Informazione
Udruzenje "Nasa Jugoslavija" (i) u Bosni i Hercegovini se i dalje bori za legalan rad, a prepreka na tom putu imamo mnogo. Registracija je jos u toku i prema mnogim pokazateljima taj proces ce jos potrajati, ali sve upucuje na to da cemo stici i do Evropskog suda za ljudska prava u Strazburgu - drugovima iz BG i SD je to poznato. Ministarstvo pravde u BiH, a identicna situacija je i u Hrvatskoj, nam ne dozvoljava upotrebu naziva "Nasa JUGOSLAVIJA", to im smeta i bode oci, nemaju miran san. Odgovorne institucije ni pojedinci nemaju nikakvu pravnu osnovu po kojoj nam mogu zabraniti upotrebu ovog imena. Mi ne odustajemo od svojih namjera, a glavni cilj je priznavanje prava na nacionalnost Jugoslaven. To smo saopstili u Deklaracijama za BiH i Hrvatsku. Cak je u hrvatski sabor poslan i prijedlog za promjenu Ustava RH (koji jetrenutno u proceduri izmjena i uskladjivanja sa potrebama EU) i unosenjem, odnosno uzimanjem u obzir cinjenice da Jugoslaveni postoje i za sebe traze status kao i sve ostale nacionalnosti. (ii)
U pravcu ostvarenja navedenog cilja ostvareni su mnogi kontakti sa raznim javnim licnostima i organizacijama na teritoriji BiH i Hrvatske, ali i sire (posebno Slovenija) kako bi se stvorio jedinstveni front zajednickog djelovanja. Posebno aktivan je "Forum otpora" (inicijativa zaceta u Sarajevu u septembru 2009. godine) u koji su ukljuceni posebno mladi ljudi, studenti i djaci, sa jugoslavenskih prostora, ali i iz Grcke, Francuske i Belgije. Do sada su odrzana dva skupa (Sarajevo i Ljubljana), a slijedi skup u Zagrebu. (...) Vjerovatno ste culi za slucaj "Finci i Sejdic protiv BiH" - proces vodjen pred sudom u Strazburgu. Ovaj dvojac je dobio sudski proces protiv BiH i njene politike diskriminacije (iii), a taj cin je i za nas Jugoslavene veoma vazan znak da se do uspjeha moze doci samo upornim istrajavanjem na putu ka ostvarenju zacrtanih ciljeva.
Drugarski pozdrav, Dalibor-Bosanac
L'associazione "La nostra Jugoslavia" (i) in Bosnia-Erzegovina ancora lotta per il lavoro legale e abbiamo molti ostacoli su questo cammino. La registrazione è ancora in corso e, secondo molti indicatori, il processo richiederà ancora del tempo, ma tutto indica che arriveremo fino alla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo -- i compagni di BG e SD ne sono al corrente. Il Ministero della Giustizia della Bosnia-Erzegovina - e la situazione è identica anche in Croazia - non consente l'uso della denominazione "La nostra JUGOSLAVIA", questo li disturba, non dormono sonni tranquilli. Le Istituzioni responsabili, o gli individui, non hanno alcun fondamento giuridico per impedirci l'uso di questa denominazione. Non rinunciamo a queste nostre intenzioni, il nostro obiettivo principale è il riconoscimento della cittadinanza jugoslava. Questo abbiamo affermato sia nella Dichiarazione per la Bosnia-Erzegovina, che per la Croazia. Anche al Parlamento croato è stata inviata una proposta di modifica della Costituzione della Repubblica di Croazia (che è attualmente in procedura di modifica e armonizzazione con i requisiti UE), con l'apposito inserimento, ovvero con la considerazione del fatto che gli Jugoslavi esistono e che stanno chiedendo il proprio status, identico come per tutte le altre nazionalità. (ii)
Allo scopo del conseguimento degli obiettivi di cui sopra, sono stati realizzati molti contatti con varie personalità ed organizzazioni nel territorio della Bosnia-Erzegovina e della Croazia, ma anche su di un territorio più ampio (in particolare, in Slovenia) perché si crei un fronte unitario di azione comune. Particolarmente attivo è il "Forum della resistenza" (l'iniziativa è stata avviata a Sarajevo nel settembre 2009) in cui sono coinvolti in particolare i giovani, gli studenti e gli alunni dall'area jugoslava, ma anche di Grecia, Francia e Belgio. Fino ad oggi sono state tenute due conferenze (a Sarajevo e Lubiana), e seguirà un raduno a Zagabria. (...) Probabilmente avete sentito parlare del caso "Finci e Sejdic contro BiH" - processo svoltosi dinanzi alla Corte di Strasburgo. Il duo ha vinto il processo contro la Bosnia-Erzegovina e le sue politiche di discriminazione (iii), e questo evento per noi Jugoslavi è un segnale molto importante, vuol dire che il successo può arrivare soltanto con la perseveranza nella realizzazione degli obiettivi prefissati.
Un saluto cordiale, Dalibor (dalla Bosnia)
Solo i testimoni diretti della vicenda delle foibe potranno raccontare quel pezzo di storia nelle scuole. È quanto prevede una risoluzione del Pdl (prima firmataria la deputata Paola Frassinetti) votata all'unanimita' oggi in commissione Cultura alla Camera.
"Ho voluto chiedere al governo garanzie che nelle scuole a parlare di foibe siano i testimoni diretti di quegli eventi -spiega Frassinetti, che e' vicepresidente della commissione Cultura- purtroppo negli ultimi tempi si sono verificati gravi episodi di negazionismo da parte di alcune associazioni che, ribaltando la verita' storica, travisavano completamente quelle tragiche vicende, arrivando addirittura a colpevolizzare gli italiani". Non solo "alcune scuole -ha aggiunto all'agenzia Dire la Frassinetti- hanno anche deciso di non parlare di questi argomenti di non ricordare". È accaduto, ad esempio, a Roma.
(fonte diregiovani.it)
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La VII Commissione della Camera dei Deputati,
premesso che:
con la legge 30 marzo 2004 n. 92 è stata istituita dal Parlamento italiano la «Giornata del ricordo», al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani, giuliani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale;
tale giornata è dedicata alla celebrazione ed alla memoria della complessa vicenda del confine orientale e, all'interno di questa, del martirio degli italiani infoibati, del loro assassinio di massa organizzato dalle bande comuniste del maresciallo Tito, raccapricciante segno di una pulizia etnica che fu attuata in terre teatro di uno storico e tragico scontro di nazionalismi e che durò fino al 1948, provocando l'esilio forzato di 350mila italiani dall'Istria, da Fiume e da tutta la Dalmazia;
il martirio non fu risparmiato né alle donne né ai bambini, né ai vecchi né ai sacerdoti, la cui sola colpa era quella di essere italiani;
considerato altresì che:
all'articolo 1, comma 2, della legge n. 92 del 2004 si fa espresso riferimento al fatto che tali commemorazioni debbano essere realizzate per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado e che istituzioni ed enti debbano favorire la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende;
tali iniziative, inoltre, devono essere volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario ed artistico degli italiani dell'Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica, ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti nel territorio nazionale e all'estero;
negli ultimi due anni tale ricorrenza è stata celebrata da parte delle più alte cariche istituzionali;
nonostante tutto, purtroppo, oggi in Italia c'è chi tende a minimizzare la tragedia delle foibe e dell'esodo e, paradossalmente, proprio la scuola è l'istituzione che tende a dimenticare maggiormente questa pagina tragica della storia italiana. Infatti i testi scolastici dovrebbero contemplare questa drammatica vicenda e, invece, in molti casi, la stessa non viene nemmeno menzionata, disattendendo in questo modo una delle principali finalità indicate dalla legge n. 92 del 2004;
da tempo in molte scuole a parlare delle foibe e dell'esodo sono associazioni che il più delle volte tendono a minimizzare l'evento o comunque ad effettuare ricostruzioni che non corrispondono alle oggettività storiche, così offendendo i martiri italiani;
pertanto pare necessario che per scongiurare questo pericolo sia più opportuno che a essere chiamati a ricordare e a spiegare nelle scuole questi tragici eventi siano i testimoni diretti di quei fatti, nonché studiosi che abbiano approfondito il tema con serenità e rigore,
impegna il Governo:
ad incrementare le iniziative nelle scuole sul tema di cui in premessa, avviando anche dei corsi di formazione per docenti e studenti mediante seminari di studio a loro dedicati e affidati a docenti che ne garantiscano il carattere scientifico;
a garantire che, nel rispetto dell'autonomia scolastica, siano i testimoni di quelle vicende ad incontrare gli studenti al fine di trasmettere e conservare la memoria della storia e della tragedia dei confini orientali.
«Frassinetti, Garagnani, Barbieri, Goisis, Granata, Ceccacci Rubino, Mazzuca, Barbaro, Giammanco, Murgia, Centemero, Palmieri, Rivolta, Aprea, Grimoldi, Lainati».
Roma, 18 febbraio 2010
In nome delle belle ragazze albanesi
le scrivo su un giornale che lei non legge, eppure qualche parola gliela devo, perché venerdì il suo disinvolto senso dello humor ha toccato persone a me molto care: "le belle ragazze albanesi". Mentre il premier del mio paese d'origine, Sali Berisha, confermava l'impegno del suo esecutivo nella lotta agli scafisti, lei ha puntualizzato che "per chi porta belle ragazze possiamo fare un'eccezione."
Ai tempi era una bella ragazza, sì. Oggi è solo un rifiuto della società, non si innamorerà mai più, non diventerà mai madre e nonna. Quel puttana sulla pancia le ha cancellato ogni barlume di speranza e di fiducia nell'uomo, il massacro dei clienti e dei protettori le ha distrutto l'utero.
Sulle "belle ragazze" scrissi un romanzo, pubblicato in Italia con il titolo Sole bruciato. Anni più tardi girai un documentario per la tivù svizzera: andai in cerca di un'altra bella ragazza, si chiamava Brunilda, suo padre mi aveva pregato in lacrime di indagare su di lei. Era un padre come tanti altri padri albanesi ai quali erano scomparse le figlie, rapite, mutilate, appese a testa in giù in macellerie dismesse se osavano ribellarsi. Era un padre come lei, Presidente, solo meno fortunato. E ancora oggi il padre di Brunilda non accetta che sua figlia sia morta per sempre, affogata in mare o giustiziata in qualche angolo di periferia. Lui continua a sperare, sogna il miracolo. E' una storia lunga, Presidente... Ma se sapessi di poter contare sulla sua attenzione, le invierei una copia del mio libro, o le spedirei il documentario, o farei volentieri due chiacchiere con lei. Ma l'avviso, signor Presidente: alle battute rispondo, non le ingoio.
In nome di ogni Stella, Bianca, Brunilda e delle loro famiglie queste poche righe gliele dovevo. In questi vent'anni di difficile transizione l'Albania s'è inflitta molte sofferenze e molte ferite con le sue stesse mani, ma nel popolo albanese cresce anche la voglia di poter finalmente camminare a spalle dritte e testa alta. L'Albania non ha più pazienza né comprensione per le umiliazioni gratuite. Credo che se lei la smettesse di considerare i drammi umani come materiale per battutacce da bar a tarda ora, non avrebbe che da guadagnarci.
* Elvira Dones, scrittrice-giornalista.
Nata a Durazzo nel 1960, si è laureata in Lettere albanesi e inglesi all'Università di Tirana. Emigrata dal suo Paese prima della caduta del Muro di Berlino, dal 1988 al 2004 ha vissuto e lavorato in Svizzera. Attualmente risiede negli Stati Uniti, dove alla narrativa alterna il lavoro di giornalista e sceneggiatrice.
La verità è accuratamente, ipocritamente, criminalmente nascosta a centinaia di milioni di persone e solo pochi giornali di bassissima tiratura la raccontano, invano. La verità è che se anche l’Iran si dotasse domani di un ordigno atomico, sarebbe l’ultimo – tra i grandi Paesi – ad arrivarci. Tutte le grandi potenze – dagli USA alla Cina - sono già, da tempo, potenze nucleari. Lo sta diventando il Giappone, grazie soprattutto agli USA e alla Francia. Stanno apprestandosi a varare programmi nucleari molti Paesi arabi, dall’Egitto alla Libia sino agli Emirati del Golfo; è già divenuta una potenza nucleare il Pakistan, con l’aiuto di tutti i paesi arabi e islamici; l'India lo è da tempo e proprio in questi giorni di demonizzazione dell’Iran ha sperimentato il missile “Agni III ”per il lancio di testate nucleari. Infine: Israele - il cui governo è quello che più di ogni altro spinge alla guerra - è il Paese già dotato, da tempo, di decine di bombe nucleari ed è il Paese – assieme agli USA- che più di ogni altro respinge un trattato internazionale di denuclearizzazione. Siamo, dunque, al paradosso: l’Iran, che non ha ancora nessun ordigno nucleare e ha proposto in sede internazionale un progetto di denuclearizzazione del Medio Oriente, è sotto la minaccia di guerra; Israele, dotato di bombe nucleari e contrario alla denuclearizzazione, spinge alla guerra per impedire all’Iran di avviare un proprio progetto nucleare! Siamo ben al di là di ogni politica coloniale: siamo di fronte al puro arbitrio, alla cancellazione totale del Diritto Internazionale. Siamo di fronte ad una politica di pura ferocia.
Come è possibile che un tale paradosso possa reggere, che i governi e i media occidentali possano raccontare una simile menzogna?
Se fosse giusto dichiarare guerra ad un Paese dotato di armi nucleari, perché gli USA non minacciano la guerra anche contro Israele? Contro l’India, il Pakistan?
La Clinton ed Obama potrebbero rispondere che gli USA sono alleati privilegiati di Israele. Ma se avesse razionalità tale argomento, significherebbe forse che sarebbe giusta una minaccia di guerra da parte della Cina, o della Russia,contro Israele?
Per capire la verità prendiamo l’Italia: gran parte del mondo politico ed economico ( dunque: mediatico) è in gran parte asservito e genuflesso agli USA. Da noi passa solo il messaggio americano. Con il rischio che decine di milioni di italiani si convincano che sarà giusto bombardare l’Iran “ perché ha la bomba atomica”. In pochi sapranno che Israele ne ha decine di quelle bombe ma nessuno l’attacca. Perché Israele garantisce militarmente l’ordine americano in Medio Oriente. Perché, in quella regione del mondo - l’Iran è invece una potenza non asservita agli USA e ad Israele. Ma se avesse mai validità il teorema USA – e non lo ha, poiché l’unico teorema giusto è quello del disarmo nucleare generalizzato - anche Israele dovrebbe avere i giorni contati.
Il nucleare iraniano Una minaccia o un fattore di riequilibrio in Medio Oriente? | ||
di Sergio Cararo | ||
I tentativi di dotarsi dell’arma nucleare in Medio Oriente Va ricordato in tal senso il tentativo iracheno di costruire un impianto nucleare a Osirak che fu stroncato unilateralmente nel 1981 dagli israeliani con un bombardamento proprio mentre era in corso la guerra dell’Iraq contro l’Iran. Fu un intervento militare che confermò come Israele – allora – alimentasse ancora il progetto di sostegno ad una potenza regionale “non araba” (l’Iran) contro una potenza regionale “araba” (L’Iraq). Era la stessa motivazione con cui Israele ha avuto per decenni solidi rapporti militari,politici, economici con l’altra potenza regionale “non araba” ( la Turchia ) e abbia coltivato alleanze con le forse non arabe del Medio Oriente (i curdi in Iraq e Iran, i maroniti in Libano etc.) La “bomba islamica” infine l’ha costruita il Pakistan con i finanziamenti ricevuti da tutti i paesi arabi ed islamici. Il Pakistan non lo ha fatto per assicurarsi una fonte di approvvigionamento energetico alternativo al petrolio ma per acquisire uno status di potenza regionale nei confronti di India e Cina (dotate dei armi nucleari) e per dare “un punto di forza” alla nazione islamica nei confronti dell’arsenale nucleare israeliano. L'India proprio in questi giorni di aumento delle polemiche contro l'Iran, ha sperimentato il missile Agni III per il lancio di testate nucleari. La stessa Israele, ha creato l’impianto nucleare di Dimona non certo per produrre l’energia di cui non dispone e aggirare così l’embargo petrolifero arabo, ma per produrre decine di testate nucleari operative con cui minacciare e ricattare tutti paesi del Medio Oriente (e non solo). Il povero Vanunu sta ancora passando i suoi guai per averlo rivelato al Sunday Times. Cosa hanno in comune la bomba islamica pakistana, quella indiana e quelle israeliana? Che tutte e tre sono nate di nascosto e in paesi che hanno finora rifiutato di firmare il Trattato di Non Proliferazione Nucleare per evitare le ispezioni dell’AIEA nei loro impianti. Al contrario, la Repubblica Islamica Iraniana, ha firmato il Trattato, ha ospitato sistematicamente le ispezioni dell’AIEA ed ha dato vita pubblicamente e legalmente al suo programma nucleare. Ma perché un importante paese produttore di petrolio ha dato vita ad un programma nucleare? La questione nucleare dentro il Grande Gioco in Medio Oriente e Asia Centrale Le ragioni dell’accelerazione del piano nucleare iraniano, vanno viste nel contesto del “Grande Gioco” apertosi pesantemente in Asia Centrale a metà degli anni Novanta. Non va infatti dimenticato che tra gli obiettivi dichiarati del “Silk Road Strategy Act” statunitense vi era quello di tagliare fuori dai corridoi energetici proprio la Russia e l’Iran. (4) La guerra degli oleodotti che si è aperta e combattuta nei Balcani, nel Caucaso e nelle repubbliche asiatiche ex sovietiche non è ancora terminata ed è stata di una durezza che pochi hanno saputo cogliere (se non in occasione della guerra NATO nei Balcani, del sanguinoso conflitto in Cecenia e di quello più recente in Georgia). Il tentativo di tagliare fuori la Russia dai corridoi strategici è però fallito sia grazie alla sconfitta del tentativo della Georgia di occupare le repubbliche secessioniste dell’Ossezia e dell’Abkhazia (rimaste nell’orbita di Mosca), sia grazie alle spregiudicate operazioni dell’Italia di Berlusconi e della Turchia che hanno varato il progetto del corridoio South Stream, il quale consente alla Russia di commercializzare le sue risorse energetiche fin sul Mediterraneo evitando sia la strozzatura della Georgia che quella – eventuale – di una Ucraina filo NATO. Allo stesso modo nel nord Europa, il corridoio North Stream bypassa Polonia e Repubbliche Baltiche e fa arrivare le risorse energetiche russe fin nel cuore dell’Europa. Gli Stati Uniti dagli anni Novanta in poi hanno sistematicamente puntato a isolare ed estromettere l’Iran dalle dinamiche della geografia mondiale del petrolio. Di questo erano consapevoli il ricco Rafsanjani e i cosiddetti riformisti iraniani che hanno quindi cercato di riallacciare i contatti con gli USA. Ma a complicare ed a chiarire le cose, ci si è messo però il Progetto per il Nuovo Secolo Americano, il rafforzamento dei “likudzik” a Washington ed a Tel Aviv, l’avvento dell’amministrazione Bush e lo scatenamento della guerra preventiva da parte degli Stati Uniti. La realtà infatti ha dimostrato fino ad oggi che le bombe atomiche è meglio averle che non averle e che se un paese dispone di bombe atomiche può decidere da solo se farsi “esportare o meno la democrazia dentro casa”. Lo scenario visto prima in Afganistan e poi in Iraq è stato un serio deterrente per l’Iran. Questo paese infatti si trova preso in mezzo ai due paesi occupati militarmente dagli USA e l’amministrazione statunitense non nasconde affatto l’ambizione di chiudere anche territorialmente questa parte dell’Arco di Crisi indicato da tempo da Brzezinski e Kissinger dentro il progetto del “Grande Medio Oriente” di cui l’Iran è una spina nel fianco e una interruzione di continuità. Le difficoltà di USA e Israele fanno aumentare i rischi dell’escalation "Sta diventando verosimile un attacco militare contro l’Iran. Che sia Israele o l’America a lanciarlo poco importa. Potrebbe avvenire e il rischio maggiore è che inneschi una guerra regionale, con gli Hezbollah che attaccano Israele dal Libano e la Siria che entra in guerra con loro. Per scongiurarlo Netanyahu vuole accelerare l’accordo con la Siria " ad affermarlo è David Schenker, fino al 2006 titolare del dossier siriano al Pentagono e analista al centro studi Washington Institute in una intervista rilasciata pubblicata sul quotidiano italiano La Stampa del 6 febbraio. E’ noto a tutti che gli artefici principali di questa campagna aggressiva contro l’Iran siano i cosiddetti “likudzik” cioè i progetti e i soggetti convergenti della fazione filo-israeliana nell’amministrazione Obama con le autorità israeliane vere e proprie. Per i primi la liquidazione – anche manu militari – dell’Iran significa il rilancio pesante dell’egemonia globale USA oggi in declino, per i secondi rappresenta l’eliminazione di una potenza regionale rivale che sostiene apertamente organizzazioni come gli Hezbollah libanesi o i palestinesi di Hamas e rimane l’unico fattore di equilibrio nei confronti della strapotenza militare e nucleare israeliana. Israele oggi non ha più alcun alleato nell’intera regione. Le relazioni storiche con la Turchia sono fortemente compromesse, i negoziati con la Siria si sono fermati, i regimi reazionari arabi come Egitto e Giordania incontrano sempre maggiori contrasti interni nel mantenere la loro linea di subalternità ai diktat israeliani (vedi le contestazioni sia in Egitto che nel mondo arabo contro il muro egiziano contro i palestinesi di Gaza). Oggi l’amministrazione Obama è seriamente impantanata in Afghanistan ed è ancora lontana dal raggiungimento degli obiettivi strategici prefissati dal progetto “Grande Medio Oriente”. I negoziati tra Israele e ANP sono fermi da mesi e il tentativo dell’amministrazione Obama di pesare sulle scelte negoziali israeliane si è rivelato del tutto inefficace, al contrario ha rivelato che è maggiore l’influenza israeliana sull’amministrazione USA che viceversa. In Iraq la situazione è fondata su un equilibrio di forze fragilissimo che verrebbe scosso duramente da una eventuale attacco militare contro l’Iran. La stessa Al Qaida nostra una capacità di estensione dell’influenza del proprio network in paesi da cui prima era assente (sia in Africa che nel mondo arabo). La tabella di marcia del tentativo di ristabilire l’egemonia statunitense nell’intera area deve fare i conti con la realtà e con la resistenza di popoli e di Stati all’egemonia globale USA. Gli USA sono sottoposti a fortissime pressioni israeliane per mettere in moto le operazioni contro l’Iran. Obama non ha affatto escluso l’opzione militare ma deve però prendere tempo e incentivare la campagna perché l’Afghanistan non è solo una rogna dal punto di vista militare ma lo è ancora di più dal punto di vista politico e della credibilità. Inoltre due potenze come Russia e Cina hanno emesso un serio monito contro una eventuale aggressione verso l’Iran. La prima intende limitarsi alle sanzioni, la seconda prende tempo avendo investimenti e interessi strategici rilevanti nella repubblica iraniana. In queste settimane stiamo assistendo ad un intenso lavorìo diplomatico dell’Italia e dell’Unione Europea per tenere aperto un negoziato con l’Iran limitandosi alle sanzioni prima ed escludendo l’intervento militare. Lo stesso intervento di Berlusconi alla Knesset israeliana ha dato corda ai bellicisti di Tel Aviv ma si è limitato a concedere la sospensione dei contratti petroliferi che l’ENI aveva già deciso e annunciato da tempo di voler fare. Eppure è possibile, anzi probabile, che nella prossima fase assisteremo ad una escalation sempre più pericolosa contro l’Iran e sarà una escalation la cui variabile indipendente non sarà rappresentata dagli “ayatollah” ma dal governo israeliano e dall’esito delle elezioni di medio termine negli USA. Il principio di lealtà (e di realtà) vorrebbe che una conferenza o un piano che punti ad un processo di disarmo nucleare del Medio Oriente riguardi certo l’Iran ma non può che includere anche Israele. L'unico ad aver avanzato la proposta della denuclearizzazione del Medio Oriente, è stato fino ad oggi il Presidente iraniano intervendo tre anni fa alle Nazioni Unite. Le potenze che vogliono attaccare o isolare l'Iran hanno sempre detto che non era credibile. In realtà – e torniamo alla questione di partenza – se parliamo di programmi nucleari, la proposta di Amadinejhad di denuclearizzare tutta la regione, inclusa Israele, sarebbe la più ragionevole per "rimettere in equilibrio la regione mediorientale" ed evitare nuovi conflitti. |
NEGAZIONISMO: LA PROPAGANDA MILITANTE
Nel corso di un'affollata conferenza stampa in data odierna, il presidente dell'Unione degli Istriani Massimiliano Lacotaha presentato al pubblico ed ai giornalisti presenti in sala una copsicua documentazione sull'attività negazionista e sulla propaganda militante diffusa in occasione dello scorso 10 Febbraio.
Nell'allegato PDF una sintetica fotocronaca con la riproduzione delle principali evidenze documentali.
http://www.unioneistriani.it/3t-data/files/1298.pdf
(13/2/2010)
Giornata del Ricordo: 10 febbraio. Poco prima, Giornata della Memoria: 27 gennaio. Innanzi tutto, mi si lasci dire che appare davvero difficile da accettare il paragone tra un fatto storico come la Shoa, che ha una sua unicità terribile nella vicenda dell’umanità, e una serie di eventi che certamente tragici, rientrano tra le “normali”, per quanto variamente efferate, vicissitudini dei conflitti bellici. In secondo luogo, posso aggiungere che questo proliferare di memorie obbligate e “condivise” (altre proposte di leggi e leggine si annunciano o si richiedono per istituirne, finché avremo un calendario senza più un giorno libero) sta rendendo stucchevole ogni ricordo? E lo sta mercificando e banalizzando?
Ma vengo alle foibe. Ieri un giornalista di Radio Rai mi telefona e mi chiede se oggi sarei stato disponibile a partecipare a un programma sulla Giornata del Ricordo; rispondo di sì. E allora lui comincia a farmi una “preintervista”; mi vuole sondare. E mi domanda se non ritenga che oggi questa data sia finalmente davvero condivisa, e che ormai anche chi la respingeva la accoglie, e che gli errori del passato sono stati riconosciuti, e così via. Cercando di frenare il fastidio naturale davanti a domande che pretendono di indirizzare l’interrogato, facendogli fornire la risposta attesa dall’interrogante, esprimo il mio disaccordo. E davanti al suo stupore, gli spiego che sulle foibe da anni si sono condotti studi attendibili, e misconosciuti, da parte di gruppi di studiosi, collocati in particolare nelle zone di confine tra Italia e ex Jugoslavia, dentro o comunque vicino agli Istituti storici della Resistenza. E che su questa vicenda si sono fornite cifre del tutto fasulle, che sono variate a seconda dello spirare dei venti politici; con un vergognoso cedimento persino degli autori dei manuali di storia, che hanno ampliato a dismisura nel corso degli ultimi quindici-vent’anni, il totale degli infoibati.
Si è arrivato a parlare (nei giorni scorsi persino una pubblicità televisiva ci ha martellato: la storia che diventa spot è una new entry degli ultimi anni) di “decine di migliaia di morti”. Di “migliaia e migliaia” di italiani infoibati vivi, solo perché italiani, o non comunisti, o cattolici. O sacerdoti. E quant’altro, per denunciare la mostruosa crudeltà del comunismo e lo spirito disumano di vendetta che animò i “titoini” – i partigiani di Tito, con i loro complici italiani militanti sotto le bandiere del Pci togliattiano – nella loro resa dei conti a danno dei “vinti” di cui – ah, Pansa! – sparsero il sangue: ovviamente innocente.
Ebbene, che cosa non quadra in questa “ricostruzione”? C’è che, come appunto si fa nel cicaleccio pseudostorico imperante a proposito del post-XXV Aprile in Italia, si dimentica il contesto in cui i fatti avvennero e si devono necessariamente collocare. E quel contesto ci parla sì di efferatezze e brutalità, ma commesse da chi? Dai nostri soldati. Dai fascisti ai danni degli jugoslavi. Gli italiani fascisti, come dimostrano molti studi degli ultimi anni, si fecero odiare in quelle terre persino più dei tedeschi nazisti. Istituirono campi di concentramento. Commisero ogni sorta di nefandezze, ai danni di popolazioni inermi. E come ci si può stupire poi che si sia giunto a una resa dei conti, a guerra finita? Ovviamente, non si giustificano così efferatezze dell’altra parte, i delitti restano delitti, quali che sia la loro fattispecie: ma i contesti in cui avvengono li rendono assai diversi, gli uni dagli altri. E comunque sono i contesti che aiutano a spiegare tutti i singoli fatti, individuali e collettivi.
Ciò detto, è un clamoroso falso storico parlare di migliaia o decine di migliaia di infoibati. Si trattò invece di qualche centinaio di persone. No. Va bene. “Non facciamo la conta dei morti”: sento già qualcuno che me lo urla. Non facciamola. Ma la differenza tra qualche centinaia e le decine di migliaia non è di poco conto. Ma al di là di questo il falso non concerne solo e tanto le cifre, quanto la sostanza. Chi furono gli infoibati? Ossia coloro che vennero gettati nelle foibe? Furono spesso i caduti in guerra, di ambo le parti: una sepoltura sbrigativa, certo, ma in tempi di guerra si può sottilizzare? Furono talora, invece, i condannati a morte in regolari processi: fucilati e poi gettati in quelle naturali cavità del terreno. Furono anche, in rari casi, persone vittime di agguati, catturate, e gettate, dopo essere state uccise, o, raramente, vive. Ma accadde agli uni e agli altri. E presentare la vicenda delle foibe come un’azione sistematica, di inaudita ferocia, messa in atto dai comunisti (jugoslavi, ma con la complicità degli italiani) ai danni degli italiani (non comunisti), significa falsificare o addirittura rovesciare la verità storica (a chi voglia saperne di più consiglio il recente volume a cura di Alessandra Kersevan, Foibe. Revisionismo di Stato e amnesie della Repubblica, Kappa Vu editore).
Si dirà che il ricordo del 10 febbraio concerne anche le migliaia (questi sì, decine di migliaia) di nostri connazionali costretti dagli accordi italo-jugoslavi a lasciare le terre dov’erano nati, dove avevano casa, e avevano costruito un’esistenza. Premesso che si è stabilito un nesso tra i due eventi (quasi a dire che gli italiani fuggivano per evitare di essere infoibati!), bizzarramente, quel ricordo della tragedia degli italiani costretti all’esodo, viene oggi completamente obliterato dal mendace, quanto orientato, discorso sulle foibe. L’ìdeologia sconfigge la storia, e la moneta cattiva dell’uso politico di una storia ad usum delphini, scaccia quella buona della storia autentica il cui compito è l’accertamento della verità. E il ricordo dei dalmati e degli istriani che dovettero abbandonare le loro case e le loro corse, diventa un pretesto per una infinita “resa dei conti” con il “comunismo”: origine e fonte di ogni male della storia, in questo sedicente discorso “storico”.
Ma si può dire, tutto questo, alla radio? Pare di no… Imbarazzato, il mio gentile intervistatore (anzi: pre-intervistatore), borbotta frasi sconnesse: “sa…, capisce, questo è il servizio pubblico, non è che vogliamo togliere la libertà di parola, ma devo sentire i capi…”. Appunto. Il servizio pubblico, è oggi messo al servizio del mainstream politico. Si deve dire quello che il padrone del servizio pubblico (sostanzialmente lo stesso del servizio privato) decide, e che “i capi” fedelmente, puntualmente, interpretano. E la chiamano democrazia. E la chiamano libertà di espressione. E la chiamano ricerca della verità “nascosta” o “negata”.
Amaramente, non posso che constatare ancora una volta che alla crescente domanda di storia, nella pubblica opinione, corrisponde, paradossalmente, una totale emarginazione della figura professionale dello storico, sostituito da soubrettes dell’intrattenimento mediatico, che si piegano volentieri a dire ciò che si fa lascia loro dire. O ciò che ritengono che qualcuno voglia sentir dire. E va bene. Ciò che non va affatto bene è che codesta roba venga spacciata per “storia”.
Angelo d’Orsi
(10 febbraio 2010)
Evento: "Il colonialismo nazifascista nei Balcani - storia di un genocidio rimosso"
organizzato da
"Lavori in Corso" dell'università di Roma - Tor Vergata
Programma:
ore 14.30
incontro con i ricercatori storici Alessandra Kersevan e Sandi Volk
presso l'aula T12B della facoltà di Lettere e Filosofia dell'università di Roma - Tor Vergata
“Jasenovac – omelia di un silenzio”
spettacolo per attore solo e video
di e con Dino Parrotta
Compagnia Primo Teatro
in collaborazione con Associazioni “Mosta za Beograd” e “L’isola che non c’è”
luogo:
Auditorium della Facoltà di Lettere e Filosfia dell'università di Roma - Tor Vergata, via Columbia 1
ingresso: a sottoscrizione (2 euro) o comprensivo di cena sociale (5 euro)
recapiti: 06-72595203 /// 06-72597771
sito web: http://clic.noblogs.org - www.primoteatro.it
Da: Spazio Popolare la Forgia <spaziopopolarelaforgia @ gmail.com>Data: 17 febbraio 2010 20:43:42 GMT+01:00A: "Coord. Naz. per la Jugoslavia"Oggetto: FOIBE: CONTRO LA MISTIFICAZIONE DELLA STORIA - ASSEMBLEA DOMENICA 21 FEBBRAIO 2010 SPAZIO POPOLARE LA FORGIAFOIBE
CONTRO LA MISTIFICAZIONE DELLA STORIAASSEMBLEA - DIBATTITOPer fare chiarezza sulla questione foibe, per smascherare la campagna di denigrazione della Resistenza ed il tentativo di mettere sullo stesso piano la violenza fascista e quella antifascista.
ORE 14.00
con
SANDI VOLK
Ricercatore storico della sezione storica della Biblioteca Nazionale Slovena e degli Studi di Trieste e Presidente della Associazione Promemoria di Trieste
ORE 12.00
PRANZO POPOLARE
comunicare il numero dei partecipanti al 0373473214
DOMENICA 21 FEBBRAIO 2010
SPAZIO POPOLARE LA FORGIAVia Mazzini, 24 - Bagnolo Cremasco (CR)fotocopiatoinproprio 15 febbraio 2010- Via Mazzini 24 - Bagnolo Cremasco (CR)
UCCISI 12 SERBI
Il 16 febbraio del 2001 nell’attacco terroristico degli estremisti
albanesi contro un pullman serbo, nel villaggio Livadice nei pressi di
Podujevo in Kosovo, sono stati uccisi 12 serbi e 43 sono stati feriti.
Nella deflagrazione di una mina che è stata collocata sotto il ponte
sulla strada Nis – Pristina, è stato distrutto il primo dei sei
pullman nei quali viaggiavano i profughi serbi, scortati dai veicoli
della Kfor, verso il monastero Gracanica, in occasione del Giorno dei
Morti. La corte suprema della Regione nel processo della seconda
istanza nel marzo dell’anno passato ha esonerato da ogni colpa l’unico
imputato Florim Ejupi, di nazionalità albanese. Nel giugno del 2009
l’Eulex ha avviato le nuove indagini che sono condotte dai membri
dell’ufficio del procuratore speciale per crimini di guerra. Loro
hanno dichiarato che finora non è stato accusato nessun o che l’atto
terroristico e Livadice non poteva essere organizzato da una sola
persona. (15. febbraio 2010. 20:03)
A PRISTINA È STATA SOMMINISTRATA LA LITURGIA FUNEBRE IN SUFFRAGIO
DELLE VITTIME SERBE
I vescovi della Chiesa serba ortodossa Atanasije e Teodosije hanno
somministrato nella chiesa di Santo Nikola a Pristina la liturgia
funebre in suffragio di 12 serbi che sono stati uccisi nell’attacco
terroristico contro il pullman Nis express nei pressi di Podujevo, 12
anni fa. Nell’attacco sono state ferite quaranta persone. Alla
liturgia hanno presenziato all’incirca 150 persone. La deflagrazione,
avvenuta il 16 febbraio del 2001, è stata causata dalla mina che è
stata collocata al margine della strada. E’ stato colpito il primo
dei sei pullman, nei quali viaggiavano i profughi serbi, scortati dai
veicoli della Kfor. Loro avevano intenzione di visitare il monastero
Gracanica e il cimitero, in occasione del Giorno dei Morti. L’albanese
Florim Ejupi, l’unico accusato di aver preso parte all’attacco, è
scappato dalla prigione della base militare statunitense Bondtsteel
nel maggio del 2001. Nel 2004 egli è stato arrestato a Tirana ed è
stato trasferito in Kosovo. Nel processo di prima istanza Ejupi è
stato condannato alla detenzione pluriennale. Però la Corte suprema
del Kosovo l’ha esonerato da ogni colpa, a causa della mancanza di
prove. L’Eulex ha avviato nel giugno del 2009 le nuove indagini. Gli
esperti che conducono le indagini hanno comunicato di non aver ancora
identificato i colpevoli e che quell’atto terroristico non poteva
essere organizzato da una sola persona. La chiesa di Santo Nikola,
nella quale oggi è stata celebrata la liturgia funebre in suffragio
delle vittime, è stata distrutta e data alle fiamme nell’ondata di
violenze della popolazione albanese, nel marzo del 2004. Nel frattempo
la chiesa è stata parzialmente ricostruita. (16. febbraio 2010. 19:41)
(fonte: Glas Srbije - http://www.glassrbije.org/I/
Sulla stessa scandalosa vicenda vedi anche: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6359
)
Oggetto: Permesso di soggiorno per merito
Data: 14 febbraio 2010 22:29:46 GMT+01:00
vi prego di leggere la storia di questo nostro amico Rom, Jovica Jović di Rho e di firmare l'appello on line perchè gli si conceda il permesso di soggiorno per meriti artistici.
E' un artista e ha collaborato con la nostra associazione ("Un Ponte per..." ) nell'occasione della mostra fotografica su Jasenovac che abbiamo realizzato con la Provincia di Milano nel 2007, onorandoci della sua presenza. La sua fisarmonica evocava meglio di molte parole il sentimento che accompagnava la mostra sull'olocausto dei serbi, ebrei e Rom nei Balcani durante la seconda guerra mondiale. Ha suonato sul Binario 21 nel giorno del ricordo a Milano, ha collaborato con Ovadia e Fo, con Bregović.
Si commemorano le giornate del ricordo sulla Shoah e sul Porrajmos di 65 anni fa, sono presenti i rappresentanti delle Istituzioni milanesi, Jovica suona le melodie strazianti e poi... due giorni dopo, altre Istituzioni milanesi vogliono espropriargli la casa e deportarlo fuori dall'Italia perchè non ha il permesso di soggiorno... La storia di ieri non solo non ci ha insegnato nulla ma in altri modi si ripete anche oggi, accanto a noi.
La vita di Jovica somiglia molto ad un film di Kusturica... Ecco, affinchè il nostro amore per gli stili di vita "altri e alternativi" non si limiti solo al mero esotismo , abbiamo tutti l'occasione di aiutare il nostro concittadino onesto ad ottenere un pezzo di carta che possa garantire la sua dignità e un tetto sopra la testa. Perchè un domani non dovremo vergognarci dicendo che "non sapevamo"...
http://milano.repubblica.it/dettaglio/milano-lodissea-del-musicista-in-fuga-suono-con-pelu-ma-devo-nascondermi/1852184
Grazie a tutti per il vostro tempo
Jasmina Radivojević e Rochi Dommarco