Informazione


----Messaggio originale----
Da: nuovaalabarda  @...
Data: 30/04/2010 16.22

Vi comunico che è stato inserito  l'articolo sul nuovo libro di Raoul Pupo (Trieste '45, edito da Laterza) all'indirizzo 
 
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-la_storia_secondo_raoul_pupo..php
 
buona lettura!
Claudia Cernigoi
---

La Storia Secondo Raoul Pupo.

IN MARGINE ALLA PRESENTAZIONE DI “TRIESTE ‘45” DI RAOUL PUPO, 21 APRILE 2010.

Lo storico Raoul Pupo ha recentemente pubblicato un nuovo libro “Trieste ‘45” (Laterza 2010), nel quale fa una ricostruzione degli eventi storici che interessarono Trieste e la Venezia Giulia alla fine del secondo conflitto mondiale. Questo libro è stato presentato a Trieste il 21 aprile scorso, nella prestigiosa sede dell’Aula magna della Scuola per interpreti, già sede dell’hotel Balkan che era stato dato alle fiamme dallo squadrismo fascista nel 1920. Relatori gli storici Roberto Spazzali e Marta Verginella.
Non vogliamo entrare nel merito di tutto il libro ma fare solo un paio di osservazioni.
Osserviamo innanzitutto che il testo di Pupo non è tanto un’analisi di fatti storici quanto una serie di interpretazioni politiche degli avvenimenti. Di conseguenza quanto scritto dallo studioso è in partenza influenzato dalle posizioni politiche dello stesso: essendo egli anticomunista ed antijugoslavo le sue analisi non possono prescindere dal suo modo di rapportarsi. Così la sua affermazione che la realizzazione della Jugoslavia di Tito è giunta “dopo una guerra civile ad altissima intensità” ed una “rivoluzione di tipo bolscevico” (pag. 330), che non trova giustificazione storica, può essere compresa solo considerando la posizione politica di Pupo. Ricordiamo che la lotta di liberazione della Jugoslavia era stata motivata dall’occupazione italo-germanica di quel paese; nell’ambito di questa lotta di liberazione la componente più forte, che ebbe poi anche l’appoggio degli Alleati, era quella che faceva capo a Tito. Pur consapevoli che non è con i se che si fa la storia, possiamo ipotizzare che senza l’occupazione nazifascista difficilmente la componente comunista avrebbe iniziato una lotta armata e provocato una guerra civile per prendere il potere.
Per quanto concerne la questione degli arresti operati dalle autorità jugoslave alla fine della guerra (in questo testo finalmente Pupo non parla genericamente di “foibe” ma specifica che si trattò di “arresti”) lo storico fa un’affermazione quantomeno singolare: non sarebbe degno di interesse tanto il numero dei morti “ovviamente sconosciuto”, quanto la mole di arresti (pag. 230).
A prescindere dal fatto che il numero dei morti “ovviamente” non è sconosciuto (quantomeno non a Trieste, Gorizia, Fiume, per le quali città sono stati condotti degli studi discretamente precisi sulla base dei registri anagrafici), l’insistere nel voler quantificare il problema sul numero degli arresti è del tutto fuorviante, se non si prosegue il discorso precisando quanti furono rilasciati già nell’immediato.
In concreto: come sempre quando un esercito prende il controllo di un territorio già in mano al nemico, tutti i militari e le forze armate sconfitte vengono tratti in arresto. Così è accaduto anche a Trieste nel maggio 1945: ad esempio è vero che tutti i membri della Guardia civica reperibili sono stati arrestati e trattenuti per un paio di giorni dall’esercito jugoslavo: ma è anche vero che dopo alcuni sommari controlli furono rilasciati tutti coloro per i quali non c’erano accuse specifiche di comportamenti criminali. Se consideriamo che le fonti alleate parlarono di diverse migliaia di arresti a Trieste nei primi giorni di maggio, e che in concreto da tutta la provincia furono 500 coloro che non fecero ritorno (sono comprese in questo numero anche le vittime di regolamenti di conti e vendette personali, quindi non imputabili alle autorità jugoslave), la valutazione di Pupo è decisamente fuorviante per la comprensione degli eventi.
Anche in un altro punto la visione politica nuoce alla ricostruzione storica: quando Pupo sostiene che la repressione jugoslava colpì tutti coloro che non volevano collaborare con l’esercito del nascente stato jugoslavo. L’autore non considera che l’esercito jugoslavo, essendo uno degli eserciti alleati contro l’Asse (l’Italia era solo “cobelligerante”, ricordiamo), aveva tutto il diritto, sancito dalle regole dell’armistizio firmato dall’Italia, di chiedere “collaborazione” (nel senso che dovevano porsi a loro disposizione) alle forze armate presenti sul territorio dove arrivavano. A Trieste il CVL (che già era uscito dal CLN Alta Italia perché si rifiutava di collaborare con la resistenza jugoslava: e qui va ribadito un concetto che spesso viene presentato capovolto: quando si dice che a Trieste il Partito comunista non faceva parte del CLN, bisognerebbe specificare che era stato per primo il CLN triestino a porsi fuori dal CLNAI che aveva dato come direttiva quella di allearsi con gli Jugoslavi, e per questo il PC triestino, che lavorava assieme al Fronte di Liberazione – Osvobodilna Fronta non faceva parte del CLN), forse per un malinteso senso di patriottismo, o forse per altri motivi, non volle consegnare le armi all’esercito jugoslavo, così come le guardie di finanza (incorporate all’ultimo momento nel CVL) in alcuni casi non si misero a disposizione degli jugoslavi o addirittura spararono loro contro, probabilmente perché ordini sbagliati erano stati loro impartiti dall’alto (e qui potremmo aprire tutta una lunga dissertazione sul “piano Graziani” che teorizzava le provocazioni contro gli Alleati in modo da creare disordini ed incidenti).
Nella fattispecie il gruppo di guardie di finanza della caserma di Campo Marzio, invece di combattere a fianco della IV Armata jugoslava scesa in città, si mise a sparare contro di essa assieme ai militari germanici, che erano accasermati nello stesso edificio. Di conseguenza un’ottantina di finanzieri furono arrestati ed internati nei campi di prigionia (secondo un documento citato, ma non reso pubblico, da Giorgio Rustia in una lettera pubblicata su “Trieste Oggi” il 25/4/01, 77 di questi sarebbero stati uccisi a Roditti presso Divaccia, a pochi chilometri da Trieste). Ricordando che era compito della brigata Timavo del CVL (per la precisione del battaglione agli ordini del tenente colonnello Domenico Lucente, come leggiamo ne “I cattolici triestini nella Resistenza”, Del Bianco 1960) prendere il controllo della caserma di Campo Marzio, quindi possiamo anche domandarci quale responsabilità ebbero in questi incidenti i dirigenti del CVL, che evidentemente non avevano informato esattamente i finanzieri in merito agli accordi presi.
A proposito di questo episodio, dobbiamo anche citare quanto scrive lo storico Roberto Spazzali (che è stato tra i relatori del lavoro di Pupo il 21/4/10), e cioè che la sera del 30 aprile “quando a Trieste non erano ancora entrate le truppe jugoslave”, Vasco Guardiani (all’epoca impiegato ai Cantieri, organizzatore della brigata Frausin del CVL, ma successivamente anche “gladiatore”), che si trovava nella Curia per parlare col Vescovo, vide passare i finanzieri “prelevati dalla caserma di Campo Marzio, scortati da operai dei Cantieri navali” (in “…l’Italia chiamò”, LEG 2003). E ricordiamo qui che nei “diari” del CVL si legge che ai Cantieri si sarebbero “insinuati” membri delle brigate Venezia Giulia e Frausin.
Dunque se Spazzali ha riportato (ritenendo quindi attendibile) quest’altra versione dell’arresto dei finanzieri di Campo Marzio, perché non ne ha parlato nel corso del dibattito sul nuovo testo di Pupo?
In conclusione di questo discorso, e senza entrare nel merito di quanto avvenuto, consideriamo che si era alla fine di un conflitto mondiale dove sostanzialmente i combattenti erano divisi in due gruppi: quelli che combattevano con l’Asse e quelli che combattevano con gli Alleati. Se all’arrivo di un esercito alleato alcuni armati non si ponevano a loro disposizione, venivano logicamente considerati come “nemici”, con le conseguenze del caso, e ciò vale sia per chi non si consegnava agli angloamericani che per chi non si consegnava agli jugoslavi.
Prendere atto di ciò significa valutare i fatti storici e non “ragionare come nel 1945” quando si eliminava tutti coloro con cui non ci si trovava d’accordo, accusa che Pupo ha mosso alla ricercatrice storica Claudia Cernigoi che aveva fatto queste obiezioni nel corso del dibattito: un’affermazione questa di Pupo piuttosto pesante ed offensiva, oltre che fuori luogo nell’ambito di un dibattito storico.
L’altro punto su cui non concordiamo con le tesi di Pupo è la sua ricostruzione di quanto sarebbe avvenuto presso la “foiba” di Basovizza. Nel suo libro fa dapprima un paio di accenni a possibili infoibamenti nel pozzo della miniera: a pag 24, quando parla della fucilazione di Gaetano Collotti (il commissario dell\'Ispettorato Speciale di PS, corpo speciale di repressione antipartigiana i cui metodi di lavoro erano la tortura sistematica, l\'eliminazione sbrigativa degli arrestati ed il saccheggio delle abitazioni rastrellate) a Carbonera scrive che “la stessa sorte” toccò a “molti suoi collaboratori caduti in mano jugoslava” che “finirono con tutta probabilità nel pozzo della miniera di Basovizza”; ed ancora a pag. 222 parla di “fucilazioni di massa a Basovizza”, quasi a voler preparare psicologicamente il lettore al successivo capitolo nel quale cerca di dimostrare che a Basovizza sarebbero stati uccisi “circa 200 questurini” (come detto nel corso della presentazione del libro). 
A pag. 246 inizia il capitolo su Basovizza (introdotto dalla preghiera scritta da monsignor Santin per gli “infoibati”) e, dopo avere narrato la vicenda degli antifascisti fucilati nel 1930 a Basovizza (su questo fatto vi rinviamo all’articolo “Martiri di Basovizza” http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-martiri_di_basovizza.php), Pupo riprende in mano l’ormai più che noto documento anonimo (la firma Source che significa semplicemente Fonte non permette di identificare il redattore del rapporto) che riporta le presunte dichiarazioni di due sacerdoti (don Virgil Šček e don Francesco Malalan). Sull’attendibilità di questo rapporto scrive: “qualche interprete ha osservato che in realtà i due preti non hanno assistito de visu alle uccisioni: l’osservazione è pertinente, ma il ruolo dei due sacerdoti nella comunità locale e nel movimento di liberazione li rende portavoce attendibili di un sapere comune. Il rapporto dunque è preciso e circostanziato. Ha un solo difetto: è un resoconto di seconda mano proveniente da una fonte coperta. Prima di accettarlo ben sarebbe poterlo incrociare con altre fonti di provenienza diversa”.
Tralasciando che “qualche interprete” sarebbe Claudia Cernigoi (i cui studi Pupo peraltro non considera), vediamo ora le “fonti” di “diversa” provenienza “incrociati” dallo storico.
Il primo è un rapporto dell’Ozna, datato 3/9/45, che riferisce delle ispezioni condotte dagli angloamericani nel pozzo della miniera. In tale rapporto, cita Pupo, si parla di “circa 250 kg cadaveri in putrefazione”.
Noi osserviamo che 250 chili di resti umani possono rappresentare al massimo “una decina di corpi smembrati”, come scriveva quel rapporto “segreto” dei servizi alleati pubblicati sul “Piccolo” del 31/1/1995, e non i 200 questurini di Pupo: ma quando Cernigoi ha fatto presente un tanto nel corso della presentazione di “Trieste ‘45”, si è sentita rispondere “lo sapevo io che si finiva a parlare di ossa e cadaveri”, come se nel corso di un dibattito storico nel quale si parla di eccidi parlare di cadaveri fosse andare fuori tema o, peggio, come asserito dallo storico, non “rispettare la memoria” di chi ha avuto un parente “infoibato”.
A prescindere dal fatto che parlare di storia è una cosa, trarre giudizi morali e rispettare le memorie è altro, quello che sarebbe utile chiarire, a questo punto, è se si rispetta di più la memoria dei morti dicendo (a sproposito) che 250 chili di resti umani rappresentano la prova che 200 questurini sono stati infoibati o evidenziando l’incongruità dell’affermazione.
La seconda “fonte” citata da Pupo è una frase tratta dai diari di don Šček: parla dei “questurini da Trieste trasportati a Basovizza” che “alla sera li fucilarono e li gettarono nelle grotte”. 
Considerando, come ha fatto Pupo, che don Šček era un “leader carismatico rispettato dai partigiani” e quindi un “testimone autorevole”, viene da pensare che se avesse saputo che i “questurini” erano stati gettati nella foiba di Basovizza avrebbe parlato di “pozzo della miniera”, al singolare, e non di “grotte”: per cui non ci sentiamo di condividere la conclusione cui arriva Pupo che uno storico “puntiglioso può ritenere che molto probabilmente i fatti si sono svolti come abbiamo detto”. Infine, come dato essenziale, va detto che i questurini di Trieste “scomparsi” nei “40 giorni” non erano 200 ma un centinaio, e della maggior parte di essi si sa dove e come sono morti, sicuramente non a Basovizza.
Rileviamo a questo punto che lo storico Pupo non ha “incrociato” nessun altro documento, non ha ad esempio preso in minima considerazione la mole di verbali ed atti che un altro storico triestino, Gorazd Bajc ha trovato negli archivi di Washington e che sono stati presentati nel settembre scorso nella stessa Aula magna, alla presenza dello storico Spazzali. Questi documenti, che dimostrano in modo piuttosto esplicito che da Basovizza non furono recuperati che corpi di militari tedeschi, non sembrano esistere per Raoul Pupo.
La conclusione del capitolo su Basovizza è comunque un’altra: “non abbiamo certezze ma può essere che nel pozzo della miniera si trovino membri dell’Ispettorato”, il che porta Pupo a fare un paragone (a nostro parere aberrante) tra i due luoghi della memoria di Basovizza: sui fucilati di Basovizza aleggia il sospetto del terrorismo, sugli infoibati di Basovizza il sospetto che vi siano i torturatori dell’Ispettorato Speciale di PS.
Una valutazione del genere richiederebbe come risposta uno studio di diverse pagine: per motivi di spazio ci limitiamo per ora a dire che secondo noi non è così che si scrive la storia. 

aprile 2010


Nel trentennale della morte di Tito, una galleria fotografica alla
pagina: https://www.cnj.it/AMICIZIA/titovasmrt.htm


http://glassrbije.org/index.php?option=com_content&task=view&id=59391&Itemid=33


30 GODINA OD SMRTI JOSIPA BROZA TITA
4. maj 2010.

Polaganjem venaca i cveća, u Kući cveća i nizom drugih manifestacija
širom Srbije danas se obeležava 30. godišnjica od smrti doživotnog
predsednika Socijalističke Federativne Republike Jugoslavije Josipa
Broza Tita. Iako o njemu postoje oprečna mišljenja među
istoričarima, kult njegove ličnosti i dalje je veoma jak među
velikim brojem građana svih bivših jugoslovenskih republika a mnogi
ga i danas vide kao simbol boljeg, sigurnijeg i uređenijeg života.
Pripremila Jelena Simić.


Među jugonostalgičarima i poštovaocima Titovog lika i dela, venac na
grob svog dede položio je Titov unuk i lider Komunističke partije
Srbije Josip-Joška Broz. On je ocenio da je trenutni loš život i
sećanje na bežbrizne dane uticalo da veliki broj ljudi danas dođe u
Kuću cveća. Titova udovica, Jovanka Broz, u ranim jutarnjim satima
poslala je venac sa natpisom "Voljenom Titu - Jovanka", što radi već
petu godinu za redom. Cveće su do podneva položile brojne delegacije:
predstavnici vojske, ambasadori Gane i Kuvajta, predstavnici
Socijalističke partije Srbije, Invalidi rada iz Stare Pazove, Savez
antifašista iz Hrvatske, penzionisani gardisti koji su bili Titovo
obezbeđenje, društvo "Josip Broz Tito" iz Hrvatske, Makedonije i
Bosne i Hercegovine, predstavnici SUBNOR-a. U ime Socijalističke
partije Srbije, počast Titu su odali Žarko Obradović i Aleksandar
Antić. Zamenik predsednika SPS-a i ministar prosvete Žarko Obradović
je rekao da socijalisti pamte Josipa Broza kao državnika, koji je ime
Jugoslavije učinio poznatim i koja danas predstavlja sinonim za
državu koja je bila poštovana širom sveta. Predsednik Skupštine
grada Beograda Aleksanadar Antić smatra da je Tito bio jedan od
političara koji je ostavio značajan doprinos u novijoj političkoj
istoriji sveta, čovek koji je menjao svet oko sebe i koji zaslužuje
svo naše poštovanje.

Josip Broz Tito umro je 4. maja 1980. u Ljubljani, a njegovoj sahrani
četiri dana kasnije u Beogradu prisustvovalo je 700.000 ljudi, ali i
209 državnih delegacija iz 128 zemalja sveta. Najposećenijem pogrebu
nekog državnika u 20. veku odali su na licu mesta 31 predsednik
države, 22 premijera, četiri kralja, šest prinčeva i 11 predsednika
nacionalnih parlamenata, a u svetu tada podeljenom po hladnoratovskim
linijama, bili su državnici iz oba tabora.
Tito je rođen 7. maja 1892. u zagorskom selu Kumrovec, ali je njegov
rođendan proslavljan 25. maja kao "Dan mladosti", kada je organizovana
štafeta koja je iz ruke u ruku nošena kroz celu zemlju da bi mu bila
uručena na završnom sletu u Beogradu.
Josip Broz je tokom Drugog svetskog rata komandovao najvećim gerilskim
pokretom u porobljenoj Evropi, a o nesumnjivom vojničkom talentu
svedoči činjenica da je razradio koncepciju stvaranja partizanskih
odreda i Pokreta narodnog oslobođenja iz kojeg je 26. novembra 1942.
nastala Narodnooslobodilačka vojska Jugoslavije (NOVJ). Posle rata, u
skladu s revolucionarnim idejama, ukinuo je monarhiju i višestranački
sistem i odmah 1945. izabran za predsednika vlade i ministra odbrane,
da bi predsednik države postao 1953. Na najvišu funkciju je biran
sedam puta, a doživotni predsednik države i partije postao maja 1974.
Posle obračuna sa Staljinom, u vreme hladnog rata, Tito je na
međunarodnoj sceni pozicionirao zemlju između Istoka i Zapada, zbog
čega je od polovine pedesetih godina 20. veka, Jugoslavija decenijama
dobijala značajnu finansijsku i vojnu pomoć SAD. Kao izuzetno vešt
državnik i ideolog, Tito je u vreme liberalizacije pod vladavinom
Hruščova, ubrzo normalizovao odnose sa SSSR-om. Sa liderima Indije i
Egipta Nehruom i Naserom inicirao je osnivanje Pokreta nesvrstanih
zemalja 1961. godine u Beogradu i uspeo vrlo brzo da okupi veliki broj
država Azije, Afrike i Južne Amerike. Prema mnogim viđenjima, sa
Titovom smrću su krenuli dezintegracioni procesi u SFRJ, a u godinama
pred raspad zemlje, počele su kritike i distanciranja od njegovog lika
i dela.
Povodom 30-te godišnjice Titove smrti istoričari u Srbiji ističu da
je nesporno reč o istorijskoj ličnosti, veštom vojskovođi i
državniku. Prema njihovoj oceni, Broz je na međunarodnom planu vodio
realnu politiku i uspeo da jednoj maloj zemlji obezbedi mesto i ugled
u svetu, ali se ne može amnestirati ni od "ličnih zasluga" za propast
Jugoslavije. Istraživač Balkanološkog instituta SANU Čedomir Antić
ocenjuje da je Josip Broz, ličnost velikih političkih sposobnosti i
karijere, punih 35 godina vodio veoma složenu državu u izuzetno
teškim okolnostima. “On je za života hteo da očuva jedinstvenu
Jugoslaviju, ali njegovo nasleđe to nije omogućilo", rekao je Antić.
Profesor istorije Jugoslavije na beogradskom Filozofskom fakultetu
Ljubomir Dimić smatra da je Broz imao veći značaj kao političar i
državnik na svetskoj, nego na domaćoj sceni. On je objasnio da je
Tito, kao vođa Narodnooslobodilačke borbe već u susretima sa
liderima Velike Britanije i SSSR-a, Čerčilom i Staljinom, shvatio
šta je realna politika i zato mu pripada zasluga što je jugoslovenska
revolucija priznata još pre kraja Drugog svetskog rata. Srpski
istoričari su saglasni i da je jugoslovensku krizu generisalo i
razvlašćivanje federacije, koje je vodilo jačanju nacionalizma u
republikama, u čemu Broz takođe ima posredne i neposredne zasluge. To
je dovelo do učvršćivanja republičkih elita koje započinju svađe
oko plana, dohotka, ulaganja, pomoći nerazvijenima, a sporenja s
godinama eskaliraju i vode krvavom raspadu početkom devedesetih.
Jugoslavija se suštinski raspala mnogo ranije nego što se misli, već
70-tih, a ono što je usledilo krajem 80-tih godina, samo je epilog,
ocenio je Predrag J. Marković iz Instituta za savremenu istoriju.
Tri decenije posle Titove smrti i 20 godina nakon početka krvavog
sloma "Titove Jugoslavije", sećanja na visok životni standard,
uređenost i bezbednost u toj zemlji veoma su jaka, naročito u
okolnostima tranzicije i dugogodišnje opšte krize, lik predsednika
SFRJ je ponovo u žiži, a Kuća cveća je u poslednjih 10 godina sve
popularnije odredište za turiste iz sveta i regiona. Kroz Kuću
cveća, u sklopu Muzeja istorije Jugoslavije, prošlo je oko 17 miliona
ljudi, počev od 1980. godine. Poseta se u devedesetim značajno
smanjila, a u prethodnoj deceniji je opet počela da raste. Prema
rečima zaposlenih u muzejskoj upravi, u Kuću cveća 4. i 25. maja
dolaze ljudi iz čitave bivše Jugoslavije, a među njima je i sve
više mladih, koji nisu bili rođeni kada je Tito bio živ.
Muzej istorije Jugoslavije je u poslednje dve godine organizovao
nekoliko vrednih izložbi koje ilustruju značaj i hobije pokojnog
predsednika SFRJ. "Tito je ostvario san svakog apsolutni vladara - da
bude hvaljen i slavljen za života i poštovan posle smrti. Njegova
popularnost velika je i danas, 30 godina posle smrti, ocenjuje Momo
Cvijović, dugogodišnji kustos muzeja. Nekada su se na danasnji dan, u
15.05, kada je umro Josip Broz Tito, oglašavale sirene i tada bi
čitava Jugosalavija na minut stajala mirno i tako odavala počast
"doživotnom predsedniku Socijalističke Federatvine Republike
Jugoslavije".



IO STO CON EMERGENCY

Attenzione al cambio di appuntamento: diversamente da quanto precedentemente comunicato la manifestazione si terrà in Piazza San Giovanni

SABATO 17 - ore 14,30
Appuntamento in Piazza San Giovanni ROMA

Sabato 10 aprile militari afgani e della coalizione internazionale hanno attaccato il Centro chirurgico di Emergency a Lashkar-gah e portato via membri dello staff nazionale e internazionale. Tra questi ci sono tre cittadini italiani: Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani.

Emergency è indipendente e neutrale. Dal 1999 a oggi EMERGENCY ha curato gratuitamente oltre 2.500.000 cittadini afgani e costruito tre ospedali, un centro di maternità e una rete di 28 posti di primo soccorso.

---

Inizio messaggio inoltrato:

Da: "disarmiamoli.org" <info @ disarmiamoli.org>
Data: 15 aprile 2010 9:07:25 GMT+02:00
Oggetto: Stiamo con Emergency non con i Lotti - zzati
Rispondi a: "disarmiamoli.org" <info @ disarmiamoli.org>

Riceviamo e volentieri giriamo

www.disarmiamoli.org


Stiamo con Emergency non con i Lotti-zzati

DA PARTE DI ASSOCIAZIONE CHICO MENDES

E' notevole come Flavio Lotti, "trombato" alle scorse europee,
ritornato quindi per conto del PD alla sua tradizionale poltroncina
della "Tavola", in un "appello per la pace" oggi riesca a totalmente a
dimenticare, da burocratino impenitente ed ipocrita, l'Italia e il
mondo in cui viviamo.

Del resto non sarebbe novitą: nel 1999, solo per fare un esempio,
accolse con tutti gli onori D'Alema grondante fresco fresco dei
sanguinosi bombardamenti umanitari nell'ex Jugoslavia.
La "cultura della pace" comincia con un non fare che in realtą è un
gran darsi da fare: togliere concretamente collaborazione alle
dinamiche di guerra e di violenza.
Ma per potere non collaborare con la violenza, il male e
l'ingiustizia, per prima cosa occorre individuarli, riconoscerli e
nominarli, con intransigente spirito di ricerca della verità.
Tacere sui fatti che concretamente preparano e creano la guerra 
è da sepolcri imbiancati. E' da Lotti-zzati.
Ecco, allora, dei fatti che dovremmo ricordare e additare come
terreno di iniziativa e conflitto da parte di chi realmente intendesse
costruire percorsi di pace:
- il no al livello delle spese militari come insostenibile, il no
all'export bellico, il no alla partecipazione alle guerre nel medio
oriente allargato (spacciate per "missioni di pace"), la conversione
civile di bilanci e produzioni belliche, i soldi buttati nel modello
offensivo di Forze Armate recuperati al reddito di cittadinanza per
tutti;

- il no al rilancio del nucleare civile, la denuclearizzazione civile
e militare, lo scioglimento della NATO come organizzazione militare, il
si alle risorse che, dirottate dal nucleare alle rinnovabili,
risolverebbero il problema della disoccupazione in Italia;

- il no alla chiusura delle frontiere, il no alle guerre interne tra
poveri, il no al territorialismo difensivo, il riconoscimento che "la
Terra l'abbiamo presa in prestito dai nostri figli" ma anche che "il
territorio lo custodiamo in nome dell'umanitą tutta".
E ci fermiamo per adesso qui.

La Perugia-Assisi andrebbe disertata da tutte le persone con un
minimo di cervello e di coerenza. A cominciare dagli educatori che
possono animare i ragazzi solo se sono portatori essi stessi di un
vissuto di dignitosa obiezione e disobbedienza.

Ancora meglio se si volesse seguire, in forma collettiva, l'esempio
isolato e profetico di Pierluigi Ontanetti, che fece l'Assisi-Perugia
con l'unica compagnia di sè stesso: organizzare una
contromanifestazione che almeno non sputi, nel suo intimo spirito,
sulla memoria di Aldo Capitini.

Partecipare oggi tanto per vedere l'effetto che fa alla Jovanotti dei
tempi d'oro (è qui la festa?) č da irresponsabili privi di spina
dorsale morale.
E' inutile, cari pacifinti, che mostriate di fare gli offesi: in cuor
vostro lo sapete che scherzate, che non fate sul serio, che non
meritate di essere presi sul serio.

In mancanza di meglio, la Perugia-Assisi è sabato, alla
manifestazione "IO STO CON EMERGENCY".
Gino Strada avrą tutti i suoi limiti, sarą scorbutico ed antipatico,
ma ha il pregio di essere coerente testimone di verità scomode in
Afghanistan e di portare un contributo costruttivo non a chiacchiere,
ma esercitando la sua competenza, il suo lavoro, nelle zone calde, a
rischio della pelle.




Sono online sul sito del G.A.MA.DI.

1) Inserto Jugoslavia per La Voce di aprile 2010
2) Video della trasmissione UN DILUVIO DI BOMBE SULLA JUGOSLAVIA


1) Il G.A.MA.DI. in collaborazione con CNJ-onlus pubblica un inserto mensile dedicato alla Jugoslavia all'interno del proprio periodico "La Voce".

E' ora in internet La Voce di APRILE 2010:
http://www.gamadila voce.it/lavoce/ 2010/aprile/ Madre/1.html

All'interno si trova come al solito l'inserto Jugoslavia:
http://www.gamadila voce.it/lavoce/ 2010/aprile/ Jugoslavia/ 21.html

Chiunque volesse segnalare errori o disguidi o formulare suggerimenti
può contattare il webmaster Roberto al suo email: r.gessi @ tiscali. it .

I numeri precedenti sono linkati anche alla nostra pagina http://www.cnj. it/informazione. htm


2) Sabato 27/3/2010 alle ore 22 è andata in onda la consueta trasmissione del G.A.MA.DI. su TeleAmbiente (canale 68 nel centro Italia) e reti consociate. In questa occasione il tema della trasmissione era:

24 marzo 1999: UN DILUVIO DI BOMBE SULLA JUGOSLAVIA

Con Ivan Pavicevac
In studio Miriam Pellegrini Ferri

La trasmissione è adesso visionabile nell'archivio online: 

Sono stati usati stralci dai video 
- di R. Jacona: "Kosovo, 9 anni dopo"
- "Depleted uranium in NATO bombs remain deadly", per gentile concessione di VJMovement / www.vjmovement. com.

(english / italiano)

Afghanistan, narcotrafficanti sotto contratto Nato?

1) Impresa privata tedesco-albanese che da anni fornisce servizi logistici alle basi Isaf in Afghanistan, sospettata di traffico internazionale di eroina (E. Piovesana)

2) Love and loyalty: Bundeswehr in Afghanistan (Natalia Meden)
... The company’s very name, Ecolog, dates back to 1999 and is related to the war on Yugoslavia. At that time the enterprising Nazif Destani of Pristina offered clothes laundering to the German military in Kosovo. ... The Destani family - a Kosovo Albanian clan - hails from the small town of Tetovo, in the northwest of Macedonia, near the Kosovo border... 



=== 1 ===


24/03/2010

Impresa privata tedesco-albanese che da anni fornisce servizi logistici alle basi Isaf in Afghanistan, sospettata di traffico internazionale di eroina

In Germania è scoppiato uno scandalo - subito silenziato - che rafforza i sempre più diffusi sospetti sul coinvolgimento delle forze d'occupazione occidentali in Afghanistan nel traffico internazionale di eroina - di cui questo paese è diventato, dopo l'invasione del 2001, il principale produttore globale.

Ecolog, servizi alle basi Nato e traffico di eroina. Un servizio mandato in onda a fine febbraio dalla radio-televisione pubblica tedesca Norddeutsche Rundfunk (Ndr) ha rivelato che la Nato e il ministero della Difesa di Berlino stanno investigando sulle presunte attività illecite della Ecolog: multinazionale tedesca di proprietà di una potente famiglia albanese macedone - i Destani, di Tetovo - che dal 2003 opera in Afghanistan sotto contratto Nato, fornendo servizi logistici alle basi militari Isaf dei diversi contingenti nazionali (compreso quello italiano) e all'aeroporto militare di Kabul. E che, secondo recenti informative segrete e rapporti confidenziali ricevuti dalla stessa Nato, sarebbe coinvolta nel contrabbando internazionale di eroina dall'Afghanistan.
"C'è il rischio che sia stata contrabbandata droga, quindi valuteremo se la Ecolog è ancora un partner affidabile per noi", ha dichiarato alla Ndr il generale tedesco Egon Ramms, a capo della Nato Joint Force Command di Brussum, in Olanda. 
"Siamo al corrente della questione e stiamo investigando con le autorità competenti", ha confermato un portavoce della Difesa tedesca ai microfoni dell'emittente pubblica.

Dietro l'impresa, il clan albanese-macedone dei Destani. Il servizio della Ndr spiega che già nel 2006 e poi nel 2008, dipendenti della la Ecolog sono finiti sotto inchiesta in Germania con l'accusa di traffico di eroina - centinaia di chili - dall'Afghanistan e di riciclaggio di denaro sporco. E che nel 2002, quando la Ecolog operava in Kosovo al servizio delle basi del contingente tedesco della Kfor, i servizi segreti di Berlino avevano informato i vertici Nato che il clan Destani, strettamente legato ai gruppi armati indipendentisti albanesi (Uck e Kla), controllava ogni sorta di attività e traffico illegale attraverso il confine macedone-kosovaro: dalla droga, alle armi, al traffico di esseri umani.
La Ecolog, che ha la sua sede principale a Düsseldorf (con filiali in Macedonia, Turchia, Emirati Arabi, Kuwait, Stati Uniti e Cina) è stata fondata nel 1998, ed è oggi amministrata, dal giovane Nazif Destani, figlio del capofamiglia Lazim, già condannato a Monaco di Baviera nel 1994 per dettenzione illegali di armi e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Il 90 per cento dei quasi quattromila dipendenti della Ecolog sono albanesi macedoni.

La Ecolog smentisce e fa rimuovere il servizio giornalistico. L'esplosivo servizio della Ndrè stato subito ripreso e amplificato dai mass media tedeschi: dall'emittente nazionaleDeutsche Welle al settimanale Der Spiegel
La reazione della Ecolog è stata immediata e durissima. Thomas Wachowitz, braccio destro di Nafiz Destani, ha bollato come "assurde" e "completamente infondate" le accuse contenute nel servizio, in quanto basate su una "confusione di nomi", e ha chiesto l'intervento della magistratura. 
Il 4 marzo, il tribunale federale di Amburgo ha accolto l'esposto della Ecolog, emettendo un'ingiunzione che, senza entrare nel merito del contenuto del servizio giornalistico, impedisce all'emittente Ndr di "sollevare ulteriori sospetti" sull'azienda. La Ndr, dal canto suo, ha dichiarato di ritenere false le argomentazioni della Ecolog e ha annunciato un ricorso contro l'ingiunzione.

Enrico Piovesana


=== 2 ===

http://en.fondsk.ru/article.php?id=2845

Strategic Culture Foundation - March 12, 2010

Love and loyalty: Bundeswehr in Afghanistan

Natalia Meden


The check-up on the private company Ecolog is over in Afghanistan. The company is working for the German military in the Asian country and has been checked up on, on suspicion of involvement with the drug mafia. 

The military has decided that it will continue cooperation with the company, while the latter has admitted that the Bundeswehr is its favourite customer. That story of “love and loyalty” has laid bare a number of grave problems, attesting to the lame nature of the western coalition’s strategy for Afghanistan. 

The West’s “new” approach to Afghanistan is based on the idea that Afghanistan’s basic problem is poverty, generated by high rates of unemployment, which, among other things, prompts Afghans to grow opium poppies. Proceeds from drug trafficking are channelled into funding Taliban, therefore fighting drug trafficking will ensure a success of the antiterrorist operation in Afghanistan. 

The consequences of the fact that Afghanistan accounts for 90% of world opium production are not limited to funding militants through international drug traffic channels. Another problem is a high level of drug addicts among Afghan policemen (1). 

It is, of course, absolutely unquestionable that the drug industry is an evil that one should fight against. One way to fight that evil is to physically destroy opium poppy plantations and laboratories used to produce heroin. 

The ISAF international force in Afghanistan has repeatedly carried out raids to that end, and British Defence Secretary John Hutton said by way of summing up the results of one such operation that the drugs seized would never surface in the streets of British cities, while the drug money would never be used to fund Taliban (2). The Frankfurter Allgemeine Zeitung newspaper wrote in an article in January that [former] NATO Supreme Allied Commander Europe General John Craddock had said in a memo that drug dealers and all related drug production were lawful military objectives (3). 

US Afghan and Pakistan envoy Richard Holbrooke has a sui generis view of the Afghan drug business. The man known to have been in charge of dismembering Yugoslavia begged to differ with Russia when presenting his stand on the issue in February 2010. He said that the Russian government believed that the key to the problem was the destruction of the opium poppy, while the United States believed that this would enable Taliban to recruit peasants. 

NATO's top chiefs have recently had the private German company Ecolog audited. The fact of the auditing was reported by German General Egon Ramms, commander of NATO’s Joint Force Command in Brunssum, the Netherlands. 

It follows from the interview with the general that there had been grounds for suspecting the company of drug trafficking and concomitant activities. 

This is a grave accusation of a company that has been working in Afghanistan since 2003. The company’s clients are the German, US, British, Spanish, Croatian, Italian, Belgian, Finnish, Swedish, French, Norwegian, Estonian, Bulgarian and Turkish military contingents; the US, German and Canadian embassies in Kabul; the German Federal Bank for Innovation and Development, and the German Association for Technical Cooperation. The company is engaged in a growing business in a successful market segment, - the provision of services for the armed forces. According to the authoritative magazine of German business circles Wirtschaftswoche, in 2005 the company’s trade turnover grew by 55% as against the previous year, to reach 131 million euros (4). 

But then, reporters feel that the company had underreported its profits. Also, the company personnel have been steadily growing, and have doubled since 2006. Since the Cold War was over, many western countries have privatized certain services by withdrawing them from the competence of their respective Defence Ministries. Private companies will often furnish armed forces with supplies and take care of public services, just as “Ecolog” does. 

They will specifically engage themselves in cleaning, clothes laundering, garbage removal, the provision of mobile toilets, and also fuel and lubricants. NATO’s ground operations in different countries have prompted the order volume to grow significantly. The company’s very name, Ecolog, dates back to 1999 and is related to the war on Yugoslavia. At that time the enterprising Nazif Destani of Pristina offered clothes laundering to the German military in Kosovo. The future head of the company was just 19 years old at the time. Besides the Balkans, the company was also active in Sudan. Currently in Iraq it provides services for the US, British and Italian military, the US Marine Corps and the [American] company Kellogg Brown & Root. Ecolog has branches in Kuwait, Dubai, the USA, Lebanon and Turkey (5). 

The company was first brought into limelight by the media in March 2006, when six Ecolog staff members were taken hostage in Afghanistan, with four of them subsequently killed. 

According to press reports, at the time 1,200 staff members worked in Afghanistan of the overall personnel strength of 1,500. 90% of the personnel are Macedonians who’ve been employed under contract. 

By western standards the labour conditions are quite severe. Ecolog staff members work shifts of 3 to 4 months abroad before getting a two-week holiday at home. In Iraq they are banned from leaving US barrack compounds for security reasons and live in [small] houses, four people in a 14-square metre room. 

But despite such labour conditions, 20,000 Macedonians have applied for work with Ecolog” because staff members are paid 1,000 euros to 1,500 euros a month, or 3 to 4 times more than what the highest paid employees make in the Balkan country in question. The company was registered in Germany because this way it is easier to secure orders. The company owner Nazif Destani is a German citizen and grew up in the German state of Rhineland-Palatinate, (Rheinland-Pfalz). 

The Destani family - a Kosovo Albanian clan - hails from the small town of Tetovo, in the northwest of Macedonia, near the Kosovo border. 

According to the 2002 census, Kosovar Albanians accounted for almost 70% of the 86,000 strong population of Tetovo. According to press reports, the KFOR special services mentioned in their reports eight years ago a certain clan that was centred on criminal activities in the border area between Kosovo and Macedonia. 

But the Destanis are by no means the only Albanian clan in Macedonia. The clans are often based on a blend of political, military and financial interests. Back in 1987 Nazif’s father Lazim Destani set up a tourist company, Sharr Turist, which was actually engaged in illegally taking guest workers to Germany. In 1994 Lazim Destani got a prison term of more than two years for organizing illegal entry into Germany for his compatriots, and for firearms keeping. The German Defence Ministry feels, however, that the family story of the company personnel is irrelevant to placing orders with Ecolog. In 2008 the company fired a staff member on heroin selling charges. 

Once the auditing was over in early March, a decision was made not to discontinue contractual relations with the Ecolog company. In other words, the company has managed to purge itself of suspicions of involvement in illegal activities. But the mass media wonder why military orders are placed without holding tenders. Under the law, a tender should be held if the overall cost of an order exceeds 200,000 euros, whereas Ecolog has got orders, worth dozens of millions of euros. 50 million euros are due to be transferred to Ecolog in 2010 alone (6). Why do contracts with the company continue to be signed year in year out despite recent reports that the work it does is clearly substandard (7)? 

The question hangs in mid-air. There is obviously a huge gap in Germany between public opinion and the ruling class policy. 

According to the latest polls, 76% of Germans doubt that the military operation in Afghanistan will prove a success, while 65% are opposed to boosting the strength of the German force in the Asian country(8). 

But the German Parliament has nonetheless voted for an increase in the maximum strength of the German force from 4,485 to 5,350 servicemen in a show of greater unanimity than in voting on many other issues. The Left Party faction, traditionally opposed to Bundeswehr missions abroad, staged a protest in the voting hall and was put out on orders from the chairman. Given the situation, the Bundeswehr is obviously not interested in fouling its own nest by making the criminal aspects of the military operation in Afghanistan catch the public eye again.
___________________________ 
(1) An official statement of the UK Foreign Office, 2009 // news.bbc.co.uk/hi/russian/international/newsid 

(2) news.bbc.co.uk/hi/russian 

(3) Nato streitet über Drogenbekämpfung// Frankfurter Allgemeine Zeitung. 29.01.2010. 

(4) Latrinen putzen // Wirtschaftswoche. 28.03.2006. 

(5) According to the “Ecolog” company website www.ecolog-international.com

(6) Harald Schumacher/ Bundeswehr bleibt trotz Pannen dem Dienstleister Ecolog treu // Wirtschaftswoche. 08.03.2010 

(7) Funk Viktor. Bundeswehr ist unser liebster Kunde // Frankfurter Rundschau. 06.03.2010 

(8) The returns of a public opinion poll, conducted on January 29th 2010 // dpa.de. 
===========================
Stop NATO
http://groups.yahoo.com/group/stopnato

Blog site:
http://rickrozoff.wordpress.com/

To subscribe, send an e-mail to:
rwrozoff@...
or
Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.

Daily digest option available.
==============================





Due aggiornamenti dalla newsletter di Disarmiamoli!


Da: info  @...

Oggetto: STRATEGIE NUCLEARI USA/NATO IN UNA ITALIA "ATOMICA"

Data: 12 aprile 2010 10:06:42 GMT+02:00



La nuova roadmap nucleare americana
La strategia  del Nuclear Posture Review 2010

Tommaso Di Francesco,  Manlio Dinucci 

La roadmap della nuova strategia nucleare Usa è dunque tracciata: lo annuncia nella prefazione al Nu-clear Posture Review Report 2010 il segretario alla Difesa Robert Gates, anche lui rinnovatosi passan-do dall’amministrazione Bush a quella Obama. Che cosa è cambiato? Anzitutto la situazione interna-zionale: «L’Unione sovietica e il Patto di Varsavia sono scomparsi e tutti gli ex membri non-sovietici del Patto di Varsavia sono ora membri della Nato». La Russia «non è un nemico», ma un partner degli Stati uniti nell’affrontare «altre minacce emergenti». Il presidente Obama ha infatti chiarito che «il più immediato ed estremo pericolo è oggi il terrorismo nucleare».

 Qui niente di nuovo rispetto alla strategia dell’amministrazione Bush, che al comunismo (nemico numero uno nella guerra fredda) aveva sostituito il terrorismo, «il nemico oscuro che si nasconde negli angoli bui della Terra».  Oggi, si afferma nel rapporto del Pentagono, «Al Qaeda e i loro alleati estre-misti cercano di procurarsi armi nucleari». Quindi, «anche se la minaccia di una guerra nucleare globa-le è divenuta remota, è aumentato il rischio di attacco nucleare». Si agita così lo spettro di un 11 set-tembre nucleare, collegato all’«altra pressante minaccia»: la proliferazione nucleare. Altri paesi, so-prattutto quelli «in contrasto con gli Stati uniti», possono dotarsi di armi nucleari. Si accusa quindi l’Iran, e in subordine la Corea del nord, di perseguire ambizioni nucleari, violando il Trattato di non-proliferazione (Tnp), accrescendo l’instabilità della propria regione e spingendo i paesi limitrofi a prendere in considerazione «proprie opzioni di deterrenza nucleare»  (espressione diplomatica per giu-stificare, senza nominarlo, il fatto che Israele possiede armi nucleari e non aderisce al Tnp). 

Su questo sfondo sono chiari gli obiettivi della nuova strategia: anzitutto mantenere la supremazia nucleare statunitense, stabilendo con il nuovo Start (firmato l’8 aprile a Praga) uno status quo con la Russia, l’altra maggiore potenza nucleare. Il trattato non limita il numero delle testate nucleari operati-ve nei due arsenali, ma solo le «testate nucleari dispiegate», ossia pronte al lancio su vettori strategici con gittata superiore ai 5.500 km: il tetto viene stabilito in 1.550 per parte, ma è in realtà superiore poiché ciascun bombardiere pesante viene contato come una singola testata anche se ne trasporta venti o più.  Siamo ben lungi dal disarmo nucleare. Ciascuna delle due parti non solo manterrà pronto al lancio un numero di testate nucleari in grado di spazzare via la specie umana dalla faccia della Terra, ma potrà continuare a potenziare qualitativamente le proprie forze nucleari. 

Nel Nuclear Posture Review si precisa che gli Stati uniti, pur non sviluppando nuovi tipi di testate nucleari, rinnoveranno il proprio arsenale attraverso sostituzioni di componenti. Sarà quindi «rafforza-ta la base scientifica e tecnologica, vitale per la gestione dell’arsenale». A tal fine sono previsti «accre-sciuti investimenti nel complesso degli impianti e del personale  addetti alle armi nucleari». Lo stesso, ovviamente, potrà fare la Russia, pur disponendo di minori mezzi economici. Gli Usa cercheranno pe-rò di acquisire un ulteriore vantaggio, sviluppando nuovi tipi di vettori strategici (non limitati dal nuo-vo Start) e realizzando in Europa lo «scudo» anti-missili (restato fuori dell’accordo): un sistema che, una volta messo a punto, permetterebbe loro di neutralizzare almeno in parte la capacità delle forze nucleari strategiche russe. Riguardo alla Cina, gli Usa si dichiarano «preoccupati per i suoi sforzi di modernizzazione militare, compresa quella qualitativa e quantitativa dell’arsenale nucleare». 

Allo stesso tempo gli Stati uniti, con il summit del 12 aprile sul Tnp, si prefiggono di rafforzare il re-gime di «non-proliferazione» così come è concepito a Washington: mantenere immutato l’attuale «club nucleare» di cui sono membri, oltre alle due maggiori potenze, Francia, Gran Bretagna, Cina, I-sraele (in incognito), India e Pakistan. Gli Stati uniti, mentre si impegnano a non usare armi nucleari contro gli stati che non le posseggono e si attengono al Tnp, lasciano intendere che si riservano il dirit-to del first strike per impedire che un paese come l’Iran possa costruirle. Ben diverso l’atteggiamento verso gli alleati. Nel Nuclear Posture Review si conferma che «rimane in Europa un piccolo numero di armi nucleari Usa» (stimato in circa 500, di cui 90 in Italia), precisando che «i membri non-nucleari della Nato partecipano alla pianificazione nucleare e posseggono aerei specificamente configurati, ca-paci di trasportare armi nucleari». Si ammette così, in un documento ufficiale, che i primi a violare il Tnp sono gli Stati uniti, i quali forniscono armi nucleari a paesi non-nucleari, e i loro alleati, Italia compresa, i quali violano l’art. 2 del Tnp: «Ciascuno degli stati militarmente non-nucleari si impegna a non ricevere da chicchessia armi nucleari, né il controllo su tali armi, direttamente o indirettamente».

L’Italia è atomica
Il Pentagono conferma che Italia dispone 
di bombe nucleari. Cosa dice il governo italiano?
 
Già si sapeva – da un rapporto dell’associazione ambientalista americana Natural Resources Defense Council (v. il manifesto, 10 febbraio 2005) – che gli Stati uniti mantengono in Italia 90 bombe nuclea-ri: 50 ad Aviano (Pordenone) e 40 a Ghedi Torre (Brescia). Altre circa 400 sono dislocate in Germa-nia, Gran Bretagna, Turchia, Belgio e Olanda. Sono bombe tattiche B-61 in tre versioni, la cui potenza va da 45 a 170 kiloton (13 volte maggiore di quella della bomba di Hiroshima). 
Le bombe sono tenute in speciali hangar insieme ai caccia pronti per l’attacco nucleare: tra questi, i Tornado italiani che sono armati con 40 bombe nucleari (quelle tenute a Ghedi Torre). A tal fine, rive-la il rapporto, piloti italiani vengono addestrati all’uso delle bombe nucleari nei poligoni di Capo Fra-sca (Oristano) e Maniago II (Pordenone).  
Ora ciò viene confermato ufficialmente, per la prima volta, nel Nuclear Posture Review 2010, dove si afferma che «i membri non-nucleari della Nato posseggono aerei specificamente configurati, capaci di trasportare armi nucleari». Lo conferma anche il governo italiano, ammettendo così di violare il Trat-tato di non-proliferazione? Oppure dichiara che il Pentagono dice il falso? 

(il manifesto, 9 aprile 2010)


Da: info  @...

Oggetto: Praga 2010: la primavera nucleare

Data: 07 aprile 2010 18:48:57 GMT+02:00

La grancassa mediatica è impegnata da settimane a descrivere il “gran passo” che Barak Obama farà nella capitale della Repubblica Ceca, dove insieme al collega russo firmerà il nuovo Trattato Start, all’insegna di una cosiddetta “lotta alla proliferazione nucleare”.
Se solo volessimo commentare i numeri della riduzione proposta non ci sarebbe certo da stare tranquilli: le “residue” scorte di bombe e missili in dotazione ai due Stati potrebbero distruggere alcune decine di volte il nostro pianeta. 1.550 testate nucleari strategiche a testa!
Entrando poi nel merito del nuovo trattato l’impressione netta è quella di un’ennesima operazione di maquillage dell’Amministrazione statunitense. 
L’era Obama, più che da quest’accordo, sarà probabilmente ricordata come quella della simulazione e degli ossimori. Nobel per la pace docet.

L’arsenale nucleare della guerra fredda non si tocca. 
Le centinaia di bombe nucleari presenti in Italia, Germania, Belgio, Olanda e Turchia non saranno oggetto di discussione. La vicenda andrà discussa nell’ambito della NATO, che notoriamente non è un organismo propriamente democratico, a causa del predominio del Pentagono in ogni suo ambito decisionale.

Lo scudo antimissilistico in Europa centro meridionale procede, nonostante il “niet” russo.
Il Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha imposto l’inserimento di una clausola di ritiro unilaterale della Russia dal Trattato di Praga nell’eventualità del rafforzamento missilistico USA in Europa centro meridionale. Solo a febbraio scorso le diplomazie bulgare e rumene dichiaravano di essere in contatto con Washington per dispiegare entro il 2015 rampe antimissile dell’esercito statunitense.

Si salvano solo cyber terroristi e... Israele
Abolita la ridicola minaccia dell’amministrazione Bush di bombardare entità territoriali dalle quali potrebbero partire attacchi di feroci haker, tutto il resto del mondo è passibile d’attacco nucleare preventivo, in primis i famosi “paesi canaglia”: Iran e Corea del Nord.
Degli alleati di Obama non si parla, tantomeno si toccano. Eclatante il caso di Israele, paese il quale, pur non avendo mai sottoscritto un solo Trattato di non proliferazione, possiede centinaia di testate nucleari. 

S’investe su qualità e conservazione del rimanente magazzino di morte.
Nel trattato praghese non si parla di limiti al potenziamento qualitativo delle forze nucleari, per il quale il vice di Obama, Joseph Biden ha promesso ai responsabili dei laboratori nucleari del Pentagono un prossimo investimento di ben 5 miliardi di dollari.

Le primavere di Praga continuano a lasciare l’amaro in bocca. 
Quella del 1968 auspicava una libertà senza aggettivi, sostanziatasi poi nella libertà dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Quella del 2010 auspica un falso disarmo ad uso e consumo di una potenza in declino, al probabile scopo di scaricare le responsabilità del suo fallimento sull’avversario di sempre, la Russia.

Superata l’ennesima ubriacatura elettorale - durante la quale neppure nelle Regioni interessate dalla presenza di basi militari USA/NATO i programmi dei partiti parlavano di lotta contro la guerra - ci auspichiamo che l’agenda politica dei movimenti si riempia di nuovo di parole d’ordine ed obiettivi antimilitaristi.

In una fase di crisi economica gravissima si distolgono sfacciatamente fondi pubblici dalle spese sociali per coprire le occupazioni militari e foraggiare le industrie di armi. 
Per rendere aderente alla realtà la parola d’ordine “Noi la crisi non la paghiamo” occorre abbinarla a “Noi la guerra non la paghiamo”!

La Rete nazionale Disarmiamoli

www.disarmiamoli.org

3381028120 - 3384014989


(english / italiano)

--- italiano ---


IO STO CON EMERGENCY

SABATO 17 - ore 14,30
Appuntamento in piazza Navona ROMA

Sabato 10 aprile militari afgani e della coalizione internazionale hanno attaccato il Centro chirurgico di Emergency a Lashkar-gah e portato via membri dello staff nazionale e internazionale. Tra questi ci sono tre cittadini italiani: Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani.

Emergency è indipendente e neutrale. Dal 1999 a oggi EMERGENCY ha curato gratuitamente oltre 2.500.000 cittadini afgani e costruito tre ospedali, un centro di maternità e una rete di 28 posti di primo soccorso.

IO STO CON EMERGENCY

---

Afghanistan: I tre lavoratori medici italiani dell’ospedale di Emergency a Lashkar Gah, Helmand, sono stati arrestati [dalle forze di sicurezza afgane e da quelle dell’ISAF, e prelevati insieme a sei collaboratori afgani, ndt] perché erano i soli ad avere scritto la verità riguardo all’assalto di Marjah. Il sito di Emergency, Peacereporter, aveva riferito che la NATO aveva ucciso 300 civili a Marjah.  Inoltre, Peacereporter ha dichiarato che la gente di Marjah diceva che i Talebani avevano governato bene e con equità, mentre la polizia fantoccio afgana rubava i loro soldi e le cose, rapiva e violentava i bambini.
Peacereporter ha pubblicato molte testimonianze riguardo i crimini della NATO a Marjah.
Tutti questi reports sono stati scritti da lavoratori medici italiani dell’ospedale di Emergency a Lashkar Gah, ed è per questa ragione che essi sono stati arrestati e accusati di aver organizzato, insieme ai Talebani, un complotto per assassinare un governatore afgano.
 

--- english ---


I SUPPORT EMERGENCY

On Saturday, April 10, soldiers of the Afghan army and the International Coalition Forces attacked the Emergency Surgical Centre of Lashkar-gah and arrested members of the national and international staff. Three of them are Italian citizens: Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani.

EMERGENCY is an independent and neutral organisation. Since 1999, EMERGENCY in Afghanistan has provided medical assistance free-of-charge to over 2,500,000 Afghan citizens, by establishing three surgical hospitals, a maternity centre and a network of 28 first aid posts.

I SUPPORT EMERGENCY

---


#Afghanistan: VERY IMPORTANT: the three italian medical workers from "Emergency" hospital in Lashkar Gah,  Helmand , actually has been arrested because they were the only people that wrote the truth about the assault of Marjah. Emergency's website, peacereporter, reported that NATO killed 300 (three hundreds) of civilians in Marjah. Morevover, Peacereporter stated that marjah people said that the taliban ruled well and with fairness. Instead, afghan puppet police stolen their money and things, and kindnapped and raped their kids.
http://u.nu/54498
Peacereporter published many witnesses of NATO crimes in Marjah: for example: 
http://u.nu/27498 http://it.peacereporter.net/articolo/20550/Bibi
http://it.peacereporter.net/articolo/20344/Ali
http://it.peacereporter.net/articolo/20343/Fazel
http://it.peacereporter.net/articolo/20333/Gulalay
http://it.peacereporter.net/articolo/20315/Akter
http://it.peacereporter.net/articolo/20260/Vergogna
ALl these reports have been written by Italian medical workers from "Emergency" hospital in Lashkar Gah, and for this reason the medics have been arrested and accused of plotting with the taliban to kill an afghan governor.


 

La lutte pour la reconnaissance de la nationalité yougoslave

1) Serbie : la grogne des « non reconnus » yougoslaves

2) Croatie : un nouveau mouvement réclame la reconnaissance de la nationalité yougoslave

Sullo stesso argomento - "Fondata a Zagabria la Lega degli Jugoslavi" - si vedano gli aggiornamenti recenti alla pagina:


=== 1 ===


B92

Serbie : la grogne des « non reconnus » yougoslaves

Traduit par Persa Aligrudic

samedi 27 mars 2010

Le Centre pour le développement de la société civile (CRCD) a vivement réagi à la déclaration du ministre des Droits de la personne et des Minorités, Svetozar Čiplić, sur l’impossibilité de reconnaître la minorité yougoslave car celle-ci ne dispose « ni de langue, ni d’alphabet ni de littérature ». En 2002, 80.721 personnes se sont pourtant déclarées yougoslaves en Serbie, ce qui en fait la 3e minorité du pays. Conformément au principe de non discrimination, le CRCD demande la condamnation du ministre.

Le ministre Čiplić efface une minorité nationale de la composition des citoyens de ce pays d’une manière complètement arbitraire et le Centre pour le développement de la société civile (CRCD) tient à en avertir l’opinion publique.

Lors d’une conférence de presse qui a eu lieu le 12 mars, Svetozar Čiplić a déclaré que les Yougoslaves ne pouvaient avoir le statut de minorité nationale ni disposer d’un conseil « car il leur manque une langue, un alphabet et une littérature ».

« Aujourd’hui, on ne reconnaît pas les droits des minorités qui se sont déclarées de nation yougoslave. Demain, qui sera le suivant sur la « liste des non reconnus » dressée par les représentants arrogants du pouvoir exécutif contre la volonté librement et massivement exprimée des citoyens de ce pays ? », s’interroge le CRCD dans le communiqué adressé aux médias.

« Avec cette position sur les Yougoslaves le ministre Čiplić viole grossièrement les droits minoritaires des 80.721 Yougoslaves qui se sont déclarés comme tels lors du dernier recensement en 2002, ce en fait la troisième communauté minoritaire de Serbie (sans compter la province autonome de Kosovo et Metohija). »

Voilà ce qu’on peut lire dans le communiqué qui ajoute : « C’est avec inquiétude et stupeur que le CRCD a accueilli ce jugement clairement énoncé par le ministre Čiplić sur la langue, l’alphabet et la littérature, c’est-à-dire sur des sujets qui concernent la profession et la science et qui dépassent les compétences du ministère dirigé par Svetozar Čiplić ».

Le CRCD mentionne en outre que : « le sujet complexe de la langue, de l’alphabet et de la littérature des Yougoslaves ne peut faire l’objet d’une demi-phrase ou d’une question politique sur la (non) volonté d’assurer les droits qui sont conférés par la loi à l’identité d’une minorité ».

« Les Yougoslaves désignent leur langue comme le serbo-croate ou le croato-serbe, ils ont deux alphabets, le latin et le cyrillique, et une littérature du plus haut niveau créée précisément dans cette langue. Les auteurs qui se sont exprimés comme étant de nation yougoslave ont obtenu les plus hautes distinctions pour leur contribution à la culture universelle, y compris le prix Nobel ».

Le CRCD rappelle à l’opinion publique que, quelques jours avant cette déclaration discriminatoire, Svetozar Čiplić s’est personnellement engagé à maintenir le ministère pour les Droits de la personne et des Minorités.

« Malheureusement cette position remet sérieusement en question les compétences et les intentions du responsable de ce ministère. Non seulement parce qu’il viole les clauses de nombreux articles de la loi sur la protection des droits et des libertés des nations minoritaires, des articles de la loi sur l’interdiction de discrimination, de l’article 26 de la loi sur les ministères, des clauses de la Déclaration des Nations unies sur les droits des membres des minorités nationales, ethniques et de diverses confession et de langue, et de la Convention cadre du Conseil de l’Europe pour la protection des minorités, mais parce que le ministre Čiplić en même temps expose les Yougoslaves ethniques à la dérision et à la mésestimation auxquelles aucune autre communauté minoritaire en Serbie n’est exposée », mentionne le communiqué.

Le CRCD constate avec satisfaction que 814 Égyptiens, 584 Ashkalis et 572 Grecs en Serbie jouissent de la reconnaissance de l’État et sont respectés en tant que minorités. Le CRCD ne peut passer sous silence la discrimination des Yougoslaves que vient d’annoncer le ministre Čiplić, une déclaration inadmissible venant de la part d’un homme à la tête du ministère des Droits de la personne et des Minorités.

Conformément au principe de non discrimination et des règlements de droit, le CRCD lance un appel à l’opinion publique pour réagir à cette attaque scandaleuse, illégitime et qui mérite la condamnation du ministre des Droits de la personne et de des Minorités, conclut le communiqué.

Publié dans la presse : 19 mars 2010
Mise en ligne : samedi 27 mars 2010
© 1998-2008 Tous droits réservés Le Courrier des Balkans (balkans.courriers.info)



=== 2 ===

This article in english:
Group Pushes Recognition of Yugoslav Nationality (23 March 2010)
---


Croatie : un nouveau mouvement réclame la reconnaissance de la nationalité yougoslave

Traduit par Stéphane Surprenant

vendredi 26 mars 2010

L’association Nasa Jugoslavija a lancé le 21 mars un nouveau mouvement Savez Jugoslovena. Dans le communiqué de presse annonçant cette création, on pouvait lire qu’il fallait protéger l’identité yougoslave, ainsi que son héritage. Les animateurs de ce mouvement estiment que l’identité yougoslave est la seule alternative aux nationalismes balkaniques.

Une « alliance yougoslave » a été créée à Zagreb, dans le but de faire reconnaître la nationalité yougoslave comme une nationalité à part entière dans tous les États qui sont issus de l’ancienne Yougoslavie.

L’association Nasa Jugoslavija (Notre alliance Yougoslavie) a ainsi fondé officiellement le mouvement Savez Jugoslovena, le 21 mars 2010.

Dans un communiqué de presse, les membres l’association ont affirmé que les personnes se réclamant de nationalité yougoslave avaient le droit de protéger leur identité, en même temps que leur héritage culturel, artistique et littéraire. Le groupe veut également ouvrir un débat public sur les droits des citoyens yougoslaves et sur leur « rôle actif dans la démocratisation ».

Le communiqué de presse ajoute que les « Yougoslaves existent toujours et sont fiers de leur identité, qui représente la seule alternative aux nationalismes ».

L’alliance souhaite rassembler tous les Yougoslaves, « peu importe [leur orientation] politique, religieuse, sexuelle ou autre », et ce quelque soit l’endroit où ils vivent.

« L’Alliance est déterminée et affirme qu’il est nécessaire de travailler activement et directement à l’effacement de toutes les divisions nationales, ainsi qu’à rassembler toutes les personnes séparées par les guerres qui ont eu lieu dans l’ancienne République socialiste fédérale de Yougoslavie, alors que le pays s’effondrait. »

On peut également lire que les discours haineux devront être désormais relégués aux oubliettes, et qu’un nouveau langage « d’amour et de réconciliation » devra être instauré.

« Une attention spéciale devrait de plus être accordée à l’ouverture d’une profonde réflexion sur les causes de ces guerres fratricides, avec pour objectif d’analyser les sources de ces événements malheureux, afin de permettre à la fois d’aplanir les différends passés et de rétablir la confiance. »

L’ancienne République socialiste fédérale de Yougoslavie a été fondée le 29 novembre 1943 à Jajce. Cet État se définissait comme l’union de cinq peuples et de six républiques : la Slovénie, la Croatie, la Bosnie-Herzégovine, le Monténégro, la Serbie et la Macédoine. La Slovénie et la Croatie ont proclamé leur indépendance en 1991, puis, graduellement, toutes les républiques ont fait sécession – dans le fracas de la guerre et du nettoyage ethnique.

Publié dans la presse : 23 mars 2010
Mise en ligne : vendredi 26 mars 2010
© 1998-2008 Tous droits réservés Le Courrier des Balkans (balkans.courriers.info)





Articolo apparso il 6 aprile 2010 su "La Voce del Popolo", quotidiano in lingua italiana edito a Fiume:


http://www.edit. hr/lavoce/ 2010/100406/ cistriana. htm


SU INIZIATIVA DEI COMBATTENTI ANTIFASCISTI

A Stanzia Bembo ricordata la fondazione del battaglione italiano «Pino Budicin»

VALLE – A Stanzia Bembo, a pochi chilometri da Valle, sabato l’Associazione dei combattenti antifascisti di Rovigno e quella regionale, hanno ricordato i 65 anni di fondazione del battaglione italiano “Pino Budicin”. Alla manifestazione, oltre a numerosi ex combattenti, giunti anche dalla vicina Italia, sono intervenuti pure il deputato della minoranza italiana al parlamento croato e presidente di Unione Italiana, Furio Radin, il deputato istriano al Sabor, Damir Kajin, l’assessore regionale per le questioni della Comunità nazionale italiana e della altre minoranze, Sergio Bernich, i sindaci di Rovigno e di Valle, rispettivamente Giovanni Sponza ed Edi Pastrovicchio che, insieme a una rappresentanza dell’Associazione rovignese, di quella istriana e dell’ANPI hanno deposto delle corone di fiori ai piedi del monumento che a Stanzia Bembo ricorda la data in cui venne istituita l’unità e i tanti combattenti italiani periti nella guerra di liberazione contro il nazifascismo.

Dopo l’intervento di circostanza pronunciato dal sindaco di Valle, a prendere la parola è stato Roberto Birsa, dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia, che ha ricordato il significato del leggendario battaglione, nato con lo scopo di unire nella lotta contro l’oppressore le diverse etnie della terre istriane, per debellare una volta per tutte il fascismo e i suoi antivalori.

“I ragazzi di oggi devono sapere che i valorosi giovani combattenti del battaglione ‘Pino Budicin’ si unirono nella lotta antifascista per distruggere un mostro: quel mostro che, con il fumo della carne bruciata nei campi di sterminio, oscurò i cieli di tutta l’Europa” – ha detto Birsa. “Auschwitz, la risiera di San Sabba, Arbe, sono nomi che devono rimanere scolpiti in eterno nella memoria collettiva, come monito contro ogni razzismo. Insorgendo e lottando a lungo per sconfiggerne gli ideatori, i combattenti del battaglione istriano ‘Pino Budicin’, che provenivano da tutte le località della penisola, hanno sacrificato la loro gioventù e molti la propria vita per assicurare a tutti noi la libertà e un futuro. E i meriti, in questo caso, furono in particolare dei combattenti italiani, che si fecero apprezzare con onore e dignità ovunque dovettero lottare contro l’oppressore”.

Tomislav Ravnić, segretario dell’Associazione dei combattenti antifascisti della Regione istriana, ha ricordato che oggi, purtroppo, in Croazia i diritti dei combattenti antifascisti non sono ancora rispettatati nel modo adeguato, nonostante la Dichiarazione sull’antifascismo che la Croazia ha fatto propria nel 2005 come presupposto per l’inizio delle negoziazioni per l’adesione all’Unione Europea. “Non possiamo permettere che al giorno d’oggi gli alti valori della lotta antifascista vengano minimizzati, perché senza il sacrificio di chi quella lotta la attuò, la Croazia di oggi non sarebbe mai esistita” – ha detto Ravnić. “Eppure – ha aggiunto – l’ingiusta realtà dei fatti è che oggi un combattente della guerra patria riceve in media il doppio della pensione che spetta a un ex combattente antifascista”.

A intervenire è stato quindi il sindaco di Rovigno, Giovanni Sponza, che nel suo discorso ha posto in evidenza l’importanza che il battaglione “Pino Budicin” ebbe per il futuro dell’Istria: “Quei combattenti lottarono e riuscirono a sconfiggere un regime che era oppressivo. E furono proprio loro a gettare le basi della convivenza, della giustizia e dei valori sociali che sono il simbolo dell’Istria contemporanea. Il loro contributo non sarà mai dimenticato, perché la nostra gratitudine è più forte dell’oblio. Grazie a questi valori oggi noi siamo qui ad indicare la strada da percorrere ai nostri giovani. Una strada che non si basa sul profitto e sul prestigio personale, ma sulla collaborazione, sulla convivenza e sull’assistenza reciproca” – ha detto Sponza.

Sul palco è salito quindi Antonio Bisić, vicepresidente dell’Associazione antifascista di Rovigno, il quale ha voluto ricordare a tutti che la netta maggioranza della popolazione italiana di Rovigno ha sempre dimostrato la propria intolleranza al regime fascista. Ha ricordato i rovignesi che combatterono la guerra di Spagna, i sacrifici di Antonio Ive, Pino Budicin, Augusto Ferri. Bisić ha affrontato pure il delicato tema delle foibe che, a suo parere, “sono state strumentalizzate dalla destra italiana e croata nello scontro con la sinistra”.

“Le foibe furono un crimine grave, che la nostra Associazione ha da tempo condannato” – ha dichiarato Bisić. ”Bisogna però anche dire che furono una conseguenza di altri crimini, spesso di gran lunga peggiori. Nessun crimine può trovare giustificazioni in altri crimini, ma esistono prove e testimonianze che indicano che furono proprio i fascisti i primi a ricorrere all’uso delle foibe” – ha dichiarato Bisić. Il vicepresidente dell’Associazione antifascista di Rovigno ha concluso il suo intervento citando alcune note frasi di Bertolt Brecht: ”E voi imparate che occorre vedere e non guardare in aria. Occorre agire e non parlare. Questo Mostro stava una volta per governare il mondo. I popoli lo spensero, ma ora non cantiamo vittoria troppo presto. Il grembo da cui nacque è ancora fecondo”.

Il presidente dell’Unione Italiana Furio Radin ha iniziato il suo discorso ricordando Mario Jadrejčić, commissario del battaglione “Pino Budicin” scomparso quest’anno. Una figura che, come ha tenuto a sottolineare, ha avuto un ruolo importantissimo anche nella riconciliazione tra l’Unione Italiana e i combattenti antifascisti istriani, che come si ricorderà, anni addietro si erano raffreddati proprio a causa del fatto che anni addietro a Stanzia Bembo gli organizzatori della manifestazione commemorativa non avevano fatto parlare i rappresentanti della Comunità nazionale italiana. Nel suo intervento Radin ha sottolineato l’importanza dei valori dell’internazionalismo, voluto e simboleggiato dai combattenti del battaglione “Pino Budicin”: “Valori che – ha detto il presidente dell’UI – devono essere insegnamento e guida anche alle popolazioni odierne”. Infine Radin ha voluto ricordare il coraggio e il dolore delle madri dei 17mila italiani che hanno perso la vita durante la lotta antifascista”

A concludere gli interventi di Damir Kajin e di Sergio Bernich, che hanno espresso entrambi il loro massimo impegno politico per preservare i valori dell’antifascismo e i diritti dei combattenti antifascisti.

Al programma di intrattenimento che è seguito hanno partecipato la banda d’ottoni di Rovigno, la Società artistico culturale “Marco Garbin” della Comunità degli Italiani di Rovigno, il cantante Sergio Preden-Gato e le poetesse Julija Dušić, Vera Bosazzi e Vesna Milin.

Sandro Petruz



(italiano / english)

--- english ---


4th European Communist Meeting on Education

Brussels, February 5, 2010

“The operation of distorting the history of the Second World War in education”

Intervention by SWP of Croatia

Dear comrades, I'm very glad to be here to represent my party (the Socialist workers' party of Croatia). We all know about the extremely difficult situation the leftist movements are in. We Europeans have lost our main political reference in 1989, while the strength of socialism in other continents haven't changed significantly; South America is even going towards socialism, although is still a long way to be achieved. We comrades should use all our forces to educate and enlighten, especially the youth, which are told a lot of lies about communism and socialism, since they're in school. And even culture and the artists often do so. I've been at the demonstrations against COP15 in Copenhagen in December, and I've seen in many activists not only an anticapitalistic stance, but often even a declared anticommunism, or complete lack of communist ideas! And this showed me that there is something seriously wrong among our leftist youth: what do they have as political reference if they reject communism? They actually have nothing, no ideology! And without political fundamentals you go nowhere, you are lost, you cannot organize any realistic and coherent political program and struggle.

Anticommunism has been raging in Croatia since the secession of the 90s, with the consequent change of the political and economic system, and strengthened, in press, politics, culture, in everyday life, during the Yugoslav civil war. There is a general fear for the former country, almost some kind of hysteria. The national television shows old movies, calling them Bosnian or Croatian or anything else, not to call them what they are, so Yugoslav. Partisans are called criminals, and totally discredited. Monuments of the partisan struggle have been dismantled throughout almost all Croatia. In history schoolbooks the program of World War II, and of the socialistic revolution, which occurred simultaneously in our territories, is seriously reduced, and it's replaced with revanchistic interpretations. I experienced on my own the devious review of the historical facts by educational institutions. Unfortunately, I've began my education in the 90s, and I remember being taught that the most thankful for the fall of the Axis were the future NATO troops; the Red Army gave some help, and Yugoslav partisans were just a little local army, that wouldn't have freed any territory without help from the Allies, and without the preceded withdrawal of the Germans. A pack of lies! All historical documents prove that the Yugoslav partisans grew, during the war, into a big and well organized army, which had a great moral and material help form the vast majority of the civil population. Only little, unimportant help came from the Allies. That's why the Socialistic Federal Republic of Yugoslavia had been the only European country that built up an original experiment of a socialistic sovereign system, while almost all other countries entered USA or USSR influence. This of course is never mentioned, it is in fact advised against to teach, because is an absolute truth, and uncomfortable truth is kept most quiet as possible.

But these savage fantasies passed as truth don't stop with the completion of education. History documentaries, even the ones that claim to be left oriented, want to convince us that the turning point of the war was the entrance of the USA; and what about Stalingrad and the disastrous defeat of the Germans in Russia? So, the western front was the key front. What a lie! But we know that a lie which is continuously repeated turns into truth after some time, and that a half lie is the worst lie: not talking about the war would have probably caused less damage to younger generations, because it would be easier for them to get the truth. This way, with their brain mismanaged, they are almost unrecoverable, they can not and don't want to hear about other stories, different from the ones which have been always told them. Anticommunist beliefs are strongly present even in the high educated middle and upper middle classes. I'm helpless when I hear that Venezuela and Belarus are violent dictatorships, while in Venezuela there is too much freedom if some medias can call on fascist military coups. While Belarus has probably the only European government, among with Cyprus', engaged in protection of lower classes from capitalist beasts, and where history is surely not distorted at all, as it is in rest of Europe.

And none says that USA had strong economic interests, with big corporations, in Hitler's Germany. And after the war many fierce nazists and fascists were amnestied, and then scandalously re-established in society, often with their previous mansions. Partisan divisions were called gangs by western Allies and obliged to lay down their arms. They suffered heavy punishments by puppet governments that followed. In fact Partisans, for example in Italy, outclassed fascists for the number of years of prison collected. So how would you call the western allies? Liberators? This is the official (and only) status they have. But I wouldn't call them this way. I'd rather call them invaders. They fought the nazifascists not for the cause of antifascism, but for the control of the territory; in fact they subsequently allied with the worst nazis in an anticommunist key. There have been just a ridiculous number of trials against war criminals. Some criminals have been processed only in the last years, after the end of the Cold War.

The Allies then substituted the rule of the nazifascists with a subtle imperialistic power, differencing mostly for the less aggressive methods, but because of that more resistant and difficult to defeat. They were not ravaging and killing like nazifascists, and so forcing people to go illegal and join the Resistance forces, but distracting them, with medias, materialism, consumism, empty ideals and ways of life: so distracting the masses, especially the youth, from the real problems and possible solutions, showed to be the most effective way to keep the lower and middle classes passive, and quiet.

I am convinced that the primar tool used by manipulators of history and reality is the educational institutions setting: universities are becoming more and more similar to private institutions, acting like companies: there is more and more external consulting, collaboration with big oligopolies, subsidiary societies, private finantiations for research projects. Bologna process has made this direction official: and this means the creation of a private, company-alike university, embedded in the national and international setting, not as a mere producer of technicians like before, but as an active figure in the procedures of managing, controlling and actuating the industrial production. Big private capitals enter the universities financing research projects, and students are forced to apply to these projects, if they want to increase their knowledge. The latter becomes therefore unobjective, partial, lined up, connected more to the financing company imposed results of the project, than to free knowledge., following a precise strategy at the service of the capital. This way the intellectual resources are controlled and exploited in a more firmer way. It has been, and it will be, very hard times for the communist movement in the years to come. But I'd like to end my speech informing you a bout a student organization I've been in contact with and been acquantited with their initiatives. They are called RedNet, and are composed by student groups active in 7 big Italian cities. It's a class organization, assuming tasks typical of the workers' and peoples' movements. It concentrates its action especially in universities and high schools. Of course this is just an example: there are many other groups and associations throughout the whole country, which promote communism although standing outside parties.

So communists are alive, even if the young differ from the older generations, carrying different struggle methods, and maybe different languages, but with the same marxist recall; they have to be supported by communist parties, because they are active part of the communist struggle and activity, even if they aren't joining bigger political parties. Because they are the worst enemy of the capital, and they are and will be in first line in fights against unjustness. We must not leave the young alone. We must solidarize with young communists and help them to fill with marxism the brains of the confused anticapitalist youth.

Thank you.


--- italiano ---

www.resistenze. org - pensiero resistente - movimento comunista internazionale - 19-03-10 - n. 311
da http://edu4all. kke.gr/4edumeeti ng/interventions /4th-croatia
Traduzione a cura dell'autore
 
4° Incontro comunista europeo sull'educazione 
Bruxelles, 5 febbraio 2010
 
“L’operazione di distorsione storica della Seconda guerra mondiale nel sistema educativo”
 
Intervento del Partito Socialista dei Lavoratori di Croazia (SRP - Socijalistička Radnička Partija)
 
Cari compagni, sono molto felice di essere qui a rappresentare il mio Partito. Siamo tutti a conoscenza della difficile condizione nella quale versano i movimenti di sinistra. Nel 1989, noi europei abbiamo perduto il nostro referente politico principale, mentre la forza del socialismo negli altri continenti non è cambiata significativamente; l'America Latina sta addirittura volgendosi verso di esso, anche se è ancora lontana una sua piena attuazione.
 
Compagni, noi dovremmo investire tutte le nostre forze nell’educazione e nella formazione, rivolta ai giovani in particolare ai quali, sin dalla scuola elementare vengono raccontate un sacco di menzogne sul comunismo e sul socialismo. Anche le attività culturali e artistiche contribuiscono a questa propaganda. Partecipando alle manifestazioni contro il COP15 (Conferenza ONU sul clima) di Copenhagen nel dicembre scorso, ho potuto vedere in molti attivisti non soltanto una posizione anticapitalista, ma anche un dichiarato anticomunismo oppure una completa mancanza di ideali comunisti! E questo mi ha fatto capire che c'è qualcosa di gravemente sbagliato nella nostra gioventù sinistroide: qual è il loro riferimento politico se rigettano il comunismo? La risposta è il nulla, nessuna ideologia! E senza fondamenti politici non si va da nessuna parte, si è smarriti, non si possono organizzare programmi e lotte politiche coerenti.
 
L'anticomunsimo ha infuriato in Croazia dalla secessione dei primi anni 90, con il conseguente cambiamento del sistema politico ed economico e si è rafforzato nella stampa, nella politica, nella cultura, nella vita di ogni giorno durante la guerra civile. C'è una paura collettiva dell'ex Jugoslavia, quasi una specie di isteria. La televisione nazionale fa vedere vecchi lungometraggi chiamandoli bosniaci o croati o in qualsiasi altro modo pur di non doverli chiamare per quello che sono, ovvero jugoslavi. I partigiani vengono definiti criminali e completamente screditati. I monumenti della lotta di liberazione sono stati smantellati in quasi tutto lo Stato. Nei testi di storia per le scuole, il programma della Seconda guerra mondiale e della Rivoluzione socialista, che nei nostri territori si sono svolte contemporaneamente, sono state fortemente ridotte e sostituite da interpretazioni revanscistiche. Ho sperimentato sulla mia pelle la fuorviante revisione dei fatti storici da parte delle istituzioni educative. Purtroppo la mia educazione ha avuto inizio negli anni 90 e ricordo che ad essere indicati come i più meritevoli per la caduta dell'Asse erano quelli che sarebbero poi diventate le truppe NATO; l'Armata Rossa veniva indicata come portatrice di un contributo non decisivo e i partigiani jugoslavi erano dipinti come una piccola armata locale che non avrebbe liberato nessun territorio senza l'appoggio alleato, e senza il precedente ritiro dei tedeschi. Un mucchio di bugie! Tutti i documenti storici dimostrano che i partigiani jugoslavi crebbero durante la guerra e costituirono un'armata grande e ben organizzata, che ha goduto di un grande sostegno materiale e morale dalla maggioranza della popolazione civile. Solo un piccolo e marginale aiuto giunse da parte alleata. Questa è la ragione per cui la Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia è stato l'unico paese europeo che costruì un esperimento originale di sistema socialista completamente sovrano, mentre quasi tutti gli altri paesi europei entrarono nel campo d'influenza degli Stati Uniti d'America o dell'Unione Sovietica. Questo naturalmente non viene mai menzionato e ne è di fatto sconsigliato l'insegnamento, perché è una verità assoluta e le verità sconvenienti sono il più possibile taciute.
 
Ma queste fantasie selvagge spacciate per verità non si limitano al sistema educativo. I documentari storici, anche quelli che si definiscono orientati a sinistra, vogliono convincerci che il punto di svolta della Seconda guerra mondiale fu l'entrata in guerra degli USA. E Stalingrado? E la disastrosa sconfitta tedesca in Unione Sovietica? Dunque quello occidentale è stato il fronte chiave. Che menzogna! Ma sappiamo bene che una menzogna continuamente ripetuta diventa verità dopo un certo tempo e che una mezza verità è la peggior menzogna: non parlare della guerra probabilmente causerebbe alle giovani generazioni meno danni, perché sarebbe più facile per loro arrivare alla verità. In questo modo, con le loro menti disorientate, sono quasi completamente irrecuperabili, non riescono e non vogliono sentire altre versioni storiche diverse da quelle che gli sono state da sempre inculcate. Le posizioni anticomuniste sono presenti anche nelle classi medie e medio-alte: rimango basito sentendo dire che il Venezuela e la Bielorussia sono dittature violente, quando in Venezuela c'è anche troppa “libertà” se ci sono dei media che invocano colpi di stato fascisti. Quando in Bielorussia c'è probabilmente l'unico governo europeo (assieme a quello cipriota), impegnato nella difesa delle classi subalterne dalle bestie capitaliste, e dove la storia non è certo distorta come nel resto d'Europa.
 
E nessuno dice che gli USA avevano forti interessi economici, con la presenza di grosse corporazioni nella Germania di Hitler. E al termine della guerra molti feroci nazisti e fascisti sono stati amnistiati e poi scandalosamente reinseriti nella società, spesso con le loro mansioni precedenti. Le divisioni partigiane vennero chiamate “bande” da parte degli Alleati occidentali e forzate a deporre le armi. Hanno inoltre subito pesanti pene detentive da parte degli stati fantocci che seguirono. In Italia ad esempio i partigiani hanno collezionato molti più anni di prigione che non i fascisti. Come chiamereste quindi gli Alleati occidentali? Liberatori? Questo è lo status ufficiale (e l'unico) che hanno. Ma io non li chiamerei in questo modo. Preferirei chiamarli invasori. Hanno combattuto i nazifascisti non per la causa dell'antifascismo, ma per il controllo dei territori; di fatto si sono in seguito alleati con i peggiori nazisti, in chiave anticomunista. Il numero di processi contro i criminali di guerra è risibile. Qualche criminale è stato processato solo negli ultimi anni, a Guerra Fredda terminata.
 
Gli Alleati hanno sostituito i nazifascisti con un potere imperialistico subdolo, differenziandosi principalmente per i metodi meno aggressivi ma, per questo, più difficili da sconfiggere. Non andavano devastando e uccidendo come i nazifascisti, forzando quindi la gente alla clandestinità e ad unirsi alle forze della Resistenza, ma distraendola con i media, con l’attaccamento ai beni materiali, col consumismo, con ideali e modi di vivere vuoti: distraendo dunque le masse, in particolar modo i giovani, dai problemi reali e dalle possibili soluzioni, si è dimostrato essere il modo più efficiente per mantenere passive e innocue le classi inferiori e medie.
 
Sono convinto che lo strumento principale utilizzato dai manipolatori della storia e della realtà sia l'ordinamento e l'organizzazione delle istituzioni formative: le università assomigliano sempre più ad istituzioni private, che agiscono come delle imprese: c'è sempre più consulenza esterna, collaborazione con grandi oligopoli, società controllate, finanziamenti privati per i progetti di ricerca. La riforma di Bologna ha ufficializzato questo andamento: il che vuol dire la creazione di un'università -impresa, privata, inserita nell'organizzazione nazionale e internazionale, non come mera produttrice di tecnici come prima, ma come figura attiva nei processi di gestione, controllando ed attuando la produzione industriale. Grossi capitali privati entrano nelle università e gli studenti sono forzati ad aderire a questi, se vogliono incrementare il loro sapere. Quest'ultimo diviene dunque non oggettivo, parziale, allineato, connesso ai risultati imposti dalla compagnia finanziatrice, piuttosto che al libero sapere, seguendo una precisa strategia al servizio del Capitale. In questo modo le risorse intellettuali sono controllate e sfruttate più rigidamente.
 
Sono stati, e saranno, tempi molto duri per i movimenti comunisti negli anni a venire, ma le organizzazioni di classe non mancano. In Italia ad esempio, ci sono molti movimenti e gruppi, che promuovono il comunismo seppur rimanendo al di fuori dei partiti. I comunisti sono dunque ancora vivi, anche se le giovani generazioni differiscono dalle vecchie, portando diversi metodi di lotta e forse diversi linguaggi, ma col medesimo richiamo marxista; questi devono essere supportati dai partiti comunisti, perché sono parte attiva del movimento e della lotta comunista, anche se non aderiscono ai maggiori partiti politici. Perché sono i peggiori nemici del Capitale, e sono e saranno in prima fila nelle lotte contro le ingiustizie. Non dobbiamo lasciare i giovani da soli. Dobbiamo solidarizzare con i giovani comunisti ed aiutarli a radicare il marxismo nelle menti dei giovani anticapitalisti confusi.
 
Vi ringrazio.




Cinque paesi NATO contro le armi nucleari USA. Ma non l’Italia

di Antonio Mazzeo (4 Marzo 2010)


"Testate nucleari? No grazie". Per la prima volta, alcuni paesi europei dell’Alleanza Atlantica starebbero prendendo seriamente in considerazione di chiedere agli Stati Uniti d'America di rimuovere l’arsenale nucleare ospitato nel vecchio continente. La notizia è stata pubblicata da alcune testate giornalistiche tedesche e francesi; più precisamente, Belgio, Germania, Lussemburgo, Olanda e Norvegia sarebbero intenzionate a porre la questione all'ordine del giorno del prossimo summit NATO previsto per il mese di novembre 2010. Il quotidiano Der Spiegel aggiunge che i ministri degli esteri dei cinque paesi avrebbero già inviato una richiesta in merito al segretario generale della NATO, Fogh Rasmussen, mentre sarebbero stati attivati i canali diplomatici per invitare altri alleati europei ad aderire alla richiesta di denuclearizzazione. Sempre per Der Spiegelil ministro degli esteri tedesco Guido Westerwelle avrebbe già richiesto agli Stati Uniti la rimozione di 20 testate nucleari dalla Germania

L'agenzia France Presse, da parte sua, scrive che alcuni importanti esponenti politici del Belgio starebbero sostenendo la richiesta "No Nukes" presso il quartier generale NATO di Bruxelles, anche se il portavoce del ministero degli esteri belga, Bart Ouvery, ha dichiarato in un’intervista che "non è comunque in discussione la rimozione immediata di tutte le armi nucleari esistenti". L'ipotesi di riduzione riguarderà inoltre solo le armi nucleari di proprietà degli Stati Uniti, mentre Francia e Gran Bretagna manterrebbero inalterati i loro arsenali di morte.

L'esistenza di contatti tra gli USA e i partner europei per un possibile smantellamento parziale delle testate ospitate nel vecchio continente è stata confermata dalNew York Times; secondo il quotidiano, l'amministrazione Obama starebbe per completare una "revisione dei piani di guerra nucleari" che "potrebbe potenzialmente condurre ad un cambiamento della politica USA". Per Sharon Squassoni, ricercatore delCenter for Strategic and International Studies, è tuttavia difficile prevedere oggi come Washington potrebbe reagire ad una formale richiesta degli alleati NATO di rimozione delle armi nucleari dall’Europa. 

C'è incertezza sul reale numero delle testate USA esistenti oggi nel vecchio continente. Secondo alcuni ricercatori internazionali indipendenti, esse andrebbero da un minimo di 200 a un massimo di 350. Si tratterebbe in particolare di bombe di gravità del tipo B-61, trasportabili dai cacciabombardieri USA e dei paesi partner. Dal computo sono ovviamente escluse le testate nucleari stoccate transitoriamente o in transito nelle principali basi aeree europee o quelle poste a disposizione dei sistemi missilistici dei sottomarini e delle unità navali in transito nelle acque del continente.

Nel maggio 2008, la Federazione degli Scienziati Americani (FSA) ha rivelato i contenuti dei manuali prodotti nel 2005 e 2007 dall’US Air Force, denominati "Nuclear Surety Staff Assistance Visit and Functional Expert Visit Program Management". Destinati al personale che cura la sicurezza degli ordigni, i manuali indicano le località dove essi sono stoccati in siti sotterranei protetti noti come "WS3  - Weapon Storage and Security System", e dove, di conseguenza, i tecnici nucleari svolgono i controlli di sicurezza semestrali. Entrambi gli elenchi riportano i nomi delle installazioni italiane di Ghedi (Brescia) e Aviano (Pordenone), insieme alle basi di Kleine Brogel in BelgioBüchel in GermaniaVolkel in OlandaLakeneath in Gran Bretagna e Incirlik in Turchia. La lista del 2005 comprendeva anche le basi tedesche di Ramstein e Spangdahlem, ma le infrastrutture sono state escluse dalle ispezioni nel documento del 2007. Di conseguenza la Federazione degli Scienziati Americani ritiene che le testate siano state rimosse definitivamente da queste due ultime installazioni. In tempi più recenti, l’US Air Force avrebbe rimosso anche le bombe dislocate nella base britannica di Lakenheath. Così, secondo la FSA, la "maggior parte delle armi nucleari USA è stoccata in tre basi mediterranee: quelle di Ghedi, Aviano e Incirlik". 

Solo in Italia, le testate a disposizione delle forze aeree USA sarebbero una novantina, una cinquantina ad Aviano e il resto a Ghedi.Nell'installazione bresciana, gli ispettori dell'US Air Force avrebbero però rilevato "problemi di sicurezza" ai sistemi di protezione delle armi. L'inquietante particolare è stato denunciato ancora dalla Federazione degli Scienziati, che ha citato come fonte un altro report dell'US Air Force, denominato "Air Force Blue Ribbon Review of Nuclear Weapons Policies and Procedures", parzialmente declassificato nel 2008. Problemi di difficile risoluzione al punto che il Pentagono starebbe pianificando il ritiro da Ghedi del 704 MUNSS, lo speciale squadrone USA di manutenzione delle bombe atomiche, e il trasferimento degli uomini e dei sistemi d'arma ad Aviano

Ad oggi, nulla è trapelato in Italia se e quando verrà realizzata la concentrazione di tutte le testate nell'installazione friulana. Date le posizioni esasperatamente filo-nucleari del governo italiano è però impensabile che Berlusconi, Frattini e La Russa possano prendere sul serio la proposta di denuclearizzazione parziale di Belgio, Germania, Lussemburgo, Olanda e Norvegia. A complicare le cose c'è poi l'articolato programma di potenziamento delle infrastrutture in atto all’interno della base di Aviano. Per l'anno fiscale 2011, l'US Air Force ha richiesto al Congresso lo stanziamento di 19 milioni di dollari per costruire tre nuovi edifici che ospiteranno 114 abitazioni per il personale di stanza nella base. Essi dovrebbero sorgere accanto alle sei palazzine esistenti nella cosiddetta Area 1 dove sono concentrate le unità abitative, l’ospedale militare e le scuole per i figli del personale USA. Secondo la scheda progettuale presentata al Congresso, lo scopo delle nuove costruzioni è quello di "eliminare o ricollocare tutte le funzioni oggi esplicate nell'Area 2 utilizzata dai primi anni '90 dai militari USA (niente di più di un paio di dormitori e qualche facilities di supporto), per restituirla alle forze armate italiane, proprietarie dell’area". 

Secondo il colonnello Bo Bloomer, comandate del 31st Civil Engineer Squadron, le modalità per la restituzione dei circa 13 acri dell'Area 2 sono in via di discussione con le autorità militari italiane. Ciò non comporterà tuttavia cambi significativi al numero del personale militare e civile USA assegnato ad Aviano; l'US Air Force prevede che si passerà a 4.248 unità nel 2015, 15 in meno di quanto presenti a fine 2009. 

L'Area 2 è raggiungibile dall’Area 1 grazie alla "Via Pedemonte", ma la distanza tra i due siti e i "rischi" e le difficoltà di protezione dei mezzi USA in transito hanno convinto i comandi dell’US Air Force a richiedere il ricongiungimento dei dormitori dei militari. Secondo il quotidiano delle forze armate Stars and Stripes, "gli Stati Uniti hanno tentato di ottenere il controllo della Via Pedemonte qualche anno fa per ridurre questi svantaggi ma sono incorsi nella strenua opposizione degli italiani". "Grazie al nuovo programma – aggiunge Stars and Stripes – ad Aviano sista tentando di liberare 100.000 metri quadri di facilities entro il 2020 e ciò consentirà risparmi per oltre 360.000 euro all'anno". 

A un possibile nuovo scenario militare USA sulla Pedemontana ha fatto accenno nei giorni scorsi il console generale degli Stati Uniti a Milano, Carol Peres, durante un'intervista ai microfoni del Tg3 del Friuli Venezia Giulia. Solo una semplice ammissione di possibili novità a medio termine, per poi trincerarsi nel top secret. Peres ha comunque negato che gli USA siano intenzionate a trasferire in Polonia una o più squadriglie con cacciabombardieri F-16, come invece auspicato e pubblicato da uno dei massimi strateghi dell’US Air Force nell’ambito di una maggiore proiezione ad Est del dispositivo aereo e missilistico statunitense. (a.m.)




Un commento della SKOJ sulla ventilata privatizzazione di Telekom Srbija:


SAOPŠTENJA SKOJ-a
 
PRIVATIZACIJA TELEKOMA NOVA PLAČKA RADNIČKE KLASE
 
Savez komunističke omladine Jugoslavije osuđuje najavu Vlade Srbije da će privatizovati Telekom Srbije jer će na taj način još jedna državna firma od vitalnog značaja preći u ruke stranog kapitala. Odluka Vlade o privatizaciji preduzeća Telekom Srbija još jednom pokazuje po građane Srbije pogubni neoliberalni karakter vladajuće vrhuške. Takođe, najnoviji potez buržoaskog režima razotkriva nesposobnost Vlade da reši sve veći trgovinski deficit ali i da se izbori sa opravdanim nezadovoljstvom građana
 
Telekom je najprofitabilnija domaća kompanija koja je prošle godine imala operativnu dobit od 43,5 odsto, što je rekord u poslednjih desetak godina.  Od toga je država Srbija dobila svoj deo, grčki partner, kompanija OTE svoj, a jedino radnici nisu dobili ništa.
 
Vladi Srbije pripada 70 odsto a Telekomu 30 odsto dobiti te kompanije. Od tih 30 odsto radnici nisu dobili ništa. Pristalice neoliberalnog koncepta i zagovornici privatizacije u javnosti su stvorili slika da radnici Telekoma imaju velika primanja, jer imaju monopol, a istina je da najveći prihod kompanija ostvaruje u sektoru gde postoji jaka konkurencija a to je mobilna telefonija. Uvođenje poreza na telefoniranje mobilnim telefonom je direktno urušavanje kompanije jer se zavlači ruka u džep radnicima Telekoma budući da se destimilišu korisnici usluga.
 
Srpska buržoaska vlada je najveća katastrofa koja nas je zadesila. Naša zemlja lakše i brže se oporavila od posledica razaranja Drugog svetskog rata nego što se može oporaviti od vladavine neoliberalne vlade koja nas vodi u propast.
 
Pred svima nama stoji borba za rušenje poretka koji nam je nametnut, koji nas ponižava i pljačka. Radnička klasa mora dići svoj glas i reći odlučno NE daljoj privatizaciji koja je uperena protiv vitalnih interesa građana Srbije.
   
Stop privatizaciji!
Za novu ekonomiju za dobrobit svih ljudi!
 Za socijalističku privredu!
 
Sekretarijat SKOJ-a 
26.3.2010. god.