Informazione


Giuseppe Ciulla e Vittorio Romano
Lupi nella nebbia
Editore Jaca Book - 2010
Pagine 160 - € 14,00 - EAN 9788816409620

“Mafia likes fog, like wolves”. La mafia vuole la nebbia, come i lupi. Le parole di un poliziotto kosovaro sono la sintesi di un Paese in cui dieci anni di amministrazione ONU non hanno portato benessere e giustizia, ma miseria e criminalità. In cui, in nome della stabilità dei Balcani, si è legittimata una classe dirigente legata a doppio filo con la mafia, Attraverso una scrupolosa inchiesta giornalistica Giuseppe Ciulla e Vittorio Romano tracciano un bilancio a tinte fosche della gestione internazionale: l'insabbiamento dei processi per crimini di guerra, le investigazioni sulle più alte personalità politiche del Paese (tutti o quasi ex comandanti UCK) misteriosamente sparite nel passaggio di consegne dalle Nazioni Unite all'Unione Europea; i rapporti degli osservatori OCSE rimasti lettera morta che denunciano l'inerzia dell’ONU; le responsabilità degli USA. Il Kosovo è grande quanto l'Abruzzo e con 14mila soldati NATo dovrebbe essere uno dei posti più sicuri del mondo. Perché allora nel nord di Mitrovica si spara ancora? Per i magistrati il Kosovo è uno degli snodi più importanti per il traffico di armi, droga, organi ed esseri umani verso l'Occidente. Come mai quindi alle frontiere nessuno controlla i carichi dei camion? Nel cuore dei Balcani che marciano verso l'Europa il Kosovo è uno stato delle mafie, auto proclamatosi indipendente, che ci riporta a una nuova guerra fredda, Con abilità narrativa gli autori intrecciano il racconto dei volti e degli avvenimenti incontrati durante la loro inchiesta al più vasto scenario della scacchiera balcanica e delle missioni internazionali di cui il Kosovo rappresenta un tragico modello.



Lo scandalo Kosovo


di Giuseppe Ciulla e Vittorio Romano

I clan dell'attuale e dell'ex premier coinvolti in omicidi. Il traffico di organi e di droga. L'Onu sapeva e ha insabbiato. Lo dimostrano alcuni documenti ora ritrovati

Il 2 giugno per la prima volta il Kosovo invierà un suo rappresentante alla conferenza Ue-Balcani di Sarajevo, e le cancellerie occidentali sono pronte ad accoglierlo in vista dell'obiettivo finale: l'ingresso di Pristina nell'Unione europea. Quello che gli ambasciatori faranno finta di non sapere è che dopo i bombardamenti del 1999 le Nazioni Unite hanno affidato l'intero Stato alla mafia. 

Le prove sono in una stanza al primo piano della procura di Pristina tra decine di faldoni con un elastico legato attorno e la scritta "closed". Sono le indagini archiviate dai magistrati Onu l'8 dicembre 2008, ventiquattro ore prima di lasciare il Kosovo nelle mani degli europei. 

Nel marzo del 2009 un funzionario dell'Eulex, la missione europea che amministra il Paese, entra nella stanza e si mette a curiosare tra i fascicoli. Nelle sue mani finisce il caso hpq 215/2002, o meglio uno stralcio di quel processo che vede come unico imputato Ramush Haradinaj, l'ex premier del Kosovo e attuale leader del partito AAK. È accusato di aver assalito insieme alle sue milizie la casa di un clan rivale a colpi di Kalashnikov. 

«Le prove contenute nel fascicolo sono schiaccianti», rivela il funzionario, «ci sono foto, testimonianze, bossoli e persino le tracce del sangue degli aggressori». Il 26 settembre del 2002 quel faldone è stato spedito dai giudici Onu di Pec alla Procura di Decani e lì dimenticato per sette anni. «Le Nazioni Unite », aggiunge il funzionario, «hanno insabbiato i processi contro i politici e passato solo 35 faldoni ai giudici europei». Le prove del lavoro di copertura dei crimini da parte dell'Onu sono pubblicate nel libro "Lupi nella nebbia". Ci sono i rapporti di intelligence nei quali si spiega che Haradinaj è il principale trafficante di eroina del Paese, il suo ruolo nell'omicidio di testimoni scomodi o di poliziotti che indagavano sui suoi affari, e soprattutto le prove che le Nazioni Uniti erano perfettamente a conoscenza di aver affidato il Kosovo nella mani di una delle più feroci costole della mafia albanese.

Le indagini insabbiate non riguardano solo Haradinaj. Un'inchiesta coinvolge Lufti Dervishi, fedelissimo del premier Hashim Thaqi. Nel 2005 gli inquirenti Onu hanno la possibilità di interrompere un traffico di organi da centinaia di milioni di dollari: documenti riservati provano che i finanzieri dell'Onu avevano scoperto eccessive forniture di sangue ad alcune cliniche private che operavano a Pristina, in particolare alla Medicus dove Dervishi lavorava come primario. I rapporti sottolineano «l'alto numero di richieste di sangue indirizzato al Centro per le trasfusioni», la necessità di realizzare dei controlli. L'ombra del traffico di organi stava su quei documenti che chiedevano alle Nazioni Unite di proseguire le indagini. «Invece ci siamo arrivati per puro caso», spiega il procuratore europeo Francesco Mandoi: «Un cittadino turco a cui era stato asportato un rene è svenuto all'aeroporto di Pristina e ci ha rilasciato una confessione ». 

Le manette scattano oltre che per Dervishi, anche per altre due persone e la clinica viene chiusa. Si innesca un terremoto politico e giudiziario. «Dalle nostre indagini il traffico è accertato in almeno cinque casi», aggiunge Mandoi. «Ne stiamo verificando altri 25. In Kosovo arrivano centinaia di disgraziati da paesi come Turchia o Kazakhstan, pronti a farsi espiantare i propri organi per poche migliaia di euro. A pagare sono ricchi uomini e donne occidentali. Avviene tutto a Pristina, con la complicità dei politici locali. Dervishi è uomo di Thaqi». 

In Kosovo non c'è uomo in posizione chiave che non risponda ai clan. Un legame quasi familistico, eredità dell'Uck, l'esercito di liberazione. Durante la guerra questi uomini svolgevano attività criminali per finanziare la resistenza, adesso operano per conto degli ex capi, consolidano il potere, finanziano le campagne elettorali, comprano o uccidono avversari. Anche il sindaco di Skenderaj Sami Lustaku è un uomo di Thaqi. Secondo un rapporto Osce è «membro dell'organizzazione terroristica AKSK e coinvolto in numerose attività criminali». Il 14 novembre del 2005, alla presenza di tre poliziotti, il sindaco-soldato minaccia di morte un giudice che sta eseguendo lo sfratto di due locali. Il rapporto è un atto d'accusa durissimo verso le Nazioni Unite. Svela che Lustaku viene avvertito dagli investigatori di essere intercettato, denuncia che un commissario Onu blocca una perquisizione nella casa di Lushtaku per il rischio di «destabilizzare il Kosovo» e per paura di trovare le prove del coinvolgimento di Lushtaku in altri crimini.

Il documento sottolinea come questo «metterebbe ufficiali di alto livello dell'Onu in una brutta posizione ». «La questione che solleva più preoccupazioni », si legge, «è il fatto che l'interferenza con il lavoro dei giudici da parte di funzionari delle Nazioni Unite non è un caso isolato, piuttosto sembra essere una pratica utilizzata da lungo tempo». E cita altri due casi in cui ordini di perquisizione non sono mai stati eseguiti e in cui indagini per crimini anche più gravi rispetto a quelli imputati a Lushtaku sono state «seriamente impedite dai vertici dell'Onu ». Il documento OSCE punta l'indice contro l'ex numero due delle Nazioni Unite Steven Schook, attuale consigliere politico di Haradinaj. Secondo il rapporto, nel 2006 Schook decide che tutte le indagini che possono «destabilizzare» il Kosovo devono avere la sua autorizzazione. Non è finita. Gli investigatori europei in questi giorni stanno ascoltando le confessioni di Nazim Bllaca, un agente dei servizi segreti del premier Thaqi che si è autoaccusato dell'omicidio di 17 oppositori politici. Non dovrebbe essere complicato intuire per conto di chi ha operato il killer Bllaca. 

Sarà più difficile trovare qualche ambasciatore interessato ad ascoltare la storia dei dieci anni di amministrazione Onu. Gli anni in cui trafficanti, assassini e mafiosi si sono presi il Kosovo.
(04 maggio 2010)




Cappuccino, brioche e intelligence n°13: un nuovo libro di Edward Luttwak: wow!

Edward Luttwak non è uomo che perda tempo con ricerche storiche accademiche o fini a sè stesse; quando scrive, scrive perchè ha una precisa operazione politica da realizzare.
Nel 1967 scrisse “Tecnica del colpo di Stato” in cui analizzava con grande precisione i meccanismi dei colpi di stato (particolarmente numerosi in quell’epoca) e le ragioni  per cui alcuni erano riusciti ed altri falliti: sei anni dopo fu fra i consulenti che idearono il golpe cileno contro Allende.
Nel 1976 scrisse “la grande strategia dell’Impero Romano” e l’idea sottostante era quella di riabilitare  l’idea di “Impero”, sino a quel punto,  per gli americani era una parola impronunciabile: gli Usa sono nati da una rivoluzione anticoloniale contro un Impero, appunto, ed essere identificati come Impero appariva come la negazione dello spirito dei “padri fondatori”. Luttwak contribuì a rimuovere questo complesso degli americani insistendo sul carattere repubblicano dell’Impero di Roma e sul suo ruolo come garante della pace, proprio in quanto impero unico: quindici anni dopo, con la caduta dell’Urss quella premessa risultò utilissima per teorizzare l’equilibrio monopolare del dopo-muro.

E poi altri libri sulla grande strategia dell’Urss, o sul concetto stesso di strategia strettamente funzionali all’ultima e risolutiva fase della guerra fredda.
Insomma uno che sa quello che fa.
Ora ci propone un titolo apparentemente bizzarro: “La grande strategia dell’Impero Bizantino” (a proposito, pare che l’argomento sia diventato di gran moda: date un occhiata agli scaffali delle librerie e vedete quanta roba sta uscendo sull’argomento). 

Il cuore del ragionamento di Luttwak è questo: l’impero romano di occidente cadde sotto l’urto delle invasioni barbariche nel 476 Dc, mentre l’impero romano d’oriente cadde solo 10 secoli più tardi e nonostante militarmente fosse meno forte e le sue frontiere fossero meno difendibili. Come mai? L’autore ritiene  che il segreto della longevità di Bisanzio sia consistito in un accorto mixage di diplomazia ed intelligence che consentì a lungo di eterodirigere vicini, avversari ed alleati, giocando l’uno contro l’altro. Bisanzio non cercò mai di abbattere definitivamente nessun avversario, proprio per evitare di avvantaggiare indirettamente altri avversari. Seppero usare con maestria l’arte di disorientare gli avversari con indicazioni geografiche errate, con notizie artefatte sulle intenzioni aggressive dei vicini, soprattutto giocando con molta astuzia sul piano delle alleanze per cui l’alleato di oggi è l’avversario di domani e l’avversario di oggi può diventare l’alleato di domani e, come tali trattati.

Traduzione dal latino di New York all’italiano:
partiamo dall’idea che si scrive Impero romano ma si legge Usa, rispettivamente Impero romano d’Occidente sta per “Usa neo cons dell’era repubblicana” mentre Impero romano d’Oriente sta per Usa dopo la crisi del 2008.
Con il crollo dell’Urss, gli Usa avevano sognato un equilibrio imperiale monopolare (sul modello del primo Impero Romano), sino ad esprimerlo chiaramente nel progetto “Per un nuovo secolo americano”. Ma, con la crisi del 2008, questo sogno è ormai inattuabile ed occorre ridimensionarlo: la crisi finanziaria rende molto difficili nuove avventure militari, intacca il prestigio degli Usa, scuote il dollaro, inoltre, la Cina corre molto più in fretta del previsto e si profilano intese come quella del Bric.
Nonostante tutto, gli Usa restano ancora il paese militarmente più forte ed il dollaro è ancora la moneta di scambio internazionale. Qui il problema è quello di durare come prima potenza in un mondo ormai irrimediabilmente multipolare. Di qui l’analogia con l’Impero bizantino.
Con le lezioni conseguenti:
-giocare la forza più per il suo valore deterrente che per il suo uso effettivo;
- non considerare veramente alleato nessuno, ma giocare l’uno contro l’altro in un sistema di convergenze e divergenze fluttuanti;
- affidare il compito di prima linea all’intelligence prendendo l’iniziativa nella guerra asimmetrica.

Ma, soprattutto, imparare a concepire la strategia non solo come dato militare, ma come disegno d’azione complessivo che contempla sia azioni militari aperte (interventi regionali, presidio di zone calde ecc.) sia azioni coperte (appoggio a terrorismi e rivolte, aggressioni informatiche ecc.) sia non militari (destabilizzazione politica ed economica di avversari, guerra monetaria, spionaggio industriale ecc.). Perchè, ai fini della vittoria, quello che conta non è necessariamente lo scontro militare, ma l’effetto combinato delle varie forme di azione, militari e non militari.
Qualcuno, però, osserverà che un  simile concetto di strategia non appartiene affatto a Bisanzio, come dimostra l’opera “Strategikon” composta dall’Imperatore Maurizio nel VI secolo e che fu il testo base di arte militare bizantina per 5 secoli. 

Appunto… non è di Bisanzio che stiamo parlando.

Aldo Giannuli, 8 maggio ‘10

Ps: ho notato che la libreria Hoepli di Milano ha messo in vetrina il libro di Luttwak accanto al mio sui sevizi segreti: sono commosso…!


Il giorno 06/mag/10, alle ore 22:25, Coord. Naz. per la Jugoslavia ha scritto:


IL SIGNORE DELLA GUERRA

<< La pace è facilissima da ottenere: basta arrendersi. >>

Edward Luttwak alla trasmissione AnnoZero, Rai2, 15 aprile 2010



Ferite Aperte del Confine Orientale e Censure Odierne

1) Lettera aperta: A proposito de "Le ferite aperte del confine orientale" (“Il Corriere della Sera” 23-3-2010)
2) Lettera aperta del Direttore de La Nuova Alabarda Claudia Cernigoi 
3) L'indice dei libri proibiti pubblicato dal Corriere della Sera


=== 1 ===


“Corriere della Sera”. Immagine della democrazia che muore. (Da “Fuoriregistro”)


22/04/2010 di giuseppearagno
L’11 marzo alla Commissione Cultura della Camera, l’on. Paola Frassinetti, ex “Fronte della Gioventù” oggi PdL, ha proposto una risoluzione che intende “arginare il fatto deplorevole che alcune associazioni si recano nelle scuole per raccontare una visione dei tragici fatti delle foibe in maniera totalmente travisata“. Non contenta, l’onorevole se l’è presa con “il recente libro dello sloveno (sic) Pirjevec, edito da Einaudi, e distribuito nelle scuole di Torino“. Il libro, ha sostenuto Frassinetti, “esprime giudizi gravi sugli avvenimenti storici riferiti alle foibe, non corrispondenti alla verità; esistono, infatti, negazionisti della vicenda“. Scomunica ufficiale, quindi, “come ha anche ricordato il sindaco di Roma“, e, a onor del vero, un errore c’è stato. Pirjevec è italiano come Alemanno e Frassinetti. Sorge allora un dubbio: fingerlo “sloveno” può farlo sembrar di parte e sminuirne la serietà di studioso? Ma non finisce qui: Frassinetti ha proposto anche l’istituzione, presso il Ministero dell’Istruzione, di un albo degli enti e degli studiosi “autorizzati a recarsi nelle scuole per ricordare i fatti accaduti“. La lista degli abilitati a parlare non s’è fatta, ma s’è deciso – all’unanimità! – che siano i presidi a valutare (?) la serietà e la serenità dei conferenzieri.
Di questa vera e propria rivoluzione copernicana degli studi storici, il “Corriere della Sera” ha fatto da cassa di risonanza e il 23 marzo, in calce a un servizio sulla Grande Italia, ha “indicato” buoni e cattivi. Ne è nata così una specie di “lista di proscrizione”, un minuscolo, triste esempio di “index librorum prohibitorum”. Vale la pena di citarlo testualmente: “Vi sono anche opere che tendono a ridimensionare la portata degli eccidi jugoslavi: Joze Pirjevic, Foibe (Einaudi 2009), Claudia Cernigoi, Operazione foibe tra storia e mito (Kappa Vu 2005), Giacomo Scotti, Dossier foibe (Manni 2005), Giuseppe Aragno, Fascismo e foibe (La città del Sole, 2008). Contro di esse, considerate «negazioniste», le associazioni degli esuli hanno di recente chiesto un intervento delle pubbliche autorità“.
Se, com’è noto a tutti gli studiosi che se ne sono occupati onestamente, nessuno dei citati dall’anonimo giornalista nega l’esistenza del dramma istriano, dove va a parare la manovra? Si vuole agitare lo spettro del “negazionismo“, nell’ attesa di poterlo trasformare in reato?
E’ accettabile tutto questo? E davvero siamo ancora in una repubblica democratica, se impunemente si possono liquidare così gli studi di storici onesti, che fanno ricerca secondo le regole del mestiere, nella maniera più corretta, esplorando archivi e documentando ogni affermazione? E’ accettabile che sia la politica a decidere chi debba parlare nelle scuole? E che un grande giornale fiancheggi la manovra e non senta il bisogno di prendere le distanze?
E anche supponendo che Aragno, Pirjevec, Scotti e Cernigoi sbaglino, a quale governo consentiremo, senza protestare, di trattare un errore alla maniera di un crimine?
Le posizioni di Frassinetti, di cui in qualche modo il Corriere si fa portavoce, sono inquietanti. Si cominciò a parlare di “negazionismo” a proposito di studi che riguardavano apertamente il genocidio ebraico. Inaccettabili, certo, ma pur sempre opinioni da combattere con le armi della ricerca e la forza della democrazia. Si passa ora, con un prevedibile effetto domino, ad altri gruppi nazionali e magari sociali. E’ naturale che chi è stato massacrato desideri che lo storico se ne ricordi, ma è legittimo che siano le vittime a dettare la ricostruzione dei fatti? Da una regola discutibile ma “mirata” ricaveremo una norma generale per una pluralità di eventi cui s’appelli chiunque si ritenga “negato“? E tutti, ognuno in nome di propri interessi e idee politiche, potranno così chiamare in causa gli studiosi per le loro opinabili, ma oneste ricostruzioni? A questo punto non solo i quattro citati, ma tutti troveranno grandi difficoltà a fare gli storici. E’ questo che si vuole? Quello che con preoccupata amarezza e acuto senso della democrazia, Gaetano Arfè, definiva un “popolo di senzastoria“?
Noi non lo vogliamo.
Per questo volentieri abbiamo sottoscritto e pubblichiamo l’appello che segue. Chiunque voglia può aggiungere la sua adesione.
La Redazione di “Fuoriregistro

Lettera aperta
A proposito de Le ferite aperte del confine orientale (“Il Corriere della Sera” 23-3-2010)
Scriviamo a lei, direttore, di cui è nota l’onestà intellettuale, perché rifiutiamo, l’etichetta di “negazionisti” con cui un anonimo corsivo del “Corriere” liquida gli studi di storici onesti, che fanno ricerca nel modo più corretto, esplorando archivi e documentando ogni affermazione. Sarà un caso, ma dopo che l’on. Frassinetti, (Pdl) ha chiesto che sia la politica a decidere chi debba parlare nelle scuole, sembra che il suo giornale intenda “suggerire” cosa leggere e chi abilitare. Noi, non neghiamo nulla, direttore, noi disprezziamo i colpevoli di ogni sterminio e ci fa scudo Kant: “Sapere aude“! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza. Non le diremo col filosofo – sarebbe sin troppo facile – che ormai “da tutte le parti si ode gridare: non ragionate!“, ma ci duole, questo sì, che lei l’abbia consentito quest’invito a non ragionare. Ci duole che gli storici chiamati in causa, esclusi dall’index librorum prohibitorum, non si siano levati come un sol uomo per difendere la libertà di ricerca, di opinione e di parola. Ci duole che la “battaglia delle idee“, sia scaduta a simili livelli. E, come a noi, dovrebbe dolere a lei e ai profughi stessi dell’Istria martoriata per i quali nutriamo profondo rispetto. Ne siamo convinti: le tragedie del Novecento sono nate anche così, da parole apparentemente innocue e malaccorte uscite da una qualche penna fanatizzata per imporre una verità di parte che s’è fatta verità di Stato. Di qui gli odi covati, i propositi di vendetta e le mille tragedie da cui domani non ci renderanno immuni i giorni di una “memoria” usata strumentalmente dalla politica, ma quelli dell’onestà intellettuale e dell’amore per la democrazia. In nome di questi giorni che – lo speriamo – dovranno venire, ci permettiamo di dire con Voltaire che solo gli imbecilli sono sicuri di quello che scrivono. Ne siamo certi: queste nostre poche parole saranno per lei non solo una lettera aperta che ospiterà, ma un appello che vorrà sottoscrivere. E altri con lei.
Di ciò la ringraziamo in anticipo.
Giuseppe Aragno, Storia Contemporanea – Università Federico II Napoli
Claudia Cernigoi, Giornalista – Ricercatrice storica
Jože Pirjevec, Storia dei popoli slavi – Università di Trieste
Giacomo Scotti, scrittore, storico e traduttore
Firme per adesione
Gerardo Marotta, Presidente dell’ Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
Nicola Tranfaglia, prof. emerito di Storia dell’Europa e del Giornalismo – Università di Torino
Michele Fatica, prof. emerito di Storia Moderna e contemporanea – Università di Napoli L’Orientale
Angelo D’Orsi, prof. Pensiero politico contemporaneo – Università di Torino
Ferdinando Cordova, prof. di Storia Contemporanea – Università La Sapienza di Roma
Santi Fedele Prof. di storia contemporanea – Università di Messina
Alceo Riosa, Prof. di Storia Contemporanea, Università di Milano
Giovanni Cerchia, Prof. Storia Contemporanea – Università del Molise
Luigi Parente, Prof. Storia Contemporanea – Università Orientale Napoli
Cristiana Fiamingo, Prof. Storia e Istituzioni dell’Africa – Università degli Studi di Milano
Piero Graglia, Prof. Storia dell’integrazione europea – Università di Milano
Marco Sioli, Prof. Storia e Istituzioni delle Americhe – Università di Milano,
Sandro Rinauro, Prof. Geografia economico-politica – Università di Milano
Alessandra Kersevan, Ricercatrice storica
Sandi Volk, storico – Sezione Storica della Biblioteca nazionale slovena
Fabio Gentile – Prof. di Politica comparata – Università di San Paolo del Brasile
Elisa Ada Giunchi, Prof. Storia dell’Asia, Università degli Studi di Milano
Nunzio Dell’Erba, Ricercatore confermato Storia contemporanea Università di Torino
Eros Francescangeli, Prof. Storia contemporanea, Università degli Studi di Padova
Giorgio Sacchetti, Prof. Storia dei partiti e dei movimenti politici, Università degli Studi di Trieste
Aldo Giannuli, Prof. Storia Contemporanea – Università degli Studi di Milano
Vanni D’Alessio, Ricercatore Storia Contemporanea – Università Federico II Napoli
Andrea Catone, storico – Direttore de “L’Ernesto”
Alexander Hobel, Storia contemporanea, Università Federico II di Napoli
Gigi Bettoli, Ricercatore storico
Gaetano Colantuono – storico
Cristina Accornero – Università degli Studi di Torino.
Alberto Gallo, storico, Università di Firenze
Giovanna Savant, Dottore di ricerca Studi politici europei ed euroamericani Università di
Torino
Giampiero Landi, insegnante e storico
Marco Albertaro, storico
Silvio Antonini – ANPI Viterbo
Redazione di “Fuoriregistro”
Redazione del “Forum Insegnanti”
retescuole.net
Associazione Scuolafutura – Carpi
Uscito su “Fuoriregistro” il 24 aprile 2010
ULTERIORI ADESIONI SI STANNO RACCOGLIENDO ATTRAVERSO LA PAGINA INTERNET: http://www.didaweb.net/fuoriregistro/leggi.php?a=13867


=== 2 ===


FERITE APERTE E CENSURE

Lettera aperta del Direttore Claudia Cernigoi 


Il 23 marzo 2010 sul Corriere della Sera è apparso un breve articolo dal titolo “Le ferite aperte del confine orientale”, nel quale vengono elencati una serie di testi che parlano delle vicende delle “foibe” e dell’esodo istriano. Dopo alcuni titoli considerati evidentemente “neutri”, vengono indicati due testi “che riflettono l’opinione degli esuli istriani” ed alla fine leggiamo:

Vi sono anche opere che tendono a ridimensionare la portata degli eccidi jugoslavi: Joze Pirjevic, Foibe (Einaudi 2009), Claudia Cernigoi, Operazione foibe tra storia e mito (Kappa Vu 2005), Giacomo Scotti, Dossier foibe (Manni 2005), Giuseppe Aragno, Fascismo e foibe (La città del Sole, 2008). Contro di esse, considerate «negazioniste», le associazioni degli esuli hanno di recente chiesto un intervento delle pubbliche autorità.

Parlo ora per fatto personale, ma penso che gli altri storici coinvolti possano riconoscersi in quanto dirò. Essere liquidati in questo modo su uno dei maggiori quotidiani nazionali non è cosa che possa far piacere a chi, come noi, ha studiato a lungo documenti e testimonianze prima di dare alle stampe cose che sappiamo possono essere soggette a critiche, più politiche che storiche, a dire il vero, ma in effetti quando si parla di questi argomenti spesso la storiografia viene lasciata da parte per dare spazio all’interpretazione politica dei fatti. E dato che le interpretazioni politiche “ufficiali” dei fatti sono diverse dalle conclusioni storiche cui noi si è arrivati, a questo punto scatta l’accusa di “negazionismo” nei nostri confronti, con tutto ciò che l’uso spropositato di questo termine comporta.

[...] Al momento in cui scrivo (8 maggio 2010) la lettera [aperta al direttore del Corriere della Sera più sopra riportata, vedi al punto (2)] non è stata pubblicata dal Corriere della Sera, ma neanche dal Manifesto, che pure aveva dato la propria disponibilità ad Aragno; è stata invece pubblicata dal settimanale anarchico Umanità Nova e si può trovare ai seguenti link:

http://www.foruminsegnanti.it/modules.php?name=News&file=article&sid=1612
http://www.fisicamente.net/portale/modules/news2/article.php?storyid=1396
http://bru64.altervista.org/forum/viewtopic.php?t=16581
http://www.didaweb.net/fuoriregistro/leggi.php?a=13867

In attesa di ulteriori disponibilità, noi continueremo a resistere.

Claudia Cernigoi


=== 3 ===


STUDI E POLEMICHE

Le ferite aperte del confine orientale

Le vicende del confine orientale nella Seconda guerra mondiale sono oggetto di vari studi. Tra i più recenti: Raoul Pupo, Il lungo esodo, (Rizzoli, 2005), Marina Cattaruzza, L' Italia e il confine orientale (Il Mulino, 2007), Guido Crainz, Il dolore e l' esilio (Donzelli, 2005), Raoul Pupo e Roberto Spazzali, Foibe (Bruno Mondadori, 2003), Marta Verginella, Il confine degli altri (Donzelli, 2008) e la raccolta di saggi Dall' impero austro-ungarico alle foibe (Bollati Boringhieri, 2009), che contiene il documento preparato sul tema da una commissione di storici italiani e sloveni. Da segnalare poi due libri di Gianni Oliva editi da Mondadori: Foibe (2002) e Profughi. Dalle foibe all' esodo (2005). Tra le pubblicazioni che riflettono il punto di vista degli esuli italiani: Arrigo Petacco, L' esodo (Mondadori, 1999), Luigi Papo, L' Istria e le sue foibe (Settimo Sigillo 1999). Vi sono anche opere che tendono a ridimensionare la portata degli eccidi jugoslavi: Joze Pirjevic, Foibe (Einaudi 2009), Claudia Cernigoi, Operazione foibe tra storia e mito (Kappa Vu 2005), Giacomo Scotti, Dossier foibe (Manni 2005), Giuseppe Aragno, Fascismo e foibe (La città del Sole, 2008). Contro di esse, considerate «negazioniste», le associazioni degli esuli hanno di recente chiesto un intervento delle pubbliche autorità.

Pagina 39

(23 marzo 2010) - Corriere della Sera




(A proposito delle battaglie del fronte dello Srem, dove tra gli altri morirono numerosissimi partigiani italiani confluiti nell'Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia il cui sacrificio è oggi disconosciuto in Italia, si veda anche: https://www.cnj.it/PARTIGIANI/monumenti/sremskifront.htm )


Sećanja na Sremski front 1944 – 1945
 
Sremski front je omiljena antipartizanska tema pristalica propalih gradjanskih   krugova Kraljevine Jugoslavije i Nedićeve Srbije koji  su, inače,  totalno omanuli u ratu protiv fašizma 41. – 45. :jedni su stupili  u službu okupatora , drugi  pobegli iz zemlje pod skute saveznika ( SAD,Engleska),  čekajući da im oni donesu slobodu na tacni. Saveznici  će ih 1943. šutnuti kao zabušante  i neborce i podržati  NOVJ i Tita., jer su oni činili ono , što se s pravom tražilo od svakog naroda tada – da se oružjem  bori protiv Hitlera.Četničke jajare su tada izbrisane iz savezničkih spiskova kao borci protiv fašizma. Nažalost ta istorija se ponavlja i danas u Srbiji jer njena Vlada čeka da joj neko na tacni donese slobodno Kosovo!
Sledeći taj trag izdaje i kukavičluka,  londonski đak istoričar Čedomir Antić se nedavno ,u “Politici”,  neuljuđeno izmotava  sa NOB i dovodi u pitanje potrebu i značaj naših bitaka  na Sutjesci i Neretvi i Sremskom frontu za savezničku stvar ,pa i NOB u celini.  Da li su one bile važne za saveznike i koliko , ili ne , nije naša stvar. Nismo ih precenjivali ali ni naročito  isticali. Znamo samo da smo se tukli i za bolji svet – svet bez fašista, ali su to  bile najpre naše bitke za našu slobodu i bolji život posle rata. Izmotavaju se oni ,Antićevci , i danas na isti način sa  Kosovom  , prepuštajući ga na milost i nemilost velikih sila,jer mi tu, tobože,  ne možemo ništa učiniti pošto smo mala zemlja. Pokazuju koliko su oni mali i sićušni, kao i 1941!
Ima i takvih “istoričara i publicista ” koji Sremski front, kao deo opšteg savezničkog fronta protiv Hitlerove Nemačke , smatraju nepotrebnim samostalnim frontom i da smo ga trebali prepustiti Rusima.  Ali,kažu,  Tito i KPJ su bili željni  svetske slave a Tito kao Hrvat želio je i “da na njemu pogine što više mladih Srba”! Naravno da je to sumanuto. Tito,KPJ i partizani već su do tada ušli u istoriju slobode i postali legenda. Ovo drugo, o žrtvovanju mladih Srba,   ti “istoričari” potkrepljuju “činjenicama” da  je 8o% ljudstva NOVJ u Sremu, medju kojima je najvi[e Srba,  bilo neobučeno za rat  i masovno ginulo zbog toga, pa dodaju  - da je tako bilo u toku celog NOR.
Kao učesnik Sremskog fronta, tada sedamnestogodišnjak i dobrovoljac , borac  mitraljeske čete 3.bataljona 10.krajiške brigade 5.divizije (moj rodjeni stariji brat Živojin bio je u isto vreme borac mitraljezac u 4.krajiškoj brigadi)  znam da su ovo laži. Prvo, znali smo već nešto iz azbuke ratovanja radeći  ilegalno kao omladinci protiv okupatora a drugo, naša obuka bila je ključna obaveza komandi jedinica i starešina.Sa žarom  smo pre odlaska na front izvodili obuku na  novom naoružanju dobijenom od SA( automat Špagin, mitraljez Maksim i pt puška Simonova). Ta obuka izvodjena je neprekidno i tokom utvrdjivanja i borbenih dejstava na frontu i odmora u pozadini.Na  sremskim poljima izrastali smo u iskusne ratnike. Nismo mi bili topovsko meso ni neki nedorasli dečaci koje treba sažaljevati već svesni borci– mi smo probili Sremski front, ubijali Nemce,ustaše,dražinovce,belogardejce,baliste i konačno  opkolili i zarobili u Sloveniji ostatke nekada moćne polumilionske Grupe armija E. I njihovog komandanta generala Lera  i, posto je osudjen na smrt, mi smog a  streljali u Beogradu 16.2.1947.Ti  dečaci su dobili NOR 1941 – 1945. i na svojim plećima izneli posleratnu obnovu i izgradnju zemlje. I ne samo dečaci, nego i devojke koje su , iako nežne i mlade, bili ponosni ucesnici te surove i veličanstvene borbe za slobodu I bolji svet.
            Mi se ponosimo što smo učesnici Sremskog fronta -  najveće oslobodilačke bitke i najveće pobede naše armije u II svetskm ratu.Bila je to bitka ne samo za slobodu nego i bitka za humaniji svet i demokratiju koju uživaju ili će tek uživati sva  deca u našoj zemlji i svetu.Mi smo pošli u borbu ne zbog Tita već zbog komunizma!
Za veliki broj srpskih omladinaca i omladinki Sremski front je bio njihova 1941., prilika da daju lični doprinos oslobođenju domovine I stvaranju novog društva..Svi smo hteli u partizane i krećući iz oslobodjenog Beograda 1944.poručivali  majkama i očevima ”.  Mi odosmo na Berlin”.To su bili naši snovi kao komunizam koji će doći..Tako se onda shvaćala odbrana zemlje. Nas niko nije terao na front, klanicu kako o tome danas pišu neki poremećeni umovi. Jedni su išli po naređenju, mobilisani a drugi dobrovoljno. Spadam u ove druge i u mojoj četi nas je bilo najviše takvih . Sa radošću sam slušao ovih dana Svetozara Gligorića,  borca NOR od 1943, koji je ,po završetku borbi u Crnoj Gori 1944., zatražio i dobio dozvolu da ide na Sremski front,  pošto sam ,kaže proslavljeni šahista, malo kasnio sa dolaskom u partizane”.
Sremski front je bio poslednja prilika i za poklonike četničke parole “ čekajte, još nije vreme” , što su mnogi iskoristili. Bilo je i begunaca, dezertera,  kao što je Borislav Mihailović Mihiz ,koji se javno hvalio da je izbegao mobilizaciju i skrivao se negde oko Smedereva do kraja rata, a.,nažalost, .ne mali broj je i takvih koji su svoju sudbinu vezali za hitlerovsku Grupu Armija E.
 Kao u svakom ratu i u Sremu je bilo teško I opasno po život I zdravlje.Ali, daleko lakše nego u dotadašnjim borbama NOV i POJ. Bili smo mladi i sposobni za borbu,dobro naoružani i  deo velikog savezničkog fronta od Italije do severa Evrope.Vodili su nas iskusni komandiri i komandanti. U rovove su stizale i novine, pisma od kuće a jedinice su ,posle obično desetak  dana  na frontu,  povlačene u pozadinu na kratak odmor, kupanje, dezinfekciju stare i zaduživanje nove odeće, doobuku  itd.
 Srem je bio naša pozadina.Ustanički narod Srema nas je prigrlio kao svoje sinove i kćeri i otvorio nam svoje domove, deleći s nama sve što je u tim teškim danima imao. U njima  smo boravili posle smene sa položaja radi odmora i okrepljenja za nove borbe. Na sastancima smo analizirali protekle borbe , hvalili i kritikovali i jedva čekali da ponovo krenemo na položaj. Tu smo izdavali naše zidne novine i opisivali protekle dogadjaje i isticali slike i karikature naših junaka, opismenjavali nepismene, slušali predavanja komesara, vesti na retkim radioaparatima, pisali pisma kućama. Mnogi od nas su u tim kućama postajali članovi SKOJ i Komunističke partije Jugoslavije, kao i ja u Šarengradu februara 1945.
 To  su bile naše spavaonice, kuhinje, kupatila, previjališta i bolnice, radionice za opravku oružja , sobe za posete roditelja i rodbine koji su dolazili da nas obidju i samo njima znanim kanalima uvek doznavali gde smo, donoseći svoje skromne darove, najčešće vunene čarape i rukavice, domaće kolače i po koji komad suvog mesa ili slanine
            Kao teški ranjenik u Sremskoj bici  mogu da istaknem sjajnu  sanitetsku službu na frontu: požrtvovanje partizanskih lekara i bolničarki, sovjetske sanitetske vozove  i pokretne  bolnice,  a najviše brigu i pažnju naših ljudi u selima i gradovima u pozadini , gde su teže ranjeni obično evakuisani. “Sve za front, sve za pobedu” bila je parola sve do završetka rata. Danas bi ona morala glasiti “ Sve za Kosovo, sve za pobedu”.Ali, nema nekadašnjih dečaka nestrpljivih da stupe u partizanske redove! Danas se slave i amnestiraju begunci i dezerteri, samoživi tipovi bez humanih ciljeva u životu!
Ta briga i paznja i vojske , i vlasti i naroda bila je prisutna i prema poginulima i njihovim porodicama .Najveći gubici su bili u toku proboja fronta .U 1.armiji poginulo je tada 1.400 naših drugova i drugarica a 4.500 ranjeno. Bez njihove žrtve i 300.000 poginuloh boraca NOV I POJ ne bi bilo ni slobode ni boljeg života u SFRJ..  
Čini mi se da nema većeg ljudskog greha nego omalovažavati smrt i pogibiju boraca za slobodu , i to još u političke svrhe. Sremska epopeja je jedan od bistrih izvora dubokih ljudskih i nacionalnih osećanja srpskog naroda i to će večno ostati .Verujem u to!

 

  Stevan Mirković, general u penziji i predsednik Centra Tito



("Il clero cattolico fu implicato con i campi di sterminio": intervista a Barry M. Lituchy, presidente dello Jasenovac Research Institute - www.jasenovac.org/. Sulla questione dei criminali clericonazisti in Croazia si veda la documentazione raccolta alla nostra pagina: https://www.cnj.it/documentazione/ustascia1941.htm )


06.05.2010 / Ausland / Seite 8

»Katholischer Klerus war an Vernichtungslagern beteiligt«


Was uns der Geschichtsunterricht über die Zeit des Faschismus verschwieg: In Kroation wurden 600000 Serben umgebracht. Gespräch mit Barry M. Lituchy

Interview: Cathrin Schütz

Barry M. Lituchy lehrt Geschichte an einem College in New York City. Er ist Mitbegründer und Vorsitzender des » Jasenovac Research Institute«

Dieser Tage jährt sich zum 65. Mal die Auflösung des Konzentrationslagers Jasenovac in Kroatien. Der Nazijäger Simon Wiesenthal hat die dort an Serben begangenen Verbrechen zwar als die schwersten nach den Judenmorden bezeichnet – hierzulande weiß jedoch kaum jemand davon. Wieso eigentlich nicht?

Ein Grund dafür ist die Beteiligung der katholischen Kirche an diesen Verbrechen. Nachdem die deutschen Faschisten Jugoslawien überfallen und im April 1941 zerschlagen hatten, wurde auf dem Gebiet Kroatiens und Bosniens der »Unabhängige Staat Kroatien« ausgerufen. An dessenfaschistischem Ustascha-Regime war der katholische Klerus auf allen Ebenen beteiligt – von der Regierung bis hin zu den über 30 Vernichtungslagern, in denen vor allem Serben, Juden und Roma umkamen.

Jasenovac war das größte KZ in ganz Südosteuropa. Hinsichtlich der Opferzahl ist es nach Auschwitz, Majdanek und Treblinka das vermutlich viertgrößte überhaupt. Die genaue Zahl der Ermordeten wird man nie feststellen können – Wiesenthal spricht von 600000 Opfern.

Der katholische Klerus war also eine Mörderbande? Wie konnte das jahrzehntelang unter der Decke gehalten werden?

Die USA haben den Vatikan von jeher als Bollwerk gegen den Kommunismus gesehen – sie hatten also ein Interesse daran, ihn vor solchen Vorwürfen zu bewahren. Außerdem wollte die katholische Kirche selbst ihre Kollaboration mit den deutschen Faschisten vergessen machen. Nach dem 2. Weltkrieg hatte der kroatische Klerus Faschisten aus ganz Europa über die »Rattenlinie« zum Vatikan gebracht, von wo aus sie mit falschen Pässen in Südamerika untertauchten. Darunter waren auch die Massenmörder Josef Mengele und Adolf Eichmann. Die USA und Großbritannien unterstützten das und setzten viele Nazis als Agenten ihrer Geheimdienste ein.

Das Ende des Vernichtungslagers Jasenovac ist nicht genau zu datieren – warum nicht?

Alles spielte sich zwischen Ende April und Anfang Mai 1945 ab. Im April bereitete die Ustascha die Liquidierung des Lagers vor, nachdem die jugoslawischen Partisanen immer wieder angriffen hatten. Auch die Rote Armee war nach Jugoslawien vorgedrungen.

Die Ustascha hatte unterdessen alle Frauen in dem Lager liquidiert, woraufhin einige der überlebenden 2000 Männer für den 22. April den Ausbruch planten. Unbewaffnet, wie sie waren, stellten sich Hunderte von ihnen der schwerbewaffneten Ustascha entgegen – 140 Häftlingen gelang die Flucht, der Rest wurde umgebracht. Die Klerikalfaschisten haben daraufhin alles zerstört und die noch verbliebenen Häftlinge ermordet. Als die Partisanen einmarschierten, fanden sie ein leeres Lager vor.

Sie haben Mitte der 1990er Jahre in New York das »Jasenovac Research Institute« gegründet, auf dem Höhepunkt einer neuen Propagandawelle gegen Serbien. Warum?

Nach dem Zusammenbruch des Sozialismus in Osteuropa ging es den führenden kapitalistischen Staaten darum, auch in Jugoslawien die sozialistische Wirtschaftsordnung zu zerschlagen. Seit Ende der 80er Jahre wurden dazu die Serben systematisch dämonisiert, und es wurden faschistische Organisationen reaktiviert, die sich u.a. in den USA, in Kanada, Australien und Lateinamerika gehalten hatten.

Franjo Tudjman führte Kroatien dann 1991 in die Unabhängigkeit, wobei er den Mythos der Ustascha wiederbelebte und deren Symbole benutzte. Die heutige Fahne Kroatiens basiert auf jener der Faschisten. Eine vergleichbare Entwicklung gab es in Bosnien: Alija Izetbegovic führte das Land erst in den Krieg und dann in die Unabhängigkeit. Im 2. Weltkrieg hatte er der vom SS-Führer Heinrich Himmler gegründeten Bewegung der Jungen Muslime angehört, die Teil der bosnisch-muslimischen SS-Division war.

Die Gründung des Instituts war für mich ein Mittel, den Lügen der NATO etwas entgegensetzen zu können. Ich denke, daß die Geschichte die wichtigste Waffe gegen die Lügen der 90er Jahre ist.


www.jasenovac.org/


IN KOSOVO TUTTO OK !!!

Dato che un libro è stato recentemente pubblicato in Italia con il
cinico e aberrante titolo "Kosovo tutto OK" ( http://www.balcanicaucaso.org/ita/Appuntamenti/Kosovo-tutto-ok
) ...

<< Quattro profughi serbi hanno abbandonato il villaggio Zac
(22 aprile 2010 - fonte: www.glassrbije.org )

I rappresentanti di quattro famiglie dei profughi serbi hanno
abbandonato il villaggio Zac nei pressi di Istok in Kosovo e sono
andati nella Serbia centrale, dopo che stanotte gli albanesi hanno
gettato di nuovo le pietre contro due campi nei quali vivono i
profughi serbi. Due campi con le tende nelle quali 26 famiglie dei
profughi serbi di Zac vivono aspettando di entrare nelle proprie case,
sono stati lapidati martedì sera, dopo di che i profughi hanno passato
tutta la notte vigilando davanti alle tende. Loro hanno dichiarato che
gli albanesi protestavano molte volte negli ultimi trenta giorni
contro il ritorno dei profughi serbi. >>

(italiano / slovensko)

CNJ-onlus aderisce ed invita tutti a partecipare a questa importante iniziativa indetta per celebrare il carattere internazionalista della Resistenza e contro il revisionismo, nel 65.mo Anniversario della Liberazione in Europa: 


Programma
 
Conferenza venerdì, 7.5.2010, inizio alle 13.00
 
Manifestazione sabato, 08.05.2010, inizio ore 15.00

--- slovensko ---

Politika spominjanja – politika za danes
Petek, 7. maj 2010
Posvet in razprava
Pričetek ob 13. uri
Volkshaus/Ljudski dom
Südbahngürtel 24, 9020 Celovec
• Moderacija: ANGELIKA HÖDL
• Uvod: TINA LOBNIG
 
Prispevki:
• HELGE STROMBERGER: Instrumentalizacija spomina na nacionalsocializem v aktualni politiki
• BRIGITTE ENTNER: Ena dežela – dva spomina
• SANDI VOLK (Trst): Politika spominjanja v italijanskih razmerah
• MIRKO MESSNER: Antifašistični odpor v kolektivnem spominu
• GAL KIRN (Ljubljana): Politika spominjanja v Slovenije, partizanstvo in revizionizem
• Zaključek in rezime: SIEGLINDE TRANNACHER
 
DEMONSTRACIJA
ob 65. letnici zmage nad nacifašizmom
Sobota, 8. maj 2010
Zbirališče: ob 15.00 uri pred glavno postajo v Celovcu
Zaključna prireditev na Novem trgu.

---

Inizio messaggio inoltrato:

In allegato potete visionare il materiale relativo alla manifestazione antifascista di sabato prossimo a Klagenfurt. Con cortese preghiera di pubblicazione e diffusione alle vostre mailing list.
Igor Kocijancic

8 maggio tutti a Klagenfurt!


Il Forum Interregionale della Sinistra Europea Alpe-Adria, i partiti componenti della Sinistra Europea, il comitato carinziano “Collettivo di lavoro per l’8 maggio 2010” e le organizzazioni, i gruppi e le singole persone aderenti alla piattaforma “8 maggio 2010” propongono, in occasione del 65° anniversario della vittoria sul nazifascismo una grande manifestazione antifascista con partecipanti dall’Austria, dalla Slovenia, dall’Italia e con delegazioni ospiti dalla Germania e da altri paesi europei.
La manifestazione con corteo, che partirà sabato 8 maggio alle 15.00 davanti alla stazione ferroviaria centrale di Klagenfurt e sfilerà fino a Piazza Nuova per concludersi con uno spettacolo finale, sarà introdotta da un convegno storico sul tema della cultura della memoria “Politica della memoria – politica per l’oggi, che avrà luogo venerdì 7 maggio, dalle 13.00 in poi presso la Casa del Popolo/Volkhause di Klagenfurt (Sudbahngurtel 24).
Per informazioni più dettagliate, il testo dell’appello, il programma e l’adesione all’appello ed alla manifestazione connettersi con il sito web www.0805.eu . 

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APPELLO

per la manifestazione dell'8 maggio 2010 a Klagenfurt

Il Forum Interregionale della Sinistra Europea Alpe-Adria, i partiti componenti della Sinistra Europea, il comitato carinziano "Collettivo di lavoro per l'8 maggio 2010" e le organizzazioni, i gruppi e le singole persone aderenti alla piattaforma "8 maggio 2010", propongono per questa giornata e per la celebrazione a Klagenfurt del 65° anniversario della vittoria sul nazifascismo un'ampia manifestazione antifascista con partecipanti dall'Austria, dalla Slovenia, dall'Italia e con delegazioni ospiti dalla Germania e da altri paesi europei. Vogliamo concludere la manifestazione con l'inaugurazione del "monumento ai diecimila nomi", dedicato a tutte le circa 10.000 persone che in Carinzia persero la vita a causa del nazifascismo - alle combattenti ed ai combattenti, ai prigionieri di guerra sovietici, alle donne ed agli uomini avviati al lavoro coatto, alle vittime dell'eutanasia e della gestapo, alle slovene ed agli sloveni, alle persone ebree, ai testimoni di Geova, ai Rom ed ai Sinti, agli omosessuali, ai disertori, ai perseguitati politici ed a tutti gli altri. Alla vigilia della manifestazione - il 7 maggio - avrà luogo a Klagenfurt un convegno internazionale sul tema "La politica della memoria - una politica per l'oggi". Il convegno tratterà diversi punti di vista nazionali ed internazionali della politica della memoria posta innanzi allo sfondo della profonda crisi sociale e formulerà proposte di azione all'insegna del superamento delle cornici partitiche e nazionali.

Le nostre motivazioni sono molteplici:

E' seriamente minacciato il lascito del movimento di liberazione europeo; da un lato esso é sistematicamente posto sotto minaccia dall'apatia e dall'assenso silenzioso o aperto dei vari governi a politiche xenofobe, dall'altro versante invece da politiche nazionaliste e di estrema destra, in alcuni casi presenti nelle e parte integrante delle politiche di governo. Tutto ciò é già senz'altro un multiplo denominatore ed una caratteristica comune di questi ultimi anni nell'approccio e nella condotta di molti governi della cosiddetta area Alpe Adria, ovvero all'interno della cornice già delineata di quella che dovrebbe essere l'Euroregione del futuro dai tratti fortemente liberisti che molti vorrebbero realizzare. I governi di destra o addirittura postfascisti in alcuni ex paesi del socialismo reale si stanno adoperando per dare piena legittimazione al collaborazionismo con i nazisti, riuscendovi anche abbastanza agevolmente, grazie agli appoggi provenienti dalla tendenza - generalmente revisionista - delle politiche europee della memoria, che continuano pervicacemente a confondere i crimini nazisti in una narrazione generale sulle vittime del 20° secolo. Il fascismo di oggi si presenta solitamente svestito della propria uniforme e dei costumi che l'hanno caratterizzato storicamente, tuttavia anche oggi non é difficile riconoscere e smascherare l'orientamento razzista e socialdemagogico, che consentì al nazionalsocialismo di conseguire un'efficacia di massa. Infatti anche allora trovò terreno fertile su presupposti molto simili di crisi economica generalizzat, di una situazione senza speranza nella quale versavano lavoratrici e lavoratori ed in un clima caratterizzato dal decadimento dell'etica e dei valori solidaristici.

L'Austria deve la propria esistenza, e di ciò dovrebbe essere grata, alla vittoria dell'Alleanza antinazista ed al movimento di liberazione. E' ispirata alla Costituzione del 1955, che contiene un esplicito ed inequivocabile messaggio antifascista di rango costituzionale: vieta espressamente la propaganda nazionalsocialista e razzista, esclude un orientamento statuale e giuridico in direzione di un'unico stato nazionale tedesco e prevede, inoltre, all'art. 7 l'attuazione dei diritti e della tutela delle minoranze. Questa realtà costituzionale confligge con il quadro politico reale: con la politica razzista ed antiimmigrati dei partiti di destra e del governo, con le politiche ostili nei confronti delle minoranze poste in atto dal governo regionale carinziano, con il fatto stesso che a presiedere il Parlamento nazionale siede un uomo che professa apertamente il proprio nazionalsimo tedesco, mentre l'Austria é diventata stato sovrano a tutti gli effetti solo nel momento in cui superò il nazionalismo tedesco.

Quanto sta avvenendo a livello europeo negli ultimi anni é in Carinzia la misura standard da alcuni decenni di politiche regionali di destra: il collaborazionismo con i nazisti viene trasformato e tradotto in azione "patriottica" , che ha combattuto la "violenza" del movimento di liberazione. Da questa palude ideologica della memoria traggono linfa e fioriscono l'estremismo carinziano di destra e l'incostituzionalità ufficiale del governo regionale. In questa regione la destra trae vantaggio senza vergogna e senza alcun ostacolo dalle conseguenze della crisi, mettendo in connessione senza alcun ritegno privatizzazioni e profitti, demagogia sociale, politica della memoria postfascista, razzismo e nazionalismo tedesco. E' così che è diventata forza egemonica in questa regione.

E proprio per questo che per la giornata del 8 maggio 2010 intendiamo manifestare nel capoluogo carinziano: contro il tentativo di innalzare l'estremismo di destra a variante della politica "normale", contro la stucchevole capacità di adattamento dei politici di coalizione e per una relazione positiva con la tradizione antifascista austriaca ed europea, per un cambiamento in direzione di una politica attenta ai temi sociali, alle minoranze, alla cultura ed ai diritti civili e dell'uomo. Esortiamo tutte le persone, le organizzazioni ed i partiti ad orientamento antifascista a sostenere il convegno internazionale e la manifestazione, di partecipare al progetto ed alla preparazione degli eventi. Se riteniamo di condividere la descrizione del quadro delineato in premessa al presente appello, non sarà difficile per noi, che stiamo lavorando alla preparazione del convegno e della manifestazione, accordarci su una serie di rivendicazioni da trasmettere al Parlamento europeo, al Governo federale austriaco ed ai governi regionali della comunità Alpe Adria.

Collettivo di lavoro per l'8 maggio 2010. Per il collettivo
Forum Interregionale della Sinistra Europea Alpe AdriaAlpe-Jadran



(Le novità sul sito del Forum di Belgrado - http://www.beoforum.rs/ )

ДА ЛИ ЈЕ СРБИЈИ МЕСТО У НАТО-у?
Да ли је Србији место у НАТО-у? (други део)

СРБИЈА КАО ГРЧКА?


Филм - ОБЕЛЕЖАВАЊЕ 10 ГОДИНА РАДА БЕОФОРУМА  (979.23 MB)
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Филм - ИНТЕРВЈУИ  (988.23 MB)
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March 26th 2010 Celebration:  
10 YEARS OF BELGRADE FORUM FOR A WORLD OF EQUALS

На прагу деценије од агресије НАТО


IL SIGNORE DELLA GUERRA

<< La pace è facilissima da ottenere: basta arrendersi. >>

Edward Luttwak alla trasmissione AnnoZero, Rai2, 15 aprile 2010


----Messaggio originale----
Da: nuovaalabarda  @...
Data: 30/04/2010 16.22

Vi comunico che è stato inserito  l'articolo sul nuovo libro di Raoul Pupo (Trieste '45, edito da Laterza) all'indirizzo 
 
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-la_storia_secondo_raoul_pupo..php
 
buona lettura!
Claudia Cernigoi
---

La Storia Secondo Raoul Pupo.

IN MARGINE ALLA PRESENTAZIONE DI “TRIESTE ‘45” DI RAOUL PUPO, 21 APRILE 2010.

Lo storico Raoul Pupo ha recentemente pubblicato un nuovo libro “Trieste ‘45” (Laterza 2010), nel quale fa una ricostruzione degli eventi storici che interessarono Trieste e la Venezia Giulia alla fine del secondo conflitto mondiale. Questo libro è stato presentato a Trieste il 21 aprile scorso, nella prestigiosa sede dell’Aula magna della Scuola per interpreti, già sede dell’hotel Balkan che era stato dato alle fiamme dallo squadrismo fascista nel 1920. Relatori gli storici Roberto Spazzali e Marta Verginella.
Non vogliamo entrare nel merito di tutto il libro ma fare solo un paio di osservazioni.
Osserviamo innanzitutto che il testo di Pupo non è tanto un’analisi di fatti storici quanto una serie di interpretazioni politiche degli avvenimenti. Di conseguenza quanto scritto dallo studioso è in partenza influenzato dalle posizioni politiche dello stesso: essendo egli anticomunista ed antijugoslavo le sue analisi non possono prescindere dal suo modo di rapportarsi. Così la sua affermazione che la realizzazione della Jugoslavia di Tito è giunta “dopo una guerra civile ad altissima intensità” ed una “rivoluzione di tipo bolscevico” (pag. 330), che non trova giustificazione storica, può essere compresa solo considerando la posizione politica di Pupo. Ricordiamo che la lotta di liberazione della Jugoslavia era stata motivata dall’occupazione italo-germanica di quel paese; nell’ambito di questa lotta di liberazione la componente più forte, che ebbe poi anche l’appoggio degli Alleati, era quella che faceva capo a Tito. Pur consapevoli che non è con i se che si fa la storia, possiamo ipotizzare che senza l’occupazione nazifascista difficilmente la componente comunista avrebbe iniziato una lotta armata e provocato una guerra civile per prendere il potere.
Per quanto concerne la questione degli arresti operati dalle autorità jugoslave alla fine della guerra (in questo testo finalmente Pupo non parla genericamente di “foibe” ma specifica che si trattò di “arresti”) lo storico fa un’affermazione quantomeno singolare: non sarebbe degno di interesse tanto il numero dei morti “ovviamente sconosciuto”, quanto la mole di arresti (pag. 230).
A prescindere dal fatto che il numero dei morti “ovviamente” non è sconosciuto (quantomeno non a Trieste, Gorizia, Fiume, per le quali città sono stati condotti degli studi discretamente precisi sulla base dei registri anagrafici), l’insistere nel voler quantificare il problema sul numero degli arresti è del tutto fuorviante, se non si prosegue il discorso precisando quanti furono rilasciati già nell’immediato.
In concreto: come sempre quando un esercito prende il controllo di un territorio già in mano al nemico, tutti i militari e le forze armate sconfitte vengono tratti in arresto. Così è accaduto anche a Trieste nel maggio 1945: ad esempio è vero che tutti i membri della Guardia civica reperibili sono stati arrestati e trattenuti per un paio di giorni dall’esercito jugoslavo: ma è anche vero che dopo alcuni sommari controlli furono rilasciati tutti coloro per i quali non c’erano accuse specifiche di comportamenti criminali. Se consideriamo che le fonti alleate parlarono di diverse migliaia di arresti a Trieste nei primi giorni di maggio, e che in concreto da tutta la provincia furono 500 coloro che non fecero ritorno (sono comprese in questo numero anche le vittime di regolamenti di conti e vendette personali, quindi non imputabili alle autorità jugoslave), la valutazione di Pupo è decisamente fuorviante per la comprensione degli eventi.
Anche in un altro punto la visione politica nuoce alla ricostruzione storica: quando Pupo sostiene che la repressione jugoslava colpì tutti coloro che non volevano collaborare con l’esercito del nascente stato jugoslavo. L’autore non considera che l’esercito jugoslavo, essendo uno degli eserciti alleati contro l’Asse (l’Italia era solo “cobelligerante”, ricordiamo), aveva tutto il diritto, sancito dalle regole dell’armistizio firmato dall’Italia, di chiedere “collaborazione” (nel senso che dovevano porsi a loro disposizione) alle forze armate presenti sul territorio dove arrivavano. A Trieste il CVL (che già era uscito dal CLN Alta Italia perché si rifiutava di collaborare con la resistenza jugoslava: e qui va ribadito un concetto che spesso viene presentato capovolto: quando si dice che a Trieste il Partito comunista non faceva parte del CLN, bisognerebbe specificare che era stato per primo il CLN triestino a porsi fuori dal CLNAI che aveva dato come direttiva quella di allearsi con gli Jugoslavi, e per questo il PC triestino, che lavorava assieme al Fronte di Liberazione – Osvobodilna Fronta non faceva parte del CLN), forse per un malinteso senso di patriottismo, o forse per altri motivi, non volle consegnare le armi all’esercito jugoslavo, così come le guardie di finanza (incorporate all’ultimo momento nel CVL) in alcuni casi non si misero a disposizione degli jugoslavi o addirittura spararono loro contro, probabilmente perché ordini sbagliati erano stati loro impartiti dall’alto (e qui potremmo aprire tutta una lunga dissertazione sul “piano Graziani” che teorizzava le provocazioni contro gli Alleati in modo da creare disordini ed incidenti).
Nella fattispecie il gruppo di guardie di finanza della caserma di Campo Marzio, invece di combattere a fianco della IV Armata jugoslava scesa in città, si mise a sparare contro di essa assieme ai militari germanici, che erano accasermati nello stesso edificio. Di conseguenza un’ottantina di finanzieri furono arrestati ed internati nei campi di prigionia (secondo un documento citato, ma non reso pubblico, da Giorgio Rustia in una lettera pubblicata su “Trieste Oggi” il 25/4/01, 77 di questi sarebbero stati uccisi a Roditti presso Divaccia, a pochi chilometri da Trieste). Ricordando che era compito della brigata Timavo del CVL (per la precisione del battaglione agli ordini del tenente colonnello Domenico Lucente, come leggiamo ne “I cattolici triestini nella Resistenza”, Del Bianco 1960) prendere il controllo della caserma di Campo Marzio, quindi possiamo anche domandarci quale responsabilità ebbero in questi incidenti i dirigenti del CVL, che evidentemente non avevano informato esattamente i finanzieri in merito agli accordi presi.
A proposito di questo episodio, dobbiamo anche citare quanto scrive lo storico Roberto Spazzali (che è stato tra i relatori del lavoro di Pupo il 21/4/10), e cioè che la sera del 30 aprile “quando a Trieste non erano ancora entrate le truppe jugoslave”, Vasco Guardiani (all’epoca impiegato ai Cantieri, organizzatore della brigata Frausin del CVL, ma successivamente anche “gladiatore”), che si trovava nella Curia per parlare col Vescovo, vide passare i finanzieri “prelevati dalla caserma di Campo Marzio, scortati da operai dei Cantieri navali” (in “…l’Italia chiamò”, LEG 2003). E ricordiamo qui che nei “diari” del CVL si legge che ai Cantieri si sarebbero “insinuati” membri delle brigate Venezia Giulia e Frausin.
Dunque se Spazzali ha riportato (ritenendo quindi attendibile) quest’altra versione dell’arresto dei finanzieri di Campo Marzio, perché non ne ha parlato nel corso del dibattito sul nuovo testo di Pupo?
In conclusione di questo discorso, e senza entrare nel merito di quanto avvenuto, consideriamo che si era alla fine di un conflitto mondiale dove sostanzialmente i combattenti erano divisi in due gruppi: quelli che combattevano con l’Asse e quelli che combattevano con gli Alleati. Se all’arrivo di un esercito alleato alcuni armati non si ponevano a loro disposizione, venivano logicamente considerati come “nemici”, con le conseguenze del caso, e ciò vale sia per chi non si consegnava agli angloamericani che per chi non si consegnava agli jugoslavi.
Prendere atto di ciò significa valutare i fatti storici e non “ragionare come nel 1945” quando si eliminava tutti coloro con cui non ci si trovava d’accordo, accusa che Pupo ha mosso alla ricercatrice storica Claudia Cernigoi che aveva fatto queste obiezioni nel corso del dibattito: un’affermazione questa di Pupo piuttosto pesante ed offensiva, oltre che fuori luogo nell’ambito di un dibattito storico.
L’altro punto su cui non concordiamo con le tesi di Pupo è la sua ricostruzione di quanto sarebbe avvenuto presso la “foiba” di Basovizza. Nel suo libro fa dapprima un paio di accenni a possibili infoibamenti nel pozzo della miniera: a pag 24, quando parla della fucilazione di Gaetano Collotti (il commissario dell\'Ispettorato Speciale di PS, corpo speciale di repressione antipartigiana i cui metodi di lavoro erano la tortura sistematica, l\'eliminazione sbrigativa degli arrestati ed il saccheggio delle abitazioni rastrellate) a Carbonera scrive che “la stessa sorte” toccò a “molti suoi collaboratori caduti in mano jugoslava” che “finirono con tutta probabilità nel pozzo della miniera di Basovizza”; ed ancora a pag. 222 parla di “fucilazioni di massa a Basovizza”, quasi a voler preparare psicologicamente il lettore al successivo capitolo nel quale cerca di dimostrare che a Basovizza sarebbero stati uccisi “circa 200 questurini” (come detto nel corso della presentazione del libro). 
A pag. 246 inizia il capitolo su Basovizza (introdotto dalla preghiera scritta da monsignor Santin per gli “infoibati”) e, dopo avere narrato la vicenda degli antifascisti fucilati nel 1930 a Basovizza (su questo fatto vi rinviamo all’articolo “Martiri di Basovizza” http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-martiri_di_basovizza.php), Pupo riprende in mano l’ormai più che noto documento anonimo (la firma Source che significa semplicemente Fonte non permette di identificare il redattore del rapporto) che riporta le presunte dichiarazioni di due sacerdoti (don Virgil Šček e don Francesco Malalan). Sull’attendibilità di questo rapporto scrive: “qualche interprete ha osservato che in realtà i due preti non hanno assistito de visu alle uccisioni: l’osservazione è pertinente, ma il ruolo dei due sacerdoti nella comunità locale e nel movimento di liberazione li rende portavoce attendibili di un sapere comune. Il rapporto dunque è preciso e circostanziato. Ha un solo difetto: è un resoconto di seconda mano proveniente da una fonte coperta. Prima di accettarlo ben sarebbe poterlo incrociare con altre fonti di provenienza diversa”.
Tralasciando che “qualche interprete” sarebbe Claudia Cernigoi (i cui studi Pupo peraltro non considera), vediamo ora le “fonti” di “diversa” provenienza “incrociati” dallo storico.
Il primo è un rapporto dell’Ozna, datato 3/9/45, che riferisce delle ispezioni condotte dagli angloamericani nel pozzo della miniera. In tale rapporto, cita Pupo, si parla di “circa 250 kg cadaveri in putrefazione”.
Noi osserviamo che 250 chili di resti umani possono rappresentare al massimo “una decina di corpi smembrati”, come scriveva quel rapporto “segreto” dei servizi alleati pubblicati sul “Piccolo” del 31/1/1995, e non i 200 questurini di Pupo: ma quando Cernigoi ha fatto presente un tanto nel corso della presentazione di “Trieste ‘45”, si è sentita rispondere “lo sapevo io che si finiva a parlare di ossa e cadaveri”, come se nel corso di un dibattito storico nel quale si parla di eccidi parlare di cadaveri fosse andare fuori tema o, peggio, come asserito dallo storico, non “rispettare la memoria” di chi ha avuto un parente “infoibato”.
A prescindere dal fatto che parlare di storia è una cosa, trarre giudizi morali e rispettare le memorie è altro, quello che sarebbe utile chiarire, a questo punto, è se si rispetta di più la memoria dei morti dicendo (a sproposito) che 250 chili di resti umani rappresentano la prova che 200 questurini sono stati infoibati o evidenziando l’incongruità dell’affermazione.
La seconda “fonte” citata da Pupo è una frase tratta dai diari di don Šček: parla dei “questurini da Trieste trasportati a Basovizza” che “alla sera li fucilarono e li gettarono nelle grotte”. 
Considerando, come ha fatto Pupo, che don Šček era un “leader carismatico rispettato dai partigiani” e quindi un “testimone autorevole”, viene da pensare che se avesse saputo che i “questurini” erano stati gettati nella foiba di Basovizza avrebbe parlato di “pozzo della miniera”, al singolare, e non di “grotte”: per cui non ci sentiamo di condividere la conclusione cui arriva Pupo che uno storico “puntiglioso può ritenere che molto probabilmente i fatti si sono svolti come abbiamo detto”. Infine, come dato essenziale, va detto che i questurini di Trieste “scomparsi” nei “40 giorni” non erano 200 ma un centinaio, e della maggior parte di essi si sa dove e come sono morti, sicuramente non a Basovizza.
Rileviamo a questo punto che lo storico Pupo non ha “incrociato” nessun altro documento, non ha ad esempio preso in minima considerazione la mole di verbali ed atti che un altro storico triestino, Gorazd Bajc ha trovato negli archivi di Washington e che sono stati presentati nel settembre scorso nella stessa Aula magna, alla presenza dello storico Spazzali. Questi documenti, che dimostrano in modo piuttosto esplicito che da Basovizza non furono recuperati che corpi di militari tedeschi, non sembrano esistere per Raoul Pupo.
La conclusione del capitolo su Basovizza è comunque un’altra: “non abbiamo certezze ma può essere che nel pozzo della miniera si trovino membri dell’Ispettorato”, il che porta Pupo a fare un paragone (a nostro parere aberrante) tra i due luoghi della memoria di Basovizza: sui fucilati di Basovizza aleggia il sospetto del terrorismo, sugli infoibati di Basovizza il sospetto che vi siano i torturatori dell’Ispettorato Speciale di PS.
Una valutazione del genere richiederebbe come risposta uno studio di diverse pagine: per motivi di spazio ci limitiamo per ora a dire che secondo noi non è così che si scrive la storia. 

aprile 2010


Nel trentennale della morte di Tito, una galleria fotografica alla
pagina: https://www.cnj.it/AMICIZIA/titovasmrt.htm


http://glassrbije.org/index.php?option=com_content&task=view&id=59391&Itemid=33


30 GODINA OD SMRTI JOSIPA BROZA TITA
4. maj 2010.

Polaganjem venaca i cveća, u Kući cveća i nizom drugih manifestacija
širom Srbije danas se obeležava 30. godišnjica od smrti doživotnog
predsednika Socijalističke Federativne Republike Jugoslavije Josipa
Broza Tita. Iako o njemu postoje oprečna mišljenja među
istoričarima, kult njegove ličnosti i dalje je veoma jak među
velikim brojem građana svih bivših jugoslovenskih republika a mnogi
ga i danas vide kao simbol boljeg, sigurnijeg i uređenijeg života.
Pripremila Jelena Simić.


Među jugonostalgičarima i poštovaocima Titovog lika i dela, venac na
grob svog dede položio je Titov unuk i lider Komunističke partije
Srbije Josip-Joška Broz. On je ocenio da je trenutni loš život i
sećanje na bežbrizne dane uticalo da veliki broj ljudi danas dođe u
Kuću cveća. Titova udovica, Jovanka Broz, u ranim jutarnjim satima
poslala je venac sa natpisom "Voljenom Titu - Jovanka", što radi već
petu godinu za redom. Cveće su do podneva položile brojne delegacije:
predstavnici vojske, ambasadori Gane i Kuvajta, predstavnici
Socijalističke partije Srbije, Invalidi rada iz Stare Pazove, Savez
antifašista iz Hrvatske, penzionisani gardisti koji su bili Titovo
obezbeđenje, društvo "Josip Broz Tito" iz Hrvatske, Makedonije i
Bosne i Hercegovine, predstavnici SUBNOR-a. U ime Socijalističke
partije Srbije, počast Titu su odali Žarko Obradović i Aleksandar
Antić. Zamenik predsednika SPS-a i ministar prosvete Žarko Obradović
je rekao da socijalisti pamte Josipa Broza kao državnika, koji je ime
Jugoslavije učinio poznatim i koja danas predstavlja sinonim za
državu koja je bila poštovana širom sveta. Predsednik Skupštine
grada Beograda Aleksanadar Antić smatra da je Tito bio jedan od
političara koji je ostavio značajan doprinos u novijoj političkoj
istoriji sveta, čovek koji je menjao svet oko sebe i koji zaslužuje
svo naše poštovanje.

Josip Broz Tito umro je 4. maja 1980. u Ljubljani, a njegovoj sahrani
četiri dana kasnije u Beogradu prisustvovalo je 700.000 ljudi, ali i
209 državnih delegacija iz 128 zemalja sveta. Najposećenijem pogrebu
nekog državnika u 20. veku odali su na licu mesta 31 predsednik
države, 22 premijera, četiri kralja, šest prinčeva i 11 predsednika
nacionalnih parlamenata, a u svetu tada podeljenom po hladnoratovskim
linijama, bili su državnici iz oba tabora.
Tito je rođen 7. maja 1892. u zagorskom selu Kumrovec, ali je njegov
rođendan proslavljan 25. maja kao "Dan mladosti", kada je organizovana
štafeta koja je iz ruke u ruku nošena kroz celu zemlju da bi mu bila
uručena na završnom sletu u Beogradu.
Josip Broz je tokom Drugog svetskog rata komandovao najvećim gerilskim
pokretom u porobljenoj Evropi, a o nesumnjivom vojničkom talentu
svedoči činjenica da je razradio koncepciju stvaranja partizanskih
odreda i Pokreta narodnog oslobođenja iz kojeg je 26. novembra 1942.
nastala Narodnooslobodilačka vojska Jugoslavije (NOVJ). Posle rata, u
skladu s revolucionarnim idejama, ukinuo je monarhiju i višestranački
sistem i odmah 1945. izabran za predsednika vlade i ministra odbrane,
da bi predsednik države postao 1953. Na najvišu funkciju je biran
sedam puta, a doživotni predsednik države i partije postao maja 1974.
Posle obračuna sa Staljinom, u vreme hladnog rata, Tito je na
međunarodnoj sceni pozicionirao zemlju između Istoka i Zapada, zbog
čega je od polovine pedesetih godina 20. veka, Jugoslavija decenijama
dobijala značajnu finansijsku i vojnu pomoć SAD. Kao izuzetno vešt
državnik i ideolog, Tito je u vreme liberalizacije pod vladavinom
Hruščova, ubrzo normalizovao odnose sa SSSR-om. Sa liderima Indije i
Egipta Nehruom i Naserom inicirao je osnivanje Pokreta nesvrstanih
zemalja 1961. godine u Beogradu i uspeo vrlo brzo da okupi veliki broj
država Azije, Afrike i Južne Amerike. Prema mnogim viđenjima, sa
Titovom smrću su krenuli dezintegracioni procesi u SFRJ, a u godinama
pred raspad zemlje, počele su kritike i distanciranja od njegovog lika
i dela.
Povodom 30-te godišnjice Titove smrti istoričari u Srbiji ističu da
je nesporno reč o istorijskoj ličnosti, veštom vojskovođi i
državniku. Prema njihovoj oceni, Broz je na međunarodnom planu vodio
realnu politiku i uspeo da jednoj maloj zemlji obezbedi mesto i ugled
u svetu, ali se ne može amnestirati ni od "ličnih zasluga" za propast
Jugoslavije. Istraživač Balkanološkog instituta SANU Čedomir Antić
ocenjuje da je Josip Broz, ličnost velikih političkih sposobnosti i
karijere, punih 35 godina vodio veoma složenu državu u izuzetno
teškim okolnostima. “On je za života hteo da očuva jedinstvenu
Jugoslaviju, ali njegovo nasleđe to nije omogućilo", rekao je Antić.
Profesor istorije Jugoslavije na beogradskom Filozofskom fakultetu
Ljubomir Dimić smatra da je Broz imao veći značaj kao političar i
državnik na svetskoj, nego na domaćoj sceni. On je objasnio da je
Tito, kao vođa Narodnooslobodilačke borbe već u susretima sa
liderima Velike Britanije i SSSR-a, Čerčilom i Staljinom, shvatio
šta je realna politika i zato mu pripada zasluga što je jugoslovenska
revolucija priznata još pre kraja Drugog svetskog rata. Srpski
istoričari su saglasni i da je jugoslovensku krizu generisalo i
razvlašćivanje federacije, koje je vodilo jačanju nacionalizma u
republikama, u čemu Broz takođe ima posredne i neposredne zasluge. To
je dovelo do učvršćivanja republičkih elita koje započinju svađe
oko plana, dohotka, ulaganja, pomoći nerazvijenima, a sporenja s
godinama eskaliraju i vode krvavom raspadu početkom devedesetih.
Jugoslavija se suštinski raspala mnogo ranije nego što se misli, već
70-tih, a ono što je usledilo krajem 80-tih godina, samo je epilog,
ocenio je Predrag J. Marković iz Instituta za savremenu istoriju.
Tri decenije posle Titove smrti i 20 godina nakon početka krvavog
sloma "Titove Jugoslavije", sećanja na visok životni standard,
uređenost i bezbednost u toj zemlji veoma su jaka, naročito u
okolnostima tranzicije i dugogodišnje opšte krize, lik predsednika
SFRJ je ponovo u žiži, a Kuća cveća je u poslednjih 10 godina sve
popularnije odredište za turiste iz sveta i regiona. Kroz Kuću
cveća, u sklopu Muzeja istorije Jugoslavije, prošlo je oko 17 miliona
ljudi, počev od 1980. godine. Poseta se u devedesetim značajno
smanjila, a u prethodnoj deceniji je opet počela da raste. Prema
rečima zaposlenih u muzejskoj upravi, u Kuću cveća 4. i 25. maja
dolaze ljudi iz čitave bivše Jugoslavije, a među njima je i sve
više mladih, koji nisu bili rođeni kada je Tito bio živ.
Muzej istorije Jugoslavije je u poslednje dve godine organizovao
nekoliko vrednih izložbi koje ilustruju značaj i hobije pokojnog
predsednika SFRJ. "Tito je ostvario san svakog apsolutni vladara - da
bude hvaljen i slavljen za života i poštovan posle smrti. Njegova
popularnost velika je i danas, 30 godina posle smrti, ocenjuje Momo
Cvijović, dugogodišnji kustos muzeja. Nekada su se na danasnji dan, u
15.05, kada je umro Josip Broz Tito, oglašavale sirene i tada bi
čitava Jugosalavija na minut stajala mirno i tako odavala počast
"doživotnom predsedniku Socijalističke Federatvine Republike
Jugoslavije".



IO STO CON EMERGENCY

Attenzione al cambio di appuntamento: diversamente da quanto precedentemente comunicato la manifestazione si terrà in Piazza San Giovanni

SABATO 17 - ore 14,30
Appuntamento in Piazza San Giovanni ROMA

Sabato 10 aprile militari afgani e della coalizione internazionale hanno attaccato il Centro chirurgico di Emergency a Lashkar-gah e portato via membri dello staff nazionale e internazionale. Tra questi ci sono tre cittadini italiani: Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani.

Emergency è indipendente e neutrale. Dal 1999 a oggi EMERGENCY ha curato gratuitamente oltre 2.500.000 cittadini afgani e costruito tre ospedali, un centro di maternità e una rete di 28 posti di primo soccorso.

---

Inizio messaggio inoltrato:

Da: "disarmiamoli.org" <info @ disarmiamoli.org>
Data: 15 aprile 2010 9:07:25 GMT+02:00
Oggetto: Stiamo con Emergency non con i Lotti - zzati
Rispondi a: "disarmiamoli.org" <info @ disarmiamoli.org>

Riceviamo e volentieri giriamo

www.disarmiamoli.org


Stiamo con Emergency non con i Lotti-zzati

DA PARTE DI ASSOCIAZIONE CHICO MENDES

E' notevole come Flavio Lotti, "trombato" alle scorse europee,
ritornato quindi per conto del PD alla sua tradizionale poltroncina
della "Tavola", in un "appello per la pace" oggi riesca a totalmente a
dimenticare, da burocratino impenitente ed ipocrita, l'Italia e il
mondo in cui viviamo.

Del resto non sarebbe novitą: nel 1999, solo per fare un esempio,
accolse con tutti gli onori D'Alema grondante fresco fresco dei
sanguinosi bombardamenti umanitari nell'ex Jugoslavia.
La "cultura della pace" comincia con un non fare che in realtą è un
gran darsi da fare: togliere concretamente collaborazione alle
dinamiche di guerra e di violenza.
Ma per potere non collaborare con la violenza, il male e
l'ingiustizia, per prima cosa occorre individuarli, riconoscerli e
nominarli, con intransigente spirito di ricerca della verità.
Tacere sui fatti che concretamente preparano e creano la guerra 
è da sepolcri imbiancati. E' da Lotti-zzati.
Ecco, allora, dei fatti che dovremmo ricordare e additare come
terreno di iniziativa e conflitto da parte di chi realmente intendesse
costruire percorsi di pace:
- il no al livello delle spese militari come insostenibile, il no
all'export bellico, il no alla partecipazione alle guerre nel medio
oriente allargato (spacciate per "missioni di pace"), la conversione
civile di bilanci e produzioni belliche, i soldi buttati nel modello
offensivo di Forze Armate recuperati al reddito di cittadinanza per
tutti;

- il no al rilancio del nucleare civile, la denuclearizzazione civile
e militare, lo scioglimento della NATO come organizzazione militare, il
si alle risorse che, dirottate dal nucleare alle rinnovabili,
risolverebbero il problema della disoccupazione in Italia;

- il no alla chiusura delle frontiere, il no alle guerre interne tra
poveri, il no al territorialismo difensivo, il riconoscimento che "la
Terra l'abbiamo presa in prestito dai nostri figli" ma anche che "il
territorio lo custodiamo in nome dell'umanitą tutta".
E ci fermiamo per adesso qui.

La Perugia-Assisi andrebbe disertata da tutte le persone con un
minimo di cervello e di coerenza. A cominciare dagli educatori che
possono animare i ragazzi solo se sono portatori essi stessi di un
vissuto di dignitosa obiezione e disobbedienza.

Ancora meglio se si volesse seguire, in forma collettiva, l'esempio
isolato e profetico di Pierluigi Ontanetti, che fece l'Assisi-Perugia
con l'unica compagnia di sè stesso: organizzare una
contromanifestazione che almeno non sputi, nel suo intimo spirito,
sulla memoria di Aldo Capitini.

Partecipare oggi tanto per vedere l'effetto che fa alla Jovanotti dei
tempi d'oro (è qui la festa?) č da irresponsabili privi di spina
dorsale morale.
E' inutile, cari pacifinti, che mostriate di fare gli offesi: in cuor
vostro lo sapete che scherzate, che non fate sul serio, che non
meritate di essere presi sul serio.

In mancanza di meglio, la Perugia-Assisi è sabato, alla
manifestazione "IO STO CON EMERGENCY".
Gino Strada avrą tutti i suoi limiti, sarą scorbutico ed antipatico,
ma ha il pregio di essere coerente testimone di verità scomode in
Afghanistan e di portare un contributo costruttivo non a chiacchiere,
ma esercitando la sua competenza, il suo lavoro, nelle zone calde, a
rischio della pelle.