Informazione

(srpskohrvatski / italiano)

Attraverso Stevan Mirkovic riceviamo e volentieri diffondiamo:

Sent: Sunday, January 10, 2010 12:23 PM
Subject: Aktivnosti u BiH

Udruzenje "Nasa Jugoslavija" (i) u Bosni i Hercegovini se i dalje bori za legalan rad, a prepreka na tom putu imamo mnogo. Registracija je jos u toku i prema mnogim pokazateljima taj proces ce jos potrajati, ali sve upucuje na to da cemo stici i do Evropskog suda za ljudska prava u Strazburgu - drugovima iz BG i SD je to poznato. Ministarstvo pravde u BiH, a identicna situacija je i u Hrvatskoj, nam ne dozvoljava upotrebu naziva "Nasa JUGOSLAVIJA", to im smeta i bode oci, nemaju miran san. Odgovorne institucije ni pojedinci nemaju nikakvu pravnu osnovu po kojoj nam mogu zabraniti upotrebu ovog imena. Mi ne odustajemo od svojih namjera, a glavni cilj je priznavanje prava na nacionalnost Jugoslaven. To smo saopstili u Deklaracijama za BiH i Hrvatsku. Cak je u hrvatski sabor poslan i prijedlog za promjenu Ustava RH (koji jetrenutno u proceduri izmjena i uskladjivanja sa potrebama EU) i unosenjem, odnosno uzimanjem u obzir cinjenice da Jugoslaveni postoje i za sebe traze status kao i sve ostale nacionalnosti. (ii)

U pravcu ostvarenja navedenog cilja ostvareni su mnogi kontakti sa raznim javnim licnostima i organizacijama na teritoriji BiH i Hrvatske, ali i sire (posebno Slovenija) kako bi se stvorio jedinstveni front zajednickog djelovanja. Posebno aktivan je "Forum otpora" (inicijativa zaceta u Sarajevu u septembru 2009. godine) u koji su ukljuceni posebno mladi ljudi, studenti i djaci, sa jugoslavenskih prostora, ali i iz Grcke, Francuske i Belgije. Do sada su odrzana dva skupa (Sarajevo i Ljubljana), a slijedi skup u Zagrebu. (...) Vjerovatno ste culi za slucaj "Finci i Sejdic protiv BiH" - proces vodjen pred sudom u Strazburgu. Ovaj dvojac je dobio sudski proces protiv BiH i njene politike diskriminacije (iii), a taj cin je i za nas Jugoslavene veoma vazan znak da se do uspjeha moze doci samo upornim istrajavanjem na putu ka ostvarenju zacrtanih ciljeva.

Drugarski pozdrav, Dalibor-Bosanac

--- traduzio ne: --

L'associazione "La nostra Jugoslavia" (i) in Bosnia-Erzegovina ancora lotta per il lavoro legale e abbiamo molti ostacoli su questo cammino. La registrazione è ancora in corso e, secondo molti indicatori, il processo richiederà ancora del tempo, ma tutto indica che arriveremo fino alla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo -- i compagni di BG e SD ne sono al corrente. Il Ministero della Giustizia della Bosnia-Erzegovina - e la situazione è identica anche in Croazia - non consente l'uso della denominazione "La nostra JUGOSLAVIA", questo li disturba, non dormono sonni tranquilli. Le Istituzioni responsabili, o gli individui, non hanno alcun fondamento giuridico per impedirci l'uso di questa denominazione. Non rinunciamo a queste nostre intenzioni, il nostro obiettivo principale è il riconoscimento della cittadinanza jugoslava. Questo abbiamo affermato sia nella Dichiarazione per la Bosnia-Erzegovina, che per la Croazia. Anche al Parlamento croato è stata inviata una proposta di modifica della Costituzione della Repubblica di Croazia (che è attualmente in procedura di modifica e armonizzazione con i requisiti UE), con l'apposito inserimento, ovvero con la considerazione del fatto che gli Jugoslavi esistono e che stanno chiedendo il proprio status, identico come per tutte le altre nazionalità. (ii)

Allo scopo del conseguimento degli obiettivi di cui sopra, sono stati realizzati molti contatti con varie personalità ed organizzazioni nel territorio della Bosnia-Erzegovina e della Croazia, ma anche su di un territorio più ampio (in particolare, in Slovenia) perché si crei un fronte unitario di azione comune. Particolarmente attivo è il "Forum della resistenza" (l'iniziativa è stata avviata a Sarajevo nel settembre 2009) in cui sono coinvolti in particolare i giovani, gli studenti e gli alunni dall'area jugoslava, ma anche di Grecia, Francia e Belgio. Fino ad oggi sono state tenute due conferenze (a Sarajevo e Lubiana), e seguirà un raduno a Zagabria.  (...) Probabilmente avete sentito parlare del caso "Finci e Sejdic contro BiH" - processo svoltosi dinanzi alla Corte di Strasburgo. Il duo ha vinto il processo contro la Bosnia-Erzegovina e le sue politiche di discriminazione (iii), e questo evento per noi Jugoslavi è un segnale molto importante, vuol dire che il successo può arrivare soltanto con la perseveranza nella realizzazione degli obiettivi prefissati.

Un saluto cordiale, Dalibor (dalla Bosnia)






LA CULTURA ITALIANA AL TEMPO DEL FASCISMO

---

19 feb - Voto bipartisan alla Camera: nelle scuole solo testimoni veri

venerdì 19 febbraio 2010

Solo i testimoni diretti della vicenda delle foibe potranno raccontare quel pezzo di storia nelle scuole. È quanto prevede una risoluzione del Pdl (prima firmataria la deputata Paola Frassinetti) votata all'unanimita' oggi in commissione Cultura alla Camera. 

"Ho voluto chiedere al governo garanzie che nelle scuole a parlare di foibe siano i testimoni diretti di quegli eventi -spiega Frassinetti, che e' vicepresidente della commissione Cultura- purtroppo negli ultimi tempi si sono verificati gravi episodi di negazionismo da parte di alcune associazioni che, ribaltando la verita' storica, travisavano completamente quelle tragiche vicende, arrivando addirittura a colpevolizzare gli italiani". Non solo "alcune scuole -ha aggiunto all'agenzia Dire la Frassinetti- hanno anche deciso di non parlare di questi argomenti di non ricordare". È accaduto, ad esempio, a Roma. 

Di qui la risoluzione, votata anche dall'opposizione, che punta a "incrementare" le iniziative di studio del tema negli istituti, ma anche a garantire un "maggiore controllo sulle associazioni -spiega Frassinetti- che vanno a raccontare ai ragazzi questo pezzo di storia". 
La risoluzione inizialmente prevedeva un albo di associazioni 'accreditate' dal ministero dell'Istruzione a parlare di foibe nelle scuole. Ma il Pd si e' opposto a questa soluzione. Cosi', alla fine, il testo prevede una sollecitazione al governo che dovra' vigilare in qualche modo su chi parlera' di foibe nelle scuole. La risoluzione prevede anche "corsi di formazione per docenti e studenti mediante seminari di studio a loro dedicati e affidati a docenti che ne garantiscano il carattere scientifico". 


(fonte diregiovani.it)

---

La VII Commissione della Camera dei Deputati,
premesso che: 

con la legge 30 marzo 2004 n. 92 è stata istituita dal Parlamento italiano la «Giornata del ricordo», al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani, giuliani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale; 

tale giornata è dedicata alla celebrazione ed alla memoria della complessa vicenda del confine orientale e, all'interno di questa, del martirio degli italiani infoibati, del loro assassinio di massa organizzato dalle bande comuniste del maresciallo Tito, raccapricciante segno di una pulizia etnica che fu attuata in terre teatro di uno storico e tragico scontro di nazionalismi e che durò fino al 1948, provocando l'esilio forzato di 350mila italiani dall'Istria, da Fiume e da tutta la Dalmazia; 

il martirio non fu risparmiato né alle donne né ai bambini, né ai vecchi né ai sacerdoti, la cui sola colpa era quella di essere italiani; 

considerato altresì che: 

all'articolo 1, comma 2, della legge n. 92 del 2004 si fa espresso riferimento al fatto che tali commemorazioni debbano essere realizzate per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado e che istituzioni ed enti debbano favorire la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende; 

tali iniziative, inoltre, devono essere volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario ed artistico degli italiani dell'Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica, ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti nel territorio nazionale e all'estero; 

negli ultimi due anni tale ricorrenza è stata celebrata da parte delle più alte cariche istituzionali; 

nonostante tutto, purtroppo, oggi in Italia c'è chi tende a minimizzare la tragedia delle foibe e dell'esodo e, paradossalmente, proprio la scuola è l'istituzione che tende a dimenticare maggiormente questa pagina tragica della storia italiana. Infatti i testi scolastici dovrebbero contemplare questa drammatica vicenda e, invece, in molti casi, la stessa non viene nemmeno menzionata, disattendendo in questo modo una delle principali finalità indicate dalla legge n. 92 del 2004; 

da tempo in molte scuole a parlare delle foibe e dell'esodo sono associazioni che il più delle volte tendono a minimizzare l'evento o comunque ad effettuare ricostruzioni che non corrispondono alle oggettività storiche, così offendendo i martiri italiani; 

pertanto pare necessario che per scongiurare questo pericolo sia più opportuno che a essere chiamati a ricordare e a spiegare nelle scuole questi tragici eventi siano i testimoni diretti di quei fatti, nonché studiosi che abbiano approfondito il tema con serenità e rigore, 

impegna il Governo: 

ad incrementare le iniziative nelle scuole sul tema di cui in premessa, avviando anche dei corsi di formazione per docenti e studenti mediante seminari di studio a loro dedicati e affidati a docenti che ne garantiscano il carattere scientifico; 

a garantire che, nel rispetto dell'autonomia scolastica, siano i testimoni di quelle vicende ad incontrare gli studenti al fine di trasmettere e conservare la memoria della storia e della tragedia dei confini orientali. 

«Frassinetti, Garagnani, Barbieri, Goisis, Granata, Ceccacci Rubino, Mazzuca, Barbaro, Giammanco, Murgia, Centemero, Palmieri, Rivolta, Aprea, Grimoldi, Lainati». 

Roma, 18 febbraio 2010






In nome delle belle ragazze albanesi

19.02.2010

Durante un recente incontro con il premier albanese Berisha, Berlusconi ha attaccato gli scafisti. Poi ha aggiunto: "Faremo eccezioni solo per chi porta belle ragazze". Dalla scrittrice albanese Elvira Dones riceviamo questa lettera aperta al premier Silvio Berlusconi in merito alla sua battuta

"Egregio Signor Presidente del Consiglio, 

le scrivo su un giornale che lei non legge, eppure qualche parola gliela devo, perché venerdì il suo disinvolto senso dello humor ha toccato persone a me molto care: "le belle ragazze albanesi". Mentre il premier del mio paese d'origine, Sali Berisha, confermava l'impegno del suo esecutivo nella lotta agli scafisti, lei ha puntualizzato che "per chi porta belle ragazze possiamo fare un'eccezione." 

Io quelle "belle ragazze" le ho incontrate, ne ho incontrate a decine, di notte e di giorno, di nascosto dai loro magnaccia, le ho seguite da Garbagnate Milanese fino in Sicilia. Mi hanno raccontato sprazzi delle loro vite violate, strozzate, devastate. A "Stella" i suoi padroni avevano inciso sullo stomaco una parola: puttana. Era una bella ragazza con un difetto: rapita in Albania e trasportata in Italia, si rifiutava di andare sul marciapiede. Dopo un mese di stupri collettivi ad opera di magnaccia albanesi e soci italiani, le toccò piegarsi. Conobbe i marciapiedi del Piemonte, del Lazio, della Liguria, e chissà quanti altri. E' solo allora - tre anni più tardi - che le incisero la sua professione sulla pancia: così, per gioco o per sfizio. 

Ai tempi era una bella ragazza, sì. Oggi è solo un rifiuto della società, non si innamorerà mai più, non diventerà mai madre e nonna. Quel puttana sulla pancia le ha cancellato ogni barlume di speranza e di fiducia nell'uomo, il massacro dei clienti e dei protettori le ha distrutto l'utero. 

Sulle "belle ragazze" scrissi un romanzo, pubblicato in Italia con il titolo Sole bruciato. Anni più tardi girai un documentario per la tivù svizzera: andai in cerca di un'altra bella ragazza, si chiamava Brunilda, suo padre mi aveva pregato in lacrime di indagare su di lei. Era un padre come tanti altri padri albanesi ai quali erano scomparse le figlie, rapite, mutilate, appese a testa in giù in macellerie dismesse se osavano ribellarsi. Era un padre come lei, Presidente, solo meno fortunato. E ancora oggi il padre di Brunilda non accetta che sua figlia sia morta per sempre, affogata in mare o giustiziata in qualche angolo di periferia. Lui continua a sperare, sogna il miracolo. E' una storia lunga, Presidente... Ma se sapessi di poter contare sulla sua attenzione, le invierei una copia del mio libro, o le spedirei il documentario, o farei volentieri due chiacchiere con lei. Ma l'avviso, signor Presidente: alle battute rispondo, non le ingoio. 

In nome di ogni Stella, Bianca, Brunilda e delle loro famiglie queste poche righe gliele dovevo. In questi vent'anni di difficile transizione l'Albania s'è inflitta molte sofferenze e molte ferite con le sue stesse mani, ma nel popolo albanese cresce anche la voglia di poter finalmente camminare a spalle dritte e testa alta. L'Albania non ha più pazienza né comprensione per le umiliazioni gratuite. Credo che se lei la smettesse di considerare i drammi umani come materiale per battutacce da bar a tarda ora, non avrebbe che da guadagnarci. 

Elvira Dones, scrittrice-giornalista. 

Nata a Durazzo nel 1960, si è laureata in Lettere albanesi e inglesi all'Università di Tirana. Emigrata dal suo Paese prima della caduta del Muro di Berlino, dal 1988 al 2004 ha vissuto e lavorato in Svizzera. Attualmente risiede negli Stati Uniti, dove alla narrativa alterna il lavoro di giornalista e sceneggiatrice.




Nucleare iraniano - perchè no?

1) Fosco Giannini: Comunicato stampa
2) Sergio Cararo: Il nucleare iraniano. Una minaccia o un fattore di riequilibrio in Medio Oriente?


=== 1 ===

COMUNICATO STAMPA
 
 GLI USA ED ALTRI GOVERNI OCCIDENTALI  MINACCIANO LA GUERRA CONTRO L’IRAN PERCHE’ QUESTO PAESE STAREBBE LAVORANDO PER DOTARSI DI ARMI NUCLEARI. DUNQUE, SUL PIANO DEL PRINCIPIO, E’ POSTA LA QUESTIONE DELLA PUNIZIONE BELLICA CONTRO OGNI PAESE VOLTO AL RIARMO ATOMICO. CIO’ VUOL DIRE CHE GLI USA BOMBARDERANNO ANCHE ISRAELE?
 
Sale un vento di guerra contro l’Iran. Sale innanzitutto dal governo e dall’esercito israeliano. Sale dagli USA: per Hillary Clinton “ogni opzione è ormai possibile”, anche l’intervento bellico. Il governo Berlusconi è pronto ad allinearsi, militarmente, con gli USA ed Israele. Come viene argomentata questa minaccia ?  Buona parte del mondo occidentale e capitalistico afferma che “ l’Iran sta allestendo il suo programma nucleare, la sua bomba atomica”. Gran parte della   stampa e dei media di questa parte del mondo – quella che orienta l’80% dei lettori – ripete a pappagallo l’argomentazione USA e di Israele : “ L’Iran sta preparando la bomba. Non può farlo! Occorre la guerra!”.

La verità è accuratamente, ipocritamente, criminalmente nascosta a centinaia di  milioni di persone e solo pochi giornali di bassissima tiratura la raccontano, invano. La verità è che se anche l’Iran  si dotasse domani di un ordigno atomico, sarebbe l’ultimo – tra i grandi Paesi – ad arrivarci. Tutte le grandi potenze – dagli USA alla Cina - sono già, da tempo, potenze nucleari. Lo sta diventando il Giappone, grazie soprattutto agli USA e alla Francia. Stanno apprestandosi a varare programmi nucleari molti Paesi arabi, dall’Egitto alla Libia sino agli Emirati del Golfo; è già divenuta una potenza nucleare il Pakistan, con l’aiuto di tutti i paesi arabi e islamici; l'India lo è da tempo e proprio in questi giorni di demonizzazione dell’Iran ha sperimentato il missile “Agni III ”per il lancio di testate nucleari. Infine: Israele - il cui governo è quello che più di ogni altro spinge alla guerra - è il Paese già dotato, da tempo, di decine di bombe nucleari ed è il Paese – assieme agli USA-  che più di ogni altro respinge un trattato internazionale di denuclearizzazione. Siamo, dunque, al paradosso: l’Iran, che non ha ancora nessun ordigno nucleare e ha proposto in sede internazionale un progetto di denuclearizzazione del Medio Oriente, è sotto la minaccia di guerra; Israele, dotato di bombe nucleari e contrario alla denuclearizzazione, spinge alla guerra per  impedire all’Iran di avviare un proprio progetto nucleare! Siamo ben al di là di ogni politica coloniale: siamo di fronte al puro arbitrio, alla cancellazione totale del Diritto Internazionale. Siamo di fronte ad una politica di pura ferocia. 

Come è possibile che un tale paradosso possa reggere, che i governi e i media occidentali possano raccontare una simile menzogna?

Se fosse giusto dichiarare guerra ad un Paese dotato di armi nucleari, perché gli USA non minacciano la guerra anche contro Israele? Contro l’India, il Pakistan?

La Clinton ed Obama potrebbero rispondere che gli USA sono alleati privilegiati di Israele. Ma se avesse razionalità tale argomento, significherebbe forse che sarebbe giusta una minaccia di guerra da parte della Cina, o della Russia,contro Israele?

Per capire la verità prendiamo l’Italia: gran parte del mondo politico ed economico dunque: mediatico) è in gran parte asservito e genuflesso agli USA. Da noi passa solo il messaggio americano. Con il rischio che decine di milioni di italiani si convincano che sarà giusto bombardare l’Iran “ perché ha la bomba atomica”. In pochi sapranno che Israele ne ha decine di quelle bombe ma nessuno l’attacca. Perché Israele garantisce militarmente l’ordine americano in Medio Oriente. Perché, in quella regione del mondo - l’Iran è invece  una  potenza non asservita agli USA e ad Israele. Ma se avesse mai validità il teorema USA – e non lo ha, poiché l’unico teorema giusto è quello del disarmo nucleare generalizzato - anche Israele dovrebbe avere i giorni contati.

ON. FOSCO GIANNINI
GIA’ SENATORE DELLA REPUBBLICA.
DELLA DIREZIONE NAZIONALE
DEL PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA.


=== 2 ===

Il nucleare iraniano
Una minaccia o un fattore di riequilibrio in Medio Oriente?
di Sergio Cararo

 

 
Perché l’Iran dovrebbe bloccare il suo programma nucleare? Se è per le motivazioni antinucleari poste dai movimenti ambientalisti anche in tutti i paesi a capitalismo avanzato non possiamo che condividerle. Ma se le motivazioni sono politiche, anzi geopolitiche, allora non possiamo essere d’accordo. Come è noto, i programmi nucleari sono stati sviluppati in moltissimi paesi nel corso degli anni Novanta. Se vogliamo parlare di paradossi, il paese che negli anni Novanta ha fatto più incetta di plutonio e uranio… è stato il Giappone. Pochi ricordano quante navi abbiano preso la strada del Sol Levante provenienti dalla Francia o dagli Stati Uniti con carichi nucleari. Il riarmo e l’ondata militarista che hanno percorso il Giappone negli ultimi anni (alimentato dalla sindrome anti-coreana), confermano che la corsa nucleare del Sol Levante non aveva solo scopi industriali.

Nel XXI Secolo, molti paesi in via di sviluppo si stanno apprestando a varare programmi nucleari, inclusi molti paesi arabi (dall’Egitto alla Libia agli Emirati del Golfo). Diversamente che in Europa o nei paesi capitalisti, il ricorso al nucleare in molti paesi emergenti corrisponde più al raggiungimento di standard di sviluppo tecnologico (anche militare) che ad esigenze energetiche.

I tentativi di dotarsi dell’arma nucleare in Medio Oriente

Va ricordato in tal senso il tentativo iracheno di costruire un impianto nucleare a Osirak che fu stroncato unilateralmente nel 1981 dagli israeliani con un bombardamento proprio mentre era in corso la guerra dell’Iraq contro l’Iran. Fu un intervento militare che confermò come Israele – allora – alimentasse ancora il progetto di sostegno ad una potenza regionale “non araba” (l’Iran) contro una potenza regionale “araba” (L’Iraq). Era la stessa motivazione con cui Israele ha avuto per decenni solidi rapporti militari,politici, economici con l’altra potenza regionale “non araba” ( la Turchia ) e abbia coltivato alleanze con le forse non arabe del Medio Oriente (i curdi in Iraq e Iran, i maroniti in Libano etc.)

La “bomba islamica” infine l’ha costruita il Pakistan con i finanziamenti ricevuti da tutti i paesi arabi ed islamici. Il Pakistan non lo ha fatto per assicurarsi una fonte di approvvigionamento energetico alternativo al petrolio ma per acquisire uno status di potenza regionale nei confronti di India e Cina (dotate dei armi nucleari) e per dare “un punto di forza” alla nazione islamica nei confronti dell’arsenale nucleare israeliano. L'India proprio in questi giorni di aumento delle polemiche contro l'Iran, ha sperimentato il missile Agni III per il lancio di testate nucleari.

La stessa Israele, ha creato l’impianto nucleare di Dimona non certo per produrre l’energia di cui non dispone e aggirare così l’embargo petrolifero arabo, ma per produrre decine di testate nucleari operative con cui minacciare e ricattare tutti paesi del Medio Oriente (e non solo). Il povero Vanunu sta ancora passando i suoi guai per averlo rivelato al Sunday Times.

Cosa hanno in comune la bomba islamica pakistana, quella indiana e quelle israeliana? Che tutte e tre sono nate di nascosto e in paesi che hanno finora rifiutato di firmare il Trattato di Non Proliferazione Nucleare per evitare le ispezioni dell’AIEA nei loro impianti.

Al contrario,  la Repubblica Islamica  Iraniana, ha firmato il Trattato, ha ospitato sistematicamente le ispezioni dell’AIEA ed ha dato vita pubblicamente e legalmente al suo programma nucleare. Ma perché un importante paese produttore di petrolio ha dato vita ad un programma nucleare?

La questione nucleare dentro il Grande Gioco in Medio Oriente e Asia Centrale

Le ragioni dell’accelerazione del piano nucleare iraniano, vanno viste nel contesto del “Grande Gioco” apertosi pesantemente in Asia Centrale a metà degli anni Novanta. Non va infatti dimenticato che tra gli obiettivi dichiarati del “Silk Road Strategy Act” statunitense vi era quello di tagliare fuori dai corridoi energetici proprio  la Russia  e l’Iran. (4)

La guerra degli oleodotti che si è aperta e combattuta nei Balcani, nel Caucaso e nelle repubbliche asiatiche ex sovietiche non è ancora terminata ed è stata di una durezza che pochi hanno saputo cogliere (se non in occasione della guerra NATO nei Balcani, del sanguinoso conflitto in Cecenia e di quello più recente in Georgia). Il tentativo di tagliare fuori  la Russia  dai corridoi strategici è però fallito sia grazie alla sconfitta del tentativo della Georgia di occupare le repubbliche secessioniste dell’Ossezia e dell’Abkhazia (rimaste nell’orbita di Mosca), sia grazie alle spregiudicate operazioni dell’Italia di Berlusconi e della Turchia che hanno varato il progetto del corridoio South Stream, il quale consente alla Russia di commercializzare le sue risorse energetiche fin sul Mediterraneo evitando sia la strozzatura della Georgia che quella – eventuale – di una Ucraina filo NATO. Allo stesso modo nel nord Europa, il corridoio North Stream bypassa Polonia e Repubbliche Baltiche e fa arrivare le risorse energetiche russe fin nel cuore dell’Europa.

Gli Stati Uniti dagli anni Novanta in poi hanno sistematicamente puntato a isolare ed estromettere l’Iran dalle dinamiche della geografia mondiale del petrolio. Di questo erano consapevoli il ricco Rafsanjani e i cosiddetti riformisti iraniani che hanno quindi cercato di riallacciare i contatti con gli USA. Ma a complicare ed a chiarire le cose, ci si è messo però il Progetto per il Nuovo Secolo Americano, il rafforzamento dei “likudzik” a Washington ed a Tel Aviv, l’avvento dell’amministrazione Bush e lo scatenamento della guerra preventiva da parte degli Stati Uniti. La realtà infatti ha dimostrato fino ad oggi che le bombe atomiche è meglio averle che non averle e che se un paese dispone di bombe atomiche può decidere da solo se farsi “esportare o meno la democrazia dentro casa”.

Lo scenario visto prima in Afganistan e poi in Iraq è stato un serio deterrente per l’Iran. Questo paese infatti si trova preso in mezzo ai due paesi occupati militarmente dagli USA e l’amministrazione statunitense non nasconde affatto l’ambizione di chiudere anche territorialmente questa parte dell’Arco di Crisi indicato da tempo da Brzezinski e Kissinger dentro il progetto del “Grande Medio Oriente” di cui l’Iran è una spina nel fianco e una interruzione di continuità.

Le difficoltà di USA e Israele fanno aumentare i rischi dell’escalation

"Sta diventando verosimile un attacco militare contro l’Iran. Che sia Israele o l’America a lanciarlo poco importa. Potrebbe avvenire e il rischio maggiore è che inneschi una guerra regionale, con gli Hezbollah che attaccano Israele dal Libano e  la Siria  che entra in guerra con loro. Per scongiurarlo Netanyahu vuole accelerare l’accordo con  la Siria " ad affermarlo è David Schenker, fino al 2006 titolare del dossier siriano al Pentagono e analista al centro studi Washington Institute in una intervista rilasciata pubblicata sul quotidiano italiano La Stampa  del 6 febbraio. E’ noto a tutti che gli artefici principali di questa campagna aggressiva contro l’Iran siano i cosiddetti “likudzik” cioè i progetti e i soggetti convergenti della fazione filo-israeliana nell’amministrazione Obama con le autorità israeliane vere e proprie. Per i primi la liquidazione – anche manu militari – dell’Iran significa il rilancio pesante dell’egemonia globale USA oggi in declino, per i secondi rappresenta l’eliminazione di una potenza regionale rivale che sostiene apertamente organizzazioni come gli Hezbollah libanesi o i palestinesi di Hamas e rimane l’unico fattore di equilibrio nei confronti della strapotenza militare e nucleare israeliana. Israele oggi non ha più alcun alleato nell’intera regione. Le relazioni storiche con  la Turchia  sono fortemente compromesse, i negoziati con  la Siria  si sono fermati, i regimi reazionari arabi come Egitto e Giordania incontrano sempre maggiori contrasti interni nel mantenere la loro linea di subalternità ai diktat israeliani (vedi le contestazioni sia in Egitto che nel mondo arabo contro il muro egiziano contro i palestinesi di Gaza).

Oggi l’amministrazione Obama è seriamente impantanata in Afghanistan ed è ancora lontana dal raggiungimento degli obiettivi strategici prefissati dal progetto “Grande Medio Oriente”. I negoziati tra Israele e ANP sono fermi da mesi e il tentativo dell’amministrazione Obama di pesare sulle scelte negoziali israeliane si è rivelato del tutto inefficace, al contrario ha rivelato che è maggiore l’influenza israeliana sull’amministrazione USA che viceversa. In Iraq la situazione è fondata su un equilibrio di forze fragilissimo che verrebbe scosso duramente da una eventuale attacco militare contro l’Iran. La stessa Al Qaida nostra una capacità di estensione dell’influenza del proprio network in paesi da cui prima era assente (sia in Africa che nel mondo arabo). La tabella di marcia del tentativo di ristabilire l’egemonia statunitense nell’intera area deve fare i conti con la realtà e con la resistenza di popoli e di Stati all’egemonia globale USA. Gli USA sono sottoposti a fortissime pressioni israeliane per mettere in moto le operazioni contro l’Iran. Obama non ha affatto escluso l’opzione militare ma deve però prendere tempo e incentivare la campagna perché l’Afghanistan non è solo una rogna dal punto di vista militare ma lo è ancora di più dal punto di vista politico e della credibilità. Inoltre due potenze come Russia e Cina hanno emesso un serio monito contro una eventuale aggressione verso l’Iran. La prima intende limitarsi alle sanzioni, la seconda prende tempo avendo investimenti e interessi strategici rilevanti nella repubblica iraniana.

In queste settimane stiamo assistendo ad un intenso lavorìo diplomatico dell’Italia e dell’Unione Europea per tenere aperto un negoziato con l’Iran limitandosi alle sanzioni prima ed escludendo l’intervento militare. Lo stesso intervento di Berlusconi alla Knesset israeliana ha dato corda ai bellicisti di Tel Aviv ma si è limitato a concedere la sospensione dei contratti petroliferi che l’ENI aveva già deciso e annunciato da tempo di voler fare.

Eppure è possibile, anzi probabile, che nella prossima fase assisteremo ad una escalation sempre più pericolosa contro l’Iran e sarà una escalation la cui variabile indipendente non sarà rappresentata dagli “ayatollah” ma dal governo israeliano e dall’esito delle elezioni di medio termine negli USA. Il principio di lealtà (e di realtà) vorrebbe che una conferenza o un piano che punti ad un processo di disarmo nucleare del Medio Oriente riguardi certo l’Iran ma non può che includere anche Israele. L'unico ad aver avanzato la proposta della denuclearizzazione del Medio Oriente, è stato fino ad oggi il Presidente iraniano intervendo tre anni fa alle Nazioni Unite. Le potenze che vogliono attaccare o isolare l'Iran hanno sempre detto che non era credibile. In realtà – e torniamo alla questione di partenza – se parliamo di programmi nucleari, la proposta di Amadinejhad di denuclearizzare tutta la regione, inclusa Israele, sarebbe la più ragionevole per "rimettere in equilibrio la regione mediorientale" ed evitare nuovi conflitti.



Lo storico Angelo D'Orsi nel suo articolo che riproduciamo di seguito denuncia l'emarginazione in cui è stata costretta la storiografia seria - in particolare riguardo la lotta di Liberazione e le questioni di confine - per far spazio a versioni propagandiste e fasciste dettate dalla mera opportunità politica.
E non si tratta solo di emarginazione, ma di qualcosa di molto peggio: lo stesso D'Orsi rivela un episodio di censura da lui subito, da parte del servizio radiofonico "pubblico"; e noi segnaliamo invece questa iniziativa dell'Unione Istriani che per il tramite del suo presidente Massimiliano Lacota criminalizza pubblicamente studiosi, attivisti e gruppi di militanti che non si "conformano" alla storiografia del regime. Peraltro, nelle sue "liste di proscrizione", Lacota mette nello stesso mazzo cose completamente diverse tra loro - studi scientifici e volantini estremistici, iniziative politiche di carattere collettivo e prese di posizione individuali - per suscitare una indignazione cieca ed umiliare una volta di più l'esigenza di un confronto razionale, che entri nel merito dei dati storici. (a cura di Italo Slavo)

---


NEGAZIONISMO: LA PROPAGANDA MILITANTE

Nel corso di un'affollata conferenza stampa in data odierna, il presidente dell'Unione degli Istriani Massimiliano Lacotaha presentato al pubblico ed ai giornalisti presenti in sala una copsicua documentazione sull'attività negazionista e sulla propaganda militante diffusa in occasione dello scorso 10 Febbraio.

Nell'allegato PDF una sintetica fotocronaca con la riproduzione delle principali evidenze documentali.

http://www.unioneistriani.it/3t-data/files/1298.pdf

(13/2/2010)


---


10 febbraio, la Giornata del Ricordo e il revisionismo sulle foibe


da MicroMega online


Giornata del Ricordo: 10 febbraio. Poco prima, Giornata della Memoria: 27 gennaio. Innanzi tutto, mi si lasci dire che appare davvero difficile da accettare il paragone tra un fatto storico come la Shoa, che ha una sua unicità terribile nella vicenda dell’umanità, e una serie di eventi che certamente tragici, rientrano tra le “normali”, per quanto variamente efferate, vicissitudini dei conflitti bellici. In secondo luogo, posso aggiungere che questo proliferare di memorie obbligate e “condivise” (altre proposte di leggi e leggine si annunciano o si richiedono per istituirne, finché avremo un calendario senza più un giorno libero) sta rendendo stucchevole ogni ricordo? E lo sta mercificando e banalizzando?

Ma vengo alle foibe. Ieri un giornalista di Radio Rai mi telefona e mi chiede se oggi sarei stato disponibile a partecipare a un programma sulla Giornata del Ricordo; rispondo di sì. E allora lui comincia a farmi una “preintervista”; mi vuole sondare. E mi domanda se non ritenga che oggi questa data sia finalmente davvero condivisa, e che ormai anche chi la respingeva la accoglie, e che gli errori del passato sono stati riconosciuti, e così via. Cercando di frenare il fastidio naturale davanti a domande che pretendono di indirizzare l’interrogato, facendogli fornire la risposta attesa dall’interrogante, esprimo il mio disaccordo. E davanti al suo stupore, gli spiego che sulle foibe da anni si sono condotti studi attendibili, e misconosciuti, da parte di gruppi di studiosi, collocati in particolare nelle zone di confine tra Italia e ex Jugoslavia, dentro o comunque vicino agli Istituti storici della Resistenza. E che su questa vicenda si sono fornite cifre del tutto fasulle, che sono variate a seconda dello spirare dei venti politici; con un vergognoso cedimento persino degli autori dei manuali di storia, che hanno ampliato a dismisura nel corso degli ultimi quindici-vent’anni, il totale degli infoibati.

Si è arrivato a parlare (nei giorni scorsi persino una pubblicità televisiva ci ha martellato: la storia che diventa spot è una new entry degli ultimi anni) di “decine di migliaia di morti”. Di “migliaia e migliaia” di italiani infoibati vivi, solo perché italiani, o non comunisti, o cattolici. O sacerdoti. E quant’altro, per denunciare la mostruosa crudeltà del comunismo e lo spirito disumano di vendetta che animò i “titoini” – i partigiani di Tito, con i loro complici italiani militanti sotto le bandiere del Pci togliattiano – nella loro resa dei conti a danno dei “vinti” di cui – ah, Pansa! – sparsero il sangue: ovviamente innocente.

Ebbene, che cosa non quadra in questa “ricostruzione”? C’è che, come appunto si fa nel cicaleccio pseudostorico imperante a proposito del post-XXV Aprile in Italia, si dimentica il contesto in cui i fatti avvennero e si devono necessariamente collocare. E quel contesto ci parla sì di efferatezze e brutalità, ma commesse da chi? Dai nostri soldati. Dai fascisti ai danni degli jugoslavi. Gli italiani fascisti, come dimostrano molti studi degli ultimi anni, si fecero odiare in quelle terre persino più dei tedeschi nazisti. Istituirono campi di concentramento. Commisero ogni sorta di nefandezze, ai danni di popolazioni inermi. E come ci si può stupire poi che si sia giunto a una resa dei conti, a guerra finita? Ovviamente, non si giustificano così efferatezze dell’altra parte, i delitti restano delitti, quali che sia la loro fattispecie: ma i contesti in cui avvengono li rendono assai diversi, gli uni dagli altri. E comunque sono i contesti che aiutano a spiegare tutti i singoli fatti, individuali e collettivi.

Ciò detto, è un clamoroso falso storico parlare di migliaia o decine di migliaia di infoibati. Si trattò invece di qualche centinaio di persone. No. Va bene. “Non facciamo la conta dei morti”: sento già qualcuno che me lo urla. Non facciamola. Ma la differenza tra qualche centinaia e le decine di migliaia non è di poco conto. Ma al di là di questo il falso non concerne solo e tanto le cifre, quanto la sostanza. Chi furono gli infoibati? Ossia coloro che vennero gettati nelle foibe? Furono spesso i caduti in guerra, di ambo le parti: una sepoltura sbrigativa, certo, ma in tempi di guerra si può sottilizzare? Furono talora, invece, i condannati a morte in regolari processi: fucilati e poi gettati in quelle naturali cavità del terreno. Furono anche, in rari casi, persone vittime di agguati, catturate, e gettate, dopo essere state uccise, o, raramente, vive. Ma accadde agli uni e agli altri. E presentare la vicenda delle foibe come un’azione sistematica, di inaudita ferocia, messa in atto dai comunisti (jugoslavi, ma con la complicità degli italiani) ai danni degli italiani (non comunisti), significa falsificare o addirittura rovesciare la verità storica (a chi voglia saperne di più consiglio il recente volume a cura di Alessandra Kersevan, Foibe. Revisionismo di Stato e amnesie della Repubblica, Kappa Vu editore).

Si dirà che il ricordo del 10 febbraio concerne anche le migliaia (questi sì, decine di migliaia) di nostri connazionali costretti dagli accordi italo-jugoslavi a lasciare le terre dov’erano nati, dove avevano casa, e avevano costruito un’esistenza. Premesso che si è stabilito un nesso tra i due eventi (quasi a dire che gli italiani fuggivano per evitare di essere infoibati!), bizzarramente, quel ricordo della tragedia degli italiani costretti all’esodo, viene oggi completamente obliterato dal mendace, quanto orientato, discorso sulle foibe. L’ìdeologia sconfigge la storia, e la moneta cattiva dell’uso politico di una storia ad usum delphini, scaccia quella buona della storia autentica il cui compito è l’accertamento della verità. E il ricordo dei dalmati e degli istriani che dovettero abbandonare le loro case e le loro corse, diventa un pretesto per una infinita “resa dei conti” con il “comunismo”: origine e fonte di ogni male della storia, in questo sedicente discorso “storico”.

Ma si può dire, tutto questo, alla radio? Pare di no… Imbarazzato, il mio gentile intervistatore (anzi: pre-intervistatore), borbotta frasi sconnesse: “sa…, capisce, questo è il servizio pubblico, non è che vogliamo togliere la libertà di parola, ma devo sentire i capi…”. Appunto. Il servizio pubblico, è oggi messo al servizio del mainstream politico. Si deve dire quello che il padrone del servizio pubblico (sostanzialmente lo stesso del servizio privato) decide, e che “i capi” fedelmente, puntualmente, interpretano. E la chiamano democrazia. E la chiamano libertà di espressione. E la chiamano ricerca della verità “nascosta” o “negata”.

Amaramente, non posso che constatare ancora una volta che alla crescente domanda di storia, nella pubblica opinione, corrisponde, paradossalmente, una totale emarginazione della figura professionale dello storico, sostituito da soubrettes dell’intrattenimento mediatico, che si piegano volentieri a dire ciò che si fa lascia loro dire. O ciò che ritengono che qualcuno voglia sentir dire. E va bene. Ciò che non va affatto bene è che codesta roba venga spacciata per “storia”.

Angelo d’Orsi

(10 febbraio 2010)




CILIEGINA SULLE CILIEGINE - VIŠNJICA NAD VIŠNJICOM

Abbiamo clamorosamente sbagliato la numerazione delle ultime 16 ciliegine... Di seguito riportiamo la numerazione corretta:

Visnjica broj 783bis - 31 ottobre 2009 --> Visnjica broj 803bis
Visnjica broj 783ter - 02 novembre 2009 --> Visnjica broj 803ter




Roma, 25 febbraio 2010
Progetto: "Amnesie del terzo millennio"
Evento: "Il colonialismo nazifascista nei Balcani - storia di un genocidio rimosso"


organizzato da
"Lavori in Corso" dell'università di Roma - Tor Vergata
 
Programma:
ore 14.30 
incontro con i ricercatori storici Alessandra Kersevan e Sandi Volk
presso l'aula T12B della facoltà di Lettere e Filosofia dell'università di Roma - Tor Vergata

ore 20,00
“Jasenovac – omelia di un silenzio”
spettacolo per attore solo e video
di e con Dino Parrotta
Compagnia Primo Teatro
in collaborazione con Associazioni  “Mosta za Beograd” e “L’isola che non c’è”
 
 
luogo:
Auditorium della Facoltà di Lettere e Filosfia dell'università di Roma - Tor Vergata, via Columbia 1


ingresso: a sottoscrizione (2 euro) o comprensivo di cena sociale (5 euro)

recapiti: 06-72595203 /// 06-72597771
sito web: http://clic.noblogs.org - www.primoteatro.it


Per ulteriori informazioni sullo spettacolo “Jasenovac – omelia di un silenzio”:



Inizio messaggio inoltrato:

Da: Spazio Popolare la Forgia <spaziopopolarelaforgia @ gmail.com>
Data: 17 febbraio 2010 20:43:42 GMT+01:00
A: "Coord. Naz. per la Jugoslavia" 
Oggetto: FOIBE: CONTRO LA MISTIFICAZIONE DELLA STORIA - ASSEMBLEA DOMENICA 21  FEBBRAIO 2010 SPAZIO POPOLARE LA FORGIA



FOIBE

CONTRO LA MISTIFICAZIONE DELLA STORIA

ASSEMBLEA - DIBATTITO

Per fare chiarezza sulla questione foibe, per smascherare la campagna di denigrazione della Resistenza ed il tentativo di mettere sullo stesso piano la violenza fascista e quella antifascista.

 

 

ORE 14.00

con

SANDI VOLK

Ricercatore storico della sezione storica della Biblioteca Nazionale Slovena e degli Studi di Trieste e Presidente della Associazione Promemoria di Trieste

 

ORE 12.00

PRANZO POPOLARE

comunicare il numero dei partecipanti al 0373473214


 

DOMENICA 21 FEBBRAIO 2010

SPAZIO POPOLARE LA FORGIA
Via Mazzini, 24 - Bagnolo Cremasco (CR)
fotocopiatoinproprio 15 febbraio 2010- Via Mazzini 24 - Bagnolo Cremasco (CR)  




A proposito del caso da noi già segnalato in lista ( http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6660 ) e sul sito ( https://www.cnj.it/documentazione/paginafoibe.htm#tg3_2010 ) i saggisti A. Kersevan e P. Consolaro hanno inviato questa importante Lettera Aperta alla direzione del TG3:

----- Original Message -----
From: Pol Vice
Sent: Monday, February 15, 2010 4:24 AM
Subject: segnalazione su "giornata del ricordo" e proposta di incontro

Lettera aperta
 
        Al Direttore, Bianca Berlinguer                               
e      alla redazione del TG3  (Linea Notte).                   
 
    Siamo ricercatori impegnati da tempo ad approfondire i temi delle vicende sui "confini orientali" nell'ultimo secolo. I nostri contributi sono raccolti prevalentemente (ma non solo) nella collana "Resistenzastorica" dell'editrice udinese Kappa Vu  (www.kappavu.it). 
     Riconosciamo e apprezziamo l'onestà intellettuale e la serietà professionale che vi contraddistinguono; siamo certi perciò che valuterete nel giusto senso la segnalazione di una (ennesima, scandalosa) manipolazione apparsa nel servizio che ha aperto Linea Notte del 10 febbraio, "giornata del ricordo". In mezzo alla sequenza relativa ai recuperi delle salme dalle foibe istriane nell'autunno del 1943, sono state inserite almeno due foto "spurie" (fra i minuti 2'17'' e 2'21'' ca.) che testimoniano invece crimini perpetrati da militari italiani nella Slovenia occupata fra l'aprile '41 e l'8 sett. '43, facendole passare come immagini di infoibamenti. La prima è una delle tante "foto ricordo" di gruppi di ostaggi fucilati per rappresaglia (in modo, se così si può dire, "normale" per l'epoca); l'altra, che fa parte di un libro del 1946 inserito nel sito di Claudia Cernigoi (cfr. http://muceniskapot.nuovaalabarda.org/galleria-ita-3.php), documenta il sadismo di far scavare la propria fossa alle vittime predestinate (le divise italiane sono state "tagliate", ma si vedono benissimo nell'originale). Su una terza foto, quella che compare subito prima (2'14"), abbiamo forti dubbi: la pala, i vestiti da contadini, l'assenza di armi fanno pensare ad una inumazione molto sbrigativa di un civile ucciso sì, ma non da loro (è noto p. es. che la "banda Collotti", squadra di torturatori e assassini dell'Ispettorato Speciale di Polizia di Trieste, usava abbandonare le sue vittime negli "anfratti" - foibe? - e nei campi dell'Istria). Vi saremmo grati se ci forniste indicazioni in merito alla fonte e alle circostanze di quell'immagine.
    Vi chiediamo comunque di dare  notizia al pubblico di tali pacchiani "errori", con l'urgenza e il  risalto dovuti, indicando la fonte di tale inequivocabile provocazione (non è possibile pensare alla "buona fede" dell'autore in casi come questo), anche per evitare che sia riprodotta e magari amplificata in altre occasioni. 
    Tralasciamo poi per necessaria brevità una serie di rilievi puntuali sul testo, che ripete "liturgicamente" alcune delle molte "verità di fede" tramandate  fra gli esuli - del tutto legittime e giustificabili, beninteso, nell'ambito di una comunità colpita e dispersa da una catastrofe, che per ritrovare l'identità perduta ha bisogno dei suoi miti (gli angeli e i demoni, i martiri innocenti e gli orchi carnefici, gli eroi e i traditori) e dei suoi "profeti" (che elaborano e si fanno testimoni di quei miti). Ma chi pretende che tali "testimonianze" siano le "prove dei fatti" in sede storiografica mente sapendo di mentire. Tale pessima abitudine, originata dalla propaganda neofascista e neoirridentista, come abbiamo ampiamente documentato e denunciato con le nostre ricerche, ha dilagato e continua a dilagare in tutta la pubblicistica e sui media, contaminando anche una parte della storiografia accademica (condizionata da motivazioni politiche che non è possibile discutere in questa sede) e coinvolgendo (fin dall'immediato dopoguerra, ma con particolare virulenza ed efficacia nell'ultimo decennio ) le istituzioni della Repubblica fino ai massimi livelli.  Tutto ciò mentre per converso si continua a "mettere la sordina" e ad opporre "muri di gomma" alla diffusione dei risultati delle indagini sulle perverse avventure imperialiste dell'Italia fascista e sui crimini contro l'umanità commessi dai nostri generali e gerarchi proprio in quelle "terre di confine", non meno che nel resto dei Balcani e in Nordafrica.     
     A questo proposito crediamo che il TG3 farebbe opera encomiabile proiettando in prima serata, finalmente, il documentario della BBC "Fascist Legacy", l'Eredità fascista, acquistato dalla Rai nel 1993, fatto tradurre e adattare dal regista Massimo Sini, e mai trasmesso dalla Rai. Un'altra cosa importante, perché gli italiani possano conoscere almeno un po' la storia del confine orientale, sarebbe una trasmissione in cui si illustrasse la relazione che la commissione di storici italo-slovena, istituita con accordo fra i due governi italiano e sloveno nel 1993, consegnò nel 2001 e che il governo sloveno ha pubblicato e fatta propria, come da accordi, mentre il governo italiano non ha mai pubblicato né fatto propria.
   Infine, siamo disponibili ad intervenire a dibattiti e confronti su questi argomenti, nonché a presentare qualche libro della collana e la mostra a manifesti di imminente uscita sui crimini fascisti in Jugoslavia 1941 - '45, dal titolo "Testa per dente"  (così si conclude la famosa "Circolare 3C" del gen. Mario Roatta alle truppe della 2a Armata in Slovenia e Dalmazia sul comportamento da tenere verso i "ribelli").
  Attendiamo con fiducia e vi salutiamo cordialmente. 
 
Alessandra Kersevan info@...
 
Paolo Consolaro (Pol Vice) pol.vice@...
 
 

IL 16 FEBBRAIO DEL 2001 IN KOSOVO NELL’ATTACCO TERRORISTICO SONO STATI
UCCISI 12 SERBI

Il 16 febbraio del 2001 nell’attacco terroristico degli estremisti
albanesi contro un pullman serbo, nel villaggio Livadice nei pressi di
Podujevo in Kosovo, sono stati uccisi 12 serbi e 43 sono stati feriti.
Nella deflagrazione di una mina che è stata collocata sotto il ponte
sulla strada Nis – Pristina, è stato distrutto il primo dei sei
pullman nei quali viaggiavano i profughi serbi, scortati dai veicoli
della Kfor, verso il monastero Gracanica, in occasione del Giorno dei
Morti. La corte suprema della Regione nel processo della seconda
istanza nel marzo dell’anno passato ha esonerato da ogni colpa l’unico
imputato Florim Ejupi, di nazionalità albanese. Nel giugno del 2009
l’Eulex ha avviato le nuove indagini che sono condotte dai membri
dell’ufficio del procuratore speciale per crimini di guerra. Loro
hanno dichiarato che finora non è stato accusato nessun o che l’atto
terroristico e Livadice non poteva essere organizzato da una sola
persona. (15. febbraio 2010. 20:03)

A PRISTINA È STATA SOMMINISTRATA LA LITURGIA FUNEBRE IN SUFFRAGIO
DELLE VITTIME SERBE

I vescovi della Chiesa serba ortodossa Atanasije e Teodosije hanno
somministrato nella chiesa di Santo Nikola a Pristina la liturgia
funebre in suffragio di 12 serbi che sono stati uccisi nell’attacco
terroristico contro il pullman Nis express nei pressi di Podujevo, 12
anni fa. Nell’attacco sono state ferite quaranta persone. Alla
liturgia hanno presenziato all’incirca 150 persone. La deflagrazione,
avvenuta il 16 febbraio del 2001, è stata causata dalla mina che è
stata collocata al margine della strada. E’ stato colpito il primo
dei sei pullman, nei quali viaggiavano i profughi serbi, scortati dai
veicoli della Kfor. Loro avevano intenzione di visitare il monastero
Gracanica e il cimitero, in occasione del Giorno dei Morti. L’albanese
Florim Ejupi, l’unico accusato di aver preso parte all’attacco, è
scappato dalla prigione della base militare statunitense Bondtsteel
nel maggio del 2001. Nel 2004 egli è stato arrestato a Tirana ed è
stato trasferito in Kosovo. Nel processo di prima istanza Ejupi è
stato condannato alla detenzione pluriennale. Però la Corte suprema
del Kosovo l’ha esonerato da ogni colpa, a causa della mancanza di
prove. L’Eulex ha avviato nel giugno del 2009 le nuove indagini. Gli
esperti che conducono le indagini hanno comunicato di non aver ancora
identificato i colpevoli e che quell’atto terroristico non poteva
essere organizzato da una sola persona. La chiesa di Santo Nikola,
nella quale oggi è stata celebrata la liturgia funebre in suffragio
delle vittime, è stata distrutta e data alle fiamme nell’ondata di
violenze della popolazione albanese, nel marzo del 2004. Nel frattempo
la chiesa è stata parzialmente ricostruita. (16. febbraio 2010. 19:41)

(fonte: Glas Srbije - http://www.glassrbije.org/I/
Sulla stessa scandalosa vicenda vedi anche: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6359
)


Da: jasmina

Oggetto: Permesso di soggiorno per merito

Data: 14 febbraio 2010 22:29:46 GMT+01:00


Cari amici,
vi prego di leggere la storia di questo nostro amico Rom, Jovica Jović di Rho e di firmare l'appello on line perchè gli si conceda il permesso di soggiorno per meriti artistici.

E' un artista e ha collaborato con la nostra associazione ("Un Ponte per..." ) nell'occasione della mostra fotografica su Jasenovac che abbiamo realizzato con la Provincia di Milano nel 2007, onorandoci della sua presenza. La sua fisarmonica  evocava meglio di molte parole il sentimento che accompagnava la mostra sull'olocausto dei serbi, ebrei e Rom nei Balcani durante la seconda guerra mondiale. Ha suonato sul Binario 21 nel giorno del ricordo a Milano, ha collaborato con Ovadia e Fo, con Bregović.

Si commemorano le giornate del ricordo sulla Shoah e sul Porrajmos di 65 anni fa, sono presenti i rappresentanti delle Istituzioni milanesi, Jovica suona le melodie strazianti e poi... due giorni dopo, altre Istituzioni milanesi vogliono espropriargli la casa e deportarlo fuori dall'Italia perchè non ha il permesso di soggiorno... La storia di ieri non solo non ci ha insegnato nulla ma in altri modi si ripete anche oggi, accanto a noi.

La vita di Jovica somiglia molto ad un film di Kusturica... Ecco, affinchè il nostro amore per gli stili di vita "altri e alternativi" non si limiti solo al mero esotismo , abbiamo tutti l'occasione di  aiutare il nostro concittadino onesto ad ottenere un pezzo di carta che possa garantire la sua dignità e un tetto sopra la testa. Perchè un domani non dovremo vergognarci dicendo che "non sapevamo"...

http://milano.repubblica.it/dettaglio/milano-lodissea-del-musicista-in-fuga-suono-con-pelu-ma-devo-nascondermi/1852184


Grazie a tutti per il vostro tempo
Jasmina Radivojević e Rochi Dommarco




(Di seguito il testo di un intervento sulla politica estera della Serbia, tenuto da Z. Jovanovic del Forum di Belgrado per un Mondo di Eguali ad una tavola rotonda nella capitale serba lo scorso 8.12.2009)

Живадин Јовановић, председник Београдског форума за свет равноправних

          Прилог стратегији спољне политике Србије (*)
 
            У Београдском форуму као и у широком кругу независних, слободно мислећих људи, како унутар Србије тако и у српском расејању, постоји  сагласност да је Србији потребна стратегија дугорочне спољне политике. Oва потреба произилази из дубоких промена у региону током протекле две деценије, нових трендова у Европи и на глобалном плану. Вреднујући објективно историјска искуства и штитећи национални, културни и духовни идентитет  као приоритетне вредности, стратегијом треба пројектовати дугорочне циљеве, путеве и ослонце за њихово остваривање. Сагласност постоји и у оцени да су у најбољем, дугорочном интересу Србије уравнотежении односи са свим важнијим европским и ваневропским чиниоцима и партнерима, без везивања за било који војни блок или савез. Неутралност дефинисану Резолуцијом Народне скупштине Србија треба да учврсти усвајањем овог опредељења као уставног принципа. Израда стратегије је обавеза надлежних државних институција, док научним, стручним и другим организацијама, као и удружењима грађана, треба пружити могућност да том важном државном и националном пројекту дају свој допринос. Београдски форум је, у складу са својим могућностима, заинтересован и отворен за сарадњу у томе.
            Односи Србије са суседима имају стратешки значај. То је природно и објективно, у интересу свих народа и држава у региону. Да би се велики потенцијал добро-суседске сарадње остварио неопходно је да се односи поставе на јасне и здраве основе. То, пре свега, значи - поштовање принципа суверенитета и интегритета, неповредивости међународно признатих граница, немешања у унутрашње послове других и, посебно, уважавања узајамних интереса, или принципа реципроцитета. 
Досадашња пракса једностраних концесија Хрватској и Словенији била је врло штетна за Србију, за њене економске и политичке интересе. Уколико Србија жели да заштити и реализује своје легитимне интересе, она мора обезбедити реципрочно уважавање њених интереса од стране свих суседа.        Србија, као матична држава, има обавезу да се суштински, а не само вербално, бави озбиљним проблемима систематске дискриминације делова свог народа у окружењу, посебно у Хрватској, Словенији, и Црној Гори. Опортунизам и небрига према деловима српског народа којима се крше основна права не доприносе добросуседству, још мање уважавању Србије и путу ка чланству у ЕУ. Потребно је да се Влада и државно руководство суоче са чињеницом да су припадници српског народа у поменутим државама дискриминисани и да им је неопнодна делотворне политичка подршка Србије као матичне државе да би несметано остваривали своја људска и национална права у складу са европским стандардима.  
            Посебан је проблем обесправљост Срба у покрајини Косово и Метохија. Српска влада није нашла начина да заштити елементарна права свог народа на делу своје територије под управом УН, нити да се отвори процес за слободно и безбедно враћање расељених. Досадашња политика, укључујући прихватање ЕУЛЕКС-а, као наводно «статусно неутралног» - нису дале резултате у погледу заштите права Срба и других неалбанаца на Косову и Метохији. 
Петнаест година после Дејтона и Ердута, једанаест година после резолуције СБ 12 44,  Србија је и даље земља са далеко највећим бројем избеглица и расељених лица у Европи. Само са Косова и Метохије има 220 000 расељених лица. Десетине, ако не и стотине хиљада избеглица из Крајине, Западне и Источне Славоније и даље не могу слободно и безбедно да се врате на своја вековна огњишта. Стотинама хиљада људи - расељених лица и избеглица српске националности ускраћују се основна људска права на слободан и безбедан повратак на имовину, на слободу кретања, образовање, вероисповедање. 
Запад јавно изражава комплименте политичарима у Београду а истовремено показује незаинтересованост и дволичност у односу на проблем српских иѕбеглица и расељених лица. 
На односу ЕУ и САД према праву на слободан и безбедан повратак расељених лица и српских избеглица одражава стратегија тих земаља и  интеграција према Србији и српском народу у целини.
Србија има дужност да на озбиљан и достојантвен начин захтева прекид дискриминације делова српског народа у суседним државама, посебно у Хрватској, Словенији и Црној Гори, као и ефикасно остваривање права на слободан, достојанствен и безбедан повратак свих избеглица и расљених лица на њихова вековна огњишта. Не може бити у интересу Србије мирење са неодговорним односом односних држава и политиком различитих стандарда међународних чинилаца. 
            Став представника српске владе да ће питање Косова и Метохије као спорно у односима са Америком, Немачком и другим земљама Запада држати по страни од текућег политичког дијалога («успешно смо изоловали то питање») да би се сарадња раѕвијала у областима у којима нема разлика је, у најмању руку, проблематичан. Такав став произилази из схватања да је проблем Косова и Метохије само једно од многих питања у односима са САД и другим ѕемљама и организацијама Запада.  То је погрешан прилаз. Однос САД и већине других ѕемаља Запада према Косову и Метохији представља суштину њиховог односа према Србији као држави и према целом српском народу, према њиховом националном, културном и духовном идентитету, према њиховој садашњости и будућности, према њиховом месту у Европи. 
              Проблем Косова и Метохије не сме се гурати под тепих, поготову се не сме проглашавати за успех «изоловање проблема Космета» из агенде дијалога са најутицајнијим земљама и организацијама. 
              Прихватање „изоловања“, односно изостављања, проблема Космета“ из редовног дијалога у суштини би значило прихватања једностране обавезе Србије да њени представници неће то питање покретати. Јер, потпуно је извесно да САД, од посете потпредседника Џозефа Бајдена Србији на даље, траже „конструктивност“ и „кооперативност“ Србије бар око четири, ако не и знатно више, питања везаних за Косово и Метохију: прво, од Србије се тражи да допринесе укидању „паралелних“ институција српског народа на (северу) Покрајине; друго, да прихвати учешће Тачијеве „владе“ у регионалној сарадњи; треће, да призна резултате локалних избора у организацији Хашима Тачија, који су против интереса српског народа; и, четврто, да прихвати директни дијалог са „косметским институцијама“ о решавању „практичних, свакодневних“ питања. Очигледно је да би изоловање овог питања ставило Србију у пасиван, подређен положај, што би било врло штетно.
               Зато, Србија, зависно од прилика и конкретних околности, треба да држи сталну политичку и дипломатску иницијативу у вези са проблемом Косова и Метохије, укључујући и у дијалогу са САД, чланицама Европске уније и  НАТО, не пропуштајући ни једну прилику да нагласи да је питање статуса за њу отворено и да се може решити компромисом поштујући резолуцију СБ УН 1244, принципе Повеље УН и Хелсиншког документа ОЕБС-а. Потребно је да адекватно и јасно реагује на све кораке и потезе било које државе или међународне организације којима се крши резолуција СБ УН 1244. Ни чекање на мишљење Међународног суда правде не сме да ослаби принципијелни и активни однос Србије према свим важнијим чиниоцима међународних односа. 
              Када је реч о стубовима спољне политике Србије, њих не би требало мешати са приоритетима. Логично је да развој добрих односа са Бриселом, Москвом, Пекингом и нормализација односа са Вашингтоном, поред односа са суседима,  буду међу приоритетима спољне политике Србије. Али, ако је реч о стубовима, није логично да се они траже изван Србије, поготову, не на начин који сугерише исту „носивост“, исти и значај и допринос тих тзв. стубова виталним интересима Србије и српског народа. Стубови сваке стратегије па и стратегије спољне политике, налазе се унутар Србије. 
               Једноставно, нема стубова изван Србије који могу обезбедити кредибилитет спољне политике, уважавање њених интереса и углед државе као што су – унутрашња политичка и социјална стабилност, привредна моћ, националне оружане снаге довољно опремљене и оспособљене за функцију одвраћања и култура и наука. Окретање унутрашњим ресурсима избавило би Србију из психологије немоћи и политичке трговине по принципу: бирократска уцена – стратешка концесија. Србија је заиста суочена са великим социјалним проблемима. То, ипак, не значи да ради тзв. бољег живота, после распродаје привреде и тржишта, треба прећи на распродају виталних државних и националних интереса. 
              Нормализација односа са САД је важна за међународни положај и  интересе Србије. Једнострано сврставање САД на страну противника Србије током протекле две деценије, водећа улога у агресији НАТО 1999. и  одлучујући допринос илегалној независности Косова и Метохије оставили су и још увек повећавају оптерећење у међусобним односима. Зато, процес нормализације захтева време, обазривост Србије и обострана прилагођавања. Журба и лакомисленост, чему је склон, утицајни део српске политичке елите, тешко да у том процесу могу бити  корисни за Србију. 
              Није природно да се односи са САД форсирају, поготову да војни буду испред политичких. Војни односи и сарадња увек долазе као природни израз високог међусобног поштовања и дубоког поверења у политичким односима. Другачији редослед није познат, ако уопште постоји, у пракси међународних односа.              
                Питања војне сарадње морају се третирати као усклађени, интегрални део спољне политике, а не као ствар ресорског или паралелног одлучивања. Политичка и војна дипломатија Србије треба да се ускладе.
                 Унутар Форума, а како анализе расположења јавности показују, и најшире у друштву, постоји сагласност да Србији није место у НАТО-у. За то су, по свему судећи, најбитнија два разлога: први, јер је НАТО 1999. године извршио оружану агресију на Србију (СРЈ) грубо кршећи међународно право и основне принципе међународних односа, заобилазећи Савет безбедности, разоривши читву земљу и изазвавши ненадокнадиве људске жртве; и други, јер је НАТО управо агресијом на Србију (СРЈ)  променио своју суштину, прелазећи од одбрамбеног у офанзивни, освајачки војни савез. То ће касније бити потврђено окупацијом Ирака, под лажним изговором трагања за оружјем за масовно уништавање. Србији као мирољубивој европској земљи која никада у прошлости није припадала ни једном војном пакту, тешко да може бити у интересу да буде чланица савеза који крши међународно право, окупира туђе територије и, уз то, подржава илегално оптцепљење српске постојбине Косова и Метохије.  
              Србија је суочена са тактиком да Влада, формално поштујући војну неутралност и одлуку Народне скупштине о томе, корак по корак, уводи Србију у НАТО, ка тачки без повратка када ће бити потпуно неважно да ли Србија каже ДА или НЕ уласку у НАТО. Представници Владе Србије су већ до сада прихватили низ обавеза и самоограничења државе према НАТО-у него што их има већи број пуноправних чланица НАТО. Док се у јавности води полемика да ли је покретање референдума преурањено или није, иза завесе, одвија се процес интеграције земље у НАТО, без увида јавности и стварне контроле Народне скупштине.
               На Републику српску врши се снажан притисак да прихвати ревизију Дејтонско-париског споразума на сопствену штету. САД и ЕУ траже од Србије да се, у суштини, придружи том притиску. Србија не би смела да то прихвати, не само зато што је потписница и гарант тог Споразума, већ првенствено зато што би ревизија Дејтонско-париског споразума била на штету виталних интереса Републике српске и српског народа на Балкану. За Србију не може постојати никаква корист на путу ка ЕУ која би оправдала стратешки губитак услед даљег развлашћивања РС.
            Прихватамо став доајена југословенске и српске дипломатије, амбасадора Ђере Петровића у вези са новим системом безбедности у Европи.  Треба рећи да је Европа дуже време без свеобухватног, демократски изграђеног и ефективног система безбедности који гарантује једнаку безбедност свим државама на континенту. Таква стварност коштала је СФР Југославију разбијања 1992, СРм Југославију агресије НАТО 1999. а Србију одузимања Косова и Метохије 2008. ОЕБС је на примерима СФРЈ, СРЈ и Србије показао удаљавање, па чак и отворено кршење, неких од основних принципа свог сопственог устава – Завршног документа из Хелсинкија. Насупрот универзалности норме о консенсусу, СФРЈ је 1992. суспендована из ОЕБС-а по систему «косензус минус један». Идеје које полазе од тога да ОЕБС треба да позајми своју универзалност НАТО-у, а да за узврат, НАТО буде гарант безбедности на Континенту, нису логичне јер је НАТО ужа, регионална организација, са ужим интересима. Уз то НАТО је постао офанзивни војни, агресивни војни савез. То није прихватљиво за низ европских земаља које су чланице ОЕБС, али не и НАТО-а, а које су, и те како релевантне за безбедност на евро-азијском простору.  Дакле, потребно је подржати иницијативе за разматрање успостављања новог система евро-азијске безбедности који ће реафирмисати равноправност и једнаку безбедност свих држава без обзира да ли су чланице неког војног савеза или нису. У том смислу, иницијатива руског председника Дмитрија Медведева за закључивање новог уговора о евро-азијској безбедности, коју је на Округлом столу Београдског форума образложио амбасадор Русије Александар Конузин, по нашем уверењу, заслужује озбиљан прилаз и подршку. 
                 Однос према српском расејању је стратешка тема. Не само због тога што између  4 и 5 милиона Срба и њихових потомака живи у окружењу и расејању, што је то огроман политички и економски потенцијал за будућност, него и због прагматских разлога. Захваљујући расејању Србија лакше савладава трговински дефицит, лакше одржава девизне резерве. Захваљујући дијаспори Србија још увек нема свеопшту социјално-економско драму какву би, иначе, имала. Расејање је деценијама највећи појединачни донатор Србије. Из дијаспоре у 2009. години је стигло око 4 милијарди евра. Истина, не толико за развој колико за куповину социјалног мира. Шта би Србија да тога нема – тешко је и замислити. Србија се према расејанју мора односити као према стратешкој компоненти свог међународног положаја, економског и политичког развоја. 


(*) Завршна реч на округлом столу о спољној политици Србије одржаном 8.12.2009. у Етнографском музеју у Београду у организацији Београдског форума за свет равноправних. Зборник саопштења очекује се из штампе крајем фебруара 2010. године.