Informazione
“Non vi crediamo!”- Un giornale economico tedesco mette in discussione l’11/9
La rivista economica tedesca «Focus Money» (N. 2 / 2010), affronta una narrazione dettagliata sull’11/9 e mette radicalmente in discussione la versione ufficiale. Stiamo parlando del secondo settimanale economico della nazione economicamente più forte dell’Europa, un magazine edito da un colosso dell’editoria tedesca, il gruppo di Hubert Burda.
Il signor Burda è un insigne esponente della superclasse globale, un editore-intellettuale di primissimo piano nell’establishment germanico: è leader della VDZ, la “confindustria degli editori”, nonché cofondatore dell’analogo sindacato su scala europea, ma è anche membro del Consiglio del World Economic Forum e ha partecipato perfino a riunioni dell’esclusivo Club Bilderberg.
L’uscita di questo articolo - http://www.focus.de/finanzen/news/terroranschlaege-vom-11-september-2001-wir-glauben-euch-nicht_aid_467894.html - è dunque degna di attenzione: è la prima volta che un giornale così ben inserito nelmainstream occidentale si cimenta nel raccontare in modo talmente critico i lati più scomodi dell’evento che ha dato l’impronta al secolo, l’11 settembre.
«Focus Money», espone la maggior parte degli argomenti e delle contraddizioni cruciali in cinque pagine patinate. Tra le altre questioni affrontate, l’articolo suppone che il crollo del World Trade Center possa essere stata una demolizione intenzionale.
Inoltre, l’articolo solleva seri dubbi circa la “follia” attribuita alle personalità critiche, che di solito vengono stigmatizzate come “teorici del complotto”. La rivista ricorda che «non si tratta solo di politici seri che non vogliono più credere alla versione ufficiale», bensì anche, «di migliaia di scienziati che mettono in discussione l’11/9».
L’autore dell’articolo è Oliver Janich. Lavora come giornalista d’inchiesta freelance per «Financial Times Deutschland», «Sueddeutsche Zeitung», «Euro&Finance» e ha una rubrica fissa per «Focus Money».
Nel suo blog - http://www.oliverjanich.de/ - Janich spiega che ha lottato molti anni per convincere la redazione della necessità di pubblicare queste cinque pagine. Si chiede sommessamente perché il mainstream resista, e prova a rispondere: non è necessaria una grande congiura dei media per impedire che si pubblichi questo tipo di storie, soprattutto per i grandi eventi. Ogni redattore, secondo Janich, ha il timore di incappare nella vergogna di ripetere l’infortunio dei falsi diari di Hitler, che nel 1983 danneggiò enormemente il settimanale «Stern». Janich descrive questa riluttanza dei colleghi, dovuta proprio alla grandezza dell’evento, finché, guardando ai fatti, i colleghi ammettono che è sbagliato non porsi dubbi. E così nasce anche l’articolo sull’11/9.
La prima pagina dell’articolo mostra le foto di personalità scettiche sull’«11/9 “ufficiale”», tra cui Charlie Sheen, Sharon Stone, Rosie O’Donnell, William Rodriguez (accanto a George W. Bush), l’ex governatore Jesse Ventura, Richard Gage, il giudice federale tedesco Dieter Deiseroth e molti altri.
Il resto dell’articolo è denso di accenni a molte informazioni. La prova di una demolizione controllata degli edifici, la critica della teoria dell’incendio, le domande sugli intercettori, sull’Edificio 7 del WTC e sul Pentagono. Si parla delle “manovre di volo impossibili,” delle dimissioni del senatore Max Cleland, che viene citato nel dire «È una truffa, uno scandalo nazionale», sdegnato dalla marea di menzogne alla Commissione, che hanno ostacolato le indagini. Si fa anche cenno alla misteriosa morte di Barry Jennings - http://pino-cabras.blogspot.com/search?q=barry+jennings -, un alto funzionario del Dipartimento dei Servizi di emergenza della città di New York. Era un testimone chiave dei fatti accaduti all’Edificio 7. Ancora ricoperto di polvere, Jennings aveva rilasciato un’intervista in diretta alla ABC e poi più avanti nel tempo per il documentario “Loose Change Final Cut” - http://lc911finalcut.com/ - diretto da Dylan Avery.
Appena pochi mesi fa, ai primi di settembre, c’era stato già un articolo - http://www.911video.de/news/020909/ - corretto e bilanciato sull’11/9 in un settimanale TV tedesco.
Le ragioni della pubblicazione dell’articolo di «Focus Money» sono da comprendere. Può darsi che la redazione abbia autonomamente deciso di pubblicare una storia in sé interessante, che ormai anche per una testata giornalistica di quella dimensione risulta difficile “regalare” ai media “alternativi”. E quindi potrebbe essere un caso legato a scelte commerciali contingenti.
Non si può ignorare però che la pubblicazione ricade in un momento in cui ha ripreso vigore tutta la retorica legata ad al-Qa’ida, sull’onda dello strano pseudo-attentato di Mutanda Boom sul volo Amsterdam-Detroit. Quella retorica è usata a piene mani dall’Amministrazione USA per sostenere un rinnovato sforzo bellico in Afghanistan. La Germania, troppo militarmente coinvolta in quell’area e assai riluttante a esporsi con ulteriori soldati, potrebbe essere interessata a iniziare a screditare il racconto di fondo, a partire proprio dall’11/9. Qualcosa di simile è accaduta in Giappone con il cambio della guardia nel governo, laddove il Partito Democratico giapponese sfida apertamente la versione ufficiale del governo USA sui fatti dell’11/9 e ne mette in discussione la capacità di giustificare l’intervento in Afghanistan.
Può quindi accadere che le redazioni si sentano più libere di riportare i dubbi che non avevano mai osato pubblicare prima, perché temevano la catena di domande radicali che si trascinavano con sé sulla struttura del potere. Anche in seno alle classi dirigenti forse si apre qualche dibattito sul destino del mondo e sulle soluzioni non solo militari.
L'articolo pubblicato da «Focus Money»: http://www.focus.de/finanzen/news/terroranschlaege-vom-11-september-2001-wir-glauben-euch-nicht_aid_467894.html.
Vedi anche: luogocomune.net e zerofilm.info.
Versione in spagnolo: http://www.megachipdue.info/finestre/zero-11-settembre/2318-qino-os-creemosq-un-periodico-economico-aleman-pone-en-discusion-el-119.html
WIR GLAUBEN EUCH NICHT!
Die Webseite www.patriotsquestion911.com zählt inzwischen rund 2000 Universitätsprofessoren, Militärs, Piloten, Polizisten, Architekten, Ingenieure, Physiker, Geheimdienstexperten, Richter und Prominente auf, davon allein 400 Wissenschaftler – ohne dabei selbst Stellung zu beziehen. Mit Francesco Cossiga haben auch ein Ex-Präsident Italiens und mit dem Schriftsteller Dario Fo ein Nobelpreisträger Zweifel an der offiziellen Theorie von George W. Bush. Sind diese Menschen, denen sonst in ihren Berufen eine hohe Glaubwürdigkeit zugebilligt wird, denen zum Teil Menschenleben anvertraut werden, alle verrückt geworden? Was unterscheidet diese besorgten Bürger von jenen, die alle, die nicht an die offizielle Version glauben, für verrückte Verschwörungstheoretiker halten? Sie haben sich mit den Fakten beschäftigt, von denen in den traditionellen Medien kaum die Rede ist.
Das dritte Newton´sche Gesetz. „Masse geht immer den Weg des geringsten Widerstands“, hatte der berühmte Physiker schon vor mehr als 300 Jahren erkannt. Es ist noch nicht einmal möglich, ein Streichholz von oben nach unten zusammendrücken. Es knickt an der Stelle ab, an der es zuerst nachgibt. Ähnlich wie ein Baum zur Seite fällt, wenn mit der Axt eine Kerbe hineingeschlagen wird. Das heißt: Wo immer der Stahl durch den Aufprall des Flugzeugs zuerst nachgegeben haben mag, auf diese Seite hätte das Gebäude fallen müssen.
„Stellen Sie sich eine ganz einfache Frage: Warum bot der untere Gebäudeblock überhaupt keinen Widerstand für den weit kleineren oberen Gebäudeteil?“, fragt der Architekt Richard Gage. „Die Türme beschleunigten ohne Unterbrechung in freier Fallgeschwindigkeit, weich und symmetrisch, als ob die unteren 90 Stockwerke überhaupt nicht existierten. Der einzige Weg, das zu Stande zu bringen, ist eine kontrollierte Sprengung.“ Die Regierungsbehörde NIST, die für die Untersuchung der Zusammenbrüche zuständig ist, hat die Möglichkeit einer kontrollierten Sprengung aber gar nicht in Betracht gezogen. Die kuriose Begründung: Kontrollierte Sprengungen beginnen normalerweise von unten im Keller. Jedoch hat der Hausmeister William Rodriguez genau solche Sprengungen in den unteren Stockwerken bei mehreren Gelegenheiten unter anderem in Jesse Venturas Serie bezeugt.
Ventura selbst änderte seine Meinung erst, als ihn sein Sohn überredete, den Film „Loose Change“ anzuschauen, der im Web inzwischen über 100 Millionen Mal abgerufen worden sein soll. Filme wie „Zero“ des italienischen Europa-Abgeordneten Giulietto Chiesa oder „911 Mysteries“ wurden inzwischen auch im ORF oder auf Vox gezeigt. Venturas Serie „Conspiracy Theorie“ ist auf Ted Turners Kabelsender TruTV zu sehen. Auch der Hollywood-Produzent Aaron Russo („Die Glücksritter“) beschäftigte sich in seinem Dokumentarfilm „America: From Freedom to Fascism“ mit den Hintergründen von 9/11. Alle Filme sind bei Google-Video abrufbar.
Architects and Engineers for 911 Truth. Der Architekt Richard Gage bestreitet zudem, dass Feuer die drei Wolkenkratzer zum Einsturz brachte: „Feuer in Wolkenkratzern haben noch niemals Stahlgebäude zum Einsturz gebracht.“ Gage ist seit zwanzig Jahren Architekt und hat dabei zahlreiche feuersichere Stahlgebäude errichtet. Zuletzt arbeitete er an einem 400-Millionen-Euro-Projekt, bei dem 1200 Tonnen Stahl verbaut wurden. Er hat die Bewegung Architects and Engineers for 911 Truth (ae911truth.org) gegründet, der sich inzwischen knapp tausend Architekten und Ingenieure und 5000 weitere Unterstützer angeschlossen haben. „Der Zusammenbruch der Twin Towers und von World Trade Center 7 erfüllt alle Kriterien einer kontrollierten Sprengung, aber kein einziges Kriterium für einen Einsturz auf Grund von Feuer“ erklärt Gage (siehe Kasten links). Er verweist auch auf die zahlreichen Beweise für Sprengungen. „Wir haben Tonnen an geschmolzenem Stahl gefunden. Stahl schmilzt erst bei 3000 Grad Fahrenheit, Kerosin und Bürofeuer erreichen maximal 1400, vielleicht 1600 Grad Fahrenheit.“
Laut Gage ist die Wahrscheinlichkeit dafür, dass die Feuer exakt gleichzeitig alle tragenden Teile schädigten, gleich null. Aber selbst wenn die Wahrscheinlichkeit beispielsweise bei zehn Prozent läge, ist zu bedenken, dass an diesem Tag drei Gebäude symmetrisch in sich zusammenstürzten. Die Wahrscheinlichkeit dafür, dass das dreimal am selben Tag passiert, wäre dann 0,1 (zehn Prozent) mal 0,1 mal 0,1 mal 100, also 0,1 Prozent. Mit anderen Worten: Selbst wenn man die Chancen für so ein Ereignis vergleichsweise hoch einschätzt, liegt die Wahrscheinlichkeit dafür, dass die offizielle Theorie falsch ist, bei 99,9 Prozent. Menschen neigen dazu, Wahrscheinlichkeiten falsch einzuschätzen, wenn sie die vermeintliche Ursache – den Flugzeugeinschlag – zu glauben kennen. Das World Trade Center 7 stürzte ebenso in fast freier Fallgeschwindigkeit zusammen wie WTC 1 und 2. Der Unterschied: Es schlug überhaupt kein Flugzeug ein. Videos vom Einsturz dieses Gebäudes verbreiteten sich schnell im Internet. Die einzig logische Erklärung für so einen Zusammenbruch wäre eine Sprengung (siehe Kasten).
Scholarsfor911truth. Wissenschaftler wie Steve Jones wollen sogar den Sprengstoff gefunden haben. Der Physiker war Professor an der Brigham Young University. Als er begann, die Organisation scholarsfor911truth (www. www.st911.org, Akademiker für 911-Wahrheit) aufzubauen, wurde er von der Universitätsleitung dazu gedrängt, in Frühpension zu gehen. Professor Jones und andere, darunter auch der dänische Wissenschaftler Dr. Niels Harrit, haben 20 Proben aus dem Staub des World Trade Center untersucht und dabei klare Spuren von Nanothermit gefunden – einem Sprengstoff, der bisher nur vom Militär benutzt worden sein soll.
Zahlreiche Feuerwehrmänner und Rettungssanitäter bezeugten Explosionen. „Es war, als wenn es explodierte ... als ob sie geplant hätten, ein Gebäude zu sprengen, boom, boom, boom“, erzählte der Feuerwehr-Captain Dennis Tardio Kollegen, während er von einem Team gefilmt wurde. Der Rettungssanitäter Daniel Rivera wird noch konkreter: „Es war wie eine professionelle Sprengung, wo sie Sprengkörper auf bestimmten Etagen anbringen: pop, pop, pop.“ Gelegenheiten, die Bomben zu platzie-ren, gab es zahlreiche. Ben Fountain, der als Finanzanalyst im Südturm arbeitete, berichtete, „in den Wochen zuvor gab es zahlreiche unbegründete und ungewöhnliche Übungen, bei denen Sektionen von beiden Zwillingstürmen und WTC 7 aus Sicherheitsgründen evaku-iert wurden“.
Das Problem: Der damals zuständige Oberstaatsanwalt von New York, Eliot Spitzer, verweigerte eine gerichtliche Untersuchung. In den USA gibt es noch die Möglichkeit, einen Zivilprozess auf Schadensersatz anzustrengen. Zahlreiche Opferangehörige versuchen bis heute, diesen Weg zu gehen. Eine Gruppe wurde dabei von Stanley Hilton vertreten, der Berater des republikanischen Präsidentschaftskandidaten Bob Dole war. Die Klage gegen George W. Bush, Dick Cheney und weitere wurde 2004 auf Grund der Immunität der Amtsträger – nicht auf Grund mangelnder Beweise – abgewiesen.
Stand-down-Order. Ein Prozess könnte zum Beispiel auch klären, warum die Abfangjäger am Boden blieben (siehe Kasten links). Laut Zeugen gab Dick Cheney eine sogenannte Stand-down-Order, also den Befehl an die Abfangjäger, auf keinen Fall abzuheben. So lassen sich die Aussagen des Verkehrsministers Norman Mineta und von Sergeant Lauro Chavez interpretieren, der am 11. September Dienst hatte. Ein Staatsanwalt hätte die Möglichkeit, die Dienstpläne einzusehen und alle an diesem Tag anwesenden Personen unter Eid aussagen zu lassen.
Die 9/11-Kommission ersetzt keine gerichtliche Untersuchung. Senator Max Cleland trat mit folgenden Worten aus der Kommission zurück: „Es ist ein Betrug, ein nationaler Skandal.“ Zahlreiche Zeugenaussagen wurden einfach nicht in den Bericht aufgenommen. Andere Kommissionsmitglieder bis hin zum Vorsitzenden Thomas Kean beschwerten sich darüber, laufend von den Behörden belogen worden zu sein. Auch die Aussage von Barry Jennings erschien nie im Bericht der 9/11-Komission. Jennings war Vizedirektor des Emergency Service Department der Stadt New York. Der Mann, der am 11. September vielen Menschen im WTC 7 das Leben rettete, gab noch am selben Tag, mit Staub bedeckt, auf ABC ein Live-Interview, wonach er Explosionen gehört hatte. 2007 konkretisierte er seine Aussagen in einem Interview mit Dylan Avery, einem der Macher von „Loose Change“. Er berichtete, dass er die Explosionen bereits miterlebte, bevor der erste Zwillingsturm einstürzte, und dass die Eingangshalle entgegen der offiziellen Darstellung mit Leichen übersät war.
Mysteriöser Todesfall. Laut Avery bat ihn Jennings, das Material nicht zu veröffentlichen, weil ihm gedroht wurde, dass er dann seinen Job verlieren würde. Nachdem aber die BBC ein Interview mit Jennings veröffentlichte, das Averys Meinung nach entstellt wurde, entschied er sich, seine volle Aussage in „Loose Change Final Cut“ zu bringen. Am 19. August 2008, zwei Tage bevor die Regierungsbehörde NIST den offiziellen WTC-7-Bericht herausgab, der der Aussage von Jennings diametral entgegensteht, starb Jennings im Alter von 53 Jahren unter ungeklärten Umständen. Ein Privatdetektiv, den Avery engagierte, damit dieser Nachforschungen anstellte, brach seine Arbeit ab.
Die zahlreichen Ungereimtheiten veranlassten kürzlich sogar einen deutschen Bundesverwaltungsrichter, Dieter Deiseroth, in einem Interview mit dem Internet-Dienst Heise eine neue Untersuchung zu fordern: „Es darf in einem Rechtsstaat nicht sein, dass man auf die erforderlichen Maßnahmen der Ermittlung von Verdächtigen, ihre Dingfestmachung und eine Anklageerhebung vor einem unabhängigen Gericht verzichtet ... Interessanterweise wird Osama bin Laden vom FBI bis heute nicht wegen 9/11 gesucht.“ Das Interview schließt mit den Worten: „Das schreit geradezu nach Aufklärung.“
Die Zwillingstürme – Kontrollierte Sprengungen?
Beweise für Sprengungen
Laut der Architektenvereinigung ae911truth.org waren alle Kriterien für eine kontrollierte Sprengung erfüllt:
Die Zerstörung folgt dem Pfad des größten Widerstands.
Die Trümmerteile sind symmetrisch verteilt.
extrem schneller Beginn der Zerstörung (rapid onset)
Über 100 Zeugen berichteten von Explosionen und Lichtblitzen.
Mehrere Tonnen schwere Stahl- teile flogen vertikal heraus.
90000 Tonnen Metall und Beton wurden in der Luft pulverisiert.
sehr große, sich ausdehnende pyroklastische Wolken (siehe rechts)
keine pfannkuchenartige Aufei-nanderhäufung von Etagen
isolierte horizontale Explosionen 20 bis 40 Stockwerke tiefer
geschmolzener Stahl und Sprengstoff Thermit gefunden
Kriterien für Feuer
Drei Kriterien hätten mindestens erfüllt sein müssen, wenn das Gebäude auf Grund von Feuer einstürzte:
langsamer Beginn mit großen sichtbaren Verformungen
asymmetrischer Kollaps entlang des geringsten Widerstands
Beweis von Temperaturen, die Stahl schwächen könnten
Und: Noch nie stürzte ein Stahlhochhaus auf Grund von Feuer ein.
World Trade Center 7 – Fehler im Report
World Trade Center 7, ein 47 Stock hohes, gut gesichertes Stahlgebäude, in dem CIA und Secret Service residierten, brach etwa sieben Stunden nach den Zwillingstürmen zusammen, obwohl dort gar kein Flugzeug hineingerast war. Im offiziellen „9/11 Commission Report“ wird das Gebäude gar nicht erwähnt. Die zahlreichen Anfragen von Mitgliedern der 9/11-Wahrheitsbewegung haben aber das National Institute of Standards and Technology (NIST), eine Bundesbehörde, dazu bewegt, sieben Jahre nach dem Zusammensturz eine Studie vorzulegen. Das größte Rätsel, das die Experten zu lösen hatten, war, dass die Gebäude praktisch in freier Fallgeschwindigkeit zusammenbrachen. Normalerweise bieten die jeweiligen Etagen einen Widerstand, sodass das Gebäude viel langsamer hätte zusammenfallen müssen. Nach offizieller Lesart beschädigten herabfallende Trümmerteile der Zwillingstürme das Gebäude. Allerdings ist WTC 7 circa ein Fußballfeld weit entfernt, und es sind auf den Aufnahmen keine erheblichen Schäden erkennbar. Zudem hätte das Gebäude dann auf die Seite der Beschädigungen und nicht in sein eigenes Fundament fallen müssen. Die Lösung, die NIST dann lieferte, führte zu Ausbrüchen von Heiterkeit bis Entsetzen in der Wahrheitsbewegung. „Lächerlich“, „totaler Bullshit“, das waren noch die höflichsten Kommentare.
Die offizielle Version geht so: Innerlich wäre das Gebäude schon 30 Minuten lang zusammengebrochen, und am Schluss kam die Außenhaut in freier Fallgeschwindigkeit runter – ein noch nie da gewesener Vorgang. Wissenschaftler der Truther-Gemeinde verfassten seitenlange Studien, in denen sie Detail um Detail der offiziellen Studie in Frage stellten. Keine dieser Fragen wurde bislang beantwortet, die vollständigen Daten des benutzten Computermodells bleiben geheim. Nur ein Beispiel der Widersprüchlichkeiten im NIST-Report: Es werden Temperaturen für 5.30 und 6.00 Uhr nachmittags auf den Etagen angezeigt. Das Gebäude brach aber schon um 5.21 Uhr zusammen.
Pentagon-Crash – Unmögliche Flugmanöver
Über 200 Piloten und Luftfahrtexperten zweifeln die offizielle Version an. Piloten der Vereinigung „Pilots for 911 Truth“ (http://pilotsfor911truth.org/) sagen, es sei unmöglich, mit einer Boeing so ein Manöver durchzuführen, um das Pentagon zu treffen. Captain Russ Wittenberg, der 35 Jahre lang für PanAm und United Airlines arbeitete, sagte: „Ich flog beide Flugzeugtypen, die am 11. September eingesetzt wurden. Die Flugzeuge sollen ihr Geschwindigkeitslimit um über 100 Knoten überschritten und Hochgeschwindigkeitskurven geflogen haben, bei denen 5, 6, 7 G auftraten. Und das Flugzeug hätte buchstäblich aus der Luft fallen müssen. Ich könnte das nicht, und ich bin absolut sicher, sie konnten es nicht.“. Die Piloten stellen auch in Frage, ob jemand, der auf einer Cessna übt, überhaupt eine Boeing fliegen kann. Zumal die Fluglehrer berichten, dass es sich um miserable Piloten handelte, einer konnte gar nicht fliegen. Viele Piloten bezweifeln sogar, dass es möglich ist, die Twin Towers in voller Geschwindigkeit zu treffen, zumal eines der Flugzeuge mitten in einer Kurve lag. Ungewöhnlich ist auch, dass praktisch keine Flugzeugteile beim Pentagon zu sehen sind. Ralph Omholt, ein langjähriger Boeing-Pilot: „Da war kein Heck, da waren keine Flügel, keine Bestätigung für den Crash einer Boeing 757.“ Vor allem die Triebwerke aus Titanium hätten den Crash überleben müssen.
Außerdem weisen die Piloten darauf hin, dass das Loch im Pentagon viel zu klein sei. Entweder die Fenster daneben müssten zum Beispiel beschädigt sein, oder Trümmer müssten davor liegen. Nicht einmal der Rasen ist angekratzt. Ebenso verdächtig: Das Pentagon als eines der bestbewachten Gebäude der Welt ist umringt von Überwachungskameras. Das einzige Video, das der Öffentlichkeit präsentiert wurde, zeigt alles, nur keine Boeing.
Luftabwehr – Wo waren die Abfangjäger?
Eines der großen Rätsel dieses Tages ist, warum die Flugzeuge nicht abgefangen wurden, obwohl noch bis zu eine Stunde Zeit dazu war. Das Abfangen von Flugzeugen, die vom Kurs abweichen, ist reine Routine. Es passiert in den USA etwa hundertmal im Jahr. Aber im Juni 2001 wurde diese Standardprozedur geändert. Aus einem Memo an den vereinigten Generalstab (Joint Chiefs of Staff) geht hervor, dass zuerst das Verteidigungsministerium gefragt werden müsse, bevor Abfangjäger aufsteigen. Es gibt sogar Hinweise darauf, dass Dick Cheney eine explizite Stand-down-Order gab, die besagt, dass die Fighter am Boden bleiben müssen. Sergeant Lauro Chavez behauptet Folgendes: Er tat an diesem Tag Dienst im United States Central Command in Florida und war an Übungen beteiligt, die die Entführung von Flugzeugen, die ins World Trade Center, ins Pentagon und ins Weiße Haus fliegen sollten, beinhalteten. Diese Übungen sind inzwischen durch offizielle Dokumente bestätigt. Als ihm durch die TV-Bilder klar wurde, dass es ernst ist, fragte er nach, warum keine Abfangjäger aufstiegen. Als Antwort erhielt er, dass es eine Stand-down-Order gäbe.
Italiani mala gente?
ALtro che brava gente! Italiani come i tedeschi, che dal 1941 al 1943, nei Balcani e in Grecia, applicarono la regola della «testa per dente», della rappresaglia contro le popolazioni, di dieci civili fucilati per ogni italiano ucciso. In altre parole si macchiarono di gravissimi crimini di guerra, che si estinguono soltanto con la morte del reo. Ora su queste verità scomode, che emergono con sempre più forza dalle inchieste giornalistiche e soprattutto dalla ricerca storica, ha deciso di intervenire la magistratura militare. Il procuratore Antonino Intelisano, lo stesso che nel 1994 istruì il processo contro il capitano delle SS Erich Priebke, e che alla ricerca di prove trovò a Palazzo Cesi, presso la procura militare generale, il famoso «armadio della vergogna», che nascondeva circa settecento pratiche contro i nazisti autori delle stragi in Italia, ha aperto un’inchiesta, per il momento «contro ignoti», sugli eccidi che i militari italiani compirono nei territori di occupazione. Come ha suggerito Franco Giustolisi in un intrigante articolo sul manifesto del 28 giugno, ci troviamo davanti a un «secondo armadio della vergogna»?
Antonino Intelisano, seduto nel suo studio di procuratore presso il tribunale militare, in viale delle Milizie a Roma, prima di rispondere ci mostra il carrello con alcuni faldoni che portano il segno degli anni. «Quella dell’armadio della vergogna numero due — taglia corto — è un’invenzione giornalistica che non corrisponde alla realtà delle cose». La verità tuttavia è che il procuratore generale ha acquisito materiale di grande interesse sia di carattere giudiziario, sia presso gli archivi che di solito sono frequentati soltanto dagli storici: ministero della Difesa, presidenza del Consiglio. In particolare, dagli archivi dello Stato maggiore dell’esercito sono arrivate le conclusioni della Commissione parlamentare presieduta da Luigi Gasparotto, politico d’altri tempi che aveva avuto il figlio Leopoldo ucciso nel campo di Fossoli e aveva lavorato con grande impegno ed equilibrio, soprattutto tra il 1946 e il 1947, alla raccolta e al vaglio delle circa ottocento denunce provenienti da tutti i territori occupati dagli italiani, e quindi alla selezione dei casi in cui non si poteva fare a meno di denunciare il reato. «La commissione — scriveva Gasparotto il 30 giugno 1951 nelle note conclusive inviate al ministro della Difesa, Randolfo Pacciardi — ha tenuto nel debito conto la complessità della situazione, ma non l’ha considerata scusante». Così non poteva farla franca il generale Mario Roatta, comandante della II armata in Jugoslavia, che nella tremenda circolare 3c del 1° dicembre 1942 aveva disposto di fucilare non soltanto tutte le persone trovate con le armi in pugno, ma anche coloro che imbrattavano le sue ordinanze, oppure sostavano nei pressi di opere d’arte. E aveva deciso espressamente di considerare «corresponsabili degli atti di sabotaggio le persone abitanti nelle case vicine».
Le conclusioni della Commissione Gasparotto, la cui documentazione nessuno storico ha potuto finora studiare per intero, chiamavano in causa anche il generale Mario Robotti, comandante dell’XI corpo d’armata, che era riuscito a inasprire gli ordini di Roatta al punto di dire la frase che è diventata proverbiale, «qui si ammazza troppo poco», o il governatore del Montenegro, Alessandro Pirzio Biroli, che fece fucilare circa 200 ostaggi. E tutta una serie di personaggi, ufficiali o funzionari dell’amministrazione civile, che operarono soprattutto in Jugoslavia e in Grecia.
In seguito a questo tipo di informazioni, spiega Intelisano, «alla fine degli anni Quaranta fu aperto presso questo ufficio un procedimento nei confronti di 33 persone accusate di concorso in uso di mezzi di guerra vietati e concorso in rappresaglie ordinate fuori dai casi consentiti dalla legge. Il procedimento si concluse il 30 luglio 1951 con una sentenza del giudice istruttore militare. Questi stabilì che non si doveva procedere nei confronti di tutti gli imputati, perché non esistevano le condizioni per rispettare il principio di reciprocità fissato dall’articolo 165 del Codice penale militare di guerra». Secondo tale norma, un militare che aveva commesso reati in territori occupati poteva essere processato a patto che si garantisse un eguale trattamento verso i responsabili di reati commessi in quella nazione ai danni di italiani. Vale a dire, per esempio: noi processiamo i nostri militari colpevoli, voi jugoslavi condannate i responsabili delle uccisioni nelle foibe. L’articolo 165, continua Intelisano, è stato riformato, con l’abolizione della clausola di reciprocità, nel 2002. «Così quando, grazie a libri come Si ammazza troppo poco di Gianni Oliva e Italiani senza onore di Costantino Di Sante, o a trasmissioni televisive e articoli che denunciavano la strage di 150 civili uccisi per rappresaglia da militari italiani il 16 febbraio 1943 a Domenikon, in Tessaglia, si è imposto all’attenzione il problema del comportamento delle nostre truppe, ho deciso di aprire un’inchiesta. Per il momento "contro ignoti" perché noi magistrati, a differenza degli storici, non possiamo processare i morti». Nei faldoni che il procuratore sta studiando sono elencati decine di nomi, soprattutto militari che parteciparono alle rappresaglie contrarie alle leggi internazionali di guerra. Quegli elenchi, finora di interesse puramente storico, diventeranno incandescente materia penale, appena si individuerà uno dei responsabili ancora in vita. E allora avremo un nuovo caso Priebke. Ma con un italiano nelle vesti del carnefice.
L’aggravante di tutta la faccenda, ci dice lo storico Costantino Di Sante, uno dei pochi che hanno potuto consultare, seppur parzialmente, i 70 fascicoli prodotti dalla Commissione Gasparotto, è che a macchiarsi di reati non furono soltanto le camicie nere o i vertici militari politicizzati. Ma ufficiali e soldati normali. Come gli alpini dei battaglioni Ivrea e Aosta, «che rastrellarono undici villaggi in Montenegro e fucilarono venti contadini». Il famigerato prefetto del Carnaro, Temistocle Testa, racconta Di Sante, per l’eccidio di Podhum, villaggio a pochi chilometri da Fiume, «si servì di reparti normali». Dopo aver circondato il villaggio e bloccato tutte le strade di accesso, è scritto negli atti della Commissione Gasparotto, che recepì una denuncia jugoslava, il 12 luglio 1942 reparti dell’esercito italiano, coadiuvati dai carabinieri e dalle camicie nere fucilarono oltre cento uomini, catturarono tutta la rimanente parte della popolazione, circa 200 famiglie, confiscarono beni mobili e circa 2000 capi di bestiame».
La situazione era esasperata da una guerriglia partigiana efficace e crudele e dalle violente faide interetniche. Ma come giustificare le modalità dei rastrellamenti di Lubiana ordinati dal generale Taddeo Orlando, che nel dopoguerra avrebbe proseguito normalmente la sua carriera? La capitale della Slovenia fu circondata il 23 febbraio 1942 con reticolati di filo spinato. Dei quarantamila abitanti maschi, ne furono arrestati 2858. Circa tremila vennero catturati in un secondo rastrellamento. La chiusura dei centri abitati con reticolati venne applicata in altre 35 località. Oltre ai maschi adulti venivano deportati anche vecchi, donne e bambini. La maggior parte finiva nel campo dell’isola di Arbe, oggi Rab, in Croazia, dove morirono in 1500, soprattutto di stenti.
Ogni anno una maratona attraverso il perimetro del reticolato ricorda a Lubiana il periodo dell’occupazione militare italiana.
INTERVISTA A SERGIO DINI
Sergio Dini è oggi un pubblico ministero presso la procura di Padova, ma sino al 30 giugno è stato un giudice militare. A lui si devono alcune sollecitazioni importanti che hanno portato a chiarire perché i famosi fascicoli dell’armadio della vergogna rimasero nascosti per cinquant’anni. Anche nella vicenda dei crimini commessi dai militari italiani nei territori occupati durante la Seconda guerra mondiale, Dini sta avendo un ruolo importante. Intanto è sua la lettera al Consiglio della magistratura militare (l’organo di autogoverno) in cui si chiede conto delle ragioni per cui le conclusioni della commissione Gasparotto non ebbero un esito giudiziario.
In seguito al riemergere del caso Domenikon, la trasmissione di Sky sulla strage compiuta da italiani in Grecia, alla quale ha partecipato come consulente, Dini in marzo ha anche inviato una lettera esposto al tribunale militare, che è stata messa negli atti dell’inchiesta dal procuratore Intelisano.
«Se è vero — commenta Dini — che non si procedette contro i nostri militari colpevoli di reati perché mancava la condizione di reciprocità, ci troviamo di fronte a un’aberrazione giuridica. Applicata ai crimini di guerra, la norma del vecchio articolo 165 era anticostituzionale». All’ex giudice militare oggi interessa che l’inchiesta giudiziaria arrivi sino in fondo per una serie di considerazioni di ordine morale e giuridico: «Innanzitutto — afferma con passione Dini, seduto alla scrivania del suo nuovo ufficio — dal punto di vista giuridico certi tipi di crimini sono imprescrittibili e quindi vanno perseguiti. Tanto più che il diritto penale internazionale, cui in genere competono i crimini di guerra e contro l’umanità, si basa su precedenti. Se stabiliamo dei punti fermi, sarà sempre più difficile nascondersi dietro la scusa deresponsabilizzante dell’obbedienza agli ordini. C’è poi un’altra questione di equità: se abbiamo processato dei vecchi militari tedeschi, non possiamo chiudere gli occhi davanti allo stesso tipo di reati commessi da italiani».
Dini infine pone un problema di ordine generale, che interessa molto gli storici: «Perché il ministro della Difesa non rende davvero accessibili a tutti gli studiosi i controversi documenti che mettono sotto accusa i comportamenti illegali degli italiani in Etiopia, Grecia, Jugoslavia, Francia, Russia?». Il ministro della Difesa Ignazio La Russa potrebbe riuscire laddove i suoi colleghi del centrosinistra hanno fallito.
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Per chi non l'avesse letto segnalo quanto si trova riportato in
http://scintillarossa.forumcommunity.net/?t=17711350
che è un blog comunista con tanto di falce e martello:
Nella sede della Procura generale militare
Un secondo armadio della vergogna
L'archivio nasconde i crimini compiuti dai fascisti nei balcani
Fare piena luce e giustizia
A Roma, palazzo Cesi, dove si trova la Procura generale militare, c'è un altro archivio che nasconde gli orrori delle camicie nere mussoliniane. Il primo, rinvenuto nel 1994, conteneva i fascicoli dei massacri commessi in Italia dai nazifascisti, tra l'8 settembre del 1943 e il 25 Aprile del 1945, dove venivano enumerati 2.274 crimini contro civili disarmati, perlopiù bambini donne e vecchi, di cui solo due (strage di Marzabotto e strage delle Fosse Ardeatine) sono arrivati a processo. A quanto pare il "secondo armadio della vergogna" documenta i crimini commessi nei Balcani ma sul grosso dei fascicoli c'è il timbro "segreto", "riservato", apposto su ogni pagina.
Come si accertò, a suo tempo per il carteggio dei ministri Martino e Taviani che nel 1956 decisero di bloccare l'inchiesta sugli assassini di Cefalonia in quanto per "la costituzione dell'Alleanza atlantica", scrivono i deputati: "si ritenne politicamente inopportuno iniziare processi per crimini di guerra che avrebbero messo in crisi l'immagine della Germania". Allora, quando il Consiglio della magistratura militare (Cmm) condusse l'indagine sul ritrovamento di quei fascicoli, ci vollero ben tre anni di continue, reiterate e pressanti sollecitazioni per arrivare alla desecretazione.
La scoperta del secondo armadio la si deve al procuratore militare di Padova Sergio Dini, in collaborazione col giornalista Franco Giustolisi, i quali portarono a un'inchiesta interna del Cmm che stabilì: è stato il potere politico a imporre ai magistrati militari, allora soggetti alle varie sfere governative, il silenzio della giustizia, della storia, della memoria. Oggi la parola passa al ministro fascista della difesa La Russa, che dovrà vedersela con le storie dei militari italiani, i comandanti specialmente, che obbedendo agli ordini di Mussolini, compirono in Grecia, Albania, Jugoslavia, Unione Sovietica, gli eccidi più efferati che si conoscano, tanto da "guadagnarsi" dai fascisti di allora il titolo di "campioni del mondo", primi addirittura rispetto ai nazisti e alle SS. Basti ricordare le circolari del generale Roatta, nei Balcani, che ordinava di ripagare "testa per dente", e del generale Geloso che in Grecia imponeva di dare fuoco ai villaggi da cui partivano gli attentati e di fucilare senza tanti distinguo gli ostaggi che capitavano a tiro.
Gli archivi segretati potrebbero far luce sulle efferatezze compiute nei teatri di guerra aperti dal fascismo alla ricerca sciagurata di nuove terre, soprattutto potrebbero far luce laddove le commissioni parlamentari d'inchiesta come quella presieduta da Luigi Gasparotto non sono arrivate. Gasparotto, il cui figlio Leopoldo era stato assassinato insieme ad altri 71 antifascisti, da fascisti e nazisti nel lager di Fossoli, nei pressi di Carpi, oltre ai casi di Roatta e Geloso esaminò il comportamento del generale Robotti, quello che sbraitava con i suoi uomini: "qui se ne uccidono troppo pochi"; del generale Gambara che spiegava ai sottoposti "campo di concentramento non significa campo di ingrassamento"; del generale Pirzio Biroli che in Etiopia faceva buttare nel lago Tana i capi tribù con una pietra legata al collo. E ancora, altri generali: Magaldi, Caruso, Sorrentino, Piazzoni, Baistrocchi. Ma anche molti ufficiali di grado inferiore che andavano proclamando: "quelli", che fossero sloveni, greci, albanesi, eccetera, andavano "uccisi senza pietà".
Fu l'infame "ragion di Stato", in nome del recupero della Germania all'alleanza occidentale nel quadro della "guerra fredda'' contro l'Unione Sovietica di Stalin, che portò all'occultamento di moltissimi processi. Uno di essi è però tornato ora di attualità: la strage di Cefalonia, nel settembre 1943, per cui morirono oltre 6.500 tra soldati ed ufficiali italiani. L'istruttoria fu compiuta nel 1945, ma il processo non venne mai celebrato. L'Italia, governata dalla DC, negli anni Cinquanta evitò di perseguire molti criminali nazisti per non danneggiare i rapporti politici con la Germania, alleata in seno alla Nato. I fascicoli più scottanti finirono nell'armadio con la dicitura, assolutamente inventata, di archiviazione provvisoria.
Occorre battersi per fare piena luce sui nuovi fascicoli "ritrovati" per rendere giustizia e consegnare ai superstiti e ai parenti e vittime tutti i nomi e cognomi dei criminali in camicia nera, occorre altresì respingere risolutamente il nero disegno nazionalista, patriottardo, neofascista e interventista che mira a cancellare la memoria antifascista su quei fatti.
9 luglio 2008
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Come vede dr. Messina 'qualcuno' l'aveva preceduto ed ora il procuratore Dini di Padova ne prosegue l'opera.
Cordiali saluti
Massimo Filippini
NELLA GIORNATA DELLA MEMORIA,
PER RICORDARE TUTTE LE VITTIME DEL NAZISMO E DEL FASCISMO,
CONTRO IL RAZZISMO NELLA CITTA' DI RHO
FERMIAMO LA DISCRIMINAZIONE DEI ROM
MERCOLEDI 27 GENNAIO 2010 - ORE 21
RHO - PIAZZA VISCONTI
PRESIDIO CON PROIEZIONI, INTERVENTI DELLE ASSOCIAZIONI,
TESTIMONIANZE DIRETTE DELLA COMUNITA' ROM
L'Amministrazione Comunale di Rho, nei giorni scorsi, ha allontanato, con un provvedimento illegittim, un adulto rom, quasi ridotto alla cecità e sottoposto a dialisi, privandolo dell'unica cosa che gli rimaneva, un tetto riscaldato sotto cui abitare, seguito, a soli pochi giorni di distanza, dallo sgombero di alcune famiglie abitanti in via Magenta. A queste ultime sono stati confiscati i terreni e abbattuta la casa in cui abitavano, lasciando per strada tutti i bambini che frequentavano regolarmente la scuola dell'obbligo. Infine, venerdì scorso, contraddicendo a tutto quello che finora era stato affermato nei confronti dei legittimi abitanti di via Sesia e smentendo lo stesso progetto comunale finanziato dallo Stato per l'integrazione di queste famiglie, c'è stato il tentativo di allontanare una parte di essi, minacciandoli di portarli in Questura per la verifica, già nota, di ogni posizione personale per le quali sono in corso da tempo interventi di regolarizzazione.
Solo l'indizione di un Presidio di forze politiche e sociali, a testimonianza di un'attiva mobilitazione contro la violazione di diritti fondamentale delle persone, ne ha impedito l'esecuzione.
Queste gravi operazioni con dispiego di ingenti Forze di Polizia, fanno seguito all'approvazione da parte della Giunta di un documento inqualificabile di "schedatura" di tutti i rom presenti sul territorio che, come tutti gli atti concernenti la privacy di ogni singolo cittadino dovrebbe rimanere riservato e che, viceversa, è stato reso "pubblico", violando ancora una volta le normative in materia.
Ci chiediamo che senso abbiano i fondi ricevuti dallo Stato, un finanziamento di oltre un milione di euro da utilizzare solo per cercare di eliminare dalla città di Rho i Rom presenti.
A queste pratiche inqualificabili ancorchè illegittime, in molti casi, sul piano dello stesso diritto amministrativo che regola il funzionamento della pubblica amministrazione a tutela di tutti i cittadini, si susseguono dichiarazioni razziste di vari esponenti politici della maggioranza che amministrano la città, diffamatorie ma anche inneggianti a “soluzioni violente”.
Nella “Giornata della Memoria” l'amministrazione di Rho ricorda l'Olocausto, ma al tempo stesso nella pratica quotidiana continua una preoccupante escalation di fatti e una progressiva deriva culturale che ci riporta alla memoria che tra le vittime del nazismo c'erano anche loro, i rom.
Oggi, per le condizioni sociali e giuridiche in cui sono costretti a vivere, gli "ebrei" d'Europa sono i "rom", sottoposti a continue vessazioni e politiche discriminatorie.
Ricordare la tragedia della Shoah, ma anche tutto quello che l'ha preceduta in Italia con la promulgazione delle Leggi Razziali, vuol dire assumersi la responsabilità di denunciare chi continua a subire politiche pubbliche che producono solo atteggiamenti violenti, razzisti, discriminatori rivolti ad una specifica categoria sociale "gli zingari", e più in generale tutti gli stranieri, non riconducibile alle responsabilità soggettive.
Per ricordarlo a tutto il Consiglio Comunale e alla cittadinanza, mercoledì 27 gennaio 2010 dalle ore 21,00, in occasione della Giornata della Memoria, si terrà un presidio a Rho in Piazza Visconti, di fronte al palazzo comunale.
COMUNITA' ROM DI RHO , OPERA NOMADI, CENTRO SOCIALE FORNACE, PRC RHO, COORD. NAZIONALE PER LA JUGOSLAVIA onlus
Per adesioni: sosfornace@...
Da: "Coord. Naz. per la Jugoslavia"Data: 21 gennaio 2010 11:15:35 GMT+01:00Oggetto: [JUGOINFO] Anche a Rho il Porrajmos si festeggia con l'ennesimo sgomberoContinua la persecuzione dei Rom a Rho: Zucchetti festeggia il Porrajmos con l’ennesimo sgomberoA pochi giorni dalla ricorrenza della Giornata della Memoria, il Sindaco ciellino Zucchetti ha voluto festeggiare con uno sgombero il Porrajmos, lo sterminio nazista di Rom e Sinti.La Giunta razzista della città di Rho, dopo lo sgombero di settimana scorsa di un rom cieco e in dialisi, molto pericoloso per la sicurezza dei cittadini, questa mattina ha mandato un dispiegamento impressionante di Polizia Locale, Polizia di Stato e Carabinieri per sgomberare una decina di bambini e alcuni adulti che vivevano nella propria casa in via Magenta, abbattuta dalle ruspe.Nonostante Zucchetti abbia fatto proprio lo slogan di Expo 2015, “Nutrire il Pianeta”, la solidarietà e l’umanità non abitano a palazzo Visconti, soprattutto quando si avvicina la campagna elettorale delle regionali e, per nascondere la servitù degli amministratori leghisti e ciellini alla Fiera e ai palazzinari, che loro rappresentano contro gli interessi della città, si tenta di puntare il dito ancora una volta contro i rom, come facevano i nazisti, indicandoli come capro espiatorio di tutti i mali della città.Dopo avergli confiscato i terreni che avevano acquistato regolarmente da italiani, dopo avere incassato diverse rate del condono per alcune migliaia di euro per poi dichiararlo illegittimo, ora il Sindaco, appena uscito da Messa, gli ha fatto abbattere la casa, interrompendo così di fatto l’iter scolastico dei bambini e mettendo a rischio la posizione lavorativa dell’unico uomo della famiglia, tra l’altro cittadino italiano.Tutti gli sgomberi di Rom che stanno avvenendo a Rho negli ultimi mesi sono finalizzati anche a liberare terreni che con il Pgt cambieranno destinazione d’uso, essendo inseriti in aree di trasformazione che da agricole diventeranno edificabili.Così nella città vetrina di Expo i razzisti e gli speculatori viaggiano a braccetto, compiendo l’ennesimo atto disumano.Alcuni esponenti del centro sociale Fornace, tenuti a distanza dalla Polizia, hanno assistito alle operazioni di sgombero testimoniando alle persone vittime di questa ingiustizia, la propria solidarietà.Nei prossimi giorni ci saranno a Rho iniziative di protesta.Rho 19 gennaio 2010
La conferenza stampa di presentazione si terrà a Bari presso il Museo Storico Civico il 25 gennaio alle ore 12:00.
Si terrà a Bari il 27 e il 28 gennaio, presso l’*Auditorium “La Vallisa“, “Jasenovac – omelia di un silenzio” di e con Dino Parrotta: uno spettacolo per attore solo e video che, attraverso la pluralità dei linguaggi espressivi, una raccolta di testimonianze, documenti, dichiarazioni delle vittime e video originali dell’epoca, vuole offrire un momento di riflessione su una delle pagine più terribili della seconda guerra mondiale: il campo di sterminio per ebrei, ortodossi, serbi e zingari di Jasenovac, dove il movimento nazionalista cattolico croato /Ustasa/ trucidò circa 700.000.
La Compagnia Teatrale “Primo Teatro”,
con il patrocinio della *Regione Puglia- Assessorato al Mediterraneo e
del Comune di Bari, I.P.S.A.I.C Puglia e in collaborazione con la
Biblioteca Multimediale del Consiglio Regionale della Puglia
INVITANO
lunedì 25 gennaio 2010
ore 12:00
alla conferenza stampa di presentazione dello spettacolo
“JASENOVAC – omelia di un silenzio”
di e con Dino Parrotta
presso il
Museo Storico Civico di Bari
Strada Sagges, 13 – Bari
Alla presentazione saranno presenti:
Prof. Vito Antonio Leuzzi
(direttore I.P.S.A.I.C.)
Prof. Andrea Catone
(storico e presidente A.C. Most za Beograd)
Dino Parrotta
(regista compagnia teatrale Primo Teatro)
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Piccola Bottega Popolare
Piazza G. Matteotti, 12
70011 - Alberobello (BA)
tel. 3398987178
Yuschenko proclama “eroe dell’Ucraina” il genocida Stepan Bandera, collaboratore del nazismo
di redazione lernesto.it
su redazione del 25/01/2010
Non una parola d’indignazione in Occidente per la decorazione attribuita al responsabile dell’eccidio di decine di migliaia di civili dal leader della “rivoluzione arancione”, uscito clamorosamente sconfitto nel primo turno delle elezioni presidenziali.
A pochi giorni dallo svolgimento delle elezioni presidenziali che lo hanno visto clamorosamente escluso dal ballottaggio, il presidente uscente dell’Ucraina, arrivato al potere con la “rivoluzione arancione” del 2004 e presentato all’opinione pubblica occidentale come il “paladino” delle libertà democratiche, ha gettato definitivamente la maschera, rivelando con un atto di inaudita gravità la sua professione di autentica fede fascista. Senza che ciò abbia determinato la benché minima reazione indignata dei governi e degli strumenti di comunicazione dell’Occidente cosiddetto “democratico”.
Con un gesto di aperta sfida nei confronti dei sentimenti antifascisti del popolo ucraino, che ha patito sofferenze inenarrabili ai tempi dell’occupazione nazista dell’Unione Sovietica, Yuschenko ha insignito della massima onorificenza, quella di “eroe nazionale”, un vero e proprio criminale di guerra, Stepan Bandera, capo delle formazioni nazionaliste ucraine in lotta contro il potere sovietico.
Stepan Bandera non ebbe un attimo di esitazione a collaborare, fin dal primo momento, alle più nefaste operazioni di rastrellamento e di repressione nei confronti della resistenza antifascista, macchiandosi di odiosi crimini contro l’umanità, come il ruolo di comando nelle operazioni di massacro e deportazione di decine di migliaia di cittadini, molti dei quali ebrei, del suo paese e di paesi confinanti (in particolare in Slovacchia).
L’attribuzione dell’onorificenza è stata accompagnata dalla decorazione di un altro criminale di guerra, Roman Shukhevic, anch’egli comandante ucraino delle formazioni naziste.
Il gesto di Yuschenko non va considerato come il “colpo di testa” di una candidato rabbioso per la sconfitta subita. E’ qualcosa di ben più preoccupante che chiama in causa gli Stati Uniti e l’Unione Europea, suoi principali alleati. Il gesto di Yuschenko è con ogni evidenza diretto ad inquinare la campagna per il ballottaggio tra i due principali candidati, Yanukovic e Timoshenko. Esso, cavalcando la tigre del più fanatico nazionalismo ucraino, anche attraverso l’aperta esaltazione delle sue matrici nazi-fasciste, punta ad esasperare le tensioni esistenti nella società ucraina. E a favorire – come hanno evidenziato in particolare alcuni politici e studiosi russi - il profilarsi di scenari da vera e propria guerra civile, in cui i protettori occidentali del presidente uscente, possano trovare pretesti di ingerenza e pressione, nel momento in cui la prospettiva dell’integrazione dell’Ucraina nella NATO e nelle alleanze occidentali sembra allontanarsi. In particolare se a vincere fosse, come è considerato probabile, il candidato “filo-russo” Viktor Yanukovic.
"Dick Marty è a Pristina da ieri sera e ha in programma incontri con alti esponenti di Eulex (missione civile Ue che sostituirà l'Unmik, missione Onu per il Kosovo ndr) e del governo kosovaro". Stop. Con queste telegrafiche parole Christophe Lamfalussy, portavoce di Eulex, ha confermato le indiscrezioni dei giorni scorsi.
Visita riservata. Marty è l'inviato del Consiglio d'Europa e non è arrivato in Kosovo a caso. Sta lavorando a uno dei tanti argomenti che ancora dividono, come un fossato profondo, i serbi dagli albanesi in Kosovo: i crimini commessi dall'Esercito di Liberazione del Kosovo (Uck) contro civili serbi durante il conflitto del 1999. In particolare, all'attenzione di Marty, c'è il cosiddetto caso della 'casa gialla'. Secondo le tesi della procura di Belgrado che indaga sui crimini di guerra, in una piccola abitazione del villaggio di Burrell, nell'Albania settentrionale, trecento civili non-albanesi, per lo più serbi, sono stati rapiti, uccisi e sottoposti a espianti di organi. Non ne è convinto solo Vladimir Vukcevic, procuratore serbo per i crimini di guerra, ma anche l'Unmik stessa che, nel 2004, aprì un'inchiesta sulla vicenda inviando degli ispettori sul luogo. Il risultato di questa inchiesta racconta di evidenti riscontri di un eccidio all'interno della 'casa gialla' di Burrell. In realtà, in un primo momento, l'Unmil aveva negato di essere in possesso di materiale riguardo alla vicenda, ma poi ha inviato a Belgrado il materiale. Il disgelo (la Serbia dal 1 gennaio 2010 ha usufruito del regime dei visti agevolati Ue) tra Bruxelles e Belgrado comincia a dare i suoi frutti.
Una lunga storia. Il senatore svizzero Marty, nelle scorse settimane, sempre nel massimo riserbo, era stato a Belgrado dove aveva incontrato lo stesso Vukcevic. Il procuratore serbo ha fornito all'inviato Unmik altre testimonianze, documenti e riscontri per chiedere che l'inchiesta vada avanti. Lo stesso Vukcevic, a marzo dello scorso anno, ha chiesto anche al governo albanese di riaprire l'inchiesta sulla vicenda.
La prima ricostruzione della vicenda è apparsa tra le pagine del libro La Caccia di Carla Del Ponte, ex procuratore capo del tribunale dell'Aja.
Finito il suo mandato, però, della 'casa gialla' non si era parlato per un bel po'. Adesso la storia torna a galla, anche perché il figlio di un cittadino serbo scomparso nel 1999, Rade Dragovic, aveva riconosciuto il padre in una foto nella quale un comandante Uck lo mostrava morto come un trofeo di guerra. In tuta mimetica. Ma il figlio Rade ha sempre sostenuto che il padre non ha mai preso parte a operazioni militari. Secondo il procuratore Vukcevic questa è la prova dell'uccisione di civili serbi da parte di guerriglieri dell'Uck. Sarebbe già questo, da solo, un fattore che merita di essere approfondito, soprattutto perché la quasi totalità dei dirigenti dell'Uck oggi rappresenta la classe dirigente del Kosovo indipendente. Se poi fosse dimostrato il traffico d'organi espiantati, nella 'casa gialla' o meno, da miliziani Uck a civili serbi e non assassinati durante il conflitto, ci si troverebbe di fronte a un crimine senza precedenti.
Christian Elia
Nella scorsa primavera, i funzionari dell'Unmik (la Missione Onu in Kosovo) hanno inviato al procuratore serbo per i crimini di guerra Vladimir Vukcevic la documentazione relativa alle indagini sul presunto traffico di organi umani durante il conflitto del 1999 in Kosovo. Dopo una prima lettera in cui si affermava che l'Unmik non era in possesso di alcun materiale sul caso della cosiddetta "Casa Gialla", hanno successivamente scritto che in seguito a una più dettagliata ricerca erano stati rinvenuti negli archivi alcuni documenti. Si tratta di dieci diversi files, tra cui il rapporto completo sulla 'casa gialla'. Secondo tale relazione - che contiene i risultati dell'esame della scena del crimine fatta a Burrel città nel nord dell'Albania, nel 2004 - gli investigatori hanno trovato tracce di sangue (identificati mediante la soluzione chimica Luminol) su due pareti e sul pavimento di una stanza a pianterreno, che si pensa possa essere stata utilizzata come sala operatoria. Decine di testimoni, quelli ascoltati sia dalla procura di Belgrado che dagli investigatori dell'Aja, hanno dichiarato che molto probabilmente circa 300 non-albanesi, per lo più serbi, siano stati rapiti, uccisi e sottoposti a espianti di organi. PeaceReporter, sulla questione, ha sentito gli uffici della procura di Belgrado.
Qual è il contenuto di questi documenti che l'Unmik ha tenuto nascosto per molto tempo?
Si tratta di documenti altamente riservati. Le indagini sono ancora in corso e vista la delicatezza dell'oggetto, saranno coperte da segreto. Abbiamo riscontrato una serie di dettagli interessanti, ed è giunto il momento di condurre una seria indagine. Sono convinto che noi e i giudici della procura di Tirana dovremmo lavorare in maniera coordinata, ma dal momento che la politica ha interferito in questo caso, faremo ogni sforzo per portare la questione anche a livello internazionale. Abbiamo 134 testimoni diretti o indiretti, e oltre 200 pagine di materiale. Crediamo, poi, di aver individuato il luogo in cui, a nostro parere, i serbi e gli altri non-albanesi sono stati sepolti.
Tra le persone identificate come autori di questi crimini, c'è qualcuno che ha ricoperto ruoli di alto rango nella vita politica del Kosovo?
Siamo riusciti a ottenere alcuni nuovi elementi e dettagli sorprendenti. Attraverso conti bancari in Albania e Svizzera, abbiamo raggiunto prove estremamente significative che indicano come alcune figure politiche di alto profilo di Kosovo e Albania siano state coinvolte nei crimini commessi nel nord dell'Albania e, quello che qui interessa, nei fatti della "casa gialla". Tra gli altri, siamo in possesso di documenti e numeri di conti bancari riconducibili a Ramush Haradinaj (ndr all'epoca dei fatti comandante dell'Uçk, successivamente processato e prosciolto in primo grado dal Tribunale dell'Aja).
Perché le autorità dell'Unmik sono state reticenti nel consegnarvi il rapporto completo?
Immediatamente dopo l'apertura dell'inchiesta, abbiamo chiesto alle autorità dell'Unmik di fornirci i risultati delle loro indagini. Il 6 giugno 2008, ricevemmo una risposta dall'Unmik in cui negavano che tali indagini erano mai stati effettuate. Attraverso canali informali, venimmo in possesso della relazione principale sulla 'casa gialla'. La relazione contiene un elenco di medicinali e attrezzature che rendono verosimile l'ipotesi che in quella casa sia stata approntata una sala operatoria. Inoltre, nel documento veniva individuato come magazzino di raccolta delle prove rinvenute nella 'casa gialla' il Centro medico-legale di Orahovac.
Solo dopo aver inoltrato una richiesta al Consiglio di Sicurezza Onu nel dicembre del 2008, la relazione ci è stata ufficialmente consegnata. In quell'occasione, il segretario generale del nostro ufficio, Bojan Lapčević, ha consegnato al team di Alan Le Roy, il sottosegretario delle Nazioni Unite incaricato delle operazioni di pace, la lettera del giugno 2008 in cui i funzionari dell'Unmik negavano di aver compiuto delle indagini. Solo così, le autorità dell'Unmik sono state invitate dall'organo competente delle Nazioni Unite a fornire tutte le informazioni in loro possesso, che avrebbero potuto contribuire a chiarire la triste vicenda del traffico di organi. Adesso, la mia impressione è che tutti vogliano la verità sugli eventi che hanno avuto luogo nel nord dell'Albania.
Credete che la missione EULEX contribuirà a indagini più obiettive?
Ci auguriamo che Eulex (ndr la Missione europea di giustizia) indagherà sulle denunce di scomparsa dei serbi, legate ai reati compiuti nel nord dell'Albania. A giudicare dalle premesse credo che affronteranno a questo caso con serietà e con la dovuta considerazione. Mi permetto di ricordarvi che la signora Carla Del Ponte (ndr ex procuratore all'Aja presso il Tribunale per i crimini di guerra commessi nell'ex Jugoslavia) ha scritto nel suo libro sul presunto traffico di organi nel nord dell'Albania e che il Tribunale dell'Aja ha anche un'ampia documentazione a sostegno di tali affermazioni. In diverse occasioni abbiamo parlato con gli investigatori del Tribunale internazionale e in seguito alle istruzioni impartite dal procuratore capo Serge Brammertz, l'indagine ha preso il giusto corso, contribuendo alla divulgazione di una serie di fatti che, a nostro parere, sono stati finora oscurati. Ci aspettiamo che anche il signor Dick Marty, l'inviato speciale del Consiglio d'Europa, compia il suo lavoro d'indagine. Credo che, in seguito alle prove raccolte, le istituzioni e le organizzazioni internazionali siano state messe in allerta. Le autorità Eulex sono chiamate a un serio esame di obiettività. E dal punto di vista procedurale, si tratta di un caso estremamente forte che avrà una forte eco.
Nicola Sessa
Andrea Martocchia
segretario, Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - onlus
alla Inaugurazione della mostra: Erano solo bambini
Poggibonsi 28 gennaio 2009
(testo integrale - ascoltabile a 45'30'' della registrazione audio)
Intendo con questo mio intervento contestualizzare e problematizzare le cose che si possono vedere nella mostra.
La prima questione è quella delle parzialità delle conoscenze, e delle vere e proprie omissioni, rispetto ai crimini del nazifascismo.
Sarebbe il caso di mettersi almeno d'accordo sull'oggetto di questa giornata e cioè: il carattere stragista del nazifascismo. A rendere giustizia, non solo dal punto di vista morale ma proprio dal punto di vista storico, alle vittime del nazifascismo si dovrebbero includere tutti i crimini del nazifascismo verso intere categorie e soggetti nazionali e/o razziali.
Ritengo che su questo punto ci sia un problema di fondo, evidente anche nella stessa legge istitutiva della Giornata della Memoria. (1) E' stato poco fa portato l'esempio dei campi di concentramento per gli slavi, gestiti dagli italiani in Dalmazia: ed è giusto, perchè già nello specifico italiano si dovrebbe entrare nel merito di un universo concentrazionario che ci ha riguardato direttamente, non solo come vittime, ma proprio come carnefici. Ed è allora il caso di ricordare che anche a poca distanza da qui, a Renicci di Anghiari, in provincia di Arezzo, esisteva un campo di concentramento nel quale furono reclusi soprattutto prigionieri politici sloveni; un po' più lontano, a Colfiorito in Umbria, erano soprattutto prigionieri politici montenegrini (il Montenegro fu la prima delle regioni della Jugoslavia a ribellarsi all'occupante fascista e perciò furono duramente repressi dagli italiani); e ancora un po' più lontano, a Gonars in Friuli, erano molte migliaia, soprattutto sloveni lì ridislocati dall'inferno di Arbe/Rab.
Questa storia dei campi di concentramento italiani sul territorio italiano è completamente omessa, così come è sostanzialmente omessa dalla storiografia la pulizia etnica perpetrata dagli italiani, specialmente ai danni degli sloveni, nelle terre di confine, in quella che era allora la "Provincia di Lubiana".
E rimanendo in tema di omissioni, al livello più generale, conosciamo bene l'omissione del genocidio dei Rom - genocidio che, vista l'attualità italiana, viste le cose gravissime che stanno succedendo in questi mesi ai danni della comunità Rom come delle comunità immigrate in genere, visto il razzismo così diffuso, generalizzato, nella nostra società, nessuno dovrebbe osare di omettere dalla narrazione sulla nostra storia recente, e nella Giornata della Memoria. Ma a ben vedere il genocidio dei Rom è stato omesso ieri mattina anche dalla cerimonia ufficiale svolta al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite. (2) L'associazionismo Rom aveva fatto pressioni perchè tra i rappresentanti dei popoli vittime di sterminio da parte del nazifascismo ci fossero anche i Rom, e questo non è stato consentito.
E poi abbiamo l'esclusione del genocidio dei disabili, dei gay, e così via.
In particolare però noi oggi ci occupiamo di una questione - quella del campo di Jasenovac e dei crimini ustascia nei Balcani - che vede come principali vittime i serbi.
Io non sono completamente d'accordo quando si dice che in Jugoslavia (nella Jugoslavia Federativa e Socialista) dei crimini del nazifascismo non se ne parlava: se ne è parlato, a mio avviso, quanto era giusto che se ne parlasse, perchè comunque si trattava di ricostruire un paese multinazionale in cui tutte le popolazioni potessero continuare a convivere insieme. Ciononostante furono edificati musei e memoriali, per esempio nello stesso ex campo di sterminio di Jasenovac, e furono realizzati eventi culturali ed opere artistiche - ricordo ad esempio il bellissimo film jugoslavo "Ne okreći se sine" (Non ti voltare indietro figlio mio) prodotto nella Croazia degli anni '50, in cui è descritta in maniera corretta e toccante la politica genocida degli ustascia.
Dunque non è vero che in Jugoslavia non si parlava di Jasenovac. E' casomai in Italia che non se ne è mai parlato, e si continua a non parlarne. Eppure come italiani abbiamo responsabilità dirette in quei crimini degli ustascia. (3)
Devo per forza di cose riportare all'attualità la vicenda di Jasenovac: sarebbe ipocrita non farlo e tradirebbe le mie convinzioni; ci sono questioni su cui non posso sorvolare, in particolare riguardanti gli atti fondativi della nuova "Croazia indipendente", all'inizio degli anni '90 del Novecento.
# il leader di quel processo secessionista, Franjo Tudjman, si era fatto una fama di storico dilettante scrivendo testi, tra cui un libro intitolato "La deriva della verità storica", in cui negava le dimensioni e la realtà di quello che vedete nella mostra alle mie spalle: l'Olocausto perpetrato dagli ustascia non solo nei confronti dei serbi ma anche nei confronti degli ebrei, descritti da Tudjman come collaborazionisti dei nazisti in quanto guardiani dei campi di sterminio; d'altronde lo stesso Tudjman si era anche reso noto per una intervista in cui aveva esplicitamente affermato: "per fortuna mia moglie non è serba ne' ebrea".
# Al momento della fondazione del nuovo Stato croato furono: introdotta una nuova Costituzione monoetnica, per cui la Croazia diventava la patria dei croati, mentre nella Jugoslavia socialista la Croazia era patria dei popoli costitutivi croato e serbo; introdotta la domovnica, una specie di pedigree razziale in base al quale si otteneva la cittadinanza del nuovo Stato; fu reintrodotta la kuna, che era stata la moneta nello Stato nazista NHD ("Stato Indipendente di Croazia") guidato da Pavelić, e non esistono altri esempi storici di uso della kuna come moneta in Croazia; furono etnicamente ripuliti gli uffici pubblici, scatenati veri e propri pogrom contro i serbi (ad esempio a Dubrovnik, la "notte dei cristalli" dell'estate 1991, e a Borovo Selo presso Vukovar); fu distrutto lo stesso Museo-memoriale di Jasenovac - tant'è vero che quando arrivarono le truppe della Repubblica Serba di Krajina (RSK) trovarono tutto in pezzi. La stessa RSK, questa entità autoproclamata dai serbi della Croazia per autotutelarsi, e che durò fino al 1995, fu poi completamente spazzata via, letteralmente cancellata dalle certe geografiche, e con lei molte centinaia di migliaia di serbi che da molte generazioni abitavano sul territorio della attuale Croazia. Tuttora si contano molte centinaia di desaparecidos serbi in Croazia.
Questi fatti attuali dimostrano che è necessaria una contestualizzazione dello sterminio subito dai serbi sotto il nazifascismo, per trovare una chiave di interpretazione complessiva, necessaria nella prospettiva storica di lungo e lunghissimo termine. Si tratta di capire quale era il carattere profondo delle politiche di oppressione razziale e prevaricazione nazionale del nazifascismo in tutta Europa, e di capire come tale carattere si tradusse nello specifico balcanico.
La nostra impostazione occidentale ci fa generalmente dimenticare che tali politiche hanno espresso il massimo della loro violenza e sanguinosa "efficacia" nell'Europa orientale e balcanica. Auschwitz è lontana dall'attuale Germania: oggi è in Polonia, non lontano dall'Ucraina; i più "grandi numeri" delle stragi nazifasciste, oltre che nei Balcani, sono stati raggiunti molto ad Est, ad esempio in Russia ed in Bielorussia con i pogrom sulle popolazioni civili (si veda il film "Va' e vedi" di Klimov).
Non ci possiamo qui addentrare in una analisi compessiva della ideologia nazifascista ma dobbiamo sottolineare due aspetti-chiave necessari per la interpretazione: quello delle politiche nazionali, e quello dello scontro inter-religioso.
Heinrich Himmler, capo delle SS, parlava così:
- perchè questa disgregazione ai serbi non conveniva, in quanto erano stanziati pressochè ovunque nei Balcani;
- perchè storicamente avevano sempre rappresentato il focolaio della lotta per la emancipazione contro le potenze straniere nell'area, sia contro i turchi che contro l'Austria-Ungheria;
- perchè, come i Piemontesi in Italia, erano stati gli iniziatori del processo di unità jugoslava, e quindi i principali nemici dell'idea di disgregazione in "piccole patrie";
- perchè infine avevano dimostrato, con la rivolta popolare, di opporsi in massa a una alleanza con l'Asse.
Quello dell' NDH è l'esempio più lampante di questa politica che vezzeggiava i "piccoli popoli". Si fece leva sul sentimento nazionalista croato, che per ragioni storico-culturali era affine all'idea di una Europa a dominio germanico, e lo si utilizzò per una operazione di feroce pulizia etnica - eliminare i serbi significava eliminare un terzo della popolazione, poichè erano circa un terzo i serbi sul totale della popolazione di quella Croazia che comprendeva grossomodo le attuali Croazia e Bosnia-Erzegovina.
Come si poteva eliminare un terzo della popolazione sul proprio territorio? Lo slogan adottato dal Ministro degli Interni dell'NDH fu: per quanto riguarda i serbi,un terzo li scacceremo, un terzo li convertiremo [forzatamente al cattolicesimo, poichè come è noto questo è ciò che distingue i serbi dai croati, e nient'altro: l'appartenenza alla cristianità ortodossa per i primi, mentre i secondi fanno riferimento alla Chiesa cattolica romana], e un terzo li uccideremo.
In questo quadro fu pesantissimo il bilancio delle vittime infantili (fino ai 14 anni), come si legge nella mostra:
uccisi: 60,234 (32,054 bambini 28,012 bambine 168 non conosciuti)
altre vittime di guerra (deceduti, morti di morte non naturale, scomparsi): 14,528
bambini uccisi nel Lager di Jasenovac: 19,432
bambini serbi 11,888
bambini rom 5,469
bambini ebrei 1,911
altri bambini 164.
Soffermiamoci ora brevemente sulla geografia dell'universo concentrazionario degli ustascia.
Jasenovac è il grande complesso che si trova ancora, come Museo-memoriale, e si trovava all'epoca, sulle due rive del fiume Sava. Era una specie di cittadella, qui descritta in dettaglio in alcuni pannelli, costituita dai due campi di Jasenovac e Nova Gradisca.
C'era poi il gruppo dei lager di Gospic, con il Penitenziario ed il Centro di raccolta vicino alla stazione ferroviaria di Gospic.
C'era Jadovno, dove nei 132 giorni della sua esistenza (aprile – agosto 1941), furono uccisi almeno (secondo le liste di trasporto ed altri documenti) 40.123 appartenenti del popolo serbo ed ebraico, di cui 10.688 cadaveri identificati.
Ad Ovčara c'era la cosiddetta "stalla di Maksimović". C'era poi Stupačinovo, vicino a Baške Ostarije.
Sull'Isola di Pag, dove si va oggi in vacanza - posti bellissimi, io stesso ci sono andato... ma ci si va senza sapere niente di questa storia di migliaia e migliaia di persone che vicino al mare azzurrissimo e su quelle rocce spoglie sono state letteralmente scannate, nella maniera più artigianale, più bestiale, nelle località di Slana e Metajna, alla "Furnaža", dagli ustascia alleati degli italiani.
E poi furono tanti altri i luoghi dello sterminio: 32 foibe sulla montagna Velebit, la foiba di Saran, la fossa Golubinka a Prebilovci, a pochi passi da dove oggi sorge il santuario di Medjugorije...
E visto che siamo arrivati a Medjugorije, passiamo a parlare dell'altro fattore della strategia nazifascista, quello religioso. Benchè il nazionalsocialismo come movimento politico-ideologico in se' proclamasse una specie di neopaganesimo, in realtà la sua ascesa e la ascesa dei movimenti alleati - dal fascismo italiano alle diverse forme di fascismo nei vari paesi europei - sono state possibili solo grazie all'appoggio di un vecchio mondo formato da tutte le classi sociali in declino, non solo quindi la borghesia, ma anche a pieno titolo quei residui dell'Europa feudale, aristocratica e clericale che ancora sopravvivevano e, va detto, non sono affatto ininfluenti nemmeno oggi.
Tutti costoro espressero con il nazifascismo la loro reazione rabbiosa di fronte al mondo che cambiava, ed in particolare di fronte alla vittoria della Rivoluzione d'Ottobre.
In molti paesi e territori quella perpetrata dal nazifascismo fu quindi anche di una guerra di religione, ed in particolare la guerra della Chiesa Cattolica Apostolica Romana per il consolidamento della propria egemonia in Europa, per la affermazione di una Europa non solo germanica, ma anche cattolica, proprio come nella antica tradizione carolingia. Tradizione che era richiamata esplicitamente dal nazismo, ed alla quale in maniera inquietante si continua a fare riferimento a livello di nuove istituzioni europee - si pensi alla istituzione del Premio Charlemagne.
Questa potrebbe quindi essere la chiave di interpretazione più generale per i fatti avvenuti nel corso della II Guerra Mondiale nei Balcani: l'alleanza tra il delirante progetto di una Europa a guida germanica, e la perdurante battaglia che la parte più reazionaria del mondo cattolico riteneva ancora di dover condurre contro gli scismatici, cioè quei cristiani che nel 1054 rifiutandosi di riconoscere il primato del vescovo di Roma avevano dato vita alla corrente cosiddettà "ortodossa" nell'ambito della cristianità. Ad avvalorare questa mia tesi vorrei portare alcuni argomenti:
# tale guerra di religione fu scatenata non solo dagli ustascia croati contro i serbi, ma anche in altri territori orientali: si pensi ad esempio ai pogrom praticati in Ucraina dai cattolici e dagli uniati contro gli ortodossi; oppure si ricordi che in Slovacchia il capo dello Stato collaborazionista dei nazisti era il vescovo cattolico Jozef Tiso.
# Per quanto riguarda il carattere clerico-fascista del regime instaurato in Croazia dagli ustascia, gli esempi di sprecano. Le conversioni forzate al cattolicesimo furono regolate da apposito decreto legge nello Stato ustascia (se ne parla anche nella mostra). Molte informazioni si trovano su interessanti testi di riferimento (qui indicati in Bibliografia). Io mi limito a citare qui alcuni passaggi da un testo di Karlheinz Deschner: (5)
Questo ex-avvocato zagrebino, che negli anni '30 addestrò le sue bande soprattutto in Italia, fece uccidere nel 1934 a Marsiglia il re Alessandro di Jugoslavia in un attentato che costò la vita anche al ministro degli Esteri francese. Due anni più tardi celebrò con un libello le glorie di Hitler, "il più grande ed il migliore dei figli della Germania", e ritornò in Jugoslavia nel 1941, rifornito da Mussolini con armi e denari, al seguito dell'occupante tedesco.
(...) Con particolare calore fu accolto e benedetto da Pio XII in udienza privata (benchè già condannato a morte in contumacia per il doppio omicidio di Marsiglia sia dalla Francia che dalla Jugoslavia). Il grande complice dei fascisti si accommiatò da lui e dalla sua suite in modo amichevole e con i migliori auguri, letteralmente, di "buon lavoro".
Così ebbe inizio una crociata cattolica che non ha nulla da invidiare ai peggiori massacri del Medioevo, ma piuttosto li supera. Duecentonovantanove chiese serbo-ortodosse della "Croazia Indipendente" furono saccheggiate, annientate, molte trasformate persino in magazzini, gabinetti pubblici, stalle. Duecentoquarantamila Serbi ortodossi furono costretti a convertirsi al cattolicesimo e circa settecentocinquantamila furono assassinati. Furono fucilati a mucchi, colpiti con la scure, gettati nei fiumi, nelle foibe, nel mare. Venivano massacrati nelle cosiddette "Case del Signore", ad esempio duemila persone solo nella chiesa di Glina. Da vivi venivano loro strappati gli occhi, oppure si tagliavano le orecchie ed il naso, da vivi li si seppelliva, erano sgozzati, decapitati o crocifissi. Gli Italiani fotografarono un sicario di Pavelić che portava al collo due collane fatte con lingue ed occhi di esseri umani.
Anche cinque vescovi ed almeno 300 preti dei Serbi furono macellati, taluni in maniera ripugnante, come il pope Branko Dobrosavljevic, al quale furono strappati la barba ed i capelli, sollevata la pelle, estratti gli occhi, mentre il suo figlioletto era fatto letteralmente a pezzi dinanzi a lui. L'ottantenne Metropolita di Sarajevo, Petar Simonic, fu sgozzato.
Ciononostante l'arcivescovo cattolico della città di Oden scrisse parole in lode di Pavelić, "il duce adorato", e nel suo foglio diocesano inneggiò ai metodi rivoluzionari, "al servizio della Verità, della Giustizia e dell'Onore".
(...) Questo regime - che ebbe per simboli e strumenti di guerra "la Bibbia e la bomba" - fu un regime assolutamente cattolico, strettamente legato alla Chiesa Cattolica Romana, dal primo momento e sino alla fine. Il suo dittatore Ante Pavelić, che era tanto spesso in viaggio tra il quartier generale del Führer e la Berghof hitleriana quanto in Vaticano, fu definito dal primate croato Stepinac "un croato devoto", e dal papa Pio XII (nel 1943!) "un cattolico praticante". In centinaia di foto egli appare fra vescovi, preti, suore, frati. Fu un religioso ad educare i suoi figli. Aveva un suo confessore e nel suo palazzo c'era una cappella privata. Tanti religiosi appartenevano al suo partito, quello degli ustasa, che usava termini come dio, religione, papa, chiesa, continuamente. Vescovi e preti sedevano nel Sabor, il parlamento ustasa. Religiosi fungevano da ufficiali della guardia del corpo di Pavelić. I cappellani ustasa giuravano ubbidienza dinanzi a due candele, un crocifisso, un pugnale ed una pistola. I Gesuiti, ma più ancora i Francescani, comandavano bande armate ed organizzavano massacri: "Abbasso i Serbi!". Essi dichiaravano giunta "l'ora del revolver e del fucile"; affermavano "non essere più peccato uccidere un bambino di sette anni, se questo infrange la legge degli ustasa" [il fatto è documentato nella mostra, ndAM]. "Ammazzare tutti i Serbi nel tempo più breve possibile": questo fu indicato più volte come "il nostro programma" dal francescano Simic, un vicario militare degli ustasa. Francescani erano anche i boia dei campi di concentramento. Essi sparavano, nella "Croazia Indipendente", in quello "Stato cristiano e cattolico", la "Croazia di Dio e di Maria", "Regno di Cristo", come vagheggiava la stampa cattolica del paese, che encomiava anche Adolf Hitler definendolo "crociato di Dio". Il campo di concentramento di Jasenovac ebbe per un periodo il francescano Filipovic-Majstorovic per comandante [il fatto è documentato nella mostra, ndAM], che fece ivi liquidare 40.000 esseri umani in quattro mesi. Il seminarista francescano Brzien ha decapitato qui, nella notte del 29 agosto 1942, 1360 persone con una mannaia. Non per caso il primate del paradiso dei gangsters cattolici, arcivescovo Stepinac, ringraziò il clero croato "ed in primo luogo i Francescani" quando nel maggio 1943, in Vaticano, sottolineò le conquiste degli ustasa. E naturalmente il primate, entusiasta degli ustasa, vicario militare degli ustasa, membro del parlamento degli ustasa, era bene informato di tutto quanto accadeva in questo criminale eldorado di preti, come d'altronde Sua Santità lo stesso Pio XII, che in quel tempo concedeva una udienza dopo l'altra ai Croati, a ministri ustasa, a diplomatici ustasa, e che alla fine del 1942 si rivolse alla Gioventù Ustasa (sulle cui uniformi campeggiava la grande "U" con la bomba che esplode all'interno) con un: "Viva i Croati!". I Serbi morirono allora, circa 750.000, per ripeterlo, spesso in seguito a torture atroci, in misura del 10-15% della popolazione della Grande Croazia (...). E se non si sa nulla su questo bagno di sangue da incubo non si può comprendere ciò che laggiù avviene oggi...
In questo testo viene posta la questione di Pio XII, del quale è stata proposta la beatificazione. Tale questione, che è al centro di polemiche tra il mondo ebraico e il mondo cattolico, è veramente cruciale, perchè Pio XII ebbe pesanti responsabilità nelle politiche praticate dagli ustascia. Successivamente, alla fine della II G.M., il Vaticano e alti prelati cattolici ebbero pesanti responsabilità per quanto riguarda la fuga dei criminali di guerra nazifascisti in generale, e ustascia in particolare. A gestire la rete di fuga di tali criminali furono peraltro proprio elementi di spicco del clero cattolico croato, a partire da don Krunoslav Draganović, come è spiegato nel libro Ratlines. I criminali, inclusi gli ustascia, poterono così scappare verso gli USA, l'Argentina, l'Australia...
E fu così che i movimenti ustascia poterono sopravvivere al crollo del nazifascismo, e sopravvisse la loro stessa cattolicissima impostazione; non a caso una delle tendenze dei fuoriusciti ustascia era quella dei križari, i "crociati".
D'altronde il Vaticano mantenne un atteggiamento di grande ostilità nei confronti della Jugoslavia per tutto il dopoguerra. Quando nei primi anni Ottanta Wojtyla chiese di poter visitare la Jugoslavia, dal governo socialista jugoslavo venne la richiesta che egli si recasse a Jasenovac. Il Vaticano preferì annullare la visita pastorale piuttosto che ammettere i crimini commessi a Jasenovac. Ciliegina sulla torta: Giovanni Paolo II ha visitato per ben tre volte la Croazia di Tudjman, e in una di queste occasioni, all'inizio di ottobre 1998, era lì per beatificare l'arcivescovo Stepinac, vero trait d'union tra i criminali ustascia e il Vaticano. Perciò, anche sulla figura di Wojtyla, e su tutta la gestione della "politica estera" vaticana, ci sarebbe molto da interrogarsi e discutere al di là dei luoghi comuni.
Gli ustascia espatriati furono riutilizzati, nel corso di tutta la Guerra Fredda, nella strategia della tensione, non solo contro la Jugoslavia: nomi di nazionalisti croati compaiono nelle carte che riguardano Portella della Ginestra, la strage di Piazza della Loggia, il nascondiglio di armi della Gladio ad Aurisina, e così via.
Il nuovo smembramento della Jugoslavia si preparò negli anni '70 e '80, con le "visite di cortesia" di Tudjman ai nazionalisti ustascia espatriati in Argentina, Australia, Canada.
Quello che è successo negli ultimi venti anni in Jugoslavia dimostra che il fatto di non conoscere, di non far conoscere, di non voler far conoscere la storia recente dell'Europa è ciò che consente che quei crimini vengano ripetuti.
Noi ci ritroviamo ai confini adesso dell'Italia uno Stato smembrato in sette parti, e probabilmente diventeranno di più. E' una cosa semplicemente vergognosa che si sia consentito che uno Stato venisse smembrato in sette parti, e nella maniera più sanguinosa. Si tratta, ne' più ne' meno, che della inversione degli esiti della II Guerra Mondiale: con l'abbattimento del Muro di Berlino, nei Balcani sono ritornati al potere quelli che avevano perso nell'aprile-maggio 1945.
(1) Il Giorno della Memoria (27 Gennaio) è una ricorrenza istituita con la legge n. 211 del 20 luglio 2000 dal Parlamento italiano che ha in tal modo aderito alla proposta internazionale. Il testo dell'articolo 1 della legge così definisce le finalità del Giorno della Memoria: « La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati. » (Legge 20 luglio 2000, n. 211, Istituzione del "Giorno della Memoria" in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 177 del 31 luglio 2000, dal sito web Parlamento Italiano. Riportato il 12 aprile 2007.)
E' utile inoltre rammentare il significato del termine GENOCIDIO: ogni atto commesso con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso.
(2) UNITED NATIONS REFUSES TO ACKNOWLEDGE ROMANI VICTIMS OF THE HOLOCAUST AT ANNUAL CEREMONY (Ian Hancock), Roma Slated to Be Ignored at the UN Commemoration of the International Day in Memory of the Holocaust (Bill Templer), 27 January 2009: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6307
(3) Sull'Appoggio italiano agli ustascia si veda la bibliografia dedicata:
- Ante Pavelić. Il duce croato - di Massimiliano Ferrara, Introduzione di Lucio Caracciolo (Editrice KappaVu - Udine 2008);
- Dittatore per caso. Un piccolo duce protetto dall'Italia fascista - di Erik Gobetti (L'Ancora del Mediterraneo 2001);
- Ustascia: Patrioti idealisti o spietati assassini? - di Claudio Delgrosso (Ass. Ricerche Storiche Valtaresi - Borgotaro (PR) maggio 2000);
- Il Fascismo e gli ustascia, 1929-1941. Il separatismo croato in Italia - di Pasquale Juso (Gangemi Editore 1998).
Per avere un'idea della concretezza di tale appoggio italiano, si pensi che addirittura Pavelić, appena insediato a Zagabria proveniente dall'Italia, chiese ad Aimone di Savoia, di diventare Re del nuovo Stato.
(4) Heinrich Himmler, capo delle SS, in un documento riservato del 15/5/1940. Citato in: R. Opitz, "Europa-Strategien des deutschen Kapitals 1900-1945", Colonia 1977 - da pag. 653.
(5) Traduzione del testo presentato da Karlheinz Deschner, storico della Chiesa cattolica, il 26/12/1993 in occasione dell'ultima puntata della sua serie televisiva sulla politica dei Papi nel XX secolo trasmessa in Germania da Kanal 4, sulle frequenze di RTL. Il testo e' stato ripreso dalla rivista marxista tedesca "Konkret" (n.3-1994, pg.47) e tradotto in italiano a cura del Coord. Romano per la Jugoslavia: https://www.cnj.it/documentazione/ustascia1941.htm#deschner . Di Karlheinz Deschner è utile consultare alcuni libri, oramai disponibili anche in lingua italiana (vedi Bibliografia).
BIBLIOGRAFIA:
Oltre ai libri menzionati in Nota 3, relativi all'Appoggio italiano agli ustascia, raccomandiamo:
- Marco Aurelio Rivelli: Dio è con noi! La Chiesa di Pio XII complice del nazifascismo, Kaos edizioni, Milano 2002;
- Marco Aurelio Rivelli: L'Arcivescovo del genocidio, Kaos Edizioni, Milano 1999;
- Karlheinz Deschner: La Politica dei papi nel XX secolo ed altre opere di questo autore fondamentale - https://www.cnj.it/documentazione/bibliografia.htm#deschner ;
- Carlo Falconi: Il silenzio di Pio XII. Papa Pacelli e il nazifascismo, Kaos edizioni, Milano 2006;
- Giacomo Scotti: Ustascia tra il fascio e la svastica, Udine 1976;
- Mark Aarons e John Loftus: Ratlines. La guerra della Chiesa contro il comunismo, Newton Compton nel 1993 (edizione inglese: 1991);
- altri articoli e pubblicazioni disponibili in lingua inglese o francese: https://www.cnj.it/documentazione/ustascia1941.htm ;
- il catalogo di questa mostra:
Dragoje Lukić, Jovan Mirković (edts.): Catalogo della mostra ERANO SOLO BAMBINI Jasenovac tomba di 19432 bambine e bambini (Catalogue of the exibition THEY WERE ONLY CHILDREN Jasenovac crypt of 19432 girls and boys), Museo delle vittime del genocidio di Belgrado / Muzej žrtava genocida Beograda / Museum of genocide victims Belgrade - 2006 (ISBN-10 86-906329-4-8 / ISBN-13 978-86-906329-4-7)
I paesi dell’UE si astengono su una risoluzione ONU di condanna della riabilitazione del fascismo
di redazione
su redazione del 20/01/2010
I paesi dell’UE si astengono su una risoluzione ONU di condanna della riabilitazione del fascismo. La denuncia degli europarlamentari comunisti greci
Nota a cura della redazione di http://www.lernesto.it
Il 18 dicembre 2009, per iniziativa della Federazione Russa è stata presentata all’Assemblea Generale dell’ONU una risoluzione che condanna il tentativo in atto in alcuni paesi, in particolare nelle repubbliche baltiche, in Ucraina e in Georgia, di riabilitare e addirittura glorificare il nazismo e il collaborazionismo, e di recare oltraggio ai monumenti che ricordano i caduti nella lotta contro il fascismo durante la Seconda Guerra Mondiale. La risoluzione è stata significativamente presentata poche ore prima che il governo della Georgia procedesse alla demolizione del memoriale dedicato ai soldati dell’Armata Rossa e alle vittime dell’aggressione nazi-fascista.
La risoluzione ha ottenuto il voto della stragrande maggioranza dei paesi (127) che fanno parte delle Nazioni Unite. L’unico voto contrario è venuto dagli Stati Uniti. I 27 paesi europei, appartenenti all’Unione Europea, si sono astenuti. Ad essi si sono aggiunte Ucraina, Georgia e Moldova, stati in questo momento governati dai rappresentanti delle cosiddette “rivoluzioni colorate”, ispirate e sostenute dall’Occidente.
Sul gravissimo comportamento delle rappresentanze europee in sede ONU è intervenuto pochi giorni fa l’eurodeputato del Partito Comunista di Grecia, Giorgos Toussas, che ha denunciato con forza il comportamento “bipartisan” dei governi, sia di destra che socialdemocratici, dell’UE, che proverebbe come l’anticomunismo, oggi apertamente incoraggiato dalle risoluzioni adottate a livello comunitario, “sia perfettamente in linea con la tolleranza nei confronti del fascismo e la glorificazione delle bande fasciste” e con l’oltraggio alla lotta antifascista e ai sacrifici sopportati dai popoli del continente durante il secondo conflitto mondiale.
Nell’interpellanza presentata al Consiglio, Toussas chiede: “Il fatto che l’UE si sia astenuta sulla risoluzione significa forse l’approvazione e il sostegno alla glorificazione e alla riabilitazione delle bande fasciste e dei collaboratori dei criminali di guerra nazisti in una serie di stati membri dell’Unione Europea e di altri paesi europei? Il rifiuto di condannare la glorificazione del fascismo è forse parte del tentativo storicamente inconsistente di mettere sullo stesso piano Nazismo e Comunismo?”.
La delegazione europarlamentare del KKE ha colto l’occasione per denunciare anche la violenta campagna anticomunista, che sta registrando negli ultimi mesi una preoccupante scalata, a partire dalla decisione assunta dalle autorità polacche di mettere al bando persino i simboli che si richiamano agli ideali del comunismo e dalla richiesta avanzata al governo, da parte di settori del parlamento della Repubblica Ceca, di mettere al bando il Partito Comunista di Boemia e Moravia.
“Il Consiglio intende condannare le decisioni reazionarie del governo polacco, e le persecuzioni in atto contro i comunisti e il movimento dei lavoratori?”, ha chiesto un altro parlamentare europeo del KKE, Babis Angourakis.
Il secolo successivo non è stato migliore: nel 1915 gli americani occupano l'isola e continuano con il terrore dei loro predecessori fino a 1934. Lasciano gli oligarchi da loro creati che governano come gli americani: sempre con lo stesso terrore e morte. I più famosi furono i Duvalier padre e figlio ("Papa Doc" e "Baby Doc").
Nel '94 Clinton riporta Aristide al governo, ma lo controlla attraverso il suo mandante del Fondo monetario internazionale (FMI) che ha maggiori poteri del governo stesso. Alla giunta militare ed ai suoi squadroni della morte si applica l'amnistia (faceva sempre comodo agli americani tenerli pronti e a disposizione, casomai Aristide dovesse guardare troppo a sinistra, come Chavez!). Infatti, invia Al Gore di tanto in tanto a dare una sterzata qua e là e il povero Aristide non riesce a tirare su il paese. Malgrado tutto, costruisce gli ospedali, le scuole, le strade.
Con l'arrivo di Bush, la situazione per gli haitiani peggiora. Il portatore della "soft power" in mezzo mondo manda subito Colin Powel, con gli agenti della CIA e il National Endowment for Democracy, ad organizzare il golpe militare vista la nuova, netta vittoria elettorale di Aristide, sostenuto dai poveri, nel 2000. La solita campagna mediatica che accusava Aristide di essere un dittatore e di non rispettare i diritti umani fa eco nell'Occidente, ed è l'unica "verità" che sapremo atraverso i media liberi e democratici.
Quel golpe è stato illegale, ma nessuno in Occidente dice niente a riguardo. A nessuno disturbano i successivi massacri dei golpisti ed il loro non rispetto degli stessi diritti negati, acclamati a squarciagola contro Aristide.
Il 29.2.2004 le truppe americane entrano a Haiti, non per aiutare il governo legalmente eletto a salire al potere, ma anzi, per rimuoverlo rapendo Aristide e portandolo con un aereo in Repubblica Centroafricana, mettendo al suo posto Girard Latortue che aveva vissuto in Florida per 10 anni. Così è stato rinnovato ad Haiti il sistema "Duvalier & Son" che aveva terrorizzato il paese per decenni.
Nel settembre 2004 l'uragano Jeanne uccide migliaia di persone. Lo stesso uragano si rinforza e prosegue verso Cuba ancora più infuriato e lì... nessuna vittima.
Nel 2005 l'America introduce l'embargo contro Haiti, che regolarmente colpisce i più poveri; nel 2008 l'uragano Hanna, la miseria e la povertà uccidono di nuovo.
L'ONU sta lì con la missione MINUSTAH - "Mission for the Stabilization of Haiti" - che distribuisce il cibo selettivamente, appoggiando il governo dei golpisti.
Centinaia di oppositori politici marciscono nelle prigoni. Questo non disturba le organizzazioni per i diritti umani che invece gridano un giorno si e l'altro pure a squarciagola per le stesse cose cui fanno riferimento pure in Iran.
Nel 2006, alle elezioni libere finalmente accettate dai golpisti, vince il candidato di Aristide sostenuto dai poveri, Preval.
Le sanzioni imposte dagli USA, il FMI che ha introdotto una politica economica catastrofica, gli uragani, la corruzione... e il paese è arrivato alla fame più nera, dove la popolazione vive con meno di 1 dollaro al giorno.
Si sostituisce il primo ministro e tra i vari tira-e-molla e le intromissioni dei servizi segreti di mezzo mondo, si impone il candidato di Preval, Michèle Pierre-Louis, che non riesce a tirare su il paese dalla povertà estrema. Le bande paramilitari, le truppe pseudogovernative, le truppe internazionali che proteggono gli oligarchi, le bande di ogni genere giorno dopo giorno sfaldano lo Stato haitiano.
E si arriva al terremoto pari alla forza di due bombe atomiche.
<< Qualcosa di terribile è accaduto tanti anni fa ma forse la gente non ama parlare di questo. Gli haitiani erano sotto la dominazione francese. Si sono raccolti una volta e hanno fatto il patto con il diavolo: "Ti saremo servitori se ci libererai dai francesi".
Il diavolo ha risposto: "OK, affare fatto".
Questa è una storia vera... >> ha concluso Robertson.
A Haiti non è mai stato permesso di crescere e vivere con le proprie forze. Gli interessi di altri hanno devastato e continuano a devastare questo paese.
La libertà, d'altronde, non è mica per tutti. L'egalitè, fraternitè, libertè sono un affare diabolico.
Jasmina Radivojević
“Due giorni fa, quasi alle 6 di sera, ora di Cuba, mentre ad Haiti, per la sua posizione geografica, era ormai notte, le emittenti televisive hanno iniziato a divulgare la notizia che un violento terremoto, con una magnitudine di 7,3 gradi della scala Richter, aveva gravemente colpito Port-au-Prince. Il fenomeno sismico si era originato in una falda tettonica ubicata nel mare, a soli 15 chilometri dalla capitale haitiana, una città dove l’80% della popolazione abita in deboli case costruite con argilla e fango.
Le notizie sono proseguite quasi senza interruzione per ore. Non c’erano immagini, però si affermava che molti edifici pubblici, ospedali, scuole e strutture con una costruzione più solida erano collassate. Ho letto che un terremoto con un magnitudine di 7,3°, equivale all’energia liberata da un’esplosione di 400 mila tonnellate di TNT.
Le descrizioni trasmesse erano tragiche. Nelle strade, i feriti gridavano, implorando soccorso medico, circondati dalle rovine che seppellivano intere famiglie. Tuttavia, per molte ore, nessuno aveva potuto trasmettere nessuna immagine.
La notizia ci ha colto tutti di sorpresa. In molti avevamo spesso sentito parlare di Haiti per gli uragani e le grandi inondazioni, però ignoravamo che il paese corresse il rischio di un grande terremoto. Siamo venuti a conoscenza che 200 anni fa in questa città, che sicuramente aveva poche migliaia d’abitanti, si era prodotto un grande sisma.
A mezzanotte non si menzionava ancora una cifra approssimativa delle vittime. I responsabili delle Nazioni Unite e diversi Capi di Governo parlavano dei commoventi avvenimenti ed annunciavano l’invio di contingenti di soccorso. Siccome lì si trovano impiegate truppe della MINUSTAH, costituita da forze delle Nazioni Unite di diversi paesi, alcuni ministri della Difesa parlavano di possibili perdite tra il loro personale.
È stato realmente nella mattinata di ieri, mercoledì, quando sono incominciate a giungere le tristi notizie sulle enormi perdite umane tra la popolazione e perfino istituzioni come le Nazioni Unite riferivano che alcuni dei loro edifici in quel paese erano collassati, una parola che di per sé non dice nulla, però poteva significare molto.
Ininterrottamente, per ore, sono continuate ad arrivare notizie sempre più traumatiche sulla situazione di questo fraterno paese. Si discutevano le cifre dei deceduti, che fluttuavano, secondo le versioni, tra i 30 mila ed i 100 mila. Le immagini sono desolanti; è evidente che il disastroso avvenimento ha ricevuto un’ampia divulgazione mondiale e molti governi, sinceramente commossi, stanno realizzando degli sforzi per cooperare secondo le loro risorse.
Una tragedia commuove in buona fede un grande numero di persone, soprattutto quelle di carattere naturale. Forse pochi però si fermano a pensare perché Haiti è un paese così povero. Perché quasi il 50% della sua popolazione dipende dalle rimesse familiari che riceve dall’estero? Perché non analizzare anche le realtà che portano Haiti all’attuale situazione ed alle sue enormi sofferenze?
L’aspetto più curioso di questa storia è che nessuno pronuncia una sola parola per ricordare che Haiti è stato il primo paese in cui 400 mila africani, schiavizzati e deportati dagli europei, si sono ribellati contro 30 mila padroni bianchi, proprietari di piantagioni di canna da zucchero e di caffé, portando a termine la prima grande rivoluzione sociale nel nostro emisfero. Lì sono state scritte pagine d’insuperabile gloria. E’ stato sconfitto il più eminente generale di Napoleone. Haiti è il prodotto netto del colonialismo e dell’imperialismo, di oltre un secolo d’impiego delle sue risorse umane nei lavori più duri, degli interventi militari e dell’estirpazione delle sue ricchezze.
Questa dimenticanza storica non risulterebbe così grave come il fatto reale che Haiti costituisce una vergogna della nostra epoca, in un mondo dove prevale lo sfruttamento ed il saccheggio dell’immensa maggioranza degli abitanti del pianeta.
Migliaia di milioni di persone in America Latina, Africa ed Asia soffrono di carenze simili, sebbene forse non tutte in una proporzione così alta come Haiti.
Situazioni come quelle di questa nazione non dovrebbero esistere in nessun luogo della Terra, dove abbondano decina di migliaia di città e paesi in condizioni simili ed a volte peggiori, a causa di un ingiusto ordine economico e politico internazionale, imposto al mondo. La popolazione mondiale non è minacciata unicamente dalle catastrofi naturali come quella di Haiti, che è solo una pallida ombra di ciò che potrebbe succedere nel pianeta con il cambio climatico, che a Copenaghen è stato realmente oggetto di burla, scherno ed inganno.
È giusto dire a tutti i paesi ed a tutte le istituzioni che hanno perso dei cittadini o dei membri a causa della catastrofe di Haiti: non dubitiamo che realizzerete in questo momento lo sforzo maggiore per salvare delle vite umane ed alleviare il dolore di questo popolo martoriato. Non possiamo incolparvi del fenomeno naturale che è avvenuto lì, sebbene non ci troviamo d’accordo con la politica adottata nei confronti di Haiti.
Non posso esimermi dall’esprimere l’opinione che è giunta l’ora di cercare delle soluzioni reali e vere per questo fraterno popolo.
Nel campo della salute ed in altre aree, Cuba, nonostante sia un paese povero e sottoposto al bloqueo, sta cooperando da anni con il popolo haitiano. Circa 400 medici e specialisti sanitari prestano cooperazione gratuita a favore del popolo haitiano. Ogni giorno, i nostri medici lavorano in 227 dei 337 comuni del paese. Inoltre, non meno di 400 giovani haitiani si sono formati come medici nella nostra Patria. Lavoreranno ora con il rinforzo che è partito ieri per salvare delle vite in questa critica situazione. Si possono mobilitare perciò, senza un particolare sforzo, fino a mille medici e specialisti sanitari, che si trovano ormai quasi tutti sul posto, pronti a cooperare con qualsiasi altro Stato che desideri salvare delle vite haitiane e riabilitare i feriti.
Un altro elevato numero di giovani haitiani stanno frequentando i corsi di laurea in Medicina a Cuba.
Cooperiamo inoltre con il popolo haitiano in altre sfere che sono alla nostra portata. Non esisterà, tuttavia, nessuna altra forma di cooperazione degna di questo nome, se non quella di lottare nel campo delle idee e dell’azione politica per porre fine alla tragedia senza fine che soffrono numerose nazioni come Haiti.
La responsabile del nostro contingente medico ha informato: “ La situazione è difficile, però abbiamo già iniziato a salvare delle vite”. L’ha dichiarato con uno schietto messaggio alcune ore dopo il suo arrivo a Port-au-Prince con rinforzi medici addizionali.
A notte fonda, ha comunicato che i medici cubani ed i laureati haitiani dell’ELAM stavano prendendo posizione nel paese. Avevano già assistito a Port-au-Prince a oltre un migliaio di pazienti, mettendo urgentemente in funzione un ospedale che non era collassato ed utilizzando tende dov’era necessario. Si stavano preparando ad installare rapidamente altri centri di pronto soccorso.
Sentiamo un sano orgoglio per la cooperazione che in questi tragici istanti i medici cubani ed i giovai medici haitiani laureatisi a Cuba stanno prestando ai loro fratelli di Haiti!
Fidel Castro Ruz
14 gennaio 2010