Un colpo alla Francia e all'Europa (di Giulietto Chiesa, mercoledì 7 gennaio 2015)
Operazione in grande stile: per colpire la Francia. Per colpire l'Europa. Guardarsi dalla spiegazione più semplice, il far odiare l'Islam...
Indagine della procura padovana contro cinque individui. Ipotesi di reato: associazione con fini di terrorismo internazionale e arruolamento. Si cerca di svelare la rete di contatti che ha portato alla radicalizzazione degli indagati
PADOVA - Terroristi. E reclutatori. Con la testa in Italia ma con il cuore in Siria, accanto ai combattenti dell'Is. E' questa l'accusa che viene mossa dai carabinieri del Ros di Padova hanno bussato alle porte dei cinque indagati principali (quattro bosniaci e un macedone) dell'inchiesta sulla presunta nuova cellula terrorista del Nord Est.
Sono state perquisite le case dei due fondamentalisti di Belluno partiti per la Siria e finiti a combattere nelle file dell'Is: l'imbianchino bosniaco Ismar Mesinovic (morto a gennaio nei pressi di Aleppo) e Munifer Karameleski, il 26enne macedone residente a Chies D'Alpago e amico di Mesinovic (entrambi frequentatori del centro islamico Assalam di Ponte nelle Alpi). Di Karameleski si sono perse le tracce. Secondo alcuni blog stranieri sarebbe morto anche lui durante uno scontro con le milizie di Bashar al-Assad, a marzo. Ma della notizia non si è mai avuta la conferma ufficiale, dunque gli investigatori italiani ritengono che possa essere ancora vivo e non escludono un suo ritorno in Italia da reduce.
Ma non ci sono solo loro, nell'indagine avviata a gennaio dal pm Valter Ignazitto e che li vede accusati a vario titolo in base all'articolo 270 bis e quater del codice penale per associazione con fini di terrorismo anche internazionale e arruolamento. Tra i perquisiti figurano P.P., un giovane bosniaco che vive a Longarone, e altri due soggetti di religione islamica che di recente si sono radicalizzati: O.A. e V.A., entrambi residenti nel piccolo comune friulano di Azzano Decimo e assidui frequentatori del Centro di preghiera di Pordenone, dove nel 2013 potrebbero aver conosciuto Bilal Bosnic, l'imam errante salafita che si muoveva tra la Bosnia, l'Austria e il Nord Italia [ http://www.repubblica.it/esteri/2014/08/28/news/bilal_bosnic_ci_sono_italiani_nell_is_conquisteremo_il_vaticano-94559220/ ], arrestato nel settembre scorso e tuttora detenuto a Sarajevo.
Anche Karameleski e Mesinovic, almeno in un'occasione, sono andati a pregare a Pordenone nello stesso centro culturale, prima di mollare tutto e partire per la Jihad. Mesinovic si è portato dietro anche il figlioletto di tre anni, che secondo alcune fonti straniere sarebbe stato affidato a una famiglia bosniaca in Siria, mentre la moglie cubana di Ismar è rimasta in Italia.
In particolare V.A. è ritenuto dagli inquirenti soggetto particolarmente interessante: operaio, sulla trentina, sposato con una donna slava. Ad Azzano Decimo non passa inosservato: look da predicatore islamico e parole da convinto sostenitore dell'Is. Nelle cinque abitazioni perquisite sono stati sequestrati 5 pc e varie chiavette usb e altro materiale hardware. Nei prossimi giorni saranno analizzati dai tecnici forensi della procura. Era attraverso i portatili e attraverso software quali Skype e Viber che i cinque comunicavano tra loro e con soggetti all'estero. Anche se al momento non sono state individuate conversazioni particolarmente "pericolose" o indicative di un imminente "passaggio all'azione".
Quello che gli inquirenti stanno cercando di capire è la rete di contatti che ha consentito ai due di Belluno di arrivare in Siria, passando via terra dalla Turchia. E quale sia stato il ruolo dell'imam salafita Bosnic nel percorso di radicalizzazione dei quattro uomini.
http://ricerca.gelocal.it/corrierealpi/archivio/corrierealpi/2014/10/31/NZ_02_22.html
La storia dell'imbianchino Mesinovic arrivato a Longarone dalla Bosnia
PONTE NELLE ALPI. Dai Balcani alla Siria, via Bellunese. La storia di Ismar Mesinovic e Munifer Karamaleski è, per molti versi, simile. Mesinovic era partito da Doboj, una cittadina della Repubblica Serba di Bosnia, per stabilirsi a Longarone. Faceva l'imbianchino per un'azienda di Ponte nelle Alpi, quando ha deciso di portare chissà dove il piccolissimo Ismair e lasciare la moglie cubana Lidia Solano Herrera, per andare in Siria. È morto a gennaio, in un combattimento. La donna, che per amore si era convertita all'Islam non porta più il velo e adesso vive con la sorella. Il sindaco longaronese Roberto Padrin ha sempre detto di «non aver mai avuto problemi con i suoi vicini musulmani». Karamaleski è di Plasnica, un centro della Macedonia. Venticinquenne, sposato e padre di tre bambine, lavorava come operaio in un'ottica di Cornei Puos d'Alpago, quando ha deciso di licenziarsi, farsi cancellare dall'anagrafe del Comune di Puos e partire insieme a Mesinovic. Il sindaco di Chies d'Alpago, Gianluca Dal Borgo l'ha sempre descritto come «un ragazzo elegante e discreto. Integrato nella comunità alpagota, ma anche assiduo frequentatore della moschea Assalam». (g.s.)
31 ottobre 2014
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http://www.analisidifesa.it/2014/11/califfato-la-rete-di-reclutameno-bosniaca-attiva-in-italia/
CALIFFATO: LA RETE BOSNIACA RECLUTA IN ITALIA
di Redazione, 11 novembre 2014
di Paolo Giovannelli da Redattore Sociale del 10 novembre 2014
Era il 1992 quando l’Europa abbandonò la Bosnia al suo destino, schiacciata nella guerra fra il nazionalismo serbo e quello croato. Quell’indifferenza consentì all’Islam – anche quello integralista – di rientrare (non accadeva dai tempi degli Ottomani) nel cuore dell’Europa sulla scia di organizzazioni umanitarie islamiche, predicatori e reparti di paramilitari arabi e asiatici inviati in soccorso dei “fratelli musulmani” di Bosnia. Oggi le polizie europee danno la caccia ai presunti reclutatori bosniaci che – selezionandoli in Europa – inviano combattenti in Siria a supporto della Jihad dello Stato islamico (Is), alcuni dei quali attivi anche in Italia.
I reclutatori in Italia
Il più sospettato fra quelli passati per l’Italia, è sicuramente l’imam radicale Bilal Hussein Bosnic, 42 anni, conosciuto dai suoi come Cheb Bilal: “Ogni musulmano deve sostenere la Jihad insegnando, lottando o finanziando.
Noi musulmani crediamo che un giorno il mondo intero sarà uno Stato islamico e anche il Vaticano sarà musulmano”. Parole sue. Nel settembre scorso è stato catturato dalla Sipa, la polizia speciale del ministero per la Sicurezza di Sarajevo, che lo ha accusato di finanziare il terrorismo di matrice islamica e reclutare combattenti da inviare in Siria; per riaverlo in Italia e interrogarlo, cosa che il pm Walter Ignazitto dovrà fare, serve adesso l’apertura di una rogatoria internazionale
Un altro indagato, insieme a Veapi, sarebbe Arslan Osmanoski, sospettato di aver favorito la predicazione di Bosnic al centro islamico di Pordenone.
Tuttavia l’imam di Pordenone, Ahmed Erraji, che tira fuori dal cassetto le foto con Bilal Bosnic scattate nel maggio-giugno 2013, è certo dell’estraneità ai fatti di
Veapi e Osmanoski e ribadisce la sua condanna contro gli integralisti islamici: «Non abbiamo nulla da nascondere e vogliamo vivere in pace», afferma. Proprio in questi giorni i Ros di Padova hanno effettuato nuove perquisizioni a Longarone, a Chies d’Alpago e ad Azzano Decimo, sia a casa di Munifer Karamaleski (operaio macedone che ha lasciato Palughetto e che attualmente dovrebbe combattere in Siria) e di un italiano bellunese convertitosi all’Islam, Pierangelo Abdessalam Pierobon,
sequestrando computer, telefonini e documenti. Nei telefonini sequestrati, i Ros avrebbero trovato alcuni “selfie” fatti in compagnia dello stesso imam radicale Bilal Bosnic. Bilal Bosnic è considerato uno dei capi del movimento dei wahabiti bosniaci (diffusosi in Bosnia-Erzegovina con la brigata El Mudžahid, nel 1992 e poi nel 1994: paramilitari ben addestrati, di origine araba o asiatica). Bosnic, che avrebbe iniziato a combattere nella guerra dei Balcani non ancora ventenne contro i serbi, ha dichiarato che ci sarebbero anche cittadini italiani (una cinquantina) tra i combattenti dello Stato islamico (Is).
In Italia ha tenuto vari incontri “di preghiera”, come nelle città di Bergamo, Pordenone e Cremona. In un video del 2012 intitolato Con chi stai insieme?, lo si può vedere al centro culturale “Restelica” di Monteroni di Siena, insieme ad un altro predicatore radicale islamico, Idriz Bilibani, quest’ultimo già arrestato dalla polizia kosovara nel 2010, probabilmente su richiesta americana. In Bosnia, dalla metà degli anni ’90, si sono consolidate roccaforti di stampo salafita-jihadista. Da tali insediamenti si sono sviluppate le reti su cui viaggiano i messaggi degli imam radicali: un pericolo non soltanto per l’area balcanica ma anche per il resto d’Europa e per l’Italia.
Nell’agosto scorso, l’imam Bosnic aveva anche giustificato il rapimento delle due cooperanti italiane, Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, definendo la loro azione come “interferenza” e aveva descritto come spia James Foley, il giornalista americano ucciso dall’Is, giustificando il suo assassinio come atto di guerra.
Gli operai italiani del Jihad
In Italia, secondo gli inquirenti, potrebbe essere stato proprio l’incitamento di Bosnic alla “guerra santa” ad aver convinto sia l’imbianchino bosniaco Ismar Mesinovic (partito dall’Italia per la Siria fra il novembre e il dicembre 2013), sia l’operaio macedone Munifer Karamaleski , frequentatore dei centri islamici di Trento e di Pordenone.
Mesinovic, nato a Doboj (Bosnia) il 22 agosto 1977, si recava a pregare al centro Assalam-Pace di Ponte nelle Alpi: è morto in Siria, a 37 anni, nei primi giorni del gennaio scorso (sembra tra il 4 e il 6 gennaio) in circostanze non chiarite. Ancora non si capisce se sia davvero caduto in combattimento; sua moglie (una cittadina cubana convertitasi all’Islam) ha dichiarato di aver saputo che il marito era stato gravemente ferito ad Aleppo, dove infuriava la battaglia fra jihadisti e le truppe del presidente siriano Assad.
La morte di Mesinovic è stata comunque provata da fotografie pubblicate in internet, sia dall’estremo saluto che i suoi confratelli hanno postato su profilo Facebook Scienza del Corano il 13 gennaio scorso. Il messaggio recita: “Io Anass Abu Jaffar (adesso indicato come indagato dalla procura di Venezia,ndr) e il Fratello Usama e il Fratello Piero con il mio carissimo fratello che è morto Rahimahu Allah che Allah gli doni il firdaws (il livello più alto del paradiso islamico, ndr). Così, sorridente voglio ricordare questo fratello morto in Siria… Morto perché il suo sogno era quello di riportare giustizia in quella terra. Morto per quelle migliaia e migliaia di donne e bambini uccisi ingiustamente.
Allah ne sa di più. Che Allah abbia misericordia della tua anima e che ti accolga nel firdaws tra i martiri). Nella foto allegata al messaggio, c’è quindi il volto di Ismar Mesinovic, imbianchino benvoluto nel bellunese, che da Longarone si era trasferito insieme alla compagna e al figlioletto in una casa di Ponte nelle Alpi.
Il 25 aprile scorso, ancora sulla Scienza del Corano, profilo prevalentemente gestito dallo stesso Annas Abu Jaffar (attualmente non più in Italia: dovrebbe essersi trasferito a Casablanca, in Marocco) è stata pubblicata anche una foto di un combattente islamico con la bandiera nera dell’Is: il commento a fianco punta sul concetto di “nazione vittoriosa”.
Parlando ancora di siti web di matrice islamico-integralista gestiti in Italia, va notato che – in concomitanza con l’arresto di Bosnic da parte della polizia di Sarajevo – a Bergamo chiudeva il sito internet “Islamsko Dzemat Bergamo” (Studio Islam) e la corrispettiva pagina Facebook, che aveva pubblicato diversi video che ritraevano lo stesso predicatore bosniaco. Sempre nello stesso periodo della partenza di Mesinovic, anche il macedone di 26 anni, Munifer Karameleski , operaio in un’industria ottica, perfettamente inserito in Italia, ha lasciato genitori e fratelli in quel di Palughetto, piccola frazione di Chies d’Alpago: destinazione Siria. Lui, almeno, sarebbe ancora vivo. Il padre, intanto, l’ha ripudiato come figlio.
Le indagini in corso. Le reazioni dei vicini, dei datori di lavoro e delle famiglie
In queste ore gli investigatori continuano a lavorare nelle province di Belluno, Treviso e Pordenone. Il loro scopo è quello di ricostruire i contatti di Mesinovic e Karameleski e le fasi del loro reclutamento, per individuare la rete di “passatori” che li hanno fatti viaggiare dal Veneto fino ai campi di battaglia siriani.
I vicini dei due, i loro datori di lavoro sono sbigottiti. Ancora non credono che quei due “bravi ragazzi”, quei due lavoratori con donne e figli possano aver fatto una fine del genere: il primo morto, forse in battaglia contro i regolari di Assad e l’altro disperso da qualche parte in Siria. C’è poi la reazione dei familiari, che non si capacitano.
Da Ponte nelle Alpi e Palughetto alla Bosnia, alla Macedonia, nessun genitore, magari formatosi culturalmente sotto il socialismo di Tito o emigrato dai Balcani in Italia per migliorare la condizione economica della propria famiglia, può accettare un figlio morto in Siria sotto la bandiera nera dell’Is.
Ma i reclutatori non si fermano: sfruttano l’ignoranza, l’impossibilità di una vita decente: sono circa 150 i cittadini bosniaci impegnati nelle guerre “di religione”, partiti dai dintorni di Sarajevo, Srebrenica, Bihac, Vogosce, Vitez. Si tratta, in gran parte, di giovani che non hanno avuto l’opportunità di studiare, che provengono da paesini montani isolati, che hanno avuto come unico riferimento “importante” un uomo che sembra loro più colto, migliore e che promette il riscatto dalla miseria, dalla loro e da quella di tutto il mondo che crede nel vero Dio e che li fa sembrare improvvisamente vincenti e in tanti: il predicatore radicale, l’uomo che li spinge al Jihad. Fino alla morte.
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Vedi anche, sui bosgnacchi in Italia:
Casa, fabbrica, jihad: così il Califfo s’infiltra nel “modello Veneto” (di Francesca Paci, 23/11/2014)
http://www.lastampa.it/2014/11/23/esteri/casa-fabbrica-jihad-cos-il-califfo-sinfiltra-nel-modello-veneto-1E1L9pHHNE3Jnuxlu6WWRO/pagina.html
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PABLO TRINCIA ALLA RICERCA DI ISMAIL, IL BAMBINO DI BELLUNO RAPITO DAL PADRE JIHADISTA (AnnoUno, 18 dic 2014)
Ismail Mesinovic è un bimbo di tre anni. Nel dicembre scorso è scomparso dalla cittadina in provincia di Belluno dove viveva, rapito dal padre che l’ha portato con sé in Siria per arruolarsi tra le fila degli jihadisti. Pablo Trincia ha seguito il loro percorso, dall’Italia alla Siria: ecco un’anticipazione del reportage in onda stasera...
http://www.announo.tv/2014/12/pablo-trincia-a-caccia-di-ismail-il-bambino-di-belluno-rapito-dal-padre-jihadista/?author_id=
Vedi gli altri servizi su AnnoUno: http://www.announo.tv/?s=ismail
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http://www.ilmattino.it/PRIMOPIANO/CRONACA/belluno-bimbo-rete-isis-ismail-la7-tv/notizie/1078433.shtml
«Quello è mio figlio», Lidia riconosce il piccolo in tv: è nella rete dell'Isis
di Olivia Bonetti - sabato 20 dicembre 2014
BELLUNO - «Ormai aspetto da un anno, devo fare qualcosa per riavere mio figlio». È per questo che Lidia Solano Herrera, mamma del piccolo Ismail Davud, nato a Belluno il 4 settembre 2011 e scomparso dal Natale scorso, ha accettato il viaggio col giornalista di La7, Pablo Trincia. Il reportage sulle tracce di suo figlio, portato via dal marito Ismar Mesinovic, poi morto mentre combatteva per l’Isis in Siria, è stato trasmesso l’altra sera ad AnnoUno su La7.
La Herrera abita a Ponte nelle Alpi: l’ultima telefonata del bimbo il 20 dicembre 2013, quando gli parlò in Bosnia dov'era col padre a trovare i parenti. Poi Mesinovic era andato in Siria per combattere col macedone Karamaleschi, partito dall’Alpago. E là il piccolo Ismail potrebbe essere ancora. Lo ha riconosciuto in una foto la mamma. Il bimbo ha lo sguardo perso nel vuoto.
È in sella a una moto di fronte a un combattente dell’Isis in tuta mimetica. Quell’uomo è Salid Kolish, combattente con cui era partito Mesinovic. La Herrera è arrivata in Turchia a 500 metri dal confine con la Siria. Sono milioni i messaggi sui social Facebook e Twitter inviati dopo la trasmissione al richiamo "Riportiamo a casa Ismail".
Lunedì la Herrera, assistita dall’avv. Piazza di Treviso, tornerà in Procura. «Diedi il consenso a mio marito di portarsi Ismail. Non è stato rapito, ma ora deve tornare dalla sua mamma».
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LE FOTO: http://youmedia.fanpage.it/gallery/aa/5497c7e7e4b0a42b4e6b891e
Ismail, il bambino italiano con l’Isis
3 anni, biondo, occhietti spenti. "Quello è mio figlio, ne sono certa". Lidia Solano Herrera, mamma del piccolo Ismail Davud, nato a Belluno il 4 settembre 2011 e scomparso dal Natale scorso, intervistata da La7, è convinta che quel bimbo sia suo figlio, dopo aver visto le foto del piccolo sui siti della propaganda jihadista. La Herrera afferma di aver parlato l'ultima volta col figlio un anno fa, il 20 dicembre 2013. Ismail era in Bosnia col padre, Ismar Mesinovic, a trovare i parenti. Poi Mesinovic era andato in Siria per combattere col macedone Karamaleschi, partito dall’Alpago. Nella immagine si vede un bambino in sella ad un moto insieme ad un combattente. Si tratta di Salid Kolish, con cui era partito Mesinovic. Il padre di Ismail nel frattempo è morto mentre combatteva con l'Isis. Ma quel bimbo è davvero Ismail? Toccherà scoprirlo Raggruppamento operativo speciale di Padova, coordinato dalla procura antiterrorismo di Venezia. (pubblicato il 22 dicembre 2014 alle ore 08:37)
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https://uk.news.yahoo.com/bosnian-imam-attacked-7-times-over-call-stay-161722154.html
Bosnian imam attacked 7 times over call to stay out of Syria
By AMEL EMRIC | Associated Press – Mon, Jan 5, 2015
TRNOVI, Bosnia-Herzegovina (AP) — The long-bearded man burst into the mosque's yard and pinned Selvedin Beganovic to the ground. Shouting "Now I will slaughter you!" he plunged a knife three times into the imam's chest and fled.
It was no random attack: Beganovic has suffered seven assaults blamed on Muslim extremists in the past year — with three just last month.
The apparent reason for the jihadi wrath? Beganovic uses his pulpit to tell the faithful in predominantly Muslim Bosnia they have no business fighting in Syria or Iraq. And he vows to keep preaching the message no matter how many times extremists try to silence him.
"That is not our war," the imam told The Associated Press in his small northwestern town. "Our jihad in Bosnia is the fight against unemployment. The care for our parents who have small pensions. The care for the socially jeopardized."
Some 150 Bosnians have joined Islamic militants in Syria or Iraq, officials estimate, with many fighting for the Islamic State group. All are apparently members of a small community that follows an ultra-conservative interpretation of Islam. Last month, a court in Bosnia charged a man believed to be the spiritual leader of the group with recruiting Bosnians to fight with Islamic militants in Syria and organizing a terrorist group.
Beganovic, who preaches every week to a full mosque, tells his followers that groups like IS are spreading a "perverted version of Islam."
"When did (the Prophet) Muhammad ever behead anyone?" he said. "When did he take a knife and slaughter an innocent journalist?"
Of Islam's 99 names for God — including The Mighty and The Avenger — the ones Beganovic likes most are The Exceedingly Merciful and The Exceedingly Gracious.
"That is what we teach our children here," he said.
Dragan Lukac, the director of federal police, blamed fighters returning from Syria's front lines for the attacks against Beganovic, which include severe beatings and knife slashes to the face, shoulders and hands. Investigators are still hunting for the attacker in last week's knife assault.
"Every person who comes back from that front line is a danger," said Lukac. "These people are able to perform attacks on citizens, on property, on state institutions."
Militant Islam was all but unknown to Bosnia's mostly secular Muslim population until the 1990s Balkans wars when Arab mercenaries turned up to help the outgunned Bosnian Muslims fend off Serb attacks. These fighters, many of whom settled in Bosnia, embraced a radical version of Islam that Bosnia's official Islamic community opposes.
The community's leader, Husein Kavazovic, has repeatedly warned Bosnians not to fall for extremist rhetoric aimed at pulling them into the fight in Syria.
"Our job is to keep repeating, to keep warning that this is evil and cannot be justified," he said.
That's exactly what Beganovic has been doing — at the risk of his life.
"These are dangerous people," he said. "Their place is in a mental institution."
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Isto procitaj:
Imam Selvedin Beganović ponovo pretučen na ulazu u džamiju (14.12.2014.)
Selvedina Beganovića, imama u Trnovi, opština Velika Kladuša, napala je nepoznata osoba na ulazu u džamiju, drugi put u pet dana, javlja Srna...
http://www.oslobodjenje.ba/vijesti/bih/imam-selvedin-beganovic-ponovo-pretucen-na-ulazu-u-dzamiju
Linkovi:
http://www.cazin.net/keywords/selvedin-beganovic/P10
http://www.radiosarajevo.ba/novost/176227/U-Trnovi-nozem-napadnut-imam-Selvedin-Beganovic
U Trnovi nožem napadnut imam Selvedin Beganović
02. januar 2015. u 11:42
Imam u Trnovi u opštini Velika Kladuša Selvedin Beganović ponovo je napadnut, treći put u posljednjih 25 dana, piše Srna. Napad se dogodio sinoć, prije ulaska u džamiju, javio je Dnevni avaz.
Prema istom izvoru, nepoznati napadač udario je Beganovića s leđa tvrdim predmetom u glavu, a nakon što je imam pao na zemlju pokušao ga je ubosti nožem u grudi i vrat. Napadač je pobjegao, a povrijeđeni imam je pozvao policiju.
Beganović je zadobio ubod nožem u srce koji, nasreću, nije bio dubok, te ranu na vratu.
Povrijeđeni imam je kolima hitne pomoći Doma zdravlja u Velikoj Kladuši transportovan do Kantonalne bolnice Dr. Irfan Ljubijankić u Bihaću, gdje pregledan na Odjeljenju hirurgije, ali je nakon toga na vlastiti zahtjev pušten kući.
Avaz navodi da je Beganović veoma uznemiren i u teškom psihičkom stanju, tim prije, jer je vidio napadača koji je bio bez maske na licu.
Imam Beganović poznat je javnosti po prošlogodišnjem otvorenom pismu Bilalu Bosniću, neformalnom vođi vehabijskog pokreta u BiH, u kojem je kritikovao praksu vrbovanja i slanja omladine iz BiH na sirijsko i iračko ratište.
Beganović je bio napadnut 8. i 13. decembra. On je nakon prvog napada u više izjava medijima rekao da nikoga ne optužuje i "ne upire prstom".
Kladuška policija i dalje intenzivno radi na sva tri slučaja napada na trnovskog imama.
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http://www.radiosarajevo.ba/novost/176427/imam-selvedin-beganovic-nas-dzihad-je-otvarati-radna-mjesta-a-ne-ici-na-strana-ratista
Imam Selvedin Beganović: Naš džihad je otvarati radna mjesta, a ne ići na strana ratišta
05. januar 2015.
Iako je nekoliko puta bio meta napada svojih neistomišljenika, imam Selvedin Beganović iz džemata Trnovi, kod Velike Kladuše ne osjeća strah za sebe. Ipak brine za svoju porodicu.
Beganović je prvi put napadnut 8. decembra kada je povrijeđen u napadu nožem. Nakon toga je napadnut još dva puta. Za Anadolu Agency je kazao kako su napadi uslijedili nakon što je počeo govoriti o hanefijskom mezhebu, kada je počeo potencirati stavove institucija Islamske zajednice BiH.
"To nije počelo prije mjesec dana nego prije 13 godina. Naime, kada sam došao u ovaj džemat znao sam na namaz ići u gradsku džamiju (Velika Kladuša) jer je ova u Trnovima znala biti prazna. Dobro, narod se nije bio sasvim vratio na svoja ognjišta. Ne hvalim se, ali sam jedan od prvih imama koji je ujedinio džemat. Vama je poznato da su ovdje bile dvije struje, na strani 'autonomije' i na strani Petog korpusa. Na Bajram 1997. godine došli su i jedni i drugi i tada smo svi otišli na Stari grad zajedno na kafu. Već tada to nije mnogima odgovaralo. Ali konkretno napadi na mene su počeli onog momenta kada sam ja počeo govoriti o hanefijskom mezhebu, koji mi praktikujemo i slijedimo, kada sam počeo potencirati stavove institucije IZ, naše priznate i poznate uleme. Napadi, prijetnje i podmetanja datiraju otad", rekao je Beganović.
On je kazao kako su mu nakon napada ostali ožiljci na licu, rana na vratu i tri ubodne rane na prsima. Smatra da su prvi i naredna dva napada izvele dvije različite osobe.
"Od ova tri napada, osoba koja me je prvi put napala je drukčija osoba, koja, po meni, nije znala šta radi, napad je izgledao nesposobno, nisam siguran šta je bio naumio sa mnom. Ali iz zadnja dva napada koji su bili daleko ozbiljniji, mislim da bi se moglo raditi o istoj osobi. Jer napad je napravljen smišljeno, hladnokrvno, razrađeno do u detalje", rekao je Beganović.
Imam iz Trnova je rekao da je za zadnji napad mislio "da je to to".
"Nakon trećeg uboda on je otišao misleći da je završio sa mnom, nakon toga sam se uspio okrenuti na lijevu stranu. Imam iskustvo i u ratu, znam šta treba činiti prilikom ranjavanja, pokušao sam da dišem, hvala Bogu pluća nisu bila probijena pa sam nazvao sina telefonom i on je došao mi u pomoć", rekao je Beganović.
Hrabri krajiški imam je dodao da se ne boji za sebe, ali da ga je strah za porodicu koja je također ugrožena.
"Ne želim da to zvuči kao samohvala, ali Allah je taj koji je odredio moj edžel (kraj perioda jednog bića op.a.) i ja sam čvrsto uvjeren da ću živjeti do meni određenog roka. Niko drugi ne može pomjerati edžel do Allaha, ali istina, postoji u meni ogroman strah kada je u pitanju sigurnost moje porodice. Moja porodica je doista ugrožena i strah me je zbog toga", rekao je Beganović.
Na pitanje kome smeta, Beganović je rekao da ne smeta samo on, već svako ko progovori istinu.
"Smeta i naš uvaženi reis Kavazović (reis ul-ulema IZ BiH Husein ef. Kavazović), jer on je, naprimjer, javno izjavio da su i šije muslimani pa su ga automatski određeni ljudi proglasili nevjernikom. Smeta i njegova izjava da on ne priznaje selefijski pokret. I svi drugi koji slijede našu ulemu, nešeg poglavara, smetaju kao i ja koji sam javno govorio o stavovima koji su zvanični. Ja sam niko, samo jedan mahalski hodža, i ja možda te stavove govorim samo malo glasnije nego što bi trebalo. Ja vas podsjećam, da je reis u Stocu iznio svoj stav da naša omladina ne treba da ide na strana ratišta, da se tamo dešavaju čudne stvari koje se sada i pokazuju očitim. Tamo ima oko četrdeset frakcija koji ratuju međusobno u Siriji. A naš džihad jeste da učimo, radimo, otvaramo radna mjesta i slično", bio je jasan Beganović.
On je kazao da postoji grupa ljudi koja napada instituciju IZ, pokušavaju da ocrne hodže govoreći da samo "gule narod, uzimaju pare", da na reda za Boga...
"To su podbacivanja upravo te grupe ljudi, koja je neškolovana, zbog toga i frustrirana, pa napada kompletnu instituciju IZ, a na sebe nabace arapsku nošnju, zavuku se negdje u šumu i okupe one koji ne razmišljaju svojom glavom i drže im predavanje. Suština islama kod njih je izvrnuta, a suština je odgajanje sebe, a ne odgajanje onih od čijih jezika i ruku su spašeni drugi muslimani. A Allah je u Kur'anu kazao da onaj koji ubije jednog čovjeka, ne kaže muslimana, nego jednog čovjeka, da kao da je pobio čitav svijet. Zatim kaže, da Allah hoće, on bi načinio sve ljude jedne vjere, ali nas je učinio različitima i to je njegova mudrost, koju mi svi moramo poštivati. Zatim, kod nas u BiH je potpisan mirovni sporazum, ulum emr, naši zapovjednici su ga potpisali, i mi ga moramo poštivati jer i poslanik je poštivao sporazum o nenapadanju. U Kur'anu stoji naredba da, kada nama dođe neko druge vjere, i zatraži zaštitu od muslimana, da smo mi dužni zaštitu da mu pružimo. A šta mi radimo danas?", pitao je Beganović.
Imam koji je tri puta bio meta napada ne upire prstom ni u koga, pohvalno govori o radu policije, iako nisu pronašli napadača. Takvi stavovi izazivaju čuđenje sugrađana, koji misle da nešto čuva za sebe.
"Narod će uvijek nagađati i pričati. Ja sam suzdržan samo zbog Kur'anskog ajeta koji kaže 'smutnja je gora od ubistva'. Ako uprem prstom i kažem - to su mi učinile vehabije, ta grupa ili populacija, a na kraju se ispostave da nisu oni, napravio sam smutnju. Samo zbog toga šutim. Kada me je čovjek prije deset godina, s leđa, dva puta udario šakom, ja sam ga prijavio i otvoreno prozvao, a upravo je ta populacija ljudi u pitanju. Sada, doista, u prva dva slučaja nisam vidio, pa nisam ni mogao ništa reći. Treći napad osobu sam vidio, jer je mislio da je završio sa mnom posao i ta osoba podsjeća svojim likom na tu grupu ljudi. Ali neću ništa govoriti dok policija po osnovu fotorobota ne dođe do počinioca. Drugih motiva nema. Ja nisam privrednik da imam dugove pa me ljudi ganjaju...", rekao je Beganović.
On je kazao da je isključivi motiv taj koji je napisan javno na internetu, a to znaju, kako tvrdi Beganović, i sljedbenici Hsueina Bosnića, protiv kojeg je Tužilaštvo Bosne i Hercegovine podiglo optužnicu.
"Ja sam za Bosnića mogao reći da je on kafanski pjevač, kao što i jeste bio prije rata, ali ja nikad i ničim njega nisam vrijeđao. U svoja dva pisma sam govorio fino. Prvo, da nije uredu da neko šalje našu djecu na tuđa ratišta. I ako iko treba da ide u taj rat, onda bi bilo logičnije da idu Bilal Bosnić i Selvedin Beganović, jer mi imamo ratno iskustvo. A ta djeca koja idu na ratišta nemaju ratno iskustvo osim preko videoigrica. I drugo je što sam jedini progovorio o tome da se u Bosanskoj Bojni (Velika Kladuša na granici s Hrvatskom) kupuje zemlja i gradi centar koji će nam napraviti kao državi više problema nego i Bočinja i Maoča. Problem je što će se tu okupljati nepoznata lica, što će to biti njihov centar", rekao je Beganović.
Na pitanje hoće li mijenjati radno mjesto zbog svega što mu se dogodilo, Beganović je rekao da ima podršku džemata, i ne samo Velike Kladuše, nego i Cazina, kompletne Krajine, pa čak i dijaspore.
"Ove godine navršava se 115 godina ovog džemata, od Ibrahima ef. Topića, prvog imama koji je službovao ovdje 21 godinu i ja spadam među one koji su ostvarili dugi staž ovdje. Za svojih 18 godina koliko sam tu, samo je pet ljudi koji neće da kontaktiraju sa mnom, jer sam im jednog dana donio Buharijnu zbirku hadisa i hanefijski fikh, dokazao im da nisu upravu, na što su se oni uvrijedili. Svi ostali sa mnom lijepo progovore. Moj ostanak ovdje ne zavisi od samog mene, nego od Rijaesta, vjersko-prosvjetne službe i Nusreta ef. Abdibegovića. Ja lično se pomjerati neću, bez naredbe koju moram poštovati", rekao je Beganović.