirte invasa dai mostri Naz-Isis dopo essere stata distrutta dal mostro Nato. Eppure gli oratori hanno ignorato la materia. 

La sinistra non dovrebbe avere come prima cura l’opporsi alle guerre di aggressione, il più osceno degli atti? E’ ormai il contrarioLo vediamo dal 2011, con la guerra Nato e italiana alla Libia. E poi sulla Siria, ora sul Donbass.

Nel 2011 a bombe cadenti, a opporci con continuità, in Italia e anche in Europa e Usa fummo poche unità o decine (e poche migliaia all'unica manifestazione nazionale a Napoli). Pochi disperati - sì, ci si deve disperare quando fanno la guerra! - in giro per l’Italia, in particolare gruppi a Roma e a Napoli. Nel resto d’Occidente e perfino nei paesi arabi fu lo stesso. Eravamo nel desertoNel deserto a sinistra! Non parlo nemmeno del Pd che ovviamente con Napolitano spinse a tutti i costi verso la guerra. Parlo della sinistra “radicale”…degli studenti, delle grosse associazioni, con personale e mezzi, dei pacifisti del 2003, delle strutture pagate per occuparsi di pace, degli indignati (che il 15 ottobre non ci degnarono di uno sguardo), dei social forum, delle ong umanitarie, egli ambientalisti, dei giornalisti diventati fan, dei “movimenti” diventati immobili, dei sindacati… Non fecero niente. Al massimo fecero un raduno un giorno, un comunicato, una dichiarazione.  Oppure, peggio, avallarono e diffusero sin dai primi giorni le menzogne che portarono alla guerra "umanitaria". Responsabilità diretta!

Invece di appoggiare platealmente l’azione di pace di Chavez, come chiese Fidel, in molti abbracciarono i “ribelli”, li chiamarono “partigiani”. Si è visto subito quali partigiani fossero. Eravate disinformati? Eppure c’era modo di informarsi, di capire che le fosse comuni non esistevano (allora), che i 10.mila morti fatti da Gheddafi erano una propaganda dei “ribelli”, che l’unica aviazione che aveva bombardato era quella della Nato. Quanti morti e mutilati ha fatto? Non si saprà mai. I vincitori contano solo i morti propri. Incontrai dei superstiti, a Tripoli. E dei bambini feriti. E tanti sfollati interni, chissà che fine hanno fatto; ad esempio la piccola Noor, 4 anni nell'agosto 2011, era a Zanzur, profuga da Tobruk...peccato non aver preso il numero del padre, per discrezione.Se è viva è in difficoltà. 

E i migranti? Ebbene, dalla caduta del governo libico nell’autunno 2011, quanti ne sono stati ammazzati dalle bande razziste? Quanti sono morti in mare grazie ai vostri ribelli fra i quali - ripeto - c’erano sfruttatori di migranti? Quanti ne sgozza adesso l’Isis? Quante centinaia di migliaia hanno dovuto tornare a casa dalla Libia in posti impoveriti e desertici come il Sahel, o allagati come il Bangladesh? Ognuna di queste domande ha dietro dati e ricerche. 

“Come mai non manifesta nessuno da voi?” mi chiedeva una cittadina libica sotto le bombe nel ramadan d’agosto. Che vergogna. Eppure, si poteva fare tanto! Tante persone erano contro, ma non avendo alcuna organizzazione, finirono per fare la guerra e la pace al computer. Cosa fecero, i pochi che si mossero, senza strutture, senza aiuti? Fecero, in pochissimi, sit-in, petizioni, disperati appelli all’estero, lettere ai giornali per la proposta Chavez, visite alle ambasciate non occidentali, presenze in Libia, digiuni ma non di piazza, domande scomode alle conferenze stampa Nato a Napoli (ma troppo tardi). A Napoli, l’unica manifestazione nazionale, disertata dai sunnominati gruppi. Invece, la Perugia Assisi di settembre, in pieno assedio di Sirte, a stento richiamò la Libia…E le tante manifestazioni “di sinistra” che si susseguirono in quei mesi, su vari argomenti, non erano mai contro la guerra, nemmeno durante il finale assedio a Sirte. Ci andammo, con i nostri cartelli,  cercando di sensibilizzare. 

In pochi occorre fare azioni dirette. Forse, incatenarsi in sciopero della fame davanti alle ambasciate dei paesi che potevano fermare la Nato: Russia e Cina. Era l’unica cosa da fare, insieme ad altre azioni dirette. Occorrerà studiare meglio cosa si può fare quando si è quasi soli. Ormai sono 25 anni di insuccessi totali; onestamente tocca ammettere che non fermammo nemmeno una bomba. Però, almeno c’è chi ci ha provato.

La colpa della tragedia è certo dei governanti in primo luogo, di destra e “sinistra di governo”. I quali rimarranno impuniti, sicuri nei loro privilegi nei secoli dei secoli. Così va il diritto internazionale.
 
Ma chi non fece nulla per fermare i vari Sarkozy, Napolitano, Obama, Hollande,  o peggio collaborò magari senza volerlo, si faccia carico, almeno dal punto di vista morale, di un po’ di tutti questi morti, amputati, immiseriti, annientati. 
 
Tanto è gratis. nemmeno una multa.

Marinella Correggia. Torri in Sabina


=== 3 ===


Ministro Gentiloni: senza vergogna

16 FEBBRAIO 2015

Il ministro Gentiloni prospetta l’invio di 5000 militari italiani per andare a fare una nuova guerra in Libia, dove il caos e la lotta tra le varie bande di tagliagole jihadisti (ISIS, miliziani di Misurata, Alba Libica, Ansar Al Sharia, ecc.) si è tradotta in una situazione tragica per i cittadini di quel paese, prospero e pacifico fino a 4 anni fa. Se ne discuterà anche giovedì 19 in Parlamento.

Nemmeno un accenno di autocritica troviamo nelle parole di Gentiloni. Chiediamo al ministro la cui faccia tosta sorprende persino me, che pure sono abituato alle bugie di Bush, di Blair, di Sarkozy e Hollande: ma chi ha distrutto la Libia a suon di bombe nel 2011? Chi ha attaccato un paese che stava in pace da 42 anni sotto l’intelligente guida di Muhammar Gheddafi che era riuscito a contenere i contrasti tra le varie tribù in cui il paese è diviso, che era diventato il più prospero dell’Africa (il PIL pro-capite era il più alto di tutto il continente), che ospitava 2 milioni di lavoratori immigrati, che aveva ricontrattato le licenze petrolifere con le compagnie straniere ottenendo il 90% dei proventi per lo stato libico redistribuendo i profitti tra la popolazione, che riconosceva pienamente i diritti delle donne, che aveva fornito il paese di acqua potabile riuscendo anche a raggiungere l’autosufficienza alimentare, che aveva allontanato dal paese tutte le basi militari straniere acquisendo una piena indipendenza (a differenza dell’Italia che è ricoperta di basi USA e NATO, piene anche di bombe atomiche)?

Purtroppo l’ipocrisia senza vergogna di Gentiloni, e della sua collega il ministro della difesa Pinotti,  e del loro partito, il PD, che fu in prima linea a chiedere la criminale guerra del 2011 che ha distrutto la Libia riducendola nello stato attuale, non è isolata. Risulta che anche l’ineffabile Scotto, deputato di SEL, parla di “operazioni di peace-keeping”, che – per carità – non sarebbero operazioni di guerra! Ma persino in certi appelli pacifisti contro la guerra che circolano in questi giorni (ad esempio quello promosso da Del Boca e Zanotelli) si avvalorano i soliti pregiudizi su Gheddafi feroce dittatore, degno addirittura di un processo internazionale.

Questi pregiudizi furono alimentati da uno stuolo di servili giornalisti nel 2011 in preparazione e giustificazione della guerra (ne sta scrivendo SibiaLiria in un’apposita rubrica). Ricordate Al Jazeera (TV di uno stato, il Qatar, che si preparava ad attaccare la Libia) che parlava di 10.000 civili uccisi dall’aviazione di Gheddafi, notizia ripresa dall’Osservatorio dei Diritti Umani (Struttura legata ai servizi segreti britannici) poi completamente smentita? Ricordate le false foto delle “fosse comuni” e il viagra distribuito alla truppa per gli stupri di massa (nessuna donna libica ha mai fornito una sola testimonianza in tal senso)? I nostri giornalisti e i nostri guerrafondai del PD andarono a nozze con queste ignobili bugie.

Ma questi pregiudizi sono indice, anche da parte di settori pacifisti e della “sinistra radicale” , di una mentalità coloniale, per cui qualsiasi paese che non abbia istituzioni uguali a quelle dei paesi liberal-imperialisti (dagli USA ai paesi della NATO e della UE) sarebbe una sanguinaria dittatura.

La stessa demonizzazione ha colpito per gli stessi motivi la Siria, paese laico con un solido sistema di istruzione laico, che riconosce i diritti delle donne e di tutte le minoranze religiose ed anche degli atei (a differenza del nostro principale alleato, l’Arabia Saudita, dove si può essere condannati a morte per apostasia nei confronti della religione imperante, il Wahabismo, o per stregoneria, e dove una donna va in prigione se guida una macchina). Per fortuna la Siria resiste e tiene a bada le bande jihadiste di Al Nusra ed ISIS.

Ci saremmo aspettati che Gentiloni avesse chiesto scusa a tutti i Libici per i crimini commessi nel 2011, invece si parla di fare una nuova guerra violando ancora una volta la Costituzione. Diceva il grande Giacomo Leopardi che l’Italia era un paese di fango. Con governanti e “sinistre radicali” come le nostre il giudizio forse non può cambiare.

Vincenzo Brandi


=== 4 ===

A Tripoli, a Tripoli!

16 Febbraio 2015 

di Diego Angelo Bertozzi
 per Marx21.it

L’articolo 87 della nostra Costituzione è ancora fresco di modifica nell’ambito della riforma costituzionale approvata dalla Camera dei Deputati, che già l’Italia del governo Renzi si prepara alla avventura bellica che metterà fine allo spirito pacifista della nostra Carta fondamentale, relegando il già bistrattato articolo 11 tra i rottami del “secolo breve”. Basterà una semplice maggioranza, frutto di una legge elettorale che concede la maggioranza assoluta dei seggi ad una minoranza del Paese, per dichiarare guerra.

Ma meglio agire d’anticipo e lanciare subito il messaggio: nella nuova spartizione “neocoloniale” del mondo ci siamo pure noi, senza più tentennamenti e mal di pancia di sorta. E più velocemente senza lacci e laccioli del processo democratico con le sue interminabili discussioni, le sue trattative e i suoi compromessi. Ed ecco quindi la Libia, la nostra “quarta sponda” sulle cui macerie cresce la minaccia dell’Isis. Il dovere ci chiama: per l’ennesima volta la difesa della civiltà ci chiama. Che la stessa civiltà da difendere sia la prima responsabile della distruzione dello Stato libico e dell’avanzare del nuovo nemico pubblico, poco importa. Ricordarlo è semplice disfattismo, quando non dimostrazione della alleanza tra residui del comunismo e estremisti islamici in nome della lotta all’occidente capitalista.

Mentre suonano i tamburi di guerra - A Tripoli, a Tripoli! - a generare più sconcerto è ancora una volta la dimostrazione di subalternità di una parte - quella maggioritaria - della sinistra italiana. A dichiararsi favorevole ad un intervento di “Peace keeping” in Libia è Sinistra, Ecologia e Libertà, allo stesso modo con il quale nel 2011 approvò l’idea di una “no fly zone” che presto si rivelò per quel che era in realtà: una campagna di bombardamenti senza quartiere sulla Libia in appoggio alle milizie - anche quelle dell’estremismo islamico - che combattevano contro Gheddafi. Ancora una volta la logica dell’interventismo umanitario trova una sinistra culturalmente e politicamente disarmata pronta ad accodarsi.

A stupire e sconcertare è l’assoluta leggerezza (o furbizia?) con la quale si utilizzano specifiche definizioni come quella di “Peace keeping” che ha contorni ben precisi: operazione, sotto mandato Onu, che ha il compito di vigilare su un processo di pace già in essere fra i contendenti sul terreno. Un quadro diametralmente opposto a quello libico nel quale la guerra civile, con interventi di combattenti stranieri, è in pieno svolgimento con un portato terrificante di violenza. Un intervento in Libia non potrà essere altro che una guerra vera e propria con bombardamenti massicci che coinvolgeranno le popolazioni dei centri urbani. Sarà una “guerra coloniale” a tutti gli effetti, con lo spiegamento di truppe di terra che dovranno affrontare tutte le insidie di una guerriglia diffusa, col suo portato di torture e oppressione, in confronto al quale il precedente della Somalia rischia di essere stato una passeggiata. Altro che Libano! Le parole del generale Carlo Jean non lasciano dubbi a proposito: “Neanche se inviassimo diecimila o centomila uomini la situazione si tranquillizzerebbe, dal momento che sul territorio ci sono un milione di armati divisi in 1500 gruppi che tentano di ottenere profitti per prendere il potere politico. Di conseguenza il problema non è di fare un peace keeping, ma un peace enforcement: avere una forza tale da riuscire a imporre la pace alle varie milizie disarmandole. Un risultato tutt’altro che semplice.”

E a condurre questa missione saranno gli stessi Paesi responsabili del disastro in corso. La sinistra gli presterà ancora soccorso?






Linta: decisione della Corte costituzionale della Croazia è scandalosa 

13. 01. 2015. - 20:04 -- MRS – Il presidente della coalizione delle associazioni dei profughi serbi Miodrag Linta ha detto che è scandalosa la decisione della Corte costituzionale della Croazia di annullare la sentenza contro Branimir Glavas nei processi „Garage” e “Nastro adesivo”. Quella corte non difende più la Costituzione della Croazia, ha detto Linta. La coalizione ha comunicato che il nuovo Presidente della Croazia Kolinda Grabar Kitanovic dovrebbe chiedere pubblicamente che siano processate tutte le persone che hanno commesso crimini di guerra, a prescindere dalla loro nazionalità. La Corte costituzionale della Croazia ha annullato le sentenze nei processi „Garage” e “Nastro adesivo” contro Branimir Glavas, con le quali egli è stato condannato a otto anni di carcere per i crimini che ha commesso contro i civili serbi a Osijek nel 1991. Sono state annullate anche le sentenze contro altre sei persone che hanno preso parte a quei delitti.


Linta: vittime serbe sono state offese e umiliate ancora una volta 

22. 01. 2015. - 12:18 -- MRS – Il presidente della coalizione delle associazioni dei profughi serbi Miodrag Linta ha dichiarato che le vittime serbe sono state offese e umiliate ancora una volta con la decisione delle autorita’ croate di rilasciare in liberta’ Branimir Glavas, il quale e’ stato condannato per crimini di guerra contro la popolazione serba a Osijek in Croazia. Ci auguriamo che la Cassazione della Croazia esaminera’ di nuovo le accuse e le prove contro Glavas e che egli sara’ condannato alla pena piu’ pesante, 20 anni di carcere. Se non sara’ presa una decisione simile sara’ ovvio che la Croazia abbia deciso di proteggere i suoi criminali di guerra. L’Unione europea deve chiedere alla Croazia di rispettare gli obblighi che ha assunto durante le trattative sull’adesione all’Unione, ha detto Linta. Glavas e’ stato rilasciato ieri in liberta’ dal carcere a Mostar. La Corte costituzionale della Croazia ha annullato la sentenza della Corte suprema, la quale ha condannao Glavas per crimini di guerra, ed ha chiesto che sia condotto nuovo processo.


Linta: Croazia è l’unico membro dell’Unione europea che protegga i suoi criminali di guerra

28. 01. 2015. - 19:29 -- MRS – Il presidente della Coalizione delle associazioni dei profughi serbi Miodrag Linta ha dichiarato che la decisione della Corte circondariale di Zagabria di annullare il mandato di cattura contro Branimir Glavas, il quale è stato recentemente rilasciato in liberà, è l’ennesima offesa contro le vittime serbe in Croazia. Linta ha invitato l’Unione europea, l’Osce e il Consiglio europeo a esercitare pressioni sulla Croazia, la quale deve finalmente cominciare a processare e condannare le persone che hanno commesso crimini di guerra. Le persone condannate non devono essere rilasciate in libertà, ha detto Linta. Egli ha ricordato che la Corte circondariale ha spiccato il mandato di cattura contro Branimir Glavas una decina di giorni fa, dopo che la Corte costrituzionale della Croazia ha deciso di annullare la sentenza con la quale egli è stato condannato per i crimini che ha commesso contro i civili serbi in Osiejak nel 1991 e il 1992. E’ innaccettabile la decsione della corte croata di liberare una persona che ha commesso pesanti crimini di guerra. In questo modo la corte croata ha comunicato ai serbi che quei crimini potranno ripetersi in futuro. La Croazia è l’unico membro dell’Unione europea che protegga i suoi criminali di guerra, ha dichiarato Linta.

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(ovaj tekst na s-h-om: 
Glavaš na slobodi, hoće li biti i oslobođen krivnje? - Drago Hedl  30 januar 2015


Glavaš libero, sarà anche assolto?

Drago Hedl | Osijek  30 gennaio 2015

Una sentenza della Corte costituzionale croata ha permesso a Branimir Glavaš di uscire dal carcere bosniaco dove scontava una pena per crimini di guerra. Martedì scorso il Tribunale di Zagabria ha tolto il mandato di cattura che gli impediva di fare ritorno in Croazia. Domenica 1 febbraio è atteso il suo rientro a Osijek
Branimir Glavaš, ex generale dell’esercito e un tempo uno dei più potenti politici della Croazia, condannato nel 2008 a dieci anni di reclusione per gravi crimini di guerra commessi a Osijek, è tornato in libertà a seguito di una decisione della Corte costituzionale croata.
Fino a tre giorni fa la sua libertà era limitata al solo territorio della Bosnia Erzegovina, paese dove stava scontando la pena. Martedì scorso, tuttavia, il Tribunale di Zagabria ha revocato il mandato di cattura nei suoi confronti, dando seguito alla decisione della Corte Costituzionale, e Branimir Glavaš potrà dunque rientrare in Croazia. L'arrivo dell'ex generale a Osijek è previsto per il prossimo 1 febbraio.
La Corte suprema della Croazia, obbligata ora dalla decisione della Corte costituzionale a riaprire il caso, potrebbe confermare la precedente condanna, ma anche ridurla o aumentarla. Potrebbe inoltre ordinare al Tribunale della contea di Zagabria di avviare un nuovo processo, oppure annullare la sua sentenza e in questo modo assolvere Glavaš da tutte le accuse. La Corte costituzionale - dopo più di quattro anni trascorsi senza alcuna azione sul caso Glavaš - ha infatti ora stabilito che nel procedimento a suo carico ci sarebbero stati difetti procedurali che avrebbero violato i diritti dell'imputato.
Alcuni giuristi contattati da OBC ritengono che la Corte suprema probabilmente deciderà di confermare la decisione precedente (che nel frattempo era stata ridotta a otto anni di reclusione) o, nello scenario migliore per Glavaš, ridurre ulteriormente la pena al numero di anni già scontati in carcere: cinque.

Euforia, vendetta e paura

La liberazione di Glavaš, e la possibilità che in un nuovo processo possa essere assolto da ogni accusa, ha suscitato reazioni opposte in Croazia, e soprattutto a Osijek.
Tra i suoi sostenitori (amici di guerra e membri del suo partito) si è diffusa una vera e propria euforia, ma anche un desiderio di vendetta. Sulla sua pagina Facebook, Glavaš ha pubblicato una fotografia di cinque persone impiccate, accompagnata dal testo dell’ottavo comandamento – "Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo" – aggiungendo che la punizione di Dio è arrivata per coloro che hanno violato i suoi comandamenti. In seguito si è scusato per tale comportamento ma il messaggio - molto chiaro - è ormai stato mandato.
Le famiglie delle vittime sono invece rimaste sconvolte dal fatto che Glavaš sia in libertà e che, in un nuovo processo, il sistema giudiziario croato potrebbe assolverlo da tutte le accuse. Ritengono che la giustizia in quel caso non sarebbe soddisfatta poiché, in caso di assoluzione, nessuno risulterà colpevole per i gravi crimini di guerra innegabilmente commessi.

I fatti

Nel 2008, insieme ad altri cinque membri dell’Esercito croato, Glavaš è stato accusato di crimini commessi contro civili, per la maggior parte appartenenti alla minoranza serba. Durante il processo, due di questi crimini sono emersi per la loro particolare crudeltà, i media li hanno definiti come il caso “Garage” e il caso “Nastro adesivo”.
Nel primo caso, civili serbi venivano condotti nei garage situati a poca distanza dall’ufficio militare di Glavaš e in seguito interrogati, torturati, bastonati, alcuni anche costretti a bere l’acido solforico delle batterie delle auto. Il caso “Nastro adesivo” era invece relativo all’assassinio di civili serbi, portati nella cantina di una casa nel centro di Osijek dove, dopo essere interrogati e fisicamente torturati, venivano legati col nastro adesivo e in seguito portati sulle sponde della Drava per essere uccisi con un colpo alla nuca.
Il processo a Glavaš, e l’inchiesta che l’ha preceduto, si è svolto tra molte difficoltà. Glavaš e i suoi sostenitori, nonché gli avvocati che l’hanno rappresentato in tribunale, sostenevano che si trattava di un processo politico montato dietro il quale stava l’allora premier Ivo Sanader e il vertice del suo HDZ. Fino al 2005, Glavaš è stato uno dei più potenti politici in Croazia: generale dell’Esercito (il grado gli è stato cancellato dopo la condanna per crimini di guerra), più volte eletto al parlamento e inoltre prefetto di una circoscrizione. Tuttavia, la sua vera forza risiedeva nel fatto che era stato uno dei fondatori dell'HDZ di Franjo Tuđman, il partito che ha vinto le prime elezioni pluripartitiche nel 1990. In più, Glavaš è riuscito a costruire il mito di se stesso come comandante della difesa di Osijek a cui più di tutti si dovrebbe il fatto che la città non ha sperimentato il destino di Vukovar.
Tuttavia nel 2005 Glavaš è entrato in conflitto con Ivo Sanader e, insieme ai suoi collaboratori più vicini, è stato espulso dall'HDZ. Subito dopo ha fondato un proprio partito ottenendo i voti sufficienti per entrare in parlamento. Non molto tempo dopo, è stata avviata l’inchiesta sui crimini di guerra commessi a Osijek.
Nel maggio 2008, dopo essere stato condannato a 10 anni di carcere, Glavaš fugge in Bosnia Erzegovina dove vive tranquillamente in una casa di famiglia fino al 2010 quando, in base ad un accordo vigente tra Croazia e Bosnia, viene incarcerato e inizia a scontare la pena comminata nel carcere di Zenica. A breve riesce poi ad essere trasferito nel carcere di Mostar, dove ottiene un trattamento meno duro e nel quale rimane fino al 20 gennaio scorso, quando la Corte costituzionale croata gli ha di fatto restituito la libertà.

Tutte le opzioni aperte

Nel frattempo, la Corte suprema gli aveva ridotto la pena da dieci a otto anni. Mentre si aspettava la decisione della Corte costituzionale, la Croazia è stata scossa dallo scandalo riguardante un presunto tentativo dei sostenitori di Glavaš di corrompere alcuni giudici. Tre persone tra i suoi sostenitori sono state condannate, ma l’indagine non ha mai rivelato chi erano i giudici coinvolti.
La stessa Corte suprema adesso dovrebbe avviare la revisione del caso. Date tutte le peripezie legate all’inchiesta e al processo a Glavaš, nonché quanto accaduto dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, tutte le opzioni restano aperte, inclusa la possibilità che Glavaš venga assolto da ogni accusa.







CHI HA POTUTO FARE IL PRESIDENTE E CHI NO


1) Gheddafi, Napolitano: «Adesso un paese libero» (20/10/2011)


2) Prodi: «Da Tripoli a Kiev questa Europa è assente su tutto» (di Marco Ballico - Il Piccolo, 14 febbraio 2015)

L’ex premier boccia senz’appello la politica Ue sulle grandi crisi: «Il ruolo dell’Italia nello scacchiere comunitario? Esistere...»
<< D: La Libia è nel caos. (...) Se l’aspettava?
R: Non poteva esserci diversa conseguenza di una guerra sciagurata voluta sconsideratamente dalla Francia e che l’Italia ha seguito in modo folle e incomprensibile. (...)
D: Come distribuisce le responsabilità della vicenda ucraina tra Stati Uniti e Putin?
R: L’invasione della Crimea è un fatto molto serio e molto grave. Ma c’era un impegno quando cadde l’Unione Sovietica di non portare la Nato verso quei confini. L’atto finale del mio governo, nel 2008 alla riunione di Bucarest, vide l’Italia, assieme a Germania e Francia, votare contro la proposta di Bush di inserire Ucraina e Georgia nella Nato. Negli ultimi tempi l’Europa ha invece solo subito la politica americana, salvo in questi ultimissimi momenti di rinascita di una politica tedesca.
D: La via delle sanzioni contro Mosca?
R: Registro che non colpiscono gli Stati Uniti. Siamo andati a traino di una politica che non era né nel nostro interesse né in quello della pace. >>




Scandalo e vituperio per i "negazionisti delle foibe"!

0) Il giorno del ricordo a uso e consumo della Terza Repubblica (Davide Conti, 11/2/2015)

1)  Sulla iniziativa del 10 febbraio 2015 a Bologna 
– Incontro sulle foibe, negata l'aula in Ateneo: "E' propaganda politica" (La Repubblica)
– Foibe tra propaganda e falsi miti. Intervista a Claudia Cernigoi (LiberaTV)
– Bologna, l’Università nega un’assemblea antirevisionista! (FalceMartello)
– Bologna, vietato denunciare il revisionismo sulle foibe. L’Università revoca l'aula (Contropiano)
– Bologna. Vietato convegno sulle foibe, studenti occupano all'università (Noi Restiamo)
– Basta con la censura sulle Foibe, No al revisionismo di Stato (Rete dei Comunisti Bologna)
– D’Orsi risponde a Orsi “Mentre in economia la moneta buona scaccia la cattiva, nell’ambito della ricerca storica sta accadendo il contrario, e la menzogna sta vincendo” (Noi Restiamo)

2) Voci stonate e linciaggio politico-mediatico 
– Onorio Rosati, consigliere Pd della Lombardia: "Non parteciperò al Giorno del Ricordo"
– Choc Foibe a Orvieto, per il consigliere comunale di SEL [Tiziano Rosati] è solo mitologia
–  Bassano, Assemblea Antifascista e Spazio Sociale La Deriva replicano alle critiche del leghista Finco


Vedi anche:

Negazionismo, Senato approva ddl. Non sarà reato di opinione (11 febbraio 2015)
La norma è passata con 234 sì, 8 astenuti e 3 no. Ora il testo approda alla Camera. Plauso dalla Comunità ebraica. Gattegna (UCEI): "Pagina importante della storia del nostro Paese"...

Il reato di negazionismo e le questioni del Confine Orientale (di Marco Barone, 11/02/15)
... Contestare il dogma, falso, dei 350 mila esuli, e ricondurlo a cifre ben inferiori, con documentazione storica provata, è minimizzazione? Contestare i 16.500 infoibati, poiché la cifra reale è di gran lunga inferiore, è minimizzazione? Il ridimensionamento è minimizzazione? Quale deve essere la fonte storica attendibile ? E chi lo deve decidere? ...

Le foibe nella rappresentazione pubblica (di Gorazd Bajc, 10 febbraio 2015)
"Una ricerca basata su fonti in diverse lingue e una buona dose di coraggio intellettuale". Pubblichiamo la recensione di Gorazd Bajc al libro di Federico Tenca Montini: "Fenomenologia di un martirologio mediatico. Le foibe nella rappresentazione pubblica dagli anni Novanta ad oggi"

LA PAROLA AGLI ESPERTI!
Il "responsabile" (parola grossa...) di CasaPound Torino, in questa intervista dichiara che le foibe sono delle "rocce caucasiche"...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=zbHNYx0SkoI

FLASHBACK: PER IMPARARE LA STORIA USEREMO L’OLIO DI RICINO? NO, L’OLIO DI OLIVA! (C. Cernigoi, 2011)


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Il giorno del ricordo a uso e consumo della Terza Repubblica

Davide Conti *, 11 Febbraio 2015 

Quando nel 2004 venne isti­tuito il “Giorno del ricordo” per com­me­mo­rare le vit­time delle foibe e l’esodo giuliano-dalmata l’Italia della “seconda repub­blica” stava con­fu­sa­mente cimen­tan­dosi, attra­verso una con­ver­genza bipar­ti­san, nella riscrit­tura della sto­ria nazio­nale per legge.

La nar­ra­zione del pas­sato aveva da sem­pre rap­pre­sen­tato un ter­reno di scon­tro poli­tico tra i par­titi e l’uso pub­blico della sto­ria in chiave revi­sio­ni­sta aveva segnato non solo la crisi del para­digma fon­da­tivo della demo­cra­zia, l’antifascismo, ma soprat­tutto la piena legit­ti­ma­zione di una “dua­lità memo­riale”, quella dei vinti equi­pa­rata a quella dei vin­ci­tori, nella quale le ragioni e i torti delle parti in con­flitto veni­vano por­tate a sin­tesi da una sem­pli­fi­ca­zione di lin­guaggi, gesti sim­bo­lici ed ele­menti di fatto che lam­bi­vano la pari­fi­ca­zione di vit­time e carnefici.

L’istituzione del “Giorno del ricordo”, impro­pria­mente indi­cato nella ricor­renza della firma del Trat­tato di Pace di Parigi del 1947 visto che le vio­lenze delle foibe si veri­fi­ca­rono nel set­tem­bre ’43 e poi nel mag­gio ’45, si col­locò come fat­tore di “rie­qui­li­brio” memo­riale tra la sini­stra e la destra come se la sto­ria fosse una coperta con cui avvol­gere la pro­pria legit­ti­mità poli­tica anzi­ché fati­cosa veri­fica di fatti e pro­cessi complessi.

La riscrit­tura “con­di­visa” delle vicende sto­ri­che ita­liane com­portò l’oblio su que­stioni cen­trali della nostra iden­tità nazio­nale come il con­senso al fasci­smo, le leggi raz­ziali o i cri­mini di guerra com­piuti dalle truppe del regio eser­cito, e rima­sti impu­niti, in Jugo­sla­via, Gre­cia, Alba­nia, Urss e nelle colo­nie africane.

Le ragioni poli­ti­che di quello scia­gu­rato “patto sulla memo­ria” coin­ci­sero con le esi­genze dei par­titi della seconda repub­blica che riaf­fer­ma­rono su quel ter­reno la rispet­tiva legit­ti­mità a gui­dare il paese nella demo­cra­zia dell’alternanza.

Tutto ciò all’alba della nascente “terza repub­blica”, quella senza Senato elet­tivo e imper­niata sul Can­cel­lie­rato forte, potrebbe appa­rire addi­rit­tura supe­rato. Il fat­tore storico-memoriale sem­bra aver per­duto da un lato la cen­tra­lità valo­riale della legit­ti­mità demo­cra­tica, rap­pre­sen­tata dall’alterità fascismo-dittatura; antifascismo-libertà, e dall’altro quel signi­fi­cato gene­rale di let­tura e senso del rap­porto tra pas­sato e pre­sente in grado di con­net­tere tra loro vis­suti e vicende gene­ra­zio­nali tanto distanti a settant’anni dalla Liberazione.

In que­sto qua­dro, con la crisi della rap­pre­sen­tanza acuita da quella eco­no­mica, il con­flitto sulla memo­ria cam­bia forma e tende a risol­versi in un com­plesso uni­fi­cante quanto iden­ti­ta­ria­mente inde­fi­nito che forse meglio di ogni altra cosa si iden­ti­fica con la nozione del “par­tito della nazione”. L’oblio sui cri­mini di guerra ita­liani piut­to­sto che le stru­men­ta­liz­za­zioni poli­ti­che delle dram­ma­ti­che vicende del con­fine orien­tale e delle foibe sem­brano per­dere la loro stessa alte­rità, inglo­bate da una nar­ra­zione a-conflittuale, e ten­den­zial­mente vit­ti­ma­ria, che tutto tiene insieme e dun­que tutto equi­para in modo indolore.

Così, aperto il set­ten­nato con la visita alle Fosse Ardea­tine, il neo Pre­si­dente della Repub­blica cele­bra pochi giorni dopo il “Giorno del ricordo” e l’immagine com­ples­siva appare sem­pre più sfo­cata in un qua­dro della rap­pre­sen­ta­zione della sto­ria patria che abban­do­nando la rie­la­bo­ra­zione cri­tica del pas­sato si con­cen­tra sulla cen­tra­lità di un pre­sente senza storia.

* storico - da http://ilmanifesto.info


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(a cura di CNJ-onlus) La iniziativa del 10 febbraio 2015 a Bologna è stata un netto successo politico, non solo perché la volontà unanime di tutti gli organizzatori, dei relatori e dei partecipanti ha consentito di rompere la censura accademica (il Preside di Facoltà aveva revocato l'autorizzazione della sala, già concessa, a poche ore dall'evento), ma anche dato l'alto livello delle relazioni presentate. 
CLAUDIA CERNIGOI (nella registrazione a 14'15'') ha elencato casi precisi di falsificazione, nomi, cognomi e date da ricordare; FEDERICO TENCA MONTINI (nella registrazione a 45') ha fatto un ottimo excursus attraverso più di un ventennio di involuzione culturale e civile del nostro paese, per la quale la propaganda su "foibe ed esodo" rappresenta un perfetto collante bipartisan ("
Ricordare la tragedia delle ‪#‎Foibe‬ è un dovere per chiunque creda nella memoria come fondamento della ‪#‎Nazione‬": queste le parole inequivocabili di Mariastella Gelmini lo stesso giorno); ANGELO D'ORSI (nella registrazione a 70'15'') ha efficacemente smontato la... storiografia modello "Porta a Porta" invalsa da troppi anni, che alla conoscenza (episteme) preferisce la opinione (doxa) e che solo apparentemente equipara tutte le "opinioni" possibili, in realtà invertendo vittime e carnefici, aggrediti e aggressori. "Per noi il fascista era e rimane il vero straniero", ha concluso D'Orsi.
Ne è seguito un breve ma interessante DIBATTITO (nella registrazione a 101').
In merito ai contenuti espressi nell'iniziativa, ovviamente, nessuno spazio è stato concesso sui media: "Repubblica" ha dato voce al solo Preside di Economia, Renzo Orsi. Censura accademica e censura mediatica vanno a braccetto e si potenziano l'una con l'altra. 

SCARICA LA REGISTRAZIONE AUDIO INTEGRALE (MP3, 127', 60MB): https://www.cnj.it/audio/Bologna100215.mp3

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Incontro sulle foibe, negata l'aula in Ateneo: "E' propaganda politica"

Il collettivo "Noi restiamo" occupa lo spazio e accusa: "Attacco grave". La replica: "Nessuna censura, ma non accettiamo attività di parte"

di ILARIA VENTURI
10 febbraio 2015

BOLOGNA - Nel giorno del ricordo per non dimenticare l'orrore delle Foibe scoppia un caso in Ateneo. Con un'aula occupata, ad Economia, dal gruppo della campagna "Noi restiamo" per tenere un'iniziativa "contro il revisionismo storico sui fatti intorno all'espansione imperialista che l'allora regno d'Italia compiva sul suo confine nord-orientale ai danni della popolazione slava". L'aula era stata inizialmente concessa, a fronte di una richiesta per celebrare il giorno del Ricordo, istituito per commemorare le oltre diecimila vittime gettate nelle cavità carsiche ai confini orientali del nostro Paese tra il 1943 e il 1945 per ordine del dittatore jugoslavo Tito. "Ma quando è uscito il manifesto dell'iniziativa alcuni docenti mi hanno avvertito infuriati", spiega Renzo Orsi, presidente della Scuola di Economia. "Era propaganda politica, una iniziativa di parte, a senso unico, senza contraddittorio, per propagandare le Foibe come faso storico, per noi inaccettabile. Così ho negato l'uso dell'aula, come ho sempre fatto in questi casi".
"E allora le Foibe? Revisionismo di Stato e bombardamento mediatico", il titolo del manifesto firmato dal collettivo - con le sigle Partito comunista d'Italia, Rete dei comunisti, Sinistra, classe e rivoluzione, l'associazione "Il manifesto in rete" e Sempre in lotta" - che in Facebook ha gridato alla censura. "Parlare in chiave storica e contestualizzare momenti sensibili della nostra storia viene vietato, si chiude la bocca a chi si oppone al revisionismo. E' un attacco grave".
Il gruppo ha poi occupato l'aula. "Si sono infiltrati mentre erano in corso degli esami - racconta il professor Orsi - e poi sono rimasti. Non sono un censore, sono andato per chiedere di aprirsi almeno al confronto, ma non ne hanno voluto sapere. L'università non può accettare un confronto che non sia democratico, a più voci". L'economista ricorda come sia "ben noto che la ricerca storica, fin dagli anni '90, ha sufficientemente chiarito questi avvenimenti, al punto che nel 2004, con apposita legge, è stato istituito il 10 febbraio come giorno del ricordo per celebrare le foibe".

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FOIBE TRA PROPAGANDA E FALSI MITI
Intervista di Jacopo Venier alla giornalista e storica Claudia Cernigoi (10/2/2015)
Nel giorno del Ricordo l'Università di Bologna tenta di negare l'aula per tenere una conferenza sul tema delle Foibe ma gli studenti occupano lo spazio per consentire l'iniziativa. Abbiamo sentito una delle oratrici, Claudia Cernigoi, giornalista e ricercatrice di Resistenza Storica, e le abbiamo chiesto una valutazione sulle operazioni politiche in corso intorno alla ricostruzione revisionista della memoria e della storia del confine orientale.

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Fonte: pagina FB "FalceMartello", 10/2/2015
https://www.facebook.com/falcemartello/posts/927098453977066

Bologna e giornata del ricordo delle foibe: l’Università nega un’assemblea antirevisionista!
La “giornata del ricordo” è stata istituita nel 2004 per ricordare le foibe, e da allora la campagna di revisionismo e nazionalismo è dilagato nelle Tv, nelle scuole e nelle università, con tanto di pennivendoli chini alla causa del recupero della “memoria”. Non è passato neanche un mese dall’attento a Charlie Hebdo che ha fatto dire a tutti di essere dei difensori della libertà d’espressione e ci troviamo di fronte all’ipocrisia dell’Università di Bologna.
Per il 10 febbraio Sinistra Classe Rivoluzione e Sempre in Lotta, insieme al Cordinamento Nazionale per la Jugoslavia e altre realtà di sinistra di Bologna, hanno promosso un’iniziativa da tenersi nell’università, tra i relatori c’erano anche gli storici Claudia Cernigoi e Angelo D’Orsi. L’intento era chiaramente quello di mettere in luce la questione delle foibe e i crimini del fascismo nei Balcani, volutamente taciuti nelle commemorazioni ufficiali.
Questa mattina il preside della facoltà di economia ha deciso di negare lo spazio perché l’iniziativa era “politica”. E’ stata una chiara presa di posizione con l’intento di negare la parola a chi nel clima di unità nazionale che si è creato in questi anni non si riconosce. L’assemblea è stata fatta comunque nell’aula prenotata grazie all’occupazione nella mattina di quello spazio e l’assemblea è riuscita.
Questa è la dimostrazione che la storia è storia di lotte di classe, come scrivono Marx ed Engels nel Manifesto del Partito Comunista, e che la storia ufficiale è quella della classe dominante e scritta per difendere i suoi interessi. Sinistra Classe Rivoluzione e Sempre in Lotta continueranno a lottare per invertire i rapporti di forza che ci porteranno a gettare nella spazzatura decenni di marciume revisionista.

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Bologna, vietato denunciare il revisionismo sulle foibe. L’Università revoca l'aula

Contropiano Bologna, 10 Febbraio 2015 

Aggiornamento - Intorno alle 13.30 l'aula 3 della facoltà di Economia dell’Alma Mater di Bologna è stata occupata da studenti e attivisti della Campagna Noi Restiamo. Mentre scriviamo una decina di attivisti delle diverse realtà promotrici dell'iniziativa stanno presidiando l’aula in attesa dell'arrivo dei relatori per poi proseguire con il dibattito come previsto prima della revoca dell'autorizzazione da parte del preside di Economia.
Il quale questa mattina si è fatto vivo con gli organizzatori ribadendo quanto comunicato alcune ore prima: “Si tratta di  una iniziativa di tipo politico per la quale non intendo concedere un’aula universitaria”. Ed è proprio in questa frase che si rende esplicita la complicità dell’Università con il suo asservimento all’ideologia dominante, economicamente e culturalmente, e nega quindi il suo ruolo di istituzione pubblica e di formazione indipendente. “E’ questa la 'libertà d’espressione' a cui esattamente un mese fa il premier Renzi faceva appello nella sua visita a Bologna dal palco dell’Aula Magna di Santa Lucia, richiamandosi ai valori di un occidente pronto alla guerra su tutti i fronti”, scrive Noi Restiamo in un comunicato.
Di base, il suo regolamento prevede la concessione di aule universitarie al fine di “valorizzare l’immagine dell’Alma Mater”, ma quanto accade oggi è la dimostrazione che così non è, quando si tratta di mettere in discussione la celebrazione e la base ideologica della cosiddetta "Giornata del ricordo", istituita nel 2004 per cancellare dalla memoria storica l’espansione imperialista che l’allora Regno d’Italia compiva sul suo confine Nord-Orientale ai danni della popolazione slava.

ore 12.00 - Era prevista per oggi pomeriggio l’iniziativa “E allora le foibe”, all’interno di un’aula della Facoltà di Economia dell’Alma Mater bolognese. Un incontro dibattito organizzato da varie realtà sia locali che nazionali come il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia, Noi Restiamo, PCL, Rete dei Comunisti, Ass. Il manifesto, Sinistra classe rivoluzione e Sempre in Lotta.

Un’iniziativa diretta a contrastare l’ondata di revisionismo mediatico e istituzionale sulla questione delle foibe, di cui ricorre oggi il memoriale, e che il comune di Bologna affronterà venerdì con un approccio unilaterale e antistorico utilizzando uno spettacolo di Simone Cristicchi, da qualche anno improvvisatosi menestrello di una versione ufficiale che fa acqua da tutte le parti e che è frutto di un inaccettabile compromesso propedeutico allo sdoganamento politico dei fascisti.

Un’iniziativa, quella prevista per oggi pomeriggio, che avrebbe visto storici e scrittori - tra cui Claudia Cernigoi (giornalista e ricercatrice storica), Angelo d’Orsi (storico dell’Università di Torino) e Federico Tenca Montini (autore del libro "Fenomenologia di un martirologio mediatico") – fornire una ricostruzione storica, documentata e contestualizzata di ciò che avvenne al confine orientale italiano a partire dall’occupazione fascista dei territori slavi.

Questa mattina invece, l’Unibo ha improvvisamente revocato la prenotazione dell’aula, creando tra i promotori dell’iniziativa il sospetto che l’istituzione universitaria agisca in maniera subalterna rispetto a input politici e diktat provenienti dalla sfera politica, in barba alla ricerca storica e all’indipendenza intellettuale.

A metà mattinata, appena ricevuta l’incredibile notizia, i promotori dell’iniziativa di oggi pomeriggio hanno dato vita ad un presidio in Piazza Scaravilli, davanti alla facoltà di Economia, per denunciare l’inaccettabile voltafaccia dell’Università e chiedere con forza che l’Ateneo torni ad essere un luogo di confronto, di dibattito e di conoscenza e non feudo di diktat revisionisti.


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Bologna. Vietato convegno sulle foibe, studenti occupano all'università

Noi Restiamo - Bologna, 10 Febbraio 2015 

Al divieto gli studenti di Bologna aderenti alla campagna Noi Restiamo e ad altre realtà hanno risposto con l'occupazione e la conferma dell'iniziativa prevista per oggi pomeriggio e che invece l'Università aveva boicottato revocando l'utilizzo dell'aula. 
Di seguito il comunicato di Noi Restiamo:

"Oggi, 10 febbraio: giorno del ricordo, ovvero del revisionismo storico di matrice razzista e fascista, l’università di Bologna chiude la bocca a chi cerca di portare informazione e cultura in mezzo a questa colossale operazione di revisionismo storico.
Gli studenti della campagna Noi Restiamo occupano l’aula 3 di Piazza Scaravilli per permettere lo svolgimento di un’iniziativa di approfondimento storico regolarmente prevista nel pomeriggio.
Questa mattina il preside Orsi della Scuola di Economia ha deciso infatti di vietare l’iniziativa. E’ questa la "partecipazione studentesca" immaginata dal preside Orsi e dal rettore Dionigi, paladini di Renzi e dell’UniPD.
E’ questa la "libertà d’espressione" a cui esattamente un mese fa il premier Renzi faceva appello nella sua visita a Bologna dal palco dell’Aula Magna di Santa Lucia, richiamandosi ai valori di un occidente pronto alla guerra su tutti i fronti.
Un attacco grave che cade come una tagliola sopra le bocche di chi vuole portare analisi e informazione nel vivo del dibattito partecipato e democratico delle proprie città, con un metodo spaventosamente simile a quello utilizzato tre settimane fa dal prefetto di Milano per ostacolare un’assemblea degli/delle attivist* No Expo.
Oggi 10 febbraio, giorno che da qualche anno le istituzioni hanno deciso di dedicare al revisionismo storico sui fatti intorno all’espansione imperialista che l’allora Regno d’Italia compiva sul suo confine Nord-Orientale ai danni della popolazione slava, il professore Renzo Orsi, preside della Scuola di Economia, Management e Statistica dell’Università di Bologna ha pensato bene di iniziare la giornata affermando di voler negare la concessione di un’aula della Scuola da lui presieduta, nella quale è regolarmente prevista un’iniziativa di approfondimento storico, di informazione e dibattito proprio su queste tematiche. Un momento di studio extracurricolare al quale contribuiranno docenti universitari, giornalisti e scrittori con le loro relazioni, invitati da programma dagli organizzatori della onlus Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia, e alla cui realizzazione la campagna giovanile e studentesca Noi Restiamo ha dato il suo contributo insieme a tante altre realtà. Negarne lo svolgimento con una presa di posizione autoritaria come quella portata avanti dalle istituzioni universitarie questa mattina è un atto in piena coerenza con le politiche dell’Unibo, ormai UniPD. In coerenza col rettorato di Dionigi (impegnato a creare un sistema di polizia dentro la zona universitaria e a rendere effettiva la Riforma Gelmini), con la presidenza di Orsi (la Scuola di Economia sta facendo da apripista nel taglio degli appelli a sfavore degli studenti in difficoltà e dei lavoratori precari) e di tutto il sistema ateneo, volto a creare un clima culturale e politico atto a favorire il ricatto ai lavoratori precari dell’Università, la competizione tra i giovani precari, la speculazione edilizia e la compatibilità con quel modello di memoria condivisa che non è altro che l’ideologia dei governi delle larghe intese e dell’estremismo di centro che da anni governano l’Unione Europea dell’austerità, della lotta di classe verso il basso e delle aggressioni militari.
Accorriamo numerosi all'Aula 3 di Piazza Scaravilli".


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Basta con la censura sulle Foibe, No al revisionismo di Stato

Grave la decisione dell’Università di Bologna di revocare l’autorizzazione per il Convegno sulle Foibe previsto per oggi pomeriggio.
Si vuole, e purtroppo non è un caso isolato in Italia, censurare ed ostacolare ogni voce non omologata alla versione revisionista che è diventata l’unica versione ammessa dalle istituzioni. 
La Giornata del ricordo è costruita intorno ad una ricostruzione antistorica, intrisa di rigurgiti nazionalistici e fascisti: per questo vengono negati spazi ad ogni sorta di momento di discussione e di analisi storica e politica che possa incrinare la retorica corrente sui fatti riguardo le Foibe, rimuovendo le atrocità delle occupazioni fasciste e naziste, il collaborazionismo, la coraggiosa resistenza italiana e slava.
Particolarmente grave i fatti di oggi vedano come protagonista di questo ennesimo episodio di censura un Preside dell’Università di Bologna, che avrà ritenuto a suo modo non politicamente corretto e opportuno ospitare una iniziativa di approfondimento non conforme alle veline istituzionali. Una dimostrazione lampante di come la tanto sbandierata libertà di opinione va bene solo se funzionale ai valori e agli interessi dei potenti di turno, dal PD di Renzi all’Unione Europea.
Esprimiamo solidarietà a tutti i partecipanti e organizzatori dell’evento a partire dal Coordinamento nazionale per la Jugoslavia.

Rete dei Comunisti Bologna
10 febbraio 2015

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D’Orsi risponde a Orsi “Mentre in economia la moneta buona scaccia la cattiva, nell’ambito della ricerca storica sta accadendo il contrario, e la menzogna sta vincendo”

11 febbraio 2015

Dopo l’articolo di ieri in cui Repubblica Bologna riportava un’intervista al prof. Orsi (il quale in giornata aveva tentato di vietare lo svolgimento di un’iniziativa in Università), riportiamo la nostra posizione e le parole che ci ha rilasciato il prof. D’Orsi (che di quell’iniziativa è stato magistrale relatore)

Ci rincresce profondamente constatare che il prof. Orsi, preside della Scuola di Economia, Management e Statistica, abbia frainteso la nostra volontà di creare un dibattito serio e storicamente puntuale su quanto accaduto lungo il confine italo-jugoslavo durante la guerra di Liberazione, scambiando il convegno per una sterile celebrazione del “Giorno del Ricordo”. Ovviamente non era questo il nostro intento, e di certo non volevamo raggirarlo; infatti siamo rimasti stupiti quando ci è stata revocata la concessione dell’aula in cui tenere il suddetto convegno, per di più poiché trattavisi di un approfondimento storico proprio sul merito delle questioni che durante questa data vengono affrontate.
Tale revoca è avvenuta perché “si tratta di una iniziativa di tipo politico per la quale non intendo concedere un’aula universitaria”, come ci ha comunicato il preside della facoltà, lamentando inoltre la mancanza del famigerato contraddittorio, strumento sempre utile per tappare la bocca a chi chiede di avere voce e per screditare convegni ed iniziative (e non ci è stato affatto richiesto di “aprirci almeno al confronto”, cosa che sarebbe comunque avvenuta dopo la revoca).
Guarda caso però, se ne fa uso sempre e soltanto quando qualcuno pretende di andare oltre le versioni ufficiali e le mistificazioni, cercando quella verità che dovrebbe essere ciò a cui ogni ricercatore, studioso o intellettuale di sorta dovrebbe tendere. Mentre Orsi non perde comunque un secondo a ribadire con pericolosa leggerezza che in questi anni la ricerca storica ha “sufficientemente chiarito questi fatti”: cioè? D’altra parte, volendo essere l’iniziativa aperta (per questo la scelta di un’aula universitaria) anche il preside sarebbe potuto venire ad assistere e “a fare il contraddittorio”, anche se gli accademici storici che hanno tenuto l’incontro gli avrebbero spiegato che non bastano certo quattordici anni a completare una ricerca storica, e che certamente questa non può essere conclusa con una legge.
A tal proposito il prof. D’Orsi ci tiene a specificare che “forse sarebbe meglio se gli economisti facessero gli economisti e lasciassero agli storici lo spazio che compete loro, per un reciproco rispetto della deontologia che dovrebbe caratterizzare entrambe le accademie”. E aggiunge: “questa moda di intendere il dibattito storico come tribuna in cui prevedere un contraddittorio, una serata di Porta a Porta in cui a Cernigoi [giornalista e ricercatrice storica, ndr] si opponga magari Parietti, è una visione distorta contro cui gli storici seri si battono da anni. La ricerca storica prevede una sua metodologia, non è il regno della doxa ma dell’episteme, tramite la quale tentare di raggiungere la verità per ciò che è stata”. Più specificatamente “sui fatti intorno alla questione delle foibe non è stato dimostrato assolutamente nulla di nuovo. Si sta solo operando un rovesciamento della verità, una raccolta di fandonie e senso mistificatorio senza fatti concreti che sostengano qualcosa di diverso da ciò che già era noto. Purtroppo mentre in economia, come il prof. Orsi sa bene, la moneta buona scaccia la moneta cattiva, negli ambiti culturali e della ricostruzione storica sta avvenendo il contrario, la moneta cattiva sta cacciando quella buona, e la menzogna sta vincendo sulla realtà”.
Fa specie quindi che sia proprio l’istituzione universitaria a tentare di impedire lo svolgimento di quello che è stato un convegno storico e di approfondimento sulla questione foibe e sull’istituzione del Giorno del Ricordo.
Fa specie che a negare lo spazio per un dibattito pubblico sia quella stessa Università da cui il nostro premier Matteo Renzi ha inaugurato l’anno accademico inneggiando alla libertà d’espressione e ricordando i morti di Charlie Hebdo.
Fa specie che questo avvenga a poca distanza dalla decisione spaventosamente simile assunta alcune settimane fa dal prefetto di Milano, quando il tentativo di boicottaggio e criminalizzazione ha colpito la convocazione di un’assemblea pubblica delle/gli attivist* No Expo.

Sulla giornata del ricordo e sulle foibe si è parlato molto, troppo anzi; e troppo spesso a sproposito, in modo dozzinale ed ideologico, senza documenti, senza portare alla discussione fatti ma solo congetture, ipotesi, opinioni, assurte a verità di stato con la legge n.92 del 30 marzo 2004, quando venne istituita questa ignobile ricorrenza che dimentica colpevolmente i venticinque anni di occupazione italiana e fascista prima, e tedesca e nazista poi, di quelle zone, che dimentica l’italianizzazione forzata, la chiusura delle scuole, il razzismo esplicito verso gli slavi, le violenze, gli abusi, i campi di concentramento, le fucilazioni di massa e le torture.
Si ricordano solo gli italiani. Non importa se fossero gerarchi fascisti, collaborazionisti delle SS, o criminali di guerra.
E quindi ci viene propinata la “memoria condivisa”, ci viene detto che repubblichini e partigiani erano in fondo uguali, che i morti italiani sono morti di tutti, e quindi sono patrioti, anche se erano torturatori di partigiani o stupratori, anche se incendiavano case o fucilavano civili disarmati.
Ebbene, noi ieri abbiamo voluto rivendicare il diritto al dissenso, il diritto a non accettare supinamente una “realtà di stato” che ricostruisce una storia artefatta ed ideologica in cui gli italiani sono sempre “brava gente”, indipendentemente da chi fossero realmente. Non ci piegheremo alla logica della memoria condivisa che mette sullo stesso piano vittime e carnefici, torturati e torturatori, oppressi ed oppressori. Non lo facciamo quando si guarda al passato, e continueremo a non farlo nel rispetto di quei tragici avvenimenti del presente in cui purtroppo la cultura istituzionale persevera nel mantenere un approccio distorto, ipocritamente equidistante e interessato in maniera neanche troppo celata, come nei confronti dell’occupazione dei territori palestinesi e dell’aggressione alla popolazione del Donbass.
Questa logica ha portato allo sdoganamento dei neofascisti di Casapound e Forza Nuova, che sono da anni liberi di organizzare eventi e convegni dai temi più beceri, o possono impunemente propagandare la loro ideologia nelle piazze di Bologna, mandare in coma un compagno a Cremona, ammazzare due senegalesi a Firenze, pestare a morte un ragazzo a Verona, accoltellare, sprangare e compiere ogni sorta di nefandezza. Tanto poi verrà sempre fatto passare (e quindi immagazzinato nella testa delle persone) come “rissa da bar”, “gesto di un folle”. E questo porta a sviare la realtà dei fatti, così come si è riusciti a sviare la realtà storica sulla vicenda delle foibe: non ci sono oppressi ed oppressori ma solo gli “italiani brava gente”.
Per questo la nostra coerenza, stanti l’ipocrisia e la mistificazione attualmente dominanti in ogni faziosità propinata come “super partes” dalle istituzioni, ci obbliga a scegliere una strada partigiana, in direzione contraria a quella di un potere costituito che riesce sempre più a superare a destra le posizioni dei fascisti che tanto bene sguazzano nell’Unione Europea dell’austerità e della lotta di classe dall’alto, e che riesce al contempo a dare loro nuova linfa e nuova legittimità. Con questa stessa determinata posizione continuiamo a contrastare fascismi vecchi e nuovi al fianco di quella parte sana di società che vi si oppone aldilà delle retoriche, e proseguiremo sulla via intrapresa finora, la quale segnerà la sua prossima tappa per le strade di Roma sabato 28 febbraio, quando la calata dei Lanzichenecchi capeggiati da Salvini sarà contrastata da una mobilitazione popolare e di massa nel solco dei migliori valori della resistenza partigiana.


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Choc Foibe a Orvieto, per il consigliere comunale di Sel è solo mitologia

E la Rete si ribella e chiede le dimissioni di Tiziano Rosati, ma lui replica: «Le vittime vanno onorate tutte, ma occorre combattere chi cerca di semplificare e stigmatizzare la realtà»

ARTICOLO | MAR, 10/02/2015 - 18:21 | DI STEFANIA TOMBA

Un post revisionista sulle foibe. E il web si indigna, tanto più perchè a scriverlo anzi a conviderlo, è stato un consigliere comunale di maggioranza, Tiziano Rosati di Sel.
In un passaggio significativo il testo recita: «Con la giornata del 10 febbraio si istituzionalizza la mitologia di una popolazione italiana cacciata dalla sua terra, quando in realtà i territori dell’Istria e della Dalmazia, che con la Prima Guerra Mondiale l’Italia aveva occupato militarmente, non erano mai stati abitati da popolazioni italiane, se non in minima parte».
Nella giornata del Ricordo è immediata la reazione della rete contro il consigliere comunale del quale si arrivano a chiedere le dimissioni.
Sdegno e vergogna sono espresse da Fratelli d'Italia, Azione giovani, Scelta Civica tramite singoli rappresentanti che condanno in coro la presa di posizione definita unanimente «inaccettabile».
Agli attacchi Rosati così risponde: «E' dovere civico di ognuno di noi, oggi e tutti i giorni dell'anno, tenere viva la memoria di quanto accadde, onorando le vittime della barbarie umana che, nel nome della patria, spinse l'Europa a guerre sanguinarie per tutto il corso del novecento: la tragedia delle foibe e degli esuli del confine orientale deve essere parte integrante della nostra memoria storica.
Credo che sia però altrettanto doveroso - scrive Rosati - combattere chi cerca di semplificare e stigmatizzare la realtà al solo fine di nascondere e far passare in secondo piano le vicende storiche che determinarono quegli atroci fatti. Le responsabilità dell'Italia e del regime fascista nella gestione di quella che fu una vera e propria pulizia etnica ai danni del popolo slavo, non può essere taciuta e deve diventare anch'essa parte della nostra memoria, se vogliamo davvero rendere giustizia ai morti di cui oggi tutti si riempiono la bocca».

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Foibe, Onorio Rosati, consigliere Pd della Lombardia: "Non parteciperò al Giorno del Ricordo". E scoppia la polemica (FOTO)

L'Huffington Post
Pubblicato: 10/02/2015

E' polemica in Regione Lombardia sulla commemorazione delle vittime delle foibe che si è tenuta in mattinata al Consiglio regionale, in occasione del Giorno del ricordo. Il consigliere regionale del Partito democratico Onorio Rosati sulla sua pagina Facebookha stamani annunciato che non avrebbe partecipato. La replica è arrivata a margine della commemorazione dall'assessore lombardo al Territorio Viviana Beccalossi (FdI) che si è detta "basita" per il post di Rosati e si è augurata "che chieda scusa perché aveva il dovere istituzionale di partecipare o comunque di rispettare una Giornata istituita per legge". "L'Italia non può avere morti di serie A e di serie B - ha continuato Beccalossi - e mi piacerebbe che ci fosse una pacificazione dopo tanti anni". A intervenire è anche Giorgia Meloni, su twitter: "Mi aspetto che Renzi prenda le distanze da affermazioni del consigliere".

"Fermo restando il diritto alla memoria da parte delle vittime delle foibe, sappiamo che questa vicenda storicamente è molto controversa e molto divisiva all'interno del nostro Paese", ha affermato Rosati, interpellato dai giornalisti a Palazzo Pirelli. Per Rosati la Giornata del Ricordo "istituita dal governo Berlusconi" è stata "fortemente strumentalizzata dalla destra italiana neofascista e il fatto che risponda l'assessore Beccalossi mi pare sia una conferma".

A chi gli ha domandato se le tragedie delle Foibe e della Shoah siano paragonabili, il consigliere democratico ha risposto: "Assolutamente no, con la Shoah siamo in presenza di un genocidio che per caratteristiche e per quantità ha rappresentato e rappresenta un fatto che non ha paragoni nella storia e dall'altra parte siamo in presenza di fatti cruentissimi legati alla guerra e al periodo immediatamente successivo, che come tali vanno considerati". La polemica poi si trasferisce su twitter: "Renzi, devi prendere pubblicamente le distanze da tal Onorio Rosati", gli chiede un utente. Un altro: "Qualche buonista come Onorio Rosati non ricorda. Pd complimenti"; e così via, tanti altri attacchi diretti al consigliere del Partito democratico.

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Foibe, La Deriva replica alle critiche di Finco

12 febbraio 2015 Società

Avendo l’incontro da noi organizzato sollevato polemiche e discussioni, pensiamo sia utile esprimere alla città il nostro punto di vista in merito a tutto questo polverone. Ci interessa sopratutto riprendere le affermazioni che il consigliere regionale leghista Finco si è preso la libertà di esprimere, pur non avendo partecipato alla serata. Evidentemente abbiamo qualcosa da dire a proposito delle “foibe”, dato che da anni interveniamo sul tema con assemblee ed incontri con ricercatori, storici, giornalisti ed esperti, come molti altri gruppi in Italia. Di questa complessità non si fa certo carico il sig. Finco che, a testa bassa, carica lo storico e ricercatore da noi invitato per l’occasione, da lui arbitrariamente apostrofato come “scrittore negazionista non desiderato in città”.

Ricordiamo al consigliere che, qualsiasi sia la sua opinione in merito, Sandi Volk non è uno scrittore ma uno storico, che da anni si occupa della storia del confine orientale durante la II guerra mondiale. Il suo intervento a Bassano ha inquadrato il “fenomeno foibe” su un piano di lungo periodo, avvalendosi di un lavoro meticoloso e ampiamente documentato. È questo modo di procedere che opponiamo alle semplificazioni ideologiche espresse dal consigliere negli ultimi giorni. Inoltre nel comunicato il consigliere regionale arriva a minacciare persecuzioni contro chiunque interpreti il “Giorno del ricordo delle foibe e dell’esodo” in modo diverso da quello di cui si fa promotore. Questo atteggiamento denigratorio e persecutorio non è certo una novità, caso mai ci sorprende un po’ che un esponente leghista si affidi così ciecamente alle norme dello stato italiano.

Vorremmo peraltro ricordargli che la legge venne promulgata “al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”; non il semplice “ricordo delle sue vittime” come afferma Finco. Gli ricordiamo che la stessa legge afferma che in occasione della Giornata del Ricordo “è altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende”.

Proprio delle vittime si è parlato, con una analisi riguardo alle persone alla cui memoria lo stato italiano concede il riconoscimento in questa giornata. Dai dati finora disponibili si tratta di 267 persone, purtroppo (ma preferiamo per fortuna) molto lontane dalle decine di migliaia vagheggiate dal consigliere Finco. Si è parlato delle modalità – alquanto discutibili – di attribuzione dei riconoscimenti con alla mano i dati biografici di coloro alla cui memoria vengono attribuiti. Se avesse partecipato all’incontro il consigliere avrebbe potuto sentire un’analisi della vicenda dell’esodo fuori dagli stereotipi prodotti dalla persistente strumentalizzazione politica, di cui evidentemente anche lui è promotore. Non c’è stata nessuna negazione, ma il tentativo di capire, fuori da luoghi comuni e semplificazioni, cosa sia accaduto.

La narrazione delle foibe è stata recuperata dal primo governo Berlusconi (precisamente da Alleanza Nazionale) nell’ambito di un vasto progetto culturale volto a ridefinire la percezione del fascismo e della Guerra di Liberazione, così da legittimare gli eredi politici dell’esperienza di Salò, svalutando la Resistenza. L’apice di questo progetto viene raggiunto nel 2004 con l’istituzione del “Giorno del ricordo delle foibe e dell’esodo”, due settimane dopo la ricorrenza della “Giornata della memoria”, nel tentativo di elevare questi fatti poco conosciuti in ambito nazionale ad una dignità pari a quella degli stermini perpetrati dai fascisti e dai nazisti. Accostare lo sterminio nazista ad altri fenomeni di uccisione di massa avvenuti con differenti modalità, tecniche ed in altri contesti è uno dei principali metodi utilizzati dal negazionismo, quello vero, per sminuire i crimini nazifascisti.

Resta da precisare che questa ricorrenza ha avuto ripercussioni significative sui rapporti con Croazia e Slovenia, tanto da generare una grave crisi diplomatica con quei paesi, che spinse il presidente Napolitano, in occasione della ricorrenza del 2009, a precisare: “questo riconoscimento umano e istituzionale non ha nulla a che vedere col revisionismo storico, col revanscismo e col nazionalismo […] la memoria che coltiviamo innanzitutto è quella della dura esperienza del fascismo e delle responsabilità storiche del regime fascista, delle sue avventure di aggressione e di guerra”. Infine, per quanto riguarda i comunicati emessi in questi giorni da un paio di componenti della destra neofascista, preferiamo non entrare nemmeno nel merito. Sarebbe tempo perso.

Assemblea Antifascista Bassanese – Spazio Sociale La Deriva



(english / italiano)

COSI' LA FEDERAZIONE RUSSA INVASE L'UCRAINA


In dicembre alcuni deputati ucraini avevano sottoposto al senatore USA Jim Inhofe prove inequivocabili della criminale invasione di carri armati della Federazione Russa: si tratta di fotografie degli eventi in Ossezia del Sud (2008), opportunamente truccate.
Il legittimo presidente di questo grande paese democratico che è l'Ucraina, Petro Poroshenko, ha allora pensato bene al summit di Monaco di Baviera di presentare una ulteriore e più forte evidenza: ha sventolato davanti alle telecamere passaporti russi che sarebbero stati presi ai soldati invasori. Alla richiesta formale della Federazione Russa di visionare le copie dell'interno dei passaporti, le autorità europeiste di Kiev hanno fatto orecchie da mercante. 
A scongiurare allora il pericolo che le chiacchierate di Minsk abbiano qualche effetto nella direzione della pace in Europa, in questi giorni gli organi di stampa anche italiani [ http://www.ilmessaggero.it/PRIMOPIANO/ESTERI/ucraina_carri_armati_russi_invadono/notizie/1176890.shtml ] stanno dando ampio risalto all'annuncio del portavoce delle forze armate ucraine, Andrii Lisenko, secondo cui stavolta «il nemico [sic] continua a rafforzare le sue posizioni a nord nella regione di Lugansk ... nella notte del 12 nella zona di Izvarino hanno attraversato il confine russo-ucraino circa 50 carri armati, 40 complessi missilistici Grad, Uragan e Smerch, e 40 blindati». Stavolta ci possiamo mettere la mano sul fuoco. (a cura di IS)


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Poroshenko presents 'proof of Russian involvement' in Ukraine war at Munich Security Conference (RT, 7 feb 2015)
While addressing the Munich security conference, Ukrainian President Petro Poroshenko held up five red Russian passports and one military ID he claimed had been discovered on Ukrainian territory, citing them as the “best evidence” of Russian troop presence in Ukraine...

‘Political comedy’: Poroshenko’s ‘Russian army evidence’ raises eyebrows (by Bryan MacDonald - February 08, 2015)
Ukraine's President Petro Poroshenko holds Russian passports to prove the presence of Russian troops in Ukraine as he addresses during the 51st Munich Security Conference at the 'Bayerischer Hof' hotel in Munich February 7, 2015...

Moscow demands copies of ‘Russian soldiers IDs’ shown in Munich (February 08, 2015)
The Russian Foreign Ministry says Kiev is reluctant to hand over copies of what it claims to be documents, proving Russian military presence in Ukraine...

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http://rt.com/news/232067-fake-photos-russian-army/

Busted: Kiev MPs try to fool US senator with ‘proof’ of Russian tanks in Ukraine (PHOTOS)

Published time: February 13, 2015


MPs in Kiev hoodwinked a US senator, presenting his office with photos of columns of Russian military hardware allegedly roaming Ukrainian territory. The photos turned out to have been taken during the conflict in South Ossetia back in 2008.
The photos were “presented to the Armed Services Committee from a delegation from Ukraine in December,” told The Washington Free Beacon Senator Jim Inhofe’s communications director Donelle Harder.
The Americans planned to publish the photos with credits to the Ukrainian MPs, and “they were fine with that,” the spokesperson said.
Yet, after thorough checking, images of the Russian convoys turned to be taken years ago, in 2008 during Georgia - South Ossetia war.
“We are currently making calls to our sources,” Harder said.
“The Ukrainian parliament members who gave us these photos in print form as if it came directly from a camera really did themselves a disservice,” Senator Inhofe said in a statement.
“I was furious to learn one of the photos provided now appears to be falsified from an AP photo taken in 2008,” the lawmaker wrote.
At the same time the revealed forgery “doesn’t change the fact that there is plenty of evidence Russia has made advances into the country with T-72 tanks and that pro-Russian separatists have been killing Ukrainians in cold blood,” the US senator maintains.
The list of members of the Ukrainian delegation that attempted to fool Senator Jim Inhofe does not include high-ranking Ukrainian officials, with probably the sole exception of the commander of the Donbass volunteer battalion Semyon Semenchenko, who visited Washington demanding arms and training for his servicemen.
The Washington Free Beacon said it “regrets the error,” and claims it has obtained new “exclusive” photos of “Russian military forces have been more involved in the arming and training” of the eastern Ukraine self-defense militia. The new photos, allegedly “taken between August 24 and September 5 in the midst of a Russian-backed incursion into Eastern Ukraine … clearly display Russian troops entering Ukraine with advanced military hardware and weapons.”
Senator Inhofe expressed the hope that the new, particularly graphic images, could “act as a wake-up call to the Obama administration and American people” and push the US Congress to back up Senator Inhofe’s bill to supply the Ukrainians with American lethal aid.
Having compared Russians with Islamic State (also known as ISIS, or ISIL), Senator Inhofe said that Ukrainian troops “don’t have anything to defend themselves against these [Russian] tanks,” and called on Congress to give “them the equipment and the weaponry they need.”
“The Obama admin is so slow to recognize” and identify the problems “taking place around the world,”Inhofe said. “They just don’t want people to believe these things are happening,” he acknowledged, adding: “There’s no better way to do that and draw attention to it than letting people see these pictures.”
Writer and journalist John Wight has told RT that the West has to ramp up the demonization of Russia to influence public opinion.
"There is a policy agenda with regard to Russia, with regard to NATO expansion, with regard to the expansion of the EU, with regard to isolating Russia – and everything is tailored to fit that policy agenda, including the truth. So anything that can be done to enlist support, the key determining factor of course is public opinion both in the UK and the US in particular, which has just had a decade of war. The public is war weary. So they have to ramp up the demonization of Russia. They have to fabricate Russia’s intentions and Russia’s actions in order to enlist that support of public opinion when it comes to possibly intensifying the conflict, which I fear we are in danger of seeing happen."







RAI AZOV 24


RAI AZOV 24
La versione integrale della mia lettera sul Fatto di oggi:

L'ineffabile inviata di Rai news 24 Lucia Goracci ci aggiornava ieri sulla situazione ucraina da Kramatorsk. Vicino all'inquadratura della nostra Lucia con microfono a gelato di ordinanza in mano scorrevano, in un riquadro più grande, immagini di militari in azione. Immagini filmate e firmate, con tanto di emblema fisso,in risalto su l'angolo in alto dell'inquadratura, dal famigerato battaglione Azov della Guardia Nazionale Ucraina. Lo scudo con il simbolo delle ss incrociate a mo' di svastica sul sole nero nazista. Lo stesso simbolo (detto dente di lupo) della divisione SS Das Reich nella seconda guerra mondiale alla quale l'Azov si ispira. Non un commento, non un cenno, da parte della giornalista o della redazione di Rai news sulla provenienza del video, né tantomeno su cosa il battaglione Azov sia. Nonostante, in un dettagliato rapporto, Amnesty International abbia denunciato violazioni di diritti umani e crimini di guerra perpetrati proprio dall'Azov. Del resto se gli USA si apprestano ad armarlo ulteriormente ed ad addestrare i suoi miliziani perché dovremmo scandalizzarci che la TV di stato italiana mandi tranquillamente in onda i suoi filmati di propaganda neonazista? À la guerre comme à la guerre. À la Goracci comme à la Goracci. 

Vauro Senesi
Il Fatto Quotidiano, 12/02/2015





Il testo seguente in lingua italiana:
Lettera a Frau Dorothea Angela Merkel dai reduci della Battaglia di Stalingrado
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Ветерани Стаљинграда: "У Европи поново лута дух - дух фашизма"

ИА " Волга - Медија" објављује пуну верзију " живих слова Ангели Меркел:


Запамтите, данас у току конференције "Лекције Победе", која је завршена пре неколико сати у Волгограду, Стаљинградски ветерани и учесници Великог отаџбинског рата, потписали су и послали поруку немачкој канцеларки. Поруку је одобрио шеф Волгоградске области Андреј Бочаров, снажно осуђујући величање нацизма и обезвређивање историјских чињеница које су сада одвијају у Европи.

Шест прослављених становника Волгоградске области, поштованих и познатих широм света, обратили су се Ангели Меркел и лидерима других европских земаља, подсећајући на мрачну историју 20. века, која је пренела свету неколико великих лекција.

"Писмо живих", које следи, су потписали Максим Матвеевич Загорулко, Александр Иванович Колотушкин, Мария Васильевна Соколова, Михаил Васильевич Терещенко, Евгений Федорович Рогов и Александр Яковлевич Сиротенко.

 

Поштована госпођо Меркел!

У години 70. годишњице победе над нацизмом, ми, ветерани тог страшног рата и учесници њене најстрашније битке, надзиремо, како у Европи поново лута дух - дух фашизма. У овом тренутку, легло нацизма је Украјина, где се од идеологије ултранационализма, антисемитизма и мизантропије прешло на праксу - на физичко насиље, уништавање дисидената, убиства људи заснована на етничкој мржњи, одбацивања других култура.

Пред нама су познате слике: поворка са бакљама, младићи у униформама са нацистичким беџевима, показујући рукама нацистички поздрав, заштићену државну полицију нацистичке параде у центру Кијева, изјаве о инфериорности појединих народа. Све ово смо већ видели и знамо ка чему води.

У Украјини, браон куга која тиња и која се загрејава последњу деценију, је избила и довела до крвавог грађанског рата. Нацистичке формације, као што су "Прави сектор", такозвана "Национална гарда", бројни неформални али добро наоружани батаљони типа "Азов", уз подршку украјинске војске, војне авијације и тешке артиљерије, систематски уништавају становништво на истоку Украјине. Убијају невине људе само зато, што они желе да говоре на свом матерњом језику, због тога, јер су другачијег мишљења о будућности своје земље, због тога, јер они не желе да живе у земљи у којој владају Бандеровци.

Ови следбеници тзв. "Украјинске ослободилачке војске", која се, да Вас подсетим, госпођо Меркел, борила током Другог светског рата као део Вермахта и такође СС дивизије "Галиција", посебно у масакрима совјетских Јевреја, имају уздизање својих идеолошких очева и дедова. Имена нацистичких злочинаца носе називи улица градова Украјине! Историју 20. века у Украјини преписују управо сада! Да ли је потребно се дивити тренутним Бандеровцима са фанатичним одсјајем у очима, који су познати нама лично, ветеранима, на фронтовима Другог светског, у бици код Стаљинграда, заслепљени мржњом, позивају да се избрише Донбасс са лица земље, уништавају становништво на истоку своје земље!? Постоје документарни докази о томе како су људи једноставно убијени зато што су носили траку Светог Георгија - симбол победе над фашизмом.

Истина је, госпођо Меркел, да се у Украјини дешава бујање нацизма! Ово нису неке антисемитске примедбе у парламенту и нису чланци о супериорности једне расе над другом. То су потпуни и крвави злочини, у којима се већ број жртва броји у стотинама и хиљадама.

Али Запад заузима веома чудну позицију која је нама нејасна. Може се тумачити као да одобравају украјински нацизам. То је тако јасан положај Европе у Украјини и ево како почињу да виде руски народ.

И желимо да знамо, шта каже немачки народ са висине свог националног историјског искуства о томе.

Важно је да знамо Ваше мишљење, мишљење вође једне велике нације, која се некада разболела од те болсети, али се по цену страшних жртава, излечила од ње. Ми знамо, како се у Вашој земљи боре са било којим испољавањем нацизма. И верујте, ми то ценимо. Теже за нас да разумемо, зашто, темељним чишћењем евентуалне клице нацизма у Вашој земљи, Ви допуштате велике размере његовог испољавања у другим деловима Европе?

Зашто европски лидери марширају у знак подршке француским карикатуристима који су убијени од стране исламских терориста, али не марширају против фашизма у Украјини? Зашто у овим маршевима учествује шеф државе, наредивши уништење сопственог становништва? Зашто 12 француских жртава заслужују пажњу, а хиљаде убијених руских и украјинских - не? Да ли знате, колико је деце убијено у источној Украјини разбојника са нацистичком свастиком на форму? Да ли желите да сазнате о томе? Ми ћемо Вам дати ову информацију ако је већ не поседујете. Зашто европска нација мирно гледа на масовно насиље у Украјини? Или једноставно о овоме не говоре у вашим медијима? Шта је онда њихова ноторна независност? Независност од чињеница? Од истине? Шта је права сврха Ваших економских санкција? Подршка нацизму у Украјини? Или једноставно лишавање вредности наших пензија, које примамо као учесници Другог светског рата?

Поштована госпођо Меркел, мрачна историја 20. века нам је предала неколико лекција:

1. Преписивање историје -директан пут ка нацизму.
Од тога су почели сви европски фашистички режими 20-их и 30-их година. Тим путем је кренула и Украјина: од преписивања школских уџбеника из историје ка масовном рушењу совјетских споменика. Врхунац лажи је била изјава Украјинског премијера, Јацењука, немачким медијима о "инвазији СССР у Немачкој и на Украјину!" Желели бисмо да знамо Ваше мишљење о томе, мишљење лидера земље, где се негирање Холокауста, осуђује на затвор.

2. Трагање за кривцима -манифестација нацизма.
Фашистички режими отписати све неуспехе у земљи у одвојене групе - етничке, социјалне, верске. У раним годинама у том својству су били Јевреји и комунисти. У данашњој Украјини, кривцима су именовани Руси, Русија у целини и становништво на истоку земље.

3. Када се нацизам појави у једној земљи, онда ће куга ићи по целом свету.
Не можете промовисати нацизам у једној земљи, и мислити, да ће он остати у оквиру њених граница. Талас нацизма ће се проширити на све, прелазећи све државне границе. Зато су нацизам назвали "браон куга". Нацизам мора бити заустављен на далеком приступу, иначе ће доћи и у Ваш дом.

4. Нацизам се не може игнорисати, с њим се може само борити.
Ако неко мисли да украјински нацизам једноставно могу окренути, игнорисати га, то је веома погрешно. Природа нацизма је таква, да чак сопствено игнорисање, он доживљава као промоцију, као манифестацију своје моћи. Нацизам није локални, он може само да расте и да се развија! Стога, једини начин супростављања нацизму - јесте сурова и активна борба против њега.

5. Најважније оружје у борби против нацизма у његовим раним фазама - истина.

Истина побеђује нацизам. Показујући мизантропску суштину нацизма, која је изражена у његовој идеологији, изјаве његових присталица, у конкретним обрачунима са људима, ми се боримо против нацизма као таквим. Историјска истина – најбоље превентивно средство против нацизма. Ако не би од младих Украјинаца, држава сакривала праву историју њихове државе и народа, присталице нацизма у Украјини биле би бројно мање. Савремени медији играју важну улогу; они могу или да формирају нацизам, или да му се супроставе.

Поштована госпођо Меркел!

У Русији, као наследници Совјетског Савеза, постоји посебна историјска мисија. Пре 70 година смо докрајчили нацизам у Европи, који је однео са собом страшне жртве у том рату. Ми лично, Стаљинградци, надљудским напорима смо променили ток историје. Не само наше, већ и европске, светске. И ми не можемо да допустимо обнављање нацизма. Штавише, на дохвату нам је руке! Ми смо се борили и борићемо се против овог зла. И предлажемо Вама да се боримо заједно против њега!
Један легендарни и вољени глумац нашег играног филма, који се појављује као прототип стварног живота нацистичког шефа, по сижеу филма, је рекао:"Чим негде уместо речи "здраво" кажу "Хеил" ... требало би да знате: тамо нас чекају, одатле ћемо почети свој велики препород."
Госпођо Меркел, у Украјини се "Хајл" чује свуда, отворено и скоро уз подршку власти. Време је да се заустави овај зли све европски свет! Ми се искрено надамо, да ће немачки народ, као и сви други народи Европе, заједно са руским народом, угушити рептила у корену!

Фашизам неће проћи! Нека живи мир!






Giorno del Ricordo 2015, alcuni testi

1) Angelo D'Orsi: Giorno del ricordo e speculazione antistorica
2) Noi Saremo Tutto: Foibe e “esodo” italiano: archetipi del “revisionismo storico” su Guerra e Resistenza
3) Giuliano Calisti: Ringraziando Sanremo nel Giorno del Ricordo
4) FLASHBACK – Piero De Sanctis: La Nera e la vera storia delle Foibe (2003)


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Sullo stesso tema, del prof. Angelo D'Orsi si legga anche:
10 febbraio, la Giornata del Ricordo e il revisionismo sulle foibe (2010)

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10 febbraio

Giorno del ricordo e speculazione antistorica


di Angelo d’Orsi

Ed eccoci, di nuovo, a pochi giorni dal “Giorno della memoria”, al “Giorno del ricordo”, istituito dal II Governo Berlusconi nel marzo 2004, e divenuto legge, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale il 13 aprile di quell’anno. Sebbene la legge parli, testualmente, di un giorno “in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati", nel discorso corrente si richiamano soltanto le foibe. 

Quest’anno la notizia è doppia: la prima concerne Roma,dove, addirittura in anticipo rispetto alla ricorrenza, si è inaugurata una “Casa del Ricordo”, con grande solennità, alla presenza del presidente della Giunta Regionale, Nicola Zingaretti, e di due assessori dell’Amministrazione comunale, uno dei quali ha pure la delega del sindaco “alla Memoria”. La seconda notizia, più o meno di rito, è la circolare inviata dalla ministra dell’Istruzione Università e Ricerca, la signora Giannini (che ha appena lasciato il gruppo parlamentare di “Scelta civica”, dove pure occupava posizione eminente, addirittura di “portavoce”, per approdare al più promettente Gruppone del PD). 

La circolare è un interessante documento di ignoranza della storia, un dato diffuso, come si sa, ma che suscita un moto di fastidio supplementare, provenendo da chi rappresenta istituzionalmente il dovere di “istruire” la popolazione. Tanto più che la signora Giannini risulta, professionalmente, essere una docente universitaria: è vero, la sua qualifica è professore (ordinario, naturalmente) di Glottologia e Linguistica e probabilmente non si ritiene tenuta alla conoscenza della storia, ma forse avrebbe potuto incaricare qualche suo collaboratore di un approfondimento, anche assai sommario, sui risultati recenti della ricerca sulle vicende accaduta nelle “terre orientali”, tra il 1943 e il 1947, e anche oltre. Avrebbe potuto e credo dovuto per evitare di riproporre luoghi comuni, rovesciamenti della verità storica, e cedimenti inquietanti al revisionismo: tutto ciò non in una chiacchiera da salotto, bensì in un documento ministeriale.  

La ministra ha invitato tutti i dirigenti scolastici a ricordare, appunto, le vittime delle Foibe (scritto con la maiuscola), e “la tragedia dell’esodo che colpì più di 300mila persone”. Ma la ministra dimentica che quell’esodo faceva parte dei trattati di pace imposti a una nazione sconfitta, il cui onore era stato, in parte, salvato solo dai partigiani combattenti nella Resistenza. E dimentica altresì che la “vendetta” (se così vogliamo dire) esercitata dai soldati di Tito, in quella che viene chiamata “la tragedia delle foibe”, aveva un pregresso: la ferocia dell’occupazione italiana. Fa parte insomma di ciò che si etichetta a livello europeo, dopo la guerra, come “resa dei conti”. 

Non dimentichiamo, inoltre, che secondo i canoni del razzismo fascista, gli slavi costituivano una sottoumanità, poco al di sopra degli ebrei, dei sinti e dei rom. E dunque ogni nefandezza era considerata lecita. E di nefandezze gli italiani in Jugoslavia ne commisero tante, suscitando un odio esteso e profondo, in una popolazione che pagò un prezzo di oltre un milione di morti alla guerra nazifascista. Quanto all’esodo, si tratta di una pagina evidentemente amarissima per quelle famiglie di connazionali, anche per la poco lieta accoglienza nella patria d’origine: l’Italia era stata ridotta dalla guerra di Mussolini a una situazione di tragico marasma e accogliere e sistemare 300/350.000 persone in quella circostanza non era cosa facile. Ma va di nuovo acceso un riflettore sul contesto. Gli esodi di massa furono la norma nel riassetto del Continente a partire dalla fine della guerra: solo in Germania dovettero sloggiare oltre dieci milioni di persone. Dunque quello dall’Istria e Dalmazia fu, in termini storici, un episodio modesto, che comunque rientrava negli assetti stabiliti dai trattati.  

La ministra, a quanto pare ignara di tutto ciò, nel clima culturale determinato da un pesante senso comune revisionistico o rovescistico, ritiene corretto presentare le cose nei medesimi termini in cui vengono presentate dalla destra revanscista, a cui, quasi sempre, le Associazioni di esuli (a cui fa esplicito riferimento, come bacino culturale per ricordare quegli avvenimenti, la ministra nella circolare), sono prossime. 

E in effetti le manifestazioni di cui ho avuto notizia sembrano comprovare un orientamento ben poco attento alla storia, ma molto alla propaganda. Vengono invitati relatori di Casa Pound o anche quando si tratta di studiosi seri, si presentano i fatti in modo distorto, fornendo cifre a vanvera, e non si spiega che gli “infoibati” erano sovente persone decedute nei combattimenti, o fascisti militanti giustiziati. 

Certamente ci furono abusi, eccessi, episodi di ferocia: il programma TV Mixer di Minoli che nel 1991 aveva “lanciato” il tema delle foibe, parlò di “decine di migliaia”, panzana ridimensionata in una più recente puntata dell’altro programma di Minoli, La storia siamo noi: in realtà si trattò complessivamente di qualche migliaio di individui, buona parte dei quali deceduti, e gettati in quelle cavità naturali del terreno, a guisa di tombe. Poco edificante, certo, anche se si trattava di morti; ma non sempre era possibile dare “cristiana sepoltura” a quei corpi. La loro memoria non viene certo onorata, con la turpe, macabra speculazione politica che ogni anno, in febbraio, puntualmente, si riaffaccia, resa legale da una legge dello Stato, e legittimata da interventi improvvidi e disinformati di qualche politico in cerca di consensi.  

(10 febbraio 2015)


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Foibe e “esodo” italiano: archetipi del “revisionismo storico” su Guerra e Resistenza


Come si chiamava quel contadino che mi accolse nella catapecchia ricostruita sempre più misera dopo che gli ustascia per sei volte l’avevano incendiata? Era un uomo, che parlava serbocroato. Fascisti che parlavano italiano gli avevano ucciso il fratello, trascinandolo legato per i piedi alla coda di un cavallo, sulla strada sassosa che avevo percorso poco prima. Per me, Italiano, lui che da mesi conosceva come unico cibo patate abbrustolite sulla brace e senza sale, trovò pane, latte e formaggio. E perché non toccavo il cibo offerto, pensando a suo fratello con il capo frantumato da gente della mia lingua, dopo ripetuti inviti, il contadino analfabeta di Kolaric lo disse semplicemente: mangia, compagno; quelli non erano italiani, erano fascisti. Tu sei Italiano, tu sei un nostro compagno.

Eros Sequi, combattente italiano nelle fila dell’Esercito Popolare di Liberazione della Jugloslavia

La questione delle Foibe, o per meglio dire degli “infoibati” e del cosiddetto “esodo” italiano post-bellico dalle terre balcaniche colonizzate dal regime fascista, sono vicende paradigmatiche per come sono state trattate negli ultimi decenni.

Queste infatti mostrano il tentativo di affermare una dimensione culturale confacente alle strategie di governance delle élites politico-economiche italiane, facendola discendere da una visione storica su eventi passati, “depurata” dalla sua facciata smaccatamente neo-fascista, ma chiaramente ispirata al razzismo anti-slavo e allo nazional-sciovinismo travestito da patriottismo.

“Decostruirle” non è solo un atto dovuto di verità storica, ma un fine politico in sé per chi vuole contrastare le ricadute sul fronte interno della tendenza alla guerra.

La punizione, nel caso degli “infoibati”, e l’allontanamento, nel caso degli “esuli”, sono le conseguenze della liberazione da un dominio coloniale in cui l’oppressione di classe, “razza” e genere si sono fusi in una realtà storica assolutamente non dissimile dagli altri colonialismi, nonostante il mito degli italiani brava gente venga ancora perpetrato nella cultura nazional-popolare.

Un aspetto poco conosciuto è lo scontro che si consumò in quelle terre tra “compatrioti” provenienti dall’ex impero zarista, un angolo visuale che da la cifra dell’asprezza del conflitto sul “confine orientale”, e ribadisce il carattere “internazionalista” della Resistenza.

Lo storico Mikhail Talalay, autore di: Dal Caucaso agli appennini. Gli azerbaigiani nella Resistenza italiana (Roma 2013), parlando di una trappola tesa da cosacchi collaborazionisti del generale Vlasov ad un combattente sovietico inquadrato nelle file dei partigiani come perlustratore, Taghi Alizade, compagno che venne torturato a morte vicino a Trieste nell’inutile tentativo di estorcergli notizie su suoi compagni, fa queste considerazioni illuminanti:

Simili episodi autorizzano a pensare che si stesse affacciando, dopo un quarto di secolo, una nuova fase della guerra civile imperversata in Russia negli anni 1917-1920: ancora gli anticomunisti, i bianchi, ora uniti con gli occupanti tedeschi, combattevano contro i comunisti, i rossi, ora uniti ai partigiani italiani. Gli scontri tra compatrioti furono contraddistinti da una particolare ferocia: sappiamo ad esempio che nella primavera del 1945 i soldati sovietici del battaglione Stalin in Friuli lapidarono i cosacchi prigionieri affermando che fosse un peccato sprecare i proiettili. Dall’altra parte, un gruppo di cosacchi, dopo avere ucciso dei legionari caucasici georgiani che si erano uniti ai partigiani, oltraggiarono i corpi disponendoli in figura di svastica.

Il contributo degli italiani nella resistenza titina, viene completamente rimosso, sempre per negare il carattere internazionalista della guerra partigiana al nazi-fascismo, e consolidare il paradigma nazionalista in cui si cerca di collocare questi fenomeni, rinfocolando ancora oggi pre-fabbricate e fascistissime inimicizie “etniche”, se si pensa che nell’ottocento le camicie rosse dell’esule di Caprera combatterono in Erzegovina.

Più di 40.000 italiani si batterono tra l’estate del 1943 e la primavera del 1945 nei Balcani, dando vita a reparti di guerriglia nazionalmente riconosciuti dall’Esercito popolare di liberazione Jugoslavo, e più di 20.000 diedero la vita tra le fila delle più conosciute divisioni ‘Garibaldi’ in Montenegro, a quelle dei battaglioni ‘Matteotti’ e ‘Garibaldi’ , poi brigata ‘Italia’ in Dalmazia e in Bosnia, insieme a tante altre esperienze “minori”.

Furono Fratelli di sangue, come s’intitola il libro di Aldo Bressan e Luciano Giurin (Rijeka 1964), sul contributo degli Italiani alla guerra popolare di liberazione della Jugoslava in Venezia-Giulia Slovenia ed in Istria-Fiume, dall’introduzione del quale è presa la citazione iniziale.

Il tentativo compiuto con l’operazione foibe e esodo italiano, non completamente realizzato, ha voluto affermarsi attraverso la riabilitazione di alcuni aspetti centrali  del fascismo storico (sia squadrista che di regime) e alcuni elementi identitari costitutivi della nascita del neo-fascismo nel dopoguerra. Ha sovrapposto le menzogne di guerra passate a quelle presenti funzionali alla distruzione della Jugoslavia. Tutto questo è stato fatto allora per legittimare la propria politica bellicista nei confronti dei Balcani, incominciando a “fare i conti” con i valori “progressisti” della Resistenza per attuarne una revisione radicale del portato, aspetti per cui non c’era più spazio nel nuovo corso politico-sociale, come la revisione dei dettami costituzionali ha poi clamorosamente mostrato.

Grazie alla tenace opera di un gruppo di agguerriti storici militanti e di una rete variegata e informale di militanti politici di base la questione legata prima al colonialismo italiano durante il periodo fascista nelle terre agognate dall’irredentismo, poi all’occupazione italiana dei Balcani e contestualmente alla lotta di liberazione in quelle terre e delle sue inevitabili conseguenze post-belliche, non è prevalso completamente un arrogante “revisionismo storico”.

Ciò non toglie che il patrimonio classico del neo-fascismo durante la Prima Repubblica – riguardo alle foibe e all’ “esodo” – è stato fatto proprio dall’arsenale ideologico della sinistra istituzionale con responsabilità governative o ad essa subordinata, imponendo una narrazione storica egemone anche tra le file del “popolo della sinistra”.

Questa battaglia culturale, centrale nell’affermazione della “Seconda Repubblica” ha ben presto oltrepassato i perimetri del dibattito storiografico, ma è diventata una lotta a tutto campo, mirante a riabilitare di fatto aspetti tutt’altro che secondari del Ventennio Fascista, delegittimare una porzione importante della lotta al nazi-fascismo, scardinare le basi etico-politiche fondanti la Federazione Jugoslava e di riflesso puntare al superamento della dialettica fascismo-antifascismo nel dibattito e nella prassi politica italiana, di fatto sdoganando la feccia fascista.


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RINGRAZIANDO SANREMO NEL GIORNO DEL RICORDO

Oggi è il "giorno del ricordo", ma pochi sanno cosa si ricordi in questo giorno.
Era il 10 febbraio del 1947, quando con il Trattato di Parigi, si stabilliva tra le altre cose, che l'Italia avrebbe dovuto risarcire la Jugoslavia per gli enormi danni arrecati con l'ivasione fascista nel luglio del 1941, oltre che restituire alla stessa, le terre strappatele con l'occupazione e coi crimini di guerra: questo è quel che accadeva in quel 10 febbario, non certo la "scoperta" delle alcune migliaia di morti nelle foibe.
Dunque il 10 febbraio dovrebbe essere la celebrazione, della sconfitta definitiva del nazifascismo e della restituzione al popolo jugoslavo di quello che gli spettava, cioè risarcimenti e terre, salvo purtroppo le vite perse a casua della guerra.
Celebrazione in ricordo delle decine di migliaia di soldati italiani che parteciparono alla Resistenza al fianco dell'esercito Jugoslavo contro il nazifascismo, contribuendone alla caduta.
Ed invece questo giorno è divenuto l'occasione per trasformare eventi drammatici, come le uccisoni di Italiani, collusi col fascismo ma anche no,nelle foibe istriane, come una pietra di paragone buona per criminalizzare una potenza alleata antifascista come la Jugoslavia, ed un intero movimento partigiano; è diventato persino la valvola d'ossigeno per il neoirredentismo, o per chi considera punitivo per l'Italia il trattato di pace del 1947.
Ricorda lo storico ed amico Davide Conti, che la Francia ha stabilito un giorno in più oltre a quello della memoria del 27 gennaio: cioè il 16 luglio, riferendosi al 1942 quando avvenne la deportazione degli ebrei parigini con l'avallo del regime collaborazionista di Vichy.
Ebbene in Italia il giorno da istituire,  oltre a quello della memoria della Shoah c'è, ed è il 16 ottobre, in riferimento al rastrellamento nel ghetto di Roma ad opera dei nazifascisti nel 1943: purtroppo però la proposta è stata bocciata già suo tempo dal nostro Parlamento, che invece, bipartizan, ha istituito il giorno del ricordo, tra laltro pericolosamente vicino al 27 gennaio, contribuendo tra l'altro a far diventare,nell'immaginario collettivo, qualunque strage compiuta una  "pulizia entica", a prescindere dalla scala e dalla modalità.
 A questo punto, l'emigrazione degli Italiani dalla jugoslavia in Italia, per motivi probabilmente comprensibili dato il clima sociale del tempo, diventa ovviamente un esilio forzato, salvo poi ignorare che in quelle terre rimase una comunità di Italiani ai quale nessuno torse un capello. 
Il 10 febbraio è diventato dunque anche strumento col quale i neofascisti italiani possono equiparare le responsabilità di quei gruppi partigiani responasbli dei crimini delle foibe, con quelle del Nazismo e del fascismo, che invece, come per l'olocausto,  o la distruzione di intere nazioni,furono caratterizzate da una scala e da una modalità che ne fecero il crimine dei crimini, e che nulla ha a che vedere con le foibe. Ma ormai tutto è uguale a tutto: vincitori e vinti non c'è differenza, aggressori o vittime, fa lo stesso.
 Non è un caso se l'arma preferita dei negazionsiti dell'olocausto sia prorio la minimizzazione delle responsabilità e delle sue dimensioni: del tipo, "ebrei morti ammazzati è vero, ma senza camere a gas". Vedete quindi quanto sia importante la dimensione degli eventi.
Ora c'è da augurarsi che il neopresidente Mattarella, abbia fatto molta attenzione alle persone che gli hanno fatto incontrare durante queste celebrazioni: la Repubblica Italiana, al tempo di Napolitano, ha infatti concesso un'onorificenza ai parenti di un supposto infoibato, che in realtà, come dimostrano i documenti presso la Fanesina ( e cito sempre lo storico Conti), era stato condannato e giusitziato dal tribunale Jugoslavo perchè riconosciuto crminale di guerra, altro che infoibato. 
Allora, in attesa che si stablisca il giorno del ricordo del 6 aprile del1941, quando l'Italia fascista invase la Juoslaviastasera per fortuna potrò guardare il festival di Sanremo, piuttosto che vedere il TV per l'ennesima volta la foto degli Italiani che fucilano i 5 civili sloveni, contrabbandata  come prova delle violenze degli jugoslavi di Tito, senza mostrare così tra l'altro il minimo rispetto ai morti nelle foibe;o peggio, vedere qualche intervista in tarda serata di veri testimoni delle violenze di Tito, ma che però non fanno certo la storia. 
 
Saluti e buona visione.

Giuliano Calisti


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http://www.comunisti-italiani.it/2015/02/10/la-nera-e-vera-storia-delle-foibe/

LA NERA E LA VERA STORIA DELLE FOIBE


Con periodicità cronometrica ritorna il problema delle foibe e dei profughi istriani che fascisti e neofascisti hanno sempre impunemente agitato per fini demagogici nascondendo agli italiani la verità storica. Questa volta è il turno del neofascista Fini che a nome del governo italiano prende l’impegno solenne di ricordare quei profughi e insieme i caduti delle foibe, istituendo una giornata ufficiale di rimembranza (il 10 febbraio) in modo che questa tragedia, a suo dire, non si ripeta mai più. Così Fini, ignorando volutamente più di venti anni di orrori e massacri perpetrati dai fascisti e dai nazisti verso quelle popolazioni, si presenta lindo e pinto agli italiani di oggi e alle nuove generazioni che di quegli avvenimenti non hanno mai sentito parlare. Ma vediamo come sono andate le cose. Con la fine della prima guerra mondiale l’Italia ottenne con il Trattato di Rapallo del 12 novembre 1920, tutta l’Istria fino a Monte Nevoso, Zara e l’isola di Lagosta; mentre Fiume fu dichiarata città libera sia dall’Italia che dalla Jugoslavia. Ancor prima della firma del Trattato di Rapallo, la popolazione dell’Istria, composta per circa il 65% da croati e sloveni in prevalenza contadini e operai, si trovò di fronte allo squadrismo italiano in camicia nera, parzialmente importato da Trieste dove si manifestò con particolare aggressività e ferocia.

Gli episodi del 13 luglio 1920 durante i quali gruppi di nazionalisti e fascisti, sostenuti e finanziati da armatori triestini, devastarono la tipografia del giornale “Edinost”, gli studi di numerosi professionisti sloveni le sedi della Banca Adriatica, della Banca di Credito di Lubiana, della Cooperativa per il Commercio e l’Industria e della Cassa di Risparmio Croata, segnarono l’inizio di una dura e violenta politica di oppressione e pulizia etnica che  perseguì ininterrottamente  per tutto il ventennio nei confronti delle popolazioni slave, slovene e croate. Fu l’inizio di un’opera di snazionalizzazione violenta e capillare di italianizzazione e di fascistizzazione della Venezia Giulia. Erano questi gli anni in cui lo “squadrismo nero” in Italia dilagava in tutta la sua efferatezza, appoggiato dalle forze di polizia e dalle Guardie Regie.

Nel solo primo semestre del 1921 furono operate, in Italia, dalle squadre fasciste più di 800 distruzioni: 119 Camere del Lavoro, 17 giornali e tipografie, 59 Case del Popolo, 107 cooperative, 83 leghe contadine, 8 società di mutuo soccorso, 141 sezioni socialiste, 100 circoli di cultura, 10 biblioteche, 28 sindacati operai, ecc. Nella Venezia Giulia le aggressioni e gli assalti da parte di squadre fasciste contro sedi operaie e slave si moltiplicarono: dopo l’incendio del “Balkan”, venne devastato ed incendiato il “Norodni Dom” di Pola, vennero date alle fiamme le case dei villaggi di Krnica e di Mackolje. Nel complesso 134 furono gli edifici della Venezia Giulia distrutti fra il 1919 ed il 1920. Mussolini scriverà sul “Popolo d’Italia” del 24 settembre 1920: “in altre plaghe d’Italia i Fasci di combattimento sono appena una promessa, nella Venezia Giulia sono l’elemento preponderante e dominante della situazione politica”. (Foibe e Deportazioni: Quaderni della Resistenza n 10 a cura del Comitato Regionale dell’Anpi del Friuli-Venezia Giulia). Dopo la presa del potere politico da parte di Mussolini i misfatti nell’Istria si intensificarono fini ad assumere la forma di un preciso programma “legale” di snazionalizzazione nei confronti dei circa 500.000 sloveni e croati che il suddetto Trattato aveva destinato a vivere dentro i confini dello Stato italiano.

Furono aboliti o distrutti tutti gli enti o sodalizi culturali, sociali e sportivi della popolazione slovena e croata, sparì ogni segno esteriore della presenza dei croati e sloveni, vennero abolite le loro scuole di ogni grado, cessarono di uscire i loro giornali, i libri scritti nelle loro lingue furono considerati materiale sovversivo, con decreto del 1927 furono forzosamente italianizzati i cognomi di famiglia, migliaia di persone finirono al confino ( Tremiti, Ustica, Ponza, Ventotene, S. Stefano, Portolongone, Lipari, Favignana, ecc.), la lingua croata e slovena fu proibita nei tribunali e negli uffici e perfino sulle lapidi sepolcrali.

Centinaia e centinaia di democratici italiani, di operai, di socialisti, di comunisti e cattolici che lottarono per la difesa dei più elementari diritti delle popolazioni croate e slovene, subirono attentati, arresti, processi e lunghi anni di carcere inflitti dal Tribunale Speciale per la difesa dello Stato. Molti di loro scomparivano nel giro di una notte, probabilmente infoibati. Circa 60.000 slavi fuggirono dall’Istria la cui metà trovò rifugio nelle due Americhe. Nel tentativo di cancellare ogni identità culturale e linguistica di quelle popolazioni considerate senza storia e di razza inferiore, il fascismo ormai al potere iniziò l’opera di snazionalizzazione colpendo i quadri dirigenti e costringendo all’emigrazione funzionari pubblici, sacerdoti, maestri, intellettuali per eliminare ogni espressione di vita politica e culturale. “I maestri slavi, i preti, i circoli di cultura slavi, ecc. sono tali anacronismi e controsensi in una regione annessa da ben nove anni e dove non esiste una classe intellettuale slava, da indurre a porre un freno immediato alla nostra longanimità e tolleranza” (da “Il Popolo di Trieste” del 27 giugno 1927).

Portata a termine la distruzione di ogni vestigia della cultura e delle tradizioni slave, il fascismo si accinse ad attaccare il movimento cooperativo dei contadini. Iniziò così il programma  della loro espulsione dalle campagne avvenuta mediante l’indebitamento degli stessi contadini verso alcuni  Istituti finanziari italiani e in particolare con l’Istituto per il Risorgimento delle Tre Venezie. Tra il ’28 e il ’29 vennero sciolte le leghe delle cooperative di Gorizia, costituite da 170 cooperative di cui 70 di credito e quella di Trieste, costituita da 140 cooperative, di cui 86 di credito. Si moltiplicarono i pignoramenti e infine tutte le terre messe all’asta furono in parte rilevate dall’Ente per la Rinascita delle Tre Venezie, costituito “ad hoc” il 14 agosto 1931. In pochi anni tutti i contadini proprietari di appezzamenti di terra furono espropriati: una metà di tali appezzamenti a favore dell’Ente e l’altra metà a favore di tre agrari italiani (L. CERMELJ: L’Istria fra le due guerre. Contributi per una storia sociale, IRSML, Ediesse, Roma 1985). Infine un decreto del governo italiano (n. 82 del 07-01-1937) autorizzò l’Ente delle Tre Venezie ad espropriare qualsiasi proprietà agricola. Ma ormai la seconda guerra mondiale batteva alle porte, così che il programma di bonifica etnica rurale rimase incompiuto.

Il 10 giugno 1940 l’Italia entrò in guerra a fianco della Germania. Il 28 ottobre 1940 l’attacco fascista alla Grecia si risolse in una completa sconfitta. Il 6 aprile del ’41, 56 divisioni tedesche, italiane, ungheresi e bulgare, attaccarono da ogni parte il Regno di Jugoslavia che crollò nel giro di venti giorni. La Jugoslavia venne smembrata: la Slovenia settentrionale, più industrializzata, fu presa dalla Germania, quella meridionale, agricola, venne annessa all’Italia. La città di Lubiana fu dichiarata una  provincia italiana. Furono annesse all’Italia anche le province di Fiume, Zara e la parte centrale della Dalmazia con numerose isole adriatiche. Zara, Spalato e Cattaro costituirono il Governatorato della Dalmazia. La Croazia fu dichiarato stato indipendente e Aimone di Savoia ne fu proclamato re, mentre il governo fu affidato al boia fascista croato Ante Pavelic – rientrato in Jugoslavia al seguito delle truppe naziste – e agli ustascia che diedero subito sfogo ad ogni sorta di “pulizia etnica”. Il Montenegro divenne un Governatorato civile italiano, trasformato ben presto in Governatorato militare. Buona parte del Kossovo e della Macedonia fu invece annessa alla Grande Albania, già aggredita ed annessa all’Italia nell’aprile del ’39.

Alla spartizione militare della Jugoslavia, seguì subito quella economica e finanziaria. Il bottino maggiore toccò, naturalmente, ai tedeschi i quali si accaparrarono le migliori fonti di materie prime ed energetiche, le più grandi banche e tutte quelle zone che ritennero economicamente più importanti, secondo una proporzione che rispecchiava il grado di vassallaggio di Mussolini ad Hitler. Come era nell’aria già da parecchio tempo, nell’estate del ’41, in Croazia, esplosero nei modi più barbari e sanguinari, i massacri più efferati condotti dagli ustascia contro la popolazione serba, gli ortodossi, gli ebrei, i comunisti e gli avversari politici di tutti i tipi. Un campo di concentramento fu attrezzato a Jasenovac per la loro eliminazione fisica. Ebbe così inizio una crociata cattolica che nulla aveva da invidiare ai peggiori massacri del Medioevo. Duecentonovantanove chiese serboortodosse della “Croazia Indipendente” furono saccheggiate, annientate e molte furono trasformate in magazzini e stalle. Duecentoquarantamila serbi ortodossi furono costretti a convertirsi al cattolicesimo e circa 750.000 furono assassinati, fucilati a mucchi, colpiti con scure, gettati nei fiumi, nelle foibe e nel mare. Venivano massacrati nelle cosiddette “Case del Signore”, ad esempio duemila persone solo nella chiesa di Glina. Da vivi venivano loro strappati gli occhi, tagliate le orecchie e il naso, venivano sgozzati, decapitati o crocifissi. In un rapporto su “La situazione politica in Dalmazia”, a proposito delle stragi compiute da questi “barbari del novecento” in Bosnia, nella Dalmazia rimasta sotto Ante Pavelic, si parla di “intere popolazioni trucidate” e di “centinaia di bambini sgozzati in serie”. Anche le camicie nere, per ordine di Mussolini, si distinsero per la loro ferocia perpetrando ogni sorta di violenza. Decine di migliaia di civili furono deportati nei campi di concentramento disseminati dall’Albania all’Italia, dall’isola adriatica di Arbe fino a Gonars e Visco nel Friuli, a Chiesanuova e Monigo nel Veneto. In quei lager italiani morirono 11.606 sloveni e croati. Nel solo lager di Arbe ne morirono 4.000 circa, fra cui moltissimi vecchi e bambini per denutrizione, stenti, maltrattamenti e malattie.

In un documento del 15 dicembre 1942 l’Alto Commissariato per la Provincia di Lubiana, Emilio Grazioli, trasmise al Comando dell’XI Corpo d’Armata il rapporto di un medico in visita al campo di Arbe dove gli internati “presentavano nell’assoluta totalità i segni più gravi dell’inanizione da fame”. Sotto quel rapporto il generale Gastone Gambara scrisse di proprio pugno: “Logico ed opportuno che campo di concentramento non significhi campo d’ingrassamento. Individuo malato= individuo che sta tranquillo”. Nel marzo del ’42 il generale Mario Roatta, comandante della II Armata italiana in Slovenia (Supersloda), diramò una circolare 3/C (un libretto di circa 200 pagine compilato dal comando Supersloda contenente, tra l’altro, il “trattamento da usare alle popolazioni e ai partigiani nel corso delle operazioni”) nella quale si legge: “Il da fare ai ribelli non deve essere sintetizzato dalla formula dente per dente ma bensì da quella testa per dente”. Queste parole certamente furono tenute presenti e durante l’eccidio di Gramozna in Slovenia e quando alcune migliaia di civili “ribelli” furono falciati dai plotoni di esecuzione italiani, senza processo, ma solo in seguito a semplici ordini di generali dell’esercito, di governatori o di federali e commissari fascisti.

In 29 mesi di occupazione italiana nella sola “provincia” di Lubiana vennero fucilati o come ostaggi o durante le operazioni di rastrellamento, circa 5.000 civili, ai quali vanno aggiunti i circa 200 bruciati o massacrati in modi diversi. Novecento, invece, i partigiani catturati e fucilati. A questi si devono aggiungere altre 7.000 persone, in gran parte anziani, donne e bambini, morti nei campi di concentramento. Complessivamente oltre 13.000 persone, su 340.000 abitanti, il 2,6% della popolazione (opera citata: Quaderni della Resistenza n 10).

Nella zona nord-orientale dell’Istria, alle spalle di Abbazia, le autorità militari italiane intrapresero, all’inizio del giugno ’42, un’azione terroristica contro le famiglie dalle quali risultava assente qualche congiunto relativamente idoneo alle armi, sicchè era probabile ritenere che tale congiunto avesse raggiunto le file dei partigiani.

A seguito di ciò un comunicato del generale Lorenzo Bravarone informò che erano state arrestate e deportate nei lager italiani 34 famiglie per un totale di 131 persone. I loro beni mobili furono confiscati  e le loro case incendiate. Dodici di loro vennero passati per le armi senza alcun processo. Il 13 luglio del ’42 il prefetto di Fiume, Temistocle Testa, ordinò una feroce rappresaglia come vendetta per l’uccisione di due maestri elementari fascisti mandati dal regime a Podhum per “italianizzare” i bambini croati. Reparti di camicie nere, insieme a reparti delle truppe regolari, appoggiati da numerosi giovani fascisti di Fiume, all’alba del 13 luglio entrarono nel villaggio di Podhum, rastrellarono l’intera popolazione che fu condotta in una cava di pietre presso il campo di aviazione di Grobnico, mentre il villaggio veniva saccheggiato e incendiato.

Centinaia e centinaia di case furono distrutte, tutto il bestiame fu portato via e 889 persone di cui 412 bambini, 269 donne e 208 anziani finirono nei campi di concentramento italiani. Altri 91 uomini furono fucilati nella cava. Questo fu il vero volto del capitalismo italiano, monarchico e fascista, in Istria e nei territori jugoslavi annessi o occupati nella seconda guerra mondiale. Tra la caduta del regime fascista, 25 luglio del ’43, e l’8 settembre del ’43, i poteri passarono dai gerarchi fascisti alle autorità militari le quali continuarono ad usare gli stessi strumenti di repressione usati dai fascisti, impiegando le truppe dislocate in Istria per la lotta contro i “ribelli” della Venezia Giulia. Con il crollo del regime fascista divampò la lotta di Resistenza – già da anni preparata – slovena e croata in Istria e nel Goriziano. Fin dal tardo pomeriggio dell’8 settembre nella penisola ci fu una generale rivolta popolare che coinvolse in egual misura le popolazioni italiane nei centri costieri e quelle croate e slovene nell’interno. Le strutture militari dello Stato non opposero nessuna resistenza ( ad eccezione di Pola dove contro gli insorti e i partigiani fu aperto il fuoco per ordine del Comando di guarnigione e si ebbero tre morti fra i civili ), sicchè nel giro di pochi giorni le armi dell’esercito e dei carabinieri passarono agli insorti. Nel clima esaltante della libertà riconquistata, accompagnato da manifestazioni di rivalsa sociale, prese corpo la volontà di una vera resa dei conti con gli italiani fascisti. Già il 13 settembre cominciarono gli arresti dei gerarchi fascisti, dei podestà e di altri funzionari per ordine dei numerosi CPL. I primi massicci arresti avvennero nelle zone di Rovigno e di Albona. Tra gli errestati, che nella stragrande maggioranza era composta da gerarchi fascisti, spie e collaborazionisti, capitarono anche impiegati comunali, notabili, commercianti ritenuti sfruttatori e fascisti che non avevano grandi colpe da espiare.Ma se l’equazione, diffusa in molte località dell’Istria, italiani=fascisti non fu giusta politicamente poiché accomunava il popolo italiano con il governo fascista, essa non fu certamente dettata dal CLN di Trieste che era il principale organo politico della Resistenza italiana nella Venezia Giulia. Il Comitato popolare di liberazione, nel settembre del ’43, anzi raccomandò che la punizione dei criminali fascisti avvenisse con regolari processi, impedendo nella maniera più energica procedimenti arbitrari e vendette.

Questi sono dunque gli avvenimenti più importanti che precedettero il 25 luglio e l’8 settembre del ’43 e sui quali regna il silenzio più assoluto. Essi ci dimostrano che ancor prima dell’8 settembre  nelle foibe finirono, per opera dei fascisti di Mussolini, dei nazisti di Hitler e del fascista croato (sostenuto dalle gerarchie Vaticane e benedetto da Pio XII) Ante Pavelic, comunisti, socialisti, antifascisti e democratici, e, tra il 13 e il 25 settembre del ’43 e dopo l’aprile del ’45, ci finirono, giustamente, non solo gli sfruttatori e gli assassini fascisti italiani, ma anche i traditori del popolo croato e sloveno, i fascisti ustascia e i degenerati cetnici. Le foibe non furono che l’espressione dell’odio popolare compresso in decenni di oppressione e sfruttamento che esplose con la caratteristica insurrezione popolare rivoluzionaria. 

 

Piero De Sanctis (tratto dal numero 8 della rivista Gramsci - www.centrogramsci.it - del maggio 2003)






Vecchie e nuove mistificazioni sui numeri degli "infoibati"

0) Oggi a Trieste: Fini e Violante 17 anni dopo l'inciucio continua
1) Il lapidario di Gorizia (C. Cernigoi)
2) Basovizza: nel 1945 si scriveva:" non ci sono salme" (M. Barone)
3) "Esperti" della foibologia: 
– Lucia Bellaspiga
– Giuseppina Mellace
4) Continua la ricerca dell’infoibato che non c’è. Una proposta di legge che proroga i termini e non solo (M. Barone)


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Fonte: pagina FB de La Nuova Alabarda, 7/2/2015
DELLA SERIE: IL COLPEVOLE TORNA SEMPRE SUL LUOGO DEL DELITTO

Il 10 febbraio alle 15 al Ridotto del Teatro Verdi incontro su ”Foibe ed esodo, settant'anni dopo: riflessioni, contributi ed idee per il consolidamento della memoria nazionale”, dialogo pubblico tra Gianfranco Fini e Luciano Violante.

http://archiviostorico.corriere.it/1998/marzo/15/Violante_Trieste_con_Fini_foibe_co_0_98031513668.shtml

Corriere della Sera, 15 marzo 1998 (Pagina 1)
IERI L' INCONTRO IN UNA CITTA' BLINDATA. DURE PROTESTE DI FORZA ITALIA E RIFONDAZIONE

Violante a Trieste con Fini: foibe dimenticate per convenienza

Ieri l'incontro in una citta' blindata. Dure proteste di Forza Italia e Rifondazione Violante a Trieste con Fini: foibe dimenticate per convenienza TRIESTE - Oltre "le ferite della storia". In una citta' presidiata dalle forze dell'ordine, Luciano Violante e Gianfranco Fini parlano due ore per ricucire "la memoria strappata" delle Foibe. Il presidente della Camera invita il Paese, e la sinistra, a rileggere "pagine non lette per convenienza, anche se non ci fanno piacere". Elenca "il dolore separato" e dimenticato vissuto da Trieste durante la guerra e il dopoguerra, riconosce le "responsabilita' gravi" dei comunisti negli eccidi. Il leader di An condanna "il razzismo strisciante". Dure contestazioni da Rifondazione e da Forza Italia. * A pagina 5 Alberti, Battistini Morelli


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http://www.diecifebbraio.info/2014/07/ancora-polemiche-sul-numero-degli-infoibati-il-lapidario-di-gorizia/

ANCORA POLEMICHE SUL NUMERO DEGLI “INFOIBATI”: IL LAPIDARIO DI GORIZIA



“Sono 17 i deportati in Jugoslavia sopravvissuti”, titola il Piccolo, edizione di Gorizia, del 10/7/14, il che può indurre il lettore che non andrà ad approfondire l’articolo, a ritenere che delle migliaia di militari italiani internati in Jugoslavia alla fine del secondo conflitto mondiale solo 17 ne tornarono indietro.

In realtà i 17 sopravvissuti sono una parte del contingente di 28 finanzieri arrestati a Gorizia nel maggio 1945, e ciò viene chiarito nell’articolo, ma quello che il Piccolo non dice è che non furono gli unici sopravvissuti all’internamento nei campi jugoslavi. È vero che non si hanno cifre precise, ma se consideriamo che i ricercatori parlano di 6.000 internati (nella maggior parte militari, gli altri presunti collaborazionisti o criminali di guerra) e che dalle province di Trieste e Gorizia sparirono all’incirca un migliaio di persone (numero che comprende anche coloro che furono vittime di vendette personali, per i quali non si può attribuire alcuna responsabilità al governo jugoslavo), questo dato avrebbe dovuto essere riportato, ancorché col beneficio d’inventario, nell’articolo.

Ma tant’è. Il problema è che ciclicamente ritorna a galla la polemica sul numero degli “infoibati”, stavolta in riferimento ai deportati da Gorizia, in quanto, a seguito della pubblicazione del libro “Dal primo colpo all’ultima frontiera. La Guardia di finanza a Gorizia e provincia. Una storia lunga un secolo” di Federico Sancimino e Michele Di Bartolomeo (LEG 2014), viene reso noto che 17 dei 28 finanzieri indicati come “scomparsi” sul lapidario di Gorizia, sarebbero invece rientrati dalla prigionia in Jugoslavia.

Emblematica è la vicenda di questo monumento, unico nel suo genere. In esso sono stati inseriti 665 nomi di goriziani che sarebbero stati arrestati dagli Jugoslavi alla fine del conflitto, e scomparsi (“infoibati”, secondo la vulgata corrente o, come scrive il dottore in biologia Giorgio Rustia di Muggia, votatosi alla mistificazione storica, “massacrati dalle bande balcanico comuniste”). Negli anni ’90 l’allora vicepresidente dell’Anpi della provincia di Gorizia, Giuseppe Lorenzoni, prese in mano l’elenco e dopo un’accurata ricerca (pubblicata nel 1995) acclarò che 91 dei nomi erano “del tutto estranei alla circostanza” (caduti in guerra, partigiani, sopravvissuti…); e solo 314 erano residenti nella provincia di Gorizia. Ma già nel 1991 era stata pubblicata la foto di uno dei presunti “infoibati”, Ugo Scarpin, che indicava il proprio nominativo sul lapidario: in seguito a ciò, qualche tempo dopo il suo nominativo è stato tolto.

Lo pseudo storico pordenonese Marco Pirina, passato alla storia per la sua capacità di moltiplicare il numero degli “infoibati” (aggiungendo alle vittime reali anche partigiani uccisi dai nazifascisti, militari caduti in combattimento anche da tutt’altra parte e deportati rientrati dalla prigionia) fa un elenco di 945 scomparsi da Gorizia. Dato che la sua percentuale di errore sui 1.458 “infoibati” attribuiti a Trieste è del 64%, probabilmente non vale neppure la pena di soffermarsi sul suo elenco.

Non dovrebbe peraltro essere difficile “quantificare” il numero degli scomparsi da Gorizia nel maggio ’45: il problema piuttosto sta nella confusione che viene fatta tra “provincia” di Gorizia e Gorizia città. Perché la provincia di Gorizia nel 1945 comprendeva un’ampia superficie di territorio ora facente parte della Slovenia, come la zona di Tolmino o la Selva di Tarnova, dove i combattimenti furono accaniti e continui e causarono moltissimi morti, e ad esempio i militari del Battaglione Mussolini, o quelli della Decima Mas, morti in combattimento o dopo essere stati fatti prigionieri, possono essere inseriti nel numero degli “infoibati” di Gorizia?

Volendo limitare l’analisi alla città di Gorizia ed alle altre cittadine della provincia ora italiane, abbiamo a disposizione gli elenchi pubblicati dall’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione nel 1986 (definito “fonte negazionista e giustificazionista” dall’ineffabile dottor Rustia), che segnalano 332 nominativi a Gorizia (di cui 182 civili), su 1.918 scomparsi a causa del conflitto.

Invece possiamo prendere in esame gli atti di un procedimento penale istruito dal Procuratore militare Sergio Dini di Padova, dove troviamo un “Elenco deportati” di 508 nomi, che presumiamo riprenda i nomi degli elenchi di denuncia degli scomparsi trasmessi all’ufficio anagrafico del Comune di Gorizia, il quale avrebbe risposto in data 21/3/02. Diciamo subito che, inspiegabilmente, in questo elenco non sono compresi nominativi che iniziano con le lettere dalla R alla Z (tranne 3 con la R e 1 con la V), quindi si tratta in ogni caso di un documento incompleto. Ma di questi 508 nomi, a fronte di 228 dichiarazioni di morte presunta indicativamente tra maggio 45 e febbraio 46, abbiamo 29 persone che sarebbero morte per fatti di guerra prima dell’arrivo dell’Esercito jugoslavo, 11 morti anche diversi anni dopo (a Gorizia) e 13 cancellati dall’anagrafe perché emigrati in altre città dopo l’estate del 1945. Se l’inghippo sta nel fatto che a volte i parenti denunciavano come “deportati” dagli Jugoslavi anche parenti dei quali non avevano nessuna notizia, bisognerebbe in ogni caso stigmatizzare che tali elenchi avrebbero potuto (e dovuto) essere aggiornati un po’ prima del 2002.

La maggior parte dei nominativi però sono indicati come “irreperibili” all’anagrafe, per cui si può ritenere possa trattarsi di militari che non avevano posto la residenza in città. In tal caso è più difficile riuscire a determinare se sono deceduti in prigionia o sono rientrati, anche perché all’epoca i rilasciati, se destinati ad altre regioni, venivano direttamente inviati dalla Jugoslavia ai porti italiani (soprattutto Ancona), e rientravano al proprio luogo di residenza.

Infine un cenno a quell’elenco redatto dalla studiosa slovena Nataša Nemec, che era stato reso noto dal Prefetto di Gorizia nel 2006 e presentato trionfalmente sulla stampa italiana come il definitivo elenco dei “deportati” da Gorizia, che comprendendo 1.048 nomi era stato anche indicato come la “prova” che la tragedia era stata ancora superiore ai 665 nomi indicati sul lapidario.

In realtà, come ha spiegato la storica dopo la pubblicazione della lista, non si tratta di un elenco definitivo, ma di un elenco ancora in fase di studio, da lei fornito come appunto al Ministero degli affari esteri e trasmesso alle autorità italiane che lo resero inopinatamente pubblico.

Ad ogni buon conto, ciò che la stampa non considerò all’epoca (e tuttora molti di coloro che si occupano di queste cose continuano a non tenerne conto, nonostante le precisazioni della professoressa Nemec) è che in questo elenco di 1.048 persone sono contenuti anche i nomi di 110 rientrati, di 149 persone morte prima dell’arrivo dell’Esercito jugoslavo e di 38 arrestati a Monfalcone. Che vi sono 34 nomi di militari internati (alcuni deceduti, altri non si sa) a Borovnica, ma provenienti anche da altre zone; e che l’elenco si conclude con una lista di 33 domobranci (collaborazionisti sloveni, non necessariamente goriziani) arrestati; ed infine che per alcuni di questi le note sono contraddittorie (vengono segnalati contemporaneamente come morti in una località e internati in un altro campo), a riprova che l’insieme non è un documento definitivo ma solo una serie di appunti di studio.

Si diceva prima che non è facile determinare la sorte dei militari arrestati che non avevano la residenza a Gorizia: gli storici però potrebbero effettuare un controllo presso i comuni di nascita o presso l’ufficio storico dell’Esercito, sarebbe un lavoro lungo ma non impossibile, che varrebbe la pena di fare anche per non dover più leggere interventi come quello del sunnominato dottor Rustia, il quale ritiene che, in base ad una sua personale (e fallace) interpretazione della “lista Nemec”, nonché dei risultati dell’inchiesta del dottor Dini, si dovrebbe “inserire nel monumento Lapidario il centinaio abbondante di nomi di trucidati ora mancanti” (lettera pubblicata sul “Piccolo”, edizione di Trieste, il 12/7/14).

Claudia Cernigoi, 25 luglio 2014


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Sul tema si veda anche il Dossier
LA FOIBA DI BASOVIZZA
di Claudia CERNIGOI - Trieste, 2011
PDF: http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2012/01/la-foiba-di-Basovizza.pdf

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http://xcolpevolex.blogspot.it/2014/07/il-pozzo-minerario-foiba-di-basovizza-e.html

Il pozzo minerario “foiba” di Basovizza è realmente monumento nazionale? Nel 1945 si scriveva:" non ci sono salme"


di Marco Barone, 28/7/2014

La nuova Stampa del 15 agosto del 1945, in prima pagina, pubblicava la seguente notizia, del 14 agosto 1945: “ da notizie che un corrispondente dell'Ansa ha assunto da fonte attendibile, risultano infondate le voci sull'avvenuto ritrovamento di salme di civili e di militari italiani e neozelandesi in una o più foibe nei pressi di Basovizza ad una decina di Km dalla città, vittime dell'occupazione jugoslava”.

La nuova Stampa del 9 ottobre 1957, scriverà: "Non è svelato il mistero della foiba di Trieste", ove si ricorderà che “ gli alleati sospettando che anche dei loro militari potessero esservi stati buttati,tentarono il recupero delle salme e crearono un'apposita attrezzatura ma dopo poco abbandonarono l'impresa rivelatasi difficilissima e costosissima.Successivamente, in vari periodi, squadre di speleologi tentarono la stessa impresa seppur con mezzi di fortuna, calandosi nel pozzo profondo oltre duecento metri. Ma a distanza di tanti anni uno strato di materiale saponificato, oltre ai quintali di rifiuti e rottami di ogni genere riversati nel pozzo, ricopre con una impenetrabile crosta il fondo della miniera. Rivelatosi inutile ogni tentativo di recente il Comune di Trieste aveva deciso, in accordo con le autorità,di chiudere il pozzo mediante una soletta di calcestruzzo erigendovi sopra una croce a ricordo delle vittime". 

Ed il Parlamentare De Totto, aderente al MSI, non perderà tempo, nella seduta del 14 ottobre 1957, a dichiarare, in relazione a presunti ritrovamenti di resti umani nella foiba di Basovizza, quanto ora segue:
“Proprio in questi giorni, infatti, si è scoperta la tragica foiba di Basovizza, dove decine di metri di cadaveri stratificati dimostrano che le cosiddette deportazioni non furono altro che orrendi massacri. Ne abbiamo ora la prova materiale. E di fronte a questa tragica foiba, non può essere in noi solo il sentimento umanitario del recupero delle salme; ma deve in noi insorgere imperativo il sentimento collettivo di una nazione che, dopo tante mistificazioni, ha decisamente la prova atta a dimostrare da quale parte, nel corso della guerra 1940-43, sia stata la civiltà e da quale parte la barbarie. E' tempo oramai di parificare la Russia sovietica sovietica alla Jugoslavia di Tito, anche nel campo dei rapporti internazionali, perché nel nome del marxismo operante non ci sono differenze, né di mentalità né di metodo. Noi speriamo, tenacemente speriamo, non solo sulla scia del sentimento, ma soprattutto nel solco della tradizione irredentistica di tante generazioni, che il tricolore, attraverso una nuova politica di unione nazionale e di grande dignità, possa un giorno ritornare a garrire sugli italianissimi territori di Zara, Fiume e Pola”. Parole, che nel corso degli anni, specialmente dopo la caduta del Muro di Berlino, hanno trovato affermazione nella realtà. Equiparazione tra la Jugoslavia socialista e la Russia stalinista e questa con il nazismo, equiparazione tra le così dette foibe e le così dette Fosse Ardeatine e via discorrendo sino ad arrivare alla pretesa delle terre contese, che continua ancora oggi ad esistere e persistere. Eppure all'Italia di Trieste o di Fiume non è mai realmente importato nulla. Dopo una metodica e lunga ma anche violenta campagna di epurazione e pulizia etnica, deslavizzando il confine orientale, e saldando il concetto di italianità, anche con l'immigrazione di persone provenienti dall'Italia meridionale, il sistema Italia aveva un solo scopo da perseguire, sin dai tempi del fallito colonialismo. Dominare l'Adriatico e per fare ciò era necessario possedere il porto di Trieste e Fiume e per possedere il porto di Trieste e Fiume era necessario una mera operazione di persuasione e di legittimazione, di italianità di quelle terre. Quando Fiume passerà all'Italia, dopo il colpo militare eversivo ed antefascista di D'Annunzio e tramite l'operato del fascismo e di Mussolini, cadrà in miseria, stessa cosa accadrà a Trieste, che vivrà il suo declino proprio sotto l'amministrazione del sistema italiano. Correnti minoritarie diventeranno maggioritarie, quale l'irredentismo ad esempio, perché utili alla vera causa, condita da becero razzismo ed autoritarismo nei confronti di sloveni, croati, serbi,montenegrini. Di “foibe” si parlava e tanto sin dal 1945. Eppure sia Londra che Washington avevano riconosciuto e legittimato, proprio in quel periodo, proprio quando la così detta questione delle foibe era nota, talmente nota che la stampa nazionale più di una volta la denunciava anche in prima pagina, il governo di Tito. La questione foibe prima, esodo dopo, con la collaborazione attiva dei gladiatori, dell'organizzazione Gladio, poiché molte liste dei così detti infoibati, ad esempio, sono state fornite proprio dai gladiatori od ottenute con il loro aiuto, deve essere letta ed analizzata in modo compiuto e contestualizzando la verità storica, gli eventi e le cause. Ritornando sul caso pozzo minerario di Basovizza, chiamato in modo inappropriato, ma volutamente strumentale alla causa anticomunista ed anti jugoslava, foiba di Basovizza, nel sito della rete civica di Trieste si legge: 
“Nell'estate-autunno del 1945 le autorità militari anglo-americane disposero alcuni sondaggi nella cavità, ma sospesero ben presto le operazioni. In anni successivi altre esplorazioni furono condotte da privati che constatarono come la voragine fosse stata ulteriormente riempita. Tra il 1953 e il 1954 la ditta Cavazzoni procedette al recupero di rottami metallici dal fondo senza imbattersi in resti umani. La cavità da allora rimase aperta e utilizzata come discarica fino al 1959, cioè fino alla prima sistemazione monumentale per opera della Commissariato generale per le Onoranze in Guerra del Ministero della Difesa”. Sul punto è intervenuta più di una volta la Claudia Cernigoi, questo il link dossier di cui suggerisco la lettura:http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2012/01/la-foiba-di-Basovizza.pdf

La domanda, per l'ennesima volta, è: come può un pozzo minerario, o meglio una cavità artificiale scavata nel primo decennio del XX secolo per la ricerca di carbone, diventato/a discarica nel corso del tempo, prima di essere definitivamente chiuso/a, essere ancora oggi monumento nazionale “simbolo per i familiari degli infoibati e dei deportati deceduti nei campi di concentramento in Jugoslavia e delle associazioni degli italiani esuli dall'Istria, da Fiume e dalla Dalmazia, che qui ricordano le vittime delle violenze del 1943-1945”? Ma anche sulla questione pozzo minerario, “foiba”di Basovizza, vi è un piccolo particolare. Risulterebbe che nel 22 febbraio 1980 sia stato emanato un decreto ministeriale, strumento certamente non idoneo a livello giuridico per definire il carattere di monumento nazionale di qualsiasi sito, in relazione alla “foiba” di Basovizza con la seguente motivazione: < l’immobile Foiba di Basovizza è dichiarato di interesse particolarmente importante ai sensi della legge 1.6.1939 perché testimonianza di tragiche vicende accadute alla fine del secondo conflitto mondiale, divenuta fossa comune di un numero rilevante di vittime, civili e militari, in maggioranza italiani, uccisi ed ivi fatti precipitare >. In base a quali dati si sia sostenuto ciò è tutto da capire. Altre fonti riportano addirittura che la “foiba” di Basovizza sarebbe stata dichiarata monumento nazionale con decreto del Presidente della Repubblica dell'11 settembre 1943(?), altre che sarebbe stata dichiarata monumento nazionale con DPR del giorno 11 settembre 1992. Ma facendo una ricerca nel siti istituzionali di riferimento, di questo DPR,quello del 1992, non vi è alcuna traccia. Forse perché mai emanato? Ma senza un DPR un sito non può essere definito e dichiarato monumento nazionale, ma potrebbe rientrare nel novero dei beni di interesse culturali da salvaguardare. Ma anche su questo punto, alla luce di tutte le considerazioni che emergono in merito al caso pozzo minerario di Basovizza, vi sarebbe molto da dire, perché rischia, a tutti gli effetti, di essere un clamoroso e pericoloso falso storico.

Marco Barone 

Note: 
Suggerisco anche la visione e l'ascolto dell'intervento di Alessandra Kersevan:
La "foiba" di Basovizza: un falso storico diventato monumento nazionale 
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=A3mBwjz9KuE


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https://www.facebook.com/LaNuovaAlabarda/posts/172764579560783

GLI "ESPERTI" DELLA FOIBOLOGIA: LUCIA BELLASPIGA

Non ci ha stupito trovare tra i fans della pagina richiedente le dimissioni del presidente del consiglio comunale di Trieste Iztok Furlanič la giornalista (peraltro milanese, quindi pensasse ai consigli comunali suoi) Lucia Bellaspiga, che negli anni '90 aveva scritto per l'Indipendente, il Giornale Nuovo, la Padania, ed alla fine era approdata all'Avvenire, dove (ahinoi) scrive ancora. L'avevamo già notata tra gli sfegatati fans di Cristicchi, sostenitrice della necessità di programmare sulla rete Rai Magazzino 18, il testo che ha fatto ragione degli improvvidi tentativi di Marco Pirina e Luigi Papo di riscrivere la storia, perché il potere mediatico è diverso, date la parola ai guitti e sia fatta la volontà del grande fratello.
Conoscevamo l'operato di Bellaspiga già dall'epoca del processo contro Oskar Piskulic, quando fu chiamata a testimoniare in merito al fatto di avere intervistato l'ex comandante partigiano ingiustamente accusato di essere un "infoibatore". La giornalista rese testimonianza in merito alla Corte romana, peccato che Piskulic abbia sempre negato di avere rilasciato l'intervista vantata da Bellaspiga. Dato che Piskulic, per principio, non rilasciava interviste a nessun giornalista italiano (e difatti Fausto Biloslavo, che pure aveva millantato un'intervista all'anziano ex combattente, fu sbugiardato dal fatto di avere dato come prova di averlo incontrato il fatto di averlo visto senza una gamba... quando Piskulic le gambe le aveva tutte e due), siamo propensi a credere più a lui che non alla signora Bellaspiga.
Che ha dato prova della sua estrema conoscenza della storia, oltre che del suo senso democratico, scrivendo in un articolo delI'Indipendente (1/3/96) una “lettera aperta” ai ministri sloveno e croato Thaler e Separovic “che negano l’eccidio di 20mila italiani perpetrato a guerra finita” (logico che lo neghino, visto che non c’è mai stato, n.d.r.). Bellaspiga se la prende con le affermazioni di Thaler riguardo ad un “Paese che non ha mai sollevato il problema dei crimini di guerra compiuti dagli italiani in Slovenia durante l’occupazione fascista...” e scrive: “Lei parla di occupazione italiana in Slovenia e qui si sbaglia di grosso: dall’epoca dei romani quella è sempre stata terra italiana, con un breve intermezzo austroungarico. Voi siete proprio gli ultimi arrivati (e con metodi incivili)”. (Forse gioverebbe all'ineffabile Bellaspiga considerare che l'impero romano viene convenzionalmente ritenuto finito nel 476 d.c. e che dopo alcuni secoli di avvicendamenti tra amministrazioni barbariche, franche, aquileiesi ed altro, il "breve intermezzo austroungarico" è iniziato nel 1335 e finito nel 1918, quindi è durato quasi sei secoli, alla faccia della "brevità").
Di fronte a questa esibizione culturale non possiamo pertanto stupirci che nell'articolo da noi indicato in calce se la prenda con Alessandra Kersevan, "rea" di avere ribattuto in termini storiograficamente corretti alle menzogne diffuse da decenni, e le rinfacci la presenza di "centinaia di sacerdoti" gettati nelle foibe.
Dunque una giornalista può serenamente pubblicare una bufala di tale genere su un quotidiano nazionale, senza neppure fare i nomi di alcuni di tali sacerdoti "infoibati", ma se qualcun altro le fa presente, documenti alla mano, che i sacerdoti "infoibati" furono uno, ed uno solo, automaticamente è la seconda persona che diventa "negazionista", non la prima che viene considerata un'allevatrice di bufale.
Signora giornalista Bellaspiga, considerando che oltretutto lei lavora per un quotidiano cattolico, le spiacerebbe, nel rispetto del comandamento che impone di non dire falsa testimonianza, fare i nomi delle "centinaia" di sacerdoti "infoibati" (tralasciando per piacere il nome di don Bonifacio, il cui corpo non è mai stato rinvenuto e quindi considerarlo "infoibato", abbiano pazienza assieme a lei anche le gerarchie ecclesiastiche che lo hanno beatificato, è un po' ardito). Li faccia, se vuole dimostrare che i "negazionisti" sono coloro che la smentiscono. Altrimenti va da sè che non siamo noi i negazionisti, ma lei una bugiarda.

Claudia Cernigoi

Cfr.: Foibe, i Giorni del non Ricordo, di Lucia Bellaspiga (30 gennaio 2014)
http://www.avvenire.it/Cronaca/Pagine/Foibe%20i%20Giorni%20del%20non%20Ricordo.aspx

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Fonte: pagina FB de "La Nuova Alabarda", 9/2/2015
https://www.facebook.com/LaNuovaAlabarda/posts/207280132775894?ref=notif&notif_t=notify_me

UNA GIORNALISTA A MONTECITORIO PER IL GIORNO DEL RICORDO 2015

Alla cerimonia ufficiale a Montecitorio per il giorno del ricordo (10/2/15), alla presenza del Presidente Sergio Mattarella prenderanno la parola Antonio Ballarin e la giornalista Lucia Bellaspiga.
Fu proprio il padre di Antonio Ballarin, Amleto (autore, nel dopoguerra, di una poesia inneggiante a Benito Mussolini, in arte “duce”), a contattare per la prima volta, nel 1994, la giornalista Bellaspiga, che allora scriveva per il Giornale nuovo, fornendole documenti e notizie sul maggiore dell’Esercito di liberazione jugoslavo Oskar Piškulić, che fu poi incriminato dal PM romano Giuseppe Pititto nell’ambito del cosiddetto “processo delle foibe” (che si concluse, dopo dieci anni, con la dichiarazione di incompetenza territoriale dell’Italia) per tre omicidi avvenuti a Fiume nei giorni della liberazione della città (5 maggio 1945).
Lucia Bellaspiga in seguito passò a scrivere per l’Indipendente, dove, il 1/3/96, pubblicò una “lettera aperta” ai ministri sloveno e croato Thaler e Separović, i quali, scrisse “negano l’eccidio di 20mila italiani perpetrato a guerra finita” (logico che lo neghino, visto che non c’è mai stato, n.d.r.), aggiungendo, rivolta a Thaler: “Lei parla di occupazione italiana in Slovenia e qui si sbaglia di grosso: dall’epoca dei romani quella è sempre stata terra italiana, con un breve intermezzo austroungarico. Voi siete proprio gli ultimi arrivati (e con metodi incivili)”.
Tralasciando il tono arrogante della lettera, ricordiamo che l’impero romano viene convenzionalmente ritenuto finito nel 476 d.c. e che dopo alcuni secoli di avvicendamenti tra amministrazioni barbariche, franche, aquileiesi ed altro, il “breve intermezzo austroungarico” è iniziato nel 1335 e finito nel 1918, quindi è durato quasi sei secoli, con buona pace delle convinzioni di Bellaspiga.
Ma oltre alla scarsa competenza storica, la giornalista Bellaspiga ha dato prova di un comportamento decisamente scorretto. Parliamo di quanto ha scritto in alcuni post sulla pagina del cantautore Simone Cristicchi, e cioè che in seguito alle sue interviste a Piškulić sarebbe partita l’inchiesta che lo vide imputato. E difatti in un articolo pubblicato su l’Avvenire del 17/2/99, la giornalista ha scritto di avere parlato personalmente con Piškulić c, che le avrebbe risposto “in un italiano quasi perfetto”.
Ora, noi abbiamo conosciuto personalmente Piškulić, avendo fatto parte dei consulenti della difesa, condotta dall’avvocato Livio Bernot di Gorizia, e possiamo dire innanzitutto che Piškulić ha negato di avere rilasciato interviste a qualsivoglia giornalista italiano, rifiutandosi per principio di rispondere a chi lo contattava. Ma che il racconto di Bellaspiga non sia attendibile, è dato dalla sua affermazione che Piškulić parlava un “italiano quasi perfetto”: avendo parlato con Piškulić possiamo dire che non parlava italiano, si esprimeva nel dialetto fiumano, con una forte inflessione croata. 
Bellaspiga ha ripetuto anche davanti ai giudici di avere parlato con Piškulić. Come dobbiamo considerare queste sue affermazioni?
È questa la persona più adatta a parlare di problematiche delicate come quelle del confine orientale di fronte ai deputati ed al Capo dello Stato?
Permetteteci di dubitarne.

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Da un commento sul blog di Wu Ming:

"Qualche mese fa ero alla coop a fare la spesa, e mi cade l’occhio su un libro esposto su uno scaffale (alla coop sono intellettuali, quindi vendono anche i libri). Si tratta di “Una grande tragedia dimenticata. La tragedia delle foibe” (che titolo originale) di tale Giuseppina Mellace. Mi colpisce la foto in copertina:

http://www.ansa.it/webimages/img_457x/2014/10/25/10ef3aa61b11d5d5d99d890e8db23734.jpg

Non è proprio proprio una foto, sembra piuttosto la rielaborazione grafica di una foto. 
Però cazzo. Quell’immagine mi ricorda qualcosa, sono sicuro di averla già vista. E non mi convince. Cerca che ti cerca, finalmente oggi ho trovato questo:
http://sh.wikipedia.org/wiki/Crne_trojke#mediaviewer/File:Crna_trojka_kolje.jpg

E ti credo che non mi convinceva! Quella foto non c’entra niente con le foibe. Infatti si tratta di tre cetnici che sgozzano un partigiano comunista a Belgrado. La foto proviene dagli atti del processo per collaborazionismo contro Draža Mihailović nel 1946."

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http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-giuseppina_mellace_la_nuova_pirina..php

Giuseppina Mellace la Nuova Pirina

LA NUOVA PIRINA! (recensione di un libro sulle foibe di Giuseppina Mellace del quale per obiezione di coscienza non citiamo il titolo).

A tre anni di distanza dalla prematura dipartita del sedicente storico Marco Pirina, abbiamo avuto la gioia di conoscere Giuseppina Mellace, prof. di storia che non riesce a parlare in un italiano comprensibile e che sembra avere anche problemi con l’aritmetica. Mellace si è dimostrata nel corso della presentazione a Gorizia della sua risma di carta stampata in copertina dura (definirla “libro” sarebbe un po' azzardato) la vera, tangibile, coerente epigona del mai abbastanza compianto Pirina, riuscendo in alcuni punti persino a superare il maestro.
La prima cosa interessante che abbiamo appreso è che Mellace non voleva fare un libro sulle foibe, ma scrivere della “violenza delle donne” (dato che lo ha ripetuto sempre così, ci abbiamo messo un po’ a capire che intendeva dire “violenza sulle donne”), sia operata dai “titini” (sempre parlato di “titini” e di “slavi”, sia chiaro, per lei la Jugoslavia non è mai esistita), sia dagli altri. Che poi il libro si sottotitoli “la verità sulle foibe” è stata una scelta editoriale che lei non ha condiviso (anche se, da quanto è dato capire, ha firmato il contratto e il libro).
Quindi ha parlato delle violenze delle donne comprendendo anche le donne violentate ed uccise dai nazisti, ed anche dagli italiani. Ha anche parlato dell’uccisione di una bambina di 8 anni “che aveva l’unica colpa di voler espatriare”, che così come detta sembrava essere stata compiuta dai "titini", mentre nel libro si vede che la bambina è stata uccisa da militari italiani nella primavera del 1943.
Dati questi presupposti si potrebbe già parlare di frode in commercio (diamine, io compro un libro per saper la verità sulle foibe e devo trovare anche la descrizione delle violenze fatte sugli slavi che sono notoriamente un popolo inferiore? fossi un’acquirente, protesterei), ma alla fine il “lavoro” sembra l'ennesima ristampa delle opere di Rocchi e Pirina, con un pizzico di Papo e una spruzzata di La Perna, il tutto omogeneizzato con le teorie di Pupo, ma privo del benché minimo controllo critico.
Ad esempio, nell’elenco delle foibe, subito dopo la “foiba di Orle” (dalla quale non si sa quanti cadaveri sarebbero stati recuperati) si passa alla “foiba di Gropada presso Orle” con la storia di Dora Čok (che l’autrice ha pronunciato Schock, dimostrando una volta di più la sua professionalità e preparazione), come se non avesse capito che si tratta della stessa foiba.
E, a dis/onore dell'esimia prof., quando le ho detto in separata sede che si trattava della stessa foiba e quindi avrebbe potuto risparmiare qualche riga non citandole tutte e due (ciò perché si era lamentata che non poteva scrivere un'enciclopedia Treccani, aveva già scritto 500 pagine, e non poteva approfondire altre cose), mi ha risposto (testuale): “questa è una sua opinione, e come tale io mi tengo la mia”. Scusi, ho detto, se io dico che l’Italia è entrata in guerra il 15 maggio 1915 e lei mi corregge dicendo che era il 24 maggio, io le posso rispondere che si tratta di una sua opinione? esiste un catasto grotte, casomai lei non lo sapesse.
Ma non è solo questo quanto la prof. non sa. Ad esempio, pur citandomi come riduzionista se non proprio negazionista, mai una volta che abbia scritto il mio nome giusto: perché l'aveva visto citato così, ha detto. Ah, allora lei non ha letto nulla di quanto ho scritto e mi dà della riduzionista così tranquillamente? Lei che si permette di scrivere, non si sa citando quale fonte, che da Basovizza sono stati recuperati 1000 civili, 500 finanzieri e probabilmente 1000 tedeschi (dove il probabilmente è un po’ oscuro, o sono stati recuperati o no, se l'italiano non è un'opinione, ma pare che qua siano tutte opinioni), dove quintuplica il numero di finanzieri che la stessa Guardia di finanza dichiara come scomparsi e che oltretutto non sono stati infoibati a Basovizza, per non parlare dei mille civili, che proprio non ci sta, dopo questo ha il coraggio di dire che io sono una “riduzionista”? eh, certo, perché se qualcuno spara cifre enormi a casaccio senza cognizione di causa, mentre i numeri sono altri, e qualcun altro ripristina i dati storici (non opinioni, dati), il secondo diventa riduzionista e negazionista.
D’altra parte, essendo la presentazione avvenuta nei giorni di Carnevale, come al solito Arlecchino si svela ridendo. Intanto, abbiamo appreso che la fonte della prof. (pressoché unica) è Marino Micich con l’Istituto di studi fiumani. Mellace ha detto di essere anche venuta a Trieste, ma non ha capito dove, perché ha parlato di un “istituto di storia contemporanea, quello sulla salita"...; cara prof., quasi tutto è sulle salite qua a Trieste, ma l’istituto di storia contemporanea (quello universitario) sta nella pianeggiante zona vicino alle rive. Forse si riferiva all'istituto di storia del movimento di liberazione? ma quando una persona non sa neppure dov’è andata a cercare informazioni, l’affidabilità delle sue “ricerche” è quantomeno dubbia. 
È stato però quando ha parlato della politica di italianizzazione del fascismo (condotta dal fascismo, sarebbe più giusto dire, ma noi citiamo pedissequamente) che l’autrice ha svelato il suo pensiero interiore. È vero, ha detto, che sono stati un po’ duri ed hanno voluto fare troppo in fretta, perché non hanno considerato che solo sul litorale le città erano interamente italiane, ed avrebbero dovuto agire con più calma... (l’elogio della pulizia etnica soft?) e questo ha indotto negli “slavi” l’equazione italiano = fascista, per il quale motivo poi si sono vendicati orribilmente con le maestre, “appese per i capelli” (ma dove e quando, di grazia, che questa storia neppure su Pirina l’avevamo letta?), che a volte per insegnare l’italiano a chi non lo aveva mai parlato forse esageravano (sì, in effetti, punizioni corporali sui bambini che non sapevano esprimersi in italiano possono essere considerate “esagerazioni”, sarebbe interessante conoscere le metodologie didattiche di cotanta prof.).
Per essere brevi, aggiungiamo soltanto che grazie a Mellace per la prima volta abbiamo appreso che Tito voleva fare il comunismo non solo in Jugoslavia ma in tutti i Balcani ed esportarlo anche in Grecia (anche se a noi risulta che la Grecia aveva già i suoi gruppi comunisti armati che combattevano per conto proprio) e che era per realizzare questo progetto che aveva bisogno di cacciare tutti gli italiani in modo da creare una Jugoslavia unita.
Infine è riuscita a superare Pirina compilando un elenco di 400 donne da lei definite “infoibate” ma tra le quali risultano non solo molte che furono invece deportate dai nazisti o uccise dai fascisti, e tantissimi nomi privi di ogni altra indicazione, di nascita e di luogo, data, modalità della “scomparsa”: dopo questa pirinata, ha fatto di più: ha inserito tra i nomi delle donne “infoibate, deportate, scomparse...” anche (attenzione, perché i titini sapevano essere davvero feroci) molte donne che per avere fatto attività antistatale sono state punite con una ... MULTA! (noi che viviamo in democrazia sappiamo bene come nelle patrie galere stiano, in attesa di processo, diversi attivisti Notav che non hanno fatto altro che esprimere il loro dissenso a quell’opera).
Chiudiamo con una nota di colore: come Cristicchi nel suo spettacolo Magazzino 18 fa pronunciare al suo protagonista Persichetti la parola esodo con l’accento sulla “o” (esòdo) perché “di queste cose non si è mai parlato” (ma visto che l’esodo, prima di essere quello istriano, era anche quello che ha dato il nome ad un libro della Bibbia, viene da chiedersi cosa abbiano studiato a scuola questi intellettuali), così il giornalista Covach che ha presentato il libro ha detto che in Italia si sente ancora dire foìbe (con l’accento sulla “i”) invece di foibe, a riprova che l’argomento non è conosciuto. Ora, nella nostra lunga carriera di foibologi non abbiamo mai sentito pronunciare foìbe da nessuna parte, ma tant’è, forse si confondono con quelli che ancora pronunciano Frìuli invece di Friùli…

marzo 2014


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http://www.agoravox.it/Continua-la-ricerca-dell-infoibato.html

Continua la ricerca dell’infoibato che non c’è. Una proposta di legge che proroga i termini e non solo

di Marco Barone xcolpevolex (sito)
martedì 20 gennaio 2015

Giorgia Meloni, definita dal circuito mediatico come la Le Pen italiana, ma trattasi di sopravvalutazione, come è noto è alla guida di un partito quale Fratelli d'Italia che alle Europee ha ricevuto circa un milione di voti. Ciò grazie anche ai media che le hanno dato la possibilità, invitandola continuamente, cosa che sussiste ancora oggi, nei principali programmi televisivi mediatici, di avere enorme visibilità, stesso discorso accade strumentalmente con Salvini e con il suo partito che era sull'orlo dell'estinzione, soggettività che potrebbero essere semplicemente ignorate ma che trovano invece sempre ingiustificato spazio, ebbene, la "Le Pen" italiana ha presentato una proposta di legge che forse farà discutere.
 
Alla strumentale, per ragioni nazionalistiche, legge sul giorno del ricordo, si vuole aggiungere un comma che così afferma: “ In mancanza di parenti in vita, o in mancanza di esplicito interesse da parte degli stessi, la domanda di cui al comma 1 può essere presentata altresì da enti pubblici o privati, quali amministrazioni pubbliche, enti locali, associazioni culturali, centri di ricerca, università e altri che, a vario titolo, si occupano di ricostruire le vicende storiche dell’epoca e delle vittime di quelle tragedie”. Il comma 1 dell'articolo 3, attuale, afferma, invece, che: “Al coniuge superstite, ai figli, ai nipoti e, in loro mancanza, ai congiunti fino al sesto grado di coloro che, dall'8 settembre 1943 al 10 febbraio 1947 in Istria, in Dalmazia o nelle province dell'attuale confine orientale, sono stati soppressi e infoibati, nonché ai soggetti di cui al comma 2, è concessa, a domanda e a titolo onorifico senza assegni, una apposita insegna metallica con relativo diploma nei limiti dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo7, comma 1.”
 
A dieci anni dall'entrata in vigore di tale legge sono state concesse e consegnate 838 medaglie con relativo diploma. Ma non dovevano essere centinaia di migliaia? Ed allora non riuscendo ad ottenere numeri utilizzabili per la propaganda nazionalistica finalizzata a fomentare tensioni in quelle terre che vengono ancora oggi contese, cosa si decide di fare? Che all'insaputa dei diretti interessati (parenti ed eredi), senza contegno alcuno, tramite l'opera, la mano, delle realtà, che già ricevono corposi finanziamenti dallo Stato italiano in materia, ma anche da parte di altri e chi sarebbero questi altri non è dato sapere, di ampliare la lista delle persone così dette infoibate.
 
A ciò si aggiunge la previsione di un maggior contributo integrativo a favore della Società di studi fiumani che ha la proprietà dell'archivio museo storico di Fiume, pari ad euro 70.000 euro annui a decorrere dall’anno 2014.
 
Nel sito catalogo archivio del novecento, a proposito di queste realtà si legge che: “La Società di studi fiumani nacque a Fiume (oggi Rijeka in Croazia) nel 1923, dalla disciolta Deputazione fiumana di storia patria istituita nel 1909 soprattutto per l'incitamento del giovane intellettuale fiumano Egisto Rossi (1881-1908), il quale sperava che si realizzasse una storia di Fiume e che si creasse al contempo un archivio storico della città. Al principio del II conflitto mondiale la Società era stata costretta a sciogliersi e fu assorbita dalla Deputazione di storia patria delle Venezie. Il 27 novembre 1960, dietro espressa iniziativa di Attilio Depoli e di altri intellettuali fiumani (Enrico Burich - in quegli anni direttore dell'Istituto italo-germanico di Roma - Giorgio Radetti, Gian Proda, Casimiro Prischich e Vincenzo Brazzoduro) la Società fu ricostituita a Roma: il primo presidente eletto fu Attilio Depoli. Il contesto storico che fa da sfondo alla sua ricostituzione è la tragedia, alla fine del secondo conflitto mondiale, dell'esodo dei fiumani, giuliani e dalmati dalle terre d'origine.La sconfitta dell'Italia comportò l'occupazione da parte delle truppe jugoslave di Tito delle terre che vennero incorporate definitivamente nella nuova Jugoslavia federativa in seguito al trattato di pace di Parigi (10 febbraio 1947). Il regime comunista jugoslavo, instauratosi a Fiume dal 3 maggio 1945, risultò assolutamente incompatibile con i sentimenti, le speranze e le abitudini di vita dei fiumani italiani, che gradualmente iniziarono ad abbandonare la loro città (…) Dal 1963 la Società si è fatta carico di gestire l'Archivio Museo storico di Fiume, al fine di valorizzare al meglio e di tramandare alle future generazioni la storia e l'identità culturale fiumana, istriana e dalmata di tradizione italiana. L'archivio fiumano è stato poi dichiarato di "notevole interesse storico" dalla Soprintendenza archivistica per il Lazio con decreto 103111 del 20/02/1987. Infine l'Archivio Museo storico di Fiume è riconosciuto e tutelato nell'ambito della legge 30/03/2004 n. 92, che ha istituito il "Giorno del ricordo" in memoria delle vittime delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e stabilito la concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati". Alla faccia della oggettività storica. 
 
Ed il tutto accade mentre più voci propongono di realizzare reazionarie liste di proscrizione, nei confronti di chi sostiene, attraverso fatti, documenti, elementi oggettivi, una ricostruzione storica delle vicende del confine orientale, per usare un termine di Wu Ming, priva di tossine, tossine nazionalistiche, tossine reazionarie, tossine che fomentano la propaganda della menzogna per quella memoria condivisa che vuole trasformare la resistenza in guerra civile, ad esempio,che vuole terre vissute da secoli da comunità slovene, croate, serbe, come da sempre italiane, memoria condivisa che vuole deresponsabilizzare l'Italia, nel nome di quel vittimismo che ha coperto atrocità e crimini contro l'umanità ancora oggi impuniti e conferendo la colpa sempre a quell'altro, altro che poteva essere un precedente alleato colpito alle spalle, altro che poteva essere un simbolo da emulare e poi ripudiare,altro che era ed è il parafulmine delle proprie colpe.
 




(deutsch / english / italiano)

La NATO alla spasmodica ricerca della guerra con Mosca

0) LINKS e BREVI
1) Typhoon italiani contro i russi sul Baltico (AnalisiDifesa.it, 18/12/2014)
2) L'Alleanza atlantica mobilita 30mila militari al confine russo (M. Dinucci)
3) La Nato vuole lo scontro militare con Mosca, l’Ue in allarme (M. Santopadre)
4) Intransigenti filo ucraini e democratici d’occasione. Bernard Levy & Soros (M. Marsonet)


Iniziative segnalate:

* Bologna, 14 febbraio 2015
PIAZZA RE ENZO, DALLE ORE 16.00 ALLE 18.30: PRESIDIO 
PACE E LIBERTA' PER IL DONBASS! NO AL FASCISMO IN UCRAINA!
Evento facebook: https://www.facebook.com/events/603144329819540/

* Non un passo indietro! [NOI SAREMO TUTTO aderisce alla CAROVANA ANTIFASCISTA della BANDA BASSOTTI del 9 maggio GIORNO DELLA VITTORIA. NO PASARAN!]
Il video di presentazione del progetto internazionalista "Non un passo indietro!" della rete nazionale Noi Saremo Tutto... (Noi Saremo Tutto, 3 feb 2015)
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=tcK-LPuHeLw

* Nuovo libro:
UCRAINA, DONBASS. I crimini di guerra della Giunta di Kiev
di Enrico Vigna. Zambon editore, 2015
ISBN 978-88-98582-14-3 - 17x24 cm - 240 pagine a colori - 20 €
Per Informazioni, richieste, presentazioni, contatti, scrivere a:     info@...


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Brevi:

Fonte: pagina FB "Con l'Ucraina antifascista", 23/12/2014

Con l'approvazione odierna del Progetto di Legge 1014-3, in materia di "emendamenti ad alcune leggi ucraina sull'attuazione delle politiche di non allineamento", la Rada decide di porre fine alla neutralità del paese, indirizzandosi apertamente verso il blocco euro-atlantico. I 303 deputati che hanno votato a favore, hanno scelto di modificare l'articolo 6 della legge "Sulla base della sicurezza nazionale dell'Ucraina", in relazione alle necessità di integrarsi nello spazio politico europeo allo scopo di aderire all'UE.
L'approvazione del progetto di Legge prevede anche di modificare l'art. 11 della legge "Sui fondamenti della politica interna ed estera", al fine approfondire la cooperazione con la NATO allo scopo di adeguarsi ai criteri necessari all'ingresso nell'organizzazione.

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10 gennaio 2015 – In un'intervista con i giornalisti tedeschi, il presidente sovietico Mikhail Gorbaciov ha affermato che l'espansionismo verso est della NATO è una minaccia per la sicurezza in Europa.
"Tutte le proposte russe per unire le forze e lavorare su una nuova architettura della sicurezza sono state ignorate con arroganza dall'Occidente," - ha detto Gorbaciov.
Rispondendo alla domanda se in Europa ancora una volta potrebbe scoppiare una guerra su larga scala, il politico ha detto: "Non bisognerebbe nemmeno pensarci. Tale guerra sarebbe inevitabilmente nucleare. Non sopravviveremo nei prossimi anni se qualcuno non sarà lucido in questo contesto."

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Dead bodies in NATO uniforms, US weapons recovered from under debris of Donetsk airport
http://itar-tass.com/en/world/772859

DONETSK, January 22. /TASS/. Dead bodies in NATO uniforms and a great number of US-made weapons have been recovered from under the debris of the Donetsk airport, Eduard Basurin, a spokesman for the defense ministry of the self-proclaimed Donetsk People’s Republic (DPR) said on Thursday.
“While examining the building of the Donetsk airport, we found a great number of American firearms, assault rifles and hand mortars, equipment and communications devices,” he said. “We also found publications in European languages, including on religious matters.”
Apart from that, “we found dead bodies in NATO uniforms under the debris in the new terminal. Personal belongings indicated that these people were foreign citizens contracted by private military companies who operated under the disguise of Ukrainian subversive groups,” he said.

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MILITARI INGLESI REGOLARI DELLA NATO COMBATTONO a Mariupol NELL'ESERCITO UCRAINO, ECCO LA PROVA (Fonte: pagina FB di Rolando Dubini, 23/1/2015): 
Elina Mellarini posta questo incredibile video ripreso ieri in via olimpiskajia a Mariuopol dopo che c'è stata la strage causata forse per errore dai Grad ucraini che sono anhdati fuori bersaglio, al secondo 0,24 il soldato inseguito dalla giornalista a cui per tutto il tempo ha cercato di dare le spalle dice "non il mio volto,prego" in ottimo inglese, a differenza di quanto riportato, l'accento è dell'Inghilterra, si tratterebbe di un soldato NATO senza mostrine, non di un mercenario
VIDEO: http://youtu.be/jW1JdOXdJkU

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I falchi USA attaccano Mogherini e puntano a spaccare l'Europa - di GIULIETTO CHIESA, Direttore di Pandora TV
https://www.facebook.com/PANDORATV.IT/photos/a.596888513732284.1073741828.596490170438785/769480943139706/?type=1

La decisione congiunta dei quattro ministri degli esteri sul ritiro delle armi pesanti dalle linee del fronte, più che una boccata d'aria sembra essere l'ultimo respiro prima del collasso di ogni tregua e della ripresa dei combattimenti su larga scala.
Inutile dire che, sul terreno le formazioni militari semi-regolari, legate alle forze ucraine più estremiste, premono per un'offensiva. Hanno ricevuto le armi da USA e NATO e vogliono usarle.
Naturalmente non si spingerebbero a tanto se non ci fosse una chiara copertura da parte americana, della Germania della Merkel e della Polonia. Questo è lo schieramento che punta allo scontro.
Lo fa continuando a insistere sulla presenza di truppe russe sul territorio del Donbass, cioè all'interno dei confini dell'Ucraina. Presenza indimostrata e, si ha ragione di ritenere, indimostrabile poichè non esistente.
D'altro canto un articolo di John Vinocur, giornalista falco per eccellenza, apparso sul Wall Street Journal, scatena un violentissimo attacco, al limite dell'insulto personale, contro Federica Mogherini, presentata come una suffragetta pacifista, a causa di una sua presa di posizione che, comunque, riflette le posizioni - sicuramente esistenti in Europa - che cercano di prendere tempo e di non forzare Putin a un intervento più esplicito a sostegno dei ribelli.
La Mogherini si muove esprimendo sia la posizione di Hollande, sia quella dei socialdemocratici tedeschi, sia quella di numerosi circoli europei molto inquieti per il pericolo crescente rappresentato dalla pressione americana.
Vinocur attacca anche il presidente Obama, senza mezzi termini, accusandolo di incertezze e di illusione che sia possibile "ricondurre alla ragione" Putin.
Il quadro di un aggravamento ulteriore della situazione sul terreno è disegnato con chiarezza dai fatti. La risoluzione approvata dal Parlamento europeo lo scorso 15 gennaio ha spalancato la porta di un'offensiva americana. Se "l'altra Europa" cede, saranno guai per tutti.

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Vedi anche:

NATO begins to train Ukrainian NCO corps (By Alex Statko, Southeast European Times, December 19, 2014)

L’Ucraina, la NATO e la preparazione della guerra alla Russia (30/12/2014)
Il portale “Svobodnaja Pressa” (Stampa Libera) raccoglie l’opinione di alcuni politici e analisti russi e ucraini sulle conseguenze della decisione del parlamento ucraino di annullare lo status di “paese non allineato”, in vista della richiesta di adesione alla NATO…
http://www.marx21.it/internazionale/area-ex-urss/24925-lucraina-la-nato-e-la-preparazione-della-guerra-alla-russia.html

NATO Mission starts operating in Ukraine (03.01.2015)
The mission will promote NATO in cooperation with the authorities and the media in Ukraine…

Außer Kontrolle (Aufrüstung und die Herausbildung von Warlords in der Ukraine – GFP 08.01.2015)
Begleitet von Protesten verhandelt der Kiewer Ministerpräsident Arsenij Jazenjuk am heutigen Donnerstag mit Bundeskanzlerin Angela Merkel über die Ausweitung der deutschen Unterstützung für die Ukraine. Jazenjuk treibt die Aufrüstung der ukrainischen Streitkräfte mit aller Macht voran; Beobachter vermuten, Kiew bereite eine erneute Offensive im ukrainischen Bürgerkrieg vor. Berichten zufolge sind mehrere NATO-Staaten in die Aufrüstung der Streitkräfte des Landes involviert. Die Bundesregierung hat bereits im September bestätigt, sie habe Anträge auf die Ausfuhr unter anderem von "Schutzausrüstung" in die Ukraine positiv beschieden. Sogar transatlantische Unterstützer des Kiewer Umsturzes vom Februar 2014 warnen inzwischen, der Einflussgewinn faschistischer Milizen und gewisser Oligarchen drohe ein Warlord-System zu schaffen, das sich jeglicher Kontrolle entziehe. Mit der Unterstützung extrem rechter Bataillone hat sich vor allem die Partei von Ministerpräsident Jazenjuk hervorgetan, der bereits gestern von Bundespräsident Joachim Gauck feierlich empfangen worden ist...
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59027
Out of Control (Ukrainian Prime Minister in Berlin) – GFP 2015/01/08)
Accompanied by protest demonstrations, Kiev's Prime Minister, Arseniy Yatsenyuk, will have talks with Chancellor Angela Merkel today, Thursday, on expanding German support to Ukraine. Yatsenyuk is pursuing an arms buildup by all possible means. Observers assume that Kiev is preparing a new offensive in Ukraine's civil war. It was reported that several NATO countries are involved in arming the country's military. The German government confirmed back in September that it had satisfactorily complied with Ukraine's requests including "defensive equipment". Even trans-Atlantic supporters of Kiev's February 2014 putsch, are now warning that a considerable rise in the influence of fascist militias and certain oligarchs is threatening to establish an uncontrollable warlord system. Prime Minister Yatsenyuk's party has particularly taken the lead in supporting right-wing extremist battalions. Yesterday, Yatsenyuk was ceremoniously received by German President Joachim Gauck...

(All'aeroporto di Donetsk, i battaglioni Somali e Sparta hanno rinvenuto fucili AR-15 di fabbricazione americana)
18.01.2015 Donetsk Airport. DPR soldiers defend airport (PL Win, 18 gen 2015)
Donetsk People's Republic soldiers defend the airport. They found at the airport warehouse of NATO weapons...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=YeYGSAkUeW0

Ukrainian armed forces chief of staff to visit NATO HQ on Jan 21-22 (Interfax-Ukraine – January 21, 2015)

PTV News 23 gennaio 2015 – La guerra segreta della NATO a Donetsk
23/01/2015 – Cadaveri con uniformi della Nato e armi americane trovati sotto le macerie dell’aeroporto di Donetsk, riconquistato dai ribelli filorussi. Circa 600 i combattenti ucraini uccisi nella battaglia più sanguinosa dall’inizio delle guerra civile nell’est dell’Ucraina. Questa la risposta dei filorussi alla massiccia mobilitazione del governo di Kiev, che nei giorni scorsi aveva respinto il piano di pace proposto da Putin e lanciato una nuova offensiva con cinquantamila uomini
http://www.pandoratv.it/?p=2724
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=mkWvNFVqyaY

Preserving Ukraine’s Independence, Resisting Russian Aggression: What the United States and NATO Must Do (Feb 2015)
By: Steven Pifer, Strobe Talbott, Ambassador Ivo Daalder, Michele Flournoy, Ambassador John Herbst, Jan Lodal, Admiral James Stavridis and General Charles Wald
[il rapporto del "The Brookings Institution", think thank USA molto influente, redatto in collaborazione con altri gruppi elitari e con personaggi anch'essi influenti della politica e dell'esercito USA.
"Preservare l'indipendenza dell'Ucraina, resistere all'aggressione russa: quello che gli Stati Uniti e la NATO devono fare"]
http://www.brookings.edu/research/reports/2015/02/ukraine-independence-russian-aggression

Il «prestigio» dell’Italia (di Manlio Dinucci - su Il Manifesto del 2/2/2015)
http://ilmanifesto.info/il-prestigio-dellitalia/

PTV News 3 febbraio 2015 – USA e NATO pronti a inviare armi in Ucraina
Gli Stati Uniti e la Nato pronti all’invio di armi in Ucraina. No di Angela Merkel all’escalation militare. E Obama ammette: “facemmo accordo per il cambio di governo a Kiev”...
http://www.pandoratv.it/?p=2779
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=ag530FbhHzY

Arbeitsteilige Aggression (Debatte um Waffenlieferungen an die Ukraine - GFP, 3/2/2014)
Vor den Ukraine-Gesprächen am Rande der bevorstehenden Münchner Sicherheitskonferenz schließen deutsche Außenpolitiker eine Zustimmung zu US-Waffenlieferungen an Kiew nicht aus. Entsprechende Überlegungen in Washington halte er "für angemessen und wichtig", erklärt der Leiter der Sicherheitskonferenz, Wolfgang Ischinger, nach Vorstößen aus US-Regierungskreisen, laut denen etwa panzerbrechende Waffen und Drohnen an die ukrainischen Streitkräfte geliefert werden könnten. Ähnlich äußern sich ungeachtet ablehnender Erklärungen der Bundeskanzlerin auch mehrere Bundestagsabgeordnete. Hintergrund ist, dass Kiew den Bürgerkrieg bislang nicht im Sinne des Westens entscheiden kann, die ukrainischen Truppen in teils desolatem Zustand sind und Desertionen wie auch Proteste gegen die blutigen Kämpfe zunehmen. Die offizielle Lieferung tödlicher Waffen an die Ukraine durch die Staaten des Westens gilt als Option, um eine Wende herbeizuführen. Sicherheitskonferenz-Leiter Ischinger hält dabei eine "Arbeitsteilung" zwischen Washington und Berlin für denkbar...
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59047

Ignoring caps, Obama proposes big boost in defense spending (By Jon Harper, Stars and Stripes - February 2, 2015)
http://www.stripes.com/news/ignoring-caps-obama-proposes-big-boost-in-defense-spending-1.327265
Poroshenko, Stoltenberg to meet in Munich (Ukrinform, February 3, 2015)
http://www.ukrinform.ua/eng/news/poroshenko_stoltenberg_to_meet_in_munich_328762
WSJ: US mulls supplying Ukraine with Javelin anti-tank missiles (UNIAN - February 3, 2015)
http://www.unian.info/war/1039608-wsj-us-mulls-supplying-ukraine-with-javelin-anti-tank-missiles.html
U.S. to allocate Ukraine $117 million to counter Russian aggression (Ukrinform - February 3, 2015)
http://www.ukrinform.ua/eng/news/us_to_allocate_ukraine_117_million_to_counter_russian_aggression_328726

La guerra in Ucraina spacca la Nato (di Simone Pieranni, 5.2.2015)
http://ilmanifesto.info/la-guerra-in-ucraina-spacca-la-nato/

Ein Ring um Russland (II) (Berlin: Führende Rolle bei NATO-"Speerspitze" – GFP 6/2/2015)
BERLIN (Eigener Bericht) - Deutschland übernimmt eine führende Rolle beim Aufbau der neuen NATO-"Speerspitze" in Osteuropa. Rund 2.700 von insgesamt 5.000 bis 7.000 Soldaten, die in diesem Jahr die gestern von den NATO-Verteidigungsministern beschlossene Kampftruppe etablieren sollen, werden von der Bundeswehr gestellt. Auch in den NATO-Stützpunkten, die in sechs Staaten Osteuropas eingerichtet werden, wo sie bei Bedarf als Operationszentralen dienen sollen, werden deutsche Militärs präsent sein. Berlin erhält damit prägenden Einfluss auf die künftige NATO-Struktur in seinem traditionellen osteuropäischen Einflussgebiet. Die Maßnahmen ziehen den Ring, den das westliche Kriegsbündnis um Russland legt, ein weiteres Stück zusammen - zumal bereits vergangenes Jahr Schweden und das im Norden an Russland grenzende Finnland sich der NATO weiter angenähert haben und der Kaukasus-Staat Georgien sich ab diesem Jahr an der NATO Response Force beteiligen will, die auf 30.000 Mann aufgestockt werden soll. Aus ihr wird die NATO-"Speerspitze" gebildet. Deutschland wird mit seiner führenden Position in der "Speerspitze", sollte der Konflikt mit Moskau unkontrolliert eskalieren, an vorderster Front gegen Russland stehen...
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59049

Come cambia la geografia delle basi USA in Europa (di Antonio Mazzeo, 6/2/2015)
http://antoniomazzeoblog.blogspot.it/2015/02/come-cambia-la-geografia-delle-basi-usa.html

Lavrov's Munich speech (full transcript): "There is a strong irritant in the Euro-Atlantic, which we will have to get rid of" (Fort Russ)
http://fortruss.blogspot.com/2015/02/lavrovs-munich-speech-full-transcript.html


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http://www.analisidifesa.it/2014/12/typhoon-italiani-contro-i-jet-russi-sul-baltico/

TYPHOON ITALIANI “CONTRO” I RUSSI SUL BALTICO

di Redazione – 18 dicembre 2014

Gli Eurofighter italiani si misureranno presto con Mig, Sukhoi e Tupolev russi nei cieli sempre più caldi del Mar Baltico. Quattro caccia  Typhoon dell’Aeronautica Militare Italiana verranno schierati dal 27 dicembre  nella base lituana di Siauliai nell’ambito della Baltic Air Patrol (BAP) della NATO, l’operazione che vede i jet alleati alternarsi nel garantire la protezione aerea alle tre Repubbliche Baltiche (Estonia, Lettonia e Lituania) partner dell’Alleanza Atlantica ma le cui forze aeree sono prive di jet da combattimento.
La BAP è stata progressivamente potenziata. quest’anno in seguito alla crisi in Ucraina e all’escalation dei voli militari russi ai limiti dello spazio aereo dei Paesi che si affacciano sul Baltico
Si tratta di un  nuovo importante impegno per l’Aeronautica Militare italiana, l’unica in ambito alleato a garantire la  sorveglianza dello spazio aereo di ben quattro Nazioni prive di forze aeree da combattimento: oltre a partecipare a rotazione alla BAP in Lituania i nostri jet proteggono infatti i cieli dell’Islanda (a rotazione con altri partner NATO), Slovenia e Albania, quest’ultima in cooperazione con le forze aeree greche.
Secondo fonti NATO (il Ministero della Difesa italiano come al solito tace) l’Italia assumerà il comando della BAP e  i Typhoon saranno operativi dall’inizio dell’anno insieme ai jet polacchi (4 Mig-29 schierati anch’essi a Siauliai, a 4 Typhoon spagnoli basati nell’aeroporto militare estone di Amari e ad altri 4 britannici attesi in gennaio. Le pattuglie italiane, polacche e spagnole avvicenderanno i velivoli alleati attualmente assegnati ala BAP: 4 Typhoon tedeschi, 4 F-18  (CF-188) canadesi, 4 F-16 olandesi e altrettanti portoghesi, questi ultimi dislocati a Siauliai.
Da quanto appreso da Analisi Difesa il comando della BAP sarà affidato al colonnello Marco Bertoli mentre i Typhoon, gli equipaggi e il personale impegnati nella missione della durata di circa tre mesi provengono dagli Stormi 4°, 36° e 37°.
La NATO garantisce dal 2004 la sicurezza dei cieli delle Repubbliche Baltiche ma ha portato da 4 a 16 i caccia assegnati alla BAP a causa della crisi con Mosca, in uno sforzo a cui si unirà nel 2015 anche l’Ungheria con i cacciabombardieri Saab Gripen.
Superfluo sottolineare l’impatto politico di un rischieramento operativo di forze aeree da combattimento italiane che, pur restando nell’ambito NATO, assume una precisa valenza di contrasto alla Russia in un momento in cui l’Italia già paga il prezzo più alto nei rapporti con Mosca a causa delle sanzioni UE che penalizzano il nostro export.


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http://ilmanifesto.info/la-nato-mobilita-30mila-uomini-al-confine-russo/

L'Alleanza atlantica mobilita 30mila militari al confine russo


di Manlio Dinucci - su Il Manifesto del 5/2/2015


 Per i ministri della difesa della Nato, riuniti ieri a Bruxelles, è stata «una giornata molto intensa». Dopo l’incontro bilaterale in cui il ministro Usa della difesa Chuch Hagel ha trasmesso le istruzioni al segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, si è riunito il Gruppo di pianificazione nucleare (a cui partecipa anche l’Italia, violando il Trattato di non-proliferazione). Non si sa che cosa abbia deciso, dato che non è stato emesso alcun comunicato. Ma, poiché Washington ha ribadito che «la Nato resterà una alleanza nucleare», si può dedurre che sia stato deciso di accelerare l’«ammodernamento» delle forze nucleari Usa schierate in Europa (Italia compresa) e il potenziamento di quelle francesi e britanniche. Si è quindi riunita la Commissione Nato-Georgia, apprezzando il contributo georgiano alle operazioni in Afghanistan e alla «Forza di risposta della Nato» (viatico per l’ormai certa ammissione della Georgia nell’Alleanza).

Dopo questa costruttiva premessa, si  svolta la riunione del Consiglio Nord Atlantico con la partecipazione dei 28 ministri della difesa, annunciando che la Nato ha deciso di potenziare le sue forze militari per condurre «l’intera gamma di missioni» e «affrontare le sfide da qualsiasi direzione provengano». Con particolare riferimento all’Ucraina, dove «la violenza sta crescendo» perché «la Russia continua a violare le norme internazionali sostenendo i separatisti», e all’«estremismo violento che si sta diffondendo in Nordafrica e Medioriente». A tale scopo sarà potenziata la «Forza di risposta della Nato», portandola da 13mila a 30mila uomini e stabilendo unità di comando e controllo in sei paesi dell’Europa orientale. Sarà formata allo stesso tempo una «Forza di punta», composta da 5mila uomini, dispiegabile in pochi giorni.

La Nato (e con essa l’Italia) è dunque in guerra su due fronti, orientale e meridionale. Come si è potuti arrivare a tale situazione? Finita la guerra fredda, gli Usa si servono della Nato per mantenere la loro leadership sull’Europa occidentale e allo stesso tempo conquistare quella orientale. Demolita con la guerra la Jugoslavia, la Nato si estende a est, inglobando tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia, due della ex Jugoslavia e tre dell’ex Urss. Entrando nella Nato, i paesi dell’Est vengono a dipendere più da Washington che da BruxelIes. Qualcosa però inceppa il piano di conquista: la Russia si riprende in gran parte dalla crisi, stringe crescenti relazioni economiche con la Ue, fornendole il grosso del gas naturale, e apre nuovi sbocchi commerciali con la Cina. Ciò mette in pericolo gli interessi strategici statunitensi. È a questo punto che scoppia la crisi in Ucraina: dopo aver assunto con un lavoro di anni il controllo di posizioni chiave nelle forze armate e addestrato i gruppi neonazisti, la Nato promuove il putch di Kiev. Costringe così Mosca a muoversi in difesa dei russi di Ucraina, esponendosi alle sanzioni di Usa e Ue. E le controsanzioni russe, danneggiando soprattutto la Ue, facilitano il piano  della partnership transatlantica per il commercio e gli investimenti attraverso cui Washington cerca di accrescere l’influenza statunitense sull’Unione europea.

Contemporaneamente, sotto guida Usa, la Nato estende la sua strategia al Nordafrica e Medioriente. La demolizione della Libia con la guerra, l’analoga operazione lanciata in Siria, il rilancio della guerra in Iraq, l’uso a doppio taglio di formazioni islamiche (sostenute per abbattere i governi presi di mira, usate quindi per giustificare altri interventi armati) rientrano nella strategia Usa/Nato.



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http://contropiano.org/internazionale/item/28976-la-nato-vuole-lo-scontro-militare-con-mosca-l-ue-in-allarme

La Nato vuole lo scontro militare con Mosca, l’Ue in allarme

di Marco Santopadre, 6 Febbraio 2015

Com'era prevedibile, gli ‘apprendisti stregoni’ dell’imperialismo statunitense e di quello dell’Unione europea - a rimorchio di Washington nella destabilizzazione dell’Ucraina e nel conseguente colpo di stato – hanno indotto una escalation che da quanto sembra non solo ha prodotto una guerra civile che ha provocato decine di migliaia di morti, ma che ora rischia di coinvolgere direttamente potenze militari di livello globale che finora si erano confrontate per interposta persona. 

A imporre un nuovo impulso all’escalation è stata, come fin qui avvenuto, di nuovo un’iniziativa provocatoria degli Stati uniti che, di fronte ai continui rovesci militari delle truppe di Kiev, hanno pensato bene di intervenire più o meno direttamente a fianco del regime fantoccio Poroshenko-Jatsenjiuk. In corrispondenza con la visita di John Kerry a Kiev la Nato ha ribadito il proprio interventismo nel contesto ucraino. In ballo, dopo che i militari e le milizie di estrema destra maidanisti hanno già ricevuto fondi, attrezzature e armi da Usa, Nato e alcuni paesi europei, anche se tramite triangolazioni, c’è l’invio in territorio ucraino di truppe occidentali e di un grande quantitativo di armi sofisticate che faccia pendere la bilancia dalla parte di truppe sbandate e demotivate.
In un intervento volutamente provocatorio, l’alleanza atlantica ha ribadito la propria intenzione di adoperare in quel teatro la nuova versione potenziata della “forza di reazione rapida” scaturita dallo storico vertice di Newport, forte di 5 mila soldati pesantemente armati che dovrebbero presto diventare ben 30 mila.
Dopo la riunione dei ministri della Difesa dei Paesi membri a Bruxelles, il segretario generale Nato Jens Stoltenberg ha spiegato che questa spearhead («punta di lancia») avrà il sostegno «delle forze aeree, marittime e speciali» ma soprattutto «sarà pronta all'azione in 48 ore» con il supporto di aviazione, marina e forze speciali. 
La novità non è solo la conferma della scelta aggressiva sancita nel vertice del Galles, ma l’accelerazione di un processo di militarizzazione del fianco est della Nato che prevede, ha chiarito il segretario dell’Alleanza Atlantica, di installare «immediatamente» i primi sei gruppi di comando e controllo che faranno da base logistica nell'Est europeo: in Lituania, Lettonia, Estonia, Polonia, Bulgaria e Romania.
Nel complesso la capacità della Forza “di risposta” della Nato, attualmente composta da 13.000 soldati sarà rafforzata entro il 2016 «per rispondere a tutte le minacce, tanto a est quanto a sud», Medio Oriente compreso, e sarà composta complessivamente da 30mila soldati. I paesi che parteciperanno alla forza come «framework nation», a rotazione, sono Francia, Germania, Italia, Polonia, Spagna e Regno Unito. Tre "nazioni quadro" avranno l'incarico di coordinare l'azione. Un paese, detto in "stand-by" assicurerà per un anno la disponibilità delle sue truppe con brevissimo preavviso: da due giorni per i primi elementi a una settimana per gli altri. Le due altre nazioni quadro dovranno garantire di potersi unire in un periodo da quattro a sei settimane. La Gran Bretagna ha annunciato che prenderà il comando di questa forza nel 2017, mettendo a disposizione un migliaio di uomini e tre caccia Typhoon. La Francia e la Germania saranno le prime altre nazioni quadro, secondo fonti Nato. 
Stoltenberg ha chiarito che si tratterà del principale rafforzamento della “difesa collettiva” dell'Alleanza Atlantica dalla fine della Guerra Fredda.
Che l’obiettivo di un tale volume di fuoco sia la Russia era chiaro a settembre e lo è diventato ancor di più negli ultimi tempi. E a dimostrarlo è anche una dichiarazione resa dall'ex segretario della Nato, Rasmussen, resa al quotidiano britannico Daily Telegraph, nella quale accusa Mosca di fare ciò che in realtà sta facendo il fronte occidentale. "Occorre guardare oltre l'Ucraina - ha affermato Rasmussen - Putin vuole ridare alla Russia il suo status di grande potenza e ci sono forti probabilità che intervenga nel Baltico per mettere alla prova l'articolo 5 della Nato", che prevede che un attacco armato contro uno dei Paesi membri "sia considerato come un attacco diretto contro tutti gli stati membri".

Tanto per cambiare, l’Italia ha dato immediatamente la propria disponibilità a partecipare al nuovo piano d’azione della Nato anche se qualche giorno fa l’esecutivo Renzi aveva chiarito la propria indisponibilità a inviare armi all’esercito ucraino, naturalmente in scia con quanto già dichiarato da Berlino e Parigi. «Abbiamo aperto alla disponibilità di essere framework nation nel 2018, con un discorso da chiudere a giugno, quando verranno prese le decisioni» ha affermato il ministro della Difesa Roberta Pinotti al termine della riunione dei suoi omologhi della Nato. 
Come stupirsi della reazione stizzita della Russia accerchiata? La risposta di Mosca non ha tardato ad arrivare.
I Paesi baltici potrebbero diventare una regione di «confronto militare» tra Russia e Nato, ha avvertito l'inviato della Federazione Russa presso l'Alleanza, Alexander Grushko, secondo il quale la decisione della Nato di istituire centri di comando supplementari in 6 Paesi ai confini russi costringerà Mosca a misure "adeguate", uguali e contrarie. «L'apertura di ulteriore potenziale militare lungo le nostre frontiere non è altro che un tentativo di esercitare pressioni sulla Russia», ha detto Grushko.
Già ieri il leader del Cremlino, Vladimir Putin, ha firmato un decreto per mobilitare per due mesi i riservisti dell’esercito russo. Si tratta di una prassi ordinaria annuale, sottolineano gli esperti. Ma che in un quadro simile potrebbe assumere un significato assai diverso rispetto al passato. 
Mentre Washington e le sue pedine della “Nuova Europa” – interne all’Ue – sembrano mirare al muro contro muro, non sfugge al nucleo del polo europeo il rischio che questa escalation comporta. Non è un caso che proprio ieri, con una iniziativa inedita, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Francois Hollande hanno informato di un viaggio urgente a Mosca, nel tentativo di sganciarsi dalla trappola di Washington che potrebbe trascinare Bruxelles in uno scontro dal quale l’Europa ha tutto da perdere. L’obiettivo dei due boss dell’Ue, ha chiarito senza mezzi termini il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier, è lanciare con Putin una mediazione “prima che il conflitto finisca fuori controllo”. A quanto pare è stato il capo del Cremlino a lanciare l’amo ai leader di Parigi e Berlino, proponendo elementi di trattativa per ora non ancora resi pubblici. E mentre vari esponenti dell’establishment statunitense insistono sulla necessità e sull’urgenza di inviare armi ai governativi ucraini, il ministro della Difesa tedesco, Ursula van der Leyen, ha definito quello proposto da Washington «un passo sbagliato».
Intanto tra le ipotesi in ballo c’è anche quella di uno schieramento di un contingente di caschi blu dell'Onu in Donbass. Secondo un portavoce del ministero degli Esteri russo sarà uno degli argomenti di discussione durante l’incontro di oggi tra Putin, Merkel e Hollande. E da Donetsk, uno dei negoziatori delle repubbliche popolari ha sostenuto che i ribelli non si opporrebbero.


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http://www.remocontro.it/2015/02/07/intransigenti-filo-ucraini-democratici-doccasione-bernard-levy-soros/

7 febbraio 2015 

Intransigenti filo ucraini e democratici d’occasione. Bernard Levy & Soros 

di Michele Marsonet

Beffa: quei due proposti sui grandi quotidiani come nobili difensori degli ideali liberal-democratici

Il quasi filosofo francese Levy e il quasi democratico miliardario Usa Soros sul Corsera a spiegare al mondo che la guerra condotta da Kiev contro Mosca e i fantasmi sovietici è sacrosanta e salvifica per l’Occidente. L’analisi di Marsonet a fare chiarezza, e la storia dei due a farci arrabbiare

Tra gli innumerevoli articoli pubblicati dai giornali sulla crisi ucraina, mancava giusto il tentativo di giustificare “filosoficamente” la politica dell’Occidente in quest’area-chiave dell’Europa orientale. Quando dico Occidente, tuttavia, intendo soprattutto gli Stati Uniti, essendo noto che la UE è assai divisa sull’argomento, con alcuni Paesi membri che manifestano la loro perplessità un giorno sì e l’altro pure.

La suddetta giustificazione filosofica è alla fine giunta e, in Italia, è uscita il 26 gennaio sul “Corriere della sera”. A scriverla è una “strana coppia” formata dal filosofo francese del jet set Bernard-Henri Lévy –spesso chiamato BHL– e da George Soros, il celebre magnate americano di origine ungherese.

Secondo i due l’Europa deve aiutare il governo di Kiev non solo per espandere a Est la democrazia, ma anche per rafforzare se stessa. Tralasciando i ben noti dubbi circa il reale svolgimento degli eventi di piazza Maidan e il ruolo che vi ebbero (per loro stessa ammissione) i servizi segreti americani, BHL e Soros sostengono che la trasformazione in Ucraina “è il risultato di un eccezionale esperimento di democrazia partecipativa, un’avventura nobile e ammirevole per mano di un popolo che ha saputo riunire le forze e spalancare la nazione alla modernità, alla democrazia e all’Europa”.

Superfluo aggiungere che l’unico “cattivo” qui è Putin, il cui solo obiettivo sarebbe destabilizzare la nazione confinante con il chiarissimo (per loro) intento di ricostruire la defunta Unione Sovietica. Nessun cenno ai problemi delle vaste regioni orientali russofone che, anzi, trarrebbero soltanto vantaggio dall’essere inserite – anche con la forza – in una democrazia occidentale non corrotta com’era la vecchia URSS. La nuova Ucraina, proseguono gli autori, “è una democrazia partecipativa che non si affida a un unico governante, bensì a un sistema di pesi e contrappesi”.

Su Bernard-Henri Lévy non è necessario spendere molte parole, anche se sorprende che grandi quotidiani continuino a trattarlo con i guanti riservandogli grande spazio. Basti rammentare il ruolo nefasto svolto da BHL nella crisi libica, quando convinse Hillary Clinton (è lei stessa a scriverlo) che l’eliminazione di Gheddafi avrebbe consentito la nascita di una Libia democratica e vicina all’Occidente. Tutti sappiamo com’è finita quell’avventura iniziata con i raid aerei anglo-francesi.

Più interessante parlare di Soros. Nell’articolo di cui sopra si esalta infatti la “rivoluzione democratica” di Mikhail Saakashvili in Georgia. Si dà il caso che il magnate americano sia stato uno dei principali finanziatori del leader georgiano, come ora lo è del governo di Kiev. Lecito chiedersi, a questo punto, se sia così normale che quest’uomo dalle enormi risorse finanziarie abbia un ruolo tanto decisivo nella politica estera occidentale e, in particolare, americana.

Lo stesso Soros non si offende quando viene definito come grande speculatore finanziario internazionale. Nel 1992 le sue abili manovre costrinsero la pur potente Banca d’Inghilterra a svalutare la sterlina facendola uscire dallo SME. Calcoli prudenziali stimarono che nell’occasione il magnate abbia guadagnato oltre un miliardo di dollari. Nello stesso anno l’operazione venne ripetuta con la lira italiana, con una perdita di valore del 30% e la conseguente uscita dallo SME come già era toccato alla sterlina. Senza contare altre e numerose accuse di “insider trading”.

Se questi sono i difensori della democrazia, vien fatto di pensare, che il buon Dio ci protegga: ne abbiamo bisogno. Soros ha poi cercato di rifarsi una verginità politica pubblicando un libro contro il capitalismo “selvaggio” e proclamandosi seguace della teoria della “società aperta” di Karl Popper, del quale seguì alcuni corsi alla London School of Economics. Davvero difficile prenderlo sul serio. Mentre seriamente dev’essere considerata la sua vicinanza a Barack Obama, del quale ha finanziato con generosità le campagne elettorali.

Tutto allora si tiene. Il magnate appoggia e incoraggia la politica dell’attuale amministrazione USA in Ucraina, incluso il proposito di fornire al governo di Kiev maggiori armamenti, sottolineato ancora in questi giorni dal Segretario di Stato John Kerry. Conta poco che il Ministro degli Esteri tedesco Steinmeier inviti alla prudenza affermando: “sperare che più armi servano a disinnescare la crisi non è in linea con quella che è la realtà dell’Ucraina”.

Le decisioni non si prendono certo a Berlino o a Bruxelles, bensì a Washington e nelle fondazioni che Soros ha creato e finanzia. Sarebbe però opportuno che lui e BHL non venissero presentati sui grandi quotidiani come nobili difensori degli ideali liberal-democratici.








Lobby degli esuli: i soldi non bastano mai...

1) Trieste, il pozzo senza fondo dell'IRCI (LINKS)
2) Eppure le attenzioni di lor signori sono rivolte solo alla casa editrice KappaVu
– Laura Matelda Puppini: e i centocinquantamila euro per l'IRCI !?
– Novi Matajur: Kappa Vu e la triste novellipedia
3) Soldi e privilegi: gli esuli mai contenti (di S. Lorenzutti, 17/12/2014)


Le prossime iniziative che raccomandiamo su Giorno del Ricordo e Confine Orientale:

MONFALCONE (GO), lunedì 9 febbraio, ore 20.30 - Sede ANPI - via Valentinis, 84
Terzo appuntamento di informazione storica in occasione della Giornata del Ricordo organizzato dalla sede Anpi di Monfalcone.
“FOIBE E MEDIA” Genesi, sviluppo e affermazione del discorso sulle «foibe» nel recente passato
Marco Puppini e Tommaso Montanari dialogano con Federico Tenca Montini, autore di "FENOMENOLOGIA DI UN MARTIROLOGIO MEDIATICO.
Le foibe nella rappresentazione pubblica dagli anni Novanta ad oggi" (Kappa Vu, 2014).
https://www.facebook.com/events/318417275014973/

BOLOGNA, martedì 10 febbraio, ore 15.30 - Aula 3 della Facoltà di Economia - Piazza Scaravilli
Incontro “E ALLORA LE FOIBE?! Revisionismo di Stato e bombardamento mediatico”
Con gli interventi di Claudia Cernigoi, giornalista e ricercatrice storica; A. D'Orsi, storico dell'Università di Torino; Federico Tenca Montini, autore del libro "Fenomenologia di un martirologio mediatico".
Evento promosso da Jugocoord - Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia Onlus e con il supporto di Noi Restiamo, Partito Comunista d'Italia, Rete dei Comunisti, Associazione Il Manifesto in rete, Sinistra Classe Rivoluzione, Sempre in Lotta
https://www.cnj.it/INIZIATIVE/10feb2015.htm#bologna

PARMA, martedì 10 febbraio, ore 20.45 - Cinema Astra
Incontro "FOIBE E FASCISMO. 2015 - Decima edizione"
Alle 21.00 conferenza "Resistenza, revisionismo, rovescismo" di Angelo D'Orsi, storico dell'Università di Torino
Con gli interventi musicali di Crtomir Siskovic al violino e Simona Mallozzi all'arpa.
Alle 21.30 filmato "Pokret" di G. Calisti
Alle 22.00 conferenza "Foibe tra storia e mito" di Claudia Cernigoi
Evento promosso da Anpi, Anppia e Comitato Antifascista e per la memoria storica
https://www.cnj.it/INIZIATIVE/parma_iniziative.htm#100215

AREZZO, martedì 10 febbraio 2015
alle ore 21:00 presso il Centro giovani “Onda d'urto”, via F. Redi
FOIBE: IO RICORDO...TUTTO!! La verità contro il revisionismo storico
Ne parliamo con: Davide Conti (storico e autore di “L'occupazione italiana dei Balcani”)
Presentazione della mostra “Testa per dente”
A seguire serata punkrock con "Na Juriš!"
Promuovono Coordinamento Antifascista Antirazzista Toscano - Arezzo, Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS

COLLEGNO (TO), mercoledì 11 febbraio 2015 - presso il Circolo ARCI Asylum, Via Torino 9/6
E ALLORA LE FOIBE ?!
Introduce Valentina Sileo (Red House) - Interviene Eric Gobetti (storico)

PIERIS, venerdì 13 febbraio, ore 18.00 - Sede Municipale (sala consigliare 2°piano) – Largo Garibaldi, 37
Incontro "IL GIORNO DEL RICORDO e il superamento dei confini psicologici"
Con gli interventi di Livio Dorigo, Presidente Istro-Veneta "Istria", e di Biagio Mannino, politologo
Evento promosso dall'Assessorato alla Cultura del Comune di San Canzian d'Isonzo in collaborazione con la sezione di San Canzian dell'Anpi.

RESCALDINA (MI), Sede ANPI, via Matteotti 56
Dopo l'inaugurazione di sabato 7, fino a venerdì 13 febbraio è operativa la mostra "TESTA PER DENTE, crimini fascisti in Jugoslavia 1941/1945. Immagini e testi dai territori occupati e dai campi di concentramento italiani per civili slavi". Orari di apertura 15.30-17.30.


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Trieste, il pozzo senza fondo dell'IRCI 

LINKS:

Il museo fantasma sulle foibe (Fausto Biloslavo - Gio, 09/02/2012)
A Trieste procede tra ritardi e polemiche l’allestimento della "casa" della civiltà istriana, fiumana e dalmata. Per il "Giorno del ricordo" siamo entrati nelle sale già pronte, tra oggetti d’epoca, foto e una cavità carsica ricostruita... 
http://www.ilgiornale.it/news/museo-fantasma-sulle-foibe.html

Giallo all’Irci, scomparso un assegno (di Fabio Dorigo, 15 novembre 2014)
La presidente Vigini allerta i revisori dei conti dell’Istituto di cultura istriana. All’origine il cambio di conto corrente bancario... un assegno circolare da migliaia di euro - si parla di 25mila - sparito...
http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2014/11/15/news/giallo-all-irci-scomparso-un-assegno-1.10309686

Irci, giallo dell’assegno. Il tesoriere: «Ho agito nell’interesse dell’ente» (di Piero Rauber, 17 novembre 2014)
Nedoch: «Operazione a garanzia della liquidità dell’Istituto». Oggi in programma l'incontro tra i revisori e il direttivo della presidente Vigini...

Irci, finisce in Procura l’assegno sparito (di Fabio Dorigo, 18 novembre 2014)
Confermati gli ammanchi di denaro. Ritirate le deleghe al tesoriere, che si è dimesso. "Effettuato un versamento non autorizzato a un soggetto non conosciuto. Dopo una diffida, la somma ora è in via di recupero"... il tesoriere Stefano Nedoh, dipendente regionale, ex assessore al Bilancio di Duino oltre che presidente del collegio dei revisori dei conti in diverse realtà (dall’Associazione nazionale Venezia Giulia Dalmazia ai Giuliani mondo per finire con gli Amici della Contrada)...
http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2014/11/18/news/irci-finisce-in-procura-l-assegno-sparito-1.10329284

Caso Irci «Qui serve un’operazione mani pulite» (di Fabio Dorigo, 18 novembre 2014)
L'intervista. Masau Dan difende l’operato del presidente Chiara Vigini: ha avuto il coraggio di andare fino in fondo... "L’Irci è un posto davvero dove regna la politica." Non ci sono solo idealisti? "Non ci sono affatto solo persone idealiste. Ci sono scontri in atto di due visioni del mondo e dell’Irci..." A che punto è il museo della civiltà istriana? "Il museo è pronto. Il progetto del museo è fatto. Lo presentiamo ai primi di dicembre." Un po’ in ritardo... "È vero. Volevamo inaugurarlo prima, ma il museo è pronto. A me dispiace solo che ora ne esce un’immagine torbida dell’istituto..." 

Irci, assegno “riemerso” in un magazzino (di Laura Tonero, 20 novembre 2014)
Con i 25mila euro mancanti, acquistato all’asta un magazzino in via del Ghirlandaio intestato a una cittadina africana...
http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2014/11/20/news/irci-assegno-riemerso-in-un-magazzino-1.10341351

«Nedoh dal dentista con i soldi dell’Irci» (di Laura Tonero, 21 novembre 2014)
Dopo i primi controlli, gli ammanchi ammontano a 28mila euro ... Il magazzino comprato dai titolari del Bar Cristallo... 

Irci, mancano 180mila euro. Fondi regionali in ritardo (di Fabio Dorigo, 13 dicembre 2014)
I soldi del mutuo decennale per il museo bloccati dalla documentazione incompleta...
http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2014/12/13/news/irci-mancano-180mila-euro-fondi-regionali-in-ritardo-1.10484569


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Sulla crociata contro la casa editrice KappaVu si vedano anche:

Non-notizie / 8: MILIONI DI EURO PER LA PULIZIA ETNICA

Iniziativa a sostegno della KappaVu

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4 dicembre 2014 alle 16:13

In attesa di leggere che nuovo inventato “reato” verrà attribuito, da destre e dintorni, ad Alessandra Kersevan, ora definita “riduzionista delle foibe” (cfr. articolo qui ripreso da Il Giornale), credo sia interessante guardare un po’ i dati sui contributi elargiti dalla regione ad enti culturali, riportati in: Messaggero Veneto del 3 dicembre 2014. Veramente credevo si trattasse di contributi per pubblicazioni in lingua friulana, ma confesso che non sono poi molto informata. Quello che però mi ha colpito è l’ammontare del contributo all’Istituto Regionale per la cultura istriano- fiumano -dalmata, 150.000 euro, dico, centocinquantamila euro, (Anna Butazzoni, Scontro in regione sui bonus di Natale, in Messaggero Veneto, 3 dicembre 2014) e mi sono detta che a molti avrebbero fatto comodo se si deve dar ascolto a quanto è stato pubblicato dal Messaggero Veneto, negli ultimi mesi sulla carenza di fondi per la cultura anche di qualità, in regione, e da quanto si sente, si vede e viviamo. Quello che sconcerta, è che, se si entra nel sito di detto Istituto, si nota (come del resto dalla denominazione), che si occupa di storia dell’Istria, di Fiume e dintorni e della Dalmazia – per ora non pare annessi al Friuli Venezia Giulia, anche se c’è chi lo vorrebbe – attraverso la pubblicazione di libri. Pare però che alcuni contributi siano vincoli ereditati, e vorrei sapere se anche questo. E se ho capito male prego di rettificare. E scrivo questo senza voler offendere nessuno, ma solo come constatazione. Inoltre vorrei sapere se Ncd e Piccin, che accusano la giunta Serracchiani di aver diviso i fondi tra “gli amici degli amici “ (Anna Butazzoni, op. cit.), con che prove non si sa, (anzi lo vorrei proprio sapere), ritengano che fra gli stessi vi sia anche detto Istituto. A proposito del Pdl o F. I., ricordo, poi, che nel febbraio 2012 rappresentanti di detto partito accusavano Honsell di fare discorsi troppo a sinistra per il 25 aprile, su che base non si sa, e volevano due feste del 25 aprile. Comunque, per fortuna kappa vu, che ha coeditato le memorie di Romano Marchetti, Da Maiaso la Golico, dalla Resistenza a Savona, una vita in viaggio nel’900 italiano, (a cura di Laura Matelda Puppini) 2013, che nulla ha a che fare con il confine orientale ecc. ha avuto 20.000 euro, per pubblicazioni in friulano. Laura Matelda Puppini

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Novi Matajur, n.47 (1875), 10/12/2014

Kappa Vu e la triste novellipedia

Dobbiamo ammetterlo: ci sentiamo un po’ traditi. Nelle ultime uscite con cui il consigliere regionale Novelli si è conquistato un certo spazio mediatico non abbiamo trovato nessun attacco alla minoranza slovena della provincia di Udine. Può essere che abbia deciso di uscire da un certo provincialismo. Di certo ha mantenuto il suo stile ineffabile che gli è valso la medaglietta di portabandiera degli anti-sloveni. Ora però il suo obiettivo è far togliere un contributo regionale di 20mila euro (poco più di due delle sue mensilità lorde da consigliere) al friulano. Per la precisione alla casa editrice Kappa Vu, da sempre (piaccia o meno) fra le realtà più attive nella promozione della lingua minoritaria più parlata in Regione. Il motivo? Ha letto su Wikipedia che la direttrice di Kappa Vu, Alessandra Kersevan, sarebbe una ‘negazionista’ delle foibe e con grande nonchalance ha tirato in ballo pure la Shoah. Ma Wikipedia proprio nelle pagine dedicate alla Storia è l’esempio più lampante del fallimento della (pur affascinante) teoria della democrazia della conoscenza. Mentre tanti attivisti di estrema destra su quel portale sono costantemente impegnati a modificare le voci stravolgendo la realtà dei fatti, Kappa Vu, da anni, pubblica ricerche documentate e metodologicamente ineccepibili. Nelle quali non si nega nessuno degli eventi tragici della seconda guerra mondiale. Neanche i crimini compiuti dall’Italia fascista in Slovenia. Semmai, essendo appunto documentati, sono testi che inducono a rivedere in modo critico tante delle mistificazioni che sono state portate avanti negli ultimi anni e che hanno fatto la fortuna di tanti politici alla Novelli. Il problema è che leggerli è un po’ più faticoso che guardare un teatrino o consultare Wikipedia. Essendo un po’ idealisti, noi però ci aspettiamo che chi ricopre incarichi di una certa importanza (no, non Novelli, ma ad esempio l’assessore Torrenti che ha dichiarato di condividere lo spirito dell’uscita del consigliere forzista) lo faccia lo stesso. Magari prima di dare credito a quanti citano come fonte Wikipedia. (ab)


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Comunicato stampa

Soldi e privilegi: gli esuli mai contenti

17 dicembre 2014


Soldi e privilegi: gli esuli mai contenti

Leggo in continuazione dei problemi degli esuli che anche a 60 anni di distanza non si mettono ancora d' accordo sui soldi e su altre questioni. Pare che continuino con le dispute di campanile come quando erano a casa loro in Istria. Dure a morire le tradizioni paesane, specialmente quelle dei contadini, ma date ascolto al vecchio ma sempre valido detto romano: "PACTA SERVANDA SUNT".

Una volta firmato un accordo vi si deve tener fede o si passa per imbroglioni che non rispettano i patti. Certo che i soldi non bastano mai, ma tra quelli che vi deve lo stato italiano che li ha ricevuti da Tito gia' nel 1948 e quelli che hanno versato la Slovenia e la Croazia, sempre allo stato italiano, non e' che potete proprio lamentarvi troppo. Se poi voleste fare uno sforzo di memoria potreste aggiungervi la famigerata Legge 336 di Andreotti a favore del settore pubblico con particolare privilegio per i profughi ed i loro figli, il punteggio privilegiato per gli esuli nel settore pubblico, stato e para stato, che e' ancora oggi in vigore per i loro nipoti.


E gia' che ci siamo aggiungiamoci pure il punteggio di favore per l'assegnazione delle case popolari, i villaggi carsici a bassissimo affitto con conseguente riscatto agevolato. E cos' altro vorreste ancora dallo stato? Imponetevi contro le beghe di bassa macelleria fomentate ad arte da alcuni vostri capi popolo che altro non sanno fare pur di poter rimanere sulla scena pubblica e su quella politica. Non vi pare che sia ora di finirla a 60 anni dall' esodo e di diventare cittadini normali a tutti gli effetti? E gia' che ci siamo quando leverete dal vostro museo quella indecorosa dicitura di "civilta' istriana" ? Ma quando mai si e' parlato, scritto o studiato di una civilta' istriana o dalmata che sia? Ma colui che si e' inventato un tale sproloquio ha mai pensato a cosa vuol dire civilta'? Basterebbe sbirciare un dizionario commentato o consultare un' enciclopedia e per i piu' moderni ficcanasare in Wikypedia e leggere cosa si dice a riguardo di "civilta'" per capire che di civilta' l' Istria e la Dalmazia non hanno nulla di specifico, perche' tale supposta civilta' non sussiste. Si puo' solo fare riferimento generico alla civilta' contadina, rurale o di pescatori che sono comuni a tutto il, mondo rurale come insegnava gia' negli anni '30 il grande etnologo francese Levi' Strauss.


Cosa hanno questi contadini, pescatori di speciale rispetto al resto del mondo? Suvvia un po' di serieta' s'impone. Certamente con "civilta'" si mungono soldi dalla regione come abbiamo visto fare anche quest' anno da una decina di associazioni degli esuli sulle quali campeggia il museo in questione che sarebbe piu' opportuno chiamarlo "della memoria dell' esodo" a ricordo delle sofferenze patite da molti esuli, mentre una loro minoranza ( come sempre accade nelle grandi disgrazie ) se ne e' avvantaggiata alla grande. E non e' certo qui il caso di farne un elenco, tanto sicuramente li conoscete meglio di me. E per correttezza ricalcolate il numero degli esodati. Quando ero giovane, gia' allora il numero sembrava esorbitante stante gli abitanti dell' Istria, e si parlava prima di 200.000 e qualche anno dopo di 220.000 unita'.


Ora si va declamando di 350.000 persone, ma dove vivevano queste masse italiane? in quale Istria e Dalmazia? Andando avanti di questo passo l'Istria risultera' esser stata una zona sovra popolata, con elevatissima densita' abitativa! Vi ricordate della falcidia che mieteva la dissenteria tra i bambini ed i vecchi? Ci volle la presenza delle Coop. Op. di Trieste, Istria e Friuli che nel 1904 cominciarono a vendere latte sterilizzato e l' apertura dell' acquedotto austriaco del 1908 che porto' acqua potabile nei paesi dell' interno per far cessare quel flagello di mortalita'. Avete mai letto i censimenti austriaci cosa dicono circa la popolazione all' inizio del '900 ? Come si possono allora sparare balzane del genere se non che per commuovere e mungere un qualcosina in piu'? Poveri noi se questo e' un segno di "civilta'"!

Sergio Lorenzutti



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