Informazione
The German state and the neo-Nazi killings
18 November 2011
Over the last two weeks, the German press has carried extensive reports on the operations of a group of three neo-Nazis in the city of Jena over the last 13 years. The gang murdered at least 10 Turkish and Greek immigrants, and carried out other violent crimes under the noses of German domestic intelligence agencies that were actively involved in building the broader far-right networks within which the Jena group operated.
The three neo-Nazis emerged in the 1990s from the ultra-right Thuringian Homeland Security (THS) outfit, whose leader, Tino Brandt, was unmasked as an undercover agent in 2001. He told Der Spiegel that he had received more than 200,000 marks over seven years as an informer for the BVS intelligence service. He claimed to have spent every cent of this money to finance ultra-right groups.
The Jena group went underground in 1998, after police found a bomb workshop in a garage of one of its members. Even though they faced an international warrant for their arrest, they somehow managed to evade capture by the German state over the next 13 years, during which time they carried out at least 10 racially-motivated murders. Ultra-right groups penetrated by German secret service agents went so far as to organize three public solidarity concerts, the proceeds of which were handed over to the three terrorists.
The Jena group came to light on November 4, when two of its members were found shot shortly after fleeing the scene of a bank robbery.
It is impossible to believe that the three Jena terrorists evaded detection and capture for so long without the help of elements in the German security services. The role of Hessian secret service agent Andreas T. in particular is highly suspect. Nicknamed “little Adolf” in his home village for his far-right views, he was reportedly at the scene of no less than five of the Jena group’s murders—including the 2006 shooting of an Internet café owner in Kassel, where he refused to report voluntarily to the police as a witness.
According to reports of “parliamentary parties” cited by the Bild.de website, for several years Andreas T.’s assignments included supervising undercover agents at the THS.
The security services’ ties to violent fascists underline the anti-democratic character of the European capitalist states created after World War II by the European bourgeoisies collaborating with Washington and London. The crimes of the Jena group and its ties to the state emerge organically from this history.
In the first years of the Cold War, as they fought the threat of socialist revolution in Europe, the Western powers recruited numerous ex-Nazi officials into the German state. Nowhere was this more the case than in the German intelligence service. Founded in 1950 by the Allies as an instrument of the Cold War, it employed large numbers of former Gestapo members, who saw Communists as their main enemy.
In 2009, under the headline “Brown Cellar Spirits,” the conservative Frankfurter Allgemeine Zeitung wrote: “For many SS officers and Gestapo men, the formative years of the republic were a happy phase in the resumption of their old professions. Many of the men active in the persecution and mass killing machinery of Hitler succeeded in making the leap into the security agencies after 1949... In the federal central police force, the foreign intelligence service and also in the federal intelligence agency (BVS), old comrades of the Wehrmacht and the SS imparted elements of their Nazi ideology to operational style and training during the first 20 years.”
When the Allies returned the BVS to German government control in 1955, the Adenauer government selected Hubert Schrübbers—who had served the Nazi regime as an SA member and as attorney general—to run the agency. Under his supervision, many former SS members took leading posts in the BVS. Schrübbers was ultimately forced to resign in 1982, when details of his Nazi past came to light.
As the record of the Jena neo-Nazi group makes clear, these connections between fascism and European bourgeois states continue to this day. They constitute a sharp warning to the working class in Germany and internationally of the reactionary forces being pushed to the fore in order to impose the savage cuts being demanded by finance capital amid the deepening crisis of capitalism.
The new “technocratic” regime in Greece, imposed by the banks to force further unpopular social cuts on the working class, includes several ministers of Greece’s fascistic LAOS party. As the right-wing New Democracy (ND) party takes control of the defense ministry, amid rumors of a possible coup, Greek workers opposing the austerity measures demanded by the banks now face a government that includes open supporters of the CIA-backed military junta that ruled Greece from 1967 to 1974.
The cold-blooded murders of innocent people of immigrant origin in Germany are the preparation for the mobilization of fascistic forces and the state machine against the working class and all social opposition to the capitalist crisis. They underscore the necessity to mobilize the entire working class in revolutionary struggle against the corrupt political structures of European capitalism.
Ulrich Rippert and Alex Lantier
Uwe Bohnhard e Uwe Mundlos sono seduti al tavolo del camper parcheggiato nella periferia di Eisenach,Turingia. Discutono, forse per l'esito (disastroso) della quattordicesima rapina portata a segno. Esplodono due colpi di pistola. Uwe B. e Uwe M. si accasciano sul tavolo. Il camper va a fuoco.
Nello stesso momento, a Zwichan, cento chilometri più a est, una donna di 36 anni incendia l'abitazione che divideva con due amici. La donna si chiama Beate Zschape e i suoi conviventi erano Uwe Bohnhard e Uwe Mundlos. Ad Amburgo viene arrestato un uomo di 37 anni, proprietario dell'appartamento e del camper andati a fuoco, nonchémembro del NationalSozialistischer Untergrund (Nsu), formazione di stampo neonazista. Con questo finale dalle tinte pulp, la polizia è arrivata a capo di una lunga serie di omicidi a sfondo razziale e all'assassinio di una poliziotta bavarese. Zschape, descritta come una ragazza apatica, svogliata ma estremamente intelligente, si è consegnata alla polizia offrendo collaborazione in cambio di una condanna più morbida.
I tre personaggi appena introdotti (l'uomo di Amburgo è, per la polizia, solo un complice) hanno alle spalle una lunga scia di sangue: noti come i bombaroli di Jena, o la cellula Nsu di Zwichan, sono responsabili di diversi attentati, ma soprattuto hanno messo la firma - tra il 2000 e il 2006 - sugli assassini di otto turchi e di un greco: tutti, tranne uno, lavoravano nei chioschi di kebab. In un dvd ritrovato nell'abitazione di Zwichau, dalla durata di 15 minuti e intitolato "Tour in Germania: nove turchi ammazzati", sono contenute le immagini shock dei corpi delle nove vittime.
Molti quotidiani tedeschi riportano in prima pagina le foto in bianco e nero dei tre di Zwichan e la Germania è letteralmente stordita: la paura del rigurgito nazista è sempre molto forte. La cancelliera Angela Merkel ha promesso di andare al fondo di questa storia che rappresenta "una disgrazia, una vergogna per la Germania". Al ministero dell'Interno si indaga per capire quanto sia estesa la rete del Nsu: "dalle prove raccolte - dicono dal ministero - sembra che si stia sviluppando una nuova forma di terrorismo bruno (ndr: dalle camicie brune hitleriane)".
La cronaca degli ultimi giorni ha riaperto il dibattito anche sulla necessità di mettere al bando il Partito nazional democratico (Npd), di estrema destra e dai richiami nazisti. Il Npd che attualmente percepisce i finanziamenti pubblici - e quindi i soldi dei contribuenti -è il punto di riferimento per le organizzazione ancora più estremistiche: mettere fuori legge il Npd significherebbe tagliare la testa al mostro neonazista. A chiedere un intervento deciso alla Corte costituzionale è anche il sindacato di polizia.
Le istituzioni dovranno agire subito, anche per allontanare un antipatico sospetto che vede come protagonista l'agenzia dei sevizi segreti della Turingia: come è possibile che i tre giovani abbiano potuto operare in maniera così indisturbata e per oltre un decennio?
Nicola Sessa
Dopo il ritrovamento di un dvd lasciato da un gruppo di estremisti di destra che rivendica gli omicidi di "Nove turchi colpiti a colpi di pistola'', sigla contenuta nello stesso cd, il presidente della Commissione di controllo dei servizi del parlamento tedesco, Thomas Oppermann, ha dichiarato che dietro alla fazione terroristica, "Clandestinità Nazionalsocialista" (Nus), si devono nascondere altri complici.
Le indagini sugli "omicidi del kebab", che in diverse cittadine tedesche hanno portato allamorte di almeno 9 persone, tra cui otto turchi e un greco, sembrava esser giunta ad un punto di svolta dopo l'arresto di due complici del gruppo, ma il video che mostra i corpi delle vittime e di cui sono stati pubblicati alcuni fotogrammi dallo Spiegel, ha turbato l'intera Germania.
La scorsa settimana sono stati intanto ritrovati i corpi di due uomini che si sospetta siano legati al Nus, Uwe Mundlos e Uwe Boehnhardt, i quali potrebbero essersi suicidati dopo aver fallito un colpo in banca, e una donna Beate Zschape si è costituita. Un altro uomo,Holger G. 37 anni, è stato arrestato questa domenica ed accusato di aver fornito appoggio e documenti falsi ai membri del Nus. Al gruppo è probabilmente legata anche la morte di una poliziotta nel 2007.
Intanto, la notte scorsa, a 350 km di Berlino un uomo ha aperto il fuoco contro un negozio di alimentari di proprietà di un turco, ma quest'ultimo sembra non essere legato alla banda di estrema destra, mentre alle spalle ha una lunga storia di trattamenti psichiatrici.
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Attentato a Sarajevo: è solo l’inizio?
Guerra santa, terrorismo di stato e crimine organizzato in Bosnia
di Riccardo M. Ghia (Bright Magazine [http://bit.ly/aoEECd])
L’attentato contro l’ambasciata americana a Sarajevo potrebbe essere stato un test per l’esecuzione di un attacco in grande stile, secondo fonti vicini alle indagini.
Lo scorso 28 ottobre, Mevlid Jašarević esplose 105 colpi di armi da fuoco, ferendo due persone in modo grave e scatenando un’ondata di panico. Poi, per venti minuti, Jašarević passeggiò avanti e indietro di fronte all’ambasciata, fino a quando un tiratore scelto della forze speciali bosniache lo neutralizzò con un proiettile alla gamba.
Le dinamiche dell’attacco sono certamente singolari. L’edificio dell’ambasciata è stato concepito per resistere ad attacchi ben più organizzati di quelli di un militante solitario e del suo kalashnikov [http://bit.ly/uSLAdi]. Inoltre non è chiaro perché Jašarević non abbia utilizzato le due bombe a mano di cui era armato.
L’avvocato di Jašarević, Senad Dupovac, ha descritto il gesto del suo cliente come l’azione di un militante solitario affetto da disturbi mentali: “Il suo obiettivo era quello di essere ucciso dagli ufficiali di guardia dell’ambasciata statunitense per diventare un martire e andare in paradiso.” [http://reut.rs/uHxuuK].
Tuttavia gli investigatori temono che l’azione di Jašarević sia solo l’inizio di una serie di attentati intrapresa da un gruppo di wahabiti, una corrente islamica estremista radicata in Arabia Saudita. La sparatoria, quindi, sarebbe stato il modo per sondare le capacità di reazione delle forze di polizia e del personale dell’ambasciata.
In connessione con l’attentato, la polizia ha arrestato Emrah Fojnica, 20, Dino Pecenkovic, 24 e Munib Ahmetspahic, 21. L’attentatore, Jasarevic, ha 23 anni. Una generazione che ha subito l’influsso - e forse ricevuto gli ordini - di “cattivi maestri”, ancora a piede libero.
Uno dei mandanti, secondo le indiscrezioni del quotidiano serbo-bosniaco Press Rs, sarebbe l’egiziano Imad al Misr. L’uomo ha già scontato una pena detentiva in Egitto dal 2001 al 2009, dopo essere stato estradato dalla Bosnia su pressione degli Stati Uniti. Una volta uscito dal carcere, al Misr è riapparso nei Balcani [http://bit.ly/ukz6rN].
I cattivi maestri: mujahideen, ONG ed estremismo wahabita
L’apertura di un fronte della jihad in Bosnia, nel cuore dell’Europa, era già stato dipinto nel romanzo “Madrasse - Piccoli martiri crescono tra Balcani ed Europa” di Antonio Evangelista [http://bit.ly/sUDMbd].
L’autore - esperto di terrorismo e crimine organizzato della European Union Police Mission (EUPM) - descrive una generazione di ventenni come Jašarević, allevati e istruiti da ex mujahideen arrivati in Bosnia per combattere serbi e croati a fianco dei fratelli musulmani. Mentre il protagonista di Madrasse, l’orfano di guerra Georgje Kastrati, è personaggio di fantasia, i fatti narrati nel romanzo affondano nelle cronache bosniache degli ultimi 20 anni.
Nel 1992, migliaia di combattenti islamici dal Nord Africa all’Afghanistan si unirono ai gruppi paramilitari bosgnacchi della “Legione Verde” e dei “Cigni Neri”. Quattro anni più tardi queste unità militari vennero sciolte ma 400 mujahideen rimasero in Bosnia. Altri militanti islamici arrivarono nel paese a guerra finita [http://bit.ly/tgbJNZ].
Organizzazioni umanitarie non governative saudite e kuwaitiane operanti in Bosnia sono anche state messe sotto osservazione, in particolare dopo gli attentati dell’11 settembre.
L’Arabia Saudita ha sempre negato di aver fornito supporto logistico e finanziario a gruppi di militanti islamici anti-occidentali. Tuttavia, un ex comandante di Al-Qaeda, Ali Ahmed Ali Hamad, ha testimoniato davanti a un tribunale ONU di aver ricevuto denaro dalla Alta Commissione Saudita per gli Aiuti alla Bosnia-Erzegovina. Le ONG islamiche avrebbero anche permesso ai mujahideen di entrare in Bosnia, fornendo documenti falsi e mezzi di trasporto [http://bit.ly/vFow8E].
Forse non è un caso che proprio Antonio Evangelista, l’autore di Madrasse, abbia ricordato le parole di Ali Ahmed Ali Hamad durante un forum internazionale sul crimine organizzato a Pechino, celebratosi il giorno successivo all’attentato all’ambasciata americana a Sarajevo [http://bit.ly/rIpor7].
Novi Pazar: la città di Jašarević
Jašarević è nato a Novi Pazar, il centro culturale dei bosgnacchi nella regione di Sandzak, in Serbia, nel 1988.
La città è stata teatro di importanti operazioni di polizia contro l’estremismo islamico. Nel marzo 2007 le forze dell’ordine irruppero in un campo di addestramento di militanti islamici arrestando cinque wahabiti provenienti proprio da Novi Pazar. Un mese più tardi, durante una sparatoria, la polizia serba uccise il leader della cellula locale, Ismail Prentic.
Da dove arrivavano le armi di Prentic e dei suoi seguaci? Gli investigatori serbi ne rintracciarono la provenienza in Kosovo, dalle città di Pec/Peja e Vucitrn. Le autorità di Belgrado trovarono prove di un’alleanza strategica tra gruppi ultranazionalisti albanesi kosovari e wahabiti serbi e bosniaci.
Gli investigatori hanno anche trovato collegamenti tra elementi del crimine organizzato e combattenti islamici. Infatti la polizia serba arrestò, tra gli altri, Senad Ramovic, già noto in Italia per traffico internazionale di armi e di esseri umani, stupro e sfruttamento della prostituzione [http://bit.ly/rLAjIr].
Ramovic si convertì successivamente alla dottrina wahabita. Secondo le fonti investigative, avrebbe utilizzato le sue conoscenze per rifornire di armi i mujahideen nei Balcani.
Jašarević a Vienna
Ai tempi dell’uccisione di Prentic e dell’arresto di Ramovic, Jašarević stava scontando una pena di tre anni di reclusione in Austria. Il giovane era stato condannato per una rapina a Vienna. Quando fu rilasciato nel 2008, le autorità austriache lo espulsero dal paese.
L’Austria ricoprì un ruolo fondamentale nei rifornimenti di uomini e mezzi durante le guerre nell’ex Jugoslavia che hanno segnato i Balcani negli anni ’90 con il supporto logistico dei servizi segreti americani ed europei.
“Vienna era, all’inizio, il centro di controllo per le operazioni di contrabbando d’armi per sostenere la jihad. L’esercito musulmano bosniaco fu creato con finanziamenti e volontari del mondo islamico; Bin Laden in persona ne discusse i dettagli con il presidente Alija Izetbegovic,” ha scritto il giornalista tedesco Jürgen Elsässer [http://bit.ly/vs6Glo].
A Vienna, dove risiedono 35.000 bosniaci, è anche presente l’importante cellula wahabita guidata dall’imam Muhammed Porca [http://bit.ly/sIVRvA]. Il predicatore esercita una forte influenza anche sulle comunità della diaspora bosniaca in Europa.
Inizialmente membro della Comunità Islamica (Islamska Zajednica) guidata da Reis Mustafa Ceric, massima autorità religiosa in Bosnia, Porca ne prese le distanze e fondò un gruppo autonomo in seguito a conflitti interni.
Non è chiaro perché Jašarević si trovasse in Austria e quando fosse iniziato il suo processo di radicalizzazione: a Novi Pazar o a Vienna?
L’ex ambasciatore statunitense alla NATO, Kurt Volker, ha recentemente affermato davanti alla Commissione Affari Esteri del Congresso che Jašarević fu avvicinato dai wahabiti a Vienna [http://bit.ly/vKFqgX].
Secondo gli investigatori, Jašarević sarebbe stato convertito alla causa estremista proprio durante la sua permanenza in carcere a Vienna. Se questa circostanza fosse confermata, solleverebbe inquietanti interrogativi sulla vigilanza delle autorità penitenziaria austriaca.
Gornja Maoca
Qualunque sia la risposta, Jašarević era già un soldato di Allah quando ritornò in Serbia. Nel novembre 2010 venne fermato proprio a Novi Pazar insieme a un altro militante. I due si trovavano nei pressi di un palazzo dove era in corso una riunone di ambasciatori, tra cui quello statunitense. La polizia serba gli trovò addosso un coltello da guerra, ma venne presto rilasciato.
Lo scorso maggio, uno dei leader wahabiti, Bilal Bosnic, giurò di vendicare la morte di Bin Laden [http://bit.ly/rDjGAm]. Forse, come osserva il giornalista italiano Stefano Giantin [http://bit.ly/uZGYDY], Jašarević lo ha preso in parola.
Bilal Bosnic è strettamente legato a un altro predicatore finito nel mirino degli inquirenti: si tratta di Nusret Imamovic di Gornja Maoca, comunità bosniaca dominata dai wahabiti. Imamovic era stato arrestato in connessione con un attacco contro un serbo nel 2006. Quattro anni più tardi, erano scattate nuovamente le manette ai polsi di Imamovic durante “Operation Light” [http://bit.ly/sUDMbd], un’azione di antiterrorismo che aveva ... dato ben pochi risultati, forse perché i wahabiti erano stati avvertiti in anticipo” [http://bit.ly/uSLAdi].
Imamovic fu presto rilasciato.
Nel luglio 2010, la stazione di Bugojno, città a 80 km da Sarajevo, fu oggetto di un attacco bomba. Bilancio: un morto e sei feriti. La responsabilità è stata attribuita, ancora una volta, a gruppi wahabiti [http://bit.ly/tnkM3d].
Quando Jasarevic attaccò l’ambasciata americana, i sospetti della polizia tornarono su Gornja Maoca. Ed è proprio là che agenti ritrovarono i suoi documenti.
Il giorno dell’attentato, Jašarević lasciò Novi Pazar in Serbia per dirigersi a Gornja Maoca, e di lì a Sarajevo, dove ebbe luogo la sparatoria.
Un’intrigante coincidenza per gli investigatori, che pare escludere la pista del militante solitario. Nel frattempo, Imamovic ha preso ufficialmente le distanze dall’attacco.
Chi protegge gli estremisti islamici?
Jašarević era già noto agli investigatori: tuttavia, è stato in grado di compiere l’attentato all’ambasciata quasi indisturbato per circa mezz’ora. Come ciò è potuto accadere?
IL PIANO GRAZIANI.
Nel 1985 il giornalista Gaetano Contini pubblicò un “documento inedito” [1] redatto presumibilmente verso la fine del 1945 e firmato in calce da Aldo Gamba, all’epoca comandante del 1° Squadrone autonomo, un reparto della Polizia militare segreta sottoposto agli ordini del servizio segreto britannico FSS (Field Security section), con sede a Brescia [2].
Tale documento sarebbe stato scritto da un “informatore” di Gamba, che evidentemente lo ritenne attendibile se decise di inoltrarlo con la propria firma, ed è intitolato “Il piano Graziani per la resurrezione del fascismo”.
L’informatore parte da una serie di circostanze: i documenti rinvenuti nell’archivio di Barracu (sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri della RSI, fucilato il 28/4/45 a Dongo) che fanno riferimento ad una organizzazione segreta costituita “per la salvezza del fascismo”; un considerevole deposito di armi trovato nello stabile di piazza San Sepolcro dove aveva avuto sede il Partito fascista; un altro arsenale scoperto pochi giorni prima a Trezzo d’Adda e quanto risultava da un processo svoltosi a Pavia “per documenti falsi” dove veniva confermata la “strabiliante offerta” avanzata dal maresciallo Rodolfo Graziani (allora ministro della guerra della RSI, già macchiatosi di crimini di guerra in Libia e in Africa Orientale) nel dicembre 1944 ai Comitati di liberazione (qui l’informatore non entra nei particolari ma si presume intenda parlare dei tentativi di collaborazione che delineeremo nell’esposizione successiva).
L’informatore sostiene che questi dati “non hanno aperto che un sottile spiraglio di luce su un vasto diabolico progetto da lungo tempo predisposto e in esecuzione anche in tutto il periodo di lotta clandestino” ed a questo punto parla di una “riunione segreta” che si sarebbe svolta nell’ottobre del 1944 presso la sede della Legione Muti a Milano, riunione tenuta dal maresciallo Rodolfo Graziani alla quale presero parte “elementi politici” della RSI, che non erano “prefetti, gerarchi e pubblicisti”, ma i comandanti della legione Muti, delle Brigate nere, della GNR e due questori (uno dei due era il questore di Milano Larice, colui al quale Mussolini avrebbe consegnato una borsa prima di fuggire verso la Svizzera, con l’incarico di darla al comando della Brigata Garibaldi [3]), oltre ai capi dei servizi di spionaggio, i “torturatori e gli aguzzini”.
Graziani avrebbe loro delineato il progetto che intendeva realizzare, data ormai per sicura la sconfitta militare del fascismo, per la sopravvivenza politica del medesimo: le truppe germaniche si sarebbero ritirate, seguite dal grosso dell’esercito italiano, ma i “politici” (cioè i partecipanti alla riunione) sarebbero rimasti, “celandosi e camuffandosi per fare azione di sabotaggio nelle retrovie, opera di disgregazione all’interno dell’Italia” (sostanzialmente un progetto stay behind, ovvero la resistenza dietro le linee “nemiche”) perché (e qui l’informatore dice di riferire le parole di Graziani, da lui definito “iena”) “non è necessario vincere la guerra perché il fascismo e i fascisti possano, sia pure dietro altre bandiere, salvarsi”.
“Immettere il maggior numero di strumenti fascisti entro le nostre organizzazioni clandestine, mandando in galera gli antifascisti veri, scompigliando le loro trame, creare fino da allora forti posizioni fasciste entro le fila dell’antifascismo, preparare ingenti quantitativi di armi e denaro e poi, dopo il crollo del fascismo iscriversi in massa ai partiti antifascisti, sabotare ogni opera di ricostruzione, diffondere il malcontento, fomentare moti insurrezionali e preparare sotto qualsiasi insegna la resurrezione degli uomini e dei loro metodi fascisti”, scrive l’informatore. E poi riferisce le “particolareggiate, minutissime disposizioni” di Graziani: “organizzare delle bande armate che funzionino segretamente e che aggiungano altre distruzioni a quelle che prima di andarsene effettueranno i tedeschi, che esercitino in tutto il Paese il brigantaggio, che si mescolino alle manifestazioni popolari per suscitare torbidi. Ma soprattutto mimetizzati, penetrare nei partiti antifascisti e introdurvi fascisti a valanga, propugnare le tesi più paradossalmente radicali ed il più insano rivoluzionarismo, sabotare e screditare l’opera del governo e soffiare a più non posso in tutto il malcontento inevitabile”, in modo da suscitare “il rimpianto del fascismo” e permetterne il ritorno al potere.
Graziani avrebbe parlato anche delle “trattative che taluni elementi della corrente più moderata del fascismo, ed altri in malafede, cercavano di allacciare con gli esponenti della lotta clandestina, per addivenire ad un modus vivendi” che ponesse “tregua alla cruenta lotta fratricida”. Tali trattative, disse Graziani “vanno benissimo”, perché “dobbiamo avvicinare gli antifascisti, illudendoli con vaghi progetti di pace separata, di ritorno alla legalità ed alla libertà, di rivendicazioni socialiste, stabilire così molti contatti , scoprire le loro file ed i loro covi”, per poi arrivare ad una “notte di San Bartolomeo, con il preventivo sterminio dei preconizzati nostri successori” precisando però che “i tribuni” e “gli agitatori” andavano lasciati in pace perché “possono servire pure a noi”, ma per “decapitare il nemico” bisognava colpire “gli intellettuali veri, le competenze tecniche, le reali capacità politiche ed amministrative”.
Nel febbraio successivo, conclude l’informatore, si svolsero altre riunioni durante le quali Graziani avrebbe impartito gli stessi ordini a tutti gli iscritti, “raccomandando soprattutto la più vasta penetrazione entro i partiti antifascisti”. Di queste “tenebrose manovre”, aggiunge, sarebbe stato “tempestivamente” informato il SIM, invitato inoltre ad avvisare i partiti per sventare questo “tranello che si tendeva loro”. Ma i partiti invece “spalancarono senza alcuna precauzione le porte” ed il 25 aprile si videro “frotte di squadristi e di ex militari repubblichini tra i volontari della libertà”.
Fin qui il testo riportato nell’articolo di Contini. Altri dati in merito comparirebbero in un rapporto inviato a Mussolini dal Ministero dell’Interno (della RSI) il 21/3/45, con oggetto “costituzione di centri di spionaggio e di operazioni”, dove sarebbe scritto [4]:
“il servizio politico della GNR ha creato nel suo seno un organismo speciale che funziona già e la cui potenza sarà accresciuta”. Questo servizio sarebbe composto da un ufficiale superiore (…) 16 osservatori corrieri, 18 agenti informatori per il territorio della RSI e 43 per “l’Italia invasa” (altri avrebbero detto “liberata”, ndr). “Ognuno di essi vive sotto una falsa identità scelta in modo da non destare alcun sospetto”. Il lavoro in atto al momento della redazione del rapporto sarebbe stato “l’insediamento di un gruppo incaricato della fabbricazione di carte e documenti falsi e alla creazione a Padova di un ufficio commerciale che assicuri la copertura ai nostri agenti”.
Gli autori di questo ultimo articolo commentano che Padova e il Veneto “venticinque anni dopo saranno al centro della strategia della tensione e dei suoi complotti, ed aggiungono che il rapporto avrebbe raccomandato, come coperture, “l’infiltrazione nel Partito comunista e nel CLN”.
Sarebbe a questo punto necessario rileggere, tenendo presenti queste relazioni, tutta la storia della Resistenza e di quei fatti “strani” che accaddero a lato di essa, ma ci riserviamo di farlo in altra sede, più articolata. Ricordiamo soltanto che nell’Italia liberata dagli Alleati operarono da subito con attentati ed altre azioni armate, per destabilizzarne l’ancora precario equilibrio raggiunto, gli NP (Nuotatori Paracadutisti) della Decima Mas di Nino Buttazzoni, che nel dopoguerra fu contattato da agenti dei servizi statunitensi che gli offrirono una copertura (era ricercato per crimini di guerra) se avesse collaborato in funzione anticomunista.
Tornando alle infiltrazioni, ricordiamo la vicenda del “conte rosso”, Pietro Loredan, “partigiano” della zona di Treviso, i cui “occasionali rapporti con i partigiani erano guidati direttamente dai servizi segreti di Salò in piena applicazione, dunque, delle direttive contenute nel Piano Graziani” [5].
Pietro Loredan, militante dell’ANPI e del PCI, risultò, in un appunto del SID del 1974, avere fatto parte di Ordine Nuovo nel periodo 1960-62 ed essersi iscritto nel 1968 al Partito comunista marxista leninista d’Italia, ed assieme al suo amico conte Giorgio Guarnieri (altro ex partigiano membro di una missione militare americana durante la guerra di liberazione) ebbe dei rapporti di affari con Giovanni Ventura ed i due “partigiani” utilizzarono le loro qualifiche per accreditare Ventura nell’ambiente della sinistra e favorirne la sua opera di infiltrazione (Ventura si iscrisse proprio al PC m-l per darsi una copertura a sinistra) [6]. Inoltre alcune “voci” dissero che la villa di Loredan presso Treviso fosse servita come punto di ritrovo in preparazione del poi rientrato “golpe” di Borghese, ed in essa nel 1997, nel corso di lavori di restauro commissionati dal nuovo proprietario (l’industriale Benetton), fu trovato un deposito di armi.
Anche il ricercatore Giuseppe Casarrubea ha parlato del Piano Graziani, in relazione però alla vicenda di Salvatore Giuliano. Prima di essere ucciso, il “bandito” Gaspare Pisciotta aveva accennato ad un religioso, il frate benedettino Giuseppe Cornelio Biondi, che si sarebbe fatto pagare dalle autorità per la cattura di Giuliano ma “li avrebbe utilizzati per una colossale truffa a danno di un commerciante siciliano”. Biondi dipendeva da un monastero di Parma ma per un periodo aveva vissuto a Padova e Casarrubea scrive “Padova, ambiente frequentato dal monaco benedettino, era un centro di eversione anticomunista. Qui, il 21 marzo del 1945, in attuazione del piano Graziani, si era costituito il coordinamento della rete clandestina destinata ad operare dopo la sconfitta (…)” [7].
Facciamo ora un passo indietro, all’epoca in cui operava in Italia, come capo delle operazioni dell’OSS, il ventiduenne italo americano Max Biagio Corvo, che già dalla fine del 1942 aveva pianificato, con un dettagliato piano d’intelligence, l’occupazione della Sicilia dell’estate del ‘43 e la successiva liberazione dell’Italia. Corvo aveva arruolato i suoi più stretti collaboratori tra la cerchia di amici della propria città, Middletown, nel Connecticut, e tra essi vi era “Emilio Q. Daddario, atleta di eccezionali capacità della Wesleyan University” [8]. L’università “wesleyana” fa riferimento alla chiesa metodista, all’interno della quale vi era una forte presenza massonica [9].
Daddario, nome in codice “Mim”, arrivò a Palermo nel dicembre del 1943 ma rimase poco tempo negli uffici siciliani dell’Oss, dopo alcune settimane venne trasferito nel nuovo comando operativo di Brindisi con l’incarico di vice di Corvo. Nell’aprile del 1945 si trovava in Svizzera alle dirette dipendente di Allen Dulles, direttore dell’Oss per l’Europa e futuro capo della Cia. Corvo però lo richiamò in Italia per affidargli un compito assai delicato: la cattura di Mussolini e di alcuni ministri della Repubblica sociale di Salò in fuga sulle montagne piemontesi [10].
Lo storico Franco Fucci scrive che Daddario era stato reclutato “probabilmente per partecipare alle trattative di resa dei tedeschi in Italia” (e qui si inserisce l’Operazione Sunrise, cioè la trattativa condotta da Dulles, i servizi segreti svizzeri ed il comandante della SS Karl Wolff, che servì a mettere in salvo moltissimi criminali di guerra in cambio della rinuncia tedesca alla resistenza nel ridotto alpino); infatti il 27/4/45 fu tra coloro che presero in consegna a Como “tre importanti prigionieri di guerra il maresciallo Graziani, il generale Bonomi, dell’aviazione e il generale Sorrentino dell’esercito” e li portarono a Milano [11].
Rodolfo Graziani fu posto in salvo da Daddario, con il consenso del generale Raffaele Cadorna (comandante in capo del CVL), leggiamo, e fu trasferito il 29/4/45 al comando del IV corpo d’armata corazzato americano di stanza a Ghedi [12].
Dopo la guerra Graziani scrisse una lettera direttamente a Daddario dal suo campo di prigionia ad Algeri il 15 giugno 1945, che riportiamo di seguito:
Caro Capitano Daddario,
le scrivo da questo campo. Desidero ringraziarti dal più profondo del cuore per quello che lei fece per me in quei momenti molto rischiosi. Non vi è alcun dubbio che io devo a lei la mia salvezza, durante i giorni del 26, 27, e 28 aprile. Per questo il mio cuore è pieno di ringraziamenti e gratitudine e non la dimenticherò mai per tutto il tempo che mi rimarrà di vivere, io sto bene in questo campo e vengo trattato con molto rispetto. Spero che Iddio mi assista per il futuro e che l’Umana Giustizia consideri il mio caso e lo giudichi con equità. La prego di scrivermi e assicurarmi che quanto le lasciai in consegna venne consegnato a destinazione. Mi faccia anche sapere se ha con lei il mio fedele Embaie [13] che la prego di proteggere e assistere. L’abbraccio caramente e non mi dimentichi.
Vostro molto affettuosamente, Rodolfo Graziani.
A questo punto viene da chiedersi se tra le cose che Graziani “lasciò in consegna” a Daddario ci fossero anche le direttive del suo “piano”.
[1] Documento pubblicato nella rivista “Storia Illustrata”, novembre 1985, dove leggiamo che è conservato nell’Archivio Centrale dello Stato di Roma, fondo Polizia Militare di Sicurezza, busta 2.
[2] Contini scrive che la Fss era “dell’Oss” (la futura CIA), ma è un dato errato.
[3] In http://www.stampalternativa.it/wordpress/2007/06/04/tigre-dal-diario-in-poi-2/ ma si tratta di un dato senza conferma.
[4] Usiamo il condizionale perché il testo che riportiamo è trascritto senza l’indicazione della posizione archivistica del documento in Italia Libera Civile E Laica = Italia Antifascista 21/3/11, “21 marzo 1945 – Salò, importantissimo documento dei servizi segreti della RSI da conoscere e condividere!!!”.
[5] Così scrive Carlo Amabile nel sito www.misteriditalia.com.
[6] “Del conte Guarnieri si era molto parlato durante l’inchiesta sulla cosiddetta pista nera, ed era stato indicato come il finanziatore di Freda e Ventura (…) si era poi accertata l’amicizia con Loredan, un nobile veneto che con i due neofascisti aveva avuto contatti diretti e frequenti”, leggiamo nel “Meridiano di Trieste” del 21/6/72. Guarnieri aveva anche una residenza a Trieste, e “il 14 maggio 1972, tre giorni prima di essere ucciso, il commissario Calabresi andò a Trieste per far visita al conte Guarnieri. L’accompagnava l’ex questore di Milano, Marcello Guida. Subito dopo i funerali, Guida tornò a Trieste da Guarnieri e stavolta si fece accompagnare dal prefetto di Milano, Libero Mazza” (M. Sassano, “La politica della strage”, Marsilio 1972, p. 168). Calabresi si fece accompagnare, oltre che da Guida, anche dal senatore democristiano Giuseppe Caron di Treviso, che era stato segretario del CLN della sua città.
[8] Ezio Costanzo “Uno 007 in Sicilia”, “Repubblica” 20 luglio 2010.
[10] Ezio Costanzo “Uno 007 in Sicilia”, “Repubblica” 20 luglio 2010.
[11] F. Fucci, op. cit. p. 75.
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Hannes Hofbauer
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Japan Times - March 1, 2011
Wrong choice in Kosovo
A recent Council of Europe report says that during and after the 1998-99 Kosovo conflict, militia leaders of the Kosovo Liberation Army (KLA) tortured and killed hundreds of Serbs and political rivals in secret Albanian hideouts, removed their organs for sale and dumped their bodies in local rivers.
The report added that these people were also heavily involved in drug, sex and illegal immigrant trafficking across Europe. Yet while all this was going on, the NATO powers had decreed that Serbia should be bombed into accepting the KLA as Kosovo's legitimate rulers — rather than the more popular Democratic League of Kosovo headed by the nationalist intellectual Ibrahim Rugova advocating nonviolent independence.
Recent years have not been kind to Western policymakers. They have shown an almost unerring ability to choose the wrong people for the wrong policies. Think back to the procession of incompetents chosen to rescue Indochina from the communist enemy. Does anyone even remember their names today? Yet at the time they were supposed to be nation-savers.
Before that the United Kingdom, United States and Australia had banded to try to prevent Lee Kuan Yew from being elected prime minister of Singapore. He was seen as a crypto-communist. They preferred the incompetent pro-British Lim Yew Hock.
Then we saw the West, and Japan, throw their support behind the hapless Afghan President Hamid Karzai as the strongman to defeat the evil Taliban whom the U.S. had once embraced as the good Taliban.
If not for the end of the Cold War, we almost certainly would be seeing the U.S. and U.K. today once again backing Middle East dictators against their protesting masses.
And now we discover that the people chosen to take over Kosovo from Serbia were not quite the heroes they were made out to be at the time.
Western involvement in the breakup of the former Yugoslavia had more than its share of such mistakes. The Serbian forces resisting the breakup were accused of war crimes and ethnic cleansing. But anyone aware of that nation's troubled history should have realized that the Serbian minorities in Croatia and Bosnia would not accept domination by the successors to their former pro-Nazi oppressors.
Retaliations and violent resistance, including even the shocking Srebrenica killings, were inevitable. Besides, the final result was that close to a million Serbs had to seek refuge in Serbia itself. So who had been cleansing whom?
Kosovo too had seen wartime ethnic cleansing against Serbs by pro-Nazi elements. The cleansing continued during the 1990s as U.S.-trained KLA guerrillas targeted Serbs isolated in rural districts and towns (by then Belgrade's efforts to give the province autonomy had failed on the rock of ethnic Albanian noncooperation).
When Belgrade finally sent in troops to resist the guerrillas, it was accused of war crimes even though the illegitimate force used was much less than what we see when most other Western nations, the U.S. particularly, intervene against guerrillas they do not like.
When many ethnic Albanians fled temporarily after the NATO bombing intervention, that too was supposed to be Serbian ethnic cleansing.
Even after gaining power, the KLA violence and cleansings continued. Their victims included the Jewish and Roma minorities and ethnic Albanians who had cooperated with Serbia's attempt to offer autonomy. The trafficking of drugs, women and body organs continued, right under the noses of the U.N. forces sent in to maintain order. Rugova supporters were eliminated.
The U.S., U.K. and Germany bear most of the blame for this horror; Germany especially should have realized the passions that would be unleashed by any sudden breakup of the former Yugoslavia. But they seemed more interested in the geopolitical gains.
In exchange for helping the KLA, the U.S. got to add the strategic Bondsteel military base in Kosovo to its global base network. And the feisty U.S. Secretary of State Madeleine Albright got to play world leader at the 1999 Rambouillet conference by decreeing that the dashing, handsome KLA leader Hashim Thaci was far preferable to the elderly, unpretentious Rugova as Kosovo's future leader, and that Serbia should be bombed if it did not agree. Belgrade's agreement to Rugova as leader of an independent Kosovo was dismissed as irrelevant.
One wonders how the Serbs saw this performance. Two generations earlier, they had been the only European nation with the courage to resist Nazi attack. They had been bombed and massacred as a result. Now they were to suffer again at the hands of the NATO-supporting European nations, most of whom had spinelessly succumbed to, or had even collaborated with, that former Nazi enemy.
True, the Parliamentary Assembly of the Council of Europe has now resolved that it is "extremely concerned" over the recent KLA revelations. But is that not rather too late?
And will we see apologies from the people behind the past policies, particularly from the likes of former U.K. Prime Minister Tony Blair who still boasts that his firm resolve against Serbian "ethnic cleansing" in Kosovo led him to support the U.S. in Iraq? I doubt it.
*Gregory Clark is a former Australian diplomat and longtime resident of Japan. A Japanese translation of this article will appear on www.gregoryclark.net
“The international community avoids going below the surface and looking into problems, it avoids admitting that Kosovo was a huge mistake, the biggest one in the past 12 years,” he told Tanjug.
“We created a mafia state and we care only about not letting the truth come out,” the Italian MEP added.
He pointed out that as a mission EULEX had so far been a complete failure, pointing out that the EU and the international community should stop having a false image of Kosovo as a stable place.
“The EU countries should start facing the truth and taking measures. The political situation in Kosovo and the fact that organized crime dominates its territory represent a huge threat to the security of the EU and the regional countries, even Albania,” said Arlacchi, a member of the Group of the Progressive Alliance of Socialists and Democrats in the European Parliament who actively took part in the creation of Italy's structures for combating mafia in the 1980s.
“EULEX has been a complete failure. They have no strategy or idea what to do, and they did not take into account Europe's experience in combating organized crime,” he underscored.
NATO's next stop? It will have to be somewhere where there are Islamist terrorists to side with, somewhere whose population can be easily bombed, meaning somewhere defenceless and somewhere where the worst dregs of society can be turned into governors, politicians and ministers. Where could that be?
When we speak about Serbia and Kosovo, let us get certain things right from the start. Facts: Kosovo is Serbian. The Serbian nation has always included Kosovo. Kosovo is the heart that beats at the centre of the Serb psyche. The ones who planned for a Greater Albania were Hitler and Mussolini. Kosovo is Serbia. Kosovo always was Serbia, Kosovo always has been Serbia and Kosovo always will be Serbia, however many lines they draw on maps.
The history book proves NATO wrong
"Gradual and unconditional" independence for Kosovo, ripping the heart out of Serbia, a meddlesome and intrusive, unwelcome and unasked-for act of blatant arrogance from non-Balkan peoples. This is the legacy of NATO the world over.
The Albanian government has claimed at various times that the Albanians are the descendants of the Illyrians, the original inhabitants of this region, and that therefore they have a right to this Province of Serbia.
However, for anyone who bothers to do any research, this is utter nonsense. However much one adulterates the word "Illyria", one does not get anywhere as near to "Albania" as the "Albani", a tribe which had lived on the Caspian Sea and which many centuries after the Illyrians had been conquered by the Romans, moved westwards into their mountainous refuge, where these tribes remained as the "Shqiperi" or "eagle people". Polybius (200 - 118 BC) writes that the Albani and Illyrians spoke two distinct languages and needed interpreters to understand each other. Indeed, it was under the Ottoman domination of the Balkans that the Albanians settled definitively in the area which is Albania today. Besides, the Illyrians never referred to themselves as a single people or group of peoples, simply because they were not, neither did they speak a common language.
A study into the ethnic composition of Kosovo over history shows very clearly that the Serbs are the original inhabitants and therefore have a birthright to retain Kosovo. It was the Serbian army, led by prince Lazar, which fought the heroic battle of Kosovo Polje (Blackbird Field) on June 28, 1389, gaining an honourable draw against the might of the Ottoman Turks, but being so weakened that by 1459, all of Serbia had been occupied. However, Kosovo Polye stood firm in the hearts and minds of generations of Serbs for hundreds of years as their rallying cry.
NATO's violence
With the Serbs now penned into Northern Kosovo, the northern part of their own province, that terrorist mafia filth NATO backs (similar to the filth it backs in Libya) has run amok. These are the rapists, terrorists, murderers, looters, arsonists and torturers, organ traffickers which NATO cavorts with then labels "Minister" or some such nonsense. When was Hashim Thaçi "minister" of anything? He has been accused of organ trafficking and NATO calls him "Prime Minister" of Kosovo, a country that does not exist. Why not call him King of Saturn, or better still, King of Mercury and send him and his Shiptari terrorists there to burn in Hell?
To protect this filth, NATO forces have given the Serbs a further 24 hours to take down their road barricades, set up to protect the Serbs and to allow ambulances to pass, to get them to hospital after Albanian mafia thugs dressed as policemen strafe civilians with gunfire; these barricades were set up to ensure that anti-Serb elements were not placed at the only escape routes Serbs would have into Serbia if the long-awaited ethnic cleansing (backed by NATO) went ahead and drove them out of Kosovo, their own homeland.
It would be a bit like forcing all US citizens out of, say, Virginia and replacing them with Arabs, or telling the English that Kent was not to be French, or telling the French that the English possessions of the Medieval era were to be returned, a bit like giving Italy's Trieste to Slovenia, giving the Sudetenland and Rhineland back to France, telling Portugal it is part of Spain or giving Spain's Galicia to Portugal.
The Kosovo mafia terrorist leader, accused of organ trafficking, Hashim Thaçi, can bray like a donkey or bleat like a goat about the "rule of law" being applied, but what rule of law were he and his Ushtria Çlirimtare ë Kosovës applying when they were beheading Serbs and raping women, including Albanian girls?
Correct - the law of the jungle, where apes belong.
Timothy Bancroft-Hinchey
Pravda.Ru
Ottawa Citizen - October 24, 2011
NATO still getting it wrong in Kosovo
In the three years since Kosovo, urged on by the United States, declared its unilateral independence, there has been no final resolution of this long-festering wound in the heart of the Balkans.
After the expulsion of the Serbian military from Kosovo in 1999 there was a systematic purging of the non-Albanian population and a rampage of revenge killing, and destruction.
In March, 2004, the Albanian mobs burned or dynamited more than 204 Christian churches and monasteries - some of them heritage structures dating back to the 14th century. This veritable orgy of devastation was accomplished under the watchful eyes of NATO troops who did nothing to stop the violence.
On Sept. 15, the Secretary General of NATO, Anders Fogh Rasmussen, visited Pristina, the capitol of Kosovo, and again repeated the usual refrain that NATO was there to maintain a secure and safe environment and emphasized that "We will continue to do so - firmly, carefully, and impartially."
Less than two weeks after his departure from Kosovo on Sept. 27, his impartial NATO troops opened fire with live ammunition on a crowd of Serbian civilians demonstrating against the establishment of Kosovo customs posts along the border between Serbia and northern Kosovo, effectively cutting them off from Serbia proper. At least six of the demonstrators were wounded. The standoff continued over the weekend.
This incident took place at the same time our NATO leaders were vigorously protesting the shooting of protesters in Syria and Yemen.
So far, there have been no apologies from the NATO leadership and no demands for a full inquiry.
Kosovo, since its so-called liberation from Serbia, has become a failed state with massive unemployment, crime and corruption prevalent, and a leadership deeply involved in the importation of heroin and arms, and human smuggling - not to mention serious allegations about the harvesting of human body parts.
Nevertheless, Kosovo is the stepchild state of the U.S.-led NATO powers, and therefore must be seen to be a success. NATO cannot admit to failure.
After all, we are told 80 countries have recognized its independence. Little mention is made that there are 113 countries of the United Nations who refuse do so - including Greece, Cyprus, Spain and Slovakia - all members of NATO.
There is a larger than life statue of president Bill Clinton in Pristina. Shortly after the occupation of Kosovo the Americans constructed the enormous Camp Bondsteel. Kosovo is their baby and at all cost it must be accepted as a sovereign state. Unfortunately, the costs are high and may well spell the demise of NATO as a respected champion of the rule of law and democratic freedom.
Canada was involved in drafting Article 1 of the North Atlantic Treaty that stated that NATO would never use or threaten to use force in the resolution of international disputes and would always act in accordance with the principles laid down by the United Nations Charter. Alas, we never hear anything more about Article 1.
After the collapse of the Soviet empire, Article 1 came to be seen by the United States as an obstacle in preventing NATO (read the United States) from intervening in out-of-area disputes and in using force to advance U.S. foreign policy objectives, frequently under the guise of humanitarian intervention.
The first opportunity of doing this was the bombing of Serbia on the false grounds that Serbian President Slobodan Milosevic was planning to ethnically cleanse Kosovo of its majority Albanian population and that genocide was taking place there.
Without consulting the United Nations and in violation of its own treaty, NATO bombed Serbia for 78 days and nights and was successful in tearing away an integral part of that country's territory.
The United States and some of the NATO countries, including Canada, have gone further by recognizing the declaration of independence of Kosovo, despite UN Resolution 1244 that reaffirmed Serbia's sovereignty over that province.
By doing so they have opened Pandora's Box and issued an open invitation to the many groups and tribes around the world aspiring for their own state to do so by simply declaring independence. Can anyone really blame the Palestinians for expecting anything less?
*James Bissett is former Canadian ambassador to the former Yugoslavia.
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Oggetto: da Giancarlo Staffo, lettera BCE
Data: 09 novembre 2011 10.12.18 GMT+01.00
Il vertice dei capi di Stato e di governo dell'area-euro del 21 luglio 2011 ha concluso che «tutti i Paesi dell'euro riaffermano solennemente la loro determinazione inflessibile a onorare in pieno la loro individuale firma sovrana e tutti i loro impegni per condizioni di bilancio sostenibili e per le riforme strutturali». Il Consiglio direttivo ritiene che l'Italia debba con urgenza rafforzare la reputazione della sua firma sovrana e il suo impegno alla sostenibilità di bilancio e alle riforme strutturali.
Il Governo italiano ha deciso di mirare al pareggio di bilancio nel 2014 e, a questo scopo, ha di recente introdotto un pacchetto di misure. Sono passi importanti, ma non sufficienti.
Nell'attuale situazione, riteniamo essenziali le seguenti misure:
b) C'é anche l'esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d'impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione. L'accordo del 28 Giugno tra le principali sigle sindacali e le associazioni industriali si muove in questa direzione.
b) Andrebbe introdotta una clausola di riduzione automatica del deficit che specifichi che qualunque scostamento dagli obiettivi di deficit sarà compensato automaticamente con tagli orizzontali sulle spese discrezionali.
c) Andrebbero messi sotto stretto controllo l'assunzione di indebitamento, anche commerciale, e le spese delle autorità regionali e locali, in linea con i principi della riforma in corso delle relazioni fiscali fra i vari livelli di governo. Vista la gravità dell'attuale situazione sui mercati finanziari, consideriamo cruciale che tutte le azioni elencate nelle suddette sezioni 1 e 2 siano prese il prima possibile per decreto legge, seguito da ratifica parlamentare entro la fine di Settembre 2011. Sarebbe appropriata anche una riforma costituzionale che renda più stringenti le regole di bilancio.
Mario Draghi, Jean-Claude Trichet
Tutto tranne democrazia:
i veri mandanti di Mario Monti
Italia e Grecia al guinzaglio del vero potere: quello che ormai stabilisce il prezzo della residua democrazia lasciata agli Stati un tempo sovrani. Comanda Wall Street, attraverso Fmi, Bce e Unione Europea: sono loro a "licenziare" Papandreou e Berlusconi, e a imporre le "riforme strutturali" che non toccano né i patrimoni, né le banche, né le rendite finanziarie, ma solo i popoli (salari, pensioni, welfare) e i beni comuni costruiti con l'impegno di generazioni: beni che ora saranno "privatizzati", cioè tolti ai cittadini. Sotto la pressione micidiale dei controllori dei mercati finanziari, alla Grecia e all'Italia si dettano ultimatum, prendere o lasciare. Tesi: la politica non è in grado di affrontare scelte impopolari. Meglio che le gestisca un sovrano o un suo vassallo, come nel medioevo.
Fmi, Ue e Bce: un accerchiamento totale, scrive Claudio Messora sul blog "Byoblu", al quale il gioco della speculazione internazionale ci consegna senza possibilità di fuga. «Per il nostro stesso interesse - si dice - e per quello dei sottoscrittori del nostro debito, dobbiamo realizzare una serie di riforme. E poiché non siamo più credibili, forti pressioni costringono il governo in carica a rassegnare le sue dimissioni, nonché tutto un popolo a rinunciare alla propria autodeterminazione». Come in Grecia, appunto. «Il principio più incredibile che viene sostenuto senza il benché minimo stupore - continua Messora - sarebbe quello secondo cui la politica da sola non può realizzare misure impopolari, perché avrebbe il timore di giocarsi il consenso elettorale, per cui sarebbe imperativo affidare le riforme necessarie a un governo di larghe intese, oppure al cosiddetto governo tecnico, magari sotto la direzione di un podestà forestiero».
Il concetto è tragicamente chiaro: esistono riforme che "devono" essere realizzate a tutti i costi, al di là della volontà popolare. «In altre parole, si sostiene che se la classe politica non è in grado di farsene carico, perché i cittadini non le vogliono, allora deve farlo qualcun altro», espressione di una «oligarchia nascosta». Quando Papandreou ha provato a ventilare l'ipotesi di un referendum per consentire ai greci di esprimersi sulle misure di austerity, il sistema bancario internazionale ha reagito minacciando di non tagliare più il debito pubblico del 50%, e il premier ellenico è stato convocato al G20 che l'ha costretto a ritirare la proposta referendaria. Nella stessa seduta è stato messo sotto torchio lo stesso Berlusconi, irritato per il diktat della Bce e restio a obbedire agli ordini. Risultato: "licenziati" entrambi. E presto rimpiazzati da due ipotesi gemelle: governi "tecnici", guidati da «uomini esterni al meccanismo del consenso popolare», cioè «due podestà forestieri: Mario Monti e Lucas Demetrios Papademos», entrambi "allevati" negli Usa.
Monti laureato alla Bocconi ma specializzatosi a Yale, Papademos laureato in Massachusetts e poi docente alla Columbia University insieme a Zbigniew Brzezinski, futuro stratega della Casa Bianca all'epoca della conversione dell'Iran da paese amico a nemico giurato.
Monti diventa rettore della Bocconi e, dal 2005, "international advisor" per Goldman Sachs nonché presidente del think-thank Bruegel, finanziato da 16 Stati e 28 multinazionali con lo scopo di influire privatamente sulle politiche economiche comunitarie. Nel 2010 Barroso gli commissiona un "libro bianco" sul futuro del mercato unico. Nel frattempo, Papademos diviene un economista senior della Federal Reserve Bank di Boston e poi della Banca di Grecia, di cui assume la carica di governatore. Poi addirittura diventa vicepresidente della Bce: è proprio lui a traghettare Atene dalla dracma all'euro. «Curioso - annota Messora - che adesso sia indicato come la personalità più adatta a rimediare ai danni che, in qualche modo, ha contribuito a produrre».
Ed è qui che entra in gioco anche Brzezinski, che nel 1973 fu incaricato da David Rockfeller di avviare un nuovo gruppo di lavoro: la Commissione Trilaterale, super-laboratorio per il futuro del mondo a guida statunitense: un club riservatissimo, dove i super-potenti (come Papademos) possono discutere liberamente, «senza perdersi nelle lungaggini imposte dai parlamenti e dalle burocrazie diplomatiche». Un super-clan potentissimo, con tre cariche fondamentali in rappresentanza di Nord America, Giappone ed Europa, quest'ultima ricoperta proprio da Mario Monti. Già nel '74 la Trilaterale denunciava «l'eccesso di democrazia» che a suo parere affliggeva il pianeta. Grecia e Italia, dunque, oggi potrebbero finire sotto il completo controllo di due uomini-chiave, in Europa, per il super-mondiale di organismi come la Goldman Sachs e la Trilaterale dei Rockfeller.
Tutti e due, Monti e Papademos, sono «in prima linea nella corsa a sostituirsi a due governi democraticamente eletti», e con un unico mandato: prendere decisioni dichiaratamente impopolari. «Ovvero, per definizione, contrarie alla volontà popolare», sottolinea Messora.
«Non c'è democrazia senza trasparenza, né può esservi in mancanza di un mandato popolare forte ed esplicito», scrive Messora. (…) «Tutto può essere, tranne democrazia, la requisizione del nostro diritto di rappresentanza in nome di logiche che vengono assunte a porte chiuse, nelle sedi elettive dove si tutelano interessi privati, dove una ristretta èlite decide le sorti di interi popoli senza che a questi venga garantita una chiara percezione delle cose». Svanendo la sovranità popolare su cui peraltro si fonda la Costituzione antifascista del 1946, viene alla luce il vero potere del mondo, «un governo ombra che in termini di realpolitik è sempre esistito, ma che sta diventando dominante», che ora si appresta a cancellare, uno alla volta, tutti i diritti del welfare grazie ai quali l'Italia ha costruito il suo benessere, la sua pace sociale, il suo progresso civile e democratico.
Tratto da http://www.libreidee.org
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Circolo ARCI Martiri di Turro
Via Rovetta 14 - Milano
secondo appuntamento della terza edizione della rassegna di film "HO INCONTRATO ZINGARI FELICI" (Maladilem bachtale Romenca - da Upre Roma), organizzata dall'associazione La Conta, in collaborazione con l'associazione Aven Amentza - Unione di Rom e Sinti, con l'associazione ApertaMente, la redazione di Mahalla e con il circolo ARCI Martiri di Turro; ingresso gratuito, con tessera Arci
E' stato il primo film di successo ad affrontare l'argomento. Alterna scene di vita che oggi definiremmo di maniera, ad uno sguardo attento e partecipe alla vita comunitaria, ai suoi amori e dissidi. Fu forse anche il primo film che illustrò il supposto nomadismo di Rom e Sinti, non come uno loro necessità di viaggiare, ma legato a motivazione precise. Ciononostante, non è un semplice documentario, una trama sottile collega le scene che descrivono il loro modo di vita, nel quadro del complesso tentativo della Jugoslavia di allora di integrare le sue diverse etnie e popolazioni.
Segnò anche il successo internazionale di Bekim Fehmiu, attore di origine albanese morto a giugno 2010, conosciutissimo in Italia per la sua interpretazione di Ulisse nell'Odissea televisiva alla fine degli anni '60.
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Alessandro Di Meo
KFOR attacking peaceful Serbian civilians in northern part of southern serbian province of Kosovo and Metohija!
Jedinica Kfora počela kod Jagnjenice uklanjanje barikade koju su pre mesec dana Srbi postavili na putu prema Brnjaku! Kfor zapretio građanima upotrebom sile, ako se ne raziđu, i bacio suzavac u više navrata.
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http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7151
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7157
http://english.ruvr.ru/2011/10/16/58807436.html
Voice of Russia - October 16, 2011
NATO issues ultimatum over roadblocks in Kosovo
NATO has given Serbs time until Monday to remove roadblocks on the border between Kosovo and Serbia, as tensions in the area continue to grow after violence broke up in the region last month, when the Kosovo Albanians placed their customs officers and police troops at the Jarinje and Brnjak checkpoints.
In late July Kosovo made an attempt to seize the checkpoints, which resulted in clashes between the police and local Serbs. (RIAN)
Reason for war
Interview with Borislav Korkodelovic, Serbian journalist based in Belgrade.
American Ambassador Walker, who is now an honorary citizen of Pristina, the capital of so-called independent Kosovo, claimed that Serbian security forces killed during the massacre about 30 to 40 civilians in Racak, but in fact those civilians according to the Serbian police were guerillas or rebels belonging to the Albanian so-called Liberation Army and they were just in civilian clothes.
Without waiting for the final results of the international commission which was headed by Finnish pathologist Helena Ranta, without waiting for that, Mr. Walker issued a statement that such things can happen all over Kosovo. So, that was the direct cause, but good diplomatic exchange was refused by the access of some elements of the plan which was arranged during the Rambouillet Conference which was going on from the end of 1998 to February 1999. So, that was because Serbia could not accept some of the conditions, like allowing NATO troops to enter Kosovo ‑ that was another reason for the attack. Also the Western media were speaking about plans to expel as many as possible of ethnic Albanians from the province and particularly the German government and its minister of defense at that time claimed that concentration camps were established at the football stadium in Pristina, that columns of Albanians – old people, women and kinds ‑ had been touring
towards the borders of Macedonia, which later on happened but when the bombardments started, which lasted 78 days up to the middle of June 1999.
Do I get you right that the cases you have mentioned have been more to justify the NATO aggression against Yugoslavia?
Yes, you are right and also it is because I think more or less during in human history that such incidents were used for wars between countries.
I would just like to draw your attention to the latest such incidents – the so-called “imminent massacre” which was linked to the situation in Libya, “imminent massacre” in Benghazi. So, that was in fact the claim which has its roots in some emotional comments by Colonel Gaddafi; his statements were used as a pretext for the voting in the Security Council of the United Nations and that threat to Benghazi had never materialized and it is still a last thing. So, nobody was massacred in that particular case in Benghazi at that moment, but tens of thousands of people had been killed later on and still lots of people are losing their life in Libya.
Beta News Agency - October 17, 2011
Serbs in north organize "rehearsal" protest
ZUPČE: Serb gathered this morning near the main barricade in the northern Kosovo village of Zupče to protest against the announced removal of the road blocks.
Local Serbs blocked roads after Kosovo Albanian authorities moved to install their customs and police on the administrative line between central Serbia and Kosovo.
Serbs, who form a majority in northern Kosovo, reject both the authority of the Kosovo Albanian government in Priština, and the ethnic Albanian unilateral declaration of independence made in early 2008.
Zubin Potok Mayor Slaviša Ristić addressed several thousand people gathered today to say that they were not there protecting "beeches and tree trunks", but rather their country, homes, and the future of their children.
Ristić pleaded with the citizens to remain "calm and wise", and called on them to gather again on Tuesday morning at Zupče.
"If members of KFOR try to break through the barricades tomorrow, we will stand calmly, we'll take our chairs too, and sit down. If that's what their justice and freedom is about - then we don't need it," the mayor told the crowd.
"We ask nothing from them, except to be left alone, to stay and live in the state of Serbia. If there is no Serbia here, there will be none in Belgrade either," warned Ristić, and added that the people defending their homes recognize and appreciate the help they are receiving from friends at this difficult time.
Previously, the residents of the Ibarski Kolašin region say that they will spend Monday at the barricades, and that the protest will be peaceful.
Reports said there were women and children at the barricades, while schools are today closed in the area.
The locals said today's events were a "rehearsal" for what Serbs intend to do if KFOR starts removing their barricades.
Farther up north, in Leposavić, Serbs were also ready to peacefully resist Priština's attempts to install its institutions here.
The citizens are saying that if there is no solution that will be acceptable to them, and if KFOR dismantles their road blocks, they will react by putting up new barricades.
Last night, residents of the towns of Kosovska Mitrovica and Zvečan manned the barricades.
...
http://rt.com/news/kosovo-serbs-barricades-ultimatum-065/
RT - October 18, 2011
Kosovo border dispute escalates
NATO forces have extended the deadline for Serbs in northern Kosovo to remove barricades near the Kosovar-Serbian border, delivering them an ultimatum to clear the roadblocks by early Tuesday or face forced removal.
Pristina, the capital of Albanian-dominated Kosovo, wants to erect customs posts between the Serb-dominated part of the self-proclaimed republic and Serbia, tearing the Serb enclave in Kosovo from Belgrade and urging Serbs to leave their homes and depart for Serbia.
That means the clock is ticking for Kosovar Serbs because NATO’s Kosovo Peacekeeping Force (KFOR) is on the side of the Albanians, and they have already shown that they will not hesitate to fire at Serb protesters with live rounds.
But the Serbs who were born in Kosovo do not want to leave their motherland, and they have attempted to prevent Albanian police and customs officials from seizing control of the border crossings to Serbia.
Still, KFOR appears to mean business, and seems intent on delivering Kosovar officials to border checkpoints under the protection of their guns.
But Kosovar Serbs have nowhere to retreat. When RT visited the site of the protests, the roadblocks remained in the same place they have been for the last two months.
With the Tuesday deadline approaching, tensions in the area are boiling.
On Saturday, KFOR Commander General Erhard Drews met with the mayors of four northern Kosovo towns, claiming that KFOR needs the roads cleared in order access northern parts of Kosovo. At the moment, supplies for the KFOR troops stationed there – water, food and fuel – are being delivered by helicopters.
Last month KFOR attempted to bulldoze the Kosovar Serb barricades, but the only result was violence that left 11 Serbs wounded. Despite KFOR’s attempt to cover up the scandal by saying soldiers were only shooting rubber bullets, the doctors who treated the injured confirmed all the wounds were real gunshots. It could be said that blood has already been spilled, and it was Serb blood.
The situation on the border might look peaceful for now, but this could change in the blink of an eye.
http://rt.com/news/stones-firm-kosovo-border-083/
RT - October 18, 2011
Army of stones: Serb barricades stand firm
As the deadline for Serbs in northern Kosovo to dismantle their border barricades nears, they remain firm in their protest. The barricades are meant to stop attempts by Kosovan police, and NATO and EU forces to take over border crossings with Serbia.
Stones and sand of the barricades are the only weapons the Serbs living in Kosovo have in their arsenal to make the others listen to them.
The roadblocks they have set up throughout the northern part of the region are making headlines and getting feedback.
Local resident Voityla is reading a leaflet that KFOR, a NATO-led international peacekeeping force in Kosovo, has been distributing here recently: “We ask you not to participate in any event that may threaten your safety or may have negative consequences for you and for your country!“
He comments: “Bastards! They are talking about us! While they are the only negative here.”
“Look at their propaganda! We will not buy it! We don’t want them here, those occupiers; we don’t even want to talk to them!” he adds as he crumbles the leaflet and throws it into a campfire.
Unlike the barricade sentries, the mayor of the Northern Kosovo town of Leposovic is talking to KFOR. Branko Ninic has been among the four delegates from Serbs to negotiate with the peacekeepers on dates and terms for the barricades’ removal.
KFOR announced a Monday deadline, but then postponed it till Tuesday. The Serbs have claimed they need even more time.
Initially designed to prevent Kosovan customs officers from reaching the checkpoints at the northern border with Serbia, rubble on the roads has made trouble for many.
The KFOR complain they have no land access to their troops in the north. They are using helicopters to transport supplies and soldiers.
And the Serbs themselves are suffering too. They are building new alternative roads to reach Serbia from Kosovo, because the main routes have been blocked – by Serbian barricades – in the last several weeks.
The only other alternative is a train, but it runs only once a day and is always packed, so it is not necessarily a viable option.
New bypass roads appear with phenomenal speed. An RT crew has seen at least seven of them.
“This is stupid. We have many roads but we have to make more! But we have no choice – they make us do that! And we’ll not give up. Never,” says Vladimir, a road engineer, who is involved in constructing bypass roads.
Vladimir is one of the volunteers. He is a Kosovan Serbian and says he speaks for all of them.
“This is our state. It’s ridiculous to think we’ll ever recognize an ‘independent’ Kosovo. We’ll never give up,” he vows.
Back at the barricades people are still waiting. All of them have regular jobs as teachers, engineers or miners, but here they call themselves soldiers and use war rhetoric.
“This is our land. We will not surrender!” they say. “That’s for truth. For the future. For our children and Motherland!”
They say one man cannot win a war, but together people may form a real army. Even if their weapons are just stones and sand.
Radio Netherlands/Agence France-Presse - October 18, 2011
NATO, Serbs in standoff over Kosovo barricades
NATO confronted Serbs manning a roadblock in northern Kosovo on Tuesday but agreed to wait 24 hours for a compromise that will allow its KFOR force to supply troops in the sensitive area, Serb officials said.
A KFOR convoy turned back from one of the main roadblocks on the road to the disputed Brnjak crossing with Serbia after the agreement, the Serb mayor of nearby Zubin Potok told AFP.
The convoy approached the roadblock as a "test" of KFOR's demand that all 16 roadblocks set up by Kosovo Serbs on roads leading to the Bnjak and Jarinje crossings be removed by Tuesday, according to spokesman Uwe Nowitzki.
Tuesday morning the barricades were still all there and Serbs stepped up their numbers to guard them, reporters on the ground said.
Zubin Potok mayor Slavisa Ristic said: "We have agreed with KFOR representatives that they return to their bases and await the outcome of the meeting Wednesday" of the four Serb municipalities in northern Kosovo.
That meeting is set to approve a compromise allowing KFOR to supply their troops in the area occasionally while Serbs maintain the barricades, set up to keep Kosovo Albanian customs and police officials away from the border posts.
There was no immediate comment from KFOR on the reported deal.
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The local Serbs are angry over a move by the Pristina government in September to put Kosovo Albanian customs and police officials on the border, fearing that their access to Serbia proper will be severely limited.
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Tanjug News Agency - October 19, 2011
MPs protest U.S. ambassador's presence
BELGRADE: The opposition SRS party protested in parliament today because of a meeting between the Group of Friendship with the U.S. and U.S. Ambassador Mary Warlick.
About ten SRS MPs blocked the entrance to the hall where the meeting with Warlick, in view of 130th anniversary of diplomatic relations between the two countries, was due to begin.
After 20 minutes, the Radicals stepped away.
During the brief protest, the Radicals carried banners saying "We will not forgive you our children," "Stop killing Serbs in Kosovo," "NATO = crime," and "Bloody Mary." They also sang the national anthem.
After the incident, SRS MP Boris Aleksić criticized the government for receiving Warlick at the Serbian parliament at the moment when, as he said, NATO is getting ready to attack the Serbs' barricades in Kosovo.
Aleksić accused the government that Warlick arrived at the Assembly to "give them orders to jointly plan the operation against the Serbs in Kosovo and Metohija."
He said this is the reason why SRS MPs gathered in front of the hall, "where the government is celebrating relations with the U.S."
Aleksić stressed his colleagues wish to send a clear message that "the U.S. has been carrying out a crime against the Serbian people for 20 years, and is now preparing to do away with them once and for all."
"They did not allow us to attend the meeting. What is it that they are hiding from MPs," wondered Aleksić.
RT - October 20, 2011
Tear gas at the barricades: NATO sprays Serb protests
Some 300 Serbs tried to prevent the Kosovo peacekeeping force (KFOR) from tearing down the barricades, but the soldiers were armed with anti-riot equipment to cordon off the barricaded area, reports RT’s Maria Finoshina.
KFOR used loudspeakers to try to convince the Serb to go home, but it failed to help. There was a lot of shouting from both parties, but otherwise the conflict was not violent.
NATO soldiers fired tear gas grenades at the protesters and managed to disperse them, says AFP. RT's Maria Finoshina says it was more likely pepper spray than tear has. She adds KFOR is erecting a barbed wire fence to isolate Serbs from the barricade and threatens to use force against them.
At least 100 armed transport vehicles are involved in the operation, which is aimed at removing the 16 barricades on the border. KFOR is also using a number of drones, which are circling over the area of the conflict.
No injuries were immediately reported. The actual dismantling of the barricades has not started yet and Serbs are watching KFOR actions closely.
The situation remains tense with fears high that it could escalate into violence.
NATO action follows a week of tense negotiations with the protesters, which failed to produce a peaceful solution.
Serbs living in northern Kosovo had blocked two cross-border roads into Belgrade-controlled Serbian territory in July. The move was in a protest by Pristina’s plan to take over checkpoints at the crossings.
This was meant to enforce a ban on imports from Serbia, which was part of a trade dispute with Belgrade. Officials in Pristina said ethnic Serbian customs officers had sabotaged the ban and planned to replace them with ethnic Albanians.
Northern Kosovo is home to some 40,000 Serbs, who constitute a majority in several towns in the area. They do not recognize the Albanian government in Pristina. Many of them complain of persecution by Albanians.
“What’s happening today in northern Kosovo is the direct result of this ridiculous idea that Kosovo can be an independent state. KFOR and EULEX, the European Union authorities, which now run Kosovo – illegally, by the way, because only the UN has authority in Kosovo – are determined to push this policy through to its logical conclusion. I’m afraid it’s a very bad sign for those Serbs who are hanging on to the north of the province,” he told RT.
"They are living in horrible conditions, basically in a ghetto, so their presence on the barricades is a form of silent protest against what NATO has planned for Kosovo. And Serbs have no intention of giving up. If this was organized by a regime that is supported by the West, they would have been hailed as freedom fighters," Malagurski told RT.
http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2011&mm=10&dd=21&nav_id=76957
B92/Beta News Agency/Tanjug News Agency - October 21, 2011
KFOR headed toward barricades, Serbs say
ZUBIN POTOK: Serbs at the barricades have been told that two KFOR combat vehicles equipped with water cannons are headed to the village of Jagnjenica.
Zubin Potok Mayor Slaviša Ristić claims he has information that KFOR’s combat vehicles left from an Albanian-populated village of Čabar and that they are headed to Jagnjenica.
The Serbs at the barricades were informed around 11:00 CET that Portuguese and German KFOR troops were on their way to the barricade in the village of Zupče and that they had removed the barbed wire which had been placed in front of the barricade that had been set up by the local Serbs.
According to Beta news agency reporter, residents of the Ibarski Kolašin region headed to Zupče a little after 10:00.
Several hundred Serbs have gathered at the barricades in the Ibarski Kolašin region, including mayors of Serb towns, priests and local monks.
The situation in northern Kosovo is at the moment peaceful but tense. The Albanian media reported on Friday morning that KFOR had removed the barricades from the roads leading to the Brnjak administrative crossing.
Night passes peacefully at barricades
Northern Kosovo Serbs spent the night in their cars, tents and around the fire on several locations in the villages of Jagnjenica and Zupče.
KFOR troops did not take any actions last night.
Local self-government representatives and Kosovska Mitrovica District Head Radenko Nedeljković spent the night with the local Serbs.
Four loaded trucks are separating the local Serbs from KFOR troops. The trucks are blocking a KFOR convoy which attempted to get to the Brnjak administrative crossing.
KFOR troops are still located around 150 meters from the barricades that Serbs set up in the village of Zupče and they still have not tried to remove them.
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RT, 22 October, 2011
Border disorder: Kosovo stand-off continues
At least a thousand Serbs and NATO soldiers in riot gear remain in a face-off on the Kosovo border. The Serbs have been ordered once again to remove the barricades and roadblocks they have erected at the Rudare crossing.
Local Serbs compare the NATO-led peacekeeping force in Kosovo, KFOR, with the fascist occupiers of the past.
Cartoons which are being passed from hand to hand read “We defeated your granddads, we defeated your fathers – we will win again!”
“Why do they think they can come and take our land?” one local man wonders. “Serbia is our home! We don’t want to live in Albania!”
As one local woman says, local Serbs “have nothing, but a flag and faith in God,” against well-armed forces.
And some 200 meters away, NATO-KFOR soldiers keep watching.
“I would prefer a peaceful solution by talks, by an agreement,” says KFOR Commander General Erchard Drews. “But if that is not to be reached, I will have to be on my own. I will have to fall back on my own means. Some of them are behind me.”
No surprise that the general’s “own” means are military ones.
The status quo in Northern Kosovo remains. The standoff between KFOR soldiers and local Serb civilians is no closer to resolution, but people from both sides of the barricades are glad to avoid any further violence.
But away from the media glare, hostility is commonplace.
Dobrivoje Putnik, a 23-year old Serb, was with his father when he was shot dead just three weeks ago, while visiting an Albanian village in Kosovo’s South. Serbs are a minority there, living in tiny enclaves.
“I was waiting for him in a car,” Putnik said. “I saw him coming out of the Albanian cafeteria. Then I heard two gunshots and my dad fall down. I rushed to him, but I was late. He died immediately, I didn’t even say goodbye to him.”
Dobrivoje was shot too, when his father’s killers tried to eliminate the only witness.
“I will never return to that place,” he said. “They will chase me... I’m worrying about my family and myself.”
In a separate incident, just last week, another unarmed Serb, the father of a large family, was killed in a confrontation with a local. Miodrag, together with two his friends, went to see what used to be Serb land, now owned by ethnic Albanians since Serbs fled after NATO’s 1999 bombing of Yugoslavia.
They were stopped by the new occupier.
“We talked for five minutes,” said Dejan Bodicevic, a friend of the killed Serb. “Then [the occupier] said he needed to come back to his car to take his cell phone, but came back instead with a Kalashnikov. ‘Do you want your land back?' he shouted and started firing at us. Miodrag was killed at the scene.”
The men who just lost their friend say there is only one reason he was killed: “That’s just because we are Serbs. Period.”
Eleven years after the end of major conflict, and despite the presence of international peacekeepers, violence seems to be still part of everyday life for some in this troubled breakaway province. And there is little sign that is likely to change.
Itar-Tass - October 22, 2011
Kosovo Serbs protect barricades on border with Serbia
Kosovo Serbs have prevented the attempts of NATO’s KFOR servicemen to remove the barricades and roadblocks they built on the entries to the check points on the border with Serbia in the north of the region.
Earlier this week KFOR soldiers used tear gas to disperse the crowd of Serbs protecting barricades on the way to Brnjak check point. In clashes eight peacekeepers and 2- protesters were wounded.
The Albanian authorities of Kosovo are trying to get full control over the check points on the border with Serbia.
Radio Free Europe/Radio Liberty - October 26, 2011
Serb Nationalist Flyers Decry KFOR 'Occupation,' 'Killings'
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The... organization Nasi has begun distributing leaflets in German and Serbian, targeting German troops serving in the NATO-led Kosovo Force (KFOR) contingent in Kosovo.
The leaflets show photographs of German soldiers from World War I, World War II, and KFOR with the captions: "We killed your great-grandfather. We killed your grandfather. We will defeat you as well." And under it all is the general slogan: "Kosovo Is Serbia!"
In an October 20 press release announcing the new propaganda campaign, Nasi said its purpose is to "encourage the Serbian people to resist the occupation of NATO forces."
The group said the campaign was "accelerated" because of recent clashes between KFOR troops and ethnic Serbs in northern Kosovo.
"The aim of the German-language posters is to influence German soldiers to understand they are making the same mistake and committing an injustice against Serbs and their ancestors and to remind them that Serbia will not be conquered," the press release states.
Earlier this month, Nasi launched a "1,001 Candles" campaign to remember what the group claims are "the 1,001 ethnic Serbs who have been killed in Kosovo since the beginning of the occupation."
-- Robert Coalson
RT - November 1, 2011
Russia blasts Kosovo over national policy
The provocative actions of the authorities in the north of Kosovo lead to a deterioration of the human rights situation, especially for Serbs and other non-Albanians, a top Russian diplomat has said.
The plenipotentiary of the Russian Foreign Ministry for Human Rights, Democracy and the Rule of Law, Konstantin Dolgov, told reporters on Tuesday that Kosovo authorities’ actions were not improving the already difficult situation in the region.
“We insist on a large-scale investigation of all blatant violations of human rights in Kosovo including the facts of illegal trade in human organs that were covered in the report by the Parliamentary Assembly of the Council of Europe,” the Russian official said.
Dolgov also added that intimidation of Serbs and other non-Albanians, such as Bohniaks and Gypsies [Roma], but the situation with Serbs is the most dangerous as they now have to live is isolated enclaves resembling ghettoes.
The diplomat noted that the Russian view is shared by other nations and leading NGOs such as Human Rights Watch.
Russian Foreign Minister Sergei Lavrov has earlier said that the stabilization in the Balkans was impossible without an objective investigation into crimes relating to the illegal trade in human organs in Kosovo.
"It is difficult to expect reconciliation in Kosovo or overall normalization in the Balkans without an in-depth and impartial investigation into crimes involving the illegal trade in human bodies in Kosovo and punishment of the culprits, regardless of their high positions," Lavrov said in an interview with the Serb newspaper Vecernje Novosti. "We intend to continue promoting appropriate initiatives and closely following the modern and unconditional implementation of the decisions being made," Lavrov said.
Speaking about the situation in Kosovo, Russia’s top diplomat said it should be resolved in line with Resolution 1244 of the UN Security Council. "Any attempt to go around this resolution is a major violation of international law and would lead to the destabilization of the situation in the Balkans," the Russian minister said.
The Russian comments came after a fresh wave of tensions hit Kosovo earlier this month. KFOR soldiers attempted to remove the barricades built by Kosovo Serbs near two border posts separating Kosovo and Serbia. The border posts appeared in September this year and the policies of Albanian law enforcers caused outrage among the mostly Serbian local population. The removal of the barricades sparked a riot in which eight KFOR soldiers and 25 civilians were wounded.
Russia has criticized NATO for provoking the Serbs in Kosovo. “When NATO suddenly starts dismantling barricades between the Kosovo and Serb sides, when NATO vehicles filled with Kosovo Albanian policemen start cruising the streets with the clear aim of severing the last remaining communication channels between Serbia and Kosovo Serbs, then it becomes clear that NATO is exceeding its mandate. No one is going to like that,” Russia’s envoy to NATO, Dmitry Rogozin said as the riots began.
The Republic of Kosovo unilaterally announced its independence from Serbia in 2008. Russia and over 100 other UN member-states refuse to recognize Kosovo’s independence. This would mean changes in European borders as it violates the principle of unchanging state borders in Europe. Besides which, the authorities of the Kosovo Republic, comprised of warlords who fought against Serbian forces during the civil war, are accused of numerous human rights violations and crimes, including the trafficking of human organs.
Itar-Tass - November 7, 2011
Kosovo checkpoint conflict unresolved
The Parliament of the Serb municipalities of Kosovo and Metohija on Sunday urged citizens not to accept the conditions proposed by Pristina on two checkpoints on the border.
The final document states that "the agreement would mean the recognition of the independence of Kosovo, which contradicts the Serbian constitution."
Pristina offered to place Kosovar customs officers at checkpoints. According to their plan each of them will also be manned by a “few” Serbs.
In addition, Kosovo Serb MPs intend to seek a criminal complaint against the head of the delegation of Serbia Bronistala Stefanovic and charge him with treason.
According to him, Belgrade and Pristina are close to solving the problems of border controls but the Kosovo Serbs believe that such an agreement would be a "stab in the back" to all who fight for the maintaining the integrity of the country.
http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2011&mm=11&dd=07&nav_id=77213
Beta News Agency/Tanjug News Agency - November 7, 2011
Serbs in north stop several KFOR vehicles
ZVEČAN: Serbs in northern Kosovo early on Monday stopped and turned back several KFOR vehicles on the road leading to the Jarinje administrative checkpoint.
Their local representatives said the passage of NATO troops was "not harmonized with heads of local self-governments in northern Kosovo".
The vehicles included two Hummers, one crane, and a pickup truck carrying American soldiers.
They came from the southern, ethnic Albanian part of the divided town of Kosovska Mitrovica.
The vehicles were stopped in the Zvečan municipality and went back after a short while via northern Kosovska Mitrovica, Suvi Do, and further toward southern Kosovska Mitrovica.
Reporters said there were no incidents.
Earlier, KFOR announced its members would continue work on Monday on repairing a bridge on the road between Zvečan and Leposavić, that leads to Jarinje.
They said they needed "full freedom of movement" in order for their heavy machines to reach the bridge near Ložište.
Member of the local crisis committee Časlav Sofronijević said that KFOR too must respect procedures and receive a permit to conduct this type of work from the Zvečan Department of Urbanism.
But he also remarked that KFOR's real intention was an attempt to transport heavy machines to the north "so they could tear down barricades", which were put up in this part of the province by Serbs.
Meanwhile, the night was peaceful at the barricades near Jarinje and Brnjak, where Serbs have been keeping watch for more than three months - ever since the Kosovo Albanian authorities from Priština tried to take over the checkpoints.
Serbs form a majority north of the Ibar River in Kosovo. They reject the authority of the government in Priština, as well as the unilateral declaration of independence made by ethnic Albanians in early 2008.
http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2011&mm=11&dd=09&nav_id=77242
Beta News Agency/Tanjug News AgencyNovember 9, 2011
KFOR takes over barricade in northern Kosovo
JARINJE: Situation is currently peaceful at the Jarinje administrative crossing where KFOR troops took over a barricade early on Wednesday.
KFOR used tear gas against the local Serbs who had set up the original road block near the administrative line checkpoint.
Leposavić Mayor Branko Ninić has called for restraint and on the citizens to fight for their legitimate rights with peaceful means only and on KFOR not to use force.
He believes that KFOR troops used the tear gas to disperse citizens who gathered at the Jarinje checkpoint without any reason.
The tear gas was used to disperse the Serbs who were standing about 30 meters from the barbed wire that the soldiers had set up near Jarinje. KFOR took over control of the barricade about two hours earlier.
During the operation U.S. KFOR troops detained two Serbs but they were released about an hour an a half later.
KFOR also blocked two alternative roads near the Jarinje crossing and the Ibar River leading to Leposavić and Raška.
The northern Kosovo Serbs unloaded several truckloads of gravel for a new barricade after KFOR troops had used tear gas.
The group of Serbs then moved several hundred meters down the road and ambulance arrived to help those who needed medical attention due to tear gas inhalation.
“KFOR betrayed Serbs’ trust”
Kosovska Mitrovica District Head Radenko Nedeljković said on Wednesday morning that KFOR had betrayed northern Serbs’ trust by taking over the barricade at the Jarinje administrative crossing.
He told Beta news agency that KFOR had also betrayed the good will showed by the Serbs who allowed normal supplies and rotation of soldiers at the administrative crossing and the base in the town.
“It is not KFOR’s mandate to block the alternative roads and hermetically seal off this part of the province. A lesson needs to be learned from this. Regardless of how many soldiers KFOR has, a solution cannot be imposed by force,” Nedeljković pointed out.
He added that the policy and strategy needed to be changed “when it comes to the international community and they need to accept the facts and reality in the field, meaning that the Serbs from northern Kosovo do not want so-called Kosovo institutions”.
Tanjug News AgencyNovember 9, 2011
Kosovo minister: KFOR intervention wrong step
BELGRADE, PRIŠTINA: Minister for Kosovo Goran Bogdanović stated on Wednesday that KFOR intervention and use of tear gas was "a wrong step which aggravates tensions".
It creates an atmosphere of uncertainty and does not contribute to defusing the situation, said he.
For this reason, Bogdanović called on KFOR to refrain from use of force and stay within the limits of their status-neutral mandate, while Serbs in northern Kosovo-Metohija should avoid responding to provocations and fight for their interests by peaceful means instead, Bogdanović told Tanjug.
The minister noted that nobody is opposed to traffic and passenger control but the way in which checks are performed triggers new tensions and new problems.
He expressed belief that an exit from and a solution to the existing situation with regard to administrative crossings Jarinje and Brnjak can and has to be found through dialogue only, and added that a sustainable solution for the crossings cannot be imposed by force.
He once more called on international missions to respect the specific nature and sensitivity of the situation in the north and invited northern Kosovo Serbs to remain consistent in the search for a solution through a dialogue.
The dialogue, in this and any other situation, has no alternative, the minister underscored.
He added that Belgrade is ready to continue the talks in Brussels because Serbian authorities believe that only the dialogue can render a solution to the existing problems in northern Kosovo-Metohija.
The date when the dialogue would be re-opened does not depend solely on us, it also depends on the international community, but for our part, we are ready and we have certain ideas as to how the problem of Jarinje and Brnjak can be resolved, Bogdanović said.
The state secretary in Bogdanović's ministry, Oliver Ivanović, said earlier today that although NATO troops closed one of the so-called alternative roads between northern Kosovo and central Serbia, "this will not prevent the Serbs from building another alternative road".
The locals have already started building a new barricade near the checkpoint.
KFOR members took over the old barricade near Jarinje with the help of tear gas early on Wednesday and are currently controlling the area.
KFOR soldiers exited their camp near the town of Leposavić afterwards, using several vehicles, and are positioned on the main road to Kosovska Mitrovica.
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KFOR issued a statement on Wednesday, saying its troops had set up "a new vehicle checkpoint south of Gate 1", near the Jarinje administrative crossing in northern Kosovo.
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According to the release, KFOR put up the new checkpoint "as support to EULEX in order to prevent vehicles from using alternative routes", and also has blocked the bypass around "Gate 1", i.e., Jarinje.
http://www.dvidshub.net/news/79772/us-army-europe-preps-latest-kosovo-forces-rotation#.TrqZbkNclEo
U.S. Army Europe - November 9, 2011
U.S. Army Europe preps latest Kosovo Forces rotation
HOHENFELS, Germany: Crowd control, roadblocks and high tensions have recently become part of the daily scene for NATO peacekeepers in Kosovo.
Fortunately for the next KFOR rotation, that’s also the scene at U.S. Army Europe’s Joint Multinational Training Center in Hohenfels, Germany. Expert planners and observer controllers have made it a number one priority to ensure soldiers are ready to face the current situation.
“We sent several OCs from different teams over to Kosovo to observe the latest (tactics, techniques and procedures) and understand the operational environment there,” said Capt. John Denney, an OC at JMRC.
That information is then given to scenario writers who develop the events that soldiers will be challenged with during their training, Denney said.
National Guard soldiers from more than 10 states make up the U.S. element of KFOR 15, and they noticed JMRC’s efforts to make training as realistic as possible right away.
“Early on in our training, the focus was on a relatively steady state and calm environment in Kosovo,” said Col. Jeffrey Liethen, KFOR 15 commander. “Things have drastically changed. It’s very obvious that the training program here at Hohenfels has been modified to replicate what is actually going on in Kosovo right now so that will definitely be a help in us conducting our mission.”
The guard soldiers also have the unique opportunity to train with partner nations they will be working alongside during their deployment.
...
Another advantage is the prior deployments and skills set these Guard soldiers bring to the table that will aid them in the KFOR mission.
“What we are hoping to do is take a lot of the experience these soldiers already have out of Iraq or Afghanistan,” Denney said. “We use those basics they have used and put a Kosovo polish on it specific to the deployment they are going to be seeing here shortly.”
The transfer of authority to KFOR 15 is scheduled for December, where these soldiers will have a chance to implement the training they’ve received and further the peacekeeping mission in Kosovo.
http://rt.com/news/serbia-world-pavic-kosovo-957/
RT - November 9, 2011
'Serbia is one flashpoint in a new world disorder’
NATO peacekeepers have used tear gas to take control of one of the barricades in Northern Kosovo, built by local Serbs several months ago in an ongoing border dispute. Political analyst Aleksandar Pavic insists KFOR forces act as occupiers.
But the success of the KFOR troops was short-lived, after a new block was put up further down the road. The crackdown comes just days after the head of the UN drew attention to the increasing number of attacks on Serbs living in Northern Kosovo.
NATO troops were deployed to the region to keep the peace and separate the conflicting sides. However, by bulldozing barricades they seem to have taken a particular side. And as Aleksandar Pavic says, the alliance has been doing this for years, while there is a bigger picture behind its actions in Serbia.
“They’ve broken their mandate, actually. They are doing the job of the Albanian-controlled government in Pristina, and they are doing it openly, in spite of their mandate from the UN, which is supposed to be a peace-keeping mandate, to keep the warring sides separated,” he told RT.
Speaking of the latest events around the barricades, Pavic notes that the KFOR action is an “aggressive show of force”. “They are acting like an occupier, instead of peace-keeping,” he added.
With all that, it is not just about Kosovo, the political analyst pointed out.
“This is part of a larger picture, and I think people should be very much aware of that,” Pavic said. “The same powers that are controlling NATO are controlling what is happening in Greece. They are behind the crisis in Greece, they are behind the crisis in Iran. What we are seeing right now is the sign of a new world disorder, and Serbia is one of the flashpoints.”
“All the people who are active in all Occupy Wall Street and all the other streets throughout the Western world right now – the Kosovo Serbs are the forefront of this fight,” Aleksandar Pavic concluded.
Miodrag Komadina, 64 ans, a été tué par balles tandis que Draško Ojdanić et Dejan Bogićević ont été blessés. Draško Ojdanić a expliqué aux journalistes que les trois hommes se trouvaient à Dobruša pour visiter un terrain appartenant à la victime. Sur place, se trouvait un Albanais, qui s’était approprié la parcelle.
« Après une courte discussion, l’homme a dit qu’il avait quelque chose à faire et qu’il allait revenir. Il s’est dirigé vers sa voiture, a pris un fusil et a commencé à nous tirer dessus. »
« Ce fait divers prouve une nouvelle fois que les événements du nord du Kosovo ont une influence directe sur ce qu’il se passe au sud de l’Ibar », a estimé Goran Bogdanović au micro de la Radio Télévision serbe (RTS). Pour le ministre, cet incident montre que les Albanais ne veulent pas vivre ensemble avec les Serbes.
De son côté, la Présidente kosovare, Atifete Jahjaga a condamné ce crime qui « met en péril les relations entre les habitants du Kosovo et menace la stabilité ». Le gouvernement kosovar a lui aussi condamné crime et transmis ses condoléances à la famille de la victime.
Un suspect a été arrêté ce matin selon le porte parole de la police du Kosovo (KPS), Xhavit Ibraj. L’homme, qui se cachait à Istok, s’est rendu vers 8h. « L’individu se trouve sous les verrous », a ajouté Xhavit Ibraj, précisant qu’il est originaire de Lukavac. Son nom n’a pas été révélé.
Selon le porte parole de la KPS, une histoire de propriété serait à l’origine du meurtre. La police poursuit son enquête pour identifier tous les détails. Les deux blessés ont été transportés à l’hôpital, mais leurs jours ne sont pas en danger.
Balkanische Lektionen
Gastkommentar: Kosovo und die Parteilichkeit der NATO
Von Sevim Dagdelen
Diese Woche wurde ein Kronzeuge in einem Kriegsverbrecherprozeß gegen den kosovo-albanischen Parlamentarier Fatmir Limaj in einem Park in Deutschland tot aufgefunden. Auswärtiges Amt und Bundeskriminalamt verweigern mit Verweis auf die Zuständigkeit des jeweils anderen weitere Auskünfte. Es steht zu vermuten, daß Agim Zogaj keines natürlichen Todes starb und die Informationen über den im Zeugenschutzprogramm in der BRD untergebrachten Mann direkt aus der ermittelnden EU-Mission in Pristina (EULEX) kamen.
Zugleich haben deutsche und US-amerikanische Truppen die Situation im Nordkosovo massiv eskaliert. Auch wenn es unterschiedliche Darstellungen zum Tathergang gibt, steht fest, daß am Dienstag Soldaten der NATO-geführten KFOR auf serbische Demonstranten geschossen haben. Den Serben werden Steinwürfe und »versuchte Provokationen« zur Last gelegt. Dies rechtfertigte offenbar, daß die Soldaten mit scharfer Munition gegen Zivilisten vorgingen. KFOR verweigert sich allen Forderungen nach einer internationalen Untersuchung der Vorfälle.
Was haben diese beiden Ereignisse miteinander zu tun? Die NATO und die Mehrheit der EU-Staaten, die die einseitige Unabhängigkeitserklärung des Kosovo anerkannt haben, stehen unverbrüchlich an der Seite der kosovo-albanischen Untergrundbewegung UCK. Während mutmaßliche kosovo-albanische Kriegsverbrecher gedeckt werden, schießt man auf serbische Demonstranten. Serbien, obwohl von neoliberalen Sozialdemokraten regiert, wird regelrecht gedemütigt. Die EU-Beitrittsperspektive wird inzwischen direkt mit dem Verzicht auf das Kosovoverbunden. Zu wichtig ist die Rolle eines willfährigen NATO-Staates im Herzen des Balkans für dessen Neuordnung.
Es wird immer deutlicher, daß die völlige Kontrolle des Kosovo nur ein erster Schritt sein wird, um mit dem Spielen der albanischen Karte die Völker des Balkans noch weiter aufeinanderzuhetzen. Frei nach dem bewährten imperialen Prinzip »Teile und herrsche«. Dafür wird jetzt offenbar auch noch eine ethnische Säuberung des Nordkosovo mit befördert. Serben sollen demnach nur bleiben dürfen, wenn sie sich dem Völkerrechtsbruch beugen. Wer »provoziert«, auf den wird geschossen. Die Bundeswehr steht dabei in der ersten Reihe und handelt in der Tradition von 2004, als sie bei den ethnischen Säuberungen gegen Serben im Kosovo einfach wegschaute. Parteilichkeit ist oberste Maxime.
Eine friedliche Zukunft der Völker auf dem Balkan wird es nur gegen die imperialen Mächte geben. Wer auf Fairneß bei den EU-Beitrittsverhandlungen hofft, macht sich im besten Falle Illusionen. Und wer die NATO nicht als Kriegsführungsbündnis mit Neuordnungsinteressen auf dem Balkan wahrnimmt, ist im besten Falle naiv. Das sind die balkanischen Lektionen dieser Zeit.
Sevim Dagdelen ist Sprecherin der Bundestagsfraktion Die Linke für internationale Beziehungen
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presso il circolo ARCI Zerbini, Vicolo S. Caterina 1 angolo Via Bixio, Parma
con l’intervento del professor Aldo Bernardini, curatore della prefazione
Un'analisi fondamentale per comprendere quanto è avvenuto nei paesi socialisti con il prevalere delle correnti revisioniste alla guida del PCUS e degli altri partiti comunisti al potere e a confutazione delle teorie opportunistiche e mistificatorie, largamente diffuse e propagandate.
Aldo Bernardini, professore di diritto internazionale a Teramo ed ex rettore dell' università di Chieti. Convegni e conferenze, oltre che in Italia a Parigi, Berlino-est, Pyongyang, Belgrado, Mosca, Tripoli, Baghdad, ecc. Membro del Comitato Internazionale per la difesa del presidente jugoslavo Slobodan Milosevic. Membro del Comitato Centrale del Partito Comunisti - Sinistra Popolare.
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L'idea si è sviluppata a seguito del grandissimo interesse per la mostra "Serbia, paese degli affreschi" allestita nella stessa Basilica nell'aprile e maggio scorso.
Gli affreschi serbi ed italiani del periodo del tardo Medioevo possiedono forte radici comuni e concordanze. Essi esprimono quella nuova spiritualità portata avanti dall'arte degli affreschi, e l'ascesa dell'Europa dal precedente periodo di buio.
Srpske freske u Firenci
SRPSKE freske imaće svoje stalno mesto u najvećoj franjevačkoj crkvi u svetu! U bazilici Santa Kroče u Firenci 29. novembra biće otvorena stalna postavka kopija nekih od najboljih i najpoznatijih fresaka iz srpskih srednjovekovnih manastira Mileševe, Sopoćana i Gračanice.
Ideja da one budu trajno u jednom od najvećih italijanskih hramova fresaka nastala je spontano, usled velikog interesovanja za izložbu „Srbija, zemlja fresaka“, koja je bila postavljena u bazilici Santa Kroče. Tokom aprila i maja videlo ju je 30.000 ljudi. Oduševljeni Firentinci su još tada poželeli da naprave malu galeriju fresaka i... U sali pored starog klaustora bazilike sada će trajno biti izložene kopije fresaka „Bogorodica iz Blagovesti“ i „Mironosica na grobu Hristovom“ („Beli anđeo“) iz Mileševe, dva motiva sa „Rođenja Hristovog“ („Pastiri“ i „Kupanje mladenca“) i „Oplakivanje Ane Dondolo“ iz Sopoćana, kao i portreti Milutina i Simonide iz Gračanice.
- Pozajmili smo kopije fresaka na neodređeno vreme. Vodili smo računa da to budu one kojih imamo najviše u depou - kaže mr Bojan Popović, upravnik Galerije fresaka i autor izložbe „Srbija, zemlja fresaka“. - Većinu kopija uradili su Zdenka Živković i Časlav Colić, samo je „Oplakivanje Ane Dandolo“, na kojoj se vide međudinastičke veze naših zemalja, radio tim francuskih kopista, kojim je rukovodio Andre Ruo.
Pored Popovića, važnu ulogu da se srpske freske nađu u Firenci imala je Paola Vojinović, profesor renesansne umetnosti na tamošnjem univerzitetu.
- Izložba „Srbija, zemlja fresaka“ ukazala je na snažne zajedničke korene i podudarnosti Italije i Srbije tokom poznog srednjeg veka - ističe Popović. - Srpske i italijanske freske snažno ukazuju na novu duhovnost kroz koju je odnegovana umetnost fresaka, kao i na uspon Evrope u svim segmentima društva. Ta prožimanja nastavljena su i u današnje vreme. Posle Drugog svetskog rata, italijanski stručnjaci dolazili su na molbu srpskih vlasti kako bi pomogli oko restauracije ratom oštećenih hramova, kao što su i srpski stručnjaci pristigli u Firencu da pomognu posle poplave Arna.
„Srbija, zemlja fresaka“ prvi put je realizovana 2007. u Strazburu, a zatim u Klagenfurtu i Ljubljani. Tokom 2010. gostovala je u Parizu i u Briselu, a tokom ove godine bila je i u Rimu, gde ju je obišlo desetak hiljada posetilaca.
- SRBIJA je poznata kao zemlja fresaka - ističe mr Bojan Popović. - Slikarstvo Mileševe je jedno od poslednjih u kojima je primenjena modelacija nastala na osnovu izrade portreta u poznom rimskom carstvu. U Sopoćanima je naglašena trodimenzionalnost preko strukture scene. Jedinstveno je „Oplakivanje kraljice Ane Dandolo“, majke Stefana Uroša I. Upotrebljena je šema „Uspenja Bogorodice“, Anu okružuje porodica odevena po modi vizantijskog dvora, ističu se veze sa Venecijom, ali i Anžujcima i Kurtenejima, preko lika kraljice Jelene, prikazane tik do odra. U DžIV veku nastaje novi stil, koji je nazvan narativnim ili ilustrativnim. Primer takvog slikarstva su freske iz Gračanice.
ITALIJANSKO-SRPSKE VEZE
- ITALIJANSKE ikone čuvaju se u riznici manastira Hilandar na Svetoj gori, gde figurira venecijanski diptih sa predstavom dvanaest velikih praznika - podseća Popović.
- S druge strane, kao vredne i poštovane relikvije, papa Pije II nabavio je iz Srbije i Bosne (koje su u to vreme pale pod vlast Turaka Osmanlija) krst „prvog arhiepiskopa Save Srpskog“ za katedralu grada koji je on osnovao, Pijencu. Papa je otkupio i desnicu Jovana Preteče, relikviju na čijem okovu je takođe natpis u kome se spominje „prvi arhiepiskop Sava Srpski“.
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3) A BELGRADO CENSURA DELL'ACCORDO FIAT-SERBIA (Il Piccolo, 6/11/2011)
Oggetto: La Fiat a Kragujevac
Data: 8 novembre 2011
Vi invio [1] la sbobinatura delle interviste fatte a Zoran Markovic a Kragujevac nello scorso mese di ottobre da parte di Zastava Brescia e da Non bombe ma solo caramelle a proposito della Fiat Auto Serbia.
Una volta tanto il ritardo con cui ve le invio si è rivelato utile, perchè nel frattempo sono usciti alcun articoli di giornale che gettano una luce nuova e inquietante sulla presenza della Fiat in Serbia.
Il primo in inglese [2] è stato pubblicato sul sito della radio B92 il 4 novembre e descrive uno scontro in atto tra l’Agenzia contro la Corruzione ed il Governo a proposito del contratto con la Fiat.
Questo articolo è stato ripreso dal Piccolo di Trieste del 6 novembre [3] che oltre a tradurre l’articolo in questione pone seri dubbi sulla possibilita’ che l’accordo si avveri con i numeri che sono stati sempre sbandierati.
Inoltre aggiunge un dato che fino ad ora nessun giornale aveva riportato, e che ritrovate invece sempre da due anni nelle nostre realzioni: fino ad ora la Fiat ha sborsato solo 100 milioni a fine 2010 e ha mantenuto sempre un gran riserbo su quanto si sta spendendo per la ristrutturazione degli stabilimenti di Kragujevac.
Infine la Fiat il 4 novembre ha emesso un comunicato in Serbo che vi allego [4] tradotto in Italiano.
Sempre il 4 novembre è uscito su questo argomento un lungo articolo su BLIC. [5]
Buona lettura!
Gilberto Vlaic
Trieste 8 novembre 2011.
Sintesi delle interviste a Zoran Markovic
segretario del Sindacato Samostalni di Fiat Auto Serbia a Kragujevac
Quanti sono i dipendenti attuali nella FAS (Fiat Auto Serbia)?
La sindacalizzazione?
Quali sono i salari medi?
A che punto è il montaggio di nuove linee di produzione?
INDOTTO
- almeno 5000 euro per ogni nuovo assunto
- esenzioni delle tasse di qualunque tipo per 10 anni
- zona franca doganale
Riportiamo infine le parole con cui Zoran Mihajlovic (allora segretario del Sindacato Samostalni di Fiat Auto Serbia) concludeva l’intervista che Non bombe ma solo caramelle gli fece nel marzo 2011, sette mesi fa.
http://b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2011&mm=11&dd=03&nav_id=77167
Fiat contract move "height of arrogance"
“A completely blacked out contract between the Serbian government and Fiat, which the Council got from the Economy Ministry, is a mockery of the Serbian citizens on behalf of whom the Council tried to learn about the details of the document,” Barać stressed.
She stated that it was unacceptable to keep something that all citizens of Serbia were paying for a trade secret, bearing in mind that the Serbian government had assumed obligations that were being paid from the state budget by signing the contract with the Italian Fiat.
According to the Anti-Corruption Council president, there have been cases in which information was censored in documents that the Council received from the state institutions.
“However, the Serbian government has showed with the Fiat contract that it does not hesitate to do anything in order to deceive citizens and avoid control,” she stressed and added that a lot of money had been wasted on printing of the blacked out document.
According to Barać, the drastic censorship of the Fiat contract, which was signed in September 2008, shows that the government and the state institutions could hide all data from the public and avoid any kind of public control.
Public Information Commissioner Rodoljub Šabić stated on Thursday that the Economy Ministry had “played” the Anti-Corruption Council’s right to seek information by submitting the completely blacked out contract between Fiat and the government.
He explained that he could issue two fines to the ministry but that it was all he could do.
“However, before I started the process I got a notification from the ministry that they had acted on my order and that they had submitted the requested papers to the Council. However, they submitted the blacked out ones,” Šabić said.
http://www.stefanogiantin.net/serbia/a-belgrado-censura-dell’accordo-fiat-serbia/
Accuse di «censura» e di «arroganza». Non è stata presa bene dal Consiglio anticorruzione serbo la decisione del governo nazionale di consegnare al locale “watchdog” una versione edulcorata del contratto siglato nel 2008 tra Fiat e Belgrado. Quello, per intendersi, che ha portato il Lingotto (67 per cento) ad acquisire in joint venture con la Serbia (33 per cento) l’ex “Zastava” di Kragujevac, la Mirafiori serba.
Il principale organo di lotta alla corruzione in Serbia voleva esaminare il contratto Fiat e tutti i documenti collegati «per verificare se l’accordo fosse favorevole ai cittadini serbi», ha illustrato Danilo Sukovic, membro del Consiglio, dalle colonne del quotidiano belgradese “Blic”. Come risposta, l’esecutivo ha fornito «venti chilogrammi di documenti» in gran parte censurati, ha spiegato Verica Barac, capo del Consiglio. I contorni di quello che era stato definito «l’affare del secolo» rimangono dunque ancora opachi. La censura è «inaccettabile», ha aggiunto Barac, prima di rafforzare il giudizio parlando di un picco di «arroganza o perfino di cinismo» delle istituzioni nazionali. «È stupido marcare come segreto di Stato tutti i dati sui capitali investiti, sugli investitori e sulle concessioni date dalla Serbia. Non penso che ciò sia avvenuto su richiesta di Fiat, ma che l’intesa sia servita per fini di marketing politico», ha rincarato Sukovic. Fiat, con una nota, ha invece precisato venerdì che alcuni dei dati occultati comprendevano «segreti industriali e commerciali cruciali per il successo della joint venture» e che esistono clausole di riservatezza ideate per «proteggere il successo dell’investimento congiunto».
«Non penso che il governo sia il maggior ispiratore delle cancellazioni. Ma l’esecutivo non ha comunque cercato di rendere trasparente il contratto ai cittadini e alle organizzazioni interessate, e con esso le decisioni politiche e i processi economici», chiarisce Zoran Stojiljkovic, acuto analista politico serbo. «È un diritto ed è necessario che la gente sia informata, con l’eccezione dei dettagli puramente tecnici o dei segreti industriali», aggiunge l’analista. Ma come mai così scarsa trasparenza? Assieme all’Accordo di stabilizzazione e associazione con l’Ue, l’intesa Belgrado-Fiat con annessi sogni di boom economico «fu uno degli eventi determinanti che resero possibile, poco prima del voto, la vittoria dell’attuale maggioranza. Al tempo l’intesa ebbe un forte valore politico, che sarebbe stato minore se già allora fosse stato chiaro quanto era importante l’investimento del governo e che le risorse che Fiat avrebbe investito sarebbero state limitate. La gran parte del denaro arriva da Belgrado e da fondi europei», quelli della Banca europea per gli investimenti (Bei), suggerisce Stojiljkovic.
L’affare Fiat in Serbia prevede un investimento totale di circa un miliardo di euro: oltre 200 i milioni già erogati da Belgrado, 900 quelli assicurati dal Lingotto. Ma di questi, 500 milioni arrivano da un prestito deciso dalla Bei, in parte garantito dalla Serbia. Torino invece ha sborsato per ora solo 100 milioni a fine 2010 e ha mantenuto sempre un gran riserbo su quanto sta spendendo per la ristrutturazione degli stabilimenti di Kragujevac. Alla fine, l’azienda dovrebbe fabbricare 200mila veicoli l’anno, almeno secondo le stime Fiat, mentre la produzione dei nuovi modelli dovrebbe partire a inizio 2012. A Belgrado però si sussurra che, nel più roseo dei casi, la previsione potrebbe addirittura essere dimezzata.
Riguardo i commenti nei media serbi ultimamente pubblicati, Fiat Group Automobiles S.p.A. di Torino Italia dichiara:
Il contratto di investimenti comuni tra la Repubblica Serba e la società Fiat Group Automobile S. p. A. contiene delle clausole segrete come richiesto da parte della società FGA spa e con l’intenzione di proteggere l’investimento comune della RS e della società FGA spa di Kragujevac, Serbia, perché alcuni dati sui progetti e sull’ordine di presentazione sono i cruciali segreti commerciali e industriali necessari per il successo del progetto comune. Riteniamo che queste clausole sono a favore sia della società fondata insieme alla RS sia dei suoi soci.
La società FGA spa era d’accordo con la pubblicazione del contratto, escludendo solo le clausole segreti le quali rappresentano i segreti commerciali e industriali di chiave, per sodisfare le aspettative dei cittadini di essere informati sull’investimento industriale maggiore nella Serbia negli ultimi anni.
In questo modo vogliamo sottolineare l’importanza del segreto delle clausole del contratto riferenti ai segreti commerciali ed industriali necessari per il successo dell’investimento comune.
Cordialmente.
FAS
Vlada nas bahato laže o ugovoru s "Fijatom"
Tamara Spaić N.V | 04. 11. 2011. - 02:00h | Foto: D. Goll A. Isaković
- Potpuno je neprihvatljivo, bestijalno, pa čak glupo, proglasiti službenom tajnom svaki podatak o novcu koji se ulaže, o tome ko ulaže, koje će subvencije dati Srbija. Ne verujem da je to urađeno na zahtev „Fijata“. Smatramo da se radi o poslu koji je poslužio za politički marketing, a koliko će to koštati građane Srbije, nije važno. U interesu je svih građana da takvi ugovori budu transparentni, jer će samo ako ne bude korupcije, doći strani investitori - kaže za „Blic“ Danilo Šuković iz Saveta za borbu protiv korupcije.
Predsednica tog saveta Verica Barać izjavila je da je skrivanje ugovora vrhunac bahatosti i cinizma Vlade.
U kancelariji poverenika za informacije od javnog značaja kažu za „Blic“ da je Savet za borbu protiv korupcije, u nastojanju da dođe do relevantnih informacija o poslu između naše države i „Fijata“, prolazio pravi hod po mukama. Praktično nijedan bitniji dokument savet od Ministarstva ekonomije i regionalnog razvoja nije mogao da dobije bez intervencije poverenika. Recimo, nakon neuspelog pokušaja da dobije zapisnik o pregovorima između predstavnika Srbije i „Fijata“, savet se žalio povereniku. Poverenik je usvojio žalbu i ministarstvo je tek nakon toga predalo savetu traženi dokument. Sa istim problemom savet se suočio i kada je zatražio sam tekst ugovora. Žalio se povereniku i nakon što je poverenik od ministarstva zahtevao da se izjasni o razlozima za uskraćivanje kopije dokumenta, ministarstvo je savetu dalo traženi ugovor.
Sada se otvara i posebno pitanje: da li je normalno da neki organ, odnosno telo same Vlade, formiran s antikorupcijskom ulogom, za pristup dokumentima u posedu organa vlasti nema na raspolaganju nijedan efikasniji mehanizam od onog koji svakom običnom građaninu obezbeđuje institucija Poverenika za informacije?
Lider URS i potpisnik ugovora s „Fijatom“ Mlađan Dinkić izjavio je da treba objaviti kompletan ugovor.
- Što se mene tiče, ja sam za to da se ceo ugovor objavi, jedino što treba poštovati jeste želja investitora da se ne objavljuju tehnički detalji ugovora.
„Fijat“ bez komentara
Ričard Gadezeli, portparol „Fijata“ za strane medije, rekao je za „Blic“ da je video da je članak o cenzurisanom ugovoru izašao u našim novinama, ali da ne zna o čemu se radi. U sedištu kompanije u Torinu takođe su bili zbunjeni pitanjem i uputili su nas na predstavništvo „Fijata“ u Srbiji, čijim službenicima nije bila jasna suština celog teksta.
- Osnovni tekst ugovora je na sajtu od 2008, a cifre i biznis plan vam niko neće dati - kazano nam je u srpskom predstavništvu „Fijata“.
- Savet za borbu protiv korupcije tražio je da mu se dostave svi ugovori i mi smo morali da zacrnimo sve ono što je „Fijat“ tražio da bude službena tajna. Da su tražili na uvid te ugovore, ja bih rekao nema problema. I sad kažem, izvolite, dođite, ako treba, i šest dana sedite i gledajte, nemam nikakav problem da pokažem sve. Međutim, mora da se potpiše ugovor o čuvanju poslovne tajnu. Ja ne želim da ugrozim investiciju za koju je MMF procenio da će predstavljati 1,7 odsto našeg BDP, koja će otvoriti 4.000 novih radnih mesta. Sindikati „Zastave“ su dobili na uvid sva tri ugovora potpisana s „Fijatom“. Njih 15 je ovde bilo i čitalo je, ali svi su morali prethodno da potpišu ugovor da će čuvati tajnu - rekao je juče za „Blic“ ministar ekonomije Nebojša Ćirić.
On je ranije tokom dana rekao novinarima da se radi samo o cenzurisanim aneksima koji se odnose na novi model, na određene stvari koje treba da budu urađene u fabrici, određene mašine, način rada, i prema mišljenju centrale „Fijata“ u Torinu, to predstavlja poslovnu tajnu, objasnio je ministar.
Radnik pao sa visine od 12 metara u fabrici "Fijat automobili"
N. Radišić | 04. 10. 2011. - 20:07h
"Njegovo stanje je trenutno stabilno i pod stalnim je lekarskim nadzorom", rekla je Đorđević.
Na mesto nesreće izašao je inspektor rada, a u toku je uviđaj koji će pokazati kako je došlo do pada i ko je kriv za nesreću.
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