Informazione


Anton Vratuša


Dalle catene alla libertà

La „Rabska brigada“,una brigata partigiana nata in un campo di concentramento fascista


Udine, KappaVu 2011 -- Pagine 200 - Euro 18,00 - SBN 97888898808627


... è la storia della brigata partigiana “Rabska brigada”, nata clandestinamente per iniziativa di internati sloveni, croati ed ebrei nel campo di concentramento fascista per “slavi”, sull’isola di Rab (Arbe) durante la seconda guerra mondiale, mentre nel campo si compie la tragedia di migliaia di morti per fame e malattie.


La scheda sul sito della casa editrice: http://www.kappavu.it/catalog/product_info.php?products_id=329&osCsid=q8ahfnf7eqo981kom51jvfdir7

La scheda su JUGOINFOhttp://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7065



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Trieste giovedì 10 novembre 2011

ore 17.30, Libreria Fenice di Trieste in via Battisti 6 (Galleria Fenice)


presentazione del libro di Anton Vratuša:

Dalle catene alla libertà.
La „Rabska brigada“, una brigata partigiana nata in un campo di concentramento fascista


Partecipano:

Marina Rossi, storica

Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione di Trieste

Sezione Storica della Biblioteca Slovena (Odsek za Zgodovino)

Intervengono:

l’autore Anton Vratuša,

Alessandra Kersevan, editrice e storica,

Stefano Lusa, storico e giornalista,

Sandi Volk, storico, ricercatore

Coordina:

Riccardo Devescovi (Presidente del Circolo “Che Guevara”)



Per info: CIRCOLO DI STUDI POLITICO – SOCIALI “CHE GUEVARA”

Casella Postale 457 c/o Posta Centrale Trieste - 34132 Trieste - e.mail cheguevara_ts@...



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Ronchi dei Legionari (GO) 28 novembre 2011

ore 18, Consorzio Culturale del Monfalconese (Villa Miniussi)


presentazione del libro di Anton Vratuša:

Dalle catene alla libertà.
La „Rabska brigada“, una brigata partigiana nata in un campo di concentramento fascista


Saranno presenti l’autore Anton Vratuša e gli storici Anna Di Gianantonio e Tommaso Montanari



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LERNER IL MANIPOLATORE


La7. Un piccolo ritocco alla foto e i comunisti scompaiono 

Nella puntata del programma L'Infedele sul tema degli "indignados", è comparsa un'immagine che ha destato subito dei dubbi. Si trattava della nota foto del manifesto con il quale il Partito Comunista di Grecia (KKE) , dal monumento simbolo di Atene, il Partenone, invitava i popoli dell'Europa e sollevarsi. 
I campioni della libertà di stampa, quali Gad Lerner, non si vergognano evidentemente di ritoccare le foto quando si tratta di nascondere i simboli comunisti e far passare i comunisti come dei semplici indignati.

GUARDA LE FOTO: http://www.pane-rose.it/files/index.php?c3:o30019:m2

(13 Ottobre 2011)


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(Nel 94.esimo anniversario della Rivoluzione d'Ottobre, 7 novembre 1917-2011)

http://www.marx21.it/storia-teoria-e-scienza/storia/281-ottobre-rosso-in-asia-orientale.html

Ottobre rosso in Asia orientale


5 Novembre 2011

di Spartaco Puttini per Marx21.it

La rivoluzione russa e la lotta dei popoli oppressi contro l’imperialismo

 

“Quando la storia della prima metà del ventesimo secolo […] verrà scritta in una più ampia prospettiva, è difficile che un solo tema si riveli più importante della rivolta contro l’Occidente" [1] . [Geoffrey Barraclough]

 


La Rivoluzione d’Ottobre aprì una fase nuova nella storia, tanto per quel che riguarda le masse popolari dei paesi occidentali, quanto per quel che concerne la riscossa dei popoli coloniali.

 

Tra gli effetti ad oggi più duraturi della Rivoluzione d’Ottobre vi è senza dubbio quello di aver concorso in modo determinante al risveglio dei popoli sottoposti al colonialismo. E’ di questo aspetto che cercheremo di dare conto nelle righe che seguono, con una particolare attenzione all’Asia orientale dove nel corso del Novecento si svilupparono vittoriosamente due grandi rivoluzioni nazionali e antimperialiste (egemonizzate dai comunisti): quella cinese e quella vietnamita. Due rivoluzioni che contribuirono come poche altre a cambiare la storia del mondo. Oggi che l’Asia orientale con al suo centro la Cina emerge prepotentemente è il caso di interrogarsi sulle radici lunghe di quelle esperienze.

 

- “L’imperialismo” di Lenin

 

La condanna delle spedizioni militari nei paesi africani e asiatici e la condanna dei crimini e delle repressioni compiute dalle truppe coloniali oltremare erano già oggetto di attenzione da parte dei partiti socialisti della II Internazionale. L’agitazione di queste forze era per lo più incline a sottolineare il valore dell’antimilitarismo, tradotto nello slogan: “più burro, meno cannoni”. Ma i socialdemocratici non erano mai arrivati a comprendere fino in fondo la causa dei popoli oppressi e il legame che correva tra la loro liberazione e l’emancipazione delle classi lavoratrici nelle metropoli imperialiste. Non senza scopi polemici un pamphlet del Partito comunista francese, risalente all’incirca al 1927 ed indirizzato ai militanti e ai quadri di partito per spiegare loro l’importanza della questione nazionale e coloniale, così stigmatizzava la posizione della II Internazionale in merito:
“[la questione nazionale] era allora limitata quasi esclusivamente alla questione dell’oppressione delle nazioni ‘civili’. Irlandesi, ungheresi, polacchi, finlandesi, serbi: questi erano i principali popoli più o meno asserviti le cui sorti interessavano la II Internazionale. Quanto ai milioni di asiatici, e d’africani, schiacciati sotto il giogo più brutale, quasi nessuno se ne preoccupava. Sembrava impossibile mettere sullo stesso piano i bianchi e i neri. I ‘civili’ e i ‘selvaggi’. L’azione della II Internazionale in favore delle colonie si limitava a rare e vaghe risoluzioni dove la questione dell’emancipazione delle colonie era cautamente evitata” [2].

 

Il pamphlet del PCF mostrava come prima del 1917, anche all’interno del movimento operaio, vi era stato uno sguardo miope e venato di paternalismo verso i popoli oppressi dal colonialismo. Anche se si condannavano le modalità dell’amministrazione coloniale, la conquista di altri paesi ritenuti meno civili (e quindi bisognosi di essere educati sulla via dello sviluppo) non veniva messa in discussione. Questo faceva filtrare marcatamente il mito del “fardello dell’uomo bianco” anche nelle elaborazioni delle forze più progressiste.
Con l’elaborazione di Lenin la questione assume altri connotati. Lenin, con la sua analisi dell’imperialismo, lega indissolubilmente il problema della liberazione dei popoli oppressi (includendovi i popoli colonizzati) con la lotta del proletariato nelle metropoli. Questione nazionale e questione coloniale vengono così fuse. La lotta contro l’imperialismo deve essere portata da tutte le sue vittime. L’alibi del presunto “fardello dell’uomo bianco” che a frustate, se necessario, deve occuparsi di portare i popoli ‘incivili’ sulla via della ‘civiltà’ capitalistica viene smascherata come pura ambizione di dominio e di sfruttamento. Alcuni anni dopo lo scoppio della rivoluzione d’ottobre Lenin avrebbe sottolineato come “il movimento rivoluzionario dei paesi più progrediti sarebbe in realtà solo un inganno, senza l’unità più completa e più stretta tra gli operai in lotta contro il capitale in Europa e in America e le centinaia di milioni di schiavi coloniali oppressi da quel capitale”, sottolineando il legame tra i due fronti della lotta all’imperialismo [3].
Da allora la questione nazionale e la categoria di imperialismo entrarono a far parte della più ampia visione dell’internazionalismo propria del movimento comunista.

 

- Il Komintern e la rivoluzione nel mondo coloniale

 

Quando i bolscevichi conquistano il potere nel 1917 chiamano alla sollevazione il proletariato europeo. Con i primi passi dello Stato sovietico si rivolgono apertamente ai popoli coloniali. Lo fanno in quanto rivoluzionari (tramite la costituenda Terza Internazionale) e in quanto primo paese sfuggito alle grinfie dell’imperialismo e chiamato, dalle circostanze concrete, a traslare lo scontro tra le classi a livello di Stati, svolgendo un ruolo di contrasto alle pretese delle grandi Potenze predatrici. Le colonie vengono allora raffigurate come le “retrovie” dell’imperialismo, dove questo può attingere risorse per restare in piedi. La rivolta delle retrovie assume pertanto un rilievo prioritario per lo Stato sovietico e per il movimento comunista internazionale.
Al III Congresso del Komintern Lenin rilevò come “Centinaia di milioni di uomini (praticamente la stragrande maggioranza della popolazione mondiale) appaiono ora sulla scena come fattori rivoluzionari autonomi ed attivi, ed è chiaro che nelle prossime decisive battaglie della rivoluzione mondiale il movimento della maggioranza della popolazione del globo, che in origine era orientato verso la liberazione nazionale, si rivolgerà contro il capitalismo e contro l’imperialismo e assumerà probabilmente un ruolo rivoluzionario molto più importante di quanto non ci aspettiamo”[4].
Alcuni anni dopo, al XII Congresso del partito bolscevico, Stalin ribadì con estrema chiarezza il significato che le lotte dei popoli coloniali rivestivano nel quadro della lotta tra la rivoluzione e l’imperialismo: “Una delle due: o noi mettiamo in movimento le retrovie profonde dell’imperialismo, i paesi coloniali e semicoloniali dell’Oriente, infondiamo loro lo spirito rivoluzionario e acceleriamo così la caduta dell’imperialismo, oppure non ci riusciamo, e allora rafforziamo l’imperialismo e indeboliamo la forza del nostro movimento. La questione si pone in questi termini”[5].

 

Nel 1920 venne convocato a Baku il Congresso dei popoli dell’Oriente. L’evento era indicativo dell’orientamento che aveva preso tanto il movimento comunista internazionale, quanto la Russia sovietica e rappresentò una “pietra miliare”[6] per lo sviluppo dei movimenti di liberazione asiatici. Per la prima volta circa 2mila delegati provenienti da ogni parte dell’Asia si incontrarono per confrontarsi tra loro su come liberarsi dalla dominazione occidentale.
Nel suo II Congresso il Komintern aveva stabilito un’analisi della situazione coloniale e aveva avanzato la tesi dell’alleanza dei comunisti con le forze che nei paesi coloniali e semicoloniali si battevano conseguentemente contro l’imperialismo e per la conquista della piena indipendenza. A queste correnti andava fornito tutto l’appoggio possibile, sia da parte dei locali partiti comunisti, che sulla base della loro piena autonomia erano chiamati a stabilire con le correnti del nazionalismo rivoluzionario un’organica alleanza strategica, sia da parte dell’Unione Sovietica.
Nelle tesi del IV Congresso del Komintern sulla questione orientale si sostiene chiaramente l’appoggio alle correnti del nazionalismo-rivoluzionario in lotta contro l’imperialismo[7].

 

Il primo esempio e il banco di prova di questa strategia fu la rivoluzione nazionalista cinese del 1925-1927. La decisione unilaterale assunta dalla Russia di rinunciare ai privilegi strappati alla Cina dal regime zarista, avevano convinto il vecchio agitatore nazionalista Sun Yat-sen a guardare verso le cupole del Cremlino impostando in modo nuovo la questione della liberazione della Cina. Sun comprese che la comparsa sulle scene dell’Unione Sovietica creava una situazione nuova a livello internazionale. “La nascita della Russia rivoluzionaria aveva rotto oggettivamente il fronte internazionale imperialistico ed aveva creato un polo di riferimento per ogni lotta antimperialistica”[8]. Dopo aver riformato il Kuomintang (partito nazionalista rivoluzionario del popolo) su basi nuove stabilì un’alleanza con i comunisti (accettati all’interno del KMT) e con l’Unione Sovietica e accettò il ruolo e le rivendicazioni degli operai e dei contadini. Il suo programma si spostò notevolmente a sinistra rispetto al passato. Stabilito il suo governo a Canton, iniziarono ad arrivare gli aiuti sovietici in armi, istruttori militari e consiglieri politici. Questi sforzi miravano a consentire a Sun di disporre di una forza militare rivoluzionaria per unificare la Cina e schiacciare i “signori della guerra” feudali, alleati dell’imperialismo. Fu il primo passo della rivoluzione cinese che, dopo un tortuoso percorso, sarebbe sfociata nell’avvento al potere dei comunisti di Mao nel 1949.

 

- La rivoluzione russa vista dall’Asia orientale

 

Per valutare l’impatto che ebbe la rivoluzione russa sull’Asia occorre indagare come dal mondo coloniale, in particolare qui ci interessa l’Asia orientale, venne vista la rivoluzione russa. Tre testimonianze ci sembrano piuttosto emblematiche. La prima è quella del nazionalista vietnamita Nguyen Ai Quoc, il futuro Ho Chi Minh. Ho ha ricordato questo cruciale passaggio della sua vita in un articolo pubblicato nel luglio 1960 dal titolo significativo : Il cammino che mi ha condotto al leninismo. Il leader vietnamita ha rievocato le assidue riunioni nelle sezioni socialiste alla fine della prima guerra mondiale:
“A quell’epoca, nelle sezioni del partito…, si discuteva ardentemente per decidere se bisognava restare nella Seconda Internazionale, o creare un’internazionale due e mezzo, o aderire alla Terza Internazionale di Lenin. Assistevo regolarmente a tutte queste riunioni…All’inizio non ne comprendevo interamente il contenuto. Perché discutere con tanto accanimento? […] Si poteva fare la rivoluzione, perché accanirsi a discutere? … La questione che mi bruciava sapere era quale fosse l’Internazionale che sosteneva le lotte dei popoli oppressi. Nel corso di una riunione sollevai questa questione. Alcuni compagni risposero: è la Terza Internazionale e non la Seconda. E un compagno mi diede le Tesi di Lenin sui problemi delle nazionalità e dei popoli coloniali… Le tesi suscitarono in me una profonda emozione, un grande entusiasmo, una grande fiducia e mi aiutarono a vedere chiaramente il problema…Da allora ebbi fiducia in Lenin e nella Terza Internazionale. […] Dopo la lettura delle tesi di Lenin mi lanciai nella discussione…Il mio unico argomento consisteva nel domandare: ‘compagni, se voi non condannate il colonialismo, se non sostenete i popoli oppressi, quale è dunque la rivoluzione che pretendete fare?’”[9].

 

Diversa è la marcia di avvicinamento di un altro grande rivoluzionario asiatico: il generale Chu Teh, che sarebbe divenuto lo stratega militare della rivoluzione cinese e il fondatore dell’Esercito Popolare di Liberazione. Chu era già un militare di carriera ed era entrato nell’esercito proprio per salvare il suo paese dal colonialismo. Aveva fatto parte della cospirazione repubblicana del 1911 che aveva rovesciato la dinastia Manciù ed era stato un fedele seguace del rivoluzionario nazionalista Sun Yat-sen. Di fronte alla dissoluzione dell’autorità centrale, mentre la Cina sprofondava nell’anarchia e diveniva terreno di battaglia tra i signori della guerra, Chu aveva continuato a fare il soldato per sostenere la causa di Sun, ma questi aveva dovuto adottare la tattica di appoggiarsi ora all’uno ora all’altro capo feudale, considerato di volta in volta il meno peggio, pur di tenere accesa la debole fiaccola della rivoluzione. Perse le prospettive Chu sprofondò così, senza volerlo, nel gorgo che lo portò a diventare, lui stesso, un militarista, cioè un signore della guerra. E dei signori della guerra prese anche i vizi: divenne un accanito fumatore di oppio. Fino a che la rivoluzione russa destò in lui una profonda impressione; e la difesa della rivoluzione nel corso della guerra civile e contro l’intervento delle Potenze dell’Intesa, se possibile, ancora di più. Decise di partire per l’Europa per studiare da vicino i comunisti, chi erano e come agivano. Iniziò il percorso della disintossicazione dalla droga e, prima di partire, si recò a Shanghai per incontrare Sun Yat-sen. Così ricorda quell’incontro nell’intervista rilasciata anni dopo alla reporter americana Agnes Smedley:
“Sebbene ignoranti dal punto di vista della teoria marxista, i miei amici ed io seguivamo con profonda emozione le notizie delle vittorie che l’Armata Rossa rivoluzionaria riportava sulle forze armate della nobiltà zarista e quelle dei paesi imperialisti. Come mai i rivoluzionari russi avevano sconfitto i potenti eserciti avversari ed erano riusciti a instaurare il loro governo, mentre i rivoluzionari cinesi non ne erano stati capaci? [10] […] Avevamo perso ogni fiducia nelle alleanze tattiche con questo o quel militarista [signore della guerra]. Simili alleanze erano sempre finite in una disfatta per la rivoluzione e col rafforzamento dei militaristi. Avevamo trascorso undici anni in quella bolgia. Davanti a noi c’era un solo punto fermo: la rivoluzione in Cina era fallita mentre in Russia aveva trionfato. Esprimemmo al dr. Sun la nostra convinzione che i rivoluzionari russi avevano vinto perché si erano basati su una teoria e un metodo rivoluzionari di cui noi sapevamo poco o nulla. […] Avevamo deciso di andare all’estero per incontrarvi i comunisti, per studiare e approfondire la loro teoria, prima di rimetterci all’opera per combattere la nostra lotta in Cina. […] I comunisti sapevano cose che anche noi dovevamo imparare. […] Il dr. Sun disse che c’era molto di vero in ciò che dicevamo. Ci parlò di una svolta politica del Kuomintang ma in che cosa consistesse non potemmo capirlo allora. Dovevano passare altri due anni perché quelle parole ci diventassero chiare. Si trattava dell’alleanza tra il governo rivoluzionario di Canton e l’Unione Sovietica” [11].

 

Ma il racconto più singolare ed anche più significativo è quello dello stesso Sun Yat-sen, che tra l’altro non divenne mai comunista. Dopo la rivoluzione ed in seguito alla costituzione dello Stato sovietico Sun ebbe a dire: “Noi non guardiamo più verso Occidente. I nostri occhi sono rivolti alla Russia” [12]. Nel manifesto del 1919 disse: “Se il popolo della Cina vuole essere libero come il popolo russo, e vuole gli sia risparmiato il destino che gli alleati hanno preparato per lui a Versailles…deve
essere ben chiaro che nella lotta per la libertà nazionale i suoi soli alleati e fratelli saranno gli operai ed i contadini russi che combattono nell’Armata Rossa”[13].
Queste opinioni sono piuttosto esemplari di un diffuso atteggiamento. Stando al diplomatico e storico indiano Panikkar, “La sola esistenza di una Russia rivoluzionaria diede senza dubbio a tutti i movimenti nazionalisti asiatici une grande forza morale” [14].
“La Dichiarazione dei diritti dei popoli della Russia, firmata da Lenin e da Stalin, proclamava la sovranità e l’eguaglianza di tutti i popoli della Russia, e il diritto delle minoranze nazionali al proprio libero sviluppo. Fu, questa, una dichiarazione veramente esplosiva, e destò una nuova speranza in tutte le nazioni asiatiche che stavano lottando per la propria libertà” [15].
Con la successiva alleanza tra Sun Yat-sen e l’URSS “l’appoggio della Russia rivoluzionaria al nazionalismo asiatico veniva […] proclamato pubblicamente” [16].

 

L’appoggio sovietico cambiò anche l’atteggiamento dei movimenti nazionalisti sotto molti punti di vista. Anche quei movimenti che non furono egemonizzati dai comunisti o che non evolsero mai verso il marxismo-leninismo iniziarono a inserire la loro lotta in un quadro diverso. Iniziarono a dare maggiore importanza al coinvolgimento del popolo nel processo rivoluzionario e furono quindi spinti a prenderne, almeno parzialmente, in considerazione le istanze. Secondariamente l’esempio di sviluppo e crescita economica dell’URSS durante i piani quinquennali, che cambiò completamente il profilo di una nazione arretrata, costituì un punto di riferimento per quei paesi che si trovavano ai margini del mercato capitalistico mondiale. Iniziarono a comprendere che la sola indipendenza politica li avrebbe relegati ad accontentarsi di una indipendenza puramente formale e che per ottenere un’effettiva sovranità dovevano puntare anche sull’indipendenza economica.
I lasciti furono dunque numerosi, ben oltre il breve periodo.

 

L’URSS continuò a svolgere il ruolo di sponda dei movimenti di liberazione anche in seguito, nonostante tutti gli eventuali errori che i dirigenti sovietici commisero in questo o quel frangente. Questo fatto viene ampiamente riconosciuto, ad esempio, dai protagonisti della rinascita araba tra gli anni ’50 e ’60. La scomparsa dell’Urss ha lasciato un vuoto in questo campo. Ma l’ascesa della Cina, il ritorno della Russia e la spinta per la costituzione di un equilibrio multipolare lasciano presagire che il mondo globalizzato è in forte competizione dal punto di vista dei mercati e ancor di più dal punto di vista politico. L’emergere dei paesi del Sud del mondo si fa sempre più marcato e questo suggerisce che la spinta propulsiva della rivoluzione d’Ottobre non sia affatto esaurita.

 

NOTE

 

G. Barraclough, Guida alla storia contemporanea, Torino Laterza 1989, pp.157-158
2 Le communisme et la question nationale et coloniale par Lénine, Staline et Boukharine; Paris Bureau d’Editions [1927?], p.9
3 A. Agosti, a cura di- , La Terza Internazionale. Storia documentaria, vol.1.2 (1919-1923); Ed. Riuniti 1974, p.759
4 Ibidem, p.762
5 A. Agosti, a cura di- , La Terza Internazionale. Storia documentaria, vol. 2.2 (1924-1928), p.591
6 Così la definisce Jan Romein nel suo libro Il secolo dell’Asia; Einaudi, 1975
7 Tesi del IV Congresso sulla questione orientale (novembre 1922), cit. in: A. Agosti, a cura di- , La Terza Internazionale. Storia documentaria, vol. 1.2, pp.791-792


Trieste/Trst: i Partigiani di Guardiella

(aggiornamenti dal sito La Nuova Alabarda: http://www.nuovaalabarda.org)

1) RAGIONARE COME NEL 1945? SI\', SE SI ANALIZZANO FATTI DEL 1945
2) C. CERNIGOI: COMMEMORAZIONE DEI CADUTI DEL RIONE DI GUARDIELLA, 2 NOVEMBRE 2011
3) PARTIGIANI DI GUARDIELLA


=== 1 ===

http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-le_due_resistenze..php

Le Due Resistenze.

RAGIONARE COME NEL 1945? SI\', SE SI ANALIZZANO FATTI DEL 1945.

Abbiamo già altre volte parlato del fatto che in Italia, ma soprattutto a Trieste, vi furono due resistenze distinte, e quando oggi sentiamo dire, da parte di alcuni storici accademici, che gli jugoslavi “infoibarono” (nel senso non letterale ma simbolico come si esprimono gli storici medesimi) anche gli “antifascisti”, dobbiamo fare mente locale su un paio di cose che si evincono da documenti storici.
Innanzitutto ricordiamo che dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 il Regno d’Italia (l’Italia non era un paese unitario, era divisa in due ed il governo legittimo era quello del Regno del Sud) era stato inserito come “cobelligerante” all’interno della compagine alleata, dove invece la Jugoslavia di Tito faceva parte degli alleati. Ricordiamo inoltre che le regole sottoscritte dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia comprendevano il fatto che dove arrivavano le truppe alleate i partigiani consegnavano loro le armi e si mettevano a disposizione.
Tutto ciò premesso, andiamo a leggere qualche documento.
Nell’archivio di Stato di Lubiana troviamo una relazione (AS 1584, zks, ae 451: purtroppo anonima e non datata) che delinea un “comitato di liberazione” definito Comitato di Salute Pubblica. Leggiamo che alla fine di marzo 1945 il podestà Cesare Pagnini aveva “reso dichiarazioni” ad un “nostro compagno” (un membro dell’OF oppure dell’OZNA, quindi) nelle quali affermava che esisteva a Trieste “un’organizzazione denominata Comitato di Salute Pubblica (CSP) o Comitato di Salvazione o Comitato di Italianità”, del quale facevano parte l’Esercito Repubblicano, la Decima Mas, la Guardia Civica, i Vigili urbani, la Milizia forestale e quella ferroviaria, i Vigili del fuoco, ed i poliziotti di via del Bosco (i cosiddetti “ciclamini”) e quelli della questura di via XXX ottobre. Pagnini avrebbe detto che il prefetto Coceani avrebbe voluto inserire anche le “Bande Nere” (probabilmente le Brigate Nere, n.d.a.), ma la proposta non fu accettata; inoltre Pagnini non fece parola dell’UNPA (la protezione antiaerea comandata da Peranna, uomo di fiducia del generale Esposito che al momento dell’insurrezione comandò una propria brigata autonoma all’interno del CVL nella quale aveva inserito agenti dell’Ispettorato Speciale di PS) che risultò “successivamente” averne fatto parte. La funzione di questo Comitato era “nettamente antislava e quindi antipartigiana” e “si proponeva di ostacolare genericamente la penetrazione slava in queste terre”. Ercole Miani (Partito d’Azione) avrebbe dichiarato di essere a conoscenza dell’esistenza del CSP, ma senza chiarire le relazioni che intercorrevano tra CSP e CLN; nella relazione si evidenzia che il CLN vantava forze armate proprie (la Guardia di Finanza ed i “singoli carabinieri ancora esistenti a Trieste”), ma “soprattutto la Guardia Civica”, che “era considerata parte organica del Comitato di Salute Pubblica e questo apparire della Guardia civica tra le file dei due comitati fa pensare ad una connivenza dei due comitati se non proprio un accordo perfetto”. Successivamente le forze armate del CSP scenderanno in piazza come combattenti del CLN.
Dall’archivio di Lubiana all’archivio dello Stato Maggiore dell’Esercito di Roma, nel quale troviamo (fondo SIM, raccolta relativa alla “Missione Nemo”, busta 91, n. 83403) una annotazione del CLN triestino datata 18/4/45, a margine di una relazione su un incontro tra Osvobodilna Fronta-Fronte di Liberazione e CLN per arrivare ad un accordo sulla composizione del comitato misto per gestire la città dopo l’insurrezione. L’accordo non ci fu, ma è importante leggere il “punto b” dell’annotazione “ad integrazione della relazione”.
“Il Prefetto sta organizzando un importante nucleo di forze repubblicane contro l’eventuale calata del IX Korpus di Tito. Naturalmente, in caso di necessità, noi siamo disposti a far causa comune con queste forze. Urge quindi sapere se possiamo assimilarle al momento opportuno al Regio esercito, sia pure con le opportune epurazioni e gli opportuni riti” .
Questa aberrante proposta, che significava praticamente che il CVL di Trieste si proponeva di sparare con le forze collaborazioniste del nazifascismo contro l’esercito jugoslavo (alleato), fortunatamente non andò in porto, quantomeno non in maniera ufficiale (va qui citata un’affermazione dell’emissario della Missione Nemo a Trieste, il capitano Luigi Podestà, che scrisse “il 1° maggio il CLN mi disse che Tito era un alleato e che bisognava evitare scontri con l’esercito jugoslavo” nella sua relazione conservata presso l’Archivio IRSMLT n. 867), ma qualcuno all’interno del CVL operò autonomamente proprio in questo modo, causando incidenti di non poco conto e provocando di conseguenza la reazione dell’Esercito jugoslavo che fece prigionieri i militari che avevano sparato contro di loro (ricordiamo che alcuni reparti di Guardie di Finanza, probabilmente a causa di ordini sbagliati, aprirono il fuoco contro l’Esercito jugoslavo che entrava in città, fatto che causò l’arresto e probabilmente la fucilazione di questi reparti, che oggi vengono considerati “infoibati”); così come furono arrestati gli elementi del CVL che durante il periodo di amministrazione jugoslava operarono armati contro di essa.
Quando chi scrive ricorda questi fatti, viene accusata di “ragionare come nel 1945”: ebbene, volendo analizzare fatti avvenuti nel 1945 come altrimenti si dovrebbe ragionare, viene da chiedersi, se si vuole fare della storia e non trinciare giudizi politici?

Ottobre 2011


=== 2 ===

http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-2_novembre%2C_ricordare_i_morti%2C_ma_non_tutti_i_morti_sono_uguali..php

COMMEMORAZIONE DEI CADUTI DEL RIONE DI GUARDIELLA, 2 NOVEMBRE 2011.

Questi sono i giorni in cui si ricordano i morti, tutti i morti, e pertanto abbiamo visto che le autorità cittadine si sono recate a rendere omaggio ai monumenti che ricordano i caduti.
Si è reso omaggio ai caduti per la libertà, ai partigiani come al poliziotto Eddie Cosina, assassinato assieme al giudice Borsellino mentre svolgeva il suo compito di difendere il magistrato; ma si è reso omaggio anche ai morti cosiddetti delle “foibe”, a Monrupino (dove in effetti erano stati sepolti i caduti della battaglia di Opicina, per lo più tedeschi, e che dovrebbe diventare un monumento contro tutte le guerre invece di essere usato come luogo di propaganda politica) ed a Basovizza, considerata il luogo-simbolo dove si ricordano tutti coloro che sarebbero stati uccisi in qualche modo dai partigiani o dall’esercito jugoslavo.
Qualche giorno fa era apparsa sul quotidiano locale una lettera di parenti di Bruno Luciani, che avevano visto nella bandiera con la stella rossa comparsa in piazza unità nel corso di una festa per un matrimonio, un triste ricordo del loro padre “infoibato”.
Bruno Luciani era un agente dell’Ispettorato speciale di PS, la famigerata banda Collotti, e ne parlo oggi perché è legato ad alcuni nomi di caduti del nostro rione.
Bruno Luciani fu arrestato dalle autorità jugoslave nel maggio del 45 e le accuse a lui mossegli dal Pubblico accusatore di Ajdovščina, secondo diverse testimonianze, furono di avere partecipato alle azioni svoltesi alla fine di dicembre 1944 proprio nel nostro rione, tra Strada per Longera e Strada per Basovizza e che causarono la morte in combattimento di Rino Ricci e Guido Persico, agli arresti di Bruno Kavčič (che fu fucilato il 28 aprile 1945) e dei suoi genitori, Giuseppe (morto a Dachau) ed Antonia, che sopravvisse.
Luciani fu anche accusato di avere torturato e picchiato Bruno Kavčič, Wilma Varich, Ferruccio Battich, assieme ad altri membri della squadra di Collotti, come il famigerato Cerlenco.
Non so come si sia svolto il processo a Luciani, né quando e come sia morto; ho fatto questo breve excursus storico per spiegare il motivo per cui ritengo che non tutti i morti siano uguali, e che se, logicamente, per i familiari la perdita di un congiunto è comunque una tragedia, non concordo con il fatto di rendere omaggio istituzionale sia a chi ha dato la vita per dei valori indiscutibili, come coloro che lottavano per la libertà e contro l’oppressione nazifascista (come Kavčič) o compiendo il proprio dovere istituzionale (come Cosina), e coloro che si macchiarono di crimini come il collaborazionismo con i nazisti, la violenza, la tortura e l’omicidio.
Ma voglio chiudere questo breve intervento con un’altra riflessione: stiamo vivendo uno dei periodi più bui della nostra storia, abbiamo davanti un vuoto istituzionale che non è in grado di dare una risposta positiva alle esigenze del paese, ma propone solo sacrifici e repressione. Per questo motivo ritengo indispensabile, nel nome degli ideali che mossero anche i nostri caduti, condurre una battaglia di democrazia e difesa dei diritti civili, dei diritti dei lavoratori, una battaglia di pace e contro le spese militari che prosciugano le nostre risorse per una politica di morte.
Non è questo il momento di restare a casa, è invece il momento di scendere in piazza a difendere la nostra vita ed il futuro nostro e dei nostri figli, anche per rispetto nei confronti di coloro che diedero la vita perché si potesse vivere in libertà e non sotto una dittatura.
Gloria ai caduti! Slava padlim!
Ora e sempre resistenza!

Claudia Cernigoi
San Giovanni, Trieste, 1/11/11.


=== 3 ===

http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-partigiani_di_guardiella..php

PARTIGIANI DI GUARDIELLA.

PREMESSA.

In occasione del sessantesimo anniversario della Liberazione dal nazifascismo abbiamo pensato di dare corpo all’idea scaturita un paio di anni or sono nel corso di una riunione del Comitato per le onoranze dei caduti della Resistenza del rione di San Giovanni e Guardiella, e cioè di scrivere delle brevi biografie dei partigiani che sono ricordati sulla lapide apposta sull’edificio del Narodni Dom di San Giovanni, in Strada di Guardiella.
Le note biografiche sono tratte per la maggior parte dal libro curato dall’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione “Caduti, dispersi e vittime civili dei comuni della regione Friuli-Venezia Giulia nella seconda guerra mondiale” (Udine 1991); ma per alcuni nomi che non abbiamo trovato in questo studio dobbiamo ringraziare il prezioso aiuto di Dragica Ule Maver della sezione storica della Biblioteca di studi slovena (Odsek za zgodovino), che li ha rintracciati nelle pubblicazioni conservate nel loro archivio.
Grazie anche al professor Samo Pahor e a Silvio Pierazzi per le testimonianze; un ringraziamento particolare a Nerino Gobbo, “Gino”, che ha ricostruito per noi la vicenda dell’attentato al garage di via Massimo D’Azeglio.
Ci scusiamo anticipatamente per eventuali errori od omissioni, ed invitiamo chi fosse in grado di integrare o correggere quanto scritto in questo testo a mettersi in contatto con noi per dare vita ad una nuova pubblicazione, più ampia ed esaustiva. I dati sono aggiornati alla primavera del 2006.

SONO CADUTI PRIMA DELL’8 SETTEMBRE 1943.

Slavko (Luigi Andrea) ŠKAMPERLE, nato a Trieste, 18/6/10.
Organizzatore del movimento antifascista.
Deceduto al carcere del Coroneo il 13/8/40 nel corso dell’istruttoria del “processo Tomažič”. “Durante l’istruttoria molti detenuti vennero seviziati: morì sotto le torture l’operaio Luigi Skamperle. Altri decedettero in seguito o contrassero infermità inguaribili” (“Aula IV. Tutti i processi del tribunale speciale fascista”, di A.Dal Pont, A. Leonetti, F.Maiello, L. Zocchi, La Pietra 1976). 

Josip (Giuseppe) UDOVIČ, nato a Trieste nel rione di San Giovanni, 18/3/10.
Partigiano EPLJ, Segretario cittadino Osvobodilna Fronta - Fronte di Liberazione di Trieste.
Caduto a Trieste nel corso di uno scontro a fuoco con i carabinieri il 14/1/43.

SONO CADUTI IN COMBATTIMENTO 
DOPO L’8 SETTEMBRE 1943.

Bruno BIZJAK, “Rino”, nato a Santa Croce-Križ, 18/01/23.
Partigiano EPLJ III Brigata d’oltremare.
Caduto in combattimento nei pressi del Monte Nevoso il 3/5/45.

Vittorio CANCIANI (KOCJANČIČ), nato a Trieste, 26/3/24.
Partigiano della Brigata “Triestina” dell’Istria.
Fucilato da forze nazifasciste presso Mune Piccolo (Fiume) il 5/10/44.

Ivan DOUGAN, nato a Trieste, 13/1/26. 
Partigiano EPLJ Distaccamento Istriano
Caduto in combattimento a Palčje (S. Pietro del Carso) l’8/10/44.

Ferdinand DUJC, nato a Muggia, 29/10/19.
Partigiano EPLJ VII Korpus, IV Brigata “M. Gubec, III Battaglione.
Fucilato da forze nazifasciste presso Čatež il 21/08/44.

Marij FERFOLJA, nato a Trieste, 11/4/24.
Partigiano EPLJ VII Corpus, XIV Brigata, II Battaglione.
Caduto presso Novo Mesto il 21/01/45.

Guerrino FINOTTO, nato a Trieste nel rione di San Giovanni, 22/11/17.
Partigiano Brigata “Garibaldi”. 
Caduto presso Skrbina il 27/03/45.

Giovanni (Nino) GROPAIC (GROPPAZZI), nato a Trieste, 3/3/20.
Partigiano Brigata Garibaldi “F.lli Fontanot”.
Caduto presso Novo Mesto il 21/03/45.

Josip (Giuseppe) KASTELIČ (CASTELLI), nato a Longera, 7/11/13.
Partigiano EPLJ VII Korpus. 
Caduto presso Križe nella Dolenska il 23/04/44.

Romeo KANTE (CANTE), nato a Trieste, 12/5/03.
Partigiano Brigata “Garibaldi”. 
Caduto presso Lokavice (Selva di Tarnova) il 5/11/44.

Marijan (Mario) KAVČIČ (CAUCCI), nato a Trieste, 11/10/25.
Partigiano EPLJ XIX Brigata “Srečko Kosovel”. 
Caduto presso Tarnova il 12/6/44.

Marja KERŠEVAN, nata a Gabrje, 28/11/04.
Partigiana XIX Brigata Kosovel.
Caduta in combattimento a Stjak il 25/4/44.

Romano KLUN (COLONI), nato a Trieste, 31/12/14.
Partigiano EPLJ VIII Brigata Končar, già soldato fanteria Battaglione Speciale Lavoratori.
Caduto presso Drvar, Bosnia, il 23/5/44.

Herman (Ermanno) MAKOVEC, nato a Komen-Comeno, 8/4/24.
Partigiano Brigata “Triestina” dell’Istria.
Caduto presso Gradena d’Istria il 3/10/43.

Cirillo Carlo MARTELANC (MARTELLANI), nato a Barcola 1/5/13.
Partigiano EPLJ I Brigata “Proletaria”.
Caduto presso Pozega (Slavonia) il 16/4/45.

Ivan (Giovanni) MEZGEZ, nato a Trieste, 22/8/23.
Partigiano EPLJ II Korpus, Distaccamento Marina.
Caduto presso Predmeja l’8/2/45.

Licerio MILLOCH, nato a Izola-Isola d’Istria, 12/2/23.
Partigiano dal 1944 nella Brigata “F.lli Rosselli”.
Caduto presso Como il 31/12/44.

Edvard (Edoardo) SUDIČ (SUDICH), nato a Trieste, 1/3/26.
Partigiano EPLJ VII Korpus, XII Brigata.
Caduto presso Veliki Čerovec, Gorjanci, Slovenia il 11/9/44.

TINTA Tullio, nato a Trieste, 23/8/26.
Partigiano EPLJ XVIII Brigata “Basovizza”. 
Caduto presso San Giacomo in Colle (ex provincia di Gorizia) il 3/11/44. 

Janež VOUK, nato a Trieste il 31/5/21.
Partigiano dal 16/2/45 nel I Battaglione, V Brigata del IX Korpus.
Deceduto in Slovenia il 6/7/45 per postumi di ferite riportate in combattimento.

Natale ŽIŽMOND, nato a Trieste 17/12/25.
Partigiano Brigata Garibaldi, Battaglione “Alma Vivoda”.
Caduto in località ignota dell’Istria, novembre 1944.

SONO MORTI PRIGIONIERI IN LAGER NAZISTI.

Miro (Vladimiro) FARASIN (FAZARINC), nato a Trieste, 18/6/12.
Partigiano Brigata “Garibaldi”, IV Battaglione GAP.
Deceduto nel campo di sterminio di Buchenwald il 29/12/44.

Slavko (Vladislao) FEKONJA, nato a Trieste, 7/11/13.
Partigiano Brigata “Garibaldi”, IV Battaglione GAP.
Deceduto nel campo di sterminio di Mauthausen il 18/04/45.

Giovanni GANDUSIO “Virgilio”, nato a Koper-Capodistria, 29/10/04
Partigiano Brigata “Garibaldi”, IV Battaglione GAP.
Deceduto nel campo di sterminio di Flossemburg il 10/11/44.

Vladimiro MARTELANC (MARTELLANI), nato a Barcola, 8/5/05.
Deceduto nel campo di sterminio di Dachau 11/4/44.

Milena PERSIČ, coniugata UDOVICH, nata a Trieste, 24/3/01.
Attivista dal 1941, partigiana EPLJ, Osvobodilna Fronta - Fronte di Liberazione di San Giovanni.
Deceduta nel campo di sterminio di Auschwitz il 21/1/45.

Natale (Božidar Diodato) SKABAR, nato a Longera, 10/12/12.
Partigiano EPLJ Osvobodilna Fronta - Fronte di Liberazione di San Giovanni, Unità Operaia.
Deceduto nel campo di sterminio di Dachau il 5/1/45.

Mario SKERLAVAJ, nato a Trieste, 13/8/25.
Partigiano Brigata “Garibaldi”.
Deceduto nel campo di sterminio di Mautahusen il 25/1/45.

Carlo SUDICH nato a Trieste, 5/7/02.
Partigiano EPLJ Osvobodilna Fronta - Fronte di Liberazione di San Giovanni.
Deceduto nel campo di sterminio di Flossemburg Leitmeritz il 5/2/45.

Luciano VESNAVER, nato a Trieste, 19/1/29.
Partigiano Brigata “Garibaldi”, Battaglione “Alma Vivoda”.
Disperso dopo la liberazione dal campo di Buchenwald nell’aprile 1945.

Stanislav ZORMAN Trieste, 4/3/20.
Partigiano Brigata Garibaldi, già soldato del Genio.
Deceduto nel campo di sterminio di Buchenwald il 5/1/45.

Per alcuni partigiani siamo riusciti a raccogliere delle informazioni più particolareggiate rispetto alla loro attività.

AZIONE ANTIPARTIGIANA DELL’ISPETTORATO SPECIALE
DI PS DI TRIESTE DI AGOSTO/SETTEMBRE 1944.

Tra agosto e settembre 1944 l’Ispettorato Speciale di PS operò una vasta azione repressiva che portò all’arresto di 75 partigiani, tra i quali il dirigente comunista Luigi Frausin. Tra i nominativi indicati nel rapporto (copia del quale si trova nell’archivio dell’Odsek za Zgodovino di Trieste, busta NOB 24) inviato in data 27/9/44 dall’Ispettorato al Capo della Polizia, sede di Campagna, avente “Oggetto: Azione contro la Federazione del Partito Comunista di Trieste e l’Organizzazione informativa di Polizia del Fronte Liberatore Sloveno, detto VOS (Varnostno Obvasovalna Služba - Servizio informazioni della difesa) e VDV” (Vojška Državna Varnosti - Esercito per la difesa dello stato, inglobato nell’OZNA nel dicembre 1944) come “consegnati alla Polizia Germanica per i provvedimenti da adottare”, ci sono anche i seguenti, che facevano riferimento al rione di San Giovanni.

Giuseppe BARTOLI, “Corvo” o “Iurel”, nato a Montona, 8/4/05.
Partigiano Brigata “Garibaldi” Trieste.
Deceduto a Dachau il 26/09/44.

Ernesto NERI (ČERNIGOJ), nato a Trieste, 30/10/04.
Partigiano Brigata “Garibaldi” Trieste, IV Battaglione GAP.
Ucciso nella Risiera di San Sabba, settembre 1944.

Carlo GABRIELLI, “Peter”, o “Rino”, nato a Trieste, 7/10/17.
Partigiano Brigata Garibaldi Trieste, IV Battaglione GAP.
Ucciso nella Risiera di San Sabba il 24/9/44.

Bruno GHERLANI (GERLANC), nato a Trieste, 26/6/12.
Partigiano Brigata “Garibaldi” Trieste, IV Battaglione GAP.
Ucciso nella Risiera di San Sabba, settembre 1944.

Giuseppe (Pino) GIOVANNINI, “Severino”, nato a Trieste, 29/12/11.
Partigiano Brigata “Garibaldi”, intendente Battaglione “Alma Vivoda”; nel rapporto dell’Ispettorato Speciale di PS risulta “membro del Partito ed addetto al trasporto del materiale occorrente con un camioncino che è stato sequestrato”.
Ucciso nella Risiera di San Sabba, settembre 1944.

Stanislavo GOICA (GOJCA), nato a Trieste, 24/6/04.
Partigiano EPLJ, Osvobodilna Fronta - Fronte Liberazione di Trieste - San Giovanni.
Ucciso nella Risiera di San Sabba, settembre 1944.

Ernesto METLIKA, nato a Trieste, 14/10/08.
Partigiano EPLJ, Osvobodilna Fronta - Fronte Liberazione di Trieste.
Deceduto nel campo di sterminio nazista di Bergen Belsen, novembre 1944.

Josip (Giuseppe Antonio) MIOT (MIJOT), “Marco”, nato a Trieste, 3/3/04.
Partigiano Brigata Garibaldi Trieste, IV Battaglione GAP.
Ucciso nella Risiera di San Sabba il 26/9/44.

Silvestro ROSANI (ROŽANC), nato a Trieste, 30/12/26.
Partigiano Brigata “Garibaldi” Trieste, IV Battaglione GAP.
Ucciso nella Risiera di San Sabba il 26/9/44.

Giuseppe STERLE (ŠTERL), nato a Trieste, 18/1/06.
Partigiano EPLJ, Osvobodilna Fronta - Fronte Liberazione di Trieste, S. Giovanni; “membro del Partito ed arruolatore” secondo il rapporto dell’Ispettorato Speciale di PS.
Ucciso nella Risiera di San Sabba, settembre 1944.

AZIONE DELL’ISPETTORATO SPECIALE DI PS
CONTRO LA “BANDA BOSCO”.

In un rapporto dell’Ispettorato Speciale di PS, datato 15/1/45, leggiamo di un’attività repressiva nei confronti della cosiddetta “banda Bosco”, così chiamata “dal nome del capo Giuseppe Sustersich detto Pepi Bosco” definita “la più temibile” sia “per numero di componenti che per efferatezza di delitti”. Giuseppe Šušteršič, nato a Trieste il 19/12/08, partigiano combattente già dal 1942, era stato arrestato e torturato dalla “banda” di Collotti già nel ‘43; successivamente fu partigiano della brigata Garibaldi “Trieste”, IV Battaglione GAP; prese parte il 31/5/44 ad un attentato (fallito) contro il prefetto Coceani; dopo la fine della guerra si arruolò nel corpo della neocostituita Polizia civile e morì il 30/12/45 per le conseguenze delle ferite riportate durante la guerra.
Proseguiamo la lettura del rapporto dell’Ispettorato: “Il 27/12, ore 14 mentre tre auto (…) appartenenti al Deutsche Berater sostavano sulla strada di Basovizza dinanzi all’osteria Dodich ed una parte degli autisti si trovava nel detto esercizio, alcuni individui armati di pistole e mitra irruppero nel locale e circondati gli autisti ingiunsero loro di alzare le mani. Dopo averli perquisiti, con le loro stesse auto li condussero in località Moccò alla sede di un comando partigiano”.
In seguito a questa azione, scattò un’operazione repressiva dell’Ispettorato Speciale, così descritta in un rapporto.
“A seguito intelligenti indagini svolte con spirito di assoluta abnegazione ed intima comprensione del dovere dal Vicecommissario Gaetano Collotti e la valida collaborazione vicebrigadiere Antonio Cerlenco, riusciva ad accertare luogo convegno banda “Bosco” capeggiata da noto pregiudicato Giuseppe Susterisch detto Bosco forte di una quindicina di elementi e dotata moderno e perfetto armamento. Ieri sera 17 agenti questo Ispettorato agli ordini preciso funzionario, militari X mas, predisponevasi vasta azione rastrellamento in zona strada di Longera. Verso ore 19 riuscivasi ingaggiare combattimento con elementi Bosco che riuscirono a sganciarsi. Venivano rastrellati 15 individui. Nel conflitto restavano uccisi certo Persico Ugo (Guido, n.d.a.) di Andrea n. a Trieste 1906 da parte nostra agente ausiliario Carmelo Russo appartenente all’Ispettorato speciale. Azione proseguita e rintracciato un gruppo banditi a bordo auto Lancia Ardea appartenente a Supremo Commissariato germanico (…) si davano alla fuga. Nel conflitto certo Ricci Rino Cosimo veniva ucciso. 2 feriti.
Su cadavere Ricci Rino venivano rinvenute una Sipe et pistola Berretta nonché documenti sua appartenenza VDV (polizia partigiana) e cui presume sua partecipazione a gravi delitti effettuati in questa città”. 

Guido PERSICO (PERSICH), nato a Trieste, 25/2/06.
Partigiano EPLJ, Osvobodilna Fronta - Fronte Liberazione di Trieste, San Giovanni.
Ucciso da forze nazifasciste a Longera il 27/12/44.

Rino Cosimo RICCI, nato a Trieste, 9/1/26.
Partigiano Brigata “Garibaldi”, IV Battaglione GAP.
Ucciso in fatto di guerra il 29/12/44.

Nel corso di queste azioni furono anche arrestati il giovane Bruno Kavčič (era nato nel 1927, fucilato il 28 aprile 1945) ed i suoi genitori, Giuseppe (morto a Dachau) ed Antonia, che sopravvisse. Di questi arresti e delle torture e violenze inflitte agli arrestati, fu accusato l’agente dell’Ispettorato Speciale Bruno Luciani (note del Pubblico Accusatore di Ajdovščina, in Arhiv Slovenije SI AS 1827 fascicolo 34), arrestato a Trieste nel maggio 1945 e scomparso, quindi considerato “infoibato” dalla storiografia corrente.

IL BUNKER DI VIA VALERIO.

Secondo un rapporto (in copia presso l’archivio dell’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione di Trieste, n. 914) dell’Ispettorato Speciale di PS di Trieste del 3/4/45, in quella data fu svolta una “operazione nel rione Guardiella San Cilino Sup. ove nel fabbricato contrassegnato col n. 1801 è stato scoperto un bunker costruito per ordine del noto bandito “Zitomir” Capo del VDV verso la fine dello scorso dicembre. Nel bunker che fu costruito da Comari Giuseppe e Coretti Sergio (…) – confessi – è stata rinvenuta una valvola per radio trasmittente potentissima, un cinturone con fondina in uso nella Wehrmacht, scarso materiale propagandistico e diversa corrispondenza – relazioni, ecc.
A seguito di ciò è stata operata una minuziosa perquisizione nell’abitazione di Haas Ruggero (…) che ha portato alla scoperta di corrispondenza varia del PKS, dal cui sommario esame si rileva che l’abitazione stessa serviva da Centro smistamento per i corrieri del PKS”.
Secondo una ricerca del professor Samo Pahor, la moglie di Haas, Albina Brana, era membro della VDV di Longera e nel loro bunker erano conservati dei documenti molto importanti.
In seguito a questa operazioni furono arrestati i coniugi Haas e la sorella di Ruggero, Emilia, come risulta dal rapporto.
“Haas Ruggero – risultato appartenente al PKS egli partecipò alla costruzione del bunker nella sua stessa abitazione e su di lui gravano fondati sospetti di partecipazione al noto attentato terroristico nel palazzo dell’università, nonché ad altri attentati terroristici verificatisi in questa città.

Silvio Pierazzi ci ha raccontato di un attentato compiuto dalla GAP di Guardiella contro un edificio nei pressi dell’Università dove aveva sede una compagnia della Guardia Civica (maggio 1944). L’attentato aveva praticamente distrutto la sede, ed era stato proprio Haas a trasportare l’esplosivo.
Il rapporto prosegue nominando:
Bran Albina in Haas – corriera propagandista del PKS.
Haas Emilia – corriera del Commissario Politico del PKS per la Venezia Giulia Kiss”.

Zora BRANA, nata a Trieste, 1/3/13.
Partigiana EPLJ I Battaglione.
Coniugata con Ruggero HAAS, nato ad Opicina (TS), 26/11/11.
Partigiano Brigata “Garibaldi”, IV Battaglione GAP.
Furono fucilati ad Opicina il 28/04/45 assieme ad altri 13 prigionieri, tra i quali il corriere del Partito d’Azione Mario Maovaz. 
Emilia HAAS era gravemente malata al momento dell’arresto e non fu deportata, ma morì poco tempo dopo.

I MARTIRI DI VIA D’AZEGLIO: 28/03/45.

Giorgio De Rosa, “Felice”, nato a Trieste, 29/12/24; 
Sergij CEBRON, “Santo”, nato a Trieste, 8/5/28;
Livio STOK (STOCCHI), “Cedro”, nato a Santa Croce, 9/2/25;
Remigio VISINI, “Ettore”, nato a Trieste, 26/8/25:
Partigiani della Brigata Garibaldi “Trieste”, IV Battaglione GAP, impiccati per rappresaglia dai nazifascisti dopo l’attentato al garage “Principe” in via D’Azeglio, medaglie d’argento al V. M. alla memoria.

Il 27 marzo 1945 fu compiuto un attentato al garage di via D’Azeglio, che serviva da deposito per il carburante destinato alle truppe nazifasciste. Sentiamo il racconto di Nerino Gobbo, “Gino”, dirigente di Unità Operaia-Delavska Enotnost, che aveva coordinato l’azione di sabotaggio. 
“Avevamo deciso di sabotare il garage di via D’Azeglio perché c’erano dentro dei mezzi di rifornimento per l’offensiva che la X Mas stava preparando contro il IX Korpus (le forze allora si equilibravano perciò si trattava di un’importante offensiva ed era necessario fare il possibile per impedirla). Siamo arrivati sul posto ed abbiamo bloccato tutte le strade attorno al garage. In quel punto c’era un presidio armato delle SS, ma questi signori si sentivano spesso molto sicuri e qualche volta di notte lasciavano lì il custode da solo. Ci eravamo divisi i compiti: io e Silvio Pirjevec dovevamo entrare nel garage e farlo saltare in aria, mentre gli altri uomini a due a due dovevano, se succedeva qualcosa, sparare, in modo da dare l’allarme e dare a me e Silvio il tempo di scappare. Ad un certo punto è arrivato il proprietario del garage: non i tedeschi o la guardia che erano andati in un’osteria (così erano almeno le informazioni che ci erano state date), il proprietario, che faceva anche da guardiano. Noi lo abbiamo fermato, obbligato a farci entrare e poi consegnato a due compagni che avevano l’ordine di portarlo nella ritirata con sé, di tenerlo prigioniero per motivi di sicurezza. Invece al momento della fuga lo lasciarono libero e lui fece successivamente la spiata. 
Noi due demmo fuoco al carburante e ci mettemmo un po’ per uscire, ci siamo mischiati alla gente che era accorsa e abbiamo preso sottobraccio una ragazza con la quale abbiamo camminato per un po’ e che ci disse “Se fossero tutti come voi non ci sarebbero più i tedeschi a Trieste”. Così riuscimmo a metterci in salvo, mentre i compagni fuori, avendo sentito le bombe e visto le fiamme e non avendoci visti uscire, devono aver creduto che eravamo rimasti vittime dell’esplosione, quindi hanno iniziato una ritirata disordinata invece di attenersi a quanto era stato previsto nel piano.
Perciò sono caduti in un’imboscata alla Rotonda del Boschetto dove sono stati arrestati: questi furono i martiri di via D’Azeglio”.
Il quotidiano comunista “il Lavoratore” ricostruì in questo modo gli arresti in un articolo di pochi mesi dopo: Giorgio De Rosa fu fermato da “una pattuglia della Guardia Civica al comando del tenente Altieri (tuttora in circolazione)”, con la quale c’era anche il guardiano del garage; e che invece una pattuglia delle SS italiane “al comando del noto Boldrin (anche questo in circolazione), faceva irruzione nella casa del comp. D.” (cioè Donini), piantonavano la casa ed arrestavano, la mattina seguente, Sergio Stocchi, Livio Cebroni e Remigio Visini che, avendo perduto il collegamento con gli altri, erano andati da Donini a cercare notizie.

SONO CADUTI DURANTE L’INSURREZIONE DI TRIESTE.

Francesco AZZARO (ARZARRO), nato a Giarratana (RG), 24/1/20.
Partigiano Comando Città Trieste, II Battaglione.
Caduto il 30/4/45.

Felice COSTANTE, nato a San Severo (FG), 19/11/24.
Partigiano EPLJ.
Caduto il 1/05/45

Giovanni ZANETTI, nato a Trieste, 12/11/21
Partigiano Comando Città Trieste.
Caduto il 2/5/45.

Oreste FRANCIA, nato a Trieste, 26/9/25.
Partigiano Comando Città Trieste, I Battaglione.
Deceduto il 24/5/45 in seguite a ferite riportate durante la lotta.

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(deutsch / italiano)


Fidel Castro Ruz
Il ruolo genocida della NATO / Die NATO in der Völkermord-Rolle


Vedi anche la documentazione sul carteggio Castro-Milošević ed altre valutazioni di Fidel in merito alla aggressione e squartamento della Jugoslavia:
https://www.cnj.it/documentazione/fidelcastro.htm


=== Il ruolo genocida della NATO (parti 1--4)


http://pl-it.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&id=29939

Il ruolo genocida della NATO

“Questa brutale alleanza militare si è trasformata nel più perfido strumento di repressione che ha conosciuto la storia dell'umanità.  
La NATO ha assunto questo ruolo repressivo globale rapidamente, quando l'URSS, che era servita agli Stati Uniti come pretesto per crearla, ha smesso di esistere. Il suo criminale proposito diventò palese in Serbia, un paese di origine slava, dove il suo popolo eroico lottò contro le truppe naziste nella Seconda Guerra Mondiale.  
  
Quando nel marzo del 1999 i paesi di questa nefasta organizzazione, nei loro sforzi per disintegrare la Iugoslava, dopo la morte di Josip Broz Tito, inviarono le loro truppe a sostegno dei secessionisti del Kossovo, trovarono una forte resistenza di questa nazione, le cui sperimentate forze erano intatte.  
  
L'amministrazione yankee, consigliata dal Governo conservatore spagnolo di Josè Maria Aznar, attaccò le stazioni radio e della televisione della Serbia, i ponti sul fiume Danubio, e Belgrado, la capitale di questo paese. L'ambasciata della Repubblica Popolare Cinese è stata distrutta dalle bombe yankee, vari dei funzionari sono morti, e non poteva essere stato un errore possibile, come hanno detto gli autori. Numerosi patrioti serbi hanno perso la vita. Il presidente Slobodan Milošević, oppresso dal potere degli aggressori e la sparizione dell'URSS, ha ceduto alle esigenze della NATO ed ha ammesso la presenza delle truppe di questa alleanza dentro il Kossovo sotto il mandato dell'ONU, quello che alla fine ha condotto alla sua sconfitta politica ed al suo posteriore procedimento giudiziario da parte dei tribunali per niente imparziali de L'Aia. E’ morto in circostanze strane nella prigione. 
Se il leader serbo avesse resistito alcuni giorni in più, la NATO sarebbe entrata in una grave crisi che è stata sul punto di esplodere. L'impero ha avuto così molto più tempo per imporre la sua egemonia tra i sempre più subordinati membri di questa organizzazione.   
  
Tra il 21 febbraio ed il 27 aprile del presente anno, ho pubblicato nel sito web CubaDebate nove Riflessioni sul tema, nelle quali abbordai con ampiezza il ruolo della NATO in Libia e quello che sarebbe successo a mio giudizio.  
  
Mi vedo per ciò obbligato ad una sintesi delle idee essenziali che esposi, e dei fatti che hanno continuato a succedere come erano stati previsti, ora che un personaggio centrale di questa storia, Muammar El-Gheddafi, è stato ferito gravemente dai più moderni cacciabombardieri della NATO che intercettarono ed inutilizzarono il suo veicolo, catturato ancora vivo ed assassinato dagli uomini armati da questa organizzazione militare.  
  
Il suo cadavere è stato sequestrato ed esibito come trofeo di guerra, una condotta che viola i più elementari principi delle norme musulmane ed altre credenze religiose prevalenti nel mondo. Si annuncia che rapidamente Libia sarà dichiarata “Stato democratico e difensore dei diritti umani”.  
  
Mi vedo obbligato a dedicare varie Riflessioni a questi importanti e significativi fatti.  
  
Proseguirà domani lunedì.  
  

Fidel Castro Ruz  
  
23 Ottobre 2011  
  
6 e 10 p.m”.
Ig


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Il ruolo genocida della NATO (seconda parte)

"Poco più di otto mesi fa, il 21 febbraio del presente anno, ho affermato con piena convinzione: “Il piano della NATO è occupare la Libia”. Con questo titolo ho abbordato per la prima volta il tema in una Riflessione il cui contenuto sembrava frutto della fantasia.  
  
Includo in queste linee gli elementi di giudizio che mi hanno portato a quella conclusione.  
  
“Il petrolio si trasformò nella principale ricchezza nelle mani delle grandi multinazionali yankee; attraverso questa fonte di energia hanno disposto di uno strumento che ha aumentato considerevolmente il loro potere politico nel mondo”.  
  
“Su questa fonte di energia si sviluppò la civiltà attuale. Il Venezuela è stata la nazione di questo emisfero che ha pagato il maggiore prezzo. Gli Stati Uniti sono diventati i padroni degli enormi giacimenti di cui la natura ha dotato questo fratello paese.  
  
“Terminando l'ultima Guerra Mondiale cominciò ad estrarre dai giacimenti dell'Iran, oltre che da quelli dell'Arabia Saudita, dell’Iraq e dei paesi arabi situati attorno a loro, maggiori quantità di petrolio. Questi passarono ad essere i principali somministratori. Il consumo mondiale si alzò progressivamente alla favolosa cifra di approssimativamente 80 milioni di barili giornalieri, compresi quelli che si estraevano nel territorio degli Stati Uniti, ai quali ulteriormente si sommarono il gas, l'energia idraulica ed il nucleare.”  
  
“Lo spreco del petrolio ed il gas è associato ad una delle maggiori tragedie, non risolta in assoluto che soffre l'umanità: il cambiamento climatico.”  
  
“Nel dicembre del 1951, la Libia si trasforma nel primo paese africano a raggiungere la sua indipendenza dopo la Seconda Guerra Mondiale, nella quale il suo territorio è stato scenario di importanti combattimenti tra truppe tedesche e del Regno Unito...”  
  
“Il 95% del suo territorio è completamente desertico. La tecnologia ha permesso di scoprire importanti giacimenti di petrolio leggero di eccellente qualità che oggi raggiungono un milione 800 mila barili giornalieri ed abbondanti depositi di gas naturale. [...] Il suo rigoroso deserto è ubicato su un enorme lago di acqua fossile, equivalente a oltre tre volte la superficie di Cuba, cosa che ha reso possibile costruire un'ampia rete di condutture di acqua dolce che si estende per tutto il paese.”  
  
“La Rivoluzione della Libia ha avuto luogo nel mese di settembre dell'anno 1969. Il suo principale dirigente è stato Muammar Al-Gheddafi, militare di origine beduina chi si ispirò alle idee del leader egiziano Gamal Abdel Nasser nella sua più precoce gioventù. Senza dubbio molte delle sue decisioni sono associate ai cambiamenti che si sono prodotti quando, come è successo in Egitto, una monarchia debole e corrotta è abbattuta in Libia.”  
  
“Si potrà stare o no d’accordo con Gheddafi. Il mondo è stato invaso con ogni tipo di notizie, usando specialmente i mas media dell’informazione. Bisognerà aspettare il tempo necessario per conoscere con rigore quanto è vero o falso, od un miscuglio di fatti di ogni tipo che, in mezzo al caos, si sono prodotti in Libia. Quello che è assolutamente evidente per me è che il Governo degli Stati Uniti non si preoccupa in assoluto della pace in Libia, e non vacillerà nel dare alla NATO l'ordine di invadere questo ricco paese, forse in questione di ore o in pochi giorni.  
  
“Quelli che inventarono la bugia con perfide intenzioni che Gheddafi si dirigeva in Venezuela, come lo hanno fatto nel pomeriggio di ieri domenica 20 febbraio, hanno ricevuto oggi una degna risposta dal Ministro degli Affari Esteri del Venezuela, Nicolas Maduro...”  
  
“Da parte mia, non immagino il dirigente libico abbandonando il paese, evitando le responsabilità che le sono imputate, siano o no false in parte o nella loro totalità.  
  
“Una persona onesta starà sempre contro qualunque ingiustizia che si commetta con qualunque popolo del mondo, ed il peggiore di queste, in questo istante, sarebbe stare in silenzio davanti al crimine che la NATO si prepara a commettere contro il popolo libico.  
  
“Alla direzione di questa organizzazione bellicista l'urge farlo. Bisogna denunciarlo!”  
  
In quella precoce data avevo notato ciò che era assolutamente ovvio.  
  
Domani martedì, 25 ottobre, parlerà il nostro cancelliere Bruno Rodriguez nella sede delle Nazioni Unite per denunciare il criminale bloqueo degli Stati Uniti contro Cuba. Seguiremo da vicino questa battaglia che metterà un'altra volta in evidenza la necessità di mettere fine, non solo al bloqueo, bensì al sistema che genera l'ingiustizia nel nostro pianeta, dilapida le sue risorse naturali e mette in rischio la sopravvivenza umana. Presteremo un’attenzione speciale all'allegato di Cuba.  
  
Proseguirà il mercoledì 26.  
  

Fidel Castro Ruz  
  
24 ottobre 2011  
  
5 e 19 p.m”.
Ig


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Il ruolo genocida della Nato (Terza parte)

“Il 23 febbraio, sotto il titolo “Danza macabra del cinismo” ho esposto:  
  
“La politica di saccheggio imposta dagli Stati Uniti ed i suoi alleati della NATO nel medio oriente entrò in crisi”.  
  
“Grazie al tradimento di Sadat a Camp David lo Stato arabo palestinese non ha potuto esistere, a dispetto degli accordi dell'ONU di novembre del 1947, ed Israele si trasformò in una forte potenza nucleare alleata agli Stati Uniti ed alla NATO.  
  
“Il Complesso Militare Industriale degli Stati Uniti somministrò decine di migliaia di milioni di dollari ogni anno ad Israele ed agli stessi stati arabi, sottomessi ed umiliati dallo stato sionista.  “Il genio è uscito dalla bottiglia e la NATO non sa come controllarlo.  
  
“Tentano di trarre il massimo vantaggio dai deplorevoli eventi in Libia. Nessuno sarebbe capace di sapere in questo momento quello che lì sta succedendo. Tutte le cifre e versioni, fino alle più inverosimili, sono state divulgate dall'impero attraverso i mezzi di massa, seminando il caos e la disinformazione.  
  
“È evidente che dentro la Libia si sviluppa una guerra civile. Perché e come si sviluppò? Chi pagheranno le conseguenze? L'agenzia Reuters, facendosi eco del criterio di una conosciuta banca del Giappone, il Nomura, ha espresso che il prezzo del petrolio potrebbe sorpassare qualunque limite.”  
  
“... Quali sarebbero le conseguenze in mezzo alla crisi alimentare?  
  
“I leader principali della NATO sono esaltati. Il Primo Ministro britannico, David Cameron, informò ANSA, ‘...ha ammesso in un discorso in Kuwait che i paesi occidentali si sbagliarono ad appoggiare governi non democratici nel mondo arabo '.”  
  
“Il suo collega francese Nicolas Sarkozy dichiarò: ‘La prolungata repressione brutale e sanguinante della popolazione civile libica è ripugnante '.”  
  
“Il cancelliere italiano Franco Frattini dichiarò ‘credibile ' la cifra di mille morti a Tripoli [...] ‘la cifra tragica sarà un bagno di sangue '.”  
  
“Hillary Clinton dichiarò: “...il ‘bagno di sangue ' è ‘completamente inaccettabile ' e ‘si deve fermare '...”  
  
“Ban Ki-moon parlò: ‘È assolutamente inaccettabile l'uso della violenza che c'è nel paese '.”  
  
“... ‘il Consiglio di Sicurezza agirà d’accordo a quello che decida la comunità internazionale '.”  
  
“‘stiamo considerando una serie di opzioni '.”  
  
“Realmente quello che Ban Ki-moon si aspetta è che Obama dica l'ultima parola.  
  
“Il Presidente degli Stati Uniti parlò nel pomeriggio di questo mercoledì ed espresse che la Segretaria di Stato andrà in Europa con lo scopo di accordare coi suoi alleati della NATO le misure da prendere. Sul suo viso si apprezzava l'opportunità di affrontare il senatore dell'estrema destra repubblicano John McCain; il senatore pro israelita del Connecticut, Joseph Lieberman ed i leader del Tea Party, per garantire la sua postulazione per il partito democratico.  
  
“I mezzi di massa dell'impero hanno preparato il terreno per agire. Non avrebbe niente di strano un intervento militare in Libia, col quale, inoltre, si garantirebbero all'Europa quasi due milioni di barili giornalieri di petrolio leggero, se prima non succedono eventi che mettano fine alla direzione od alla vita di Gheddafi.  
  
“In ogni modo, il ruolo di Obama è abbastanza complicato. Quale sarà la reazione del mondo arabo e musulmano se il sangue si sparge in abbondanza in questo paese con questa avventura? Fermerà un intervento della NATO in Libia l'onda rivoluzionaria sfrenata in Egitto?  
  
“In Iraq si è sparso il sangue innocente di più di un milione di cittadini arabi, quando il paese è stato invaso con falsi pretesti.”  
  
“Nessuno nel mondo sarà mai d’accordo con la morte di civili indifesi in Libia od in qualsiasi altra parte. E mi domando: applicheranno gli Stati Uniti e la NATO questo principio ai civili indifesi che gli aeroplani senza pilota yankee ed i soldati di questa organizzazione ammazzano tutti i giorni in Afghanistan e Pakistan?  
  
“È una danza macabra del cinismo.”  
  
Mentre meditava su questi fatti, nelle Nazioni Unite si aprì il dibattito previsto per la giornata di ieri, martedì 25 ottobre, intorno alla “Necessità di mettere fine al bloqueo commerciale e finanziario imposto dagli Stati Uniti d'America contro Cuba”, qualcosa che si è venuto esponendo dall'immensa maggioranza dei paesi membri di questa istituzione durante 20 anni.  
  
Questa volta i numerosi ragionamenti elementari e giusti -che per i governi degli Stati Uniti non erano altro che esercizi retorici – hanno messo in evidenza, come mai prima, la debolezza politica e morale dell'impero più poderoso che è esistito, i cui interessi oligarchici ed insaziabili di sete del potere e di ricchezze hanno sottomesso tutti gli abitanti del pianeta, compreso lo stesso popolo di questo paese.  
  
Gli Stati Uniti tiranneggiano e saccheggiano il mondo globalizzato col loro potere politico, economico, tecnologico e militare.  
  
Questa verità diventa sempre più ovvia dopo i dibattiti onesti e coraggiosi che hanno avuto luogo negli ultimi 20 anni nelle Nazioni Unite, con l'appoggio degli stati che si suppone esprimano la volontà dell'immensa maggioranza degli abitanti del pianeta.             
  
Prima dell'intervento di Bruno, numerose organizzazioni di paesi espressero i loro punti di vista attraverso uno dei suoi membri. Il primo di loro è stata l'Argentina a nome del Gruppo dei 77 più la Cina; di seguito l'Egitto, a nome dei NOAL; Kenya, a nome dell'Unione Africana; Belize, a nome del CARICOM; Kazaquistan, a nome dell'Organizzazione della Cooperazione Islamica; ed Uruguay, a nome del MERCOSUR.  
  
Con indipendenza di queste espressioni di carattere collettivo, Cina, paese con crescente peso politico ed economico nel mondo, India ed Indonesia appoggiarono fermamente la risoluzione attraverso i loro ambasciatori; tra i tre rappresentano 2 700 milioni di abitanti. Lo hanno fatto anche gli ambasciatori della Federazione Russa, Bielorussia, Sudafrica, Algeria, Venezuela e Messico. Tra i paesi più poveri dei Caraibi ed America Latina, vibrarono le parole solidali dell'ambasciatrice del Belize che parlò a nome della comunità dei Caraibi, San Vicente e le Granatine e Bolivia, i cui argomenti relazionati con la solidarietà del nostro paese, nonostante un bloqueo che dura già da 50 anni, sarà uno stimolo imperituro per i nostri medici, educatori e scientifici.  
  
Il Nicaragua parlò prima della votazione, per spiegare con prodezza perché voterebbe contro questa perfida misura.  

Lo ha fatto anche in precedenza il rappresentante degli Stati Uniti per spiegare una teoria inspiegabile. Sentii pena per lui. È il ruolo che gli assegnarono.   
  
Quando arrivò l'ora della votazione, due paesi si assentarono: Libia e Svezia; tre si astennero: Isole Marshall, Micronesia e Palau; due votarono contro: Stati Uniti ed Israele. Sommati quelli che votarono in contro, si astennero, o si assentarono: Stati Uniti, con 313 milioni di abitanti; Israele, con 7,4 milioni; Svezia, con 9,1 milioni; Libia, con 6,5 milioni; Isole Marshall, con 67100; Micronesia, 106800; Palau, con 20900, sommano 336 milioni 948 mila, equivalente al 4,8% della popolazione mondiale che ha raggiunto già in questo mese 7 mila milioni.  
  
Dopo la votazione, per spiegare i suoi voti, parlò la Polonia a nome dell'Unione Europea che, nonostante la sua alleanza stretta con gli Stati Uniti e la sua obbligata partecipazione nel bloqueo, è contraria a questa criminale misura.  
  
Poi hanno fatto uso della parola, per spiegare con fermezza e decisione perché votarono la risoluzione contro il blocco, 17 paesi.  
  
Proseguirà venerdì 28.  
  
     
Fidel Castro Ruz  
  
26 ottobre 2011  
  
9 e 45 p.m”.
Ig


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Il ruolo genocida della NATO (quarta parte)

“Il due marzo, con il titolo “La guerra inevitabile della NATO” avevo scritto:

“A differenza di quello che accade in Egitto e Tunisia, la Libia occupa il primo posto nell’Indice di Sviluppo umano in Africa ed ha la più alta speranza di vita del Continente. L’educazione e la salute ricevono una speciale attenzione dallo Stato. Il livello culturale della sua popolazione è senza dubbi il più alto. I suoi problemi sono di un altro carattere. [...] Il paese necessita di abbondante forza lavoro straniera per realizzare ambiziosi piani di produzione e sviluppo sociale.”

“Disponeva di enormi entrate e riserve in denaro convertibile depositate nelle banche dei paesi ricchi, con le quali acquistavano beni di consumo ed anche armi sofisticate che precisamente le erano fornite dagli stessi paesi che oggi la vogliono invadere in nome dei diritti umani”.

“La colossale campagna di menzogne da parte dei media di massa dell’informazione ha provocato una grande confusione nell’opinione pubblica mondiale. Passerà del tempo prima che si possa ricostruire  quello che è veramente avvenuto in Libia e separare i fatti reali dai falsi che sono stati diffusi”.

“L’impero, come i suoi principali alleati, ha utilizzato i mezzi più sofisticati per divulgare informazioni deformate sugli avvenimenti tra le quali si dovevano dedurre le tracce della verità”.

“L’ imperialismo e la NATO ─seriamente preoccupati per l’ondata rivoluzionaria  scatenata nel mondo arabo, dove si trova gran parte del petrolio che sostiene l’economia di consumo dei paesi sviluppati e ricchi, non potevano non approfittare la presenza del conflitto interno sorto in Libia per promuovere l’intervento militare”.  

“Nonostante il diluvio di menzogne e la confusione creata, gli Stati Uniti non sono riusciti a trascinare la Cina e la Federazione russa all’approvazione, nel Consiglio di Sicurezza, di un intervento militare in Libia, anche se sono riusciti ad ottenere nel Consiglio dei Diritti Umani l’approvazione degli obiettivi che cercavano in quel momento.

Il fatto reale è che la Libia è coinvolta già in guerra civile, come avevamo previsto, e le Nazioni Unite non hanno potuto fare nulla per evitarlo, eccetto che il loro segretario generale gettasse una buona dose di combustibile nel fuoco”.

“Il problema che forse gli attori non immaginavano, è che gli stessi leader della ribellione irrompessero nel complicato tema dichiarando che respingevano ogni intervento militare straniero”. 

“Uno dei capoccia della ribellione, Abdelhafiz Ghoga, aveva dichiarato, il  28  febbraio, in un incontro con i giornalisti: ‘Quello che vogliamo sono informazioni d’intelligenza, ma in nessun caso che si danneggino la nostra sovranità aerea, terrestre e marittima’”.

“L’intransigenza dei responsabili dell’opposizione sulla sovranità nazionale  rifletteva l’opinione manifestata in forma spontanea da molti cittadini libici alla stampa internazionale a Bendasi, ha informato un  dispaccio dell’agenzia AFP lunedì scorso”.  
“In quello stesso giorno una professoressa di Scienze Politiche dell’Universita di Bengasi Abeir Imneina, ―avversaria di Gheddafi― aveva dichiarato:

“In Libia c’è un sentimento nazionale molto forte. Inoltre l’esempio dell’Iraq fa paura all’insieme del mondo arabo, aveva sottolineato, riferendosi all’invasione nordamericana del 2003, che doveva portare la democrazia a questo paese e poi, per contagio, all’insieme della regione, ipotesi totalmente smentita dai fatti.

“Sappiamo quello che è avvenuto in Iraq e che s’incontra in piena instabilità e veramente non desideriamo percorrere lo stesso cammino. Non vogliamo che i nordamericani vengano per dover terminare poi rimpiangendo Gheddafi”, aveva continuato questa esperta.

“Poche ore prima della pubblicazione di quel dispaccio due dei principali organi di stampa degli Stati Uniti, il The New York Times e il The Washington Post, si erano affrettati ad offrire nuove versioni sul tema, come aveva informato l’agenzia DPA il giorno dopo, il 1º marzo: ‘L’opposizione libica potrebbe sollecitare che l’Occidente bombardi dall’aria le posizioni strategiche delle forze fedeli al presidente Muamar al Gadafi, ha informato la stampa statunitense’.”

“Il tema si sta discutendo nel Consiglio Rivoluzionario libico, avevano precisato il ‘The New York Times’ e il ‘The Washington Post’ nelle loro versioni  online.”

“Nel caso in cui le azioni aeree si realizzino nella cornice delle Nazioni Unite, queste non implicheranno interventi internazionali, aveva spiegato il portavoce del Consiglio, citato dal  ‘The New York Times’.”

“Il The Washington Post’ aveva citato ribelli che riconoscevano che senza l’appoggio dell’Occidente, i combattimenti contro le forze leali a Gheddafi potevano durare molto e costare grandi quantità di vite umane.

Immediatamente mi chiedevo in quella Riflessione:

“Perchè l’impegno è presentare i ribelli come membri prominenti della società, reclamando bombardamenti degli Stati Uniti e della NATO per ammazzare i libici?”

“Un giorno si potrà conoscere la verità attraverso persone come la professoressa di Scienze Politiche dell’Università di Bendasi, che con tanta eloquenza aveva narrato la terribile esperienza che ha ucciso, distrutto le case, lasciato senza lavoro o fatto emigrare milioni di persone dall’Iraq”.

“Oggi, mercoledì 2 marzo, l’agenzia EFE ha presentato il noto portavoce ribelle che ha fatto dichiarazioni che a mio giudizio affermano e insieme contraddicono quelle di lunedì : Bendasi, Libia, 2 marzo.  La direzione ribelle libica ha chiesto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU di sferrare un attacco aereo ‘contro i mercenari’ del regime di Muamar el Gheddafi.’”

“ A quale delle tante guerre imperialiste assomigliava questa invasione?”

“Quella della Spagna nel 1936, quella di Mussolini contro l’Etiopia nel 1935, quella di George W. Bush contro l’Iraq nel 2003 od a una qualsiasi  delle decine di guerre promosse dagli Stati Unti contro i popoli d’America, dall’invasione del Messico nel 1846, a quella delle Malvine nel 1982?”

“Senza escludere ovviamente l’invasione mercenaria  di Giron, la guerra sporca  e il bloqueo alla nostra Patria da 50 anni che si compiranno il prossimo 16 aprile”.

“In tutte queste guerre, come in quella del Vietnam, che è costata milioni di vite, hanno imperato le giustificazioni  e le misure più ciniche”.

“Per coloro che avessero dei dubbi sull’inevitabile intervento militare che avverrà in Libia l’agenzia di notizie AP che considero bene informata, è stata la prima a diffondere un dispaccio in cui si affermava che i paesi del Organizzazione del Trattato dell’Atlantico – NATO-  avevano elaborato un piano di contingenza, che prendeva come modello le zone d’esclusione dei voli stabilite sui Balcani nel decennio del 1990, nel caso in cui la comunità internazionale avesse deciso d’imporre un embargo aereo sulla Libia, hanno detto i diplomatici”.  

Qualsiasi persona onesta, capace d’osservare con obiettività i fatti, può apprezzare il pericolo dell’insieme dei fatti cinici e brutali che caratterizzano la politica degli Stati Uniti e spiegano la vergognosa solitudine di questo paese nel dibattito nelle Nazioni Unite sulla ‘Necessità di porre fine al bloqueo economico commerciale e finanziario contro Cuba’.

 Seguo da vicino, nonostante il mio lavoro, i Giochi Panamericani Guadalajara 2011.

Il nostro paese è orgoglioso di questi giovani che sono un esempio per il mondo per il loro disinteresse e lo spirito di solidarietà. Mi complimento con loro calorosamente, perchè nessuno potrà togliere loro l’onore che si sono guadagnati.

Proseguirà domenica 30.


Fidel Castro Ruz 
28 ottobre 2011

7: 14 p.m”.
Ig


=== Ausschnitt auf deutscher Sprache:

Reflexionen von Fidel

DIE NATO IN DER VÖLKERMORD-ROLLE 

Cubadebate (Deutsch)

Jenes brutale Bündnis ist zum verräterischsten Repressionsinstrument geworden, das die Menschengeschichte je kennen gelernt hat.
Die NATO hat diese globale Unterdrückungsrolle übernommen, sobald die UdSSR, die den Vereinigten Staaten zu ihrer Gründung als Vorwand gedient hat, ihre Existenz aufgegeben hatte. Ihre kriminelle Absicht wurde schon in Serbien offensichtlich, einem Land slawischen Ursprungs, dessen Volk im Zweiten Weltkrieg so heroisch gegen die Nazi-Truppen gekämpft hat.
Als die Länder jener unheilvollen Organisation im März 1999, in ihren Bemühungen zur Desintegration von Jugoslawien nach dem Tod von Josip Broz Tito, ihre Truppen zur Unterstützung der Sezessionisten von Kosovo entsandt haben, stießen sie auf starken Widerstand jener Nation, deren erfahrene Streitkräfte intakt waren.
Die Yankee-Regierung griff auf Anraten der rechtsgerichteten spanischen Regierung von José María Aznar die Fernsehsender von Serbien an, die Brücken über die Donau und Belgrad, die Hauptstadt jenes Landes. Die Botschaft der Volksrepublik China wurde durch die Bomben der Yankees zerstört, mehrere der Beamten kamen um, und ein Irrtum – wie von den Autoren behauptetet wurde – war unmöglich gewesen. Zahlreiche serbische Patrioten verloren ihr Leben. Niedergedrückt durch die Macht der Aggressoren und die Auflösung der UdSSR kam Präsident Slobodan Miloševiс den Forderungen der NATO nach und ließ die Anwesenheit von Truppen jenes Bündnisse innerhalb von Kosovo, unter dem Mandat der UNO, zu, was schließlich zu seiner politischen Niederlage geführt hat und seiner Aburteilung vor dem absolut nicht unparteiischen Gerichtshof von Den Haag. Er starb merkwürdigerweise im Gefängnis.  
Wenn die serbische Führungspersönlichkeit einige wenige Tage mehr standgehalten hätte, wäre die NATO in eine schwerwiegende Krise eingetreten, die beinahe ausgebrochen wäre. So verfügte das Imperium über viel mehr Zeit, um den ihm immer mehr untertänigen Mitgliedern jener Organisation seine Hegemonie aufzuzwingen.
In der Zeitspanne vom 21. Februar bis zum 27. April des laufenden Jahres habe ich auf der Website CubaDebate neun Reflexionen zum Thema veröffentlicht, in denen ich umfassend die Rolle der NATO in Libyen bzw. das, was meines Erachtens geschehen würde, behandelt habe.
Deshalb sehe ich mich heute zu einer Zusammenfassung der von mir dargelegten Hauptideen gezwungen, und von den Ereignissen, die so, wie vorausgesehen, geschehen sind, jetzt, wo eine der zentralen Gestalten der Geschichte, d.h. Muammar Al-Gaddafi, durch die modernsten Jagdbomber der NATO schwer verletzt wurde, welche sein Fahrzeug abgefangen und unbrauchbar gemacht haben, noch lebend gefangen genommen und durch die von jener militärischen Organisation bewaffneten Männer ermordet worden ist.
Sein Leichnam ist entführt und als Kriegstrophäe ausgestellt worden, eine Verhaltensweise, die die elementarsten Prinzipien der muslimischen Regeln und anderer, auf der Welt vorherrschender religiöser Glaubensrichtungen verletzt. Es wurde angekündigt, dass Libyen sehr bald zu einem „demokratischen Staat, Verteidiger der Menschenrechte“ erklärt werden wird. (...)

Fidel Castro Ruz
23. Oktober 2011
18:10 Uhr
 
Quelle: Cubadebate - Deutsch
karovier | Oktober 25, 2011 at 10:58 am | Tags: Großer Vaterländischer Krieg | Kategorien: Krieg und Frieden | URL: http://wp.me/p11QnV-4i 
http://karovier.wordpress.com/2011/10/25/reflexionen-von-fidel-die-nato-in-der-volkermord-rolle/


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Jan Kempenaers

Spomenik

Amsterdam, Roma Books, 2010

Design: Roger Willems - p.64 - size 33x24cm. - Price €27,99 - ISBN 978 90 77459 50 8


Series of photographs of abandoned monuments in former Yugoslavia. Willem Jan Neutelings, quoted from this book: "The Antwerp-based photographer Jan Kempenaers undertook a laborious trek through the Balkans in order to photograph a series of these mysterious objects. He captures the Spomeniks in the misty mountain landscape at sundown. Looking at the photographs one must admit to a certain embarrassment. We see the powerful beauty of the monumental sculptures and we catch ourselves forgetting the victims in whose name they were built. This is in no way a reproach to the photographer, but rather attests to the strength of the images. After all, Kempenaers did not set out as a documentary photographer, but first and foremost as an artist seeking to create a new image. An image so powerful that it engulfs the viewer. He allows the viewer to enjoy the melancholy beauty of the Spomeniks, but in so doing, forces us to take a position on a social issue.

THE PHOTOS / LE FOTO / SLIKE: http://twistedsifter.com/2011/05/23-fascinating-and-forgotten-monuments-from-yugoslavia/
SELECTION (TESTO IN ITALIANO): http://bloggokin.blogspot.com/2011/04/monumenti-abbandonati-in-jugoslavia.html
http://www.jankempenaers.info/
http://www.romapublications.org/Roma100-200.html
http://www.orderromapublications.org/Product.aspx?pid=187


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(italiano / english / francais)

International reactions after NATO's slaughtering of Libya

1) NATO operation in Libya sets dangerous precedent for Balkans - Primakov
2) Elikia M'Bokolo analizza le conseguenze della situazione in Libia
3) NATO hunting season in full swing
4) Kadhafi : un symbole anti -impérialiste africain
5) Le sang du lion et le festin des rats
6) Rete Nazionale Disarmiamoli: La Libia sotto il tallone della NATO


LINK:

I comunisti algerini (PADS) chiedono la costituzione di un fronte popolare antimperialista per contrastare le pericolose conseguenze della vittoria militare delle potenze imperialiste in Libia
Dichiarazione del Partito algerino per la democrazia e il socialismo (PADS) - 31 Ottobre 2011

http://www.marx21.it/internazionale/pace-e-guerra/245-i-comunisti-algerini-pads-chiedono-la-costituzione-di-un-fronte-popolare-antimperialista-per-contrastare-le-pericolose-conseguenze-della-vittoria-militare-delle-potenze-imperialiste-in-libia.html
 

CITAZIONE:

La storia sarà con i popoli che lottano per giuste cause, mai con chi sollecita le potenze imperiali straniere a venire ad attaccare il proprio paese. Il destino che attende i criminali del CNT è scritto con inchiostro indelebile, come è rimasta scritta, la storia del martirio di un popolo, delle sua città e della sua famiglia. Avanti con il sacro dovere di lottare fino alla vittoria o alla morte. Con l'esempio eterno del colonnello Gheddafi, leader coraggioso del popolo libico e guida della Jamahiriya Libica Popolare e Socialista".

Fidel Castro


=== 1 ===

http://www.interfax.com/newsinf.asp?pg=5&id=282302

Interfax - October 24, 2011

NATO operation in Libya sets dangerous precedent for Balkans - Primakov


MOSCOW: The threat of inter-ethnic and inter-religious conflicts remains in the Balkan countries experts define as "the European tinderbox," which means the Libyan scenario may be repeated, ex-Russian Prime Minister, Academician of the Russian Academy of Sciences Yevgeny Primakov said at an international conference in Montenegro on October 17.

The newspaper Nezavisimaya Gazeta published an article based on his speech on Monday.

"I fear that the NATO operation in Libya may cast shadow on the Balkans. Such a scenario is not so unrealistic, and ways to avoid it must be found," he said.

The precedent set by the NATO operation in Libya is extremely dangerous especially for turbulent regions and countries whose policy does not meet the wishes of NATO, he said.

The threat of inter-ethnic and inter-religious conflicts in the Balkans mostly exists in Kosovo and Bosnia and Herzegovina, Primakov said.

There had been armed clashes between the NATO KFOR and Serbians who live in Kosovo's Metohija, and NATO forces sided with Pristina, which wanted to separate Kosovo Serbs from Serbia and to open customs posts on the currently non-existent border, he said.

Primakov recalled the position of Russian Foreign Minister Sergei Lavrov expressed at a meeting with NATO Secretary General Anders Fogh Rasmussen in September. Lavrov strongly rejected the opinion that Libya might become "a model for the future."

Russia has a principled stand on "the problem zones", which remain since the disintegration of the former Yugoslavia, the academician said.

It does not recognize the independence of Kosovo and Metohija and views these territories as an organic part of Serbia.

"If the West welcomes the separation of Kosovo from Serbia due to the independence demands of local Albanians, why not apply the same approach to the compact Serbian areas in the northern part of Kosovo and Metohija?" he wondered.

There is a realistic chance to avoid tensions with the division of Kosovo, he said.

Russia also opposes the transformation of Bosnia and Herzegovina into a unitary state and says this transformation will not follow the Dayton Agreement. "If we speak about the development of the Dayton Agreement, apparently, it is necessary to strengthen sovereign rights of Bosnian Serbs, Bosnian Croats and Bosnian Muslims within the framework of Bosnia and Herzegovina. Any other way will lead to bloodshed," Primakov said.

Those who think that Russia opposes the accession of the Balkan countries to the European Union distort its position intentionally or unintentionally, Primakov said.

"Moscow is perfectly aware of the reasons why the Balkan countries want to join the EU. At the same time, Russia seeks to prevent the weakening of its economic, cultural and political relations with the Balkan countries by their involvement in the EU," he said.

The Balkans are a junction of three civilizations: West European, East European and Asian Muslim. Stability and security of the forming multi-polar world depend on the solution of pressing problems of the peoples populating that special region, Primakov said.


=== 2 ===


Il manifesto Numero del 22.10.11

INTERVISTA di Geraldina Colotti

 

ELIKIA M'BOKOLO · Lo storico africano analizza le conseguenze della situazione in Libia

«Un punto di non ritorno»

I paesi dell'Alleanza pronti a batter cassa presso il nuovo governo libico Intanto c'è chi protesta e chi esulta (Hezbollah in Libano) per la morte del rais

 

«Prima Saddam Hussein, ora Muammar Gheddafi, il messaggio delle potenze occidentali è chiaro: non siete padroni in casa vostra. Dopo quella al comunismo, ora è in corso una guerrra contro i popoli del sud per il possesso delle loro risorse». Così lo storico congolese Elikia M'Bokolo commenta a caldo l'uccisione del Colonnello libico. Nato a Kinshasa nel '44, M'Bokolo ha dovuto abbandonare il suo paese nel '61, dopo l'assassinio del padre dell'indipendenza congolese Patrice Lumumba, e si è trasferito con la famiglia in Francia. Autore di numerose opere sulla storia del continente africano (in Italiano L'invenzione dell'etnia, scritto insieme a Jean-Loup Amselle e pubblicato da Meltemi nel 2008), dirige il Centro per gli studi africani all'École des hautes études en sciences sociales di Parigi. Lo abbiamo incontrato a Parma, ospite di un seminario organizzato dall'associazione Kuminda e abbiamo discusso di Africa, democrazia e primavere arabe. 

Qual è il suo giudizio su Muammar Gheddafi?

Tutti i progressisti africani sono d'accordo su un punto: il regime di Gheddafi non era l'ideale. Detto questo, io sono stato varie volte in Libia e ho potuto constatare una situazione molto diversa da quella descritta sui media occidentali. Certo, c'era un partito unico e un controllo poliziesco, ma anche uno stato sociale: scuole, ospedali, case, lavoro... Condizioni di vita imparagonabili a quelle esistenti in molti paesi dell'Africa e del Maghreb. Oggi in tutto il continente africano si costruiscono pochi ospedali e scuole ma moltissime chiese e templi. Nel mio paese, un direttore di banca guadagna circa 25-30.000 dollari, un ministro della repubblica, 10.000, un professore di liceo 35 dollari e gran parte della polazione fatica a vivere. Non ho potuto visitare le carceri libiche, né toccare con mano la repressione poliziesca, ma non ho mai assistito a un arresto per strada. Ho visto una certa teatralizzazione del potere di cui la gran parte dei libici rideva, però, bonariamente. Noi progressisti africani non abbiamo accettato che una parte del petrolio libico sia servita per uno scopo inaccettabile: l'accumulazione di armi da impiegare anche nella repressione. Si deve però riconoscere che, in questo modo, il piccolo esercito libico ha tenuto testa alle più grandi potenze per tutti questi mesi. Un'altra cosa che non abbiamo accettato è che il regime, attraverso alcuni suoi rappresentanti, abbia investito all'estero i soldi libici, li abbia depositati nelle banche estere. Questo ha permesso ai paesi occidentali di confiscare quelle risorse finanziarie. E ora dicono che ricostruiranno la Libia: ma con quei soldi, che sono soldi libici.

Quali conseguenze avrà la situazione in Libia nello scenario internazionale?

Alcuni aspetti della guerra in Libia provocheranno conseguenze gravissime a più lungo termine. Uno di questi è il ruolo dell'Onu in questa vicenda. L'Onu in Africa si è screditato oltre ogni limite perché il mandato votato da una decina di stati era quanto mai ambiguo e lasciava le porte aperte all'intervento militare. Un'ultima vigliaccata, che comincia nel 1935 quando la Società delle nazioni ha permesso l'aggressione italiana all'Etiopia. Ieri l'intervento armato in Costa d'avorio, oggi in Libia, domani in Siria o in Congo. E perché no in Iran, in America latina. Quando è stato eletto direttore generale Boutros Boutros Ghali e poi Kofi Annan si poteva sperare che l'Onu potesse diventare una vera organizzazione internazionale capace di occuparsi delle questioni in modo egualitario, ma ora appare evidente che le cose sono andate in un altro senso. Un altro aspetto inquietante è che, alla fine della guerra fredda, l'Africa si è trovata a essere disarmata e poco sostenuta all'interno dell'Onu, lo abbiamo visto in occasione del voto sulla Libia. Certi analisti si sono affannati a dire che la guerra fredda è finita e che la globalizzazione è pacifica, ma l'aggressività capitalista è tutta sotto i nostri occhi. Dopo la fine dell'Unione sovietica, ora la guerra è contro i paesi del sud. Dalla caduta di Saddam Hussein a oggi, il messaggio rivolto ai governi del sud che deviano dall'indirizzo convenuto, è chiaro: non ci provate. La terza cosa gravissima avvenuta in Libia è che gruppi di paesi, violando i diritti degli stati, possano armare e finanziare impunemente un'opposizione fittizia creata ex-novo, fabbricata per combattere i regimi in carica. Chi aveva mai sentito parlare prima del Consiglio nazionale di transizione? In questo senso, aveva ragione Gheddafi quando ha detto: cosa pensereste se la Libia venisse ad armare la vostra opposizione interna, per esempio i baschi in Spagna? La più forte coalizione mai vista, che non ha fatto la guerra diretta ai paesi dell'est, ha invece bombardato la Libia. È un modello di ingerenza, che si è sperimentato in grande stile con le rivoluzioni arancioni, che abbiamo già visto all'opera in Mozambico, in Angola... Le grandi potenze armano partiti ultraconservatori per portarli al tavolo delle trattative, si ergono a fautori di una presunta unità nazionale (che hanno distrutto a suon di bombe) per avere un peso nelle future decisioni dei paesi. A questo ha fatto da contrappunto la grancassa mediatica contro il «dittatore» Gheddafi. Una retorica che ha aizzato all'odio contro il tiranno e ora grida vittoria mentre mostra un uomo massacrato come un trofeo. Altroché informazione democratica. Le sole analisi pertinenti vengono dallo Zimbabwe e dalla sinistra africana: questa non è una vicenda libica, ma di portata mondiale e naturalmente africana. Altri paesi sono nel mirino per subire la stessa sorte e rischiano di veder spuntare un loro Cnt. Poco prima della caduta di Gheddafi, il ministro degli affari esteri francese, Alain Juppé, ha detto: la Libia è un'invenzione che non esisteva prima del 1911, quindi può essere smembrata, e se Gheddafi resiste possiamo prendere Bengasi e lasciargli Sirte e Tripoli. 

Un altro passo verso la balcanizzazione del Sud?

La sovranità che gli stati del sud avevano ottenuto con le indipendenze dalla colonizzazione consentiva loro una maggior capacità di negoziare. Paesi che avevano grandi risorse nei loro sottosuoli e che occorreva smembrare per poterli gestire. Una politica che mostra uno dei paradossi della globalizzazione capitalista: da una parte le piccole patrie, dall'altra l'economia mondiale che richiede sempre maggior integrazione economica e finanziaria. Anche all'Africa. La nascita del Sud Sudan pone molti più problemi al continente di quanti ne ponesse il Sudan prima. Oggi si è voluto creare uno stato chiuso. Le frontiere a sud e a est del Sudan, già difficili da controllare, lo saranno sempre più. Ma siccome c'è il petrolio, c'è la corsa delle grandi potenze per accaparrarsi il mercato. Oggi la capitale del Sud Sudan è una delle città più care del mondo, il che è assai paradossale per uno stato che sta per nascere.

Quale futuro vede per le primavere arabe?

Le grandi potenze hanno rubato la vittoria ai popoli e ora organizzano elezioni destinate a far terra bruciata delle vere istanze di cambiamento. In quei paesi, la sinistra politica e intellettuale è stata liquidata, a volte fisicamente, dai regimi al potere, mentre il mondo occidentale chiudeva gli occhi. Ora i movimenti sociali hanno preso la scena, scavalcando anche l'islamismo politico che non sa più riempire il vuoto lasciato dalla sinistra, come invece si proponeva. Solo che, a differenza della sinistra, le organizzazioni islamiche hanno mantenuto strutture forti e parole d'ordine che potrebbero servire a raccogliere voti in un processo elettorale classico. Come storico, vedo che quando si parla di primavera araba nella parte nord dell'Africa, si lascia intendere che al sud non c'è ancora una primavera. Invece da noi la primavera si è manifestata sotto diverse forme da lungo tempo contro la colonizzazione: una battaglia che abbiamo vinto sotto alcuni aspetti ma perso sotto altri, perché alla decolonizzazione politica non si è accompagnata quella economica. Questo ha permesso ai paesi colonizzatori di controllare le nostre risorse e ai governi africani di ripartirle in modo diseguale. Vi sono però movimenti di resistenza, come nel Delta del Niger che vengono da lontano. Molte cose che ieri non erano possibili, ora lo sono, perché le proteste al sud s'inscrivono in una crisi senza precedenti del sistema capitalista globalizzato e lasciano sperare in un movimento democratico e radicale nei paesi del nord a cui unirsi. Come sinistra africana non crediamo però che la democrazia modello occidentale, già in crisi nei vostri paesi, debba essere esportata. Oggi il problema è che vi sono persone che hanno troppo e altre che non hanno niente. Occorre trovare una leva per cambiare le cose, per fare in modo che dall'indignazionesi arrivi a un processo politico e sociale di vero cambiamento radicale. Uomini come Lumumba e Sankara sono stati uccisi con la complicità delle grandi potenze, ma hanno indicato una strada. Quella di una nuova Comune di Parigi.


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http://rt.com/politics/columns/bridge-too/nato-gaddafi-us-yugoslavia/

RT - October 27, 2011

NATO hunting season in full swing

Robert Bridge


Like dominoes they are falling: Yugoslavia, Afghanistan, Iraq, Libya. Even al-Qaeda leader Osama bin Laden was taken out in a surprise ambush by US special forces at his secret hideout inside of nuclear-armed Pakistan.

Since its first act of aggression on the territory of a sovereign state (on February 28, 1994, NATO aircraft shot down four jets in the Bosnian War) each successive NATO operation is revealing an increasingly disturbing trend: the leaders of the condemned countries are meeting violent, even barbaric ends. Has the rule of law taken a back seat in NATO's global juggernaut?

Compare the ‘natural’ death of Slobodan Milosevic, former President of Serbia and Yugoslavia, with that of the grisly murder of Libyan leader Muammar Gaddafi. Shortly after the end of the Yugoslavian War, which saw a massive NATO aerial bombardment that lasted from March 24, 1999 to June 10, 1999, Milosevic was sent to The Hague to stand trial for charges of war crimes. Milosevic surprised his accusers by deciding to represent himself in the five-year trial. The case, however, abruptly ended without a verdict when the former four-term leader died of an apparent heart attack. 

Although NATO’s participation in the Yugoslav War was flawed from the start (it did not have the full support of the UN Security Council), at least Milosevic was treated to a semblance of civilized legal procedure and decorum. Incidentally, Yugoslavia filed a complaint at the International Court of Justice against ten NATO member countries (Belgium, Germany, France, United Kingdom, Italy, Canada, the Netherlands, Portugal, Spain, and the United States). The Court did not decide upon the case, however, because it ruled that Yugoslavia was not a member of the UN during the war. 

NATO’s next violation of international law occurred in Iraq, where the United States led a wild goose chase in the hunt for weapons of mass destruction, which failed to materialize. 

The Bush administration was then obliged to change its mission statement in Iraq to “democracy building” – an interesting concept from a man who entered the White House due to his selection by a right-leaning Supreme Court, as opposed to his election by We the People. 

Meanwhile, Iraq President Saddam Hussein was found hiding in a hole in Tikrit, whereupon he was treated to the humiliation of a medical examination in full view of media cameras. It was a nice gesture, but Hussein was ultimately hanged on Dec. 30, 2006 by the Iraqi interim government. Many observers questioned why the Baathist leader was not granted a 'fair trial' at the ICC as opposed to a show trial arranged by his political opponents.

That brings us to Libya, where the world was just treated to ghastly images of Muammar Gaddafi being torn apart by a wild mob moments after his capture. Not only does this barbaric execution – the autopsy revealed Gaddafi died from a gunshot wound to the head – speak volumes about what the future holds for this North African nation (which was doing fairly well for itself with free healthcare and education before the civil war began) it shows exactly how callous NATO has become in its coordination of these jolly little wars. 

Although NATO was the primary firepower behind the Libyan opposition’s victory, it did nothing to protect Muammar Gaddafi and ensure that he received a fair trial at the ICC. This was in its power. NATO could have made specific demands on Libya’s opposition that it wanted Gaddafi taken alive. But, possibly not wanting a replay of another highly publicized international trial (ala Slobodan Milosevic), NATO even attacked Gaddafi’s caravan as it was attempting to flee from Sirte. The United Nations resolution never mentioned NATO taking sides in the civil war. It only mentioned that the western military bloc was empowered to “protect civilians.” 

Commenting on Gaddafi’s demise, former Cuban leader Fidel Castro, 85, denounced NATO for its role in the overthrow of Libyan leader, saying the “brutal military alliance has become the most perfidious instrument of repression the history of humanity has known.”

Castro also expressed indignation at the killing of Gaddafi and the subsequent treatment of his body, which he said was “kidnapped and exhibited like a trophy of war, a conduct that violates the most elemental principles of Muslim norms and other religious beliefs.”

Meanwhile, Prime Minister Vladimir Putin called images of Gaddafi being beaten by the mob “disgusting.”

The killing of Gaddafi was not the first time that a wanted individual received what could best be described as barbaric treatment at the hands of his enemies.

As horrible as al-Qaeda leader Osama bin Laden was, what did the US forces who killed him at his ‘secret’ hideout in Pakistan have to gain by not taking him out alive? By all accounts, bin Laden was unarmed and offered no resistance during the much-hyped gunfight. After his summary execution, his body was dumped into the sea, yet flying him back to Afghanistan alive would have been a much shorter trip. And imagine all the secrets bin Laden took to his grave! 

Yes. Osama bin Laden was suspected of committing terrible crimes, but what did his enemies gain by killing him and then disposing of his body in a way that would only further enrage his followers? The answer is simple: nothing.

When will NATO and its member states begin to behave better than their avowed enemies?


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http://histoire.skynetblogs.be/archive/2011/10/21/kadhafi-comme-lumumba-sankara-l8h2.html

http://www.comite-valmy.org/spip.php?article1976

Kadhafi : un symbole anti -impérialiste africain
Assassiné, il devient un héros du combat des peuples pour la liberté 

Les propagandistes de la pressetituée annoncent allègrement que l’OTAN a bombardé le convoi de Mouammar Kadhafi et assassiné celui-ci qui n’a pas survécu à ses blessures. L’annonce de son décès a été confirmée par les marionnettes de l’impérialisme installées dans un prétendu CNT, par Obama, Sarkozy et Cameron, principaux responsables de l’actuelle agression contre la Libye souveraine.

Cette guerre impérialiste menée sous des prétextes mensongers a été soutenue par une ONU manifestement sous contrôle de l’OTAN.

Elle a été facilitée par l’abstention au Conseil de sécurité, de la Russie et de la Chine dont les dirigeants portent ainsi indirectement, une part de responsabilité dans les massacres barbares infligés à l’héroïque peuple libyen.

Kadhafi, le seul chef d’État légitime de la Libye, est rentré dans l’histoire de l’humanité en rejoignant la cohorte des combattants africains contre l’impérialisme et assassinés par celui-ci. Il a pris la stature d’un symbole de la lutte des peuples africains pour l’indépendance et la liberté, celle d’un héros de l’ensemble des peuples du monde qui combattent un ennemi commun : l’impérialisme étasunien et ses vassaux dont la France officielle de Sarkozy est l’un des pires, celui qui manifeste la plus grande soumission et se voit confiées les plus sales et les plus criminelles missions.

En France, l’UMPS ainsi que tous les partis euro-atlantistes et occidentalistes soutiennent la guerre coloniale contre le peuple libyen.

Cette agression barbare a même reçue l’approbation des dirigeants de partis qui se prétendent démagogiquement, à la"gauche" de la "gauche". Ceux-là portent aussi une responsabilité directe dans l’assassinat de Kadhafi qui était prévisible.

La lutte du peuple libyen va pensons-nous, se poursuivre. Elle sera soutenue par les anti-impérialistes du monde entier.

La France sort discréditée de cette aventure impérialiste criminelle qui souligne combien le retrait de notre pays de l’OTAN et de l’Union Européenne porteuses de guerres d’agression occidentalistes est urgente.

"Un peuple qui en opprime un autre ne saurait être un peuple libre" disait Marx. Nous devons en effet, libérer la France !

Vive la lutte pour l’indépendance, la liberté et la souveraineté des peuples, en Afrique et dans le monde entier.

Gloire à Mouammar Kadhafi et au peuple libyen.


Claude Beaulieu, président du Comité Valmy

20 octobre 2011



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Le sang du lion et le festin des rats
 
Syrte ou la Stalingrad du désert, aura résisté de tout son sang contre la barbarie céleste de l’OTAN et ses mercenaires indigènes.
 
Au milieu de ruines fumantes de la ville martyre, un lion est mort. Un lion qui, de son vivant comme dans sa trépas, aura rendu sa fierté à sa patrie, à son peuple, à son continent et à tous les damnés de la terre.
 
Autour de son corps agonisant, tels des rats affamés, les barbares du CNT et de l’OTAN se sont disputés des lambeaux de sa noble chair.
 
« C’est nous qui l’avons achevé » clament les rats du Shape et de l’Elysée.
 
« Non, c’est nous. » rétorquent les rats indigènes.
 
Le corps lacéré de Kadhafi, c’est la Libye lacérée, donnée en pâtures à l’OTAN et au CNT.
 
La Libye de Kadhafi était un pays fier. Ses citoyens ne devaient pas quémander l’aumône à la porte des seigneurs européens.
 
La Libye de Kadhafi était un pays prospère. Elle était l’Eldorado de toute l’Afrique. Un pays de cocagne assurant le plein emploi.
 
La Libye de Kadhafi était un pays paritaire. Les femmes étudiaient et réussissaient mieux que les hommes. Les femmes décidaient. Les femmes dirigeaient. Les femmes combattaient.
 
La Libye de Kadhafi était un pays généreux. Ecoles gratuites munies d’équipements les plus modernes. Hôpitaux gratuits ne manquant de rien. Cette Libye a entre autres, financé RASCOM 1, un satellite de télécommunications qui allait permettre à tous les Africains de téléphoner quasi gratuitement, eux qui payaient les tarifs téléphoniques les plus chers au monde. L’Europe avait été jusqu’à coloniser les réseaux de communication africains, forçant le continent à verser 500 millions de dollars par an pour le transit vocal des Africains sur ses satellites.
 
La Libye de Kadhafi était un pays solidaire. Dotée d’un ministère chargée de soutenir la révolution mondiale, cette Libye a accueilli à bras ouverts tous les résistants du monde, a financé d’innombrables mouvements de libération : Black Panthers, militants anti-Apartheid, résistants chiliens, salvadoriens, basques, irlandais, palestiniens, angolais. Habités par leurs fantasmes primaires, des journaleux européens ont rapporté que des snipers féminins des Forces armées révolutionnaires de Colombie (FARC) avaient été enrôlés par Kadhafi. Pure intox. En revanche, les guerriers du mouvement de libération du Sahara occidental, le Front Polisario, protégeaient bel et bien Tripoli de la barbarie de l’OTAN/CNT.
 
La Libye de Kadhafi a fait l’expérience de la démocratie directe. Kadhafi n’avait qu’un rôle symbolique, celui du vieux sage à la fois redouté et rassurant. La population était encouragée à débattre et à choisir sa destinée à travers les Comités populaires. Pas besoin de parlement ni de partis.
 
 
Hélas, la Libye de Kadhafi n’est pas parvenue à faire vivre une démocratie durable. Les luttes personnelles ont pris le dessus sur les intérêts collectifs. Comme bien des révolutions, la Libye de Kadhafi a connu sa dégénérescence idéologique et son cortège de souffrances et d’injustices.
 
La Libye de Kadhafi n’est pas parvenue à instaurer la concorde entre clans et tribus de la Tripolitaine et de la Cyrénaïque.
 
La Libye de Kadhafi a cru que seule la force viendrait à bout des djihadistes endiablés d’Al Qaida, des opportunistes et des renégats pro-occidentaux.
 
La Libye de Kadhafi a tenté de briser son isolement international, pensant que les rats de l’Elysée, du 10 Downing Street, du Palais Chigi ou de la Maison Blanche viendraient manger dans sa main. Ces rats se sont en réalité sournoisement glissés la manche de sa tunique. Ils ont saisi l’occasion pour infiltrer son pays, le saboter, le ruiner et le pomper pour un siècle.
 
A présent, les rats d’Europe et les rats du CNT étanchent leur soif dans la crinière du lion.
 
Mais le lion s’est dérobé à leurs griffes pour rejoindre Lumumba et Sankara, les autres enfants martyres de l’Afrique héroïque.
 
Buvez, hordes de lâches, buvez ! Que son sang brûle vos entrailles comme le Zaqqoum !
 
Pleurez patriotes libyens pleurez ! Que vos larmes engloutissent vos bourreaux et leurs armées !
 
 
Bahar Kimyongür
21 octobre 2011


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http://www.disarmiamoli.org/index.php?option=com_content&task=blogsection&id=6&Itemid=155

La Libia sotto il tallone della NATO    

Le immagini della macellazione di Muammar Gheddafi sono il miglior commento sull’operazione militare dell’Alleanza atlantica in Libia. Alla ferocia dei macellai locali si somma l’immagine disgustosa di una classe dominante internazionale pronta a massacrare senza battere ciglio chi sino a ieri accoglieva con salamelecchi, trattati di amicizia,  affari e baciamano.

In queste ore gli analisti delle grandi testate giornalistiche e TV sono impegnati a neutralizzare anche storicamente la figura del leader libico, immergendo in un fiume di fango tutto ciò che è stato fatto in quel paese, nel bene e nel male, dalla liberazione dal giogo colonialista nel 1968 sino a pochi mesi fa.

Non ci siamo mai erti a difesa dell’indifendibile, date le vergognose scelte fatte dal governo libico nell’ultimo decennio. Il giudizio sulla leadership libica non ci ha fatto però perdere indipendenza di giudizio sullo scenario nel quale maturavano le condizioni della nuova aggressione.

Molti – anche nel movimento pacifista – sono apparsi come irretiti e prigionieri di una narrazione scritta dai vincitori di oggi, che ha ridotto ai minimi termini il numero di coloro che hanno scelto di battersi contro l’aggressione alla Libia.

Una scelta che rivendichiamo, che continueremo a portare avanti se in quel paese riprenderà una lotta di liberazione nazionale contro il nuovo colonialismo euro – statunitense.

Niente di quello che è successo in Libia in questi mesi, sarebbe stato possibile senza le decine di migliaia di bombe (dalle 40 alle 50mila) sganciate dagli aerei dell’Alleanza atlantica in oltre 10mila missioni di attacco sulla testa di quei libici che avrebbe dovuto “difendere”. Nessuna città sarebbe stata “liberata” senza il supporto a terra di migliaia di soldati e mercenari italiani, francesi, inglesi, impegnati sia nelle retrovie, sia sul fronte, a sostenere una banda di tagliagole denominati “ribelli”, “rivoluzionari” dalla stampa embedded. Le uniche strutture militari di una qualche consistenza sono quelle dei fondamentalisti islamici addestratisi in Iraq e Afghanistan, ora insediati a Tripoli, Sirte, Bani Walid e altre città devastate dai combattimenti.
 
Se le immagini che i mass media occidentali ci propinano in questi giorni hanno un qualche fondamento, con le migliaia di persone che festeggiano il bagno di sangue impugnando insieme alle bandiere dell’ex re senussita quelle inglesi, francesi, statunitensi e italiane, allora saremmo di fronte a diverse leadership locali sostenute da una base di massa reazionaria, lieta di tornare sotto la tutela dei colonialisti di ieri. Non sarebbe la prima volta nella storia.
 
Dubitiamo fortemente di tutto ciò che ci propina la macchina da guerra mediatica al servizio della NATO, per cui ci riserviamo di esprimerci in merito, in attesa degli sviluppi, che promettono altro sangue e guerra.
 
A ventiquattro ore dal massacro di Gheddafi il Presidente degli Stati Uniti comunica al mondo il ritiro totale delle truppe dall’Iraq, mettendo la parola fine a una guerra persa.

La situazione in Afghanistan, a oltre dieci anni dall’inizio delle ostilità, evidenzia una situazione di stallo strategico sul piano militare. Per la potentissima alleanza impegnata a occupare quel paese ciò significa un’ulteriore, cocente, sconfitta.
 
La Libia del futuro promettere di essere una nuova polveriera, a poche miglia marine dalle coste del Bel Paese. La vittoria di oggi potrebbe riservare nuove delusioni per gli apprendisti stregoni della NATO. 
 
Nonostante tutto questo i paesi occidentali, forti delle loro alleanze militari, continuano nella loro opera di “democratizzazione” del mondo, attraverso le loro “operazioni di pace” lanciate per “proteggere” i civili.
 
I mass media nostrani ci dicono che i popoli della Siria, del Libano, dell’Iran attendono trepidanti la prossima liberazione.

Le fucine dei filosofi, degli strateghi militari e di Finmeccanica sono già al lavoro, onde abbreviare i tempi di attesa per la prossima missione.

 
La Rete nazionale Disarmiamoli!

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(by the same author see also / dello stesso autore si veda anche / par le meme auteur:

ORGAN TRAFFICKING IN KOSOVO: A GERMAN CONNECTION? DOSSIER
http://flarenetwork.org/report/enquiries/article/organ_trafficking_in_kosovo_a_german_connection.htm

• Who's behind it? http://flarenetwork.org/report/enquiries/article/whos_behind_it.htm
• A word with: Nancy Scheper-Hughes http://flarenetwork.org/report/enquiries/article/a_word_with_nancy_scheper_hughes.htm
• Investigating organ trafficking http://flarenetwork.org/report/enquiries/article/investigating_organ_trafficking.htm
• The blunt tools of EULEX mission http://flarenetwork.org/report/enquiries/article/the_blunt_tools_of_eulex_mission.htm
• Read the documents http://flarenetwork.org/report/enquiries/article/read_the_documents.htm

Il traffico di organi in Kosovo e la pista tedesca: storia di un’indagine a meta
http://it.peacereporter.net/articolo/30797/Kosovo.+Traffico+di+organi+e+la+pista+tedesca
oppure http://www.flarenetwork.org/media/files/Organs_it.pdf
oppure http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7173

Le trafic d’organes au Kosovo: l’histoire d’une enquête incomplète
http://www.flarenetwork.org/media/files/Organs_fr.pdf )

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http://balkans.courriers.info/article18472.html

Le Courrier des Balkans

Trafic d’organes au Kosovo : essaie-t-on d’étouffer l’affaire ? (1/2)


De notre envoyé spécial

Mise en ligne : lundi 24 octobre 2011
La mission Eulex a désormais repris l’enquête sur les trafics d’organes au Kosovo. Pourtant, selon des sources proches du dossier, Eulex n’aurait pas interrogé un témoin-clé : l’urologue allemand Manfred Ernst Beer, qui serait le véritable propriétaire de la clinique Medicus. Essaie-t-on d’étouffer cette tentaculaire affaire pour protéger non seulement les dirigeants du Kosovo, mais aussi certains responsables internationaux ? Premier volet de notre enquête.

Par Riccardo M. Ghia
Cette enquête a été publiée initialement par Bright Magazine.



Selon des sources proches de l’enquête sur le présumé trafic d’organes au Kosovo, Eulex, la mission de police et de justice de l’Union européenne au Kosovo n’aurait pas interrogé un témoin-clé : Manfred Ernst Beer.

Cet urologue berlinois, qui est le véritable propriétaire de la clinique Medicus, ne figure pas dans la liste de témoins du procès en cours à Pristina. Françoise Lambert, porte-parole d’Eulex, a refusé de confirmer ou démentir l’information. « Nous ne souhaitons pas faire d’autres commentaires que de dire que M. Beer n’est pas suspect », a-t-elle répondu.

Le procès de la clinique Medicus

Medicus, clinique privée située dans la périphérie de Pristina, a été fermée par les autorités en novembre 2008 après de forts soupçons sur des transplantations illégales d’organes. L’enquête a été relancée lorsque les autorités ont arrêté à la frontière Yilman Altun, un jeune Turc de 24 ans qui ne pouvait prendre l’avion pour rentrer à Istanbul en raison de problèmes de santé liés à l’ablation d’un rein.

Selon les enquêteurs, les receveurs allemands, israéliens, canadiens et polonais étaient prêts à payer jusqu’à 90.000 euros pour un rein. Les donneurs originaires des pays pauvres d’Europe de l’Est et d’Asie centrale, recevaient en revanche moins de 10.000 euros.

Le procureur de l’UE, Jonathan Ratel, a inculpé neuf personnes dans cette affaire. Lufti Dervishi et son fils Arben, les personnes clés de l’enquête, ont bénéficié du soutien de politiciens influents du Kosovo. Mais il y a d’autres illustres accusés : Driton Jilta, un ancien officier de l’OSCE au Kosovo, Ilir Rrecaj, ancien ministre de la Santé du Kosovo, Hajdina Sokol, Islam Bytyqi, et Dulla Suleiman, anesthésistes à la clinique Medicus, Moshe Harel, soupçonné d’être l’intermédiaire israélien.

Et enfin Yusuf Erçin Sönmez, un chirurgien turc visé dans d’autres investigations pour son implication présumée dans le trafic d’autres organes, plus connu sous les surnoms de Docteur Vautour et Docteur Frankenstein. Le procureur d’Istanbul a d’ailleurs récemment requis 171 ans de prison à son encontre (Voir notre article : Trafic d’organes au Kosovo : le « Dr Vautour » risque 171 ans de prison ). Au cours de sa carrière, Sönmez a été arrêté au moins six fois, mais il a toujours été relâché.

Un chirurgien israélien, Zaki Shapira, et un autre médecin, le Turc Kenan Demirkol, ont été cités dans l’acte d’accusation du procureur Ratel comme « complices en attente d’inculpation ». La clinique Medicus avait obtenu l’autorisation d’exercer en cardiologie, mais pas en urologie, en dépit de demandes réitérées de la part de Dervishi depuis 2003.

Dervishi, Thaçi et la « Maison Jaune »

Lufti Dervishi, professeur à l’Université de Pristina depuis 1982 et propriétaire officiel de la Clinique Medicus, est un allié important du Premier ministre kosovar, Hashim Thaçi, également chef du Parti démocratique du Kosovo (PDK). Selon Francis Mandoi, ancien procureur d’Eulex aujourd’hui procureur national adjoint anti-mafia à Rome, cette amitié entre Hashim Thaçi et Lufti Dervishi est ancienne.

La famille Dervishi a accueilli Hashim Thaçi quand son domicile avait été visé par un attentat. Quelques années plus tard, Lufti Dervishi a offert à Thaçi l’appartement situé au-dessus de sa maison de Pristina. Rappelons qu’Hahim Thaçi était le chef politique de l’Armée de libération du Kosovo (UÇK). Jusqu’en 1998, le Département d’État américain qualifiait l’UÇK d’organisation terroriste. Un an plus tard, les miliciens albanais étaient devenus les plus proches alliés de Washington dans les Balkans.

Dans la foulée des bombardements de l’Otan, les Serbes et ceux qui collaboraient avec Belgrade n’ont pas été les seules victimes de règlements de comptes de l’UÇK. La violence a éclaté aussi contre les rivaux politiques et militaires des FARK, groupe de résistance albanais proche d’Ibrahim Rugova, et au sein même de factions dissidentes de l’UÇK.

Lufti Dervishi a été souvent vu près de la « Maison Jaune » (Voir notre article : Trafic d’organes de l’UÇK : la clinique fantôme de Dick Marty), explique Francis Mandoi. Les enquêteurs internationaux pensent que la « Maison Jaune » était un centre de détention secret sous le contrôle des miliciens de l’UÇK, où « des prisonniers Serbes et Albanais étaient soumis à des tests de compatibilité avant de procéder à la transplantation », poursuit M. Mandoi.

Sur la base des descriptions fournies par plusieurs témoins, la « Maison Jaune » a été identifiée dans une ferme près de Burrel, dans le nord de l’Albanie, non loin de Prizren, la deuxième plus grande ville du Kosovo. À cette époque, la région de Prizren, près de la frontière albanaise, était contrôlée par les soldats de l’UÇK sous le commandement de Thaci. La clinique Medicus a d’abord été implantée à Prizren estime le procureur Mandoi, qui souligne toutefois que les enquêteurs n’ont pu établir aucune preuve confirmant les affirmations des témoins quant à la présence de Devishi près de la « Maison Jaune ».

Après la guerre, les soldats allemands de la Kfor ont pris le contrôle de la région de Prizren. Deux eurodéputés allemands, Bernd Posselt et Doris Pack, ont attaqué le rapport du Conseil de l’Europe dans lequel l’ancien procureur suisse Dick Marty dénonçait un trafic présumé d’organes au Kosovo (Voir notre article : Trafic d’organes de l’UCK : une bombe pour le Kosovo ?). Selon Marty, le trafic aurait commencé avec les prisonniers capturés et tués par l’UÇK, puis aurait continué dans la clinique Medicus avec des donneurs venant de pays pauvres d’Europe et d’Asie.

En mars dernier, les deux eurodéputés allemands ont raconté au journal irlandais Irish Times que Marty n’avait présenté aucune preuve concrète lors d’une réunion à huis clos de la Commission des Affaires Etrangères du Parlement européen. Doris Pack a précisé qu’« au moins 90% » des députés avaient sévèrement critiqué le dossier de Marty.

De son côté, l’eurodéputé italien Pino Arlacchi, a fourni une version radicalement différente des événements. « Pack et Posselt ont accusé Marty avec des arguments très faibles », affirme M. Arlacchi, « mais la majorité des députés, moi compris, ont approuvé le rapport du Conseil de l’Europe ».

Lufti Dervishi contre Dr Beer

Le journal néerlandais Bright Magazine a trouvé des preuves confirmant que Dervishi a reçu jusqu’à 3 millions d’euros d’un urologue renommé à Berlin, Manfred Ernst Beer. Les deux hommes se connaissent depuis longtemps : Dervishi a étudié et travaillé en Allemagne avec le docteur Beer. L’avocat de Lufti Dervishi, Linn Slattengren, a déclaré que son client administrait un certain nombre de biens immobiliers au Kosovo pour le compte du Dr Beer. L’investissement s’est avéré rentable et Manfred Beer lui a ensuite proposé d’ouvrir une clinique. À partir de là, les versions fournies par les versions de Beer et Dervishi divergent.

Selon Linn Slattengren, Manfred Beer aurait investi 3 millions d’euros et aurait été directement impliqué dans la sélection des médecins pour pratiquer des opérations chirurgicales à la clinique Medicus. De son côté, le docteur Beer a déclaré à la presse qu’il n’avait pas donné à Dervishi plus de 300.000 euros et qu’il n’avait joué aucun rôle dans le recrutement du personnel médical de la clinique.

Une source proche de l’enquête, qui a requis l’anonymat, raconte que l’urologue allemand n’a pas été soupçonné de quoi que ce soit ni fait l’objet d’une enquête. Son nom n’apparaît pas dans la liste des témoins, et il n’aurait pas été interrogé sur son rôle dans la clinique Medicus.

« Les enquêteurs auraient dû interroger Manfred Beer et déterminer s’il était impliqué dans des activités illégales », explique Lawrence Marzouk, le rédacteur en chef de Prishtina Insight, le seul journal du Kosovo en langue anglaise. « Je pensais qu’ils l’avaient interrogé suite aux conversations que j’ai eues avec Eulex. Si ça n’a pas été le cas, cette situation soulève des questions troublantes sur la qualité de l’enquête », estime-t-il.

Eulex, une mission dans la tourmente

La mission Eulex est la plus grande mission de l’UE à l’étranger en termes d’effectifs et de ressources. L’équipe, composée de policiers et de magistrats, compte plus de 3.000 personnes, dont près de 2.000 internationaux et 1.250 kosovars. Le commandement de la mission a été confiée au général français Xavier Bout de Marnhac.

En théorie, Eulex travaille sous la supervision de la Minuk, l’Administration intérimaire des Nations unies au Kosovo. En réalité, Eulex a remplacé la Minuk à partir de sa mise en œuvre début décembre 2008, et son chef n’est pas le Secrétaire général des Nations unies, mais Catherine Ashton, Haut Représentant de L’Union européenne pour les affaires étrangères et la défense.

« La Minuk a laissé un lourd héritage », rappelle Alberto Perduca, en charge de la justice pour Eulex jusqu’à 2010 et aujourd’hui procureur adjoint à Turin. « Eulex a reçu des milliers de dossiers, dont environ 1.200 relatifs aux crimes de guerre. Un nombre de dossier qui paralyserait n’importe quel bureau de procureur », précise M. Perduca. En essayant de garder profil bas, la mission Eulex a rouvert des enquêtes et engagé des poursuites contre des politiciens de premier plan ou leurs collaborateurs.

« Nous avons eu pour tâche de restaurer la primauté du droit dans un environnement international extrêmement fragile, à travers la participation progressive des institutions locales », explique le magistrat. Mais le système judiciaire au Kosovo, exposé à la forte intimidation du pouvoir, a montré une certaine réticence à s’occuper directement des dossiers les plus brûlants.

Eulex assure également la protection du repenti Nazim Bllaca, ancien membre du Shik, le service secret du PDK, aujourd’hui officiellement dissous, mais qui est toujours actif. Bllaca a admis qu’il avait pris part à plusieurs meurtres et qu’il avait mené une série d’actions illégales contre les adversaires du PDK (Voir notre article : Meurtres politiques au Kosovo : « nous avons tué 600 personnes en un an »).

Les procès qui ont été rouverts contre des personnages influents comme Fatmir Limaj, Ramush Haradinaj et Lufti Dervishi, n’ont certainement pas attiré la sympathie du gouvernement et de l’opposition du Kosovo. D’autre part, de nombreux Kosovars se plaignent du fait qu’Eulex ne va pas assez loin dans la lutte contre le crime organisé. Les nationalistes de Vetevëndosje (Autodétermination) sont les détracteurs les plus sévères de la mission européenne au Kosovo.

Eulex a également rencontré une forte résistance lors des enquêtes sur le présumé trafic d’organes à la suite des bombardements de l’Otan en 1999. Dick Marty, rapporteur du Conseil de l’Europe, et Carla Del Ponte, ancienne présidente du TPI qui a la première publiquement évoqué ce trafic d’organes en 2008, se sont plaints de l’absence d’un programme adéquat de protection des témoins et d’un mandat officiel permettant de mener des enquêtes sur le territoire albanais (Voir notre article : Crimes de guerre au Kosovo : des témoins sans aucune protection).

Enquêter au Kosovo, mission impossible ?

Selon Alberto Perduca, la petitesse du Kosovo et son tissu social fondé sur des liens familiaux font qu’il est impossible de protéger adéquatement les témoins au Kosovo. « La coopération internationale est essentielle », assure le procureur, et « tant que les autres Etats n’accepteront pas de recevoir et protéger des témoins, enquêter sera très difficile ». Or, « enquêter sur le trafic d’organes n’est pas une option, c’est un devoir », tonne-t-il et « si l’Albanie continue à ne pas accorder d’assistance juridique pour permettre à Eulex d’avoir accès au lieu présumé des crimes, l’enquête restera paralysée » (Voir notre article : Trafic d’organes : l’Albanie accuse Dick Marty, mais est ouverte à une enquête).

La crédibilité d’Eulex a encore une fois été mise à mal avec la mort du témoin clé de l’affaire Kleçka, dans laquelle Fatmir Limaj, ancien ministre des Transports aujourd’hui député du PDK et ancien chef de l’UÇK, est impliqué (Voir notre article : Crimes de guerre et protection des témoins au Kosovo : « Eulex m’a tuer »). Agim Zogaj a été retrouvé pendu à Duisburg, en Allemagne, où il avait été exfiltré pour plus de sécurité.

Pour la police allemande, il ne fait aucun doute que l’homme, plus connu sous le nom de « témoin X » s’est suicidé. Cette version officielle a été accueillie avec scepticisme par l’opinion publique. La famille Zogaj accuse Eulex d’être responsable de la mort d’Agim et d’être incapable d’assurer une protection efficace aux témoins.

Aujourd’hui, la crédibilité d’une nouvelle équipe spéciale d’Eulex pour mener l’enquête sur le présumé trafic d’organes au Kosovo est en jeu. Étonnamment, c’est le procureur américain John Williamson Clinton qui a été nommé pour diriger cette investigation. Williamson se trouvait à la tête du ministère de la Justice du Kosovo entre 2001 et 2002, lorsque le territoire était sous administration des Nations unies. Il était chargé de contrôler les prisons et le système judiciaire du Kosovo.


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http://balkans.courriers.info/article18474.html

Le Courrier des Balkans

Trafic d’organes au Kosovo : le « docteur Vautour » et les mafias internationales (2/2)


De notre envoyé spécial

Mise en ligne : vendredi 28 octobre 2011

Le présumé trafic d’organes au Kosovo s’inscrit-il dans un réseau mafieux à grande échelle ? Yusuf Erçin Sönmez alias « docteur Vautour », semble jouer un rôle crucial dans cette affaire. Le chirurgien qui opérait à la clinique Medicus est mêlé aux mafias internationales de trafic d’organes depuis les années 1990 et se vante même de plus de 2.000 transplantations... Deuxième volet de notre enquête.

Par Par Riccardo M. Ghia
Cette enquête a été publiée initialement par Bright Magazine.


Les internationaux étaient au courant d’un présumé trafic d’organes au Kosovo depuis au moins 2003. À ce moment-là, les enquêteurs de l’Onu remettaient un rapport de 29 pages sur les témoignages évoquant des centres de détention secrets dans le nord de l’Albanie. L’enquête a été arrêtée un an plus tard, classée sans suites.

Deux journalistes italiens, Giuseppe Romano et Vittorio Ciulla, ont publié des documents qui montrent qu’en 2005 la clinique Medicus avait attiré l’attention de la Financial Intelligence Unit, une institution indépendante qui dépend avec le ministère kosovar de l’Économie et des Finances. Les agents avaient constaté que le centre de transfusion du Kosovo (KBTC) avait fourni une quantité anormale de sang à certaines cliniques privées de Pristina.

La clinique Medicus figurait parmi les acheteurs, les transplantations d’organes nécessitant de grandes quantités de sang. Le centre a reçu des transfusions du KBTC en échange de 100 euros pour chaque poche de sang. Une somme qui correspond au tiers du salaire moyen d’un médecin au Kosovo. Encore une fois, les autorités n’ont pas approfondi leurs contrôles.

Les premiers soupçons de trafic d’organes au Kosovo ne sont apparus dans la presse internationale qu’en avril 2008 lorsque l’ancienne procureur du TPI Carla Del Ponte a révélé dans son livre La Traque, les criminels de guerre et moique des centaines de Serbes auraient été enlevés et tués pour leurs organes (Voir notre article : Trafic d’organes de l’UÇK : Carla Del Ponte pour la saisine de la CPI). Au mois d’octobre, Eulex lançait une enquête sur la clinique Medicus.

En 2010, l’ancien procureur du canton du Tessin, Dick Marty, a confirmé ces allégations dans un rapport rédigé pour le Conseil de l’Europe (Voir notre article : Trafic d’organes : Dick Marty s’explique), précisant que « la composante du trafic d’organes au cours des détentions dans la période qui a immédiatement suivi le conflit [...] est liée au dossier actuel relatif à la clinique Medicus, sans compter le rôle central de personnalités albanaises et kosovares ». Marty écrit notamment que l’actuel Premier ministre, Hashim Thaçi, était le chef d’une organisation criminelle, le « Groupe de Drenica », directement liée au présumé trafic d’organes (Voir notre article : Kosovo : Thaçi impliqué dans l’organisation du présumé trafic d’organes de l’UCK).

Dick Marty accuse également Shaip Muja, chargé des questions de santé au sein de l’UÇK, puis conseiller politique auprès d’Hashim Thaçi, d’avoir fait partie d’une organisation de trafic d’organes, en ajoutant que Muja recevait le soutien d’ « éléments de l’armée et des services secrets albanais » (Voir notre article : Kosovo : Shaip Muja bientôt inculpé dans l’affaire de la clinique Medicus ?).

Le « Docteur vautour », une figure centrale des trafics internationaux d’organes

Le travail de Nancy Scheper-Hughes, professeur d’anthropologie à la prestigieuse université de Berkeley, ressemble plus à celui d’un détective engagé plutôt que d’une universitaire. Le travail d’enquête qu’elle a effectué après s’être infiltrée dans les réseaux de trafic d’organes ont fait d’elle l’un des plus grands experts sur le sujet depuis le milieu des années 1990.

À l’époque, elle s’est heurtée à un mur de scepticisme et d’isolement. Selon un rapport du Département d’État américain datant de 2004, il serait « impossible de cacher un trafic d’organes ». Pourtant, quelques années plus tard, les enquêtes policières de plusieurs pays auxquels elle a prêté assistance (le Brésil, l’Afrique du Sud, les Etats- Unis, la Moldavie, la Turquie et Israël) lui ont donné raison.

Zaki Shapira, un des chirurgiens israéliens les plus célèbres, aujourd’hui soupçonné de trafic d’organes, a fait partie du comité d’éthique de la Fondation Rockefeller à Bellagio (Italie) où il a travaillé avec Scheper-Hughes. « C’était absurde. Zaki, qui était membre de la Task Force Bellagio contre le trafic international d’organes de 1996 à 1997, faisait partie d’un réseau international de trafic de reins », raconte l’anthropologue américaine.

« Depuis le début des années 1990, Shapira et son partenaire Yusuf Sönmez (le chirurgien turc impliqué dans l’affaire Medicus au Kosovo, NDLR) utilisaient les remboursements d’assurances de santé israéliennes et des ressources provenant d’opérations de blanchiment d’argent pour financer les trafics d’organes internationaux. » Dans un fichierPower Point en la possession du Scheper-Hughes, Sönmez alias « Docteur Vautour », se vante même d’avoir effectué plus de 2.200 transplantations illégales de reins.

L’implication de l’Armée dans les trafics d’organes

Comment est-il possible qu’un trafic d’organes internationaux puisse prospérer sans être détecté ? « La seule chose que je peux dire, c’est que le trafic d’organes est un crime ‘protégé’ dans de nombreux États. En période de guerres et de catastrophes naturelles, ainsi que dans les pays ‘militarisés’, il y a des trafics d’organes et de tissus humains », assure Scheper-Hughes. « Il a fallu dix ans pour que quelqu’un écoute de ce que j’avais à dire. J’ai la preuve de ce que je dis. »

« Dans les États actuellement ou anciennement militarisés comme Israël, le Brésil, l’Argentine ou l’Afrique du Sud, des personnes ont été tuées pour que l’on prenne leurs organes. Je sais que cela peut être fait, et ce n’est même pas difficile. Regardez ce que la Chine fait avec ses prisonniers. Enlever les organes n’est pas un gros problème. Tout ce dont vous avez besoin, c’est d’un moyen pour préserver correctement les organes et un personnel technique compétent. L’organisation Eurotransplant, pour des raisons altruistes, transporte des organes à travers l’Europe jusqu’en Turquie. »

Dans les affaires de trafic d’organes, l’Armée n’est jamais très loin. Exemple : le général israélien à la retraite, Zamir Meir, héros de la guerre du Kippour, est accusé par la justice israélienne d’être le chef d’un réseau criminel de trafic d’organes lui aussi lié à Yusuf Sönmez.

Ce n’est pas le seul cas. M.R., agriculteur de San Cipriano d’Aversa, près de Naples, a rencontré un Américain dans un pub fréquenté par des soldats US. L’homme lui a fourni le contact d’une clinique turque et le nom d’un chirurgien : Sönmez, encore une fois. La promesse ? Un nouveau rein et une nouvelle vie en échange de 220 million de lires, soit environ 110.000 euros. L’enquête a été arrêtée et classée, sans faire de bruit.

Trafic d’armes et trafic d’organes : toute vérité n’est-elle pas bonne à dire ?

En mai 1996, Xavier Bernard Gautier, correspondant du Figaro et expert des Balkans, a été retrouvé pendu à son domicile, sur l’île de Minorque. Les autorités espagnoles n’ont eu aucun doute sur sa mort : « un suicide ». Cependant, les circonstances étaient plutôt singulières.

Xavier Bernard Gautier a été retrouvé les mains liées et sur les murs de la maison, était écrit : « Traître » et « Diable Rouge », le surnom de Roberto Delle Fave, un mercenaire italien qui avait combattu en Bosnie pour les forces croates et qui avait révélé à Gautier des détails sur un trafic d’armes vers l’Autriche et un trafic d’organes vers l’Italie.

Un journaliste français a déclaré à la presse que Gautier avait en sa possession un article susceptible de mettre sa vie en péril. Ce papier portait sur « les criminels de guerre de l’ancienne Yougoslavie, mais aussi sur des personnalités importantes en Italie ». Quelques années plus tard, les procureurs de Trieste Nicola Maria Pace et Federico Frezza ont suivi précisément la piste d’un trafic d’organes d’immigrants chinois entre l’ancienne Yougoslavie et l’Italie.


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COSE CHE CAPITANO AGLI APPRENDISTI STREGONI /
WHAT MAY HAPPEN TO SORCERER'S APPRENTICES


VIDEO: 
http://video.repubblica.it/mondo/sarajevo-musulmano-spara-all-ambasciata-usa/79488/77878
http://www.youtube.com/watch?v=CO8svFMwXvw
http://www.youtube.com/watch?v=n5U8KpsEFo0


http://www.repubblica.it/esteri/2011/10/28/news/arrestato_sparatore_sarajevo-24048986/?ref=HREC1-2

SARAJEVO

Spari contro l'ambasciata Usa
Ferito e arrestato fondamentalista

Un uomo, musulmano wahabita, ha fatto fuoco contro la sede diplomatica nella capitale bosniaca. Feriti due agenti di guardia. E' stato colpito da un tiratore della polizia e preso in custodia

SARAJEVO - Ha esploso diversi colpi con un'arma automatica verso la sede dell'ambasciata americana a Sarajevo, e prima di essere arrestato ha ferito due agenti di guardia. E' stato un fondamentalista islamico a creare il caos nella capitale bosniaca: armato di kalashnikov, si è messo a sparare davanti all'edificio ed è stato a sua volta ferito da un tiratore scelto della polizia e arrestato. Lo ha reso noto un portavoce della polizia bosniaca, dopo che in un primo momento era stato riferito che l'attentatore era stato ucciso. 

La radio bosniaca riporta che l'uomo, identificato dall'emittente B92 come Mevlid Jasarevic, 23 anni, cittadino serbo della città a maggioranza musulmana di Novi Pazar, è con ogni probabilità musulmano wahabita, la corrente dominante dell'Islam in Arabia Saudita. Secondo i media locali, era in contatto con una comunità di fondamentalisti islamici nel nord della Bosnia. L'uomo è stato "medicato sul posto e poi trasferito in ospedale sotto il controllo della polizia". 

Un video lo mostra con un cappotto in stile militare e una lunga barba tipica dei fondamentalisti islamici mentre avanza verso la rappresentanza diplomatica. Secondo alcune testimonianze, durante l'attacco, durato circa mezz'ora, avrebbe urlato "Allah Akbar"

Jasarevic è noto alla 
polizia per aver più volte visitato il villaggio di Gornja Maoca, nel nord est della Bosnia, una località situata in zona impervia e isolata abitata da una piccola comunità di musulmani wahabiti: una trentina di famiglie, che vivono secondo un'interpretazione restrittiva della sharia, fedeli all'Islam radicale. 

L'anno scorso la polizia ha effettuato un blitz nel villaggio ed ha arrestato sette persone con l'accusa di minaccia all'"integrità territoriale e alla Costituzione della Bosnia-Erzegovina e di promuovere l'odio etnico, razziale o religioso". La comunità, secondo la stampa, è stata fondata da alcuni ex mujaheddin, di quelli che durante la guerra (1992-95) erano venuti a combattere a fianco dei musulmani bosniaci, la maggior parte dei quali lasciò il Paese alla fine del conflitto. Chi è rimasto si è dedicato alla diffusione della dottrina radicale ed integralista.

La portavoce della missione Usa ha confermato che c'è stato "un incidente di fronte all'ambasciata", che è stata chiusa. La rappresentanza diplomatica americana si trova nel quartiere commerciale e delle università della capitale a maggioranza musulmana della Bosnia-Erzegovina. Nel 2002 ci fu un allarme attentati per l'ambasciata Usa ma è la prima volta che la sede viene di fatto attaccata.

Parole nette contro l'attacco sono state espresse da Bakir Izetbegovic, membro musulmano della presidenza tripartita bosniaca: "Condanno con la più grande fermezza l'attacco terroristico contro l'ambasciata degli stati Uniti in Bosnia Erzegovina", ha detto in un comunicato Izetbegovic. "Mi attendo - ha aggiunto - che le istituzioni competenti procedano a un'inchiesta urgente ed efficace su questo atto folle".


(28 ottobre 2011)


FOTOSEQUENZA: http://www.repubblica.it/esteri/2011/10/28/foto/sarajevo_fondamentalista_spara_davanti_all_ambasciata_usa-24049280/1/?ref=HRER2-1

Un estremista islamico armato di kalashnikov ha sparato contro l'ambasciata Usa a Sarajevo ferendo due agenti di guardia, prima di essere ferito da un tiratore scelto della polizia e arrestato


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("L'arbitrio come principio": questo il titolo dell'analisi seguente, dedicata alle oscene teorizzazioni della fondazione culturale legata alla socialdemocrazia tedesca, che rivendica le stragi operate in Libia ed altri paesi ed auspica che ne siano commesse altre altrettanto "umanitarie")

http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/58186

Willkür als Prinzip
 

28.10.2011
BERLIN
 
(Eigener Bericht) - Die SPD-nahe Friedrich-Ebert-Stiftung plädiert für die Entwicklung umfassender Operationsmodelle für künftige Militäreinsätze à la Libyen. Der Libyen-Krieg sei ein voller Erfolg gewesen, heißt es in einer soeben von der Stiftung publizierten Studie. Unter anderem habe er den Grundsatz der sogenannten Responsibility to Protect ("Schutzverantwortung") gestärkt, mit dem Interventionen in aller Welt legitimiert werden können, um bei tatsächlich oder angeblich drohenden Massenverbrechen einzuschreiten. Für die kommenden Militäroperationen unter diesem Etikett müsse eine neue "zivil-militärische(...) Doktrin" entwickelt werden, erklärt die Stiftung und würdigt explizit die "Pionierarbeit", die ein US-Programm unter Mitwirkung hochrangiger Militärs dazu geleistet habe. Während die sozialdemokratische Organisation zukünftige Gewaltoperationen fest in den Blick nimmt, übt ein Völkerrechtsprofessor von der Universität Hamburg scharfe Kritik an der Intervention in Libyen. Wie Reinhard Merkel urteilt, haben die NATO-Staaten, indem sie einen Regimesturz in Tripolis herbeibombten, "Tausende Libyer ebenjenes Leben gekostet (...), das zu schützen der Auftrag der NATO gewesen ist". Das Vorgehen des Westens werfe auf das von der Ebert-Stiftung propagierte Konzept der "Responsibility to Protect" einen "finsteren Schatten".

RtoP

Die aktuelle Studie der Friedrich-Ebert-Stiftung, die die Entwicklung neuer Operationsmodelle für sogenannte humanitäre Interventionen fordert, bezieht sich auf das Prinzip der "Responsibility to Protect" (RtoP, R2P). Dabei handelt es sich um ein Konzept, das nach Anstößen des damaligen UN-Generalsekretärs Kofi Annan in den Jahren 2000 und 2001 entwickelt worden ist, um "humanitären Interventionen" eine formelle Legitimation zu verschaffen. Erarbeitet worden ist es maßgeblich von einer in Kanada eingesetzten Kommission ("International Commission on Intervention and State Sovereignty", ICISS), der einflussreiche westliche Militärs angehörten, darunter etwa der einstige Generalinspekteur der Bundeswehr und frühere Vorsitzende des NATO-Militärausschusses, Klaus Naumann.[1] Teile des Konzepts sind in abgemilderter Form im Jahr 2005 vom UNO-Weltgipfel angenommen worden. Demnach sind alle Staaten verpflichtet, ihre Bevölkerung gegen Völkermord und andere Massenverbrechen zu schützen. Kommen sie dieser Pflicht nicht nach, dann bestehe bei den UN eine "Verantwortung" ("responsibility"), den Schutz der Bevölkerung durchzusetzen. Dazu seien, heißt es in dem UNO-Dokument, diplomatische, humanitäre und andere friedliche Mittel zulässig.

Lieber keine Kriterien

Zentrale Bedeutung kommt bei der "Responsibility to Protect" drei Aspekten zu. Der erste besteht darin, dass der Westen sich grundsätzlich auch militärische Mittel offenhält, um bei tatsächlichen oder angeblichen Massenverbrechen einzuschreiten. Andere Staaten lehnen dies ab. Auch weisen Experten darauf hin, dass gerade die westlichen Staaten die "Einführung von Kriterien" verhindert haben, "die den Prozess der Entscheidungsfindung (...) in irgendeiner Form beeinflussen könnten".[2] So sei etwa in den Beschlüssen des UNO-Weltgipfels 2005 "an keiner Stelle" auf die durch die ICISS "vorgeschlagenen Kriterien zur Legitimierung militärischer Maßnahmen Bezug genommen" worden. Da Kriterien fehlen, stehen der Willkür Tür und Tor offen; man kann intervenieren, wo es die eigenen Interessen nahelegen, woanders jedoch Massaker geschehen lassen. Drittens ist es bei dem globalen Ungleichgewicht politischer, ökonomischer und militärischer Macht undenkbar, dass sich im Namen einer förmlich kaum geregelten "Responsibility to Protect" schwächere Länder des Südens etwa zur Eindämmung von Kriegsverbrechen gegen die hegemonialen Staaten des Westens durchsetzen können. Damit allerdings erweist sich "RtoP" als westliches Willkürinstrument zur Legitimierung der eigenen militärischen Interventionen.

Welt der Interessengegensätze

Wie es nun in dem neuen Papier der Friedrich-Ebert-Stiftung heißt, sei die "Responsibility to Protect" mit dem Militäreinsatz in Libyen "auf ein neues Niveau befördert" worden.[3] Schließlich habe der Sicherheitsrat der Vereinten Nationen mit seiner Resolution 1973 vom 17. März 2011 zum ersten Mal "eine militärische Intervention zum Schutz einer Zivilbevölkerung mit Verweis auf diese Schutzverantwortung beschlossen". Die Studie räumt ein, dass die UNO-Resolution ausschließlich Maßnahmen zum Schutz der Zivilbevölkerung vorsah, während die NATO unter Inkaufnahme von Opfern unter der Zivilbevölkerung einen Regimewechsel herbeibombte. Allerdings behaupten die Autoren, zum Schutz der Zivilbevölkerung könne ein militärisch herbeigeführter "Regimesturz" ein legitimes Mittel sein. Die blanke Willkür, die dem Befinden darüber zugrunde liegt, wann und unter welchen Umständen ein "Regimesturz" zulässig sein soll, wird in der Studie eingestanden: So heißt es, die "Responsibility to Protect" sei kein "abgehobenes Normengebilde", sondern ein "Ringen (...) in einer Welt der Inkonsequenz und Interessengegensätze". Der angeblichen "Legitimität" des Libyen-Krieges schade das jedoch nicht.

Handlungsoptionen ausweiten

Tatsächlich plädiert die Ebert-Stiftung dafür, das Konzept der "Responsibility to Protect" sorgfältig weiterzuentwickeln - insbesondere im Hinblick auf Kriegsinterventionen. So stelle sich "die Frage einer besseren Umsetzung der Schutzverantwortung auch im militärischen Bereich".[4] Streitkräfte seien bei "humanitären Interventionen" mit "einem weitestgehend unbekannten Operationstypus konfrontiert", der "einzigartige Herausforderungen birgt und daher einer eigenen zivil-militärischen Doktrin bedarf". Bei deren Entwicklung müssten möglichst rasch "Fortschritte erzielt" werden - um "die Handlungsoptionen der Politik" auszuweiten. Dabei verweisen die Autoren der Studie - Volker Lehmann von der New Yorker Außenstelle der Friedrich-Ebert-Stiftung und Robert Schütte von der Menschenrechtsorganisation Genocide Alert - auf ein US-amerikanisches Programm namens "Mass Atrocity Response Operation Project" ("MARO Project"). Im Rahmen des MARO Project wird seit 2007 an Strategien gearbeitet, wie Militärinterventionen im Falle blutiger Massenkämpfe am besten zu gestalten seien. Kooperationspartner sind ein Forschungszentrum der Harvard University sowie eine Einrichtung des U.S. Army War College.

Illegal, illegitim, verwerflich

Während die Friedrich-Ebert-Stiftung künftige Gewaltoperationen fest in den Blick nimmt, übt ein Völkerrechtsprofessor von der Universität Hamburg scharfe Kritik an ihrem aktuellen Bezugspunkt - am Libyen-Krieg. Wie Reinhard Merkel urteilt, haben die NATO-Staaten die Resolution 1973 zum Schutz libyscher Zivilisten nicht nur eklatant gebrochen, indem sie bei zahlreichen Bombardements Zivilisten töteten, um einen Regimesturz herbeizuführen. Völkerrechtswidrig habe auch "die Verlängerung der Gewaltanwendung noch nach der offenkundigen Entmachtung Gaddafis" - etwa bei den Angriffen auf Sirte - "Tausende Libyer ebenjenes Leben gekostet (...), das zu schützen der Auftrag der NATO gewesen ist". Es sei alles in allem "illegal, illegitim und verwerflich, jedes politische Ziel, das man außer dem autorisierten mit seiner Gewaltanwendung noch verfolgt (...), unter einen zur Gestaltlosigkeit gedehnten Begriff von 'Schutz' zu subsumieren, damit alle Grenzen der erlaubten Gewalt zu sprengen und dies von Tausenden der solcherart 'Beschützten' mit dem Leben bezahlen zu lassen".[5]

Maskerade

Wie Merkel erklärt, habe der Libyen-Krieg sogar das Prinzip der "Responsibility to Protect", das der Völkerrechtler persönlich als "erfreulich" beurteilt, schwer verletzt.[6] "Wie alle Hilfspflichten ist die RtoP in ihrem Inhalt unbestimmt", schreibt der Völkerrechtler: "Das empfiehlt sie geradezu als Maskerade für jederlei sonstigen Zweck." Paradebeispiel sei die Maskierung des Ziels, Gaddafi zu stürzen, mit dem "Schutz der Zivilbevölkerung". Für die "Mehrheit der Staaten", urteilt Merkel, "dürfte auf die RtoP ein finsterer Schatten des Zweifels gefallen sein." Dieser Schatten werde die Weiterentwicklung des Konzepts, dessen militärische Komponente die Friedrich-Ebert-Stiftung gerade mit Blick auf den Libyen-Krieg propagiert, noch "lange begleiten und irritieren".

[1] s. dazu Grand Strategy
[2] Christian Schaller: Gibt es eine "Reponsibility to Protect"? Aus Politik und Zeitgeschichte 46/2008
[3], [4] Volker Lehmann, Robert Schütte: Die Zukunft der "Responsibility to Protect" nach dem Fall Gaddafis, www.fes.de Oktober 2011
[5], [6] Reinhard Merkel: Die Intervention der NATO in Libyen. Völkerrechtliche und rechtsphilosophische Anmerkungen zu einem weltpolitischen Trauerspiel, Zeitschrift für Internationale Strafrechtsdogmatik 10/2011

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www.resistenze.org - materiali resistenti in linea - iper-classici - 18-10-11 - n. 381


Lenjin


Evropa uzmiče, Azija napreduje


Pravda, br. 113 (317) od 3 (8) maja 1913.


Suprotstavljanje ovih riječi izgleda kao paradoks? Tko danas ne zna da je Evropa napredovala, a Azija nazadovala? A ipak, riječi iz naslova ovog članka sadrže gorku istinu.




Civilizirana i napredna Evropa – sa sjajnim dometima svoje tehnike, sa svojom bogatom i raznovrsnom kulturom, sa svojim Ustavom – dospjela je do historijskog momenta u kojem buržoazija, koja njome upravlja i koja nju podržava, zbog straha od proletarijata, što umnaža vlastita mnoštva i vlastitu snagu – podržava sve što je nazadno, sve što je u agoniji, sve što podsjeća na srednji vijek. Umiruća buržoazija se združuje sa svim starim snagama, koje gasnu, kako bi zadržala ropstvo plaćene radne snage, u koje više nije sigurna.


U naprednoj Evropi zapovijeda buržoazija, koja podržava sve što je nazadno.U našim danima Evropa napreduje zahvaljujući buržoaziji , ali i njoj usprkos, jer proletarijat, i isključivo proletarijat, neprestano daje hrane vojsci, što se sastoji od miliona i miliona ljudi, koji se bore za bolju budućnost; samo on održava i širi neumoljivu mržnju prema svemu što je nazadno, mržnju prema brutalnosti, prema privilegijama, mržnju prema poniženju i ropstvu, kojim čovjek uzapćuje drugog čovjeka.


U naprednoj Evropi samo je proletarijat napredna klasa. Buržoazija, koja još uvijek živi, spremna je na najbrutalnije i na najkrvavije poteze i na bilo koji zločin, kako bi održala kapitalističko ropstvo, kojem dolazi kraj.


Nema impresionantnijeg primjera te njezine trulosti, koja obuhvaća svu evropsku buržoaziju, od onog, kako ona pomaže reakcionare u Aziji za pohotne ciljeve vlastitih financijskih mahera, varalica i kapitalista.


U Aziji se svuda razvija, širi i jača na svim stranama snažan demokratski pokret. Tamo buržoazija još ide zajedno s narodom protiv reakcije. Stotine miliona ljudi bude se za život, za svjetlost, za slobodu. Koje samo oduševljenje pobuđuje taj sveopći pokret u srcu svih svjesnih radnika, koji znaju da put ka kolektivizmu prolazi kroz demokraciju! Tu simpatiju prema mladoj Aziji osjećaju svi pošteni demokrati!


A šta radi «napredna» Evropa? Ona pljačka i pustoši Kinu i pomaže neprijatelje demokracije, neprijatelje kineske slobode!


Evo malog proračuna, jednostavnog, ali instruktivnog. Novi zajam Kini odobren je protiv kineske demokracije: «Evropa» je za Yuan Ši Kai-ja, koji sprema vojnu diktaturu. Zašto ga Evropa podržava? Jer je to dobar posao. Kini je posuđeno 250 miliona rubalja, po kursu od 84% . To znači da su evropski buržuju dali 210 miliona, a da će od javnosti zahtijevati da plati 225 rubalja. Evo vam u kratkom roku, za svega nekoliko tjedana, dobiti od 15 miliona rubalja! Nije li to stvarno «čista» dobit?


A ako kineski narod ne prizna taj dug? Kina je republika, a nije li većina u Parlamentu protivna tom dugu?


Ah, u tom će slučaju «napredna» Evropa povikati do nebesa , govoreći o «civiliziranosti», o»redu», o «kulturi» i o «domovini»! Onda će progovoriti jezikom topova i uništit će tu «zaostalu» republiku Azije, u sprezi s avanturistom, izdajnikom i prijateljem reakcije Yuanom Ši Kajem!


Cijela Evropa, koja ima moć zapovjedanja, sva evropska buržoazija, je u savezništvu sa svim nazadnim snagama i snagama Srednjeg vijeka u Kini.


A za uzvrat Azija, to jest stotine miliona radnika u Aziji ima u proletarijatu civiliziranih zemalja sigurnog saveznika. Nijedna snaga na svijetu neće ga spriječiti da Oslobodi bilo evropske bilo azijske narode.



V.I. Lenjin »Opera omnia», tomXVI, str. 395-396 ruskog izdanja.


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Dal colonialismo al colonialismo

1) Dalle guerre dell’oppio alle guerre del petrolio (D. Losurdo)
2) Da Bandung a Sirte (T. Bellone)
3) Rete Nazionale Disarmiamoli: La Libia sotto il tallone della NATO


LINK: Video-editoriale di Mario Albanesi (Teleambiente)
http://www.youtube.com/watch?v=JcjuNlLxW6U


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en francais:
Des guerres de l’opium aux guerres du pétrole
http://domenicolosurdo.blogspot.com/2011/10/dalle-guerre-delloppio-alle-guerre-del.html

en castellano:
De las guerras del opio a las guerras del petróleo
http://domenicolosurdo.blogspot.com/2011/10/dalle-guerre-delloppio-alle-guerre-del.html

DOMENICA 23 OTTOBRE 2011

Dalle guerre dell’oppio alle guerre del petrolio

Domenico Losurdo
   
«La morte di Gheddafi è una svolta storica»: proclamano in coro i dirigenti della Nato e dell’Occidente, i quali non si preoccupano neppure di prendere le distanze dal barbaro assassinio del leader libico e dalle menzogne spudorate pronunciate a tale proposito dai dirigenti dei «ribelli». E, tuttavia, effettivamente si tratta di una svolta. Ma per comprendere il significato che la guerra contro la Libia riveste nell’ambito della storia del colonialismo, occorre prendere le mosse da lontano…
Allorché nel 1840 le navi da guerra inglesi si affacciano dinanzi alle coste e alle città della Cina, gli aggressori dispongono della potenza di fuoco di diverse centinaia di cannoni e possono seminare distruzione e morte su larga scala, senza temere di essere colpiti dall’artiglieria nemica, la cui gittata è ben più ridotta. E’ il trionfo della politica delle cannoniere: il grande paese asiatico e la sua millenaria civiltà sono costretti a capitolare; inizia quello che la storiografia cinese definisce giustamente il secolo delle umiliazioni, che termina nel 1949, con l’avvento al potere del Partito comunista e di Mao Zedong.

Ai giorni nostri, la cosiddetta Revolution in Military Affairs (RMA) ha creato per numerosi paesi del Terzo Mondo una situazione simile a quella a suo tempo affrontata dalla Cina. Nel corso della guerra contro la Libia di Gheddafi, la Nato ha potuto tranquillamente effettuare migliaia e migliaia di bombardamenti e non solo non ha subito alcuna perdita ma non ha neppure rischiato di subirla. In questo senso, piuttosto che a un esercito tradizionale, la forza militare Nato rassomiglia a un plotone di esecuzione; sicché l’esecuzione finale di Gheddafi, piuttosto che essere un caso o un incidente di percorso, rivela il senso profondo dell’operazione nel suo complesso.

E’ un dato di fatto: la rinnovata sproporzione tecnologica e militare rilancia le ambizioni e le tentazioni colonialiste di un Occidente che, come dimostra l’esaltata autocoscienza e falsa coscienza che continua a ostentare, rifiuta di fare realmente i conti con la sua storia. E non si tratta solo di aerei, navi da guerra e satelliti. Ancora più netto è il vantaggio su cui Washington e i suoi alleati possono contare per quanto riguarda le capacità di bombardamento multimediale. Ancora una volta, l’«intervento umanitario» contro la Libia è un esempio da manuale: la guerra civile (scatenata grazie anche all’opera prolungata di agenti e unità militari occidentali e nel corso della quale i cosiddetti «ribelli» sin dagli inizi potevano disporre persino di aerei) è stata presentata come un massacro perpetrato dal potere su una popolazione civile indifesa; invece, i bombardamenti Nato che da ultimo hanno infierito su Sirte assediata, affamata e priva di acqua e di medicinali sono diventati operazioni umanitarie a favore della popolazione civile libica!

Quest’opera di manipolazione può ora contare, oltre che sui tradizionali mezzi di informazione e disinformazione, su una rivoluzione tecnologica che completa la Revolution in Military Affairs. Come ho spiegato in interventi e articoli precedenti, sono autori e organi di stampa vicini al Dipartimento di Stato a celebrare il fatto che l’arsenale Usa si è ora arricchito di nuovi e formidabili strumenti di guerra; sono giornali occidentali e di provata fede occidentale a riferire, senza alcun rilievo critico, che nelle corso delle  «guerre Internet» sono all’ordine del giorno la manipolazione, la menzogna, nonché l’aizzamento di minoranze etniche e religiose anche mediante la manipolazione e la menzogna. E’ quello che sta già avvenendo in Siria contro un gruppo dirigente ora più che mai preso di mira, per il fatto di aver resistito alle pressioni e intimidazioni occidentali e di essersi rifiutato di capitolare dinanzi a Israele e di tradire la resistenza palestinese.

Ma torniamo alla prima guerra dell’oppio, che si conclude nel 1842 col trattato di Nanchino. E’ il primo dei «trattati diseguali», imposti cioè con le cannoniere. L’anno dopo è la volta degli Usa. Inviano anche loro le cannoniere al fine di strappare il medesimo risultato conseguito dalla Gran Bretagna, anzi qualcosa in più. Il trattato di Wanghia (nelle vicinanze di Macao) del 1843 sancisce per i cittadini statunitensi residenti in Cina il privilegio della extra-territorialità: anche se colpevoli di reati comuni, essi sono comunque sottratti alla giurisdizione cinese. Ovviamente, il privilegio della extra-territorialità non è reciproco, non vale per i cittadini cinesi residenti negli Usa: una cosa sono i popoli coloniali, un’altra cosa, ben diversa, è la razza dei signori. Negli anni e nei decenni successivi, il privilegio dell’extra-territorialità viene esteso anche ai cinesi che «dissentono» dalla religione e dalla cultura del loro paese, si convertono al cristianesimo (e idealmente diventano cittadini onorari della repubblica nord-americana o dell’Occidente in genere).

Il doppio standard della legalità e della giurisdizione è un elemento essenziale del colonialismo anche ai giorni nostri: i «dissidenti» ovvero coloro che si convertono alla religione dei diritti umani, così come essa viene proclamata da Washington e da Bruxelles, i potenziali Quisling al servizio degli aggressori, costoro vengono insigniti del premio Nobel o di altri premi analoghi: dopo di che l’Occidente scatena una campagna forsennata al fine di sottrarre i premiati alla giurisdizione del loro paese di residenza, una campagna resa più persuasiva dagli embarghi e dalle minacce di embargo e di «intervento umanitario».

Il doppio standard della legalità e della giurisdizione diviene particolarmente clamoroso con l’intervento della Corte penale internazionale (Cpi). Ad essa sono e devono essere comunque sottratti i cittadini statunitensi e i soldati e i mercenari a stelle e strisce che stazionano in tutto il mondo. Recentemente, la stampa internazionale ha riferito che gli Usa sono pronti a bloccare con il veto l’ammissione della Palestina all’Onu, anche al fine di impedire che la Palestina possa far ricorso contro Israele presso la Cpi: in un modo o nell’altro, nella pratica se non già nella teoria dev’essere chiaro a tutti che a poter esser processati e condannati sono soltanto i popoli coloniali. E’ di per sé eloquente la tempistica. 1999: pur senza aver ottenuto l’autorizzazione dell’Onu, la Nato inizia i suoi bombardamenti contro la Jugoslavia; poco dopo, senza perder tempo, la Cpi procede all’incriminazione non degli aggressori e dei responsabili della violazione dell’ordinamento giuridico internazionale emerso di fatto dopo la seconda guerra mondiale, ma di Milosevic. 2011: stravolgendo il mandato Onu, ben lungi dal preoccuparsi della protezione dei civili, la Nato ricorre a ogni mezzo pur di imporre il cambiamento di regime e assicurarsi il controllo della Libia; Seguendo un modello già collaudato, la Cpi procede all’incriminazione di Gheddafi. La cosiddetta Corte penale internazionale è una sorta di appendice giudiziaria del plotone di esecuzione della Nato, si potrebbe anche dire che i magistrati dell’Aia rassomigliano a preti che, senza perder tempo a consolare la vittima, si impegnano direttamente nella legittimazione e consacrazione del boia.

Un ultimo punto. Con la guerra contro la Libia, nell’ambito dell’imperialismo si è delineata una nuova divisione del lavoro. Le tradizionali grandi potenze coloniali quali l’Inghilterra e la Francia, avvalendosi del decisivo appoggio politico e militare di Washington, si concentrano sul Medio Oriente e sull’Africa, mentre gli Usa spostano sempre più il loro dispositivo militare in Asia. E ritorniamo così alla Cina. Dopo aver posto fine al secolo di umiliazioni iniziato con le guerre dell’oppio, i dirigenti comunisti sanno bene che sarebbe folle e criminale mancare una seconda volta l’appuntamento con la rivoluzione tecnologica e militare: mentre libera centinaia di milioni di cinesi dalla miseria e dall’inedia cui erano stati condannati dal colonialismo, il poderoso sviluppo economico in atto nel grande paese asiatico è anche una misura di difesa contro la permanente aggressività dell’imperialismo. Coloro che, anche a «sinistra», si mettono a rimorchio di Washington e Bruxelles nell’opera di diffamazione sistematica dei dirigenti cinesi dimostrano di non avere a cuore né la causa del miglioramento delle condizioni di vita delle masse popolari né la causa della pace e della democrazia nelle relazioni internazionali.

http://domenicolosurdo.blogspot.com/2011/10/dalle-guerre-delloppio-alle-guerre-del.html


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http://www.lsmetropolis.org/2011/10/da-bandung-a-sirte/

Da Bandung a Sirte

La Conferenza di Bandung (1955) segnò l’inizio degli sforzi dei paesi neutrali durante la Guerra Fredda di cercare una propria via di sviluppo: poco tempo dopo, nel 1961 nacque a Belgrado il movimento dei Non Allineati, uno dei cui principi fondamentali era il pacifismo nei rapporti tra Stati. Nehru, Nasser e Tito furono i massimi esponenti.
Con il 1989, l’anno della scomparsa dell’Unione Sovietica, si inasprirono i problemi, e poco per volta furono sconfitti tutti i principi su cui si basava il gruppo dei non allineati: pacifismo, indipendenza, sviluppo dei Paesi del cosiddetto Terzo Mondo, e soprattutto lotta al colonialismo.
Basti pensare che uno dei primi Paesi aggrediti dal Nuovo ordine mondiale fu un paese che, tra tante contraddizioni, tuttavia era un paese non allineato, progredito e laico: l’Iraq.
Nel frattempo era stata aggredita la Jugoslavia, uno dei paesi fondatori del movimento, dall’interno, facendo leva su nazionalisti e fascisti locali e figli di collaborazionisti dei nazifascisti fuggiti all’estero dopo la II Guerra Mondiale. Ben presto la Jugoslavia si sfasciò e ciò che ne era rimasto, la mini-Jugoslavia fu aggredita dalla NATO e selvaggiamente bombardata per tre mesi, giorno e notte nel 1999.
In seguito, come ben noto, furono bombardati e invasi l’Afganistan, di nuovo l’Iraq e infine la Libia.
In queste guerre sporche, neocoloniali e miranti alla distruzione delle infrastrutture del Paese, alla decimazione della popolazione civile, sono distrutti anche tutti i valori di “pace e progresso” sviluppatisi dopo la II Guerra Mondiale, nel gruppo dei non allineati e che fanno parte della nostra Costituzione.
Tutte le neo-guerre poi hanno distrutto perfino i principi di funzionamento dell’ONU: sono stati bombardati ed invasi Stati sovrani!!!Tutte queste neo-guerre sono state caratterizzate dagli stessi elementi: da un lato si è aggredito un Paese semplicemente per motivi economici, strategici, per gli stessi motivi per cui la Germania e i suoi alleati hanno invaso mezzo mondo nella II Guerra Mondiale, dall’altro si è sempre ricorsi ideologicamente alla equazione Occidentali-Alleati contro il Nazismo, Paese nemico di turno= nazisti.
E infatti il capo di Stato del Paese preso di mira è sempre stato dipinto come un feroce tiranno, una specie di satrapo arricchitosi sulla fame del suo popolo, e che sarebbe senz’altro fuggito (Milosevic si è lasciato arrestare dagli agenti della CIA e portare al tribunale dell’Aja, per evitare una guerra civile, che avrebbe definitivamente distrutto la Serbia, Saddam non è scappato dall’Iraq e Gheddafi ha combattuto fino alla fine).
Si sono sbandierati i diritti umani calpestati, mentre si rinchiudono gli immigrati in lager, quando non li si fanno lavorare in condizioni schiavistiche, e mentre le città europee son piene di senza tetto e Rom che dormono in strada la notte al freddo, insieme ai loro bambini.
In questa trappola è caduta la sinistra cosiddetta radicale, che si preoccupa di più se non si può tenere un Gay pride a Belgrado che delle misere condizioni dei Serbi nel Kosovo “indipendente” (con la più grande base militare americana al mondo).
L’altra “sinistra”, è stata complice e/o protagonista delle aggressioni: ultimo, vergognoso esempio il Presidente della Repubblica Napolitano, inneggiante mesi fa alla aggressione alla Libia. Del resto cosa aspettarsi da chi, giovane fascista, inneggiava all’invasione dell’Unione Sovietica da parte della Germania nazista, perché avrebbe civilizzato gli Slavi?
L’Italia infatti ha partecipato a tutte queste “imprese” caratterizzate da vigliaccheria fascista: ha bombardato l’Iraq, la Jugoslavia, sta combattendo in Afganistan, ha selvaggiamente bombardato la Libia.
C’è un pezzo di Brecht che elenca cosa avesse portato in regalo il soldato tedesco alla moglie dalle sue imprese, e c’è sempre un bel souvenir, ma alla fine il soldato tedesco porta alla moglie una bara…
Finora le nostre guerre son particolarmente sporche oltre perché bugiarde, razziste e colonialiste, anche per la sproporzione tra vittime fra gli aggrediti e fra gli aggressori, ma questa ultima è stata forse la più sporca: non si è neppure parlato di cosa stesse accadendo nelle città bombardate della Libia, e non si è neppure protestato per questa aggressione.
21 ottobre 2011
Tamara Bellone

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Comunicato della Rete nazionale Disarmiamoli


La Libia sotto il tallone della NATO
 

Le immagini della macellazione di Muammar Gheddafi sono il miglior commento sull’operazione militare dell’Alleanza atlantica in Libia. Alla ferocia dei macellai locali si somma l’immagine disgustosa di una classe dominante internazionale pronta a massacrare senza battere ciglio chi sino a ieri accoglieva con salamelecchi, trattati di amicizia, affari e baciamano.

In queste ore gli analisti delle grandi testate giornalistiche e TV sono impegnati a neutralizzare anche storicamente la figura del leader libico, immergendo in un fiume di fango tutto ciò che è stato fatto in quel paese, nel bene e nel male, dalla liberazione dal giogo colonialista nel 1968 sino a pochi mesi fa.

Non ci siamo mai erti a difesa dell’indifendibile, date le vergognose scelte fatte dal governo libico nell’ultimo decennio. Il giudizio sulla leadership libica non ci ha fatto però perdere indipendenza di giudizio sullo scenario nel quale maturavano le condizioni della nuova aggressione.

Molti – anche nel movimento pacifista – sono apparsi come irretiti e prigionieri di una narrazione scritta dai vincitori di oggi, che ha ridotto ai minimi termini il numero di coloro che hanno scelto di battersi contro l’aggressione alla Libia.

Una scelta che rivendichiamo, che continueremo a portare avanti se in quel paese riprenderà una lotta di liberazione nazionale contro il nuovo colonialismo euro – statunitense.

Niente di quello che è successo in Libia in questi mesi, sarebbe stato possibile senza le decine di migliaia di bombe (dalle 40 alle 50mila) sganciate dagli aerei dell’Alleanza atlantica in oltre 10mila missioni di attacco sulla testa di quei libici che avrebbe dovuto “difendere”. Nessuna città sarebbe stata “liberata” senza il supporto a terra di migliaia di soldati e mercenari italiani, francesi, inglesi, impegnati sia nelle retrovie, sia sul fronte, a sostenere una banda di tagliagole denominati “ribelli”, “rivoluzionari” dalla stampa embedded. Le uniche strutture militari di una qualche consistenza sono quelle dei fondamentalisti islamici addestratisi in Iraq e Afghanistan, ora insediati a Tripoli, Sirte, Bani Walid e altre città devastate dai combattimenti.

Se le immagini che i mass media occidentali ci propinano in questi giorni hanno un qualche fondamento, con le migliaia di persone che festeggiano il bagno di sangue impugnando insieme alle bandiere dell’ex re senussita quelle inglesi, francesi, statunitensi e italiane, allora saremmo di fronte a diverse leadership locali sostenute da una base di massa reazionaria, lieta di tornare sotto la tutela dei colonialisti di ieri. Non sarebbe la prima volta nella storia.

Dubitiamo fortemente di tutto ciò che ci propina la macchina da guerra mediatica al servizio della NATO, per cui ci riserviamo di esprimerci in merito, in attesa degli sviluppi, che promettono altro sangue e guerra.

A ventiquattro ore dal massacro di Gheddafi il Presidente degli Stati Uniti comunica al mondo il ritiro totale delle truppe dall’Iraq, mettendo la parola fine a una guerra persa.

La situazione in Afghanistan, a oltre dieci anni dall’inizio delle ostilità, evidenzia una situazione di stallo strategico sul piano militare. Per la potentissima alleanza impegnata a occupare quel paese ciò significa un’ulteriore, cocente, sconfitta.

La Libia del futuro promettere di essere una nuova polveriera, a poche miglia marine dalle coste del Bel Paese. La vittoria di oggi potrebbe riservare nuove delusioni per gli apprendisti stregoni della NATO. 

Nonostante tutto questo i paesi occidentali, forti delle loro alleanze militari, continuano nella loro opera di “democratizzazione” del mondo, attraverso le loro “operazioni di pace” lanciate per “proteggere” i civili.

I mass media nostrani ci dicono che i popoli della Siria, del Libano, dell’Iran attendono trepidanti la prossima liberazione.

Le fucine dei filosofi, degli strateghi militari e di Finmeccanica sono già al lavoro, onde abbreviare i tempi di attesa per la prossima missione.

La Rete nazionale Disarmiamoli!

www.disarmiamoli.org   info@...  3381028120  -  3384014989


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