Informazione


Spese militari: l’Unità annuncia i tagli del Pd, il Pd smentisce 

di M.Dinucci e T. Di  Francesco
(il manifesto, 9 giugno 2010 - segnalato da info @ disarmiamoli.org)


La campagna del Pd contro le spese per gli armamenti è «pregiudiziale e demagogica»: lo afferma sul Corriere della Sera (7 giugno) Arturo Parisi, già ministro della difesa nel governo Prodi, oggi aderente al gruppo parlamentare Pd alla Camera. A suscitare le ire dell’ex ministro è la copertina de l’Unità del giorno prima, «Manovra di guerra», con l’articolo «Tagliano gli stipendi e comprano armi». Vi si annunciava che il Pd avrebbe chiesto al governo, con una risoluzione presentata alla commissione difesa del Senato, di rivedere la spesa militare in base a una politica di «verifica, trasparenza e risparmio». Parisi se la prende in particolare con l’affermazione, fatta nell’articolo, che i 71 programmi di armamento continuano a sottrarre miliardi al bilancio dello Stato. 
Parisi rivendica in tal modo ciò che l’Unità invece tace: il fatto che il Pd, soprattutto con l’ultimo governo Prodi, ha attivamente contribuito all’aumento della spesa militare. Come già ricordato sul Corriere della Sera da un’altra voce autorevole, quella dell’ex sottosegretario alla difesa Lorenzo Forcieri, «il governo Prodi, in due sole finanziarie di rigore e risanamento dei conti dello stato, è riuscito a invertire la caduta libera delle spese per la Difesa, che sono aumentate dei 17,2% nel biennio 2007-08». Fu il governo Prodi a istituire, con la Finanziaria 2007, un «Fondo per la realizzazione di programmi di investimento pluriennale per esigenze di difesa nazionale, derivanti anche da accordi internazionali», con una dotazione di 1.700 milioni di euro per il 2007, 1.550 per il 2008 e 1.200 per il 2009. Un «tesoretto», aggiunto al bilancio della difesa, lasciato in eredità al governo Berlusconi.
E’ a causa di questa politica bipartisan che l’Italia si colloca al decimo posto mondiale come spesa militare, e al sesto come spesa procapite, con un ammontare annuo calcolato dal Sipri in circa 30 miliardi di euro. Più di una pesante finanziaria, pagata ogni anno con il denaro pubblico.
Emblematica è la storia della partecipazione italiana al programma del caccia F-35 della statunitense Lockheed, che solo ora l’Unità definisce giustamente «piano faraonico», ricordando che costerà all’Italia 15 miliardi di euro. Il primo memorandum d’intesa venne firmato al Pentagono, nel 1998, dal governo D’Alema; il secondo, nel 2002, dal governo Berlusconi; il terzo, nel 2007, dal governo Prodi. E nel 2009 è stato di nuovo un governo presieduto da Berlusconi a deliberare l’acquisto di 131 caccia che, a onor del vero, era già stato deciso dal governo Prodi nel 2006. L’Italia partecipa al programma dell’F-35 come  partner di secondo livello, contribuendo allo sviluppo e alla costruzione del caccia. Si capisce quindi perché, quando il governo Berlusconi ha annunciato l’acquisto di 131 F-35, l’«opposizione» (Pd e IdV) non si sia opposta. Eppure già si sapeva che il costo del caccia F-35 era lievitato da 50 a 113 milioni di dollari per aereo.
Dopo aver definito quello dell’F-35 e altri programmi militari «roba da guerra fredda», ossia obsoleta, l’Unità sostiene che si continua a buttare miliardi in armi, «oltretutto (per fortuna) inutili». A questa affermazione si oppone Parisi, criticando la campagna del Pd contro le spese per armamenti dei quali «si denuncia pregiudizialmente e genericamente l’inutilità». Parisi non ha torto. Se questi armamenti fossero inutili, se fosse vero (come sostiene l’Unità) che «l’Italia ripudia la guerra», se fosse vero (come sostiene sempre l’Unità) che le 31 missioni in cui sono impegnate le forze armate italiane sono tutte di «peacekeeping», non si capisce perché dovrebbe acquistare 131 caccia F-35 destinati a missioni di attacco in lontani teatri bellici. Soprattutto i caccia a decollo corto/atterraggio verticale, spiega la Lockheed, sono i più adatti a «essere dispiegati più vicino alla costa o al fronte, accorciando la distanza e il tempo per colpire l’obiettivo». Grazie alla capacità stealth, l’F-35 Lightning «come un fulmine colpirà il nemico con forza distruttiva e inaspettatamente». Un aereo, dunque, destinato alle guerre di aggressione. 
Tutto questo viene ignorato dalla senatrice Roberta Pinotti, membro della commissione difesa, che dichiara di condividere l’impostazione di Parisi, assicurando che i dirigenti del Pd sono «consapevoli che la Difesa è uno dei compiti fondamentali dello Stato». Altro che tagli agli armamenti. 

Il giorno 07/giu/10, alle ore 20:20, Coord. Naz. per la Jugoslavia ha scritto:

(...)




Fuori dai ministeri, tra gli statali che da qui ai prossimi tre anni dovranno sacrificare i loro stipendi per versare allo Stato 5 miliardi di euro contro la crisi, il grido pacifista si è già fatto largo: «Vendessero i cacciabombardieri di La Russa». In realtà più che di vendere si tratterebbe di non acquistarne di nuovi. Idea tutt’altro che peregrina. È quello che sta decidendo di fare la Germania in queste ore, per dire. Il Pd stima che si potrebbero risparmiare almeno 2 miliardi l’annoOvvero sei miliardi nei tre anni su cui opera la manovra. Una stima prudenziale, visto che la spesa in armamenti si aggira intorno ai 3,5 miliardi l’anno.
Nella manovra finanziaria di Tremonti, però, di tagli agli armamenti non ne troverete traccia. E sì che in programma il governo italiano non ha solo l’acquisto di nuovi cacciabombardieri. Sul bilancio dello stato, al momento, incombono ben 71 programmi di ammodernamento e riconfigurazione di sistemi d’arma, che ipotecano la spesa bellica da qui al 2026. Tutti passati inosservati sotto lo sguardo vigile del ministro dell’Economia.
Cifre astronomiche
Eppure parliamo di cifre astronomiche, che il governo si è impegnato a versare all’industria bellica per acquistare una varietà incredibile di nuove armi. La lista è lunga. Prendiamo solo qualche esempio. Partiamo proprio dai cacciabombardieri. Programma di ammodernamento numero 65. Un piano faraonico, che impegna l’Italia a comprare dagli Usa 131 cacciabombardieri F-35. Aerei progettati per essere invisibili ai radar (solo che nel frattempo i radar si sono evoluti). Roba da guerra fredda. Solo nel triennio interessato dalla manovra appena varata l’acquisto programmato sulle casse dello stato per circa 2,5 miliardi di euro. Totale della spesa prevista da qui al 2026: 15 miliardi. Che si sovrappone per altro alla spesa per l’acquisto, già programmato, di 121 Eurofighter (80 sono stati già comprati e c’è ancora un’ultima tranche). Ma andiamo oltre. Al programma numero 67, per esempio. Si chiama «Forza Nec»: serve a dotare le forze armate di terra e da sbarco di un sistema assai sofisticato di digitalizzazione. Roba da Vietnam, ovvero da conflitti ad alta intensità – la guerra in Iraq era considerata a media intensità. Per ora siamo alla fase di progettazione, che da sola costa circa 650 milioni di euro. L’esborso finale, non ancora formalizzato, si aggirerà intorno agli 11-12 miliardi. Ma andiamo oltre. Passiamo ai sommergibili. Difficile prevedere una battaglia navale nel Mediterraneo che li richieda, eppure nella lista dei futuri armamenti non mancano due sommergibili di nuova generazione. Costo stimato: circa 915 milioni. Più della metà da versare già nei tre anni della manovra. Una cifra minore ma non per questo più sensata sarà spesa invece per comprare nuovi sistemi di contracarro di terza generazione: 120 milioni di euro.
Cifre da capogiro. Tanto che lo stato italiano fa fatica a stare dietro agli impegni presi. E l’industria bellica è costretta a ricorrere alle banche. Con il risultato che l’indebitamento fa lievitare ulteriormente i costi. Negli ultimi tre anni, l’Italia ha speso in armamenti circa 3,5 miliardi di euro l’anno. Una cifra destinata a lievitare, tanto più che nemmeno la manovra prova a scalfirla.
Una cifra molto opaca, secondo il Pd, che domani in Commissione difesa del senato presenterà una risoluzione per chiedere che il governo inizi a fare i conti con le armi e con i miliardi che i 71 fatidici programmi continuano a sottrarre al bilancio dello Stato. Sono tutti così indispensabili? Il Pd chiede di verificarne utilità, tempi d’attuazione e costi. E di adottare quella che definisce una «moratoria ragionata». Obiettivo: ottenere risparmi consistenti. E costringere il governo ad adeguare la spesa ai costi della crisi. E al modello di difesa adottato alla luce della Costituzione.
L’Italia ripudia la guerra, appunto. E però continua a buttare miliardi in armi, oltretutto (per fortuna) inutili. Negli ultimi 15 anni infatti le forze armate italiane sono state impegnate in 35 missioni di peacekeeping. «Ma se dobbiamo portare la pace, che ce ne facciamo dei bombardieri F-35?», osserva il capogruppo del Pd in Commissione Difesa, Gian Piero Scanu, primo firmatario della risoluzione, che illustrerà domani al senato: «Semmai – aggiunge – abbiamo bisogno di addestrare i militari, di provvedere alla manutenzione dei mezzi di trasporto che utilizzano».
Ecco appunto, di quelli invece la manovra si occupa: un taglio di quasi un miliardo in tre anni, che si aggiunge agli 1,5 miliardi di risparmi sul bilancio di esercizio già programmati dalla prima finanziaria del governo Berlusconi. Forse anche per questo quel grido d’allarme lanciato dal dipendente statale pacifista ormai comincia a diffondersi anche tra le forze armate. «Il rapporto difesa-industria va cambiato, ci sono costi e appetiti che lo rendono non ottimale, l’industria non può imporre ciò che vuole», ha denunciato pubblicamente lo stesso sottocapo di Stato maggiore dell’Aeronautica, Maurizio Ludovisi.
«Fin qui il governo non ha ancora risposto: quale è il modello di difesa a cui finalizza la spesa?», osserva Roberta Pinotti, appoggiando l’iniziativa del capogruppo. «Non è che da domani debbano rientrare gli uomini in missione – spiega Achille Serra, vicepresidente della Commessioni -, ma spendiamo soldi per armi inutili ed è doveroso tagliare davanti alla crisi è doveroso».
06 giugno 2010
di Mariagrazia Gerinatutti



(francais / italiano)


SPACCA-PAESI DI PROFESSIONE


Per l'assoggettamento dell'Africa, continente ricco di risorse da rapinare, il regime statunitense ha in serbo la stessa ricetta applicata con grande spargimento di sangue in Jugoslavia e altrove: la secessione su base "etnica". Agente delle operazioni in Sudan, come già nei Balcani, è sempre Jon Biden.

(Sul ruolo eversivo di Biden nelle problematiche balcaniche si veda:
JOE BIDEN, SPONSOR DI TUTTI I SECESSIONISMI, VISITA LA SERBIA 
Joe Biden, Obama's VP, a great sponsor of Kosovo killers
Biden's bill urging support for "the right of the people of Kosova..."
Cynical Biden discusses further destruction of Yugoslavia at US Senate Hearing



Joe Biden prépare la création d’un nouvel Etat en Afrique

8 JUIN 2010

Le vice-président des Etats-Unis, Joe Biden, se rendra à l’ouverture de la Coupe du monde de football en Afrique du Sud.

Au passage, il fera plusieurs escales en Afrique. Il est accompagné du général Scott Gration, envoyé spécial du président Obama pour le Soudan. Tous deux ont pour mission de finaliser la sécession du Sud Soudan, qui pourrait intervenir au premier semestre 2011. A ce titre, ils rencontreront Salva Kiir, qui devrait être le premier président du nouvel Etat.





(english / italiano)

La NATO: quanto costa, a che cosa (non) serve

1) Manovra di guerra. Tagli agli stipendi e comprano armi

2) Assassini israeliani, NATO e Afghanistan / Israeli Murders, NATO and Afghanistan 


=== 1 ===




Fuori dai ministeri, tra gli statali che da qui ai prossimi tre anni dovranno sacrificare i loro stipendi per versare allo Stato 5 miliardi di euro contro la crisi, il grido pacifista si è già fatto largo: «Vendessero i cacciabombardieri di La Russa». In realtà più che di vendere si tratterebbe di non acquistarne di nuovi. Idea tutt’altro che peregrina. È quello che sta decidendo di fare la Germania in queste ore, per dire. Il Pd stima che si potrebbero risparmiare almeno 2 miliardi l’annoOvvero sei miliardi nei tre anni su cui opera la manovra. Una stima prudenziale, visto che la spesa in armamenti si aggira intorno ai 3,5 miliardi l’anno.
Nella manovra finanziaria di Tremonti, però, di tagli agli armamenti non ne troverete traccia. E sì che in programma il governo italiano non ha solo l’acquisto di nuovi cacciabombardieri. Sul bilancio dello stato, al momento, incombono ben 71 programmi di ammodernamento e riconfigurazione di sistemi d’arma, che ipotecano la spesa bellica da qui al 2026. Tutti passati inosservati sotto lo sguardo vigile del ministro dell’Economia.
Cifre astronomiche
Eppure parliamo di cifre astronomiche, che il governo si è impegnato a versare all’industria bellica per acquistare una varietà incredibile di nuove armi. La lista è lunga. Prendiamo solo qualche esempio. Partiamo proprio dai cacciabombardieri. Programma di ammodernamento numero 65. Un piano faraonico, che impegna l’Italia a comprare dagli Usa 131 cacciabombardieri F-35. Aerei progettati per essere invisibili ai radar (solo che nel frattempo i radar si sono evoluti). Roba da guerra fredda. Solo nel triennio interessato dalla manovra appena varata l’acquisto programmato sulle casse dello stato per circa 2,5 miliardi di euro. Totale della spesa prevista da qui al 2026: 15 miliardi. Che si sovrappone per altro alla spesa per l’acquisto, già programmato, di 121 Eurofighter (80 sono stati già comprati e c’è ancora un’ultima tranche). Ma andiamo oltre. Al programma numero 67, per esempio. Si chiama «Forza Nec»: serve a dotare le forze armate di terra e da sbarco di un sistema assai sofisticato di digitalizzazione. Roba da Vietnam, ovvero da conflitti ad alta intensità – la guerra in Iraq era considerata a media intensità. Per ora siamo alla fase di progettazione, che da sola costa circa 650 milioni di euro. L’esborso finale, non ancora formalizzato, si aggirerà intorno agli 11-12 miliardi. Ma andiamo oltre. Passiamo ai sommergibili. Difficile prevedere una battaglia navale nel Mediterraneo che li richieda, eppure nella lista dei futuri armamenti non mancano due sommergibili di nuova generazione. Costo stimato: circa 915 milioni. Più della metà da versare già nei tre anni della manovra. Una cifra minore ma non per questo più sensata sarà spesa invece per comprare nuovi sistemi di contracarro di terza generazione: 120 milioni di euro.
Cifre da capogiro. Tanto che lo stato italiano fa fatica a stare dietro agli impegni presi. E l’industria bellica è costretta a ricorrere alle banche. Con il risultato che l’indebitamento fa lievitare ulteriormente i costi. Negli ultimi tre anni, l’Italia ha speso in armamenti circa 3,5 miliardi di euro l’anno. Una cifra destinata a lievitare, tanto più che nemmeno la manovra prova a scalfirla.
Una cifra molto opaca, secondo il Pd, che domani in Commissione difesa del senato presenterà una risoluzione per chiedere che il governo inizi a fare i conti con le armi e con i miliardi che i 71 fatidici programmi continuano a sottrarre al bilancio dello Stato. Sono tutti così indispensabili? Il Pd chiede di verificarne utilità, tempi d’attuazione e costi. E di adottare quella che definisce una «moratoria ragionata». Obiettivo: ottenere risparmi consistenti. E costringere il governo ad adeguare la spesa ai costi della crisi. E al modello di difesa adottato alla luce della Costituzione.
L’Italia ripudia la guerra, appunto. E però continua a buttare miliardi in armi, oltretutto (per fortuna) inutili. Negli ultimi 15 anni infatti le forze armate italiane sono state impegnate in 35 missioni di peacekeeping. «Ma se dobbiamo portare la pace, che ce ne facciamo dei bombardieri F-35?», osserva il capogruppo del Pd in Commissione Difesa, Gian Piero Scanu, primo firmatario della risoluzione, che illustrerà domani al senato: «Semmai – aggiunge – abbiamo bisogno di addestrare i militari, di provvedere alla manutenzione dei mezzi di trasporto che utilizzano».
Ecco appunto, di quelli invece la manovra si occupa: un taglio di quasi un miliardo in tre anni, che si aggiunge agli 1,5 miliardi di risparmi sul bilancio di esercizio già programmati dalla prima finanziaria del governo Berlusconi. Forse anche per questo quel grido d’allarme lanciato dal dipendente statale pacifista ormai comincia a diffondersi anche tra le forze armate. «Il rapporto difesa-industria va cambiato, ci sono costi e appetiti che lo rendono non ottimale, l’industria non può imporre ciò che vuole», ha denunciato pubblicamente lo stesso sottocapo di Stato maggiore dell’Aeronautica, Maurizio Ludovisi.
«Fin qui il governo non ha ancora risposto: quale è il modello di difesa a cui finalizza la spesa?», osserva Roberta Pinotti, appoggiando l’iniziativa del capogruppo. «Non è che da domani debbano rientrare gli uomini in missione – spiega Achille Serra, vicepresidente della Commessioni -, ma spendiamo soldi per armi inutili ed è doveroso tagliare davanti alla crisi è doveroso».
06 giugno 2010
di Mariagrazia Gerinatutti

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ASSASSINI ISRAELIANI LA NATO E L’ AFGHANISTAN

DI CRAIG MURRAY*
craigmurray.org.uk

Ho lavorato per più di 20 anni, tra cui 6 anni in posizioni decisionali, al Ministero degli Esteri e Commonwealth del governo Inglese. Ho lavorato in 5 Paesi ed ho preso parte a 13 negoziazioni formali tra cui la Convenzione sulle Leggi Marittime delle Nazioni Unite ed a tutta una serie di trattati riguardanti le frontiere marittime. Ho lavorato come capo della sezione del Ministero Esteri facente parte della organizzazione multidipartimentale che controllava l’embargo del commercio delle armi verso Iraq.

Per natura sono una persona amichevole, aperta e che non si da arie, una persona che ha sempre avuto facilità ad andare d’accordo con la gente, probabilmente perché non mi prendo molto sul serio. Come risultato della mia carriera e del mio modo di essere ho molti amici, sia inglesi che stranieri, nel corpo diplomatico, nei servizi di sicurezza e nell’ambito militare.



Alcuni amici li ho persi quando ho lasciato il Ministero Esteri per problemi riguardanti l’uso della tortura, anche se molti, che ancora lavorano all’interno del ministero, mi hanno dimostrato la loro amicizia. Adesso sono noto come una persona a cui si può confidare le proprie lamentele anche perché, come ex, so come tenere una conversazione discreta e non intercettata.

La notte scorsa mi hanno detto qualcosa di molto interessante. Al quartier generale della NATO a Bruxelles sono molto demoralizzati. Tra i militari dei vari Paesi NATO è chiaro che un attacco ad una nave con bandiera di un Paese NATO in acque internazionali è qualcosa a cui la NATO come organizzazione è obbligata – legalmente obbligata in base ai termini del trattato costitutivo - a reagire.

Parliamoci chiaro: nessuno vuole o richiede un'azione militare contro Israele, però tutti sono d’accordo che, in teoria, un'azione militare dovrebbe essere discussa e che la NATO è obbligata a fare qualcosa praticamente per difendere la Turchia.

La ragione per cui è stata creata la NATO è che i membri devono mutuamente appoggiarsi a livello militare. C’è anche da ricordare che per i militari NATO la libertà in alto mare garantita dalla Convenzione sulle Leggi Marittime delle Nazioni Unite è un interesse vitale dell'Alleanza che i militari sono condizionati ad accettare in tutti i passi della loro carriera. 

La Turchia è stata estremamente intelligente a richiedere un'immediata riunione del comitato d’emergenza NATO come reazione all’attacco Israeliano. Questa reazione Turca è stata il motivo per cui il presidente Obama, dopo la sorprendente reazione all’attacco in cui ha evitato di nominare Israele, ha telefonato al presidente Turco Erdogan per esprimere il suo cordoglio per le vittime.

Ho parlato con due amici, di due diverse nazioni, che lavorano al quartier generale NATO che mi hanno indicato che vi sono altre ragioni oltre a quelle indicate per la depressione esistente. Uno di loro mi ha detto che al quartier generale NATO ‘sono molto tristi’ e l’altro mi ha detto che la situazione è ‘stressata - molto di più che durante l'invasione irachena’. 

Perché? Per coloro che sono al di fuori delle organizzazioni governative ed internazionali vi è la tendenza a vedere i dirigenti di tali istituzioni come tutti di un pezzo. Nella realtà in tali istituzioni si possono trovare moltissime persone molto intelligenti –e molto competitive- che rappresentano diversi interessi.

Ci sono profonde perplessità, soprattutto tra i militari, a proposito della missione Afgana, dato che non vi è segno di una diminuzione degli attacchi della resistenza Afgana e sembra non esserci una strategia chiaramente definita. I militari non sono stupidi e si rendono conto che il governo di Karzai è profondamente corrotto e che il cosiddetto ‘esercito nazionale afgano’ è formato quasi esclusivamente dai tradizionali nemici tribali dei Pashtuns. 

Molta gente sarebbe sorpresa dal livello di scetticismo che c’è nella NATO a proposito della teoria che occupare l'Afganistan aiuti a proteggere l’Occidente, in contrasto con la teoria che tale occupazione fa solamente aumentare il livello di rabbia islamica a livello mondiale. 

Questo è quello che sta causando nervosismo e tensione all’interno della NATO. L’organizzazione è impelagata in una missione in Afganistan che è grande, costosa e mal definita, che molti all’interno dell’organizzazione credono improduttiva rispetto ai termini di aiuto reciproco dell’alleanza. Tutte le istituzioni militari Europee stanno affrontando problemi finanziari mentre la crisi dovuta al debito pubblico colpisce il continente. L’unica cosa che mantiene insieme i partecipanti alla missione Afgana è la lealtà e l’appoggio agli USA.

Che mutuo supporto può dare la NATO che richiede impegni di carattere decennale, grandi spese e la perdita di vite umane per appoggiare gli USA quando la stessa organizzazione non può nemmeno fare un gesto di appoggio alla Turchia quando la Turchia è attaccata da un non-membro?? 

Persino i Paesi Est Europei non stanno appoggiando gli USA nella loro politica nei confronti di Israele. L’atmosfera che si respira all’interno della NATO a proposito di quello che sta succedendo è come di USA contro tutti gli altri. L’atteggiamento USA dentro la NATO viene descritto da un ufficiale superiore come ‘sorprendentemente arrogante – sembra che gli americani credano che non importi quello che pensano gli altri’. 

La domanda base a proposito della funzione della NATO sta agitando i cuori e le menti del personale non americano del quartier generale NATO. La NATO è veramente un'organizzazione di mutua difesa o è solo uno strumento della politica estera USA ?

La politica estera USA di appoggio incondizionato a Israele e occupazione militare dell’Afghanistan sta veramente difendendo l’Europa o sta mettendo a rischio il mondo infiammando i militanti islamici??

Lascio l’ultima parola ad un ufficiale superiore della NATO – che non è inglese: “tutti pensano che la posizione americana a proposito dell’attacco di Gaza sia un errore ed una mancanza di sensibilità umana, a parte gli americani. Però tutti già pensavano lo stesso a proposito della politica americana. L’incidente ha solo permesso alla gente di esprimere privatamente quanto pensano”. 

Craig Murray
Fonte: www.craigmurray.org.uk
Link: http://www.craigmurray.org.uk/archives/2010/06/israeli_murders.html
2.06.2010 



Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MARCO CRESPI

*Diplomatico inglese, la cui carriera fu brutalmente stroncata quando denunciò l'uso sistematico della tortura (contro gli oppositori islamici) in Uzbekistan.


--- ENGLISH ---


June 2, 2010

Israeli Murders, NATO and Afghanistan

I was in the British Foreign and Commonwealth Office for over 20 years and a member of its senior management structure for six years, I served in five countries and took part in 13 formal international negotiations, including the UN Convention of the Law of the Sea and a whole series of maritime boundary treaties. I headed the FCO section of a multidepartmental organisation monitoring the arms embargo on Iraq.

I am an instinctively friendly, open but unassuming person who always found it easy to get on with people, I think because I make fun of myself a lot. I have in consequence a great many friends among ex-colleagues in both British and foregin diplomatic services, security services and militaries.

I lost very few friends when I left the FCO over torture and rendition. In fact I seemed to gain several degrees of warmth with a great many acquantances still on the inside. And I have become known as a reliable outlet for grumbles, who as an ex-insider knows how to handle a discreet and unintercepted conversation.

What I was being told last night was very interesting indeed. NATO HQ in Brussels is today a very unhappy place. There is a strong understanding among the various national militaries that an attack by Israel on a NATO member flagged ship in international waters is an event to which NATO is obliged - legally obliged, as a matter of treaty - to react.

I must be plain - nobody wants or expects military action against Israel. But there is an uneasy recognition that in theory that ought to be on the table, and that NATO is obliged to do something robust to defend Turkey.

Mutual military support of each other is the entire raison d'etre of NATO. You must also remember that to the NATO military the freedom of the high seas guaranteed by the UN Convention on the Law of the Sea is a vital alliance interest which officers have been conditioned to uphold their whole career. 

That is why Turkey was extremely shrewd in reacting immediately to the Israeli attack by calling an emergency NATO meeting. It is why, after the appalling US reaction to the attack with its refusal to name Israel, President Obama has now made a point of phoning President Erdogan to condole.

But the unhappiness in NATO HQ runs much deeper than that, I spoke separately to two friends there, from two different nations. One of them said NATO HQ was "a very unhappy place". The other described the situation as "Tense - much more strained than at the invasion of Iraq".

Why? There is a tendency of outsiders to regard the senior workings of governments and international organisations as monolithic. In fact there are plenty of highly intelligent - and competitive - people and diverse interests involved.

There are already deep misgivings, especially amongst the military, over the Afghan mission. There is no sign of a diminution in Afghan resistance attacks and no evidence of a clear gameplan. The military are not stupid and they can see that the Karzai government is deeply corrupt and the Afghan "national" army comprised almost exclusively of tribal enemies of the Pashtuns.

You might be surprised by just how high in Nato scepticism runs at the line that in some way occupying Afghanistan helps protect the west, as opposed to stoking dangerous Islamic anger worldwide.

So this is what is causing frost and stress inside NATO. The organisation is tied up in a massive, expensive and ill-defined mission in Afghanistan that many whisper is counter-productive in terms of the alliance aim of mutual defence. Every European military is facing financial problems as a public deficit financing crisis sweeps the continent. The only glue holding the Afghan mission together is loyalty to and support for the United States.

But what kind of mutual support organisation is NATO when members must make decades long commitments, at huge expense and some loss of life, to support the Unted States, but cannot make even a gesture to support Turkey when Turkey is attacked by a non-member?

Even the Eastern Europeans have not been backing the US line on the Israeli attack. The atmosphere in NATO on the issue has been very much the US against the rest, with the US attitude inside NATO described to me by a senior NATO officer as "amazingly arrogant - they don't seem to think it matters what anybody else thinks".

Therefore what is troubling the hearts and souls of non-Americans in NATO HQ is this fundamental question. Is NATO genuinely a mutual defence organisation, or is it just an instrument to carry out US foreign policy? With its unthinking defence of Israel and military occupation of Afghanistan, is US foreign policy really defending Europe, or is it making the World less safe by causing Islamic militancy?

I leave the last word to one of the senior NATO officers - who incidentally is not British:
"Nobody but the Americans doubts the US position on the Gaza attack is wrong and insensitve. But everyone already quietly thought the same about wider American policy. This incident has allowed people to start saying that now privately to each other."

Craig Murray is a former British Ambassador. He is also a former Head of the Maritime Section of the Foreign and Commonwealth Office. He negotiated the UK's current maritime boundaries with Ireland, Denmark (Faeroes), Belgium and France, and boundaries of the Channel Islands, Turks and Caicos and British Virgin Islands. He was alternate Head of the UK Delegation to the UN Preparatory Commission on the Law of the Sea. He was Head of the FCO Section of the Embargo Surveillance Centre, enforcing sanctions on Iraq, and directly responsible for clearance of Royal Navy boarding operations in the Persian Gulf.

Reviews of Craig Murray's War on Terror Memoir, "Murder in Samarkand" - published in the US as "Dirty Diplomacy":

"It really is a magnificent achievement" - Noam Chomsky
"A fearless book by a fearless man. Craig Murray tells the truth whether the "authorities" like it or not. I salute a man of integrity" - Harold Pinter

Posted by craig on June 2, 2010 7:18 AM in the category Palestine





(Sul carattere criminale della classe dirigente che i paesi NATO hanno imposto agli abitanti del Kosovo, regalandogli persino uno "Stato"-mafia, ricordiamo i libri disponibili in lingua italiana:

Giuseppe Ciulla e Vittorio Romano
Lupi nella nebbia 
Jaca Book 2010

Antonio Evangelista
LA TORRE DEI CRANI. Kosovo 2000-2004 
Editori Riuniti 2007

Sandro Provvisionato
Uck: l'armata dell'ombra.
L'esercito di liberazione del Kosovo. Una guerra tra mafia, politica e terrorismo
Gamberetti 2000

Maggiori informazioni alla nostra pagina: https://www.cnj.it/documentazione/kosova.htm )


http://english.ruvr.ru/2010/06/05/9145070.html

Voice of Russia - June 6, 2010

Kosovo: drugs for Europe

Two years ago a joke was being circulated on the Runet [Internet] that a heroin producer has recognized its distributor’s independence. It was about Afghanistan, which was the first to recognize the independence of the Serbian province of Kosovo which had illegally separated from Yugoslavia.

Kosovo has since become a transit point for drugs channelled from Asia to Europe.

A Serbian military analyst and an authoritative expert on the situation in Kosovo, Milovan Drecun, says that, according to the Europol and Interpol, the largest amount of heroin is delivered to Europe from Afghanistan via Kosovo. According to some estimates, some 65% of all the world’s heroin is channeled through the former Serbian province; while 90% of all drugs that reach Europe are shipped via Kosovo. 

According to the Canadian detective Stewart Kellock, the Albanian drug mafia operates with the connivance of the United States. Mr. Kellock said in an interview that US diplomats prevent the detention in Kosovo of notorious drug traffickers. 

The Canadian detective also confirmed that Kosovo’s current Prime Minister Hashim Thaci leads the biggest Albanian mafia clan. 

According to KFOR secret reports, the clan owns three illegal labs to process heroin. People involved in drug smuggling into Kosovo hold state offices of great importance in the province, says the Serbian military analyst Milovan Drecun in a radio interview with the Voice of Russia, and elaborates:  

The media talks about the ties that exist between the American military in Kosovo and the local drug dealers, but is it really so?

Officially, the Americans are working hard to stamp out heroin production in Afghanistan, but in reality they, namely the CIA, are using the proceeds from the drug trade, including the illegal drug traffic to Kosovo from Afghanistan which is facilitated mainly via the Bondsteel Base [Camp Bondsteel], to replenish their secret coffers, at least that’s what American newspapers have recently been writing about, Milovan Drecun reports. 

Other reports mention a U.S. connection with a member of the terrorist Kosovo Liberation Army and a close friend of Kosovo Premier Hashim Thaci who are believed to have been smuggling up to 150 kilos of heroin and cocaine at a time. These criminals were chummy with a café owner close to the Bondsteel Base and were doing business with the American officers there, Milovan Drecun adds. 

All this means that, with the help of Western patrons, Kosovo has been turned into a breeding ground for all kinds of drug dealers and other criminals. Or, as Alexis Troud from the Paris-based International Academy of Geopolitics famously said, “A criminal zone run by the Albanian mafia.”

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Stop NATO
http://groups.yahoo.com/group/stopnato
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PATRIOTTISMO E NAZIONALISMO


Il patriottismo è amare il proprio paese, il nazionalismo è odiare
quello degli altri.

(Charles De Gaulle - citato in:
La questione nazionale - di Spartaco Puttini
http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=19447 )

 
(Sugli interessi del clan Djukanovic in Montenegro si veda la documentazione linkata alla pagina:
 
Affaire Saric et clan Djukanovic
 
1) Monténégro : Milo Đukanović, vingtième dirigeant le plus riche du monde
2) Affaire Darko Šarić : quinze personnes arrêtées en Slovénie


UN IMPERIALISTA SINCERO


"La Germania è presente militarmente in Afghanistan per i propri interessi commerciali" . Ammissione e dimissioni del Presidente della repubblica tedesco. Terremoto politico A Berlino

Il presidente della repubblica tedesca, Horst Koehler, ha annunciato oggi le sue dimissioni. Nel mirino dell'opinione pubblica da tre giorni, dopo una gaffe sulla presenza militare tedesca in Afghanistan. In un’intervista alla radio Deutschlandfunk di rientro da una visita in Afghanistan, Koehler aveva detto che «un grande Paese orientato all’export come la Germania deve sapere che in caso di necessità è necessario anche un intervento militare per difendere i propri interessi». In particolare, aveva aggiunto, questi interessi riguardano «le libere vie di comunicazione commerciale, ma anche l’impedimento di instabilità di tipo regionale, che sicuramente si ripercuoterebbero negativamente sulle nostre possibilità in termini di commercio, posti di lavoro e salari. Bisogna discutere di tutto questo, non siamo sulla strada sbagliata». Immediata è arrivata la replica di Thomas Oppermann, responsabile amministrativo della Spd al Bundestag: «Koehler danneggia l’impegno militare all’estero della Bundeswehr», poichè in Afghanistan la Germania «non fa la guerra per gli interessi economici, ma per la nostra sicurezza». Anche il ministro della Difesa ha preso le distanze da Koelher. «Gli interessi economici non sono la giustificazione della missione in Afghanistan», ha detto Guttenberg, ammettendo comunque che la protezione delle rotte commerciali sarebbe giustificata.

(fonte: redazione di www.contropiano.org )


Da: info  @  kappavu.it

Oggetto: conferenza stampa

Data: 29 maggio 2010 16:48:45 GMT+02:00


Lettera ad amici vicini (e lontani, per informazione)
Nei giorni scorsi sono stata per l'ennesima volta oggetto di frasi offensive a mezzo stampa, attraverso la quale mi si attribuiscono affermazioni relative ai fatti di Porzûs e in generale le vicende del confine orientale che io non mi sono mai sognata di fare. Mi ero tenuta volutamente fuori dalla attuale polemica sull'intitolazione a monumento nazionale delle malghe di Porzûs, e avevo deciso di non mandare lettere o prendere posizione, poiché le cose che vengono dette sono talmente fuori da qualsiasi realtà storica, che non si riesce neppure a polemizzare. Mi riproponevo quindi di cercar di pubblicare quanto prima una nuova edizione ampliata di nuovi documenti del mio libro su Porzûs, per dare a tutti strumenti di valutazione.
Poiché però l'ex presidente del consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia Antonio Martini (dell'amministrazione Illy, di centro sinistra!!), si è permesso di dire che «Nel documento ministeriale passa la ricostruzione di Alessandra Kersevan, per molti versi lacunosa e falsa» sono costretta ad intervenire, per difendere il mio lavoro di ricerca e la mia persona.
Conto sulla vostra partecipazione, perché è importante per me.
Un caro saluto a tutti.
Alessandra

Qui sotto la lettera inviata ai giornalisti e la convocazione della conferenza stampa

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Lettera ai giornalisti

Alla luce dei recenti avvenimenti riguardanti Porzus ed alla conseguente campagna di stampa non priva di errori storici e di attacchi personali, ritengo per lo meno interessante mi venga data la possibilità di uno spazio sulla stampa visto il mio impegno nei confronti della ricerca storico-scientifica sull’intera vicenda.
Confido sul vostro interesse e sulla vostra partecipazione alla mia conferenza stampa, per la quale avete già ricevuto, via mail, l'invito.
Cordiali saluti. Alessandra Kersevan

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CONFERENZA STAMPA - INCONTRO

SUGLI AVVENIMENTI DI 
PORZÛS
ALLA LUCE DELLE PROVE DOCUMENTALI 

Una lettura storico-scientifica 
su un episodio a tutt’oggi oggetto di pubbliche interpretazioni forzatamente superficiali e prive di basi storiche accertate.

E’ legittimo continuare ad ignorare quanto già ampiamente documentato?
A distanza di sessant’anni dai processi, è possibile continuare ad interpretare  le sentenze dei processi senza tener conto del clima e della propaganda della guerra fredda che  li condizionarono e costruirci sopra la motivazione per un monumento?
Esiste una qualche forma di consapevolezza sulle inevitabili conseguenze storiche, sociali e politiche in una terra di confine come la nostra?

Queste ed altre domande alle quali trovare risposte 
durante
 l’incontro - conferenza stampa 
indetto da 
Alessandra Kersevan

Lunedì 31 Maggio 2010 Alle ore 18 presso la “Casa del Campo”
Via Mentana 80 
Udine

Verrà presentata nuova documentazione
sulla vicenda di Porzûs





(italiano / deutsch / english)

Six Sources of the Srebrenica Legend

1) Lettera a Liberazione (di Stefano Valsecchi)
2) Die fast perfekte Kriegslüge (Kaspar Trümpy / Anna Gutenberg)
3) Six Sources of the Srebrenica Legend (George Pumphrey)

Sulla operazione di disinformazione strategica su "Srebrenica" si veda anche la documentazione raccolta alla pagina:
e in particolare:

Alexander Dorin: Srebrenica. Die Geschichte eines salonfähigen Rassismus / The History of Salon Racism
https://www.cnj.it/documentazione/srebrenica.htm#dorin


=== 1 ===

SREBRENICA
 
Ho letto l’articolo “Il governo serbo  chiede scusa alle vittime di Srebrenica “ su Liberazione del 1 Aprile 2010. Purtroppo non è un “Pesce d’Aprile”.
La prima osservazione, dato che l’articolo è firmato da Matteo Alviti  da Berlino, è che non ricorda che il massacro di Srebrenica ha avuto per la Germania una notevole importanza.
L’accusa di genocidio rivolto ai Serbi fu accolta dal governo tedesco con particolare soddisfazione perchè consentiva di far cadere in oblio il crimine storico dell’aggressione tedesca contro la Jugoslavia durante la II guerra mondiale causando 1 milione e seicentomila vittime con maggioranza serba. Il ricercatore storico George Pumphrey ricorda “che molto spesso e volentieri dalla Germania  Srebrenica è stata paragonata ad Auschwitz” scatenando lo sdegno e la rabbia dei sopravvissuti dalle barbarie naziste con la stesura di un nobile manifesto rivolto ai ministri degli Esteri il verde... Joseph Fisher e della Difesa Rudolf Sharping  per contrastare la campagna di menzogne messa in atto dal governo tedesco contro la Serbia.
Mi sembra interessante analizzare la cifra, data da tutti i media come veritiera, degli ottomila musulmani uccisi al momento della presa di Srebrenica nel luglio 1995.
La cifra degli ottomila è stata  data nei primi istanti dalla Croce Rossa, però basata sulla stima grossolana che l’esercito serbo-bosniaco aveva catturato tremila uomini e che cinquemila erano spariti, poi rinforzata dalla stessa Croce Rossa nonostante che abbia essa stessa riconosciuto che “diverse migliaia di rifugiati erano giunti in Bosnia Centrale”.
Le ricerche dei medici legali fatte nel territorio di Srebrenica e dintorni hanno trovato quattrocentoottanta cadaveri, non ottomila, ricerche che non vengono rese note dal Tribunale Internazionale per la Ex Jugoslavia. La maggior parte delle vittime musulmane erano appartenenti alla 28° Divisione di fanteria dell’esercito mulsulmano della Repubblica Bosnia Erzegovina.
Nelle diciassette fosse comuni riesumate fra il 1996 e il 2000  solo il corpo di una donna è stato identificata, come testimonia il dottor Zoran Stankovic specialista scientifico e veterano dell’ONU, che ha a lungo studiato il caso Srebrenica.
I vertici militari olandesi, che erano a difesa della zona protetta, come il generale Couzy, sostennero che dopo la caduta di Srebrenica i serbi-bosniaci non commisero alcun genocidio nei confronti dei musulmani in contrasto con la versione NATO abbracciata dal governo olandese.
Il numero dei musulmani uccisi non è senza dubbio superiore a quello delle vittime serbe del comandante musulmano-bosniaco Naser Oric e della sua banda di saccheggiatori nel corso degli anni precedenti a Srebrenica e dintorni.
Prima della caduta di Srebrenica  Naser Oric aveva fieramente mostrato ai reporter occidentali dei video che mostravano villaggi serbi incendiati, serbi decapitati, corpi fatti saltare con l’esplosivo affermando orgogliosamente: “Li cacciammo fin sulla luna”.
Solo il 28 marzo 2003 il Tribunale Penale Internazionale, per darsi un immagine di imparzialità giuridica, ha deciso di incolpare Naser Oric  accusandolo solo dell’assassinio di sette serbi e di aver distrutto a caso villaggi serbi. Alla fine del dibattimento processuale è stato incredibilmente assolto.
A Srebrenica allo scoppio della guerra, nella primavera del 1992, circa un terzo della popolazione era composta da serbi che vennero entro la fine dell’anno quasi tutti scacciati.
Non si può dimenticare la figura di Alija Izetbegovic , spacciato da tutti gli organi d’informazione come “democratico” rispetto al presidente croato Tudjman e al serbo Milosevic. Il presidente della Bosnia-Erzegovina aderì all’organizzazione Giovane Musulmani per la divisione SS Handzar, forte di ventimila soldati in maggior parte mulsulmani, responsabili di crimini inauditi verso i serbi sconvolgendo anche gli ufficiali tedeschi delle SS.
La regione di Srebrenica si trovò al vertice di queste operazioni criminali delle SS Handzar durante la II guerra mondiale, documentate dalle ricerche storiche dello spagnolo Manuel Florentin.
Nel 1946 Alija Izetbegovic fu condannato dalla Corte Suprema della Ex Jugoslavia a tre anni di carcere e a due anni di perdita dei diritti civili a causa delle sue attività naziste. Il 14marzo 1983 venne ancora condannato dalla Suprema Corte di Bosnia a dodici anni di carcere per “aver dato prova di fondamentalismo  e intolleranza verso le altre religioni” perché nella sua pubblicazione “Dichiarazione Islamica” affermava: “Non si saprebbe avere pace e coesistenza fra la religione islamica e le istituzioni sociali e politiche non islamiche".
Il piano del “Consiglio Nazionale Musulmano” che si era costituito nel febbraio 1992 era quello di creare uno Stato islamico guidato da Izetbegovic all’interno delle frontiere della Bosnia-Erzegovina coronando così il sogno che i Musulmani che avevano in mente da secoli. Ecco perché la regione di Srebrenica era di vitale importanza per i musulmani. La rivista mulsulmana di Sarajevo VOX pubblicò i nomi dei serbi da eliminare a Srebrenica, soprattutto quelli che avevano combattuto nei ranghi della resistenza titina contro la divisione Handzar.
Da tutto ciò credo che ci dovrebbe essere una maggiore ricerca storica per poter raccontare quanto si è svolto a Srebrenica  per contrastare la disinformazione Imperiale sempre più dilagante.

 

Stefano Valsecchi
(documento a noi inoltrato dal GAMADI)


=== 2 ===

Vor 15 Jahren fand «Srebrenica» statt – oder doch nicht?

Argumente, April 2010


Die fast perfekte Kriegslüge

Von Kaspar Trümpy

Ein neues, aufwühlendes Buch zu den Ereignissen in und um Jugoslawien ist erschienen: «Srebrenica - Die Geschichte eines salonfähigen Rassismus» von Alexander Dorin (Kai Homilius Verlag, 2010).
Alexander Dorin analysiert in seinem Buch das im Westen gepflegte Bild speziell der Bosnien-Serben als tollwütige Barbaren, die z.B. auch angesichts der Anwesenheit nicht weniger UNO-Soldaten im Gebiet und bei lückenloser Satellitenaufklärung des Territoriums angeblich nicht davor zurückschreckten, tausende wehrlose Bosnier umzubringen.
Beim «Heissen Eisen Srebrenica» gehen auch die meisten kritischen Beobachter davon aus, dass, wenn auch nicht im angegebenen Umfang von 8000, so doch in beträchtlicher Zahl Kriegsgefangene als Rache für die zuvor von Muslimen getötete Bevölkerung der umliegenden serbischen Dörfer umgebracht wurden.
Bei einem Grossteil der gut 2000 ausgegrabenen Toten handelt es sich jedoch mit an Sicherheit grenzender Wahrscheinlichkeit um im Gefecht gefallene Soldaten. Dorin zeigt auch auf, dass hunderte mit «Augenbinden und Fesseln versehene» ausgegrabene Gefallene ebenso wahrscheinlich einer der unzähligen Manipulationen des Haager Jugoslawien-Tribunals zuzuordnen sind.

Erste detaillierte Gesamtanalyse
Das Diktum, wonach die Serben das grösste Kriegsverbrechen in Europa nach dem Zweiten Weltkrieg zu verantworten haben, welches den Gräueltaten der Nazis in nichts nachstehe, wird von Dorin aufgrund unzähliger Berichte zum Thema sowie eigener Recherchen als fast perfekte Kriegslüge zurückgewiesen. Mit den zahlreichen Quellenangaben handelt es sich um die erste deutschsprachige Gesamtanalyse der Geschehnisse um Srebrenica.
Das Thema Srebrenica ist für die Linke insofern von grösster Bedeutung, als dass durch dieses Ereignis eine Parteinahme für die Serben, welche unter Milosevic einen zehn Jahre dauernden Abwehrkampf gegen die neue, neoliberal geprägte Weltordnung führten, sehr schwierig wurde. Das von UN-Gerichten als Völkermord klassifizierte Geschehen in Srebrenica, welches sich im Juni 2010 zum 15. Mal jährt, wird in Kürze wieder dazu dienen, die Serben weiter massiv unter Druck zu setzen.




Alexander Dorins Analyse des Falls von Srebrenica 1995

Von Anna Gutenberg

Laut der offiziellen Version der Ereignisse von Srebrenica – gemeint ist die Version der damaligen Regierung unter dem bosnisch-moslemischen Präsidenten Alija Izetbegovic und seinen Unterstützern in Washington - wurden im Sommer 1995 in der Umgebung der bosnischen Kleinstadt Srebrenica bis zu 8000 moslemische Jungen und Männer von serbischen Truppen exekutiert.
Die Formulierung vom «schlimmsten Massaker auf europäischem Boden seit dem Ende des Zweiten Weltkriegs» wird von den westlichen Massenmedien seitdem eisern und unaufhörlich repetiert. Als im März 1999 der von der UNO nicht mandatierte Angriffskrieg der NATO gegen Rest-Jugoslawien begann, wurde beschworen, es gelte ein «zweites Srebrenica» im Kosovo zu verhindern.
Autoren, die seit Jahren auf stark übertriebene Opferzahlen hinweisen, werden von den Medien konsequent ignoriert. Und das, obwohl diese Autoren lediglich das Ausmass der «nicht zu entschuldigenden serbischen Verbrechen» in Frage stellen. Das neue Buch von Alexander Dorin «Srebrenica - Die Geschichte eines salonfähigen Rassismus» legt den Schluss nahe, dass abgesehen von den unterschiedlichen Opferzahlen beide Versionen eines gemeinsam haben: Sie beruhen nicht auf fundierten und ausführlichen Recherchen. Der von den Medien fabrizierte Mythos vom Völkermord in Srebrenica lässt auch manchen sonst kritischen Geist plötzlich den Willen zum Konformismus zeigen, faule Kompromisse eingehen oder gleich ganz verstummen.

Abschreckung
Davon unbeeindruckt hat sich Dorin nun der gewagten Aufgabe verschrieben, herauszufinden, was sich in den Tagen nach dem Fall Srebrenicas wirklich abspielte. Gewagt deshalb, weil das Hinterfragen der offiziellen Version vom Völkermord in Srebrenica heute von den meisten Medien mit der Leugnung des Holocaust gleichgesetzt wird und in einigen europäischen Ländern Gesetzentwürfe in den Schubladen liegen, es als solche zu bestrafen. Und tatsächlich zeigt Dorins längst überfällige Untersuchung über die Vorfälle um Srebrenica, dass der «Völkermord» nicht ohne Grund durch Abschreckungsmassnahmen unantastbar gemacht werden sollte.

Vorgeschichte
Nachdem Dorin die Vorgeschichte in der Region um Srebrenica zwischen 1992 und 1995 aufrollt und anhand von Zeugenaussagen, von Pathologen und Überlebenden sowie zahlreicher Dokumenten aufzeigt, wie moslemische Streitkräfte in der Region Podrinje, in der auch Srebrenica liegt, bis Sommer 1995 mehrere tausend Serben, darunter zahlreiche Frauen, Kinder und alte Menschen, bestialisch ermordet haben – in Ostbosnien gehen etwa 190 zerstörte serbische Dörfer und fast 3300 ermordete Serben auf das Konto der Truppen des moslemischen Kriegsherren Naser Oric - widmet er sich den Geschehnissen im Juli 1995.

Akribische Recherchen
Zahlreiche Reisen in das Gebiet um Srebrenica, Interviews mit Pathologen, Politikern, Einwohnern, Journalisten und internationalen Beobachtern dienen dem Autor als Basis seiner akribischen Recherche. Von damaligen UNO-Blauhelmen erfährt er, dass die Serben die moslemischen Zivilisten nach der Einnahme der Stadt gut behandelt haben. Ein moslemischer Kommandant berichtet, dass im Gefecht nach dem Fall der Stadt, als sich Naser Orics Truppen durch serbisch kontrolliertes Gebiet in Richtung der Stadt Tuzia durchschlugen, etwa 2000 moslemische Soldaten fielen. Das entspricht ungefähr der Zahl der Toten, die die Ermittler des Jugoslawientribunals in Den Haag ursprünglich finden konnten. Dem Autor vorliegende Dokumente der moslemischen Armee beweisen, dass diese Zahl nachträglich um mehrere hundert Tote aufgestockt wurde, die bereits während Gefechten im Jahr 1993 umgekommen sind. Ein moslemischer Politiker sagt aus, dass der damalige US-Präsident William Clinton bereits im Jahr 1993 Izetbegovic die Variante eines «Massakers von Srebrenica» angeboten habe. Nur dann könne die NATO zugunsten der moslemischen Armee eingreifen.

Widersprüche
Immer wieder wurde in den letzten Jahren spekuliert, daß 1996/97 auf bosnischen Wählerlisten Namen von angeblich in Srebrenica ermordeten Männern stünden. Wie die Dorin zugänglich gemachten Wählerlisten nun zeigen, waren 3000 dieser angeblich vermissten moslemischen Männer zur Wahl registriert. Dorin gelangte darüber hinaus in Besitz einer Liste mit den Namen von fast 1000 gefallenen moslemischen Kämpfern, die ebenfalls den Ereignissen von Juli 1995 zugeschrieben werden, obwohl sie bereits lange vor dem Fall Srebrenicas umgekommen sind.
Ausführlich untersucht wird auch der Fall des Kroaten Drazen Erdemovic, der bis heute vom Haager Tribunal als Kronzeuge und Trumpfkarte in Sachen Srebrenica präsentiert wird. Erdemovic gibt vor, als Mitglied einer bosnisch-serbischen Einheit von insgesamt 1200 moslemischen Erschiessungsopfern 100 selbst getötet zu haben.
Dorins Analyse des Falls Erdemo vic bestätigt eindrücklich die Widersprüche und Absurditäten, die bereits von Germinal Civikov in seinem kürzlich erschienen Buch «Der Kronzeuge» herausgestellt wurden.
Dorin zeigt, wie sich Zeugenaussagen einiger angeblicher Überlebender der Erschiessungen von Srebrenica nicht nur gegenseitig widersprechen, sondern wie sich die Aussagen der Einzelnen ändern. Bedrückend sind vor allem auch die Analysen der Gerichtsprozesse gegen eine Reihe von Serben, die wegen der Ereignisse von Srebrenica zu langjährigen Haftstrafen verurteilt wurden. Es wird gezeigt, wie einige der Angeklagten durch die Anwendung des sogenannten »Plea Agreements« quasi gezwungen wurden, Mitangeklagte durch Falschaussagen zu belasten, um selbst ein milderes Urteil erwarten zu können.

2000 Gefechtstote - kein Massaker
Ein wahrlich spektakuläres Buch, das die Schlussfolgerung nahelegt: Es gibt nicht nur keinen Beweis für angeblich von der bosnisch-serbischen Führung angeordnete Erschiessungen, sondern überhaupt keinen Grund, ein serbisches Massenverbrechen anzunehmen. Was bleibt, sind 2000 Gefechtstote. Vielleicht wachen durch dieses Buch endlich jene «Ja-Aber»-Kriegsgegner auf, denen es offenbar nicht genügte, dass Dubrovnik nie wie behauptet in «Ruinen» lag, es keine serbischen Vernichtungslager gab, die grösste ethnische Säuberung hingegen an kroatischen Serben verübt wurde, Milosevic 1989 im Kosovo keine «Brandrede» gehalten hat, es das «Massaker von Racak» an unschuldigen kosovo-albanischen Zivilisten nicht gab und den Serben in Rambouillet zum zweiten Mal im 20. Jahrhundert ein unannehmbares Ultimatum gestellt wurde. Srebrenica ist ein Vorwand, um den Serben, den Opfern eines imperialistischen Krieges, Solidarität zu verweigern.

Junge Welt, 18.1.2010



Am 31. März hat das serbische Parlament nach dreizehnstünidiger Debatte mit 127 gegen 123 Stimmen (21 Nein sowie 102 Enthaltungen) ganz knapp eine Erklärung verabschiedet, in der sich Serbien dafür entschuldigt, nicht alles in seiner Macht stehende getan zu haben, um das Verbrechen zu verhindern. Von den Gegnern der Erklärung wurde betont, es sei unmoralisch, die Getöteten beider Seiten nach ethnischen Gesichtspunkten verschieden zu bewerten. Alle Opfer seien zu bedauern. Den Ja-Sagern wurde vorgeworfen, nur auf einen EU-Beitritt zu schielen. Die EU hatte die «Anerkennung der serbischen Schuld» zur Beitrittsbedingung gemacht. - Anm.d.Red.Argumente

Herausgeber und Redaktion der Argumente: Partei der Arbeit Basel (gegr. 1944)
pda-basel@...


=== 3 ===

http://www.beoforum.rs/dokumenti/Six-Sources-of-the-Srebrenica-Legend.pdf

http://www.en.beoforum.rs/index.php?option=com_content&view=article&id=107:6ssa&catid=36:saopstenja&Itemid=65

Six Sources of the Srebrenica Legend

Friday, 12 March 2010 16:19 Zuka



George Pumphrey
February 2010

Introductory statement:

Under pressure from the ICTY tribunal in The Hague and the European Union, Serbia's President Boris Tadic is preparing to submit a resolution to the parliament in Belgrade, asking that the Serbian parliament acknowledge "guilt" for the Bosnian Civil War's "Srebrenica massacre" and declare that this "massacre" constitutes "genocide."
Subsequently, in an appeal (http://inicijativagis.wordpress.com/?s=appel) addressed to the Serbian president and parliament, intellectuals from EU nations, the USA and Canada called on President Tadic and the Serbian parliament not to pass this resolution. But the intellectual's appeal regettably overlooks two basic facts:

1) It is not for Serbs of Serbia to take on guilt for actions that they themselves have not committed or to declare Bosnian Serbs "guilty".
2) Evidence, that a mass-execution of up to 8,000 Muslims following the takeover by Bosnian Serb forces in Srebrenica had ever taken place, has never materialized.

The debate around President Boris Tadic's resolution on Srebrenica has again focused the spotlight on this Bosnian town in the Drina Valley. Inspired by the ad hoc tribunal set up in The Hague to punish (Serb) war crimes during the Bosnian Civil War, the resolution is causing dissention about whether Serbia should plead mea culpa and beg forgiveness for the crime supposedly committed nearly fifteen years ago. 

There are many aspects to this debate. Whereas Rasim Ljajic, Serbia's Labor Minister and President of the National Council for Cooperation with the Hague Tribunal, says that he believes it is "important that the resolution on Srebrenica is adopted for moral and political reason(s), " other parties insist that there be a resolution condemning also the war crimes committed against Serbs. 
An appeal to Serbian President Boris Tadic, signed by Serbian and foreign intellectuals, soon to be published, demands that the president reconsider his efforts to put through a parliamentary resolution that "would treat the Srebrenica massacre of July 1995 as a paradigmatic event of the war in Bosnia-Herzegovina and doing so with language that could be interpreted as Serbia's acceptance of responsibility for ‘genocide’.” 
The resolution of the Serbian government would have wide-ranging negative effects, not only on Serbia. But the appeal of the intellectuals currently in circulation inadvertently also makes a historical mistake. 
It has been nearly fifteen years since Srebrenica was handed over to Bosnian Serb forces to make way for a ceasefire accord.   Those were 15 years of heavy propaganda about an alleged execution of 7,000 to 8,000 Muslims. 
Though the appeal strongly confronts – with very good arguments – the Tadic kowtow, it makes the mistake of opening the backdoor for a similar kowtow later. To date, all those who have claimed that a mass execution had taken place, have been unable to prove it. Yet the appeal gratuitously admits that the alleged mass execution had happened, even seeking – if not to justify – at least to relativize the importance of what they assume to have taken place. The second paragraph of the appeal reads in part:
"The execution of Moslem prisoners in July of 1995, after Bosnian Serb forces took over Srebrenica, was a war crime, but it is by no means a paradigmatic event. The informed public in Western countries knows that, at that time, Serbian forces executed in three days approximately as many Moslems as Moslem forces, raiding surrounding Serbian villages out of Srebrenica, had murdered during the preceding three years."
Fifteen years ago, there was such a deluge of propaganda that only very few attempted to go back upstream to examine the evidence of a mass execution at the story's source. 
If one looks back into the history of the legend of Srebrenica, one will find that a "Srebrenica Massacre" has at least six sources of origin. 


1.    Hakija Meholjic, former president of the (Muslim) Social Democratic Party in Srebrenica, who served as police chief, was one of Srebrenica's delegates in September 1993 to his party's congress in Sarajevo. After the war, in an interview to the journal Dani, he recounted what Alia Itzetbegovic had told his delegation before the congress began: "You know, I [Izetbegovic] was offered by [US President Bill] Clinton in April 1993 (...) that [if] the Chetnik forces enter Srebrenica, carry out a slaughter of 5,000 Muslims, (...) there will be a [NATO-US] military intervention."   

Though the Srebrenica delegates turned down the offer, this provides an indication of what was needed to sway Western public opinion into accepting a NATO intervention in the Bosnian Civil War on the Muslim/Croat side against the Serbs. The Clinton and Izetbegovic governments had already the idea of a "Srebrenica massacre," even before Serb forces had marched into Srebrenica, to lock Bosnian Serbs into a strategic position where they could only accept terms dictated by the West. 


2.    August 10, 1995, in the midst of the Croat "Operation Storm" against the Krajina Serb population – the largest ethnic cleansing operation of the period carried out with US official and mercenary assistance – US Ambassador to the United Nations, Madeleine Albright, hijacked a closed session of the UN Security Council, which was about to open a discussion on Croatia's "Operation Storm." Albright showed aerial surveillance photos purporting to show that Bosnian Serb troops "committed wide-scale atrocities against Muslim civilians" in the aftermath of the July 12 takeover of Srebrenica. She was not more precise than to say "wide-scale atrocities against Muslim civilians." When the NY Times, the following day, reported on Albright's peep-show, the journal noted: "Ms. Albright's presentation today came as thousands of Serbian refugees fled their homes after a Croatian military offensive, carried out with tacit American approval, overran an area of Croatia previously held by rebel Serbs."  

While making her presentation to the Security Council, Albright was already preparing political and public opinion for the fact that there would be no evidence to back up her claims. She warned: "We will keep watching to see if the Bosnian Serbs try to erase the evidence of what they have done."  The question today is, where is all that evidence that Albright was keeping her eye on?


3.    August 18, 1995 – also during "Operation Storm" – the Christian Science Monitor published an exclusive "eyewitness" account by David Rohde, their young ambitious correspondent working out of Zagreb. He claimed to have been to Srebrenica – "without the permission of rebel Bosnian Serbs, look[ing] into charges by American officials that hundreds, perhaps thousands, of Muslims were killed by the Serbs after they overran two UN-protected 'safe areas.' (...) The visit by this reporter was the first by a western journalist to the sites of alleged atrocities near the former safe areas of Srebrenica and Zepa," alleges the journal. In other words, he claims to have gone to Bosnia to confirm what Madeleine Albright had alleged, when she hijacked the Security Council meeting on "Operation Storm." 

Journalist and author Peter Brock had long since exposed the methods of work used by western war propagandists, in his excellently researched trail-blazing "Dateline Yugoslavia"  report on the degeneration of the news media to become a party to the Bosnian Civil War. In 1993, he wrote: "Reporters tended to foxhole in Sarajevo, Zagreb or Belgrade and depend on their networks of 'stringers' and outlying contacts. Most arriving correspondents spoke no Serbo-Croatian, and interpreters were often domestic journalists or 'stringers' with established allegiances as well as keen intuitions about what post communist censors in the 'new democracies' in Zagreb and Sarajevo preferred. Reporters began to rely on aggressive government spokespeople - the government Information Ministry in Zagreb soon acquired scores of English-fluent publicists, and the Bosnian government also mobilized scores of handlers for the Western media."  

In Rohde's “eyewitness” account there was nothing that indicates that the author had actually been in Srebrenica. The article is illustrated with archive photos. There were no photographs of the things he claimed to have seen. Had Rohde written the article in a hotel room or a bar in Zagreb? 

After winning the (politicized) Pulitzer Prize for his "Srebrenica reporting", David Rohde inadvertently admitted in an interview with Newsweek magazine (April 23, 1996) that he had not taken a camera on, what he claims to have been, his first trip to Srebrenica. The ambitious journalist, seeking his big scoop, traveled all the way from Zagreb to Srebrenica to gather proof of mass executions, without a camera?

Two months later, in October 1995, Rohde did go to Srebrenica and was obviously acting so suspiciously that he was arrested by Serb military personnel, who, according to Rohde, thought he may have been working for the CIA. The Bosnian Serb authorities seemed more than anxious to send him back west. 

In his, above mentioned, Newsweek interview, he answers that his "biggest disappointment" about his October trip to Srebrenica was the fact that he was captured. "I was very frustrated because the Serbs ended up getting the film I had of these graves, which were the first on the ground pictures, pictures of the bones, pictures of the canes taken from old men.” He takes a camera to Srebrenica in October and, from what he reports in the interview, acted in a way that would get him arrested. This allowed him to claim that they took his film “evidence”. 

In his Srebrenica “eyewitness” reports in August and in October 1995 Rohde writes of "evidence" of large scale executions, e.g. empty ammunition crates, piles of canes etc all meant to obviously create an image of systematic mass slaughter reminiscent of Auschwitz. 

Given the fact that the ongoing exhumations were not producing evidence that could come anywhere close to the original claims of mass executions of between 7,000 and 8,000, Rohde too began to cover his tracks by using imprecise "ambushes,” “massacres” and “series of ambushes". In his NY Times article (Jul. 25, 1998) he began referring to "ambushes and massacres" and 2 years later (NY Times July 9, 2000) he writes of "a series of ambushes and mass executions." He gives no indication of how many were supposedly killed in warfare – "ambushes" – which is no war crime. The term "massacre" is merely an emotionally charged term that says nothing about the circumstances. 

Whereas David Rohde claimed to have found mass graves, other journalists, who set out on similar expeditions had different results. Mira Beham, a media analyst mentioned in her book, "Kriegstrommeln" (War Drums) that, 

"During the months following the fall of Srebrenica, 24 international journalists, among them Mike Wallace of CBS, a BBC team and several CNN journalists attempted to follow the indications derived from the known US satellite photos and all on-the-spot information about known mass graves – to no avail. The results of their fruitless search were not made public." 

Although based in Zagreb during the largest ethnic cleansing operation of the Yugoslav civil wars, David Rohde never published an article on Croatia's "Operation Storm," while it was going on.


4.    Srebrenica was handed over July 12, 1995. Two months later, September 13, the International Committee of the Red Cross issued a press statement which affirmed: "The ICRC's head of operations for Western Europe, Angelo Gnaedinger, visited Pale and Belgrade from 2 to 7 September to obtain information from the Bosnian Serb authorities about the 3,000 persons from Srebrenica, whom witnesses say, were arrested by Bosnian Serb forces. The ICRC has asked for access as soon as possible to all those arrested (so far it has been able to visit only about 200 detainees) and for details of any deaths. The ICRC has also approached the Bosnia-Herzegovina [Muslim] authorities seeking information on some 5,000 individuals who fled Srebrenica, some of whom reached [Muslim controlled] central Bosnia."  

On September 15, when the NY Times reported on this ICRC press release, one finds a very different count: "About 8,000 Muslims are missing from Srebrenica, the first of two United Nations-designated 'safe areas' overrun by Bosnian Serb troops in July, the Red Cross said today. (...) Among the missing were 3,000, mostly men, who were seen being arrested by Serbs. After the collapse of Srebrenica, the Red Cross collected 10,000 names of missing people, said Jessica Barry, a spokeswoman. In addition to those arrested, about 5,000 'have simply disappeared,' she said."  

Aside from adding the 3,000 Muslim men arrested in Srebrenica upon arrival of the Bosnian-Serb military to the 5,000 Muslim men, reported to have left Srebrenica BEFORE the arrival of Bosnian Serb forces – this NY Times report makes no mention of the fact that a sizable portion of the 5,000 group had already reached Muslim territory and that the Red Cross was asking the Bosnia-Herzegovina [Muslim] authorities for information about these 5,000. 

The NY Times, on September 15, had not only distorted the statement of the Red Cross, it had also disregarded what it had printed in its own pages two months earlier. A few days after the takeover of Srebrenica, the NY Times (July 18, 1995) reported: "some 3,000 to 4,000 Bosnian Muslims, who were considered by UN officials to be missing after the fall of Srebrenica, have made their way through enemy lines to Bosnian government territory."  Similarly the Times of London also reported on August 2, 1995, that "thousands of the ‘missing’ Bosnian Muslim soldiers from Srebrenica, who have been at the centre of reports of possible mass executions by the Serbs, are believed to be safe to the northeast of Tuzla. (...) For the first time yesterday, however, the Red Cross in Geneva said it had heard from sources in Bosnia that up to 2,000 Bosnian Government troops were in an area north of Tuzla. They had made their way there from Srebrenica 'without their families being informed', a spokesman said, adding that it had not been possible to verify the reports because the Bosnian Government refused to allow the Red Cross into the area."  

The NY Times’ distortion of the Red Cross’ statement combining the 5,000 of the one group and the 3,000 of the other is still today – 15 years later – the official count of 8,000 "missing and therefore presumed dead." 


5.    Soon after Bosnian Serb forces took over Srebrenica, the Hague Tribunal brought new charges of "crimes against humanity" and "genocide" against the Bosnian Serb leadership, based on the false information spread in the UN Security Council and by the media. For the US government, the main objective was to block these Serb leaders from participating in the peace negotiations in preparation at that time and to pressure them to leave active politics in Bosnia Herzegovina. 

Though the ground was soon to thaw in the spring allowing exhumations, the prosecution in The Hague was apparently not anxious to exhume the suspected graves, knowing these would not contain enough evidence for "genocide." They needed other trial-worthy evidence of mass executions to make their indictment of the Serb leadership plausible. They were happy to have the "eyewitness'" testimony of Dragan Erdemovic, a Croat, who served in a Bosnian Serb military unit comprised almost exclusively of non-Serb mercenaries. 

In early March 1996, Erdemovic, who had fled to Serbia, made contact to correspondents of the (US) ABC TV station, claiming to have participated in mass executions in the vicinity of Srebrenica as a soldier in the Republika Srpska Army, and asked them to help him "escape to The Hague."  He explained that he had participated in the execution of 1,200 Muslim civilians. The journalists then introduced him to the correspondent of the (French daily) Le Figaro, which is credited with breaking this story.

In early March 1996, Erdemovic was arrested in Serbia on charges of having participated in mass executions, but, by the end of the same month, was transferred to the Hague Tribunal. At the time, the media had reported that he had made a deal with the Tribunal prosecution. In exchange for his valuable testimony against the Serb leadership, he was offered the benefit of the "witness for the prosecution" regulation, to be freed from prosecution and have a guarantee of a new life abroad.  Of course, the tribunal denied these reports. Even though Erdemovic arrived in The Hague as a witness, the tribunal soon charged him with crimes against humanity, for his role in the executions he had described. He was convicted (November 29, 1996) sentenced to 10 years, which were later reduced to 5 and subsequently freed to live under a new identity in a North Western European country. 

Since his conviction, the number 1,200 is officially recorded as the number of civilians executed at the Branjevo farm near Pilica (July 16, 1995). Erdemovic has repeated this number in one trial after another: July 5, 1996 during the public hearing in The Hague of Pres. Radovan Karadzic and Gen. Ratko Mladic – in absentia, again November 19 – 20, 1996 in his own trial, once more on May 22, 2000 in the trial against Gen. Radislav Krstic and again August 25, 2003 as a prosecution's witness in the trial against Pres. Slobodan Milosevic. 

Erdemovic claimed that the 1,200 were killed within a period of 5 hours. He claimed they were taken from busses in groups of 10, walked 100 – 200 meters and executed by firing squad. But a simple calculation would have shown that, to have executed 1,200 people, as Erdemovic claims, it would have taken 20 hours if the entire procedure would have lasted but a record 10 minutes for each group. For Erdemovic's version to be true, it had to have taken but 2.5 minutes per group of ten. Neither the prosecutor nor the judge was interested in this calculation. What's more, according to Erdemovic's own testimony, the corpses were buried at the scene of the execution. At the Branjevo farm, there were 153 bodies exhumed. This would constitute a serious war crime, but it would not suffice for charging the Serb leadership with "genocide". 

A long-standing observer at the tribunal, Germinal Civikov, provides insight into Erdemovic's real role. Erdemovic gave the tribunal the names of nine others, who, he implied, had participated in the executions or commanded the operation. Also based on his testimony, the prosecution built their case accusing the Serb leadership – not just in Bosnia but also in Serbia of having ordered the massacre of Srebrenica as part of a campaign of "genocide". 

The Erdemovic trial was the result of a "plea-bargain," an official practice of blackmail used in more than 90 percent of court cases in the United States, with a growing application in European nations as well. The major part of the proceedings takes place before one enters the courtroom: in exchange for pleading guilty to a certain number of (lesser) charges, one is promised leniency. This saves the prosecution from having to prove that a crime had been committed and that the defendant was personally involved in committing it. But on the other hand, if the defendant, insisting on his/her innocence to all of the charges, asserts his/her right to a fair trial, if convicted he or she will receive the highest sentence possible, because of not having "saved the state the costs of a full trial."

As one author observed, the Erdemovic conviction was being "heralded as a great 'first' in establishment of global justice. [The Erdemovic] case is considered of great importance to the Tribunal since his confession of taking part in executing over a thousand Muslims after the Serb capture of Srebrenica is considered prime evidence in the Tribunal's 'main event', the future trial of Bosnian Serb leader Radovan Karadzic and General Ratko Mladic."  

But there is a catch: "(...) inasmuch as he confessed to his crimes, there was no formal trial and no presentation of material evidence to corroborate his story. In any case, since he had turned 'state's evidence', there would have been no rigorous cross-examination from either a contented prosecution or a complaisant defense regarding the discrepancy between the number of Muslims he testified having helped execute at a farm near Pilica -- 1,200 -- and the number of bodies actually found there by the Tribunal's forensic team: about 150 to 200."  

Of the nine other alleged accomplices in the massacre, not a single one has been indicted or even sought. Not having any indication that other indictments were to follow for the mass executions, the presiding judge, Claude Jorda, expressed his astonishment during the first session of Erdemovic's (plea-bargain) trial (November 19, 1996) that the prosecution was not going to call other witnesses to the stand, nor seek the extradition of the other alleged members of the execution commando, whose names they already had. Are there any indictments against anyone except Erdemovic? asked Claude Jorda. Marc Harmon, the prosecutor, responded solomonically that the court must "see it perspectively." In any case, they do intend to bring charges against more suspects in this case – but the indictments are not to be publicly announced. 

On the contrary, the alleged commander of the commando, Milorad Pelemis, lives apparently carefree in Belgrade and occasionally gives interviews to Serbian or US journals. Another of the alleged accomplices, Marko Boskic, was discovered to be an immigrant near Boston, Massachusetts in the USA. He was arrested and indicted in early August 2004, for having given false information to obtain entry into the United States. By August 23, 2004, the tribunal had already informed the USA that they were not interested in achieving his extradition to The Hague. "We only have a limited mandate and limited resources," explained Chief Prosecutor Carla Del Ponte's advisor Anton Nikiforov. "Boskic will not be indicted; the concentration must be on the leaders."  A strange reasoning for a case that is considered the largest and most horrendous crime in Europe since World War II. Could it be that the tribunal was afraid of having to sort out contradicting testimonies, since Boskic, during his interrogation by the FBI, had contradicted Erdemovic in a key point: the number of people executed on the day in question? 

"Apart from the admission about the massacre, the key point about Erdemović’s testimony is that he alleges that his unit acted on orders from the Bosnian Serb leadership. Yet as Čivikov shows  with excruciating attention to detail, Erdemović’s own statements about the command structure in his little platoon are self-contradictory and untrue."  But the prosecution and judges have sought to maintain Erdemovic's version as the sole official account of what took place at the Branjevo farm, to insinuate that this sort of operation was not isolated but widespread.   

It was during cross-examination in the Milosevic trial that things became a bit clearer. "As Milosevic said during his own gripping cross-examination of Erdemović – gripping because, whenever he [Milosevic] started to get close to the truth, Judge Richard May intervened to prevent him from pursuing his line of questioning – there were reports in Serbia of a rogue French secret service unit operating on the territory of the former Yugoslavia and later involved in a plot to overthrow him, known as “Operation Spider”. There had also been reports that these people had been present at Srebrenica. The West, it is implied, 'needed' a big atrocity at Srebrenica, and it was indeed immediately following the fall of that town - and thanks largely to pressure exerted by the French president, Jacques Chirac, who took the lead on the matter – that NATO intervened and brought an end to the Bosnian war."  (See source number one.) 
6.    The last origin of the legend of a mass execution is the conviction of Bosnian Serb General Radislav Krstic in August 2001, six years after Bosnian Serb troops marched into Srebrenica, and five years after the ICTY began digging up every molehill in the area to look for bodies. According to the NY Times (August 3, 2001) Gen. Krstic was convicted "of genocide (...) for his role in the massacre of more than 7,000 Muslims by Bosnian Serbs at the town of Srebrenica in July 1995. It was the first ruling of genocide in Europe handed down by an international tribunal." The NY Times failed to inform its readers that Gen. Krstic was not even present in Srebrenica at the time in question. But the article does give important information about the evidentiary basis of the Bosnian Serb general's conviction. The article indicates that "Tribunal investigators have exhumed 2,028 bodies from mass graves in the region. An additional 2,500 bodies have been located." 

This means that at the time of the verdict, the tribunal had no evidence that the crime Gen. Krstic was convicted of – the summary execution of "more than 7,000 people” – had ever been committed. In a region where a civil war had raged for years, the media and the tribunal parted from the thesis that Serbs were doing all the shooting and Muslims all the dying. During the process of exhumation, the tribunal showed neither interest in the identity of the bodies, nor in the times and causes of death. The tribunal did not even have evidence that more than 2,028 people were dead – regardless of when or under what circumstances they had died. How then could they convict him of the deaths of "more than 7,000" people?

Gen. Krstic was sentenced to 46 years in prison, 4.6 times the sentence of Adolf Hitler's successor, Admiral Karl Doenitz (10 yrs.) and 2.3 times the sentence of Albert Speer (20 yrs.), the Nazi's head architect. 
There is a second legal aspect closely connected to both the Tadic resolution and the appeal of the intellectuals. The starting point of both is the affirmation that "the massacre" had taken place. Neither Yugoslavia nor Serbia was implicated in what was supposed to have happened in Srebrenica, Bosnia. What rights do they, President Tadic, the Serbian Parliament, or North American and European intellectuals have to declare for Bosnian Serbs that they should be guilty? 
In September 2002, the Documentation Centre of Bosnia's Srpska Republic published its "Report About Case Srebrenica (The First Part)." This report was the result of years of research and investigations. Its conclusions were differentiated in spite of the intense pressure on Bosnian Serbs from the US/West European colonial administration represented, at the time, by Jeremy "Paddy" Ashdown. Under pressure of the colonial administration, the report was withdrawn from circulation, because it did not confirm what the ICTY, the EU and the USA had been claiming. Some copies had already made it into circulation. Both the Tadic resolution and the appeal of the intellectuals have ignored the results of Republika Srpska's research and investigative work.
From the very beginning of the civil wars that broke up Yugoslavia, it became clear that these were all anti-Serb wars. At any given stage in the breakup of Yugoslavia, local Serbs were being targeted as Serbs and because they were Serbs, be they Krajina Serbs in Croatia, Bosnian Serbs in Bosnia-Herzegovina or Serbian Serbs in the province of Kosovo or throughout the rest of Serbia. For anti-Serbs "a Serb is a Serb is a Serb ..." regardless of what he does, how he thinks, how deeply he bows to the west or how tall and proud he stands as part of the human race. To anti-Serbs it makes little difference if it is Radovan or Marko Karadzic. 
Srebrenica was important for involving Serbia in the Dayton negotiations, representing the Srpska Republic. With the accusation of mass executions in Srebrenica and an international arrest warrant for Bosnian leaders, Karadzic and Mladic, President Milosevic negotiated on their behalf. Remember "a Serb is a Serb is a Serb...".
History will judge whether this was a political mistake leading to the linkage of Bosnian Serb affairs – and fate – to Serbia. In any case, in public opinion it helped strengthen the strategic design of implicating all Serbs in whatever (wrong) any Serb does. 
Over the past 15 years, the ICTY has been trying to pin a mass execution on Serb defendants with little or no success. Therefore they are putting the government of Serbia under pressure to admit to a war crime, it had nothing to do with. "A Serb is a Serb is a Serb...". 
There are political forces, particularly in the German-speaking realm, who have sworn vengeance on "the Serbs" not only for having resisted Teutonic conquest throughout history, for being among the victorious in both the First and Second World Wars, but also because it was basically Serb initiatives and interests that united the Southern Slavs across religious lines to create a Yugo–Slavia. 
West Germany could only shake off its stigmata as ex-Nazi, if it creates for public opinion a new group to be stigmatized as "worse than the Nazis". Over the past 15 years, some of these forces, particularly in media and politics, have sought to make Serbs "untouchables", not just Bosnian Serbs or Serbs of Serbia, but Serbs in general. A Serb "guilt" is supposed to replace "German guilt" left in public memory by the Second World War. 
This can only be accomplished in trivializing German war crimes. Serbs are being accused of having executed up to 8,000 people. German politicians compared this to Auschwitz. In May (1999) a German court convicted the Gestapo helper Alfons Götzfrid to 10 years – suspended sentence – for "complicity in the murder" of 17,000 Jews, while, in the same month the German Supreme Court upheld the conviction and sentencing of Bosnian Serb, Nikola Jorgic to 13 years (his sentence was not suspended) for "genocide" carried out on 30 Bosnian Muslims. W

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Unica voce di spesa immune ai tagli: quella militare

1) NATO: Chiede di aumentare le spese militari nonostante i feroci tagli alla spesa pubblica adottati dai governi europei. Anche alla Grecia.
2) La NATO in Afghanistan: guerra mondiale in un unico paese (Rick Rozoff)


=== 1 ===

NATO: Chiede di aumentare le spese militari nonostante i feroci tagli alla spesa pubblica adottati dai governi europei. Anche alla Grecia.
 
Roma, 22 maggio 2010
 
C’è una voce di spesa che sembra immune alle nuove misure antisociali adottate da tutti i governi europei: quelle militari. Su queste, anzi, i governi vengono addirittura sollecitati a investire di più, nonostante la crisi. Un perentorio invito in questo senso è arrivato nei giorni scorsi  dai vertici della NATO. 
Lunedì, il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Anders Fogh Rasmussen ha presentato con grande enfasi a Bruxelles il nuovo “Concetto strategico”, il documento di orientamento politico-strategico con cui periodicamente  la NATO  ridefinisce il suo ruolo e le sue funzioni alla luce dei cambiamenti occorsi nello scenario internazionale.
La redazione del documento era stata affidata al cosiddetto “Gruppo di esperti”, presieduto dall’ex segretario di Stato USA, Madeleine Albright, e all’ex amministratore delegato della compagnia petrolifera Shell, Jeroen van der Veer.
Il testo, che sarà approvato al vertice NATO di novembre, spiega come i compiti dell’Alleanza atlantica saranno sempre più impegnativi, complessi e geograficamente estesi, e raccomanda quindi un maggiore impegno economico degli Stati membri europei, bacchettandoli per la loro scarsa propensione alla spesa militare: “Se  la NATO  dovrà adempiere con successo a queste sue missioni, deve fermare il precipitoso declino delle spese nazionali per la difesa (...). La carenza di investimenti in questo settore in Europa è sempre stato il principale fattore di ostacolo ad un adeguato sviluppo militare dell’Alleanza. Oggi, su ventisei alleati europei, solo sei spendono a tal fine almeno il 2 % del loro Pil (...). Questo produce un profondo gap tra gli Stati Uniti e il resto della NATO, uno sbilanciamento che se perdura può minare la coesione dell’Alleanza”. Presentando il documento alla stampa, Rasmussen ha reso ancor più esplicito questo invito. “Nonostante le grandi sfide economiche che gravano sui singoli Stati - ha detto il segretario generale della NATO riferendosi alla crisi del debito in corso - è preoccupante osservare il crescente divario nella spesa militare tra Stati Uniti (quasi 4,7 % del Pil) e alleati europei (in media 1,7 %). Ho incontrato molti capi di governo che si trovano nella necessità di ridurre i propri budget destinati alla difesa: tagli troppo pesanti mettono a rischio la sicurezza futura e potrebbero anche avere implicazioni economiche negative”.
Le pressioni a non tagliare le spese militari non risparmiano nemmeno  la Grecia  alle prese con un draconiano e doloroso piano di riduzione del deficit pubblico. Lo Stato ellenico spende in difesa più di qualsiasi altra nazione europea: il 3,2 % del Pil, contro una media dell’1,7.
Venerdì, il ministro della Difesa greco, Panos Beglitis, ha annunciato la necessità di un modesto ridimensionamento del budget (da  6,8 a  6 miliardi, arrivando quindi al 2,8 % del Pil). Invece di ricevere il plauso internazionale - come accaduto per l’annuncio della manovra lacrime e sangue imposta al popolo greco - ad Atene sono arrivate le proteste dei governi francese e tedesco: Parigi pretende che  la Grecia  confermi l’acquisto di sei navi da guerra della Dcns (al costo di 2,5 miliardi) e Berlino che Atene compri altri due sottomarini della Thyssen-Krupp (150 milioni).
 

=== 2 ===

Oggetto: Curzio invia documento su NATO e Afghanistan
Data: 26 maggio 2010 16:17:36 GMT+02:00
(...) in allegato la traduzione di un articolo di Rick Rozoff, giornalista investigativo specializzato in questioni della NATO, sul tema delle strategie internazionali della NATO collegate alla guerra in Aghanistan e delle sue assurde richieste di aumentare le spese militari nonostante i feroci tagli alla spesa pubblica adottati dai governi europei. Richieste rivolte perfino alla Grecia! Curzio

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The original text in English:
NATO In Afghanistan: World War In One Country (Rick Rozoff)
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La NATO in Afghanistan: guerra mondiale in un unico paese

di Rick Rozoff, giornalista investigativo specializzato in questioni della NATO.

da Stop NATO
http://groups.yahoo.com/ group/stopnato
 
(messo in diffusione da Giorgio 'Jure' Ellero e tradotto da Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)
 
13 maggio 2010
 
Da quando  la North Atlantic  Treaty Organization (NATO – Organizzazione del Trattato Nord-Atlantico) ha assunto il controllo dell’International Security Assistance Force (ISAF) in Afghanistan nel 2003, l’entità delle truppe che servono sotto questo comando è aumentato da  5.000 a  100.000 uomini.  
Attualmente, in quella nazione sono presenti 134.000 uomini di truppe straniere, sommando i soldati statunitensi che operano separatamente nell’ambito dell’Operazione Enduring Freedom, sebbene il numero complessivo raggiungerà le 150.000 unità entro l’estate e la maggior parte delle truppe usamericane che ora non sono sotto comando NATO presto lo saranno.
Vi sono 47.000 soldati di truppa provenienti da paesi membri o consociati della NATO.
I soldati degli Stati Uniti in Afghanistan tra poco supereranno quelli presenti in Iraq.  
Oltre 1.600 uomini degli Stati Uniti, della NATO e dei loro alleati sono stati uccisi nel teatro di guerra, e 520 di questi sono caduti nell’ultimo anno. I caduti statunitensi sono più che raddoppiati dal 2008 al 2009, da  155 a  318.
Più di 170 civili afghani sono stati uccisi finora quest’anno, un aumento del 33 percento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Da gennaio ad aprile, le forze armate degli Stati Uniti e della NATO hanno ucciso 90 civili, un aumento del 76 percento rispetto ai 51 nello stesso periodo del 2009. [1]
Più di 300 persone, quest’anno, sono state ammazzate durante attacchi missilistici sferrati da droni (velivoli telecomandati) contro supposti covi di ribelli in Pakistan, portando il totale delle morti in tali attacchi a più di 1000, dall’agosto del 2008.  
Questo febbraio, a Marjah, 15.000 uomini delle truppe degli Stati Uniti, della NATO e del governo afghano hanno partecipato all’offensiva di terra a più largo raggio di questa guerra, e sono state ammassate più di 23.000 uomini nella provincia meridionale Kandahar per un assalto pianificato per l’inizio del mese prossimo.
Con i recenti annunci che il Montenegro,  la Mongolia  e  la Corea  del Sud sono diventate ufficialmente la 44.esima, la 45.esima e la 46.esima nazione a contribuire con loro truppe - il Bahrain,  la Colombia , l’Egitto e  la Giordania  hanno già provveduto o si sono impegnate a fornire truppe, ma non è stata ancora ufficializzata questa designazione – in Afghanistan saranno presenti unità militari provenienti da 50 nazioni di tutti i continenti popolati al servizio dell’Alleanza militare del Nord-Atlantico impegnata in una guerra nell’Asia centrale, che il 7 ottobre entrerà nel suo decimo anno.    
L’Australia, con 1.550 soldati, è impegnata nelle sue prime operazioni militari a partire dalla guerra del Vietnam ed ha subito l’esperienza dei suoi primi caduti. Il Canada a partire dalla guerra di Corea.  La Germania  e  la Finlandia  dalla seconda guerra mondiale. I quattro soldati della Svezia uccisi nel nord dell’Afghanistan sono i primi caduti di un paese scandinavo da quasi 200 anni. 
 
Gli effetti della guerra in Afghanistan non si sono limitati alle perdite sul campo di battaglia, anzi!
L’anno scorso,  la Danimarca , membro della NATO, ha speso 415 milioni di dollari per la sua missione in Afghanistan, oltre 135 milioni di dollari rispetto al 2007. Visto che il bilancio complessivo del 2009 per la difesa nazionale era di 3,87 miliardi di dollari, la guerra in Afghanistan ha rappresentato quasi un nono delle spese militari annuali del paese.  La Danimarca , che ha perso in Iraq sette soldati, ne ha già persi  31 in Afghanistan. Nell’ultima settimana, la base danese nella provincia di Helmand è stata attaccata da rivoltosi e sono stati feriti undici soldati danesi.   
Il 9 maggio, ad Helmand è stato ucciso un soldato b rita nnico, il quarantesimo caduto dell’anno e 285.esimo caduto dall’inizio della guerra, superando così i 255 caduti nel 1982 nel corso della guerra contro l’Argentina per le isole Falkland /Las Malvinas, che costituiva il numero più elevato di caduti dalla guerra b rita nnica contro la guerriglia in Malaya negli anni cinquanta del Novecento. Per confronto, il Regno Unito ha registrato 179 morti in Iraq.  
Nel corso dell’ultimo fine settimana, quattro militari francesi sono stati feriti, uno in maniera molto grave, in una esplosione di una mina nel settore nord-est della capitale afghana. 
Il 12 maggio, veniva riferito che era caduto nel sud dell’Afghanistan un soldato della Romania, il dodicesimo morto di questo paese. 
Meno di una settimana prima, il 6 e il 7 maggio, il Segretario Generale della NATO Anders Fogh Rasmussen si trovava nella capitale della Romania Bucharest per incontrare il presidente del paese e il primo ministro ed elogiava l’impegno del governo nella guerra afghana –  la Romania di recente aveva annunciato un rafforzamento di truppe incrementato a 1.800 uomini – come “sostanziale, senza sospensive, con un’attenzione crescente all’addestramento.” [2]
Una settimana prima, il capo della NATO si trovava in Albania e in Croazia, nuovissimi membri del blocco militare, e perorava l’invio di più forze in Afghanistan, compreso quello di istruttori militari.
Durante il suo viaggio di quattro giorni in Europa all’inizio di questo mese, il vice presidente degli Stati Uniti Joseph Biden, fra le altre richieste, sollecitava ulteriori contributi degli alleati NATO alla guerra afghana, che comprendevano il consolidamento di un sistema europeo di intercettamento missili sotto controllo statunitense, e rivolgendosi ai 1.100 componenti della Brigata spagnola di paracadutisti di fanteria leggera, impiegati  in Afghanistan in luglio, affermava:
“Desideravo tanto essere qui oggi per rendere omaggio a questo gruppo di combattenti che sono stati fianco a fianco dei combattenti degli Stati Uniti in Afghanistan. Come alleati nella NATO noi stiamo operando insieme…” [3]
 
Nel febbraio di quest’anno il governo del primo ministro spagnolo Jose Luis Rodriguez Zapatero annunciava che stava inviando 511 uomini di truppa in più in Afghanistan, portando il contingente spagnolo a 1.600 uomini.
Poco prima di incontrare Biden, Zapatero e il suo ministro della difesa visitavano il quartier generale dela NATO a  Brussels, dove il primo ministro spagnolo dichiarava che l’Afghanistan è “la missione primaria della NATO in questo momento all’estero,” aggiungendo che è “molto importante rinnovare la nostra fiducia nella strategia attuale in Afghanistan ...” [4]
Il 3 maggio, il “The Times of London” scriveva di una intensificazione del conflitto nel nord
dell’Afghanistan, che fino a poco tempo fa era stato relativamente pacifico, ma dove di recente  la Germania  aveva perso la maggior parte dei 47 soldati caduti in combattimento e dove  la Finlandia  e  la Svezia  avevano subito perdite.
Il quotidiano b rita nnico scriveva che “truppe della Germania sono impegnate nei primi conflitti a fuoco affrontati dall’esercito tedesco dal 1945, per far fronte al montare dell’offensiva dei Talebani nel nord dell’Afghanistan.” [5]
Il generale Stanley McChrystal, comandante in capo di tutte le forze armate degli Stati Uniti e degli altri alleati in Afghanistan, sia dell’International Security Assistance Force che della statunitense Operation Enduring Freedom, recentemente ha annunciato il dispiegamento di 56 elicotteri e di 5.000 uomini delle truppe statunitensi da mettere sotto comando germanico nel nord dell’Afghanistan.
Da quando  la NATO , nel 2006, aveva assunto il controllo del settore meridionale dell’Afghanistan “era la prima volta dalla seconda guerra mondiale che truppe statunitensi venivano poste sotto il comando straniero in una situazione di combattimento.” [6] Anche il generale di brigata del Comando Centrale Douglas Raaberg sottolineava questo avvenimento.
Il capo del Comando Centrale, generale John Abizaid, dichiarava all’Associated Press che “ la NATO  ha bisogno di aggrapparsi a questa missione per interesse della NATO stessa. Balzare fuori dai confini dell’Europa, è qui che l’Alleanza necessita di andare per conservare un ruolo idoneo alle situazioni future.”    
Allora, l’Associated Press scriveva che “Abizaid ed altri hanno ribadito che la missione in  Afghanistan segna il punto della storica espansione della NATO, che potrebbe vedere l’Alleanza assumere ulteriori missioni in Africa o in qualsiasi altra parte del mondo.” [7]
 
Quattro mesi dopo avere preso il controllo dell’Afghanistan meridionale nel 2006, il comandante della NATO nella regione, il luogotenente generale b rita nnico David Richards, affermava che  la NATO  stava conducendo “operazioni di combattimento di terra per la prima volta nella sua storia.”
E in quella che si è dimostrata essere una sottovalutazione di prim’ordine, Richards aggiungeva: “Due anni fa, quando il Consiglio del Nord Atlantico aderiva a questo progetto, probabilmente non si sapeva dove ci si andava a cacciare.” [8] Anche un’altra agenzia di informazioni si esprimeva in questo modo: “ La missione viene considerata la più pericolosa ed impegnativa nei 57 anni di storia dell’Alleanza occidentale.” [9]
Un mese più tardi, il generale b rita nnico rifletteva sulle prime settimane di questo suo nuovo incarico, caratterizzando la situazione come unpersistente ingrato scontro di basso livello”. [10]
L’Afghanistan è un campo di battaglia su cui  la NATO  ha dovuto subire una sua mutazione, l’intensificazione degli scontri sul terreno vero e proprio rispetto all’impiego massiccio degli attacchi aerei.
“L’Alleanza NATO…ha condotto operazioni di combattimento aereo durante i conflitti in Bosnia e in Kosovo durante gli anni novanta del Novecento, ma adesso deve affrontare le più importanti operazioni di combattimento terrestre da quando è stata istituita nel  1949.”
I movimenti bellici della NATO nel sud dell’Afghanistan segnalavano “la prima volta che l’Alleanza aveva condotto operazioni di combattimento terrestre…”[11]
 
Nelle parole di Abizaid di quattro anni fa, la guerra in Afghanistan di fatto rappresentava uno storico allargamento, inaugurando “il salto del blocco fuori dei confini dell’Europa”, verso l’Africa o verso altre parti del mondo. Nel frattempo, questo è esattamente quello che è avvenuto.  
Inoltre ci si è adoperati per mescolare le forze militari di più di 50 nazioni, comprese quelle dell’Afghanistan e del Pakistan, sotto un comando unificato in una forza globale integrata e preparata al combattimento, pronta per futuri attacchi, invasioni, occupazioni ed altri interventi lontano dallo spazio euro-atlantico.
Mai prima d’ora truppe da 50 paesi erano state utilizzate in un unico teatro bellico, in un unico paese.  
La settimana scorsa si è assistito ad un incontro della Commissione Militare della NATO con i ministri della difesa di 49 nazioni che avevano assegnato truppe alla International Security Assistance Force (ISAF).
La guerra afghana ha assicurato agli Stati Uniti e ai loro alleati della NATO basi militari in paesi dell’Asia Centrale, come il Kyrgyzstan, il Tajikistan e l’Uzbekistan, dove viene valutato che in questo mese di marzo siano passati per e dall’Afghanistan 50.000 uomini di truppa statunitensi.  
L’anno scorso, in Ungheria è stata inaugurata per la prima volta al mondo un’operazione multinazionale di trasporto aereo strategico, sotto lo stretto controllo di Washington e della NATO, atta a soddisfare lo sforzo bellico.
È stata accelerata da parte degli USA e della NATO l’integrazione militare di tre ex Repubbliche sovietiche nel Caucaso meridionale: Armenia, Azerbaijan e Georgia.
Azerbaijan, un paese che si affaccia sul Mar Caspio ai confini con l’Iran e  la Russia , di recente ha raddoppiato le dimensioni del suo contingente di truppe in Afghanistan.
Georgia, ansiosa di acquisire per le sue truppe addestramento al combattimento in condizioni belliche per i suoi prossimi conflitti con l’Abkhazia,  la Sud Ossezia  e  la Russia , tra breve invierà in Afghanistan 900 uomini, un sostanzioso contributo all’International Security Assistance Force della NATO.
Il 5 maggio, al quartier generale della NATO i rappresentanti permanenti (ambasciatori) dei 28 paesi membri dell’Alleanza hanno incontrato ufficiali superiori dell’esercito georgiano nell’ambito della cornice della Commissione  NATO-Georgia.
“La rappresentativa ha sottolineato come l’Alleanza apprezzava la cooperazione della Georgia con  la NATO  e in particolar modo la partecipazione dei soldati della Georgia nelle operazioni per assicurare la pace in Afghanistan e continuerà ad appoggiare per il futuro la ristrutturazione del sistema di difesa del paese.” [12]
Vale a dire,  la Georgia  fornirà alla NATO truppe per la guerra in Afghanistan e  la NATO  ricambierà dando assistenza nella modernizzazione delle forze armate della Georgia, in previsione dei futuri conflitti della Georgia con i suoi confinanti.
L’11 maggio,  la Germania  ha ospitato un incontro fra i ministri della difesa e i capi di stato maggiore delle nazioni che hanno truppe dispiegate nel nord dell’Afghanistan, dove  la Germania  costituisce la principale forza della NATO.  
Il ministro della difesa tedesco, Karl-Theodor zu Guttenberg, “ ha invitato all’incontro dell’11 maggio informalmente anche rappresentanti della NATO, dell’Unione Europea e dell’Afghanistan.
Il ministero ha fornito precisazioni su chi esattamente era stato invitato. Attualmente, nel nord dell’Afghanistan le nazioni che vedono la loro presenza comprendono gli Stati Uniti,  la Norvegia  e  la Svezia.” [13]
Il ministro della difesa Seyran Ohanyan dell’Armenia ha inviato a Berlino una delegazione.  L’Armenia è il primo membro della Collective Security Treaty Organization (CSTO) ad inviare truppe alla NATO per l’Afghanistan. Gli altri membri della CSTO sono  la Russia , Belarus, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan e Uzbekistan, e questa organizzazione era stata considerata come il frutto del tentativo della Russia di contrastare l’espansione della NATO verso l’ex Unione Sovietica. 
Il giorno dopo l’incontro in Germania, il ministro della difesa e il ministro degli esteri dell’Armenia si sono recati a Brussels per partecipare ad un incontro del Consiglio del Nord Atlantico, la più importante struttura di governo della NATO, dove veniva valutato un piano specifico di azione di partenariato della NATO nei confronti dell’Armenia.  
I due eventi sono intrinsecamente connessi e fanno parte integrale del progetto della NATO per guadagnare il controllo sul Caucaso meridionale. L’Armenia, come l’Azerbaijan, confina con l’Iran. L’Azerbaijan e  la Georgia  confinano con  la Russia.
 
Inoltre, la guerra in Afghanistan ha fornito alla NATO l’opportunità di consolidare il controllo sui paesi della ex Jugoslavia. L’incontro del mese scorso in Estonia dei ministri degli esteri della NATO aveva lo scopo di approvare il piano di azione per l’acquisizione della Bosnia come membro, l’ultima tappa prima della sua piena adesione, dopo che  la Bosnia  ha annunciato dispiegamenti di truppe in Afghanistan.
“ La Bosnia  ha fatto il primo passo verso l’adesione alla NATO… visto che l’Alleanza dei 28 paesi ha offerto al paese balcanico un modello particolare per essere associato…Nel convenire l’offerta di un piano di azione per l’associazione della Bosnia, i ministri della NATO hanno ben accolto…i contributi del paese alla forza di sicurezza in Afghanistan (ISAF), a guida NATO.” [13]
Il 10 maggio, veniva riferito che Robert Simmons, assistente delegato del Segretario Generale della NATO per la cooperazione e la partnership sulla sicurezza e rappresentante speciale per il Caucaso meridionale e l’Asia centrale, annunciava che “il Montenegro... sarà il prossimo paese ad essere ammesso nella NATO.”[14]
Il Montenegro, un minuscolo paese indipendente da soli quattro anni, aveva inviato un suo primo contingente di truppa in Afghanistan in marzo e in questo mese di maggio il suo ministro della difesa e capo di stato maggiore visiterà il teatro di guerra.  
Nel corso dei mesi di marzo e aprile, il Comando Operativo delle Forze speciali degli Stati Uniti in Europa ha condotto esercitazioni aeree in collaborazione con l’aviazione militare della Croazia, come descritto dal sito web del Comando statunitense in Europa, secondo la nuova accentuazione del Pentagono su operazioni internazionali controinsurrezionali, di cui il laboratorio è costituito dall’Afghanistan: “La quadriennale Rivista di Difesa del 2010 metteva in luce l’importanza  di aumentare la disponibilità di aerei da battaglia come uno degli elementi più significativi per raggiungere il successo nelle operazioni su larga scala di controinsurrezione, di stabilità e di controterrorismo.” [16]
L’anno scorso,  la Croazia  e l’Albania, altra nazione balcanica, hanno ricevuto il benvenuto come membri a pieno titolo della NATO dopo aver fornito truppe per le guerre in Afghanistan e in Iraq.
All’inizio di questo mese il ministro della difesa dell’Albania si trovava in Afghanistan per ispezionare i suoi 255 militari di stanza nella provincia di Herat. “Il personale appartiene a due unità di elite dell’esercito: il Secondo Battaglione della Brigata di Intervento Rapido e il Reggimento Comando.” [17]
 
Oltre che sui paesi dei Balcani e del Caucaso meridionale, la guerra in Afghanistan è stata strumentale al rafforzamento del controllo della NATO sulle nazioni scandinave, che non sono ancora a pieno titolo suoi membri.  Il 12 maggio, il Comandante supremo delle forze alleate della NATO in Europa, l’ammiraglio statunitense James Stavridis, ha visitato  la Svezia  e  la Finlandia , ringraziando i due paesi per i 500 e i 150 uomini, rispettivamente, che aveva sotto il suo comando nelle operazioni NATO-ISAF in quattro province nel nord dell’Afghanistan.
Tuttavia, Stavridis, nel corso della sua ispezione ad una esercitazione a fuoco in Finlandia, non faceva menzione alcuna dei cinque soldati svedesi e finlandesi caduti in combattimento. 
 
La guerra in Afghanistan ha costituito anche il veicolo per la penetrazione formale della NATO nell’area del Pacifico asiatico, dando luogo a ciò che l’Alleanza definisce “cointeressenze” con paesi amici, come Australia, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud. 
All’inizio di questo mese, il capo del Comando Centrale degli Stati Uniti, generale David Petraeus (ora sollecitato ad una candidatura presidenziale nel 2012), ha dichiarato: “Darei il benvenuto ad altre truppe australiane in Afghanistan.” [18] L’Australia fornisce già il più grosso contributo di truppe fra quei paesi che non sono membri a pieno titolo della NATO.   .
L’11 maggio, il ministro degli esteri della Corea del Sud Yu Myung-hwan ha visitato il quartier generale della NATO e ha incontrato il Segretario Generale Rasmussen. “Durante l’incontro, hanno discusso come incoraggiare le relazioni fra  la NATO  e  la Corea ” [19]
In aprile,  la Corea  del Sud è diventata l’ultima nazione ad essere indicata ufficialmente come fornitrice di truppe in Afghanistan per  la NATO  e dispiegherà non meno di 400 soldati.  
In più, sotto comando della NATO stanno prestando servizio truppe da Singapore e dalla Mongolia [20] e il Kazakhstan, che come  la Mongolia confina con  la Russia  e  la Cina , è stato preso in considerazione come località per una nuova base militare per gli Stati Uniti e  la NATO , a complemento o per sostituire la base in Kyrgyzstan. [21]
La campagna afghana degli Stati Uniti e della NATO ha raggiunto l’obiettivo di estendere la rete militare del Pentagono e dell’Alleanza attraverso diversi continenti, dalle basi aeree in Bulgaria, Ungheria e Romania in Europa a quelle nell’Asia centrale – in Kyrgyzstan e nel Tajikistan – fino a strade e centri per i trasporti nel Caucaso meridionale (Georgia e Azerbaijan) e nell’Asia centrale (Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan, Turkmenistan e Uzbekistan).
Attraverso rapporti militari tra gli Stati Uniti e il Pakistan e  la Commissione  Militare  trilaterale Afghanistan- Pakistan-NATO, l’Occidente si è introdotto anche militarmente in Pakistan, nazione chiave.    
Il comandante NATO dell’International Security Assistance Force, generale McChrystal, si è recato ad Islamabad, capitale del Pakistan, “per fornire aggiornamenti sulle operazioni ISAF in Afghanistan e per consultazioni con il comandante in capo dell’esercito del Pakistan. La visita del comandante della NATO è arrivata proprio giusto quando le forze statunitensi stanno progettando un’importante offensiva contro la roccaforte talebana di Kandahar e quindi hanno la necessità dell’appoggio del Pakistan per intensificare la sicurezza lungo il confine, per bloccare le possibili infiltrazioni dei militanti rivoltosi. Il Pakistan ha dichiarato di avere dispiegato più di 100.000 uomini lungo i  2.000 chilometri  di confine con l’Afghanistan....”[22]
Quattro giorni prima, i media locali avevano riportato che le forze della NATO avevano sparato colpi di mortaio attraverso il confine dall’Afghanistan verso il Pakistan, ferendo cinque civili, due in modo grave, e creando seri danni ad una moschea. [23]
 
Il giorno prima della visita di McChrystal in Pakistan,  la Reuters  riferiva che “ la CIA  ha ricevuto l’autorizzazione a prendere di mira una vasta gamma di obiettivi in Pakistan con missili lanciati dai velivoli telecomandati droni, malgrado il malcontento delle autorità pakistane a causa dell’aumento di morti civili.” [24]
Oltre a permettere al Pentagono di estendere la sua ragnatela di stretti vincoli di natura militare attraverso l’Eurasia ed oltre, la guerra afghana ha fornito al Pentagono anche altre opportunità.  


(In English.
Sul caso del tentato assassinio di Radislav Krstic nella prigione di Wakefield (Gran Bretagna) si veda anche:
PETIZIONE: Voci di sconcerto per il Trattamento dei Prigionieri Politici Internazionali


Butchery at Wakefield Prison

1) Butchery at Wakefield Prison (N. Malic)
2) The International Defense Committee for ALL NATO/UN Political Prisoners and POWs

See also (in Russian): 
Смертельное послание Радовану Караджичу (13.05.2010 - Александр МЕЗЯЕВ)
http://fondsk.ru/article.php?id=3024


=== 1 ===

http://original.antiwar.com/malic/2010/05/14/butchery-at-wakefield-prison/

Butchery at Wakefield Prison


Posted By Nebojsa Malic On May 14, 2010 @ 11:00 pm 

In the morning hours of Friday, May 7, Radislav Krstic was nearly murdered. Three men barged into his cell at Wakefield prison, beat him and repeatedly attempted to slit his throat with a makeshift blade. Krstic is 62 years old and missing a leg. He is also a former general of the Bosnian Serb army, convicted in 2004 by the Hague Inquisition of "aiding and abetting" the alleged "genocide" in Srebrenica.

Not surprisingly, the media reporting on the attack have used the opportunity to harp on the Official Truth about Srebrenica and paint Krstic as some sort of bloody monster, while describing his near-slaughter as a "revenge attack." It is the same phrase that was used to excuse the terror attacks of the KLA against the non-Albanian population of Kosovo since the Serbian province was occupied by NATO in 1999.

There was no sympathy for a handicapped old man, or consternation that this could happen in a maximum-security facility. Rather, by painting it as a "revenge hit" against a "reviled" Serb convicted of "genocide," the media have made heroes out of the three Wakefield thugs. One of them is Indrit Krasniqi, a Kosovo Albanian convicted of torturing, gang-raping, and murdering a 16-year old Briton in 2006.

Wakefield is a facility for violent sex offenders, but apparently the UK government uses it to house war crimes convicts as well; in addition to Krstic, another inmate is former Bosnian president Momcilo Krajisnik.

Victim as Monster

Surprisingly little information has actually been released about the attack. All that is known is that three inmates barged into Krstic’s cell, stabbed him and tried to slit his throat with a weapon improvised from a razor blade and a toothbrush. Only Krasniqi was identified by name; the other two assailants remain unknown. Anonymous officials have told the media that "at least one of them is a Bosnian Muslim" but that has yet to be confirmed.

With few actual details at their disposal, the media have resorted to padding their stories with "facts" about Srebrenica and vicious depictions of Krstic. Just about everyone repeated the lines about "8,000 men and boys" and the "worst atrocity since World War Two" — stock phrases that inevitably appear in any story about Srebrenica. The AP even included this fanciful and entirely fictitious description of the massacre:

"At a car battery factory on the edge of town, men and boys were separated from women and girls, then hauled away, forced to strip — and shot one by one. Their wives and children were deported."

Meanwhile, Krstic himself was thoroughly demonized. The Sun called him a "Genocide Brute." Another journalist described him as a "notorious Serbian Warlord." And The Daily Mail claimed he had been "one of the most powerful men in the Bosnian Serb army, second only to General Ratko Mladic" — which is complete nonsense.

Official line was established early on, and closely followed: it was an "act of revenge." Since everyone pointed out that Krstic was a genocidal murderer, and that one of his assailants was a Bosnian Muslim, the clear implication was that the old man had it coming. Nothing to see here, move right along.

The most curious element of the attack — that all three assailants were apparently of Muslim faith, and that their method of attempted execution resembled the ritual slaughter of animals — got next to no mention. Instead, the press incessantly droned on about the Srebrenica "genocide" and Krstic’s role in it.

Guilty of Existence

The only trouble with Krstic being painted as some genocidal maniac is that he didn’t actually do anything. He wasn’t even in command of the Bosnian Serb force that took Srebrenica on July 11, 1995; he became commander of the Drina Corps only two days later, and led the attack on the other Muslim enclave in the region, Zepa, which fell on August 1.

Even a cursory examination of the actual verdict, both the original (2001) and the appeals (2004), reveals that Krstic was actually convicted of being a Bosnian Serb general at the time a massacre at Srebrenica is alleged to have happened. That is all. He was charged as a member of the "joint criminal enterprise" — an asserted, but never proven or documented, all-encompassing conspiracy to create a phantom "Greater Serbia." So, just by being a Bosnian Serb general, Krstic was guilty by default. And this, in turn, was described as "proof" that the actual conspiracy existed! Circular logic, yes, but par for the course at the Tribunal.

The Phantom Genocide

What makes the Krstic trial particularly sinister is that it wasn’t about the one-legged Serb general at all. He was merely a tool for the Prosecutors to push through a ruling that a "genocide" happened in Srebrenica. His defense, predictably, chose to disavow his role in anything that may have happened, without actually pressing the prosecutors to prove any of their claims. But since Krstic was guilty of simply existing, he was convicted — and the prosecution’s unproven allegations accepted as facts! To say that ICTY had to severely stretch the definition of the term "genocide" to make it fit what happened in Srebrenica is a colossal understatement.

A basic rule of jurisprudence dating back to Roman times is that there can be no crime without intent. But where is the intent in Srebrenica? The Tribunal has found precisely none. Instead, its judges have inferred the supposed intent from the allegations of conspiracy and mass murder. In a normal court it doesn’t matter what one believes, only what one can prove. But at the Tribunal, what the judges and prosecutors believe outweighs any evidence.

The final curiosity about the Srebrenica "genocide" is that it has no culprit. Namely, Gen. Krstic and Col. Vidoje Blagojevic were both initially convicted of it, but the ICTY itself later overturned both verdicts. Krstic was eventually blamed for "aiding and abetting," while Blagojevic’s verdict was changed to mass murder. No one — not a single person — has so far been rightfully convicted of actually committing "genocide" in Srebrenica.

Tell No Tales?

At the end of March, the Serbian parliament adopted a declaration condemning the Srebrenica atrocity. The declaration was written elsewhere, and rammed through the legislature while the country was distracted by a major sporting event. But the three-month public debate that preceded the sneak vote highlighted a mountain of unanswered questions, inaccuracies, incongruities and outright falsehoods in the official story about Srebrenica.

One of the things thus revealed is that the entire claim of "genocide" rests on the false crown witness, Bosnian Croat mercenary Drazen Erdemovic (now living as a protected witness somewhere in the West), and the Krstic verdict. Were the Krstic case to be re-examined, the "judicial fact" supposedly created by his conviction could be shown for the fraud that it is. Could it be, then, that the three would-be murderers — two of whom the press shows no desire to identify — acted not out of "revenge" as the official story would have it, but a desire to silence Krstic once and for all? Dead men tell no tales.

One Russian analyst has even speculated that the Krstic attack was a message to Radovan Karadzic, former Bosnian Serb president currently successfully battling the prosecution witnesses before the Tribunal.

If Alija Izetbegovic wanted to sacrifice 5,000 Muslims in Srebrenica for political purposes, as one of his former commanders claims, what’s a sacrifice of a Serb or three to the Tribunal and the Empire, to safeguard the Srebrenica myth?


=== 2 ===

http://intlndefcompppows.blogspot.com/2010/05/international-committee-to-defend.html


This blog is meant to be the site--literally, the meeting place--for the International Committee to Defend the Political Prisoners and POWs of NATO and the UN.

Though today the issue of the unjust and brutal unto murderous treatment of the victims of Western (US/UK/EU/Israeli) military adventurism, which since the Korean 'police action' in 1950 (2.5 million victims) has been fronted by the United Nations, is global in reach and involves everyone of the 171 nations where Western militarism has established its bases; this Committee intends to concentrate on two particular post-Cold War theatres of conquests that, from the beginning, have been effectively jointed in a uni-cephalic command, control and administrative structure: The two counter-revolutions initiated at the debut of the 1990s against Yugoslavia and Rwanda.

The media are seldom visited by individual horror stories about the bloody crimes against those who have been persecuted and prosecuted by the illegal ad hoc Tribunal system, the International Criminal Tribunals for Rwanda (ICTR in Arusha, Tanzania) and Yugoslavia (ICTY in The Hague).

But recently the shanking at Wakefield prison in Britain, by a trio of supposed Bosnian Muslim sympathizers, of General Radislav Krstic, who was working off a 35 year bid on humbug (and frequently amended) charges of having had something (anything) to do with the (unproven, though universally stipulated to) genocide at Srebrenica in July 1995, has gained significant public attention.

This incident is gory and sensational with its implications that the attack by Muslim sex criminals was in retribution for the mass murder (and implied rape) of Muslims at Srebrenica, and an understandable response to the on-going religious or ethnic conflicts supposed to have driven the Balkan wars (to have driven, in fact, all the 'post Communist' wars in both Yugoslavia and Rwanda), but, like so many of its ilk (the murders in custody of Presidents Milosevic and Babic, or the extra-judicial assassination and mutilation of an uncooperative ICTR witness, Juvenal Uwilingiyimana, at the order of current US Ambassador for War Crimes Stephen Rapp), it tends to distract from the banal, near quotidien occurence of such monstrous crimes against those whose sole real offense was to defend their homes, their families and their national revolutions against NATO/UN wastage.

The first effort of this Committee will be to reunify the Yugoslav and Rwanda tragedies in the public's considerations. The Western aggressors, in their military and judicial actions, already consider them two fronts of the same war against what remains of the rational and popular governments of the bi-polar Cold War world. We feel we can be most effective in correcting the on-going injustices of these commercial, financial and military occupations, if we consolidate our efforts into one movement.

You can join the Committee or express your views for or against its positions by commenting on this blog or sending an email to CirqueMinime/Paris at cirqueminime@....

The Prisoners' Defense Committee

The Founding Members of The Committee

1. Christopher Black
International Defense Attorney--Toronto

2. Ramsey Clark
Former US Attorney General; Founder of the International Action Center--NYC

3. Edward Herman
Professor Emeritus in Finance at the Wharton School, U of Pennsylvania--USA

4. Ljubodrag Simonovic
Master of Law, PhD; former basketball legend with the Yugoslav Olympic team and Red Star Belgrade--Serbia

5. Faustin Ntilikina
Major in the ex-Rwandan Armed Forces [FAR], author of "La prise de Kigali et la chasse aux réfugiés par l'Armée du Général Paul Kagame"--Strasbourg, France

6. Jean-Christophe Nizeyimana
Chairperson, African Survivor International--Wilnis, The Netherlands

7. Dr. Patrick Barriot, MD
Former Colonel in the UN Forces in the ex-Yugoslavia--Montpellier, France

8. June Kelley
Stenographer, Irish Representative to the ICDSM--Mullingar, County Westmeath, Ireland

9. Gregory Elich
Historian, author of 'Strange Liberators'--USA

10. Sara Flounders
Writer, co-Director the International Action Center--USA

11. Tatyana Collins-Lehman
Film Industry Organizer--NYC

12. Alan Mandell
Theatre Artist & Film/TV Actor--NYC, LA

13. Joseph Goodrich
Playwright & Actor--NYC

14. John Steppling
Theatre and Film Artist, Educator--LA

15. David Barouski
Africanist, Political Analyst--Wisconsin, USA

16. Mick Collins
Artistic & Pedagogical Director, CirqueMinime/Paris--France





(Un "attacco terrorista all'Europa" è quello sferrato dalle istituzioni transnazionali che gestiscono dittatorialmente la macroeconomia: BCE, FMI, BM, UE... Come definire altrimenti le imposizioni cui ha dovuto sottostare la Grecia? Ed i pretesti con cui si costringono i cittadini dei paesi capitalisti a subire drastici tagli ai servizi pubblici? Per coprire quali deficit, poi - quelli causati dalle vergognose spese militari? o quelli dovuti alla privazione di sovranità, per cui agli Stati è negato il diritto di stamparsi la moneta di cui hanno bisogno?
A ragionarci su è un articolo recentemente apparso su Mladina, la rivista che fu organo della gioventù comunista slovena.

Ovaj tekst na srpskohrvatskom:
Teroristički napad na Europu
Piše: Marcel Štefančič Jr - Tekst objavljen u Mladini, prevela Sanda Dukić


2010 / 19 / GEOPOLITIKA

Teroristični napad na Evropo

ZAKAJ BI BILO TREBA ŠPEKULANTE, KI SO SESULI GRČIJO, RAZGLASITI ZA TERORISTE IN JIM SODITI PO PROTITERORISTIČNI ZAKONODAJI 

MARCEL ŠTEFANČIČ, JR

Pošast hodi po Evropi - Grčija. Na vsak način jo je treba rešiti. Retoriko poznate: če pade Grčija, padejo evro, evroobmočje, Evropska unija in evropski sen. Grčija ne sme pasti! Za nobeno ceno! Če pade Grčija, pademo mi. Če pade Grčija, padejo tudi ostale domine - Portugalska, Irska, Španija, Italija in tako dalje. Toda pri tem evropskem strahu pred grškim bankrotom, ki bi lahko pokopal evro in Evropsko unijo, ni šlo le za strah pred grškim bankrotom, ampak tudi za strah pred grško revolucijo - torej pred tem, da bi Grčija padla v ogenj revolucije. Če bi revolucija uspela v Grčiji, bi se lahko razširila tudi drugam. Ergo: Grčijo je bilo treba rešiti pred bankrotom, da bi se jo rešilo pred revolucijo. Strah pred tem, da bi se bankrot iz Grčije razširil v ostale dežele Evropske unije, je bil le strah pred tem, da bi se ogenj revolucije iz Grčije razširil v ostale dežele unije. Grčiji je bilo treba vrniti vero v evro, trg, kapitalizem in ekonomsko prihodnost, to pa zato, da tudi ostale dežele Evropske unije ne bi začele izgubljati vere v evro, trg in kapitalizem. Ne brez razloga: prav zdaj - v tej finančni in gospodarski krizi - je vera v trg in kapitalizem tako omajana, da kar vabi in kliče k alternativi. K ognju. K revoluciji. Že dolgo ni bila tako omajana. Globalne proizvajalne sile in nacionalne države so v tako hudem konfliktu, da se vse, kar je še včeraj veljalo za naravno in samoumevno, razblinja. In zato morda niti ne bi bilo tako slabo, če Grčije ne bi motili in ustavljali, če bi jo torej prepustili revoluciji, če že zaradi ničesar drugega, potem vsaj zato, da bi končno videli, kaj bi se zgodilo - da bi videli, kaj je alternativa. Odkar namreč svet muči in trpinči kriza, je alternativa stalno v zraku, toda same alternative nam ne pustijo videti. Vedno jo še pravi čas dokapitalizirajo. Grčija je bila na tem, da postane alternativa - da torej postane tisto, kar nastane iz odpora do povampirjenega kapitalizma in skorumpirane politike. In vsak leninistični jakobinec, ki je zrasel na Brechtu, bi ob pogledu na grški ogenj dahnil le: kaj je požig banke v primerjavi z rešitvijo banke!
Grško situacijo so primerjali z različnimi preteklimi situacijami, recimo s časom ob koncu 19. stoletja, ko je Grčija dejansko oznanila bankrot, in s časom med letoma 1967 in 1974, ko je Grčijo - v spregi s CIO - »reševala« vojaška hunta (alias »režim polkovnikov«), nekateri so jo primerjali celo z veliko jugoslovansko krizo na začetku osemdesetih, toda še boljša primerjava je s časom po koncu II. svetovne vojne, ko so Grčijo »reševali« pred komunizmom. Ne pozabite: Američani so se komunizma tako bali, da so po vojni zrežirali volitve v Turčiji, Italiji in Grčiji - bali so se pač, da bi lahko na oblast prišli komunisti. Vzemite le Italijo: del te histerične protikomunistične kampanje so bila recimo pisma, v katerih so Američani italijanskega rodu svojcem pisali, naj nikar ne volijo komunistične partije - v Italijo je tik pred volitvami leta 1948 prišlo 10 milijonov takih pisem, v kampanjo pa so se vključili mnogi ameriški estradniki italijanskega rodu, recimo Frank Sinatra. Jasno, CIA je skrivaj financirala tudi propagandno vojno proti italijanski komunistični partiji. Vatikan, ki je začel z izobčevanjem članov komunistične partije, množičnim ustanavljanjem protikomunističnih »civilnih komitejev« in govorjenjem o »sveti vojni«, je svaril: ne volite komunistov! Ameriško zunanje ministrstvo pa je dalo tudi nedvoumno vedeti: kdor bo simpatiziral s komunisti, ne bo smel emigrirati v Ameriko!
Obenem pa je Amerika vse te države zasula tudi s finančno pomočjo, da bi si lahko ekonomsko opomogle - bali so se, da bi začeli ljudje zaradi povojnega kaosa, obupa in pomanjkanja koketirati s komunizmom, da bi torej zahtevali sovjetizacijo zahodne Evrope. Z eno besedo: bali so se, da bi zahodna Evropa - od Sredozemlja do Skandinavije in Britanije - padla pod komunizem. Zato je Amerika tedaj tudi lansirala Trumanovo doktrino in »Marshallov plan«, program za ekonomsko oživljanje Evrope, katerih cilj je bil prav to: zahodni Evropi vrniti vero v kapitalizem in trg. Preprečiti, da bi začela zahodna Evropa zaradi povojne bede kataklizmično razpadati in koketirati s komunizmom. Američani so bili zelo radodarni, toda ne brez razloga - Grke, Turke, Italijane in druge so skušali prepričati, da se je kapitalizem spremenil. Da je zdaj bolj občutljiv, bolj nežen, bolj radodaren, bolj socialen, bolj prijateljski. Sprejmite kapitalizem! Če se odločiš za kapitalizem, denar ni več problem! In z ameriško pomočjo se je grška državljanska vojna, ki se je vlekla od leta 1944 do leta 1949 (komuniste je servisiral Tito, ne pa Stalin!), končala s porazom levice. Komunistično partijo so po hitrem postopku izobčili, komunisti so zbežali - v nasprotnem primeru so tvegali zapor ali celo likvidacijo. Jasno, Grčijo so potem naglo sprejeli v NATO - da se ja ne bi sovjetizirala.


PRAVA OS ZLA


Ključ je bila torej prav Grčija. In retorika je bila podobna sedanji: Grčijo je treba rešiti! Za vsako ceno! Če pade Grčija, bodo padle tudi ostale domine! Če bo pod sovjetski, komunistični vpliv padla Grčija, potem so ogrožene tudi dežele zahodne Evrope, severne Afrike in Bližnjega vzhoda, vključno z Iranom. Grčija ne sme pasti! Pod nobenim pogojem! Če torej niso hoteli, da bi Grčija sredi tistega povojnega kaosa - sredi hude finančne in gospodarske krize - padla na »temno stran«, so morali Grkom vrniti vero v trg, ekonomsko prihodnost in kapitalizem. Tako kot morajo Grčijo zdaj obdržati v Evropski uniji, so jo morali tedaj obdržati v zahodni Evropi. Tako kot so Grčijo tedaj reševali pred revolucijo, jo pred revolucijo rešujejo tudi zdaj. In tako kot so ji tedaj z orjaškimi finančnimi injekcijami vračali vero v kapitalizem, ji vero v kapitalizem tudi zdaj vračajo z orjaško finančno injekcijo.
Ironija je le v tem, da Grčije tokrat ne rešujejo le pred revolucijo, ampak tudi pred samim kapitalizmom - in pred Ameriko. Paradoks je popoln: kapitalizem z orjaško finančno injekcijo - s »totalno mobilizacijo« evropskega kapitala - rešujejo pred kapitalizmom. Ali bolje rečeno: Grčijo rešujejo pred kapitalističnim napadom. Kdo je orkestriral ta destabilizacijski napad na Grčijo, ki naj bi destabiliziral tudi evro, Evropsko unijo in evropski sen, pa je očitno: Amerika. Oziroma: ameriške korporacije. Oziroma: korporacije, ki jih »gosti« Amerika. Za začetek, Amerika ni nikoli požrla nastanka te nove evropske skupnosti, združene Evrope - vzpon nove velesile, ki bi zamajal status Amerike kot edine in dominantne velesile, ni prišel v poštev, še toliko bolj, ker bi lahko evro ogrozil in spodrinil dolar, s katerim Amerika - oh, in ameriški sen - stoji in pade. In če malce bolje pomislite, je Amerika delala vse, da bi razbila in razdružila to združeno Evropo: z vilensko deklaracijo, z delitvijo Evrope na »staro« in »novo«, s podkupovanjem in izsiljevanjem dežel »nove« Evrope, z diskreditiranjem Francije, s kooptiranjem Britanije, z ustanavljanjem koalicij, z vsiljevanjem protiraketnega ščita in »nove hladne vojne« in tako dalje. Vse to je vžgalo, toda le do določene mere. Potem pa je našla najšibkejši člen - Ahilovo peto Evropske unije. Grčijo.
Kdo je kriv za kolaps Grčije? Rekli so vam: krivi so sami Grki, ker nič ne delajo, ker so neproduktivni, ker so skorumpirani, ker jim je treba posebej plačevati, da pridejo pravočasno na delo, ker imajo previsoke pokojnine, ker imajo previsoke plače, ker ne dajejo računov, ker ne plačujejo davkov, ker samo lenarijo, ker noro trošijo in se prekomerno zadolžujejo, ker živijo prek svojih zmožnosti. Sporočilo te populistične retorike je bilo jasno: Grki so se zlomili, ker ne razumejo kapitalizma in ker so se pretirano zadolževali - vidite, v krizo jih je potopilo to, kar je že pred tem v krizo potopilo svet! Toda to je bila le dimna zavesa. Grška »lenoba« ima namreč alarmantni drobni tisk, ali natančneje: grška pot v pekel je bila tlakovana s finančnim orožjem za množično uničevanje.
Prvič, že vse tja od februarja vemo, da je Grčiji v ekonomski pekel skrivaj pomagal Goldman Sachs, bančno-investicijski konglomerat, ki je orkestriral prikrivanje grških dolgov, obenem pa je z njimi - ob pomoči specialnih »derivatnih produktov« - špekuliral in bajno služil. Še več, grško vlado je celo prepričal, da je prihodke velikih javnih podjetij, recimo letališč, prepustila tajnim investitorjem, očitno klientom in partnerjem Goldmana Sachsa. Tuji investitorji, ki jih je organiziral Goldman Sachs, so se mastili, grška vlada, ki ji je Goldman Sachs zagotovil kreativno računovodstvo, pa je lahko razkošno zapravljala. Ergo: Wall Street je to, kar običajno počne v deželah tretjega sveta, storil v deželi Evropske unije - in povzročil drugo depresijo, drugi in še fatalnejši sunek krize. In da ne bo kakega nesporazuma: Goldman Sachs, izumitelj mnogih špekulantskih, hazarderskih, destruktivnih finančnih iluzij, ki slovi po skrajno arogantni korporativni etiki, je ameriški. Amerika ga kakopak tudi »gosti«. Še več, leta 2006 je direktor Goldmana Sachsa postal ameriški finančni minister. Ha! Jasno, Goldman Sachs, prepričan, da opravlja »božje delo«, je s krizo bajno zaslužil, bajno pa je tudi zaslužil s finančno pomočjo, ki mu jo je - zaradi krize - odobrila ameriška vlada. Menedžerjem so za lansko leto izplačali nagrade v znesku 16 milijard dolarjev! Z eno besedo: Goldman Sachs, ki ga »gosti« Amerika, je špekuliral proti Grčiji in proti Evropski uniji, kakor naj bi - po pisanju Wall Street Journala - proti evru špekulirali tudi nekateri ameriški skladi hedge (npr. SAC Capital Advisors LP, Greenlight Capital Inc., Soros Fund Management LLC, Paulson and Co).
Drugič, zdaj vemo, da so proti Grčiji in proti Evropski uniji špekulirale tudi največje bonitetne agencije, predvsem »velike tri«, Standard & Poor's, Moody's in Fitch, ki ocenjujejo tveganost investicij, finančnih »produktov«, podjetij in celo dežel in ki naj bi orkestrirale in povzročile že samo finančno krizo. Povsem ničvrednim, absolutno tveganim, tako rekoč samomorilskim investicijam in finančnim »produktom« so dajale najvišjo možno bonitetno oceno - AAA. Če rečejo AAA, potem je varno. Tisto magično oceno - trojni A - so dale recimo tudi »Abacusu 2007-AC1«, razvpitemu »kreditnemu produktu«, ki ga je lansiral Goldman Sachs: v resnici je bil junk. Kar so devet mesecev kasneje potrdile tudi same agencije, ko so AAA znižale v junk, alias D. Finančnemu imperiju Lehman Brothers so visoke ocene dajale še dan pred bankrotom, visoke ocene pa so dajale tudi drugim firmam (AIG, Bear Stearns, Merrill Lynch), ki so kmalu zatem oznanile bankrot. Ne le da so ocene očitno prirejali, ampak si je bilo mogoče visoke ocene tudi kupiti, še toliko bolj, ker so pri pakiranju novih finančnih »produktov« pogosto sodelovali kar analitiki teh bonitetnih agencij. Email, ki ga je pri eni izmed teh agencij našla Komisija za trg vrednostnih papirjev, je šel takole: »Tudi če bi ta posel sestavile krave, bi mu še vedno dali dobro oceno.« Neki drug email pa je šel takole: »Upajmo, da bomo vsi bogati in upokojeni, ko se bo ta hiša iz kart sesula.« Nič, junk - sumljive, skrajno tvegane, balonske »produkte - so propagirale kot varne investicije. Ne prvič - ne zadnjič.
Spiegel, Financial Times in BBC poročajo, da so te mogočne, monopolistične bonitetne agencije, od katerih ocen so odvisne poti investicij in kapitala, s svojim netočnim, prirejenim ocenjevanjem tveganj na nepremičninskem trgu in s svojim nenadnim, manipulantskim nižanjem ocen investicij povzročile finančno krizo in da se jim zaradi tega ni nič zgodilo, tako da lahko »anonimni analitiki« še vedno povsem mirno in deregulirano - kajti te fantomske bonitetne agencije, »sive eminence Wall Streeta«, so svet zase! - krojijo usode investicij, kapitala, podjetij in držav. »Kadar v finančnem svetu poči, je vedno mogoče najti sledi teh bonitetnih agencij.« In zdaj so te bonitetne agencije udarile še Evropsko unijo: najprej so dramatično - na junk! - znižale bonitetno oceno Grčiji, in sicer v trenutku, ko je bilo že jasno, da bo Evropska unija Grčiji namenila orjaško finančno pomoč in da bo v Grčijo vstopil tudi Mednarodni denarni sklad, potem pa so povsem nepričakovano znižale še bonitetno oceno Portugalski in Španiji. Kar je nerodno: takšno znižanje ocene finančnega tveganja povzroči paniko med investitorji, ki se skušajo državnih obveznic na hitro znebiti ali pa jih nočejo več kupovati, medtem ko mora »šokirano« podjetje - ali »šokirana« država - na hitro priti do novega kapitala. In bonitetne agencije so vedele, kaj počnejo, ko so na hitro znižale oceno Grčiji, Portugalski in Španiji: zavedajo se pač, »da njihove ocene postanejo prerokbe, ki uresničujejo same sebe«, in da trg - kapital, investicije, logika kapitalističnega stroja - sledi njihovim ocenam. Če hočejo zamajati Evropsko unijo, ji morajo le znižati bonitetno oceno. In natanko to so storile. Jasno, vse tri največje bonitetne agencije - Standard & Poor's, Moody's in Fitch - so ameriške. In vse tri so v zadnjih letih bajno služile.


KAPITALIZEM KOT TERORIZEM


In tretjič, evropski veljaki so reagirali z militantno retoriko, s katero so skušali pomiriti evropsko ljudstvo, toda nikar ne spreglejte čudne nedorečenosti te retorike. Nemška kanclerka Angela Merkel je rekla, da gre za »boj politikov proti trgom«, kajti »špekulanti so naši sovražniki«. Da je Evropska unija v boju proti finančnim trgom in da do njih ne bo več kazala nobene milosti, je potrdil tudi francoski predsednik Nicolas Sarkozy. »Brez milosti se bomo borili za regulacijo finančnih trgov!« luksemburški premier Jean-Claude Juncker, sicer šef evroobmočja, je poudaril, da je padec evra rezultat »globalno organiziranih napadov«. Francoski premier Francois Fillon je špekulativni napad na Grčijo razglasil za napad na evro, portugalski premier Jose Socrates pa je špekuliranje proti evru in Grčiji razglasil za »napad na evropski projekt«, zato mora Evropa »od besed preiti k dejanjem«. Tudi predsednik evropske komisije Jose Manuel Barroso je napadel finančne špekulante in dodal, da »finančni trgi ne bodo igrišče za špekulante«. Švedski finančni minister Anders Borg je rekel, da so Evropsko unijo napadli »volkovi« - in če jih ne bomo ustavili, »bodo raztrgali šibke države«. In tako dalje.
Kaj je narobe s to sliko? Kaj je tudi nedorečeno? Kaj manjka tej retoriki? Tole: odgovor na vprašanje, kdo je napadel Grčijo, evro in Evropsko unijo. Finančni špekulanti? Kul - če so jih napadli finančni špekulanti, potem jih izobčite! In ker je šlo za »finančni terorizem«, kot pravi finančni analitik Max Keyser, potem jih razglasite za teroriste - in sodite jim po protiteroristični zakonodaji! Ali bolje rečeno: če je šlo za finančni terorizem, potem je treba za teroristična dejanja razglasiti same finančne špekulacije. Amerika je napadla Afganistan, ker je »gostil« teroriste. Hja, od besed je treba preiti k dejanjem. Toda tu je problem: evropski veljaki so skušali s to retoriko pokazati, da obstajata dva kapitalizma, »dobri« in »malopridni«, da ima torej kapitalizem dve plati, »dobro« in »slabo« - za slabo plat so razglasili finančne špekulacije. Že Marx pa je vedel, da »dobrih« in »slabih« plati kapitalizma ni mogoče ločiti - in da je kapitalizem to, kar je, prav zaradi svojih »slabih« plati, zaradi špekuliranja.
Ker pa »dobrih« in »slabih« plati kapitalizma ni mogoče ločiti, ker so torej prej ali slej eno, je mogoče sklepati, da je Grčijo, evro in Evropsko unijo napadel kapitalizem. Ga bodo veljaki Evropske unije izobčili? Ga bodo razglasili za terorizem? Mu bodo sodili po protiteroristični zakonodaji? Ne. Ampak bodo raje še naprej reševali banke - namesto da bi jih podržavili. Še naprej bodo združevali Evropo, pa četudi je kapitalistično združevanje Evrope prišlo do kritične točke, ki samo Evropo vse bolj sili v Imperij. Še naprej bodo glorificirali kapitalske trge, pa četudi je v njih očitno vgrajeno večje »sistemsko tveganje« kot kadarkoli in četudi je kapitalizem v zadnjih tridesetih letih doživel več kriz kot kadarkoli. In seveda, kazali nam bodo tiste absurdne, nemogoče »dobre« plati kapitalizma - vidite, tudi kapitalizem se lahko spremeni! Slabe plati kapitalizma smo odpravili! Kapitalizem je dober, ker ima dobre plati! Ergo: kapitalizem je brez alternative! Odpovejte revolucijo! Hej, kaj če je bil ta »anonimni« napad na Grčijo, evro in Evropsko unijo le signal, ki ga je »slaba« plat kapitalizma poslala Evropski uniji: pustite me pri miru, ne igrajte se z mano, ne mešajte se v moje posle, ne skušajte me ustaviti, reformirati, regulirati ali kontrolirati - sami lahko dobro vidite, česa sem sposobna! Iztirim lahko kompletne države!
Tragedija te nove evropske složnosti in tega odločnega reševanja Grčije - oh, in evra in Evropske unije - je v tem, da bosta dobro služila le »doktrini šoka«: evropsko ljudstvo so namreč s tem, kar se dogaja z Grčijo, tako šokirali, da bo zdaj lažje sprejelo hude posege v socialno državo in javne finance. Češ: če nočemo postati Grčija, moramo drastično skrčiti javno trošenje in socialno državo. In res, povsod so napovedana drastična krčenja socialne države - v Grčiji, Španiji in Franciji, na Irskem in Portugalskem, pa tudi v Sloveniji. Kar je bilo pred grškim »šokom« nemogoče, bo zdaj mogoče: evropske vlade bodo lahko izpeljale reforme, ki jih prej niso mogle. In ljudje bodo vse to požrli, da se ne bi spremenili v Grke. Kapitalizem se bo spremenil - od njega bo ostala le še »slaba« plat. Kapitalizem socialne države ne potrebuje več - potreboval jo je le zato, da bi ljudi odvračal od komunizma. Zdaj komunizma ni več.
Kaj so rekli, ko je svet udarila kriza, veste: ker ni nihče vedel, kaj se dogaja, so vsi odpovedali in reagirali prepozno. Kaj se je zgodilo pri Grčiji, pa tudi veste: spet so vsi odpovedali, pa četudi so vedeli, kaj se dogaja. Kar nas pripelje do vprašanja: kaj če so tudi pred krizo vedeli, kaj se dogaja in pripravlja? Kaj če je bil svet določen za krizo - tako kot je bila za bankrot določena Grčija? In kaj če je od kapitalizma ostala le še »slaba« plat? Le še terorizem.