Informazione


La guerra della RAI contro Cuba

La RAI si presta a nuove durissime operazioni di disinformazione strategica contro Cuba.
Sappiamo bene a che cosa possono preludere operazioni simili: chi ha seguito le vicende jugoslave, o quelle irachene o altre ancora, conosce i meccanismi della manipolazione dei media, sa che la guerra psicologica è solo un momento della guerra militare, e sa bene come è andata a finire negli altri casi.

In tema si veda anche:

Montatura cinematografica e non giornalismo (Lettera di protesta al Tg1 di AsiCubaUmbria) / Vergognose affermazioni su Cuba (Andrea Genovali vice Presidente Ass. Naz. Amicizia Italia-Cuba) - 10 maggio 2010 - www.granma.cu

http://www.cubainforma.it/2010/solidaria/comunicatiASI.htm

Le "colpe" di Cuba e la doppia morale dell'informazione politica in Italia (La Rete dei Comunisti) - Marzo 2010 

http://www.granma.cu/italiano/2010/marzo/lun15/colpe.html


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SCRIVIAMO ALLA RAI PER PROTESTARE CONTRO LA VERGOGNOSA TRASMISSIONE DEL 23 MAGGIO CONTRO CUBA
 
s.luppi@... 

Al dott. Stefano Luppi, 

dopo la vergognosa trasmissioni di ieri su Rai 1 contro Cuba attraverso una manipolazione faziosa e falsa della realtà noi chiediamo al cosiddetto servizio pubblico di adempiere finalmente al suo dovere istituzionale dando voce anche alle centinaia di migliaia di persone che in Italia pagano il canone, e anche gli stipendi ai funzionari Rai, e sostengono Cuba. 

Noi chiediamo che i cittadini italiani abbiamo riconosciuto ill diritto costituzionale all'informazione e a farsi una idea personale e indipendente delle cose che accadono in Italia e nel mondo. 

Su Cuba per colpa della Rai questo diritto costituzionale non esiste. 

VERGOGNA! VERGOGNA! VERGOGNA!
 
Firma

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LETTERA APERTA DELLA SOLIDARIETA’ ITALIANA CON CUBA AL DOTT. STEFANO LUPPI – VICE DIRETTORE RELAZIONI ISTITUZIONALI E INTERNAZIONALI RAI.
 
Egr. signor Luppi,
la sua risposta non risponde minimamente alle cose che le avevamo richiesto. Al suo cellulare è impossibile telefonare, evidentemente c’è qualcosa che non va oppure manca un numero sul suo biglietto da visita visto che il suo numero ha solo 5 cifre invece che le solite 7. Mentre il fisso suona ma nessuno ha mai risposto. Noi ci sentiamo presi in giro da Lei e dalla Rai malgrado noi paghiamo il canone, e il suo stipendio, e vorremmo maggior rispetto, anche se non siamo sostenitori della destra al governo e ai vertici della dirigenza Rai.
 
Adesso dopo lo scandaloso , fazioso e impresentabile servizio di ieri sera, domenica 23 maggio, pretendiamo un immediato incontro con il direttore delle relazioni istituzionali e internazionali o, in ogni caso, con una persona in grado di potersi assumere responsabilità e dare risposte un minimo decenti alle provocazioni che il cosiddetto servizio pubblico sta ponendo in essere contro un paese sovrano, democratico e  indipendente come Cuba.
 
Chiediamo questo incontro prima di convocare un nuovo sit in di fronte alla Rai per i prossimi giorni. Perché vede signor Luppi noi siamo persone serie, civili e democratiche ma nessuno si può permettere di prenderci in giro. Quando ciò avviene è evidente che tutto cambia.
 
In attesa di una sua risposta che ci auguriamo immediata e soddisfacente la salutiamo distintamente,
 
Andrea Genovali - Vice Presidente associazione nazionale di Amicizia Italia-Cuba
Luciano Vasapollo – Nuestra America
Luciano Iacovino –  La Villetta  per Cuba
 
 
La prima lettera
 
Al dott. Stefano Luppi, Vice Direttore delle Relazioni Istituzionali e Internazionali della Rai.
   Egregio dott. Luppi , speriamo si ricordi di noi, siamo i rappresentanti delle  associazioni  che hanno promosso la campagna di mobilitazione nazionale ed europea in solidarietàdi Cuba(il prof. Luciano Vasapollo di Nuestra America, Andrea Genovali dell’Associazione nazionale di Amicizia Italia-Cuba e Luciano Iacovino dell’Associazione  La Villetta  per Cuba); ci siamo incontrati il 22 aprile quando come delegazione ufficiale in  rappresentanza in pratica di  tutte le associazioni di solidarietà con Cuba, la abbiamo incontrata in un lungo e cordiale colloquio,  e ci siamo permessi di riferirle il punto di vista degli amici di Cuba e dei sinceri democratici che vorrebbero una informazione meno di parte e più oggettiva nei confronti di Cuba da opporre alla straripante e vergognosa campagna mediatica contro l’isola caraibica. Ci siamo sforzati di spiegarle come sia incredibile che vi sia sempre una informazione a senso unico e, soprattutto, quasi sempre manipolata e non rispondente al vero nei confronti di Cuba e ci siamo detti incredibilmente colpiti come utenti , telespettatori e prima di tutto come cittadini democratici di come deliberatamente e in senso fazioso il servizio pubblico radiotelevisivo non conceda nessuno spazio a chi ha idee diverse su Cuba rispetto alla campagna mediatica in corso. E’ ciò per noi tutti continua a rappresentare una autentica dimostrazione di scarsa democrazia e scarsa applicazione del diritto costituzionale che prevede che il servizio pubblico metta il cittadino nelle condizioni di farsi una propria idea autonoma e personale. Sulla vicen da Cuba questo è impossibile.
Da parte sua , egregio dott. Luppi si è mostrato disponibile e sensibile e si era  impegnato a trasmettere una nota al Direttore Generale nella quale avrebbe spiegato le ragioni della  nostra delegazione e ci ha  fornito alcune indicazioni per possibili accessi ad alcune trasmissioni Rai.Ma di tutto ciò non abbiamo avuto notizia , nè ci ha scritto o chiamato telefonicamente per informarci degli sviluppi , così come si era impegnato, nè ci risponde al numero di telefonino che gentilmente ci ha fornito con un suo bigliettino da visita , numero che risulta costantemente inattivo.
 NEL FRATTEMPO ABBIAMO ASSISTITO AD ALTRI VERGOGNOSI PROGRAMMI RAI RADIOTELEVISIVI CHE COME SEMPRE CONTINUANO A FALSARE VOLUTAMENTE LE NOTIZIE E I COMMENTI SU CIò CHE AVVIENE A CUBA, fino alle inverosimili affermazioni di Capezzone su Cuba  che ledono anche la sua intelligenza politica oltre che la verità dei fatti. E’ incredibile che la posizione su Cuba, faziosa e falsa, non solo del TG1  e del sempre più servile TG3,ma in generale del servizio radio televisivo pubblico venga fatta passare per informazione imparziale e realmente al servizio dei cittadini che pagano il canone. Madi quale libertà di informazione si parla!??!!
 Il TG1 di Minzolini e lo stesso "sinistro" TG3,sono la prova concreta di come l’informazione pubblica oggi in Italia sia totalmente priva di imparzialità e non permetta ai cittadini italiani di avere la possibilità di farsi una propria indipendente opinione su cosa accade realmente a Cuba, e purtroppo non solo a Cuba, ledendo così anche  la Costituzione  italiana.
Aspettiamo ancora sue conseguenziali indicazioni rispetto a quanto con noi si era impegnato, e che cortesemente ci risponda almeno per educazione a questa mail o al telefono con elementi concreti e non con inutili chiacchiere ; non vorremmo essere costretti a convocare un nuovo sit in  di sentita e decisa protesta di fronte alla RAI  e questa volta con la consapevolezza , se continuano così le cose , di essere stati trattati e  presi letteralmente per degli utili cretini, ci lasci perlomeno decidere a noi se e fino a quando e quanto possiiamo considerarci tali e non subire anche su questo tema le imposizioni del dominio di una informazione e comunicazione deviante, faziosa e falsa che , almeno sulle vicende di  Cuba ,  la RAIsta dimostrando di esserne grande leader e interessata interprete e in ciò di non essere seconda davvero a nessuno. Grazie aspettiamo sue cortesi notizie
 
PER INFORMAZIONI :
info@... (LUCIANO IACOVINO)
 
 
La risposta del dott. S. Luppi
 
Gentili Signori, ricordo perfettamente l'incontro. Ricordo anche molto chiaramente i due impegni da me presi:
- informare  la Direzione Generale  dei contenuti dell'incontro (cosa fatta nella mattina successiva);
- rispondere ad una vostra mail inviandovi:
1) il link al sito Rai per l'accesso alla programmazione tramite Commissione Parlamentare di Vigilanza             (http://www.segretariatosociale.rai.it/regolamenti/programmi_accesso/presentazione.html)
2) i riferimenti del capo ufficio stampa Rai Fabrizio Casinelli (che ci legge in copia alla mail): n. uff.: 06.36869978.
Trovo sorprendente il riferimento al numero di telefonino sempre inattivo (visto che - salvo rare eccezioni - e' sempre acceso), ma fa lo stesso.
Cordiali saluti



LA MEMORIA DI TRIESTE
 
venerdì 28 maggio alle ore 17,
presso la Sala Tessitori
piazza Oberdan 5
 
conferenza:
 
I “DIARI” DI DIEGO DE HENRIQUEZ RACCONTANO TRENT’ANNI DI STORIA.
 
Ne parleranno:
 
Livio FOGAR: Diego de Henriquez, la figura e la vita;
 
Vincenzo CERCEO: il maggio 1945 a Trieste nei “diari” di
Diego de Henriquez;
 
Claudia CERNIGOI: un pacifista in mezzo alle armi.
 
 
 
Seguirà dibattito.
 
organizza
 
Il Coordinamento antifascista di Trieste
in collaborazione con il
Gruppo consiliare regionale della Sinistra Arcobaleno



(Una intervista con Samir Amin, intellettuale marxista molto noto anche in Italia)

Slijedi razdoblje ratova i revolucija

Broj 543
Tagovi: Samir Amin
Datum objave: 14.05.2010. Piše: Srećko Pulig, Foto: Jovica Drobnjak


Tema trećeg zagrebačkog Subversive Film Festivala u teorijskom, upravo završenom dijelu, bila je “Socijalizam”. Gost na predavanju i centralnom okruglom stolu, zajedno sa Slavojem ŽižekomMichaelom Lebowitzem Mihailom Riklinom bio je i Samir Amin, legenda trećesvjetskog, antikolonijalnog pokreta i neevropocentričnog marksizma. Rođen u Kairu, školovan u Francuskoj, po struci ekonomist i politolog, ali ponajviše aktivist militantne akcije (u autobiografiji “Itinéraire intellectuel”, izdanoj 1990, priznaje da je zbog aktivizma često stradalo i učenje za ispite), autor je 30-ak knjiga, među njima i utjecajnih studija o nejednakom razvoju, marksizmu u Aziji i Africi, potrebi “odvezivanja” rubnih zemalja od globalnih centara moći itd. Taj česti gost Titove Jugoslavije došao nam je i prerano i prekasno, s obzirom na greške koje kao društvo sada neprestano pravimo. Došao je, dakle, u pravo vrijeme da nam pomogne otjerati vampire tranzicije.

Kako ste postali komunist u Egiptu?

- Neću reći da sam se rodio kao komunist, no skoro da je tako. U partiju sam primljen u srednjoj školi, u dobi od 17 godina, a sada imam 79. Smatram se komunistom i ničim drugim do komunistom u tom kontinuitetu.

Što vam znači biti marksist danas, kad imamo post, neo i slične marksizme?

- Nisam ni neo ni paleo-marksist. Nisu mi dragi svi ti atributi. Za mene biti marksist znači početi s Marxom. Biti svjestan činjenice da je Marx položio neke kamene temeljce radikalne kritike klasnog društva, posebno kapitalističkog. No, to ne znači misliti da je Marxova zadnja u svim pitanjima i da se samo trebamo baviti egzegezom riječi proroka, na način redovnika toga reda. U marksizam prije svega trebamo integrirati nova istraživanja koja se bave promjenama u načinima funkcioniranja kapitalizma, na osnovi istih bazičnih principa. Kao drugo, biti marksist za mene ne znači biti marksolog, netko sa samo teorijskim interesom. To ne mogu odvajati od činjenice da sam komunist, netko tko želi mijenjati svijet, aktivistički sudjelovati u promjeni svijeta koja vodi prema komunizmu. A komunizam je za mene viši stupanj civilizacije, ne samo način proizvodnje s boljom raspodjelom prihoda, većom društvenom pravdom i sl. U skladu sa svojom dobi, sve sam uvjereniji kako je postepeni prijelaz iz globalnog kapitalizma u globalni komunizam vrlo dug put. To je vjerojatno pitanje nadolazećih stoljeća, nekih takvih vremenskih relacija.

Dugi marš u komunizam

Podsjećate na Maoa koji je na pitanje o suvremenom značenju Francuske revolucije rekao da je 200 godina premalo za finalne zaključke.

- Mi Egipćani i Kinezi imamo nešto zajedničko: činjenica da imamo tako dugu historiju daje nam osjećaj vremena u kojem znamo da se društva ne mijenjaju u 50 godina. U tom razdoblju nismo mogli izgraditi socijalizam. Nacionalizacija i eksproprijacija kapitala samo je prvi nužan korak. Iza toga treba slijediti proces kontinuirane demokratizacije. Ne “uvođenje” građanske demokracije, višestranačja i izbora, u što ne vjerujem – to su maskarade.

Badiou naša današnja uređenja naziva kapitalo-parlamentarističkim.

- Da. Proces demokratizacije mora biti povezan, a ne odvojen od društvenog progresa. To je put, dugi marš u komunizam. Ne samo revolucije, koje volim, već i revolucionarna unapređenja. Mislim da su revolucije 20. stoljeća, ruska, kineska, jugoslavenska, vijetnamska, kubanska, enormna postignuća. No, one nisu uspjele pokrenuti beskonačan proces demokratizacije kao prave socijalizacije. Dakle, podruštvljenje nove društvenosti kroz demokratizaciju, a ne kao puko podruštvljenje robnih odnosa koji proizvode alijenaciju i hijerarhiju.

Tu se kriju i razlozi propasti jugoslavenskog samoupravljanja. Izgleda da je Kardelj mislio kako samoupravljanje i tržišna ekonomija mogu živjeti u harmoniji, bez povratka klasne borbe u društvene odnose?

- Mislim da možemo imati duga razdoblja tzv. tržišnog socijalizma ili bolje rečeno stupnjeve socijalizma na putu u komunizam. No, moramo osigurati uvjete u kojima je tržište kontrolirano. I to sve više: odozgo, od države, i najvažnije, odozdo, od radničkih klasa. Samoupravljanje nije bilo loša formula, no to nije bilo dovoljno. Jugoslavensko samoupravljanje imalo je svoje granice. Na kraju je proizvelo nove hijerarhije s direktorima, menadžerima i sl.

Rodila se nova klasna konfiguracija, ne samo u partiji, već u cijelom društvu, koja nije bila ostatak poraženih klasa, kako se govorilo, već zametak nove buržoazije koja je čekala priliku da zbaci socijalistički plašt.

- Nedomišljenost sistema proizvela je najprije kompeticiju među radnicima, među poduzećima. A onda, kao nusprodukt, zbog federalnog ustroja države, nažalost i kompeticiju među regijama, koja je eskalirala u međusobnu netrpeljivost nacija ili pseudonacija.

Kako ste došli do teorije svjetskog sistema? Drugim riječima, do antisistemskih teorija, koje inzistiraju na presudnosti odnosa centara i periferija svjetske, kapitalske moći i njihove dijalektike?

- U pismu Lasalleu iz februara 1858. Marx piše da namjerava napisati šest knjiga pod nazivom “Kapital”. Šesta, nenapisana, trebala se zvati “Svjetski kapitalizam”. Kad sam kao mladi student, 21-godišnjak, prvi put čitao “Kapital”, odmah me pridobila strogost te analize. No, istovremeno nisam bio potpuno zadovoljan. Činilo mi se da nešto nedostaje. Nije bilo objašnjenja realno postojećeg kapitalizma kao svjetskog sistema. Razvijenost i nerazvijenost nisu tematizirane. Što znači proces kapitalske ekspanzije koji dovodi do polarizacije, koja se produbljuje? A to je po mome mišljenju proces pauperizacije, povezan s akumulacijom kapitala. Njega ne morate otkriti u svakom pojedinom slučaju, no vrlo jasno i snažno se ukazuje na svjetskom nivou. Tom fundamentalnom problemu posvetio sam sljedećih 50 godina i skoro sve svoje radove. Ne sve, zato što sam pisao i o trenutnim političkim situacijama, no to je moje centralno pitanje. Želio sam proširiti pitanje proizvodnje novih vrijednosti na pitanje svjetskih vrijednosti. Mišljenja sam da je taj postupak marksistički.

Zato ste i mogli napisati da tzv. prvobitna akumulacija kapitala nije nešto jednokratno, vezano za neko mjesto i vrijeme, već postupak koji se ponavlja na svim nivoima kapitalističke organizacije društava.

- Moja doktorska teza iz 1954. bila je “Akumulacija u svjetskim razmjerima”. Tim se pitanjem bavim sve do danas.

Sadašnja kriza započela je 1971.

Kad danas govorimo o antisistemskim pokretima u svjetskim razmjerima, govorimo o antiglobalizacijskom, antikapitalističkom prije negoli o radničkom pokretu. Često govorite o “odvezivanju” iz svjetskog sistema. Može li onda među oslobodilačkim pokretima širom svijeta biti sinergije ili su i oni osuđeni na kompeticiju?

- Sadašnja kriza započela je još 1971., a ne nedavno. Kapital je na krizu reagirao centralizacijom, monopolizacijom, globalizacijom i financijalizacijom. Te se stvari ne mogu međusobno odvajati. Ta ofenziva kapitala mogla je biti uspješna na kratki rok, na dvadesetak godina. Razdoblje od 1990., povezano s raspadom sovjetskog sistema, pa sve do financijskog raspada 2008., u svom tekstu “Izlazak iz krize kapitalizma ili iz kapitalizma u krizi?”, koji je i u vas preveden, nazivam belle epoque, po analogiji s periodom od 1890. do 1914.

To vrijedi za centre, što ne znači da neki naše male prljave ratove tako ne doživljavaju.

- Sad je na redu drugi, dublji nivo krize. Ona se neće razriješiti, već će se produbljivati. Scenariji poput sadašnjeg grčkog ponavljat će se na drukčije načine na raznim mjestima u Evropskoj uniji. Pred nama je period kaosa, ratova, jakih društvenih pokreta. Na redu su promjene, a samo potencijalno i revolucionarne prilike. Vidimo da su one već počele u nekim zemljama Južne Amerike, u Nepalu i drugdje. Povučemo li paralelu između dvije duge krize, vidimo da su prvu belle epoque naslijedili Prvi svjetski rat, ruska revolucija, kriza 1929., nacizam, imperijalni Japan, Drugi svjetski rat, kineska revolucija, jugoslavenska revolucija, Bandunška konferencija, oslobođenje Azije i Afrike. To nisu mali događaji. Oni su promijenili svijet više no kapitalistička akumulacija, mobiteli ili ne znam što. Približavamo se sličnom, no drukčijem periodu. U povijesti nema remakea, ali bit će to period slične veličine.

Neki su u nas 90-ih htjeli vidjeti “popravak” Drugog svjetskog rata. No, sada je to doba već prošla farsa, pred novom mogućom tragedijom?

- Ali to je i neizmjerna prilika za radikalnu ljevicu, da se kristalizira i nastupi ofenzivno. Pogledamo li današnje društvene pokrete, tzv. alterglobalizacijski i slične, oni su defanzivni, brane postignuto, a protiv privatizacija svega i sl. U svojoj su borbi fragmentarni.

I samo reaktivni.

- Zato trebamo novo jedinstvo, koje mora biti i politički projekt.

No, postmoderni marksizam, poput Hardtovog i Negrijevog, koji je u jednom trenutku bio manifest “pokreta svih pokreta”, grozi se institucija kao što su partije i sindikati?

- Njihove teorije nisu me uopće uvjerile. Spontanitet mnoštva koji oni zagovaraju pretpostavlja da je pojedinac već sada subjekt povijesti. No, on će postati subjekt povijesti tek u komunizmu, od čega smo još jako daleko.

Promjene u subjektivaciji ipak se vide. Zbog financijske krize, koja nije samo financijska, ali i zbog djelatnih akcija studenata, radnika i seljaka, i u nas se vraća u analizu klasna borba.

- To je dobra vijest.

Propadanje američke hegemonije

Što slijedi nakon liberalizma, da parafraziram naslov knjige Immanuela Wallersteina?

- Kad me to pitaju, skromno odgovaram da ne znam, jer to nitko ne može znati. Dao sam vam primjer odgovora na prvu krizu: serija građanskih ratova i revolucija. Događa nam se nešto slično. A kako će izgledati odnos snaga poslije tih događaja, znat će oni koji će živjeti za četrdesetak godina.

Stoje li teorije o kraju američke moći i o novom centru svjetskog kapitalizma koji se formira oko Kine u Aziji?

- Slažem se s Wallersteinom da smo svjedoci propadanja američke hegemonije. No, ne slažem se da će se formirati novi centar hegemonije, bilo oko Kine ili drugdje.

A što kažete na cijelu struju mišljenja koja se gradi na tezi francuskog povjesničara Fernanda Braudela po kojoj je evropski (i američki) kapitalizam kratko doba iznimke, nakon koje će se kapitalizam vratiti svojim dugoročnijim pravilima, formiranim u Aziji?

- Ne, evropski kapitalizam nije iznimka. Moje je mišljenje da su iste kontradikcije koje je kapitalizam pokazao u Zapadnoj Evropi bile na djelu i drugdje, pa i prije, npr. u Kini. Kina je izumila tri stvari pet stoljeća prije Evrope: modernost, a to znači da čovjek živi u društvu za čiju organizaciju je odgovoran; drugo, sekularnu državu, pošto je dinastija Song 1.100. godine odbacila budističku religioznu državu; i treće, moderne civilne usluge, zajedno s ispitima, diplomama i sl. Ti izumi putovali su na zapad preko muslimanskog kalifata, perzijsko-arapskog kalifata, do talijanskih gradova, da bi se konačno kristalizirali u trokutu između Londona, Pariza i Amsterdama. I to je cijela priča, ne postoji nikakvo “zapadno čudo”.

Prisustvujemo li onda običnoj krizi kapitalističkog ciklusa ili konačnoj krizi kapitalizma?

- Ne želim tvrditi da je na djelu konačna kriza. Kapitalizam ima veliku povijest prilagođavanja. Deset stoljeća trebalo mu je da se proširi iz Kine svijetom. Deset stoljeća da se kristalizira u dvojnoj revoluciji: političkoj u Francuskoj i industrijskoj u Engleskoj. Svoju je bazu razvio u samo jednom stoljeću, što je kratko povijesno vrijeme. A onda je zapao u krizu legitimacije, počevši s Pariškom komunom 1871. Slijedilo je dugo razdoblje ratova i revolucija, zaključno s razdobljem od 1945. do 1955. Dakle, kapitalizam uopće ne karakterizira kontinuirani rast i sl., već duge krize. Lenjin je bio optimist mileći kako je prva velika kriza ujedno i posljednja.

Imperijalizam kao posljednji stadij kapitalizma.

- Sad imamo drugo razdoblje dugih kriza. Drugo razdoblje ratova i revolucija. Hoće li biti i posljednje? Nikad ne reci nikad. Rašireno je mišljenje kako se kapitalizam uvijek prilagođava promjenama. No, moramo se zapitati: pod koju cijenu? Jer on postaje sve destruktivniji, kao što ponovno otkrivaju ekolozi.

I kolonizira sve ljudske odnose. Je li ovo faza “kapitalizma katastrofe”?

- Kapitalizam je oduvijek bio destruktivan, no ta destruktivnost raste. U pravu je bila Rosa Luxemburg kad je prije jednog stoljeća rekla: “Socijalizam ili barbarstvo!” Danas to vrijedi više no ikad. Što se kapitalizam bolje prilagođava, to je destruktivniji. I to se sad vidi. 

U zemljama Bliskog istoka, pa i onima gdje je prije nekoliko desetljeća ljevica bila jaka, npr. u vašem Egiptu, sad dominira tzv. politički islam. Kako to tumačite?

- Politički islam zlo je usporedivo s etnokracijama na području bivše Jugoslavije. Jer, to nisu demokracije, već etnokracije. Pravo civilno društvo i građanstvo zamijenile su tzv. nacije. Isto je u političkom islamu, bilo da su vjerske ili pseudoetničke komponente zamijenile ostale. Postoji u Gramscija divna analiza, koja se odnosi na prvi val socijalističkih postignuća u 20. stoljeću. Imali smo rusku, kinesku, jugoslavensku, vijetnamsku, kubansku revoluciju, nacionalno oslobođenje u Aziji i Africi, radikalizaciju pokreta za oslobođenjem, pa i pravu zapadnoevropsku socijaldemokraciju, koje više nema (sada je to socijalni liberalizam). Taj prvi val gubi snagu, ostaje bez daha, postupno erodira, gubi legitimaciju i kredibilitet, te nestaje. Približava se drugi val, nazovimo ga socijalizmom za 21. stoljeće ili nekako drukčije, svejedno. Prvi val je završio, drugi još nije počeo. U međuvremenu, kaže Gramsci, kad je noć prošla a dan još nije svanuo, u tom se sivilu pojavljuju duhovi, monstrumi. Naša sadašnjost prepuna je čudovišta – etnokracije u Jugoslaviji i politički islam u mojoj domovini takvi su monstrumi. Oni nisu rješenje. Samo ispunjavaju vakuum.


Sva prava pridržana © Novosti





Nell'ambito del Festival Sociale delle Culture Antifasciste 2010 - http://2010.fest-antifa.net/
a Bologna dal 29 maggio al 6 giugno 2010
Il programma completo è scaricabile cliccando su:
http://2010.fest-antifa.net/sites/default/files/programma_Fest_Antifa_2010.pdf

Tavolo tematico "STORIA E MEMORIA"



Bologna, Parco di Viale Togliatti
1 giugno 2010


STORIA E MEMORIA: IL CASO JUGOSLAVO

La memoria del nazifascismo in Jugoslavia tra ricerca storica, rimozioni e disinformazione strategica



Programma:

ore 15:00 TAVOLA ROTONDA

Giorgio Simbola
CS Il Lazzaretto - responsabile del Tavolo tematico "STORIA E MEMORIA"
(presentazione della giornata e dei relatori)

Claudia Cernigoi
redazione de La Nuova Alabarda - Trieste
(illustra la metodologia della ricerca storica sulle foibe; la Resistenza al confine orientale e i crimini di guerra tra ricerca scientifica e disinformazione strategica)

Andrea Martocchia
segretario - Coord. Naz. per la Jugoslavia onlus
(illustra il progetto "Partigiani Jugoslavi in Appennino" e la simmetrica vicenda dei partigiani italiani nei Balcani: esempi misconosciuti di internazionalismo partigiano)

Vladimir Kapuralin
resp. relazioni internazionali - SRP (Partito Socialista dei Lavoratori croato)
(la memoria della Jugoslavia federativa e socialista - tra dati di fatto e mistificazioni revisionistiche)

A seguire: breve dibattito e illustrazione degli eventi serali - film e rappresentazione teatrale:

ore 20:00 FILM

OKUPACIJA U 26 SLIKA (L'occupazione in 26 immagini)
di Lordan Zafranović, Jugoslavia 1978
versione originale serbocroata sottotitolata in italiano
Zafranovic analizza l’occupazione italiana e tedesca della città di Dubrovnik in Dalmazia, scandagliando mentalità e comportamenti delle varie componenti del nazifascismo: gli italiani tra prepotenza e vigliaccheria, i tedeschi spietati, i collaborazionisti croati accecati dal nazionalismo. Questi ultimi sono sobillati dal comportamento imperialista e coloniale di italiani e tedeschi, che agevolano ed aizzano gli ustascia nella loro brutalità. Il film è rimasto famoso per una memorabile scena ambientata su di un autobus - metafora del campo di sterminio di Jasenovac - in cui si scatena la ferocia ustascia.
Una caratteristica dei film di Zafranovic è il continuo indugiare sulla bellezza dei paesaggi, quasi a indicare una contraddizione tra la bellezza del mondo e ciò di cui può essere capace la specie umana.

ore 21:30 RAPPRESENTAZIONE TEATRALE

JASENOVAC - OMELIA DI UN SILENZIO
spettacolo per attore solo e video
di e con Dino Parrotta
Compagnia Primo Teatro - in collaborazione con Associazioni  “Mosta za Beograd” e “L’isola che non c’è”
Uno spettacolo per attore solo e video che, attraverso la pluralità dei linguaggi espressivi, una raccolta di testimonianze, documenti, dichiarazioni delle vittime e video originali dell’epoca, vuole offrire un momento di riflessione su una delle pagine più terribili della seconda guerra mondiale: il campo di sterminio per ebrei, serbi e zingari di Jasenovac, dove il movimento nazionalista cattolico croato /Ustasa/ trucidò circa 700.000 persone.
E' possibile visionare una demo dello spettacolo su http://www.primoteatro.it o al link http://www.youtube.com/watch?v=-Ed3fZGfK4w



Il revisionismo - anzi: rovescismo - storico imperversa in tutta Europa a seguito dell'abbattimento del Muro di Berlino e della instaurazione di classi dirigenti neoliberiste, nazionaliste e reazionarie nei paesi ex socialisti. Il caso della Jugoslavia è eclatante: la stessa guerra fratricida combattuta per smembrare il paese è stata possibile solo facendo riaffiorare interpretazioni della storia e della geografia proprie delle correnti di destra locali: ustascia in Croazia, cetnizi in Serbia, "giovani musulmani" in Bosnia, "domobrani" in Slovenia, "balisti" in Kosovo e Albania. Nell'ambito di questa riscrittura della storia, il sacrificio dei partigiani comunisti per la costruzione di un paese multinazionale e basato sull'uguaglianza viene disconosciuto: sono ricordati come combattenti antifascisti solo i monarchici e le truppe straniere, e come vittime solo quelle della propria "nazionalità". Nel frattempo i libri di storia vengono riscritti ed è operata la distruzione - talvolta sistematica, come in ampie zone della Croazia - dei monumenti ai partigiani.

Anche i paesi confinanti con la Jugoslavia applicano adesso letture della storia revisioniste e razziste allo scopo di poter reimpostare in senso irredentista e coloniale le loro politiche verso il paese vicino. Non fa eccezione l'Italia, dove da circa 15 anni la campagna sulle "foibe" - che durante la guerra fredda era patrimonio della sola destra nostalgica e di ristretti settori di neo-irredentisti - è stata riattizzata divenendo patrimonio e strumento di agitazione politica trasversale praticamente a tutte le forze parlamentari. Con l'istituzione nel 2004 del "«Giorno del ricordo» in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale" tale riscrittura della storia è diventata Legge dello Stato. Poichè questa operazione cozza con gli studi scientifici e con l'impegno di storici e associazioni attive sul piano antifascista e antirazzista, recentemente (risoluzione Frassinetti del 18 febbraio 2010) la Commissione Cultura della Camera dei Deputati ha chiesto formalmente che a tutti questi soggetti sia precluso l'accesso nelle scuole. In Italia, già molte iniziative-dibattito sul tema delle "foibe" sono state vietate dai Prefetti per "motivi di ordine pubblico" o comunque annullate a causa delle fortissime pressioni operate dalla "lobby degli esuli".
Parallelamente, in Italia continua la rimozione delle pagine di storia più "scomode": i crimini italiani nei Balcani durante la II Guerra Mondiale sono noti solamente agli specialisti, e persino un documentario della BBC come "Fascist Legacy" è censurato dalla RAI; anche l'esistenza sul nostro territorio di molte decine di campi di concentramento in cui furono internati anche migliaia di prigionieri politici jugoslavi è ignorata. Il contributo ed i ventimila caduti partigiani italiani in Jugoslavia, inquadrati nell'esercito di Tito dopo l'8 Settembre, appaiono dimenticati, per non parlare del contributo dei partigiani jugoslavi che hanno combattuto per liberare l'Italia anche lungo la dorsale appenninica, che non è mai stato studiato.

Per riflettere su tutto questo abbiamo invitato a parlare alcuni relatori che affronteranno problematiche tra loro diverse ma tutte legate dalla necessità di fronteggiare quelle letture della storia in senso revisionista e fascista che appaiono oramai istituzionalizzate sia in Italia che nelle nuove repubbliche balcaniche. Claudia Cernigoi, autrice del fondamentale testo "Operazione foibe a Trieste" ci spiegherà la metodologia delle sue ricerche, che hanno passato in rassegna gli elenchi degli "infoibati" evidenziando grossolane falsificazioni, e discuterà delle pressioni e delle iniziative messe in atto in questi anni per tappare la bocca agli storici "scomodi". Andrea Martocchia illustrerà le vicende dei partigiani jugoslavi in Italia, il cui contributo è stato fino ad oggi completamente ignorato, e quelle simmetriche dei partigiani italiani in Jugoslavia. Vladimir Kapuralin parlerà della memoria della Jugoslavia socialista e del suo movimento di Liberazione di fronte all'ondata reazionaria e revisionista, nonché della attuale agibilità politica per gli antifascisti in Croazia e nei Balcani.
Di seguito attraverso un film inedito in Italia - L'occupazione in 26 immagini - ripercorreremo in chiave artistica le dinamiche dell'instaurazione e dei crimini del nazifascismo in Dalmazia. Per chiudere, una rappresentazione teatrale - Jasenovac, omelia di un silenzio - ci costringerà ad interrogarci su quello che (non) sappiamo degli efferati crimini compiuti dal clerico-nazismo croato.





LACOTA VERSUS NEGAZIONISTI DELLE FOIBE. UNA STORIA NON SOLO TRIESTINA

Lettera aperta di Claudia Cernigoi, giornalista e ricercatrice storica.

È da un po’ di tempo che sono entrata a far parte di quel novero di storici che vengono sbrigativamente nonché offensivamente definiti “negazionisti delle foibe” da una minoranza piuttosto rumorosa che ha fatto della mistificazione di fatti storici il proprio cavallo di battaglia per portare avanti una politica all’insegna del nazionalismo, dell’anticomunismo, del neoirredentismo; politica oltremodo pericolosa perché sta iniziando ad incrinare i rapporti con Slovenia e Croazia.
Venerdì 14 maggio si è svolta a Trieste un’assemblea, indetta dall’Unione degli istriani, nella quale doveva venire discusso il tema del “negazionismo” in materia di foibe ed i “provvedimenti” da adottare contro questo “fenomeno”. 
Più che un’assemblea, in effetti, l’iniziativa si è rivelata sostanzialmente un monologo del presidente dell’Unione degli istriani, Massimiliano Lacota, che ci ha in un certo modo ricordato il simpatico coniglietto della pubblicità delle pile che durano più a lungo (quello che continua a camminare anche dopo che tutti gli altri pupazzetti si sono fermati), che nel corso di circa due ore, tranne una brevissima relazione dell’avvocato Sardos Albertini e un breve intervento di Giorgio Rustia, ha parlato sempre lui, spaziando da un argomento all’altro con un’energia ed un brio davvero degni di nota.
Quanto scriviamo di seguito è una sintesi del corposo e variegato intervento di Lacota (le parti virgolettate sono citazioni testuali), il quale ha tra l’altro affermato di essere un “nazionalista europeista”, aggiungendo che non tutti nella sala avrebbero potuto capire questa definizione, ma “chi vuole capire capisca” e noi forse non abbiamo capito, ma ci è venuta in mente la vecchia teoria dell’Europa nazione di hitleriana memoria. Però se possiamo, con lo stesso garbo con cui lui ha condotto il proprio intervento, fare una domanda a Lacota in merito al suo patriottismo, è come mai, per dimostrare la sua coerenza nazionalista, non abbia ancora ridotto in forma italiana il proprio cognome (che evidentemente era stato slavizzato in altri tempi) riportandolo dallo slavo (sloveno o croato) Lakota all’italiano Fame.
Torniamo al corposo intervento di Lacota, per il quale il vero problema del Paese, quello per cui è necessario giungere entro l’estate all’approvazione di una legge in merito, è l’esistenza dei “negazionisti delle foibe”. Che sarebbero, se abbiamo capito bene, coloro che non hanno “interpretato nel modo corretto” il senso con cui è stata fatta la legge (la n. 92 del 2004) che ha indetto il “Giorno del ricordo” del 10 febbraio. 
Dove l’articolo 1 di questa legge prevede il riconoscimento di questa giornata “al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”. E qui secondo Lacota c’è qualcuno che “interpreta faziosamente” questo punto perché si limita a fare una storia parziale, dimenticando, ad esempio, il “terrorismo slavo” degli anni 30. Queste persone egli le chiama “negazionisti”, ed il perché lo specificherà dopo: perché “è vero”, ha detto, spiegazione che effettivamente non fa una grinza, e ci ricorda il barone di Munchhausen che per impedire a se stesso di precipitare si teneva per il colletto della giacca e così rimaneva fermo nel vuoto.
Vale la pena di aprire una parentesi sulla genesi del concetto dei “negazionisti delle foibe”. Coloro i quali ci accusano di essere “negazionisti” perché non ci siamo adeguati alla vulgata generale in materia di foibe (portando fior di documenti a sostegno delle nostre tesi), personalmente li ho ribattezzato affermazionisti, parafarasando il loro modo di esprimersi, in quanto la maggior parte delle cose che noi “negheremmo” sono in realtà pure e semplici affermazioni, non suffragate da prove. Ma su questo non intendo dilungarmi perché ne ho già parlato diffusamente in altri interventi, ai quali rimando i lettori (vedi link alla fine della nota).
Torniamo a Lacota. Egli ha spiegato che i “negazionisti” sono persone che non vogliono una pacificazione, anche se, ha poi aggiunto, per gli istriani non esiste pacificazione senza giustizia, ma nel parlare di “giustizia elementare” il suo discorso si è fatto confuso, ha detto che sarebbe necessario un “tornare indietro”, ma non abbiamo capito se al 1943 del Kustenland, al 1920 del Trattato di Rapallo o a che altro. Vorremmo ricordargli che, piaccia o non piaccia, avendo l’Italia perso la guerra (che aveva iniziato inseguendo un sogno imperialista che poi si è trasformato in incubo per tutta la gente d’Europa, italiani compresi), ha poi firmato un trattato di pace che ha assegnato taluni territori ad altri Stati, e non è che su questo si possa tornare tanto facilmente indietro, a meno di iniziare un altro conflitto.
Tornando ai “negazionisti”, il problema espresso da Lacota è che ogniqualvolta ci si avvicina alla data del 10 febbraio in varie parti d’Italia si vogliono fare manifestazioni nello spirito della legge (l’articolo 2 recita: “sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado. È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende”). Ed in questo ambito, purtroppo, loro come associazioni degli esuli non hanno abbastanza persone da mandare in giro a parlare dell’argomento, non sono più di una trentina ad essere disponibili e pertanto quest’anno hanno dovuto dire di no a 295 inviti. E del resto c’è il problema di chi far parlare: le associazioni combattentistiche e patriottiche spesso “non sono attendibili”, “forzano i numeri” e “non sono preparate” e poi ci sono i memorialisti che si limitano a parlare di com’era bella la loro casetta, ma non sono i più adatti a far conoscere la storia ai giovani. Per queste carenze le istituzioni, sia scolastiche che amministrative, devono ricorrere ad altri, ad esempio gli storici Pupo e Spazzali (che sembra vadano bene), ma poi sono impegnati anche i Kersevan, Volk e Cernigoi (e qui ci domandiamo come una persona che pronuncia correttamente Kerševan al modo sloveno con la š, si impappini invece su Volk, storpiandone il cognome in Folk alla tedesca, ma questi sono i misteri di Lacota e non possiamo comprenderli a fondo), che girano l’Italia e sono preparatissimi sulla storia e sulle malefatte del fascismo, ma finiscono col raccontare che “gli infoibati se la sono cercata”, perché gli infoibati “erano tutti fascisti”. Tralasciando che se loro sono in trenta e noi siamo in tre non riusciamo a capire come mai loro non ce la fanno a coprire tutto il territorio nazionale ma noi costituiamo un “pericolo” per il Paese, diciamo che Lacota, dissertato in lungo e in largo nel ripetere questi concetti, ha continuato a sventolare a mo’ di esempio una copia degli atti del convegno “Foibe. Revisionismo di stato e amnesie della Repubblica” (svoltosi a Sesto San Giovanni nel 2008), facendoci in tal modo una pubblicità che raramente abbiamo visto, ma nel contempo rivelando, nel suo commentare gli interventi raccolti, quale è la sua metodologia di studio.
Prendendo ad esempio il capitolo che tratta dei “riconoscimenti” ai parenti degli “infoibati”, Lacota, dopo avere preso atto che è specificato che l’elenco è incompleto, e comprende praticamente solo poliziotti, militari squadristi e via di seguito, ne conclude che Volk ha fatto una “accurata selezione” per dire che gli infoibati erano tutti fascisti.
In realtà, se Lacota non attribuisse agli altri le proprie metodologie di lavoro, avrebbe potuto leggere per intero l’intervento ed avrebbe visto che l’elenco è incompleto non per volontà dei ricercatori, ma perché i nomi non vengono resi pubblici, quindi la ricerca di essi è una cosa piuttosto difficile. E per quanto concerne le qualifiche, i dati sono tratti da elenchi di caduti della RSI e dall’Albo d’Oro redatto dal recentemente scomparso Luigi Papo, fonti sicuramente non legate ideologicamente ai “negazionisti delle foibe”.
Nell’insieme Lacota ha emesso delle lodi sperticate nei confronti di coloro che vorrebbe ridurre al silenzio (anche se ha specificato più volte che non intende impedirci di parlare in senso assoluto, perché lui non è “fazioso”), affermando che noi non siamo ad esempio “come i Codarin di turno” ma sappiamo sistemare i pezzi di storia “in modo astuto”, in modo da “cambiare il senso della storia” omettendo certi dati e non approfondendone altri e così alla fine riescono a convincere chi li ascolta che “tutti i fascisti si meritavano di finire nelle foibe”.
A prescindere dal fatto che non è sicuramente colpa di chi fa ricerca storica se il risultato della ricerca è una cosa piuttosto che un’altra e quindi non si può attribuire ai ricercatori la responsabilità del fatto che la maggior parte degli “infoibati” era fascista o appartenente a forze collaborazioniste, ribadiamo che non è che chi è arrivato a questa conclusione affermi automaticamente anche che “è bene che siano finiti nelle foibe”. Questa è una conclusione a cui arriva Lacota e che nessuno di coloro che lui definisce “negazionisti” ha mai detto, scritto o lasciato intendere; che egli insista nell’attribuire queste intenzioni alle persone di cui parla è non solo falsificante ed offensivo, ma anche calunnioso, e di questo potrebbe dover venire chiamato a rispondere un domani davanti a qualche magistrato.
Lacota ha poi difeso lo scrittore Boris Pahor dagli attacchi che gli ha lanciato Renzo Codarin (col quale Lacota sembra avere il dente avvelenato, dato che già prima gli aveva dedicato una frecciata), perché “il vero pericolo” non è Pahor, ma altri, ed agitando il libro del convegno di Sesto San Giovanni, ha aggiunto che chi attacca Boris Pahor lo fa perché non ha il coraggio di attaccare coloro che non vogliono riconoscere il “genocidio” che è stato fatto nei loro confronti dalla Jugoslavia. Dopo un breve accenno al fatto che loro (non si comprende se intende l’Unione degli istriani o gli istriani in generale) sono stati “purtroppo” troppo “tolleranti”, e sarebbero stati probabilmente “più rispettati” se fossero stati “meno buoni”, ha chiarito il senso delle loro richieste contro i “negazionisti”. Non impedire loro di parlare, in fin dei conti in Italia c’è la libertà di espressione (“fin troppa libertà di stampa”, ha anche detto in un altro punto), né pretendere di arrivare ad una “verità di stato” a cui tutti devono adeguarsi, ma semplicemente “mettere in guardia” gli organismi che invitano queste persone e fare in modo che non parlino come relatori ufficiali nelle scuole o in sedi istituzionali. Finché vogliono parlare nei loro “ghetti” facciano pure: ma invitare ad una manifestazione per il 10 febbraio uno di costoro sarebbe come invitare alla Risiera lo storico Nolte, una cosa inaccettabile, perché vilipende la memoria.
Dal punto di vista “legale” l’avvocato Sardos Albertini è riuscito a prendere brevemente la parola nel fiume in piena del discorso di Lacota, ed ha detto un paio di cose che ci hanno fatto ricredere sull’opinione che avevamo di lui come avvocato. Sostanzialmente la sua proposta è di denunciare alla magistratura contabile le istituzioni che invitano i “negazionisti” per verificare che non si sia commesso un danno erariale (?) e che i discendenti degli “infoibati” querelino chi dice di un “infoibato” che “gli stava bene”, perché devono dire “questa persona mi ingiuria” e lede i loro diritti personali e portarli davanti al giudice.
Come detto più sopra, lo ripetiamo anche all’avvocato Sardos Albertini: dato che nessuno di noi ha mai affermato cose del genere, diffidiamo chiunque dal denunciarci su queste basi perché altrimenti saremo costretti a ricorrere noi alle vie legali per diffamazione e calunnia. E che si danneggi di più l’erario invitando a parlare chi parla di storia con cognizione di causa piuttosto che un Pirina che persiste nel moltiplicare i numeri degli “infoibati” duplicando e triplicando i morti, è cosa che ci pare quantomeno peregrina.
Lacota ha poi dissertato a lungo sulle leggi che in Europa proibiscono di negare la Shoah o il genocidio del popolo armeno, aggiungendo che chi invece fa dei convegni “negazionisti” come quello di Sesto San Giovanni non hanno “rischiato niente”, mentre una cosa del genere sarebbe proibita in Europa.
In effetti in alcuni stati europei è proibito negare la Shoah o il genocidio armeno, ma in nessun paese democratico ci consta che sia reato dire la verità, anche se questa verità non vuole essere accettata da una parte politica. Piaccia o non piaccia a Lacota, tutto quello che noi diciamo corrisponde al vero (al contrario della gran parte delle cose che dicono gli affermazionisti), sono fatti documentati e possiamo provare quello che diciamo di fronte a qualsiasi tribunale: se le sue parole non sono solo tentativi di minaccia o di intimidazione, ci denunci pure, e poi vedremo cosa decideranno i magistrati.
Difficile sintetizzare l’immane intervento di Lacota, fatto di incisi e divagazioni su fatti personali (ha ribadito più volte quanti viaggi ha fatto all’estero per incontrarsi con quello o quell’altro e quanti contatti ha in Slovenia e in Croazia e tra gli esuli d’Europa, e le iniziative che ha in programma con l’uno o l’altro…), ma volendo riassumere tutta la sua tirata possiamo dire che quello che abbiamo capito (se abbiamo capito male chiediamo scusa e aspettiamo chiarimenti) è che i “negazionisti” sono pochi ma preparati ed abilissimi, però pericolosi e pronti a partire di nuovo per le loro conferenze, quindi è necessario muoversi più in fretta possibile (perché non si sa se questo governo durerà a lungo) ed approvare quanto prima una legge che impedisca loro di parlare in sedi istituzionali e scuole; e nel frattempo mettersi a sporgere denunce e querele a raffica contro di loro; ed infine che si istituisca un “albo” di persone “autorizzate” a parlare il 10 febbraio, che dimostrino di essere preparate e che si facciano dei corsi per formarle. Già, ma chi sarebbe titolato a decidere la preparazione di queste persone, ed in base a quali criteri, e chi terrebbe questi corsi e in base a quali qualifiche? 
Lacota ne ha avute anche per lo storico Giuseppe Parlato che si è dichiarato contrario ad iniziative come queste, dicendo che certe persone che si dichiarano “amici degli esuli” in realtà “fanno più danni che guadagni”, come diceva sua nonna; e poi ha attaccato anche Giovanardi che nonostante quello che dice, in realtà non ha fatto nulla di concreto per loro. Ed infine ha lanciato un appello a Stelio Spadaro, che si faccia promotore presso la “sinistra” in Parlamento per poter giungere all’approvazione della legge contro i “negazionisti”.
Un ultimo accenno agli attacchi di Lacota contro il professor Jože Pirjevec, colpevole di avere scritto un libro dal titolo “Foibe. Una storia italiana”, che è stato donato dal vicepresidente uscente della Regione Piemonte agli studenti (atto questo definito “sciagurato” da Lacota), dove il titolo viene considerato “abbastanza deridente”, perché definire le foibe “una storia italiana”, secondo lui è come dire che sono state “una delle tante stupidaggini” d’Italia e quindi significa voler sminuirne la tragedia. Dal canto suo Giorgio Rustia ha poi accusato Pirjevec di essere rimasto Giuseppe Pierazzi fino al 1974, e di essersi fatto cambiare il nome solo quando “non aveva più paura dei titini”. Questi appunti tanto per dare un’idea della levatura culturale degli interventi.
Infine alcune riflessioni nostre. La prima è che davvero certe persone sono alla frutta, se intendono mobilitare un governo in un momento politico e socio-economico come il presente, solo per impedire a quattro o cinque persone di parlare di storia; che tra di loro (la Federesuli ed i partiti del PdL) vi sono screzi piuttosto pesanti, almeno stando alla quantità di stoccate lanciate da Lacota ad esponenti di queste aree; poi ci ha colpito che Lacota abbia voluto ribadire il fatto di avere appoggi e godere di credibilità a livello internazionale; che oltre alle proposte di tipo legale (proporre leggi e sporgere denuncie) Lacota si è espresso anche su altri livelli, dalla discutibile scelta di non riconoscere i titoli di studio a Volk e Kersevan, mettendo anche in dubbio la loro competenza storica, a quando ha condannato certe iniziative di estrema destra che esagerano i numeri, ma giustificandole come “reazioni” in “risposta ai negazionisti”; infine quando ha parlato delle contestazioni alle nostre iniziative, dicendo che spesso Kersevan, Volk e Cernigoi “hanno “difficoltà nel tenere queste manifestazioni”, bufala questa che abbiamo più volte smentito, ma che detta così sembra un’altra affermazione del genere chi ha da capire capisca, come la precedente battuta sul nazionalismo europeista.
Nell’insieme il comizio lacotiano ci è parso vagamente intimidatorio nei nostri confronti: naturalmente possiamo sbagliarci (lo speriamo e in tal caso chiediamo scusa per la sfiducia al relatore),e la nostra impressione sbagliata può semplicemente derivare dal fatto che negli ultimi mesi siamo stati bersaglio di svariati attacchi, spesso piuttosto espliciti, come più volte scritto su queste pagine, e dalla consapevolezza che esistono persone che quando non hanno più la forza della ragione ricorrono alla ragione della forza.
Preso atto comunque che l’ambiente dell’Unione degli istriani non ha storici preparati a sufficienza da mandare in giro per parlare del Giorno del ricordo, pensiamo sia a questo punto un nostro dovere morale di rimboccarci le maniche e provvedere ad integrare le loro carenze. Quindi nei prossimi mesi ci aspetta un grosso lavoro, per il quale chiediamo la collaborazione di tutti coloro che sono interessati alla diffusione della verità storica.

Maggio 2010

(italiano /srpskohrvatski)

Poraz pobede

1.700.000 poginulih Jugoslovena u II svetskom ratu, medju kojima najviše Srba, nije bio dovoljan razlog da država  Srbija veličanstveno proslavi  65 Dan pobede. I pokaže svetu još jednom da nije ono što o njoj pišu i govore mangupi sa  Zapada i iz Prištine... Umesto toga, videli smo vašarsku svetkovinu u kome su dominirali promenadni koncerti vojne muzike i vatromet nad Kalemegdanom. Budže su uglavnom ćutale o pobedi i pobednicima .
I tamo gde su govorili bolje da su ćutali. Smušeni Tadić (Moskva), Cvetković (cocktail party u Vladi) i Šutanovac (Avala) pričaju o nekakvim imaginarnim, neznanim  antifašistčkim borcima kao da oni nemaju odavno poznato ime: partizani, borci NOV, Tito. Da su više skloni nekadašnjim nemačkim kvislinzima zna i Medvedev pa zbog toga ni naša Vojska nije dobila poziv da učestvuje u defileu pobednika na Crvenom trgu u Moskvi ove godine. Čudi se Šutanovac tome a jedan je od najzaslužnijih što je ta pobednička vojska Srbije rasformirana odavno a ova nova , kao i Vlada, već je obukla NATO dres a Draža se , preko Vojnog muzeja, uvlači u vojničke duše!  
Na dan kada smo pobedonosno završili najkrvaviji rat u našoj istoriji nije se postrojila  vojska,  državni i vojni vrh Srbije niti je  odata počast i  zahvalnost izginulima  u njemu.Jedan dogadjaj je za njih bio mnogo značajniji .Ova čudna družina okupila se u Požarevcu na slavlju povodom 180 godišnjice Garde Vojske  Srbije . Ti prvi gardisti kneza Miloša, njih 73, razlog su brojnih patriotskih govora, svečanog defila i niza manisfestacija širom Srbije .Ti gardisti, bog da im dušu prosti, zaslužuju to.I to je naša oslobodilačka tradicija. Odbijanjem da javno oda takvu dostojanstvenu počast i zahvalnost poginulim borcima NOVJ i JA i žrtvama fašizma u Drugom svetskom ratu  Skupština , Vlada i Predsednik Srbije  su stavili svoja ideološka opredelenja ispred patriotizma i ljubavi za svoju domovinu. I rekli da im je srce na Ravnoj Gori, toj u svetu i našem narodu ozloglašenoj destinaciji, gde je i ove godine Vuk Drašković,sa svojim gibaničarima i pijandurama,  pokušao da digne iz mrtvih najvećeg srpskog ratnog zločinca i decoubicu Dražu Mihailovića..
 Mislim da je ovim činom i defnitivno raskinut svaki ljudski i emotivni kontakt nas, preživelih boraca NOVJ , partizana i gradjana koji poštuju NOB , sa sadašnjom političkom koalicijom na vlasti .

Stevan Mirkovic, general u penziji

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La sconfitta della Vittoria

1.700.000 jugoslavi sono morti nella seconda guerra mondiale, di cui la maggiorparte serbi, e questo non è stato motivo sufficiente perchè lo Stato della Serbia celebrasse in maniera gloriosa il 65-imo Giorno della Vittoria. In questo modo avrebbero potuto ancora una volta mostrare al mondo che non è come raccontano i birichini di Priština. Al contrario, abbiamo potuto assistere ad una manifestazione tipo folk piccolo-borghese, in cui dominavano concerti militari all'aperto e fuochi d'artificio sopra la fortezza di Kalemegdan. I grandi padroni, sul tema della vittoria e dei vincitori, stavano zitti.

E quando dicevano qualcosa, sarebbe stato meglio che tacessero. Un confuso presidente Tadic (a Mosca), il premier Cvetkovic (al cocktail party di Governo) e il ministro Sutanovac (sul monte Avala) hanno parlato di una sorta di sconosciuti ed immaginari combattenti antifascisti, come se non avessero nomi ormai noti da tempo: i partigiani, i combattenti dell'Esercito popolare di liberazione, Tito. Che questi governanti siano più simili ai collaborazionisti dei tedeschi di allora, lo sa anche il presidente russo Medvedev, perciò il nostro esercito non è stato invitato alla parata degli Stati vincitori sulla Piazza Rossa a Mosca quest'anno. Si meraviglia il ministro Sutanovac per questa situazione, ma è lui uno dei più grandi responsabili per lo scioglimento, ormai lontano, di quell'esercito vittorioso serbo; mentre questo esercito nuovo, proprio come il Governo, si è messo la divisa della NATO, ed il colonnello Draza Mihajlovic, con la mostra allestita nel Museo militare, si va annidando nelle anime militari!

Il giorno in cui, vittoriosi, abbiamo concluso la guerra più sanguinosa della nostra storia, non si schierarono a parata né l'esercito, né i capi del governo e militari della Serbia. Non fu reso l'onore e il ringraziamento ai caduti in quella guerra. Un altro evento per loro era molto più importante. Questo strano gruppo si è riunito a Pozarevac, in occasione del 180. anniversario della Guardia dell'Esercito della Serbia. Queste prime guardie del principe Milos - erano in 73 - sono diventate l'oggetto di numerosi discorsi patriottici, di grandi parate e di una serie di manifestazioni in tutta la Serbia. Queste guardie, che dio li salvi, se lo meritano. Anche loro fanno parte della nostra tradizione di libertà. Rifiutando di dare pubblicamente analogo degno omaggio e gratitudine ai combattenti caduti dell'Esercito di Liberazione della Jugoslavia ed alle vittime del fascismo nella Seconda guerra mondiale, L'Assemblea, il Governo ed il Presidente della Serbia hanno dato la priorità al loro orientamento ideologico, invece che al patriottismo e all'amore per la loro patria. Hanno così dichiarato che con il cuore stavano sulla Ravna Gora dei monarchici cetnizi, in quel posto odiato e vituperato dal mondo e dalla nostra popolazione, dove anche quest'anno Vuk Draskovic, con i suoi crapuloni ed ubriaconi, ha cercato di risvegliare dai morti il più grande criminale di guerra serbo ed infanticida: Mihailovic.

Penso che con questo atto si è anche definitivamente rotto ogni contatto umano ed emotivo tra noi, i sopravvissuti veterani dell'Esercito di liberazione della Jugoslavia, dei partigiani e delle persone che nutrono rispetto nei confronti della Lotta popolare di liberazione, e l'attuale coalizione politica al potere.

Stevan Mirkovic, generale dell'esercito in pensione



Golpe in Honduras: RSF, Vaticano, media e politici occidentali sono complici


Sulla situazione in Honduras, dopo il golpe guidato dall'italiano Micheletti, segnaliamo:

Il Cardi...male in Italia
Mons. Oscar Rodríguez Maradiaga arriva in Italia. Il suo attivo sostegno al colpo di Stato non deve passare inosservato

Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga, un cardinale golpista a Roma: Persona non gradita!

Alla Comunità di Sant'Egidio: ripensare alla scelta di invitare il Mons. Maradiaga

Ciò che in Honduras non era repressione, lo diventa in Iran grazie alla stampa internazionale
Oltre ogni limite della manipolazione mediatica - di Pedro Antonio Honrubia Hurtado

Honduras: imaginez que l’équivalent se passe à Cuba, que diraient nos médias, et le maire de Paris ?
Danielle Bleitrach 

1° Maggio in Honduras

Perché assassinare la parola?

Honduras: consultazione popolare per installare un'Assemblea Costituente

Appello urgente Honduras: La rifondazione della speranza


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R.S.F. NON ALZA UNA PAGLIA SULLA STRAGE DEI GIORNALISTI IN HONDURAS !
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Honduras : l’ONU s’émeut des assassinats de journalistes, pas RSF

L’association française Reporters sans frontières n’a pas placé le Honduras dans sa liste des Etats prédateurs de la liberté d’expression, publiée le 3 mai, à l’occasion de la Journée internationale de la liberté de la presse. L’ONG pro-US estime qu’il n’est pas établi que ces meurtres soient liés au contexte politique et que l’actuel gouvernement est démocratique.

Le 28 juin 2009, un coup d’Etat militaire, orchestré par les Etats-Unis, a renversé le président élu Manuel Zelaya et placé au pouvoir Roberto Micheletti. Le 29 novembre, la junte a convoqué des élections et déclaré vainqueur Porfirio Lobo Sosa. Le nouveau régime a fait appel à des experts israéliens du maintien de l’ordre. La répression s’est concentrée sur des assassinats ciblés, dont ceux de journalistes.

Le 10 mai 2010, le Rapporteur spécial des Nations Unies sur la promotion et la protection des droits à la liberté d’expression et d’opinion, Frank La Rue, le Rapporteur spécial sur les exécutions sommaires, extrajudiciaires ou arbitraires, Philip Alston, et la Rapporteuse spéciale sur la situation des défenseurs des droits de l’homme, Margaret Sekaggya, ont appelé les autorités honduriennes à faire toute la lumière sur les sept assassinats de journalistes survenus en six semaines dans le pays.

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http://www.voltairenet.org/article165395.html

13 DE MAYO DE 2010

La ONU denuncia los asesinatos de periodistas que RSF se niega a reconocer en Honduras 

La asociación francesa Reporteros Sin Fronteras no menciona a Honduras en su lista de Estados violadores de la libertad de expresión, publicada el 13 de mayo en ocasión del Día Internacional de la Libertad de Prensa. Esta ONG proestadounidense afirma que no se ha demostrado que los asesinatos de periodistas perpetrados en Honduras desde el golpe de Estado militar que derrocó al presidente Manuel Zelaya sean de origen político y que el actual régimen hondureño es democrático.

El 28 de junio de 2009 un golpe de Estado militar, orquestado por Estados Unidos, derrocó al presidente electo de Honduras, Manuel Zelaya, poniendo en su lugar a Roberto Micheletti. El 29 de noviembre los golpistas realizaron una elección presidencial en la que Porfirio Lobo fue declarado ganador. El nuevo régimen recurrió a la ayuda de expertos israelíes en mantenimiento del orden y la represión se ha concentrado en la realización de asesinatos selectivos, incluyendo asesinatos de periodistas que se pronuncian contra el régimen.

El 10 de mayo de 2010, el Relator Especial de la ONU sobre la promoción y la protección de la libertad de expresión y de opinión, Frank La Rue; el Relator Especial sobre ejecuciones sumarias, extrajudiciales o arbitrarias, Philip Alston, y la Relatora Especial sobre la situación de los defensores de los derechos humanos, Margaret Sekaggya, exhortaron a las autoridades hondureñas a esclarecer los 7 asesinatos de periodistas perpetrados en 6 semanas en su país.

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http://www.voltairenet.org/article165377.html

11 MAY 2010

Honduras : UN concerned over assassination of journalists, but not RWB

French NGO Reporters Without Borders did not include Honduras in its 2010 list of Worst Predators of Press Freedom, released on 3 May on the occasion of the World Press Freedom Day. The pro-US NGO maintains that no link between the murders and the political climate has been established and that the current government is democratic.

On 28 June 2009 a military coup, orchestrated by the United States, toppled elected President Manuel Zelaya and put Roberto Micheletti in power. On 29 November the junta held elections and declared Porfirio Lobo Sosa the winner. The new regime has called for Israeli public order experts. The repression is geared towards targeted assassinations, including journalists.

On 10 May 2010, United Nations Special Rapporteur on the promotion and protection of the right to freedom of opinion and expression, Frank La Rue, United Nations Special Rapporteur on extrajudicial, summary or arbitrary executions, Philip Alston, and United Nations Special Rapporteur on the situation of human rights defenders, Margaret Sekaggya, called on the Honduran authorities to elucidate all the circumstances surrounding the killing of seven journalists in six weeks.

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Related article:  

Reporters Without Borders seems to have a geopolitical agenda, by F. William Engdhal, Voltaire Network, 5 May 2010.

http://www.voltairenet.org/article165297.html





IL REPORTAGE


Montenegro, il business dell'energia
le mire italiane sul nuovo Eldorado


L'asse Berlusconi-Djukanovic per privatizzare il Paese. Centrali, ferrovie ed elettrodotti: appalti per 5 milioni di euro in cambio dell'ingresso nella Uedal nostro inviato PAOLO BERIZZI


PODGORICA -Un fiume di denaro pubblico italiano finito - come minimo in perfetto conflitto d'interessi - sui conti della banca di Milo Djukanovic. Lui, il pluri-inquisito ma inscalfibile premier montenegrino - pericoloso contrabbandiere internazionale e favoreggiatore di latitanti secondo le procure di Bari e Napoli, "amico" e "partner affidabilissimo" se si sta a Berlusconi e ai nostri ministri - , che per garantirsi il sostegno di Roma all'ingresso del Montenegro nell'Unione europea e nella Nato svende l'argenteria di casa. Come? Concedendo allettanti (e opache) privatizzazioni. Soprattutto nel settore dell'energia, la vera manna delle nostre imprese oltre Adriatico. Si sono date tutte allo shopping, qui, nell'ex Tortuga delle sigarette e dei loschi traffici divenuta oggi, grazie a una partnership in parte ancora da decriptare, e complice l'imposta su redditi più bassa d'Europa (9%), un nuovo Eldorado. Una specie di terra promessa per gli italiani, ora impegnati a colonizzarla come non riuscì all'ammiraglio Vittorio Mollo nel 1918 e al generale mussoliniano Pirzio Biroli nel 1941. 
Altre epoche. Girata la ruota, cambiati i protagonisti. Oggi si chiamano Claudio Scajola (non più ministro dello Sviluppo economico), Valentino Valentini (fidato consigliere di Berlusconi per i rapporti internazionali), Maria Vittoria Brambilla (ministro per il Turismo). È anche un po' merito loro, in missione per conto del presidente del Consiglio, che pure l'anno scorso è venuto a trovare Djukanovic in visita ufficiale, se la giovane Repubblica autonoma montenegrina - giovane come il suo discusso primo ministro (48 anni, a 29 già aveva in mano il paese e non l'ha più mollato, tra pochi giorni affronterà la prova delle amministrative cercando di scacciare le ombre che lo inseguono), è ora talmente lanciata da essere al centro di un mosaico affaristico-imprenditorial-politico. Assimilabile, per alcuni aspetti, alla stretta attualità italiana. Non vi sono, ad ora, risvolti penali, negli interscambi tra i due Paesi. Ma anche qui si parla di accomodanti relazioni politiche, di centinaia di milioni di euro, di grossi appalti, di operazioni bancarie più o meno filo-dirette. E, soprattutto, di energia. La stessa (in questo caso eolica) per la quale, in Italia, si è molto adoperato il coordinatore del Pdl Denis Verdini. 
Per scattare una fotografia del Montenegro visto dai palazzi romani si può partire da una telefonata. È il 18 gennaio del 2009. Denis Verdini, indagato per corruzione dalle procure di Roma e Firenze, chiama il suo amico Riccardo Fusi, costruttore fiorentino patron di Bpt (Baldassini-Tognozzi-Pontello), la società finita al centro dell'inchiesta sui Grandi Appalti e ritenuta dagli investigatori la "copertura" del consorzio Stabile Novus infiltrato dalla mafia. Non è un evento, la telefonata: "Ci sentivamo anche dieci volte al giorno", dice Fusi, contattato da Repubblica. Il tema di quella conversazione catturata, tra migliaia, dai Ros dei carabinieri, e ricordata dallo stesso Fusi, è il Montenegro. "Domani Valentini va a Podgorica con un gruppo di imprenditori, vuoi andare anche tu?", è l'invito di Verdini. Al suo amico, il coordinatore del Pdl fa presente che in Montenegro c'è la possibilità di guadagnare parecchio. "Purtroppo non sono riuscito ad andare per impegni già presi", si dispiace Fusi. 
Il volo di Stato per Podgorica è organizzato da Valentino Valentini tramite Simest (società del governo che sostiene gli investimenti italiani all'estero). Con il ministro Brambilla e il sottosegretario al commercio estero, Adolfo Urso, ci sono una sessantina di imprenditori (A2A, Enel, Terna, Banca Intesa, Ferrovie dello Stato, Edison, Valtur, Todini). È il primo passo nell'intesa commerciale tra Berlusconi e Djukanovic. 

Ce ne saranno altri due. Decisivi. Uno il 17 marzo 2009: la visita di Berlusconi. Il premier, accolto come un eroe, incontra Milo, come lo chiamano gli elettori. Promette che avrebbe fatto diventare grande il Montenegro. Il 16 giugno spedisce qui un altro suo fedelissimo, il ministro Scajola, che mette la firma su due contratti: energia e infrastrutture. Investimenti per 5 miliardi di euro. Col primo scendono in campo A2A - la multiutility quotata in Borsa nata dalla fusione delle municipalizzate di Milano e Brescia - e Terna. A2A acquisisce il 43% della società energetica pubblica Elektroprivreda. Dei 450 milioni italiani per la privatizzazione, una parte, almeno 300, sono stati versati sui conti della Prva Banka, il colosso bancario controllato dal fratello del premier, Aco Djukanovic, e del quale possiedono azioni lo stesso Milo e la sorella Ana. Lo conferma il direttore della Prva, Predag Drecun. L'opposizione al governo parla di operazione "affrettata e poco trasparente", sponsorizzata da Berlusconi e messa in piedi per favorire il potente clan Djukanovic. In effetti è come se Berlusconi privatizzasse una società pubblica e facesse versare i soldi sui conti della Mediolanum. Ma tant'è, tutto è possibile nel Montenegro delle (sin) energie. Grazie al "prego si accomodino" deciso da Milo, Terna costruirà un elettrodotto sottomarino Pescara-Tivat per portare l'energia balcanica nello stivale. A2A, ancora lei, realizzerà quattro centrali idroelettriche, Enel un impianto a carbone in collaborazione con Duferco che, a sua volta, tirerà su un termovalorizzatore. E per finire il progetto di Italfer (Ferrovie dello Stato): una ferrovia Bar-Belgrado (1 milione già stanziato da Scajola). 

Dietro la campagna montenegrina - è il timore del deputato Pd Alessandro Maran - si nasconde "la nostra illusione di fare nei Balcani tutto quello che non si può fare in Italia, trasferendolo dall'altro lato del confine". No, "è semplicemente una partnership costruttiva e interessante per tutti e due i paesi - ragiona l'ambasciatore italiano Sergio Barbanti - questo è uno Stato che vuole e può crescere". Ma l'assalto all'oro montenegrino è visto da qualcuno come un azzardo. Anche per lo stesso ex regno delle sigarette. Avverte un imprenditore locale: "È vero che sfruttiamo solo il 17 per cento del nostro potenziale, ma questa è una terra da salvaguardare". Buona parte del territorio montenegrino è sotto il patrimonio dell'Unesco. Anche volendo fare la tara a quello che scrivono i giornali vicini all'opposizione, come il "Dan" - titoli forti tipo "è arrivata la mafia dell'energia" - ; anche volendo prendere con le pinze le parole del leader del Movimento per il cambiamento Nebojsa Modojevic ("c'è il rischio che la mafia italiana bruci nei termovalorizzatori qualsiasi porcheria e il rapido accordo con A2A è frutto solo degli interessi personali di Berlusconi e Djukanovic"), è un fatto che il filo che corre tra Italia e Montenegro si regge su un equilibrio ancora ballerino. 
La Procura di Bari, che come quella di Napoli aveva chiesto l'arresto di Djukanovic poiché ritenuto a capo di una cupola mafioso-finanziaria dedita al traffico internazionale di sigarette (mille tonnellate al mese), droga, armi e coperture per 15 criminali, l'anno scorso ha archiviato il fascicolo. Non si può procedere perché Milo è un capo di governo straniero protetto dall'immunità. Ma le preoccupazioni per Djukanovic arrivano anche dal suo paese. La suprema corte di Podgorica ha acceso i riflettori su nove omicidi di testimoni "scomodi" legati al contrabbando (nel 2004 in città fu ucciso anche il giovane direttore del quotidiano Dan). Un'indagine che sta facendo tremare i palazzi del potere. 
Il 23 maggio in Montenegro si vota per le amministrative in 14 comuni. L'opposizione fa blocco per provare a scardinare Milo e, al prossimo suffragio, per mandarlo a casa dopo 18 anni. Lui si sente forte, anche grazie al partner italiano. Messe in cascina le garanzie di Berlusconi, Djukanovic promette l'Europa al suo popolo (che già usa l'euro, caso unico tra i paesi non Ue). Chissà, forse è tutta questione di energia. 

(19 maggio 2010)





http://rickrozoff.wordpress.com/2010/05/11/eastern-europe-from-socialist-bloc-and-non-alignment-to-u-s-military-colonies/

Stop NATO - May 11, 2010

Eastern Europe: From Socialist Bloc And Non-Alignment To U.S. Military Colonies

Rick Rozoff


Eleven years ago today the North Atlantic Treaty Organization was in the seventh week of a bombing war against the Federal Republic of Yugoslavia, one which saw over 1,000 Western military planes fly over 38,000 combat missions, bombs dropped from the sky and Tomahawk cruise missiles launched from the Mediterranean Sea.

Having quickly exhausted military targets, NATO warplanes resorted to bombing so-called targets of opportunity, including bridges on the Danube River, factories, Radio Television of Serbia headquarters in the capital (where sixteen employees were killed), a refugee column in Kosovo, the offices of political parties and the residences of government officials and foreign ambassadors, a passenger train, a religious procession, hospitals, apartment courtyards, hotels, the Swedish and Swiss embassies and the nation's entire power grid. 

U.S. Apache gunships and British Harrier jet aircraft were deployed for attacks on the ground and Yugoslavia was strewn with unexploded cluster bomb fragments and depleted uranium contamination.

The 78-day bombing campaign, NATO code name Operation Allied Force and U.S. Operation Noble Anvil, was promoted in Washington and other Western capitals as history's first "humanitarian war."

The U.S. and NATO dramatically escalated the reckless assault with an overnight attack on the Chinese embassy in Belgrade on May 7 in which five American bombs simultaneously struck the building, killing three and wounding 20 Chinese citizens. The government of China denounced the action for what it was, a "war crime," a "barbaric attack and a gross violation of Chinese sovereignty" and "NATO's barbarian act."

During the long Cold War it was assumed that military action by the North Atlantic military bloc would result in the death and injury of soldiers and civilians in member states of the Warsaw Pact. But NATO's first victims were Serbs and Chinese.

When the war ended on June 11, the West had achieved what it set out to accomplish:

50,000 troops under NATO's command entered Serbia's Kosovo province, where over 12,000 remain eleven years later.

The Pentagon commissioned Kellogg, Brown & Root to construct the nearly 1,000-acre Camp Bondsteel and its sister base Camp Monteith in Kosovo, which continue to operate to the present day.

Kosovo had been wrenched from Serbia and on February 17, 2008 declared itself an independent nation, recognized as such by the U.S. and most all of its NATO allies, though not by almost two-thirds of the world's nations.

In 1999 NATO Secretary General Javier Solana moved across the street as it were in Brussels to become the European Union's High Representative for Foreign Affairs and Security Policy, in which post he supervised a "trial separation" for what remained of Yugoslavia, and the very name of Yugoslavia was wiped from the map as the Western-sponsored State Union of Serbia and Montenegro succeeded it in 2003.

Three years later Montenegro, with a population smaller than that of the American city of Memphis, became the world's newest nation. To demonstrate after the fact what had been planned before, a U.S. guided missile cruiser visited the coastal city of Tivat within months and an American submarine, USS Emory Land, arrived there in 2007 to mark the first anniversary of Montenegro's nominal independence.

In the year following the break-up of the State Union of Serbia and Montenegro, the last-named joined NATO's Partnership for Peace apprenticeship program and the following year was granted an Individual Partnership Action Plan and signed a Status of Forces Agreement with NATO for which the U.S. is the depositary government. In late 2009 it received a Membership Action Plan, the final step before full NATO membership. This March Montenegro became the 44th nation to contribute troops for NATO's war in Afghanistan. All these developments occurred in four years.

Since the beginning of NATO's post-Cold War expansion in 1999, nations of the former Warsaw Pact and of the former Socialist Federal Republic of Yugoslavia have become Western military colonies, hosting visits by and basing troops and military equipment from NATO and its individual members, especially the U.S. So far this year former Warsaw Pact countries Poland, Romania, Bulgaria and most recently Albania have announced their willingness to accede to U.S. and NATO requests for interceptor missile facilities to be stationed on their territories.

The U.S. has acquired four military bases in Romania and three in Bulgaria over the past four years and will soon activate a Patriot Advanced Capability-3 interceptor missile installation in the east of Poland, 35 miles from the Russian border. Longer-range anti-ballistic missile interceptors are to follow according to Polish officials.

NATO has a major training center in Poland, the world's first multinational strategic airlift operation at the Papa Air Base in Hungary, and de facto possession of a former Soviet air base in Lithuania. After meeting with U.S. Defense Secretary Robert Gates earlier in the month, Lithuanian Defense Minister Rasa Jukneviciene announced that the Pentagon chief confirmed U.S. support for a permanent military base in the Baltic Sea region where NATO warplanes have been conducting air patrols since the induction of Estonia, Latvia and Lithuania into the bloc in 2004.

The Lithuanian defense chief also said the Pentagon wants to extend NATO air patrols in the area "till 2018 and beyond." 

Washington plans to establish a missile shield communications center in the Czech Republic, where Britain is currently leading multinational
air combat exercises, Operation Flying Rhino 2010, with 2,000 foreign and 1,000 Czech troops.  

Air bases in Bulgaria and Romania were employed for the attack on and invasion of Iraq in 2003 and have been used regularly for the nearly nine-year U.S.-NATO war in Afghanistan. 

After the invasion of Iraq, new NATO members the Czech Republic, Hungary and Poland sent troops to the country, as did then NATO candidates and partners Albania, Armenia, Azerbaijan, Bosnia, Bulgaria, Croatia, Estonia, Georgia, Kazakhstan, Latvia, Lithuania, Macedonia, Moldova, Romania, Slovakia, Slovenia and Ukraine.

Offering Washington troops for the war in Iraq was a prerequisite for advanced NATO partnerships and eventual full membership. Nine of the above nations were awarded the second in return for their services. Bosnia, Macedonia and as of last year Montenegro have been granted Membership Action Plans, introduced at the 1999 NATO fiftieth anniversary summit in Washington, D.C. as the penultimate stage of full integration. Georgia and Ukraine were presented special Annual National Programs by NATO shortly after Georgia's war with Russia in August of 2008.

All twelve new Eastern European NATO members have troops in Afghanistan, as do prospective members Armenia, Azerbaijan, Bosnia, Georgia, Macedonia and Montenegro. 

NATO has taken over the former Warsaw Pact and former Yugoslavia, in the first case without firing a shot. In the second through two bombing campaigns (Bosnia in 1995 and Serbia in 1999) and three deployments of ground troops (Bosnia in 1995, Kosovo in 1999 and Macedonia in 2001).

All ex-Warsaw Pact nations outside the former Soviet Union now have soldiers killing and dying under NATO command in Afghanistan, as all but the erstwhile East Germany did in Iraq, though none of them did under Warsaw Pact obligations during the ten years of Soviet involvement in the South Asian nation. Seven of fifteen former Soviet republics also have troops serving under NATO in the Afghan war zone.

The U.S. and other major Alliance powers conduct regular multinational Partnership for Peace military maneuvers in all three former Soviet Republics in the South Caucasus - Armenia, Azerbaijan and Georgia - and have held comparable exercises in Ukraine and Kazakhstan.

The major purpose of the war games and other drills is to prepare the militaries of the host and participating nations for interoperability in military, including combat, missions abroad, most prominently in Afghanistan and Iraq over the past few years.

Georgia had 2,000 troops in Iraq in 2008, at the time the third largest foreign contingent, although its population is only slightly over four million, a fraction of that of the U.S., Britain and other major troops providers.

Most of those troops were flown back to Georgia on U.S. military transport planes during the five-day war with South Ossetia and Russia in August of 2008. Georgia will soon have almost 900 troops in Afghanistan, the largest per capita contribution of any of the 50 nations supplying soldiers to NATO for the fighting there.

During the 36 years of the Warsaw Pact member states aside from the Soviet Union rarely deployed military units outside their borders and never overseas.

In the past decade all non-Soviet members and all former Yugoslav republics but Serbia have had their sons and daughters deployed by NATO to such frequently far-flung war and conflict zones as the Balkans, Afghanistan and Iraq and adjoining countries like Kyrgyzstan, Uzbekistan (Germany) and Kuwait. Over a hundred Polish, Romanian, Bulgarian, Czech, Estonian, Latvian, Hungarian, Lithuanian and Slovak soldiers have returned to their homelands from Afghanistan and Iraq in coffins.

When the Soviet Red Army left Bulgaria in 1947 no foreign troops were stationed in that nation until U.S. Secretary of State Condoleezza Rice visited it two years after its NATO accession to sign an agreement on three military bases there: The Bezmer Air Base, the Graf Ignatievo Air Base (recently certified as meeting "100% compliance" with NATO requirements) and the Novo Selo Training Range.

The last Soviet troops left Romania in 1958. When Nicolae Ceausescu became leader of the nation in 1965, he distanced his country from the Soviet Union and the Warsaw Pact, forbidding exercises and deployments involving other states.

In 2005, the year after Romania gained full NATO membership, Condoleezza Rice visited Bucharest and secured four bases for the Pentagon and NATO: The Mihail Kogalniceanu Air Base (already used for the war against Iraq), the Cincu and Smardan training bases, and the Babadag firing range.

The U.S. recently concluded military exercises with Bulgaria - Operation Thracian Spring - from April 22 to 28 and led joint air force exercises with Bulgaria and Romania from April 12 to 16 at the Aviano Air Base in Italy.

This February Romanian and Bulgarian government officials announced that they would accept American and NATO Standard Missile-3 interceptor installations and the troops to man them.

In 1960 Albanian leader Enver Hoxha turned against the Soviet Union and other Warsaw Pact allies, aligning himself with the People's Republic of China. No foreign troops or bases were allowed in the country.

Starting in 1993 the U.S. Sixth Fleet began conducting naval exercises with Albania, acquired the use of military bases there and deployed troops to a forward base it established near the port city of Durres for the war against Yugoslavia in 1999.

Last week the nation's prime minister and the chief of staff of the armed forces - after meeting with NATO Secretary General Anders Fogh Rasmussen - announced their willingness to host U.S. and NATO interceptor missile facilities and the soldiers who will accompany them.

Albania, along with Croatia, with whom U.S. Special Operations Command
Europe just concluded two months of air exercises for what was described as "large-scale counterinsurgency, stability and counterterrorism operations" abroad, are NATO's newest members, joining in 2009.

NATO's Supreme Allied Commander Europe, American Admiral James Stavridis, was in Bulgaria on April 26 and 27 and Secretary General Rasmussen is expected there on May 20.

Even affiliating with the Brussels-based bloc demands conditions that are onerous and inflexible. NATO partners are told which Western arms manufacturers they must purchase weapons from, where their troops are to be deployed, who their friends and who their enemies are around the world. The full foreign policy orientation of candidates and members is dictated from Brussels and Washington.

NATO is a bloc that no nation has ever withdrawn from or will be allowed to leave.

Before his visits to Albania and Croatia late last month the latter said at NATO headquarters in Brussels, "My dream will come true if - one day - we could see all countries in the Balkans as members of NATO. They belong to the Euro-Atlantic Community. I hope to see their flags represented here among all other NATO nations."

Bulgarian Foreign Minister Nikolay Mladenov visited Washington, D.C. at the end of April to meet with among others U.S. National Security Advisor James Jones, and pledged support for NATO and European Union membership for both Serbia and Kosovo.

At last month's NATO foreign ministers meeting in Estonia, Bosnia's Membership Action Plan was approved.

NATO's Kosovo Force is training and arming the Kosovo Security Force, an army in formation under NATO control.

With the demise of the Cold War former members of the Warsaw Pact may have hoped for a demilitarized Europe, one free of armed blocs. Instead the first and preeminent Cold War military alliance, NATO, will soon have engulfed almost every nation on the continent.

The new nations of former Yugoslavia, a founding member of the Non-Aligned Movement which had never been in any military bloc, will not be spared that fate.

Rasmussen won't have long to wait for his dream to be realized and for the flags of all nations and pseudo-nations in Eastern Europe to fly at NATO headquarters. And at bases in Afghanistan and other combat zones. 

Foreign troops will be based permanently on their soil as their troops are deployed far abroad.

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Stop NATO
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GUERRA E' PACE

Nel 1999 aveva incominciato la sua carriera di pacifista di regime snaturando la tradizionale marcia antimilitarista Perugia-Assisi.
Aveva infatti imposto la presenza del criminale di guerra Massimo D'Alema - pur non riuscendo a farlo digerire ai manifestanti.
Quest'anno Flavio Lotti ha voluto strafare: ha invitato alla Perugia-Assisi direttamente il generale Vincenzo Camporini, Capo di Stato Maggiore della Difesa. La liaison era cominciata per iniziativa di Camporini, (*) che giustamente ritiene che << la presenza dei civili nei teatri di conflitto è non solo auspicabile ma necessaria: “Le forze armate da sole non bastano” specie se, chiarisce, ci mandano a svolgere “compiti impossibili” che, da soli, i militari non possono risolvere. >> (**) 
Non bastano le bombe, infatti, per imporre nei cervelli delle popolazioni da soggiogare gli interessi ("i valori") dell'Occidente... A questo fine, come sempre nella Storia degli ultimi secoli, sono indispensabili i missionari: quelli come Flavio Lotti.

P.S. Alla Perugia-Assisi oggi Camporini (forse) non c'era. In compenso la tradizionale manifestazione dei nonviolenti italiani è diventata oramai la passerella di tutta la ipocrita dirigenza dei partiti del centrosinistra: quelli cioè che votano il finanziamento miliardario di tutte le operazioni militari all'estero. (a cura di Italo Slavo, 16/5/2010)

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Giovedi' 7 Gennaio 2010 

MARCIA DELLA PACE: LOTTI INVITA GENERALE CAMPORINI ALLA PERUGIA-ASSISI

MARCIA PACE: GENERALE CAMPORINI, APRIRE DIALOGO CON PACIFISTI

(AGI) - Roma, 7 dic. - E' tempo che Forze armate e movimento pacifista avviino un dialogo. L'opinione e' stata espressa al massimo livello, vale a dire dal capo di Stato maggiore della Difesa, Vincenzo Camporini. Il generale, invervistato da Ritanna Armeni e da Emanuele Giordana nella penultima puntata della trasmissione 'Soldati', in onda oggi su Radio3 alle 18, ha sottolineato che questo processo puo' iniziare nel rispetto delle diversita' e a patto che si sia disposti "a rimuovere le barriere ideologiche". L'intervista, che occupa gran parte della trasmissione, e' stata fatta poi ascoltare nella parte riferita al movimento pacifista a Flavio Lotti, esponente di punta di quel movimento e organizzatore della Perugia-Assisi.
Lotti non ha esitato a cogliere quest'apertura e ha invitato i militari italiani a partecipare "alle giornate di discussione", preparatorie della storica marcia della pace che si tiene da anni in Umbria. "Se cio' avvenisse", hanno commentato i due conduttori della trasmissione, "significherebbe che le Forze armate italiane sono davvero cambiate. E che lo e' anche ilmovimento per la pace che evidentemente riconosce nel dialogo, com'e' sua tradizione, lo strumento migliore per combattere la guerra".
Nelle 15 puntete di 'Soldati' sono stati intervistati una trentina di militari, sottufficiali e non, tra cui -oltre a Camporini- i generali Cabigiosu, Graziano, Bertolini, D'Alessandro e Fogari. (AGI)

Vai alla pagina dedicata di Radio3 e scarica il podcast della trasmissione: http://www.radio.rai.it/radio3/terzo_anello/soldati/index.cfm

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IL PACIFISTA E IL GENERALE(2) 

Ritanna Armeni Emanuele Giordana

Mercoledi' 12 Maggio 2010 

C'è un grande assente all'incontro che, per la prima volta, vede la più alta carica militare italiana, il generale Vincenzo Camporini, a colloquio con i responsabili della Tavola della pace, gli organizzatori della Perugia Assisi, la più famosa camminata del pacifismo italiano. E' la politica il convitato di pietra che, sia il generale, sia Flavio Lotti, coordinatore della Tavola, evocano più volte. (...) Alla viglia della Perugia Assisi (domenica), Camporini tende una mano e dice che se la politica non riesce a risolvere le crisi e non può sperare che le risolvano al suo posto i soldati, la presenza dei civili nei teatri di conflitto è non solo auspicabile ma necessaria: “Le forze armate da sole non bastano” specie se, chiarisce, ci mandano a svolgere “compiti impossibili” che, da soli, i militari non possono risolvere. (...)

I militari (e gli italiani più di altri), sono invece convinti che l'aiuto umanitario possa, anzi debba, far parte della loro presenza nel teatro, della loro missione. Questo intervento viene rivendicato come parte di quella diversità italiana di cui vanno orgogliosi. Ma molti sono i critici di questa posizione. Si tratta – dicono - di una pericolosa confusione di ruoli, che schiaccia la neutralità del medico che cura le ferite e lo apparenta all'esercito occupante di turno. E tuttavia su questa ambiguità sono nati in Afghanistan e in Iraq, i Provincial Reconstruction Team (Prt) unità civili-militari che, attraverso cellule specializzate (Cimic) sono a metà tra un avamposto militare e un ufficio di cooperazione di prima emergenza.

Il generale Marco Bertolini già capo di Stato maggiore di Isaf in Afghanistan difende questa posizione. “Se un militare interviene all'estero per riportare la pace non lo si può staccare dal contesto generale. E proprio in Afghanistan si è cercata una collaborazione con i civili, pur rispettando la neutralità delle Ong che fa parte del loro statuto e che noi rispettiamo. Ma ciò non vuol dire che lo sforzo del militare possa venir 'incapsulato', isolato”.

Non è d’accordo Nino Sergi presidente di Intersos, una delle più attive Organizzazione non governative presenti in Afghanistan:“Credo che in Afghanistan le operazioni dei militari definite umanitarie in realtà siano funzionali alle strategie del contingente e questo è l'esatto contrario della neutralità e dell'imparzialità. Un esercito è, per forza di cose, di parte. Ciò finisce a creare un'ambiguità nociva soprattutto per gli umanitari”. Ma Sergi ricorda anche l'esperienza del Libano dove è stato creato un Tavolo di coordinamento tra Ong, militari, ambasciata che è stato forse uno dei primi tentativi di definire ruoli e comportamenti. Piccoli passi. Ma problemi ancora aperti.




(Mentre la associazione "La nostra Jugoslavia" viene iscritta al registro delle associazioni ufficialmente riconosciute in Croazia, continuano con successo le attività e le presantazioni sulla stampa: di seguito un estratto dal primo numero del bollettino associativo, e un articolo apparso sulla rivista dei serbi della Croazia "Novosti")

Nacija Jugoslaven? Zašto ne!


1) Iz prvog broja biltena "Nasa Jugoslavija": Dosadašnje Aktivnosti Udruženja Naša Jugoslavija

2) Nacija Jugoslaven? Zašto ne! (Novosti 16.04.2010)

13.04.2010: Udruzenje u Hrvatskoj je upisano u registar udruga.
Registarski broj: 18002128 - Sjediste: Pula, Pazinska 35


=== 1 ===
 

«Naša Jugoslavija»
časopis Udruženja «Naša Jugoslavija»
broj 1 - Godina I - Maj 2010

Sadržaj
Dosadašnje aktivnosti udruženja Naša Jugoslavija...................1
Zlatko Stojković
Savez Jugoslavena....................................................................4
Dalibor Tomić i Zlatko Stojković
Jugonostalgija............................................................................9
Ivica Bašić
Izazov Monetarne Reforme - Alternativna Valuta Crom...........14
Aljoša Durić
Imati ili Biti................................................................................17
Lana Bosanac
Bosna i Hercegovina u Jugoslavenskim okvirima I/II
BOSNA I HERCEGOVINA U VRIJEME RATA 1941- 1945.....25
Edin Hardauš
Predstavite se.........................................................................30


Dosadašnje Aktivnosti Udruženja Naša Jugoslavija

Zlatko Stojković

Udruženje "Naša Jugoslavija" nije nepoznato udruženje. Svejedno smatramo za potrebu da se i mi, kao nosioci i osnivaci ovoga Biltena, predstavimo. Citaocu se želimo predstaviti onakvi kakvi jesmo, predstaviti mu svoje dosadašnje aktivnosti i reci što planiramo u buducnosti.
Krajem ožujka (marta) 2008. godine je u Puli održan sastanak Koordinacionog tijela Udruženja, na kojemu su se postavile jasne smjernice i pravila kojima želimo, i moramo ici. Za predsjednika koordinacionog tijela je izabran Zlatko Stojkovic, a za njegove zamjenike Dalibor Tomic i Vladimir Milosavljevic. Isto tako, na tom je sastanku odluceno da se pokrene postupak za registraciju Republickih udruženja u Bosni i Hercegovini i Hrvatskoj. U Srbiji je zahtijev za registraciju bio u postupku. Tako su u toku 2008. godine u Sarajevu i Puli predani zahtjevi za registraciju Udruženja "Naša Jugoslavija". Nakon višemjesecnog cekanja na odgovor nadležnih organa, u obje je države odgovor bio negativan uz obrazloženje, izmeu ostalog, da rjec "Jugoslavija" u imenu Udruženja, nije politicki niti moralno podobna. Pri tome ostaje otvoreno pitanje moralnosti i politicke podobnosti. Iako ne postoji nikakva zakonska odredba, u BiH ili u Hrvatskoj, kojom se ta rijec zabranjuje, ipak je ona velika kost u grlu današnjim vlastima i nerado je izgovaraju. Žalbe na takva rješenja su uložene.
I dok se još ceka odgovor na žalbu u Bosni i Hercegovini, iz Zagreba je pocetkom 2010. godine stiglo rješejne kojim se odbija rješenje prvostepenog državnog tijela i istome se nalaže da upiše Udruženje "Naša Jugoslavija" u registar udruga RH.
I u Makedoniji je Udruženje bilo aktivno. Bilo je pokušaja da se i tamo organiziramo, ali nažalost za sada, bez uspjeha.
U povodu 28-me godišnjice smrti Josipa Broza Tita, u kuci cvijeca se našlo mnogo njegovih simpatizera. Meu njima je bila i delegacija Udruženja "Naša Jugoslavija", na celu sa drugom Vladimirom Milosavljevicem, Predsjednikom udruženja u Srbiji. Tom je prilikom sa njime TV-Nova snimila jedan intervju, koji je zaintrigirao i jednu novinarku internet portala www.javno.com i tražila razgovor sa osobom u Hrvatskoj. Tako je nastao intevju sa autorom ovih redaka koji je objavljen na http://www.javno.com/hr/hrvatska/clanak.php?id=150736.
Krajem sedmog mjeseca 2009. godine je u Puli održana 1. Skupština Uduženja "Naša Jugoslavija" u osnivanju, koja je izazvala posebno zanimanje na cjelom podrucju predhodne Jugoslavije. Odaziv Skupštini nije bio velik, ali su reakcije na taj skup bile iznenaujuce. Iako nekorektno, ipak su o tome izvještavali od Triglava do evelije. Dobili smo mnogo mailova podrške, prijavili su se novi clanovi. Nastojali smo se barem jedanput javiti svima. Nadamo se da smo u tome i uspijeli.
Naša web stranica www.nasajugoslavija.org bila je u kolovozu (augustu) posjecenija nego ikada.
Dobili smo mnogo pisama podrške i zahtjeva za clanstvo u Udruženju. Iz razgovora sa novim clanovima su se otvorile nove mogucnosti za prezentaciju Udruženja u svijetu, kao i nove ideje kako djelovati. Iz tih razgovora i razmjena mailova najviše se spominjala ideja o organiziranju klubova (celija) Udruženja. I to je sprovedeno u djelo. U Splitu je krajem 2009. godine osnovan prvi Klub Udruženja "Naša Jugoslavija" na podrucju predhodne Jugoslavije. Uvjereni smo da ce primjer Splita slijediti i drugi gradovi. To je vrlo važno za masovnost clanstva, a posebno za informiranje kako clanstva tako i potencijalnih clanova. Kroz te bi se klubove ostvarila jedna uska suradnja i ucvrstilo meusobno povjerenje. A to je osnov svakog zajednickog rada.
Clanovi Udruženja iz Bosne i Hercegovine, Hrvatske i Srbije sastajali su se u Bihacu na proslavi 65.-godišnjice I zasjedanja AVNOJ-a i Jajcu na proslavi otvorenja Muzeja AVNOJ-a. Te su se prilike iskoristile za bolje upoznavanje i za sklapanje novih poznanstava.
22.12.2008. godine je u Smederevu održana proslava Dana Armijena kojoj je predsjednik Udruženja "Naša Jugoslavija" iz Srbije imao priliku prisutnima, uz lijepo dekoriranu govornicu, predstaviti naše udruženje kao i njegove aktivnosti. Posebno je zapažen bio njegov govor u kojem je prisutne upoznao sa važnošcu priznavanja jugoslavenske nacije na stabilizaciju odnosa na Balkanu. U beogradskom Domu "Pavle Korcagin" održana je proslava Dana Mladosti 2009. Aktivisti iz Srbije su i tu uspijeli uspostaviti nove kontakte i upoznati ih sa našim ciljevima. Posebnomjesto zauzima i osnivaje Jugoslavenskog udruženja latinoamerikanista, pri cemu je Udružejne "Naša Jugoslavija" dalo znacajan doprinos.
U toku 2009. godine održano je mnoštvo sastanaka kako meu clanovima Udruženja tako i meu pristalicama. Sastanci su održani u Hrvatskoj, Srbiji, Sloveniji, Bosni i Hercegovini, Makedoniji, Njemackoj i Švicarskoj. Osim toga vodili su se bezbrojni razgovori telefonom ili skypom u cijelom svijetu. Rezultat tih sastanaka i telefonskih razgovora bilo je, opcenito gledano, pozitivan. Uspostavljeni su kontakti, predložene su nove ideje djelovanja, konkretizirana su neka pitanja, neka su nova pitanja otvorena. Sve to otvara nove horizonte i pokazuje da smo mi kao Udruženja na ispravnom putu.
Udruženje „Naša Jugoslavija“ si je u svoj program zacrtalo priznavanje jugoslavenske nacije. Taj je cilj u Udruženja napisan velikim slovima. Kako je krajem 2009 godine u hrvatskom Saboru odluceno da se pristupi promjeni Ustava, bila je to prilika da se i mi kao Udruženje pojavimo sa svojim prijedlogom. Predsjedniku hrvatskog Sabora poslan je prijedlog, uz Deklaraciju o priznavanju jugoslavenske nacije, da se u novi Ustav ugradi i priznavanje jugoslavenske nacije. Osnivanjem Saveza Jugoslavena u Zagrebu 21.03.2010. godine opet je Udruženje izbilo u prvi plan. O tom su dogaaju izvještavale gotovo svi mediji na teritoriju predhodne Jugoslavije. Rezultat toga je intevju kojega su trojica predsjednika dala za sarajevski list "Slobodna Bosna" kao i intervju sa potpisnikom ovih redova u zagrebackom tjedniku "Novosti". Taj se intervju može procitati na www.novossti.com/2010/04/nacija-jugoslaven-zasto-ne/ [kao i dole]. I HRT je pokazala interesovanje da o nama snimi jedan kraci prilog. Ali o tome u slijedecem izdanju Biltena.

Zlatko Stojković, dipl.ing. je predsjednik udruženja Naša Jugoslavija.
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Nacija Jugoslaven? Zašto ne!


Novosti - samostalni srpski tjednik - Broj 539
Tagovi: jugoslaveni, Tito
Datum objave: 16.04.2010. Piše: Mirna Jasić

Ostvariti pravo na izjašnjavanje Jugoslavenima osnovni je cilj udruženja “Naša Jugoslavija” koje se proširilo na tri republike nekadašnje SFRJ, na Srbiju, Hrvatsku i Bosnu i Hercegovinu. Savez udruženja pokazuje tendenciju širenja i na ostale bivše republike.

Zamisao o udruženju korijene vuče s interneta gdje se nekolicina članova našla na forumu slobodnajugoslavija.com. U protekle četiri godine udruženje je registrirano u Smederevu u Srbiji. Prije tri mjeseca, tek iz drugog pokušaja, stiglo je rješenje o registraciji i za ono hrvatsko u Puli, dok u Sarajevu na njega još čekaju.


Najprije odbijeni u registru udruga

- Konačno smo u januaru dobili odgovor da smo upisani u registar hrvatskih udruga, s obzirom na to da smo prvi zahtjev podnijeli još u decembru 2008. godine. Nakon devet mjeseci dostavljen nam je isprva negativan odgovor, jer se oni koji su odlučivali nisu obazirali na naše ideje, nego su rješenje bazirali na novinskim člancima u kojima smo optuživani da želimo rušiti Hrvatsku i da planiramo stvoriti Jugoslaviju, što nikada nismo izjavili. Žalili smo se na mišljenje onih kojima je smetala riječ “Jugoslavija” u nazivu, te od ove godine konačno i službeno postojimo kao udruga – kaže Zlatko Stojković, predsjednik hrvatskog udruženja “Naša Jugoslavija”, koje je osnovao s kolegama Matijom Rojnićem iz Pule i Krešom Šebom iz Zagreba.

Sva tri udruženja “Naša Jugoslavija” zalažu se za priznavanje jugoslavenske nacije, za smanjenje mržnje među narodima SFRJ, za oživljavanje i daljnje unapređenje odnosa i komunikacije među njima, za razmjenu iskustva po pitanju socijalne zaštite, opće sigurnosti građana i kvalitetnih društvenih odnosa. Deklaraciju o jugoslavenskoj naciji uputili su i Saboru, no odgovor nisu dobili.

- U Deklaraciji su navedeni razlozi zašto je potrebno priznati jugoslavensku naciju, koja je jedan od preduvjeta trajne stabilnosti na Balkanu. Jedno od osnovnih prava čovjeka je njegovo samoopredjeljenje, što je zagarantirano mnogim evropskim aktima i međunarodnim dokumentima – kaže Stojković, inače inženjer građevine.

Na prvi dan proljeća u Zagrebu su osnovali Savez Jugoslavena koji će djelovati kao koordinaciono tijelo.

- Riječ je o dijelu udruženja koji će voditi pregovore da bi bila priznata jugoslavenska nacija, dok nagodinu planiramo održati skup Jugoslavena odnosno skupštinu saveza. No, prvo moramo vidjeti kako će nas ljudi prihvatiti. Nadamo se da ćemo popularizirati pojam jugoslavenstva – kaže Stojković. Zasad imaju 800 članova u tri republike, od čega ih je polovica iz Bosne i Hercegovine, a oko 130 iz Hrvatske, dok su neki iz daleke Amerike ili još dalje Australije. Pristupiti udruženju trenutno je moguće jedino putem internetske adrese www.nasajugoslavija.org, sve dok ne dobiju prostor za rad.

Ljubav prema Jugoslaviji osnivači društva opisuju kao ljubav prema zemlji u kojoj su rođeni i u kojoj su “živjeli u miru, u zemlji u kojoj se nije pitalo što si po nacionalnosti, u zemlji punoj drugarstva”.


Tito nije htio budale oko sebe

Da li je riječ o nostalgiji? Matija Rojnić kaže kako nije riječ o žaljenju za nečim prošlim, jer on na taj način i dalje živi.

- Jugoslavenstvo je stil života. I danas živim u skladu s nekadašnjim duhom drugarstva i to mi nitko ne može uzeti. Ne skrivamo da je Jugoslavija imala mana, ali daleko više imala je dobrih strana, na primjer kroz radne akcije ljudi su se družili, školstvo je bilo kvaliteto, izgrađivane su mnoge tvornice, napredovala je privreda – kaže Rojnić, po zanimanju ribar.

Naglašavaju da ne grade kult Titove ličnosti, ali da imaju pozitivan stav prema njemu, jer je školovao narod “ne želeći budale oko sebe”.

- Dok ga neki zovu diktatorom, sam ne pamtim da se ikome poklonilo toliko drugih državnika iz cijeloga svijeta. Sve što je imao nije bilo njegovo, nije ostavio ništa svojoj porodici. Takav čovjek ne može biti diktator. I mladi ljudi koji nisu vidjeli kako se u Jugoslaviji živjelo, čitajući i obrazujući se uvidjeli su da nismo lagali. Razdvojili smo se jer premalo komuniciramo – smatra Rojnić.

- Ne radimo ništa protiv sadašnjih država. Ne želimo ih rušiti i ne planiramo ponovno osnivati Jugoslaviju. Samo radimo na smanjenu mržnje među narodima, a činimo to jezikom ljubavi, kako bi se stabilizirali nekadašnji dobri odnosi među narodima Jugoslavije. Nismo razmišljali o ponovnom stvaranju Jugoslavije, ali ako narod jednoga dana bude to htio, mi mu nećemo stajati na putu – zaključuju Stojković i Rojnić.




(Ovaj tekst na srpskohrvatskom: 

A proposito delle battaglie del fronte dello Srem, dove tra gli altri morirono numerosissimi partigiani italiani confluiti nell'Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia il cui sacrificio è oggi disconosciuto in Italia, si veda anche: https://www.cnj.it/PARTIGIANI/monumenti/sremskifront.htm )



La memoria del Fronte dello Srem (Sremski front) 1944 - 1945


Il Fronte dello Srem è il tema anti-partigiano prediletto dei sostenitori delle parti perdenti, del Regno di Jugoslavia e della Serbia di Nedić, che fallirono totalmente nella guerra contro il fascismo nel periodo '41 – '45: gli uni si erano messi al servizio degli occupatori, gli altri fuggirono dal paese sotto la tutela degli Alleati (USA, Inghilterra) e attesero che questi gli portassero la libertà su d'un piatto d'argento. Nel 1943 gli Alleati se ne sbarazzarono, considerandoli scansafatiche, e tesero la mano in sostegno all'Esercito popolare di liberazione jugoslavo (NOVJ) e a Tito poiché erano questi quelli che facevano ciò che veniva chiesto a tutti i popoli in quel periodo: combattere con le armi contro Hitler. I cetnitzi - ladri di uova, da quel momento furono cancellati dalle liste alleate dei combattenti contro il fascismo. Purtroppo, questa storia si ripete oggi in Serbia, perché il suo Governo è in attesa di qualcuno che gli porti il Kosovo libero sul vassoio d'argento!

Nella scia del tradimento e della vigliaccheria, lo scolaretto londinese, lo storico Cedomir Antic, sul quotidiano "Politika" si è recentemente soffermato in modo poco civile in merito alla Lotta popolare di liberazione (NOB), mettendo in discussione la necessità e l'importanza delle nostre battaglie sulla Neretva e la Sutjeska e sul Fronte dello Srem per la causa degli Alleati, nonché della Lotta popolare di liberazione in generale. Il quesito se queste battaglie siano state importanti per gli Alleati, e quanto, non è il tema che ci riguarda. Noi non le abbiamo mai particolarmente sopravvalutate nè accentuate. Sappiamo solo che combattevamo per un mondo migliore - un mondo senza fascisti, mentre quelle erano innanzitutto le nostre battaglie per la nostra libertà e per una vita migliore dopo la guerra. Loro invece, questi personaggi come lo storico Antic, ancora giocherellano sul problema del Kosovo, lasciandolo alla mercè delle grandi potenze, con l'argomentazione che noi non possiamo fare niente per esso, dato che siamo un paese piccolino. Essi dimostrano così solamente di essere loro stessi piccoli e piccini, proprio come lo erano allo scoppio di guerra nel 1941!

Ci sono anche certi "storici e pubblicisti" che considerano il Fronte dello Srem - parte del più vasto fronte alleato contro la Germania di Hitler - come un fronte nostro autonomo, inutile, che avremmo dovuto lasciare all'esercito russo. Eppure, dicono, Tito e il Partito Comunista erano desiderosi di fama mondiale, Tito era un croato e come tale ha voluto che sul Fronte dello Srem "cadesse il più alto numero possibile di giovani serbi"! Naturalmente, questa è follia. Tito, il Partito comunista jugoslavo ed i partigiani, in quell'epoca erano già entrati nella storia della libertà ed erano ormai diventati leggenda. Questi "storici" sostengono quest'ultima tesi sul sacrificio dei giovani Serbi con il "fatto" che l'80% dei combattenti dell'Esercito di Liberazione della Jugoslavia nella provincia dello Srem, di cui la maggior parte Serbi, erano stati poco addestrati per la guerra e perciò morivano in tanti, e aggiungono che così fu durante tutta la Guerra di liberazione (NOR).

Come combattente sul Fronte di Srem, volontario diciassettenne, inquadrato nel plotone mitragliatori del 3. battaglione della 10. brigata della Krajina della 5. divisione (il mio fratello maggiore Živojin nel contempo era combattente mitragliatore nella 4. brigata della Krajina), mi è ben chiaro che tutte queste sono menzogne. In primo luogo, come giovani resistenti contro gli occupatori, sapevamo già qualcosa della guerra dalle nostre operazioni clandestine, e in secondo luogo il nostro addestramento era un impegno fondamentale del comando e degli ufficiali. Con passione abbiamo lavorato, prima di andare al fronte, sull'addestramento con armamenti nuovi, ricevuti dall'Esercito Sovietico (gli automatici Shpagin, mitragliatrici e fucili Maxim, e il fucile anti-carro Simonova). Questo addestramento si svolgeva ininterrottamente nel corso del consolidamento e delle operazioni di combattimento al fronte così come durante i periodi di riposo nelle retrovie. Sulle pianure della provincia dello Srem noi diventavamo guerrieri esperti. Non eravamo carne da cannone, e neanche ragazzi immaturi e adolescenziali, bensì consapevoli combattenti: abbiamo sfondato il Fronte dello Srem, uccidendo tedeschi, ustascia, cetnitzi di Draza Mihajlovic, guardie bianche, balisti, ed infine abbiamo circondato e catturato, in Slovenia, i resti di quello che un tempo era il possente Gruppo E delle armate da mezzo milione di uomini, assieme con il loro comandante generale Lehr che, dopo averlo condannato a morte, fucilammo a Belgrado il 16.02.1947. Questi ragazzi hanno vinto la Guerra popolare per la liberazione (NOR) nel 1941-1945 facendosi carico sulle proprie spalle di tutto il rinnovamento postbellico del paese e della sua ricostruzione. E non soltanto i ragazzi, ma anche le ragazze, sebbene fragili e giovani, furono orgogliose partecipanti in quella crudele e gloriosa lotta per libertà e per un mondo migliore.

Noi eravamo fieri di avere partecipato al Fronte dello Srem - la più grande battaglia della liberazione e la più grande vittoria del nostro esercito nella Seconda Guerra mondiale. E' stata una battaglia non solo per la libertà, ma anche una battaglia per un mondo più umano e la democrazia di cui godono o potranno godere tutti i bambini nel nostro paese e nel mondo. Noi non ci eravamo arruolati nella lotta per Tito, ma per la causa del comunismo!

Per un gran numero di giovani serbi e serbe, il Fronte dello Srem è stato il loro "1941", l'opportunità di dare un personale contributo alla liberazione della patria e alla creazione di una nuova società. Tutti siamo voluti diventare partigiani, e mentre nel 1944 partivamo da Belgrado liberata, comunicavamo alle madri e ai padri: "Andiamo a Berlino." Questi erano i nostri sogni, come il comunismo davanti a noi. Questa era la maniera in cui in quell'epoca noi concepivamo la difesa della patria. Nessuno ci ha obbligato ad andare al fronte, al macello, come ora scrivono alcune menti squilibrate. Alcuni ci andavano per precetto, da mobilitati, altri da volontari. Appartengo a questi ultimi e nel mio plotone perlopiù eravamo tali. Ho ascoltato con gioia in questi giorni Svetozar Gligoric, combattente dal 1943, il quale, dopo aver combattuto in Montenegro nel 1944, ha chiesto e ottenuto il permesso di andare sul Fronte dello Srem - come ha detto lui, famosissimo giocatore di scacchi: ero un po' in ritardo con il mio arruolamento nei partigiani.

Il Fronte dello Srem si presentava come l'ultima opportunità per i seguaci dello slogan dei cetnitzi: "Aspettiamo, non è giunta l'ora"; perciò molti di loro a quel punto hanno preso parte ai combattimenti. Ci sono anche stati latitanti, disertori, come lo scrittore Borislav Mihiz Mihailovic, che si è vantato pubblicamente di avere schivato la mobilitazione andando a nascondersi da qualche parte intorno a Smederevo fino alla fine della guerra, e purtroppo non era piccolo il numero di coloro che legarono il loro destino al Gruppo E delle armate hitleriane.

Come in ogni guerra, anche sullo Srem fu difficile e pericoloso per la vita e la salute. Ma fu molto più facile che nei combattimenti precedenti dell'Esercito e delle formazioni popolari jugoslave (NOV e POJ). Eravamo giovani e in grado di combattere, bene armati, e facevamo parte di un fronte alleato che si estendeva dall'Italia al Nord Europa. Ci guidavano comandanti esperti. Nelle trincee ci arrivavano perfino i giornali, le lettere da casa, e le unità di solito dopo dieci giorni al fronte venivano ritirate nelle retrovie per un breve riposo, per farsi il bagno, la disinfezione dei vecchi indumenti o la assegnazione di indumenti nuovi, per l'addestramento supplementare, e così via.

La pianura della provincia dello Srem era la nostra retrovia. Il popolo dello Srem, da sempre insurrezionale, ci aveva preso sotto la sua protezione come loro figli e figlie, aprendoci le sue abitazioni e condividendo con noi tutto ciò di cui disponeva in quei giorni difficili. Alloggiavamo in quelle abitazioni dopo i turni del fronte, per il riposo e il ristoro in vista dei successivi combattimenti. Durante le riunioni analizzavamo le ultime battaglie, lodavamo e criticavamo, sempre in attesa di tornare nuovamente alle postazioni. Preparavamo i nostri giornali murali descrivendo gli eventi, incollavamo foto e disegni dei nostri eroi, alfabetizzavamo gli analfabeti, assistevamo ai discorsi dei nostri commissari politici, dai pochi apparecchi radio disponibili ascoltavamo i notiziari, scrivevamo lettere a casa. Molti di noi, in quelle case dello Srem, sono diventati membri della Lega della gioventù comunista di Jugoslavia (SKOJ) e del Partito comunista jugoslavo (KPJ) - come me per esempio, a Šarengrad nel febbraio 1945.

Queste stanze fungevano da nostre camere da letto, da cucine, bagni, infermerie ed ospedali, officine per la riparazione delle armi, sale per la visita dei genitori e dei parenti che venivano a trovarci essendosi dapprima informati sulla nostra ubicazione attraverso canali noti soltanto a loro, portandoci doni semplici - i calzini, solitamente di lana, e i guanti, le torte fatte in casa e qualche pezzo di carne secca, o di pancetta.

Siccome io fui gravemente ferito durante la battaglia dello Srem, posso porre in rilievo l'ottimo servizio sanitario sul fronte: l'impegno dei medici e degli infermieri partigiani, i treni sanitari sovietici e gli ospedali mobili, e sopratutto la cura e l'attenzione della nostra gente nei villaggi e nelle città delle retrovie, dove di solito i feriti gravi venivano evacuati. "Tutto per il fronte, tutto per la vittoria" fu la parola d'ordine fino alla fine della guerra. Oggi questa potrebbe essere: "Tutto per il Kosovo, tutto per la vittoria." Ma ragazzi impazienti di entrare nelle file partigiane oggi non ce ne sono! Oggi si celebrano e si da amnistia ai fuggitivi e ai disertori di allora, alle personalità egoistiche, che non hanno obbiettivi di umanità nella loro vita!

Quella cura e l'attenzione da parte dei militari, del governo e della gente, era presente anche nei confronti dei caduti e loro familiari. Le maggiori perdite furono durante lo sfondamento del fronte. Nella 1. Armata caddero in 1400 nostri amici e amiche, e 4500 furono feriti. Senza il loro sacrificio e quello di 300.000 soldati, caduti dell'Esercito e delle formazioni popolari di liberazione, nella futura RFS di Jugoslavia non ci sarebbe stata alcuna libertà né una vita migliore.

Mi sembra che non esista peccato più grande del disprezzare la morte dei combattenti per la libertà, e addirittura per scopi politici. L'epopea del Fronte dello Srem è una delle fonti cristalline dei sentimenti profondi, umani e nazionali, del popolo serbo, e così sarà per sempre. Ne sono convinto!


Stevan Mirkovic, generale dell'esercito in pensione e Presidente del Centro Tito