Informazione

(slovenski / italiano)

Giorno del Ricordo: revanscismo bipartisan

0) Per infangare la Resistenza il TG3 manomette le foto dei crimini italiani nella Slovenia occupata

1) Giornata del Ricordo o giornata della mistificazione? / Dan spomina ali dan mistifikacije? 
(Gruppo Consiliare Sinistra Arcobaleno - Regione Friuli Venezia Giulia)

2) Memoria IN CAMPO
(Giacomo Scotti)

3) Libri e cartine per Alemanno
(Tommaso Di Francesco)

4) GIORNO DEL RICORDO: SE LA STORIA NON E' UN'OPINIONE
Volantino del Partito Socialista dei Lavoratori della Croazia

5) NON SANNO NEPPURE DI COSA STANNO PARLANDO
Il Presidente dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, Lucio Toth, scavalca a destra l'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia: attacca Chiamparino per una mostra basata sulla documentazione fornita dall'ANVGD
(A. Kersevan + ANSA)

6) IL GIORNO DEL RICORDO DELLE FOIBE E DELL’ESODO E DELL’AMNESIA STORICA 
(nuovaalabarda.it)


Segnaliamo inoltre:


VOLANTINO DI PIATTAFORMA COMUNISTA per il Giorno del Ricordo 2010:

https://www.cnj.it/documentazione/IRREDENTE/volPIATTCOM2010.pdf


Incongruenze nei riconoscimenti agli "infoibati" segnalate dall'ANPI di Viterbo. I casi di Carlo Celestini e Vincenzo Gigante:

https://www.cnj.it/documentazione/paginafoibe.htm#viterbo09


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Per infangare la Resistenza il TG3 manomette le foto dei crimini italiani nella Slovenia occupata

Nei video mostrati il 10 febbraio dai telegiornali di Rai 3 e su Linea Notte, tra filmati e immagini sulle foibe sono state subdolamente inserite anche foto che documentano invece i crimini italiani nella Slovenia occupata.

Il servizio per il TG3 di Sergio Criscuoli, montato da Roberto Barbanera, si può ancora vedere al sito:   
Le foto si trovano più o meno al punto fra i minuti  2'17'' e 2'21''. Una, in cui si vedono alcune persone scavare una fossa, è la stessa che si può visionare in http://muceniskapot.nuovaalabarda.org/galleria-ita-3.php tra le tante foto dei crimini commessi dall'esercito di occupazione italiano. 

Nel suo articolo "La malastoriografia" in Revisionismo storico e terre di confine (http://www.kappavu.it/catalog/product_info.php?products_id=216) Alessandra Kersevan già aveva documentato un caso analogo: sul Messaggero Veneto, tre anni fa avevano usato una immagine della fiction "Il cuore nel pozzo" apponendo la didascalia: "Immagini d'epoca. [sic] Rastrellamenti di partigiani jugoslavi contro la popolazione" [sic].

(segnalato da Alessandra Kersevan, che ringraziamo)


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Gruppo Consiliare Sinistra Arcobaleno - Regione Friuli Venezia Giulia

Piazza Oberdan 6,  34133 Trieste telefono 040 3773257 
fax 040 362052 email:  cr.gr.sa@...



Ai mezzi di comunicazione
Con cortese preghiera di pubblicazione
COMUNICATO STAMPA

 

Giornata del Ricordo o giornata della mistificazione? 

  Da qualche anno siamo abituati, in questo paese e nell’Unione Europea “dei confini definitivamente caduti”, grazie soprattutto alla tendenza generalmente revisionista delle più svariate politiche europee della memoria - che continuano pervicacemente a confondere i crimini fascisti e nazisti in una narrazione generale sulle vittime del 20° secolo, il cosiddetto secolo dei totalitarismi -  a sentirci raccontare di tutto ed a sopportare cumuli di sciocchezze senza nemmeno indignarci. In Italia il fascismo di oggi si presenta solitamente svestito della propria uniforme e dei costumi che l’hanno caratterizzato storicamente, a volte però si traveste da “democrazia formale” ed egemonizza il dibattito e la scena mediatica nella Giornata del Ricordo.
Ogni anno crescono esponenzialmente i numeri dei presunti infoibati e delle vittime della barbarie slavocomunista, mentre le Istituzioni fanno ormai fatica a rintracciare famigliari, congiunti e discendenti di tanta umanità tragicamente perita: fossero tutte vere le affermazioni in proposito, verbali e scritte, ci dovrebbe essere almeno una certa corrispondenza tra numero di vittime ed onorificenze e medaglie assegnate…
Da ieri sembra che la Giornata del Ricordo possa servire anche per dare inizio all’ennesima campagna negazionista. Sembra che lo scrittore – giornalista Arrigo Petacco abbia affermato, nel corso di una trasmissione radiofonica RAI in prima serata, che la Risiera di San Sabba non sarebbe stata un campo di sterminio (l’unico lager nazista in Italia), ma che sarebbe una sorta di montatura storica per attenuare la tragedia delle foibe. Chissà cosa saprà dire in proposito il Presidente Napolitano...

Trieste, 11.02.2010
Igor Kocijančič
Consigliere regionale PRC – SE
Presidente gruppo consiliare La Sinistra L'Arcobaleno

--- slovenski ---

Gruppo Consiliare Sinistra Arcobaleno - Regione Friuli Venezia Giulia

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fax 040 362052 email:  cr.gr.sa@...


P.n. sredstva javnega obveščanja
Vljudno prosimo za objavo
TISKOVNO SPOROČILO 

Dan spomina ali dan mistifikacije? 

  Že nekaj let smo vajeni, v tej državi in v sklopu Evropske unije “dokončno padlih meja”, predvsem zaradi prisotne splošno revizionistične težnje raznovrstnih evropskih politik spominjanja – ki vztrajno utapljajo fašistične in nacistične zločine v brezbrežno morje brezoblične pripovedi o žrtvah 20. stoletja, tako imenovanega stoletja totalitarizmov -  da nam servirajo kakršnekoli lažne kvaziinformacije in da nas dobesedno sipajo z vsakovrstnimi neumnostmi, ne da bi se pretirano razburjali. V Italiij se današnja različica fašizma navadno predstavlja brez uniform in preoblek, ki so ga zgodovinsko okarakterizirali. Včasih se preobleče v “formalno demokracijo” in hegemonizira razpravo in medijsko sceno ob Dnevu Spomina.
Vsako leto eksponenčno raste število domnevnih infoibirancev ter žrtev slavokomunističnega barbarstva, medtem ko pristojne Inštitucije le stežka pridejo na sled sorodnikom in potomcem tolikšnega človeštva, ki je tragično preminulo: ko bi bile tovrstne trditve in zapisi blizu resnici, bi moralo obstajati neka skladnost vsaj med številom žrtev in izdanimi spominskimi kolajnami…
Od včeraj bo Dan Spomina lahko služil tudi za začetek nove negacionistične kampanje. Zdi se namreč, da je znani pisatelj in časnikar Arrigo Petacco, med potekom večerne radijske oddaje vsedržavne mreže RAI izjavil, da Rižarna pri Sv. Soboti naj bi ne bila koncentracijsko taborišče (edini nacistični lager v Italiji), ampak da bi v resnici šlo za zgodovinsko podtaknjeno verzijo, ki bi služila prav političnemu namenu, da se omili tragedija fojb. Kdove kaj nam bo o tej trditvi znal povedati Predsednik Napolitano…

Trst, 11.02.2010
Igor Kocijančič
Deželni svetnik SKP – EL
Predsednik svetniške skupine Mavrične Levice


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Memoria IN CAMPO

di Giacomo Scotti

Ogni anno, dal 2004, il «Giorno del ricordo» viene usato dalla retorica dei partiti della destra italiana che affonda le sue radici nell'ideologia fascista, per cancellare le responsabilità italiane e repubblichine nei massacri in terra slava e per ricordare foibe ed esodo dall' Istria e da Zara in modo, dice Claudio Magris, «regressivo e profanatorio». E alla fine per riattizzare gli odii nazionalistici antislavi all'origine dell'aggressione fascista del 1941


Ogni anno, a cominciare dal 2004, celebrando il «Giorno del Ricordo» per ricordare la tragedia delle foibe e dell'esodo, rischiamo inevitabilmente di guastare i buoni rapporti che intercorrono fra i popoli delle due sponde adriatiche. Nel 2007 rischiammo addirittura una crisi con la Croazia che, per fortuna, rientrò nel giro di una settimana. E poi nel 2008 con la Slovenia. Temo però che, a causa delle ferite non rimarginate, il pericolo di rotture continuerà a incombere, soprattutto se da parte italiana si dovesse continuare a ignorare la vera storia, se si continuerà a coltivare una memoria parziale, che non tenga conto dei torti subiti dagli altri, del dolore degli altri, delle tragedie altrui. Queste crisi ricorrenti, oltretutto, mettono in pericolo la coesistenza, la convivenza e la tranquillità della minoranza italiana nel territorio istro-quarnerino, di quei trentamila italiani rimasti in Croazia e Slovenia, che hanno saputo tenacemente e pazientemente costruire, insieme ai conterranei croati e sloveni, una vita di reciproco rispetto, di tolleranza, la convivenza nella multiculturalità. Bisognerebbe però cambiare linguaggio e smetterla di guardare a croati e sloveni come a dei barbari, come li chiamava Mussolini e come li definiscono i neofascisti che oggi scrivono sui muri di Trieste «slavi di merda» e «slavi boia», pensando invece a mettere in mare nuove navi traghetto accanto a quelle esistenti, di cui si servono italiani, croati e sloveni per transitare ogni giorno dall'una all'altra sponda dell'Adriatico e del confine giuliano. In Istria e nel Quarnero, le cui popolazioni hanno visto e subito nel secolo scorso tutte le violenze del fascismo e di altre ideologie nazionalistiche, aggressioni e oppressioni, fino all'esodo, si sa riconoscere il dolore di tutti, dei rimasti e degli esodati, dei profughi di tutte le popolazioni.
Le recriminazioni e i rancori tipici di una destra dalle origini fasciste e missine, oggi sono fuori della storia.
Certo, la storia non si può cancellare e non va dimenticata ma ciascun popolo deve saper fare i conti con la propria, senza sottacere o negare i buchi neri. 

Esagerare, fino all'assurdo

Non si possono giustificare i crimini commessi in Istria tra il 10 settembre e il 4 ottobre 1943 nell'insurrezione contadina seguita alla capitolazione dell'Italia, quei crimini che vanno sotto il nome di foibe; ma nel ricordarli bisognerebbe sempre condannare anche i crimini e le violenze dei fascisti; dall'una e dall'altra parte dovrebbero essere assunte le responsabilità politiche delle rispettive pagine nere del passato. Ognuno ha diritto alla memoria, ma non ci possono essere memorie condivise se basate sulla falsificazione e sul revisionismo storico, e nessuno ha diritto di usare il passato per attizzare nuovi e vecchi rancori.
Sono fuori della storia e rappresentano un'offesa terribile non solo alla verità storica ma anche alle popolazioni croate e slovene certe truculente fiction cinematografiche prodotte in Italia come «Il cuore nel pozzo» nelle quali in maniera manichea i buoni e le vittime sono tutti italiani, mentre i malvagi e gli assassini sono tutti slavi. A che scopo bollare come barbare intere popolazioni che pure soffersero l'oppressione, la persecuzione, l'aggressione, l'occupazione degli italiani? E perché poi certi avvenimenti storici dolorosi e tremendi come le foibe istriane vengono presentati al di fuori del contesto storico delle «tormentate vicende del confine orientale», senza una seria analisi storica, con l'enfatizzazione, l'esagerazione dei numeri fino all'assurdo?
Spesso, grazie a una libellistica di stampo ultranazionalistico viene elevata al rango di certezze inconfutabili un'interpretazione della storia del confine orientale che è esclusivamente politica, strumentale, centrata su una chiave nazionale e sulla mitologia nazionalistica, che non tiene conto del male arrecato agli altri e, come dicevo all'inizio, del dolore degli altri.

La barbara razza slava

Quando parlo del dolore altrui, ovvero dei cosiddetti «barbari slavi» nostri vicini di casa non alludo soltanto ai 20 anni di oppressione e repressione fascista subita dalle popolazioni croata e slovena dei territori annessi all'Italia dopo la prima guerra mondiale, repressioni che portano centinaia e migliaia di «allogeni» nelle carceri del Tribunale speciale, al confino ma anche davanti ai plotoni di esecuzione, alla cancellazione della lingua e dei cognomi sloveni e croati eccetera in tutto il territorio della Venezia Giulia e del Quarnero; non alludo soltanto ai 350.000 civili montenegrini, croati e sloveni massacrati, fucilati o bruciati vivi nelle loro case durante i cosiddetti rastrellamenti delle nostre truppe che aggredirono l''ex Jugoslavia nell'aprile 1941 occupando il Montenegro, la Dalmazia e parte della Slovenia annettendosi larghe fette di quei territori; non alludo agli oltre centomila civili, compresi donne, vecchi e bambini, che furono deportati e rinchiusi in oltre cento campi di internamento disseminati dalle isole di Ugljan, Molat e Arbe in Dalmazia fino a Gonars nel Friuli ed alle migliaia di essi che non rividero più la loro casa perché falciati dalla fame, dalle malattie e dai maltrattamenti in quei «campi del Duce». Parlo soprattutto delle vendette fasciste, dei crimini compiuti dai fascisti repubblichini italiani al servizio del tedeschi nei territori della Venezia Giulia e del Quarnero dopo l'occupazione di quelle terre da parte della Wehrmacht, della loro annessione al III Reich ovvero alla costituzione della Zona del Litorale Adriatico, dopo la prima decade di ottobre del 1943 e fino alla fine di aprile del 1945. Nella sola Istria i tedeschi, con la collaborazione della X Mas italiana, della cosiddetta Milizia Difesa Territoriale italiana inquadrata nei reparti germanici e di altre formazioni militari o paramilitari, massacrarono oltre 5.000 civili, distrussero col fuoco alcune decine di villaggi, deportarono 12.000 altri civili; e tutto ciò per «vendicarsi delle foibe», ovvero per «sterminare la barbara razza slava».
In realtà sterminarono italiani, croati e sloveni senza distinzione, all'epoca tutti cittadini italiani al di là dell'etnia. Ma oggi di questo si preferisce non parlare. Invece proprio a questa pagina orrenda dimenticata, oggi vorrei tornare per un attimo.

«Qui regna il terrore»

Il periodo che va dal 4 ottobre 1943 al 30 aprile 1945, durante il quale l'Istria fu «gestita» con le armi dai fascisti italiani e dai tedeschi, fu un continuo susseguirsi di stragi. In questi massacri, i fascisti repubblichini fecero da guida, da informatori/delatori, ma furono pure quasi sempre esecutori. Tra i reparti italiani al servizio delle SS che si distinsero nelle stragi ricordiamo il Reggimento «Istria» comandato da Libero Sauro, il reparto «Mazza di Ferro» comandato dal capitano Graziano Udovisi (Udovicich) e l'unico reparto di combattimento formato da sole donne, il Gruppo d'azione «Norma Cossetto» che alla sua costituzione fu passato in rassegna a Trieste dal segretario generale del Partito Fascista Repubblicano Alessandro Pavolini, colui che, fucilato dai partigiani italiani il 28 aprile 1945, viene oggi onorato a Rieti con una via intitolata al suo nome,
Vi risparmio la cronaca degli eccidi che indica da dieci a settanta vittime al giorno fino a raggiungere le 300 del villaggio di Lipa (30 aprile 1944) con il cielo notturno quasi sempre illuminato dalle fiamme degli incendi dei paesi. Mi limiterò ad alcuni documenti firmati dal vescovo di Trieste, Antonio Santin, grande patriota italiano oriundo di Rovigno d'Istria. Dopo aver denunciato mese dopo mese l'assassinio di vari sacerdoti istriani impiccati o fucilati dai nazifascisti, il prelato così scrisse in una nota apparsa sul settimanale Vita Nuova in data 18 aprile 1944: «Quello che avviene nell'Istria è spaventoso». «Le povere popolazioni stanno pagando un terribile contributo di sangue e di distruzione delle loro case. Lo spavento incombe su tutto e su tutti. Molti innocenti sono stati uccisi. Questo dopo la prima invasione dei partigiani e il conseguente rastrellamento che avevano giù prodotto rovine ingenti e un numero così elevato di morti. Noi assistiamo angosciati a tanta rovina». Cinque giorni dopo, il 23 aprile, Mons. Santin scrisse una lettera al comandante tedesco Wolsegger. In essa si legge:
«In gran parte dell'Istria non vi è più traccia di vita civile. Regna il terrore». «La popolazione dell'Istria è sottoposta a prove che hanno raggiunto il limite estremo dell'umana sopportazione. In vastissime zone della provincia si conduce una vita da allucinati». La gente era costretta a vivere nei fienili, in grotte, in rifugi di fortuna, per non essere presi. «Quando passano le formazioni SS allora avvengono le cose più atroci e più disonorevoli: uccisioni di innocenti trovati a casa o sul lavoro, ruberie, distruzioni di case e di beni. Cose indescrivibili e ignominose. La gente fugge terrorizzata».
Anche delle SS facevano parte, persino con funzioni di comando, fascisti italiani istriani come Bradamante, Ravegnani, Niccolini ed altri. Ecco, anche questi fatti vanno ricordati. Come va ricordato che molti dei civili massacrati in quel periodo dai nazisti e fascisti furono gettati nelle foibe.

Sdoganare la relazione condivisa

Vorrei concludere con lo sguardo volto a un futuro senza rancori. Per crearlo sarebbe bene accettare la proposta della Slovenia di sdoganare la relazione condivisa ed approvata all'inizio degli anni Duemila da una commissione paritetica di storici sloveni e italiani sul comune passato, che sta chiusa da allora negli armadi del governo di Roma; accettare la proposta avanzata nel 2007 dal governo di Zagabria e finora rimasta senza risposta di rimettere in funzione la commissione mista degli storici italiani e croati per scrivere una storia vera di quanto è avvenuto sulla sponda orientale dell'Adriatico durante tutta la prima metà del Novecento; accettare la proposta di una ricerca comune sui crimini perpetrati «prima, durante e dopo la seconda guerra mondiale nell'ex Jugoslavia», appurando l'esatto o approssimativo numero delle vittime italiane, croate, slovene e montenegrine. Serve infine un gesto solenne di riconciliazione che faccia incontrare i presidenti dell'Italia, della Slovenia e della Croazia per onorare le vittime delle foibe ma anche le vittime dei massacri compiuti dagli italiani. La Slovenia e la Croazia, a livello governativo ma anche della stragrande maggioranza della popolazione, hanno più volte ammesso e finalmente condannato le stragi delle foibe e la politica jugoslava che nei primi 15 anni del dopoguerra portò all'esodo di 200.000 italiani e croati; ma non si possono tollerare i discorsi razzisti antislavi pronunciati ogni anno in Italia nel mese del «Giorno del Ricordo» da esponenti dell'estrema destra. Le foibe ci sono state, l'esodo c'è stato, ma prima ci sono state le persecuzioni italiane (fasciste) e l'aggressione fascista che portò all'annessione della cosiddetta Provincia di Lubiana (Slo) di quasi metà Croazia, dell'intero Montenegro. Resta il nostro dolore per le vittime delle foibe e per l'esodo. A livello politico Croazia e Slovenia non giustificano più quei tristi fatti con i precedenti crimini del fascismo, perché non si giustifica la vendetta. È però anche comprensibile il dolore dei figli e nipoti sloveni e croati i cui padri e nonni furono vittime del terrore italiano in uniforme fascista o addirittura al servizio del nazismo. 
È un dolore comprensibile anche quello; non si può negare a sloveni e croati di ricordare i loro morti, le sofferenze subite dai loro padri. Bombardati come sono ogni anno di questi tempi da accuse di genocidio, molti croati e sloveni ricordano a loro volta «la terribile occupazione italiana» delle loro terre, «le stragi compiute dall'esercito fascista italiano» ed aspramente rimproverano quella parte dell'Italia che non vuole ricordare i crimini italiani. Purtroppo in troppi continuano a non rimuovere i buchi neri del loro passato. 

La ferita oltre il confine

Bisogna ricordare tutto, contestualizzando la storia, senza dimenticare una parte e senza falsificarla. In Croazia, Slovenia e Montenegro, dove vivono i figli e le figlie e i nipoti delle vittime dell'occupazione italiana di quelle terre, del duro regime instaurato ancor prima per venti anni dal regime fascista in Istria ai danni dei cosiddetti «barbari slavi», c'è inevitabilmente chi si sente ferito dalla retorica dei partiti e gruppi italiani che affondano le loro radici nell'ideologia fascista e che ricordano le foibe e l'esodo dall'Istria e da Zara in modo «regressivo e oggettivamente profanatorio» come direbbe Claudio Magris, per riattizzare quegli odii nazionalistici antislavi che furono all'origine dell'aggressione fascista dell'aprile 1941 e della storia orrenda conclusasi con la sconfitta dell'Italia nella seconda guerra mondiale con la conseguente perdita dei territori ottenuti dopo la guerra del Quindici-Diciotto. Una storia orrenda, ripeto, conclusasi purtroppo anche con le foibe, con il Trattato di Pace del 10 febbraio 1947 e quindi con l'esodo di gran parte delle popolazioni, dai territori definitivamente assegnati alla Jugoslavia; e gli esuli, le grandi vittime, le vere vittime dell'avventura mussoliniana sulla sponda orientale adriatica, non furono soltanto italiani, ma anche croati e sloveni. Sono tredici secoli che in quelle terre si mescolano il sangue, le famiglie, i cognomi, le lingue e le culture.
Voglio ancora dire che il sangue dei vinti e dei vincitori, degli aggressori e degli aggrediti è sempre sangue umano, e va rispettato, non strumentalizzato ai fini politici. Bisogna parlarne con rispetto, senza l'ossessione e il rancore dell'offesa subita da chi vuole riconoscere il sangue versato dagli altri e le offese subite dagli altri. Con i ricordi selezionati e unilaterali si perpetua soltanto la catena delle violenze e delle vendette, si inocula nelle nuove generazioni l'odio etnico. Dobbiamo invece ricordare tutte le vittime, di ogni parte, e contestualizzare storicamente gli orrendi fatti che precedettero la seconda guerra mondiale, che caratterizzarono quella guerra di aggressione fuori i confini d'Italia. Bisogna ricordare tutto questo, come direbbe il già citato amico mio triestino Claudio Magris, «senza reticenze e senza strumentalizzazioni, senza quell'orribile calcolo dei morti cui assistiamo in Italia ogni anno». «Anche se i vostri morti fossero davvero quindicimila o ventimila, come qualcuno afferma senza esibire documenti e nominativi - ha commentato un ex partigiano croato - non si avvicinerebbero mai ai 350.000 jugoslavi massacrati». Io dico: rispettiamo tutte le vittime. Come scrisse qualche anno fa il sindaco di Muggia sul confine con la Slovenia, non vanno contrapposte foibe e guerra di liberazione dal nazifascismo. Nerio Nesladek, sindaco di quell'unico comune istriano rimasto in Italia, ritiene giustamente che «rifiutare il dialogo e continuare con le contrapposizioni - come fanno i circoli ultranazionalisti italiani di Trieste, non ci porterà da nessuna parte. Dobbiamo andare oltre le divisioni e i rancori e guardare avanti». Ben detto, io questo volevo dire.


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IL GIORNO DEl RICORDO
Libri e cartine per Alemanno

di tommaso di francesco

Dal 18 al 20 febbraio, 216 studenti delle scuole superiori di Roma saranno in «Viaggio nella civiltà istriano-dalmata», nei luoghi della tragedia delle foibe. Il viaggio della memoria «come per Auschwitz» - equiparando la Shoah, e quindi banalizzandola, alle foibe - è stato presentato in Campidoglio dal sindaco Gianni Alemanno. Scopo del viaggio è «sconfiggere qualsiasi forma di negazionismo e revisionismo», sottolineando che «per la Shoah, il negazionismo ha riguardato una minoranza. Mentre per le foibe questo è stato dominante». Gli stessi libri di storia, per Alemanno, «hanno negato o minimizzato questo evento drammatico». Il «percorso» di Alemanno, oltre Fiume e Trieste, prevede: Sacrario di Redipuglia, Cimitero Austro-ungarico, Foiba di Basovizza, Centro raccolta profughi di Padriciano, Risiera di San Saba, Sacrario di Cosala (quello dei legionari di D'Annunzio).
A proposito di «sconfiggere ogni forma di revisionismo»: ce ne fosse - al di là della Risiera di San Sabba - una di località dove i fascisti e i militari italiani massacrarono e deportarono migliaia di slavi, rom ed ebrei. Ecco alcuni luoghi della cartina dei «nostri» campi e stragi: Gonars e Visco (Udine), Uglyan e Molat in Dalmazia, Arbe-Rab (4mila donne e bambini morti di fame), Lipa con 320 civili massacrati (Fiume), Pothum (fucilati 88 uomini e tutta popolazione deportata in Italia) e in più 60 località distrutte col fuoco tra 4 ottobre e fine di dicembre '43 per «vendetta contro le foibe» con 5mila fucilati e 12mila deportati in Germania solo in quel periodo. A proposito di libri che negano le foibe, consigliamo di pubblicare un'antologia scolastica tratta da: «Dossier foibe», Giacomo Scotti, Manni 2005; «Foibe, una storia italiana», Joze Pirjevec, Einaudi 2009; «I campi del duce», S. Capogreco; «Lager italiani», Alessandra Kersevan, Nutrimenti 2008; «La storia negata» a cura di Angelo Del Boca, Neri Pozza 2009; «L'occupazione italiana dei Balcani», Davide Conti, Odradek 2008.


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GIORNO DEL RICORDO: SE LA STORIA NON E' UN'OPINIONE
 
Revisionismi e invenzioni degni del peggior oscurantismo medioevale
 
Ogni anno il 10 febbraio si celebra in Italia l'esodo e il massacro (!) degli italiani dell'Istria, del Quarnero e della Dalmazia da parte delle truppe partigiane della Lotta di Liberazione Popolare Yugoslava, negli anni immediatamenti successivi alla fine della guerra. Si parla di sradicamento nazionale degli italiani, centinaia di migliaia di espulsi, e decine di migliaia di infoibati.
 
Sfondo storico I popoli slavi, sotto il dominio fascista, erano privati di ogni diritto, furono vietate le lingue slave nelle scuole, i cognomi vennero italianizzati, gli impieghi pubblici affidati quasi esclusivamente ad italiani. Fu messo in atto un barbaro tentativo di sradicamento nazionale (questo si reale!) da parte del violento regime fascista.
 
I fatti Dopo l'8 settembre in Istria ci fu una sollevazione, un’insurrezione di contadini (croati, sloveni e italiani) che assalirono i Municipi, le case dei fascisti, di coloro che facevano parte della milizia volontaria della sicurezza nazionale, degli agenti dell’OVRA (la polizia segreta fascista) ammazzandone parecchi nelle loro case, e alcuni gettandoli nelle foibe. L’insurrezione istriana durò per circa un mese, finché non arrivarono i Tedeschi che misero a ferro e fuoco l’Istria. Le vittime dell’insurrezione furono per la maggior parte gerarchi fascisti, ma ci sono state anche vendette personali fra gente che aveva dei conti da regolare. Molti morti ci furono tra gli stessi abitanti slavi, quindi non si può dire in alcun modo che ci sia stato un odio generalizzato verso gli italiani.
 
Dalle foibe furono estratte 203 salme da parte autorità nazifasciste. Nel dopoguerra, gli storici più obiettivi hanno stimato in 500 le persone infoibate dai partigiani. Oggi il termine di infoibati viene erroneamente esteso a tutti, quindi anche alle persone che furono catturate in combattimento negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, per esempio i repubblichini della Repubblica di Salò che operavano in Istria al servizio della Gestapo e dei nazisti, o in generale i caduti italiani negli scontri con i partigiani nei territori dell'Istria e del Quarnero. Inoltre gli “storici” di estrema destra, per gonfiare le cifre, inseriscono negli elenchi nominativi degli infoibati anche vari caduti in battaglia, deportati, partigiani inclusi!
 
Gli italiani furono la maggioranza dei giustiziati perché in stragrande maggioranza erano stati italiani i podestà, i segretari del Fascio, i detentori del potere politico ed economico, i grandi proprietari terrieri ed altri esponenti del regime. Ma non mancarono, come già detto, esecuzioni di collaborazionisti slavi. Riassumendo, l'Istria ha subito in totale 17.000 morti tra vittime della repressione nazifascista, morti nei lager e caduti nella Resistenza armata, contro non più di 500 fascisti e collaborazionisti giustiziati dai partigiani.
 
Esodo Anche qui le cifre sono distorte. Se fosse vero che 350 mila persone se ne andarono dai territori in questione, non sarebbe rimasto che il 10% della popolazione locale. Gli emigrati furono in realtà 240 mila, di cui 20 mila slavi, e 40 mila funzionari venuti dall'Italia durante il fascismo. Tra gli italiani che optarono per la cittadinanza italiana (non furono “cacciati con la forza” come si vuol far credere) ci furono principalmente funzionari delle istituzioni dell'Italia fascista con le loro famiglie, che non si opposero minimamente ai crimini spietati dei seguaci del Duce. Ancora oggi in Istria c'è una forte minoranza italiana (di cui chi scrive fa parte), che conta circa 35 mila persone, e può vantare tra i suoi iscritti deputati, sindaci, assessori, vicegovernatori... Insomma non c'è stato un odio anti-italiano, semmai una forte avversione antifascista, a dimostrazione di ciò rimane il fatto che diversi italiani lasciarono l'Italia occupata dagli alleati occidentali, per trasferirsi nella Jugoslavia socialista, nella quale i diritti civili e del lavoro furono imparagonabilmente migliori, e dalla quale furono accolti a braccia aperte. Sono stati eretti inoltre molti monumenti dedicati ad eroi partigiani di nazionalità italiana.
 
Per approfondire:
 
Analizzando questi dati, ci troviamo chiaramente di fronte ad un tentativo di revisione e falsificazione della storia, perpetuata dal governo nazionalista delle destre, che in un colpo solo vuole rafforzare le campagne anticomunista, presente in tutta Europa, antislava, e di riabilitazione del fascismo.
 
Socijalisticka Radnicka Partija
Partito Socialista dei Lavoratori Croato


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DELLA SERIE: NON SANNO NEPPURE DI COSA STANNO PARLANDO

Riporto qui sotto l'ANSA sulla lettera che Toth ha scritto a Chiamparino. La mostra per cui si lamenta, «Fascismo Foibe ed Esodo» è quella fatta alcuni anni fa dall'Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione, che nel quadro iniziale ha questa dicitura:

PER SAPERNE DI PIÙ
Il litoriale adriatico
nel nuovo ordine europeo 1943-1945
di Enzo Collotti (Vangelista editore)
Foibe
di Raoul Pupo e Roberto Spazzali
(Bruno Mondadori)
Esodo
a cura dell’Associazione Nazionale
Venezia Giulia e Dalmazia -dvd
Il lungo esodo
di Raoul Pupo (Rizzoli)

 Se ne deduce che il presidente dell'ANVGD o non sa di cosa sta parlando, o non gli vanno bene neppure le mostre che si basano sui testi prodotti dalla sua associazione. Inoltre nel suo testo scrive che la mostra: «ripropone contenuti e assunti ampiamente posti in discussione e superati dalla più avveduta storiografia contemporanea, anche di sinistra (Marina Cattaruzza, Gianni Oliva, Giuseppe Parlato, Raoul Pupo, Fulvio Salimbeni, Roberto Spazzali ed altri). Come si legge, alcuni dei professori che secondo lui metterebbero in discussione i contenuti della mostra, sono proprio coloro che hanno collaborato alla mostra (Pupo e Spazzali).

Incommentabile.

Un cordiale saluto,
Alessandra Kersevan


martedì 02 febbraio 2010 

Il Presidente nazionale dell'ANVGD Lucio Toth ha inviato un messaggio a Sergio Chiamparino, Sindaco di Torino e presidente dell'ANCI (Associazione nazionale Comuni Italiani), per sollecitarlo ad un particolare interesse delle istituzioni locali

(Message over 64 KB, truncated)



Da: minja

Oggetto: Prof.Dr.Rajko Dolecek, DrSc.  

Data: 08 febbraio 2010 3:46:40 GMT+01:00


Prof. Dr.Rajko Doleček,DrSc.                                                   Ostrava, 16.12.09.

TALKS WITH GENERAL MLADIĆ

Dear Reader,                                      

            My wife Dobra and I had the privilege to meet general Ratko Mladić repeatedly and to discuss with him many problems of Yugoslavia, especially of Bosnia and Herzegovina (BaH) and the dirty anti-Serb involvement of the official West and its media during the dismemberment of Yugoslavia in the civil-ethnic-religious war that they had fomented . The West  increased the inter-ethnic and inter-religious hatred in the former Yugoslavia. After each encounter with Mladić, I made short notes of the topics discussed. At that time I was the president of the Czech Foundation of friends of Serbs and Montenegrins. In 1996 we met  Dr.Radovan Karadžić, the president of Republika Srpska in BaH, a well-known poet and psychiatrist. He gave us two books of his poetry. When speaking about today´s shameful approach of the West to its trusted friends and allies, the Serbs, Dr.Karadžić said:

            -„It is unbelievable how the western media described us  in their absolutely one-sided, tendentious reports: out of ignorance and for money.“

            „Talks with General Mladić“ is not a General´s Biography. It covers the topics discussed with him, with some explanatory and complementary notes added.

 I was upset because the official West had made his friends and protégés out of those who had fought to the bitter end on the side of the nazis and fascists (1941-45): the Croats from the ustasha fascist Independent state of Croatia (NDH), a part of the Muslims from BaH, and theKosovo Albanians. On the other side, the official West and its powerful propaganda machine, a big part of its media, made villains out of its staunch allies, the Serbs, who had fought gallantly on their side during two big wars (1914-18 and 1941-45) with a loss of almost a third of Serbia´s population. The US journalist Peter Brock called it in his book (2006) „the dirty reporting“.The main culprit for that switch was Kohl´s Germany, whose foreign minister Hans-Dietrich Genscherwith the help of Vatican, compelled the venal European Community (later the European Union, EUto recognize at Maastricht (Dec.17, 1991) Croatia and Slovenia as sovereign and independent states, thus paving the way for recognition of Bosnia and Herzegovina and for bloody inter-ethnic and inter-religious wars. The final act of Helsinki (1975) about the non-interference in internal affairs of sovereign states was ruthlessly violated by the West. According to the French general P.M.GalloisGermany took revenge on Serbia because it fought in two wars when Germany was defeated. In 1941 the Serbs compelled Hitler to postpone his attack on USSR for 5-6 weeks and it was one of the reasons why the Germans lost the war. The US foreign secretary W.Christopher accused (1993) Germany of responsibility for the war in the Balkans.

After the collapse of the bipolar world, when the USSR lost its supremacy in the eastern  bloc, a majority of its people thought that they entered a free world, but it was  just an illusion where the media played a big part in manipulations and disinformations of the public. The governments of the so called „free world“ and its media showed a moral decadence in spreading their selfish interests and fabrications, shouting down critics.

            I was very eager to hear the opinions of general Mladić whom the western officials and a part o media started unjustly to brand him as a war criminal, without enabling him to defend himself and shouting down  any positive informations from the Serb side. It is necessary to explain why the phenomenon Mladić appeared, under which circumstances this talented, honest and brave officer became, not by his will, one of the leaders and protectors of his people in mortal danger. He became an epic hero for ordinary people, for his troops, when they had been abandonned by all. To understand this phenomenon, one must know at least some features of the Serbian history of the last 100 years, including the genocide of Serbs (700-800 000 assassinated) in the fascist ustasha state of Croatia (1941-1945) and the cruel German regime in the occupied Serbia at that time. General Radovan Radinović, a teaching professor in the Military  Academy told about his „student„ Mladić:

            -„In my opinion and experience, he is the most talented officer  we had since 1918...His greatest handicap was the fact, that he was the best warrior who was not allowed to win the war...“

            During our first meeting, general Ratko Mladić told us with a sad smile:

            -„I am the third generation of Serbs who did not know their fathers, because they had been killed in wars when their sons were too young.“ General´s father Nedja, a peasant from Bosnian mountains, was killed in 1945 in the fight with the ustashas, when Ratko was only two years old.

            Colonel Mladić was sent in june 1991 to the Serb Krajina in Croatia, to help reorganize the 9th corps of  the Yugoslav army (JNA) weakened by desertions of Albanians, Croats, Muslims from BaH and Slovenes, while the Macedonians, Montenegrins and Serbs stayed. He renewed the discipline and stopped the advance of the Croatian paramilitary groups which  had started to expel and even to assassinate the Serbs in Krajina, as they had done during 1941-45. But he was not able to stop the inter-ethnik clashes. Later, he was unanimously chosen (already as a general) on May 12, 1992, to be the commander in chief of the newly created Bosnian Serb Army (VRS).

            When speaking about the ICTY Tribunal in The Hague, Mladić said with defiance:

            -„I´ll come personally to The Hague, as soon as the American generals from Vietnam and the Britisch from the Falkland Islands will be there...“

            He told it when we spoke about the illegally created Tribunal by the Security Council of UNO (1993), because it had no mandate for such an action. It was the German foreign minister Klaus Kinkel who had suggested its formation and it was Madeleine Albright who had strongly supported its creation. From its very beginning, it became a one-sided court, a sort of a „kangaroo court“ with double standards, „a prolonged arm of the USA interests“, very unfavorable to Serbs. Diana Johnstonedescribed it in one of her papers „Selective justice in The Hague – The war crimes Tribunal on former Yugoslavia is a mockery of evidenciary rule“ (The Nation, Sept.22, 1997). There are many examples corroborating it. Nasir Orić, the Muslim commander of Srebrenica, whose men looted and destroyed up to 100 Serb villages in eastern Bosnia, killing and injuring thousands of Serbian villagers, was given a prison sentence of only TWO years. General Rasim Delić of the Bosnian Muslim army got only THREE years, while the mujaheddins under his command decapitated many Serb (and initially even Croat) prisoners. Three Kosovo Albanians, well known killers of Serbs, Romanies and pro-Yugoslav Albanians, Ramush Haradinaj (for some time the Prime Minister of Kosovo) and his brother DautFatmir Limaj (a member of Kosovo Parliament) were not even sentenced. The witnesses of their crimes were either assassinated, or just disappered, or refused to witness. Carla del Ponte, the ICTY prosecutor general, wrote about it in chapter 11 of her book (2008). Most generals of the VRS were sentenced to 20-30 years imprisonment. The well known British journalist J.Laughland called the ICTY „Rogue Court with Rigged Rules“ (The Times, June 17,1999). The high UNO representative CThornberry described openly the immoral one-sidedness of ICTY in his article „Saving the War Crimes Tribunal“ (Foreign Policy, Fall, 1996). Mladić was happy when I showed him those papers. –„Thank God, after all there are some honest journalists and media in the West!“

            General Mladić was absolutely devoted to his Serbian nation and to his troops, his popularity was tremendous. My wife and I spent a very friendly afternoon chatting at the HQ of VRS at Han Pijesak in eastern Bosnia with his top commanding officers, drinking coffee and sipping„frontovača“, a 50% plum brandy, with them.

             We had a talk with the blue-eyed general about „the meaning of the Serb history

-„As a whole, but there were some exceptions, the Serbs are honest, fair and gallant, knightly, you could say. Without those features they would not fight for 500 years against the Turkish invaders with unbelievable sufferings, when it was so easy to convert to Islam and to become „a sultan´s son“, with all accompanying privileges...“

The first two big victories in the war against Germany and Austria-Hungary (1914-1918) were won by the Kingdom of Serbia in 1914, the battle of Cer (august) and the Kolubara-Suvobor battle (november-december). The latter was won by general Živojin Mišić, who was promoted to vojvoda (field marchall) after the battle.

-„Those victories have been studied even in western Military academies, as examples of a brilliant military strategy. My cap has the same form as the cap of vojvoda Mišić,“ said Mladić proudly. In a few minutes he explained how the battles were going on. Mladić hated the war, with its killings and destructions, with its disregard for human life and with its consequent revenge and hatred. When we spoke about the famous Chinese Master SUN and his book „About the Art of Warfare“ (from the 4-5.centuries B.C.) I found in its first chapter a perfect description of the brilliant military leader Mladić:

-„The profession of a military leader means prudence, reliability, humanity, courage and hard resolutness.“

General Mladić could not understand the hypocrisy of the West, its unhumane approaches in many events, its tendency to disinform or to overtly lie.

-„In summer 1992 the western part of Republika Srpska (RS) was cut from its eastern part, from the Federal Republic of Yugoslavia, FRY (Serbia+Montenegro). In the Banja Luka hospital suddenly no oxygen in cylinders was available. The local authorities asked the West to allow the oxygen cylinders from FRY or from the West to be sent to Banja Luka. It was not allowed and 12 newborn babies suffocated...The supplies arrived when my heroic Krajina and Drina corps after severe fighting opened a corridor at Brčko, in northern Bosnia.... A group of four British parlamentarians visited (1993) RS and found an appalling health service situation. Two boys, Siniša (9 yrs) and Dejan (10 yrs), had been severely wounded by a Muslim shell at the Serb held town of Doboj. The local doctors were not able to help them. They asked the West to transport them to a western well equipped hospital in Germany, France or Italy, as it was done when Croat or Muslim children were critically injured. This urgent appeal was rejected and both boys died soon...“ The report of the four MPs was written in September 1993.

But one of the western crimes against humanity upset general a lotIt was the suspension of FRY from the World Health Organisation on May 3, 1993. It was initiated by Danmark and WHO thus became an instrument of punishment and not of help. As aconsequencethousands of babies, children, elderly people and chronically ill died in FRY, in Republika Srpska, in Republika Srpska Krajina. Infectious diseases spread.

As provocations, the Muslim government in Sarajevo organized three big explosions in Sarajevo (the bread queue massacre on May 27, 1992; the Markale I massacre on February 5, 1994; the Markale II massacre on August 28, 1995), with heavy loss of life, and accused the Serbs as perpetrators. The official West, its media (but not all of them) accepted „joyfully“ that fabrication and severe sanctions were imposed thereafter on FRY and RS by the UNO. But the honest western journalists exposed that ployL.Doyle “Muslims slaughter heir own people – Bosnia bread queue massacre was propaganda ploy, UN told“(The Independent, Aug.22, 1992); B.Volker, a French TV TF1 journalist: „The mortar bomb which killed 68 people in a Sarajevo marketplace and evoked a NATO ultimatum against the Bosnian Serbs was fired from Muslim positions, according to a UN report“ (Feb.5, 1994); HughMcManners: “Serbs ´not guilty of massacre´- Experts warned US that mortar was Bosnian“ (The Sunday Times, Oct.1, 1995). At that time, the US lt.colonel John Sray (military inteligence) published his report „Selling the Bosnian Myth to America: Buyer Beware!“(Foreign Military Studies Office, Oct.1995), exposing many western lies and fabrications. Mladić was enthusiastic to hear it. He knew from the Serb intelligence, that explosions were organized by the Muslim authorities, the latest („Markale II“) with the knowledge and approval by the official West because NATO needed a pretext to start the air raids on RS and to become practically an official ally of Croats and Muslims.

              In spring and summer 1995 a powerful Croatian army was concentrated near the borders of RS. In may and in august 1995, the Croatian Army (about 140 000 troops), well equipped by Germany, Argentina and others, attacked the Republika Srpska Krajina (about 20-30 000 troops).The planners of that aggression were the US retired mercenary generals C.E.Saint, H.Soyster and C.E.Vuono (the Professional Military Resources,Inc). The Croatian attack was supported by the Bosnian Muslim army and by NATO planes (intelligence, supplies). About 250 000 Serbs were robbed and expelled from their ancient homes, over 1 000 of them were assassinated. Serb Krajina in Croatia was devastated, its towns heavily bombarded by artillery and planes. Krajina became ethically „clear“ of Serbs. The Croatian attack happened during Croat-Serb negotiations, under UNO protection. There were no resolutions of UNO, no sanctions, there was only some sporadic official criticism. The Czech president Havel, obedient to his western mentors, did not use his phrases about truth and love against lies and hatred in the case of Serbs from Krajina.

            -„We have been in an awkward situation. A huge Croatian army and tens of thousands of Muslim troops, with NATO support, were there. The 28th Muslim division at Srebrenica (it was not demilitarized !) was a knife in our back. We had to take Srebrenica...The West used Srebrenica to divert world´s attention from the horrible crimes of Croats against the 250 000 expelled and looted Serbs in Krajina. It was Mrs Albright´s cover-up that created the fantastic fabrication,  the alleged Srebrenica massacre...During the 3 years of fighting around Srebrenica we lost about 1 200 men, while the Muslims about 2 000...Our VRS had strict orders to behave according to the international laws. There were absolutely no mass murders or mass executions. But I cannot exclude personal revenges of some of our troops from this area when they recognized among the Muslim troops the killers of their families, who had devastated their villages...

            We used our buses to transport about 30 000 civilians who wanted to leave, and Muslim soldiers who surrendered, to the position of the Muslim army near Kladanj or Tuzla. Was this a genocide? Maybe 10 000 of Muslim troops fought on trying to break through to Tuzla. Oddly enough, their commanders withdrew well in advance. Was it planned? Muslims suffered heavy losses in fighting, but thousands of them reached Tuzla. The West and the Sarajevo authorities made out of this losses during fighting  a genocide.

            The Dutch troops (the Dutchbat of appr.450 men) stationed at Srebrenica, including their commander Lt.Colonel T.Karremans and the Dutch Chief of Staff general Hans Cousy negated the official western version about genocide of Muslims in Srebrenica (H.Hetzel, Die Welt, July 12, 1996). While the Dutch defence minister J.Voorhoeve talked about more thousands of Muslim victims, the Dutch troops talked about more hundreds, up to one thousand, of Muslim troops killed in fighting. A group of the western experts (Y. Bodansky, G.Copley, P.Corwin, Sept.18, 2003) declared that  the independent forensic analyses found the 7 000 or even 8 000 alleged Muslim dead a very inflated figurethe real losses were in the range of hundreds. About 3 000 of those allegedly „killed“ Muslims took even part in BaH elections in 1996 !!!Their names were on the voting lists.

            When the Serb ex-president S.Milošević was tried (2004) in The Hague for the alleged war crimes, the French general P.Morillon (ex-commander of UNPROFOR) said that the Serbs wanted a revenge in Srebrenica for those Serbs murdered by the Muslims earlier. His statement made the Muslim regime furious. Before the war (1941-45), about 50% of inhabitants of Srebrenica were Serbs, in 1991 only about 29% of them, because thousands of them had been expelled or murdered by the Croatian ustashas and the local Muslims during the war. When the VRS entered Srebrenica in 1995, no Serbs lived there any more.

            One day general Mladić told us with some sadness in his voice:

            -„I know, that both the Muslims from BaH and the Croats hate me, especially their mothers because they see behind my name their dead sons, soldiers and, unluckily, civilians as well. And their destroyed houses, lost property. But they must realize, that THEY wanted and started to dismember this country in defiance to constitution, that they started all those destructions and killings. What could I do? Had I to allow them to kill the Serbs, as they did in the ustasha state of Croatia in 1941-45? We, the Serbs, as well as many Muslims and Croats with a pro-Yugoslav ideology did not want a war, did not start it. We did not want to secede from Yugoslavia. It was terrible that many of our pro-Yugoslav bothers, Croats and Muslims, found themselves unintentionally behind hostile barricades, driven there by  their leaders and fanatic fellow believers. Many Muslims knew that they had been originally the Serbs, before they converted to Islam.There were many Muslim prominent men, poets, writers who declared that they were the Serbs of Muslim faith.

            „Do you imagine what an orgy of  brutal murder brought to Bosnia the mujaheddins from Irak, Chechnya, Sudan, Saudi Arabia, Tunisia, etc.? They taught our Muslims how to kill in a more brutal way. They even decapitated  their prisoners, the Serbs and even the Croats when they  waged a very bloody and cruel  Croat-Muslim war (mainly in 1993).

            Generally speaking, general Mladić felt that he was a Yugoslav, he declared it during a population census in 1991. He was very angry with the Slovenes, about their dirty role in the dismemberment of Yugoslavia and their very anti-Serb attitudes.

            -„The Slovenes have forgotten how they and Croats implored the Serb royal authorities in Belgrade at the end of 1918, to be accepted by the victorious Serbia to become a part of the Kingdom of Serbs, Croats and Slovenes (SHS) and how the SHS saved the Slovenes from a final germanization and italianization. As a member of a victorious country, neither the Slovenes nor the Croats were obliged to pay reparations, otherwise they would be obliged to, because they were a part of Austria-Hungary during the war...Finally the Serb army expelled the Italians who started to occupy Slovenia, Dalmatia and parts of Croatia.Both in the Kingdom of Yugoslavia and in Tito´s Yugoslavia, the Slovenes had the highest living standard in our  country“, said Mladić angrily.

            But even Warren Zimmermann, the last US ambassador in Belgrade, who behaved in an anti-Serb, pro-Slovene way, made a few caustic remarks about the Slovenes in his article  „Origins of a Catastrophe“ (Foreign Affairs, March/April, 1995): -„Their virtue was democracy and their vice was selfishness. In their drive to separate from Yugoslavia, they simply ignored the 22 million of Yugoslavs who were not Slovenes...Contrary to the general view, it was the Slovenes who started the war...“

            One event, among others, made general Mladić sad. His memory about it recurred again and again.

            -„I am sorry about the fact that nobody in the West mentioned how the Serbs from VRS saved 40-50 000 fleeing Croats pursued (in 1993) by the“bloodthirsty“ mujaheddins. We defended them, fed them, treated them in our hospitals, we shared our food with them as their brothers, although we ourselves suffered a lot od deprivations. Their troops, including officers, solemnly promised to me, even swore,  not to use arms against their Serb brothers any more. But they did not keep their word. It made me really sad. Otherwise, my personal bodyguard was a young Croat, a sergeant of our VRS, whom I trusted completely. He was a good Yugoslav. Well, I must tell you, that we saved occasionally the Muslims as well. Usually it was from their fanatic fellow Muslims...“

            There was another aspect of the mujaheddin activities that must be mentioned. They did not want only to defend their brothers in faith from the infidels, „giaours“, but they wanted  to keep the local Muslims „on the right side of the traditional Islam“, to compel them, even by force, to conform to the ancient islamic laws and traditions. Mladić told us how some of his „normal“ muslim acquaintances were shocked to hear about all those limitations the mujaheddins wanted to impose on the muslim women. They would not be allowed to meet alone any men not related to them, they would not be allowed to show their face and hair when out of doors. –„It seemed as an anti-propaganda for Islam,“ said Mladić

            To stop the hostilities in BaH, a summit was held in Athens (May 1-2, 1993), chaired by the Greek Prime Minister K.Mitsotakis. The Presidents of Serbia S.Milošević,  of FRY D.Ćosić and of RS Dr.R.Karadžić were present. They supported the Vance-Owen plan, even Dr.Karadžić accepted it with some reluctance, only when a corridor was promised connecting the Serb cantons through the northern Bosnia. The plan divided BaH into 9 cantons (for each nation three), the tenth would be Sarajevo under a joint administration. The Parliament of RS had to ratify it on May 15th at Pale. And it was there that general Mladić addressed the guests and the RS ParliamentHis speech was fascinating, it would deserve to be in textbooks of history.

            -„This war was forced upon the Serbs, it is a civil, ethnic and religious war, we were  expelled to a place of windstorms and we were branded as „criminals“ to the world... And the same world  and the same international community did not condemn the inhuman and cruel acts by the Slovene and Croatian secessionists...We, the military, have serious worries that the international community made out of Srebrenica an international stage spectacle...All the humanitarian agencies appeal to supply Srebrenica with water without admitting that we were informing the world a whole year through that the Serbs were without water, without electricity, without the posibility to produce food...Our people breathes through a straw, we are under blockade, we cannot import drugs or oil for our agriculture.

            Gentleman, on the heroic Ozren (mountain range between Tuzla and Doboj) live more than 100 000 Serb refugees from Tuzla, from the central Bosnia, Zenica, Vareš... There was no war between the Muslims and Croats as long as they did not sign the Vance-Owen plan. Do you know that our holy place, the abyss GOLUBINKA, is in Croat hands? In 1941 the ustashas threw into it, dead or half dead, 2 000 Serbs from surrounding Serbian villages and Mostar. Their bones were lifted on Aug.4, 1991, on the anniversary of the 1941 massacre. The orthodox graveyard, church and the war memorial here were destroyed by the Croatian troops and paramilitaries in 1992, when the JNA had withdrawn...Our RS, if devided according to the V-O plan, would become undefensible...“

            After hearing general´s speech, the RS Parliament rejected almost unanimously the Vance-Owen planIt was rejected overwhelmingly as well in a later referendum. This caused a hostile reaction by president Milošević (the support of FRY to RS almost stopped), by the western politicians and media. Karadžić-Mladić relations deteriorated for some time. But later, when the US ex-president Jimmy Carter visited at the end of december 1994 Pale in RS, they were already much improved.

            -„We have not been aggressors. It was our own country, where we have lived for many centuries together with Croats and Muslims. I am not a war criminal. The Serbian people suffered a lot, unluckily nowadays from its former friends and allies (Britain, France, USA), on whose side we fought in two big wars. Almost nobody did understand the suffering of our people, its just struggle  here in Bosnia. Only the US ex-president Jimmy Carter said, during his visit to Pale, when he was sitting between Karadžić and me, that the US public is quite insufficiently acquainted with our Serb problems in BaH. But, I am proud, that the army under my command prevented the repetition of the Serb genocide in the fascist ustasha state of Croatia during 1941-1945...“

            There was one thing that neither general nor I could understand: the colossal and arrogant fabrications of the West and of their Yugoslav „clients“ (Croats, Muslims from BaH, Slovenes) regarding the alleged systemic raping of Muslim women by the Serb military, as a part of their war strategy. It was actually started by the Bosnian (Muslim) foreign minister Haris Silajdžić in autumn 1992 in Geneva, when he announced in cold blood that the Serbs have raped 30 000 Muslim women. Since that time the figure has been rising steadily. A Czech journalist Jitka Obzinova was probably a „record holder“ with her 100 000 raped  women (Czech TV2, December 5, 1992, 22,00 „Don´t Divide Bosnia“). Another prominent record holder was a US professor of law Catharine MacKinnon with her over 50 000 raped. A crazy (one mut say so) American Judy Darnell in 1993 stated that the Serbs in BaH ran 47 „rape camps“. Even the CIA and the International Red Cross looked for them and did not find them.  The Europe, including the Czech republic, was prepared to accept the „epidemic“ of thousands of poor children (they are called sometimes devil´s children) born by those raped women. But no children appeared. Prominent newpapers, periodicals (e.g.,Newsweek) published that arrogant propaganda stupidity that caused a lot of problems to the Serbs. Even the European union swallowed the bait. The numbers were poorly documented and absolutely unproven.It was finally found, by a OUN commission, that the numbers of officially accepted rapes of those ill-fated women of all three warring nations were very very much less. The Dutch professor of state law Fric Kalshoven said:

            -„People tell horrible stories because someone has told them to tell it for propaganda objectives – or because everyone is telling horrible stories...“ Professor Kalshoven wanted proof, not propaganda...

            When we talked with general Mladić about the „rape propaganda“, he  laughed at the stupidity of those who believed it, but he admitted that the „rape campaign of the West“ caused a lot of  harm to the Serbs, that it was actually just a goofy, but unluckily a successful, but very dirty ploy organized by the West and its clients from BaH and Croatia.

            -„Good heavens! If it were true, my 80 000 boys would not fight, but just chase the Muslim or Croat women. What a nonsence ! But, to be true, rapes were reported  as mostly coward and  hidious atrocities, that must be exemplary punished. But punished must be all those as well who fabricated and abused it for propaganda purposes, stimulating hatred...“

            General Mladić liked the US four-star general Charles Boyd, after I read him his paper „ To make peace with the guilty“ (Foreign Affairs, september/october 1995). We just discussed the bizarre disinformations spread by the West and its clients about the casualties, about the numbers of those killed during the war in Bosnia. General laughed when I told him, that the record holder in this respect was again our journalist Jitka Obzinova. She informed, as a reporter from BaH (Czech Radio, July 11, 1993) that the number of those killed in BaH (casualties ?) was just 500 000! But the official figure as quoted by the US and western politicians and the Sarajevo government, was 250 000, even 300 000. Nobody from the West did question the Sarajevo or Zagreb authorities, where did they got those figures from. General Boyd, the deputy commander of the US forces in Europe, put the death toll between 60-100 000. He informed that the Sarajevo authorities „decreased“ in spring 1995 the death toll to „only“ 145 000, whileGeorge Kenney, an ex-member of the State Department put the losses in BaH (1992-95) at 25-60 000 („The Bosnian Calculation“, The NYT Magazíne, Apr.23,1995). The CIA analyses were about tens of thousands. The big disinformer Bill Clinton told Americans on Nov.27, 1995. about the 250 000 killed, while the US defence secretary W.Perrytold the US Senate (July 7, 1995) that there were 130 000 dead in BaH in 1992, 12 000 in 1993, and 2 500 in 1994 (130 000 + 12 000 + 2 500 = 144 500). Who did actually lead by the nose the Americans and the world? Finally a later study from Norway put the number of dead in BaH at 80 000, the study of ICTY at 102 000. But I was not able any more to discuss it with Mladić, because he had to disappear, to hide. Two booklets were published (2005) in Belgrade: „The Book of the Dead Serbs from Sarajevo“ with 5 515 names, and „The Book of the Dead Serbs from Srebrenica-Bratunac“ with 3 262 names. It included 344 names from Hadžići, 110 from Olovo and 89 from Kladanj.

            Mladić was satisfied that his American „colleague“, the four-star general C.Boyd was a fair man, who did not hesitate to tell the truth and that he had made some caustic words about the western media anti-Serb reporting and about their window-dressing.

            Some Serb paramilitary groups caused many sleepless nights to both Mladić and Karadžić. Not all of them were helpful and welcome. Some of them included even criminal elements, psychopaths. The others treated the Croat or Muslim civilians too heavy-handedly, but it could be understood to some extent, but not permitted, even if  some of them had seen their families assassinated by the Muslims or the Croats. President Karadžić issued many orders to protect Muslims from those irregulars. I have seen many relevatnt documents about it. On the other side, some Serb paramilitaries helped a lot the unprepared and undefended Serb settlements that had been at the berginning an easy prey to the organized and trained Croat and Muslim bands, e.g.,in the northrern and eastern Bosnia.

            During our last meeting Ratko was very mad at the European union, when we talked about the criminal NATO aggression on FRY in spring 1999, with all those daily bombing raids lasting for 78 days:

            -„I cannot understand the hypocrisy of those EU countries. Their words about humanism are just a fake because they used their bombers without any UNO mandate and under fabricated pretext killed and destroyed in Serbia and collaborated with the UÇK criminals in Kosovo and Metohija. How is it possible that the Germans were killing in Serbia again? Why were the American, Belgian, Dutch, etc. goody-goodies killing our children? How is it possible that the EU democratic and liberal parliament did not stop it?

            The Czech ex-president Václav Havel had shown his face not only in BaH, but later in Kosovo and Metohija as well, promoting the independente of it. In January 2010 he was awarded the Golden Medal of Ibrahim Rugova by the president of the quasi-state of Kosovo. He was rewarded for the support of the Kosovo Albanians and obviously for his term „the humanitarian bombing“ in 1999, and for the treason of the Serbian people, if you like.

             When writing the above I was very sorry that I was not able to talk to Ratko later, to tell him e.g., about those Germans who „waged a war“ against the lies and fabrications of their own government and against NATO because of their involvement in the dirty, criminal military action against the FRY. I am sure that Mladić would hear with enthusiasm what the German publicist Jürgen Elsässer wrote in his two books about the incredible lies of his government: War Crimes – The Mortal Lies of the Federal Government and Their Victims in the Kosovo Conflict (2000); The War Lies – From Kosovo Conflict to Milošević Trial (2004). He knew how the German writer Handke liked and defended  Serbs in his novels.

            Very interesting was general´s attitude to various UNPROFOR commanding generals.

Some of them general even befriended, liked them (the Indian Satish Nambiar, the Swedish Lars-Eric Wahlgren, the Belgian Francis Briquemont, to some extent the Canadian Lewis MacKenzie). The French general Philippe Morillon was not close to Mladić, even though he showed repeatedly courageous firmness. As for the elite British 



Spezzeremo le reni all'Iran?

Due recenti interventi di Domenico Losurdo e Gianni Vattimo, sulla campagna in corso per assassinare Ahmadinejad ed effettuare "un’azione nucleare preventiva" contro l'Iran.


1) UNA MICIDIALE "GUIDA MORALE"

di Domenico Losurdo 

(da Cronache dell’Impero - http://domenicolosurdo.blogspot.com/ )

Nei giorni e nelle settimane precedenti le elezioni del 2000, l’«International Herald Tribune» riferiva compiaciuto delle difficoltà incontrate da Milosevic nello svolgimento della campagna elettorale: «Timoroso di essere assassinato, il cinquantottenne presidente appare raramente in pubblico e solo per pronunciare dinanzi ai suoi seguaci brevi discorsi sui mali del fascismo». Circa una settimana dopo, sullo stesso quotidiano un altro giornalista statunitense scriveva: non ci sarà pace nei Balcani «sino a quando Milosevic non viene tratto in inganno e colpito o trascinato via dal potere in una bara». E ora spostiamoci in Medio Oriente.
Sempre nel 2000 e sempre l’autorevole e distaccato «International Herald Tribune» annunciava giubilante: la Cia ha stanziato somme enormi «per trovare un generale o un colonnello che conficchi una pallottola nel cervello di Saddam» (cfr. D. Losurdo, Il linguaggio dell’Impero, pp. 4-5). 
Com’è noto, per conseguire l’obiettivo dell’eliminazione fisica di due capi di Stato non graditi o non più graditi, contro la Jugoslavia furono necessari una guerra e un colpo di Stato, contro l’Irak un embargo devastante e prolungato e poi una guerra. 
Veniamo all’oggi. Il «Corriere della Sera» del 10 febbraio riporta le dichiarazioni di Elie Wiesel: «Se il presidente iraniano Ahmadinejad fosse assassinato, non verserei una sola lacrima». Perché non ci fossero dubbi sul significato reale delle sue dichiarazioni, Wiesel si è preoccupato di rilasciarle alla «Radio militare israeliana». 
Ma è interessante leggere il commento della gionalista del «Corriere della Sera» (Alessandra Farkas), che riporta le dichiarazioni di Wiesel: «Mentre Teheran alza i toni dello scontro, minacciando direttamente i leader occidentali, lo scrittore e attivista sopravissuto alla Shoah non esita a proporsi come guida morale...»! 


2) IRAN, UN APPELLO CHE ALIMENTA IL FUOCO DI GUERRA

di Domenico Losurdo e Gianni Vattimo, «il manifesto» del 9 febbraio, p. 10

«Il manifesto» di sabato 6 febbraio ha pubblicato un Appello «Per la libertà di espressione e la fine della violenza in Iran». A firmarlo, assieme a intellettuali inclini a legittimare o a giustificare tutte le guerre e gli atti di guerra (blocchi e embarghi) scatenate e messi in atto dagli Usa e da Israele, ce ne sono altri che in più occasioni, invece, hanno partecipato attivamente alla lotta per la pace e per la fine dell’interminabile martirio imposto al popolo palestinese. Purtroppo a dare il tono all’Appello sono i primi:

1) Sin dall’inizio si parla di «risultati falsificati dell’elezione presidenziale del 12 giugno 2009» e di «frode elettorale». A mettere in dubbio o a ridicolizzare questa accusa è stato fra gli altri il presidente brasiliano Lula. Perché mai dovremmo prestar fede a coloro che regolarmente, alla vigilia di ogni aggressione militare, fanno ricorso a falsificazioni e manipolazioni di ogni genere? Chi non ricorda le «prove» esibite da Colin Powell e Tony Blair sulle armi di distruzione di massa (chimiche e nucleari) possedute da Saddam Hussein?

2) L’Appello prosegue contrapponendo la violenza del regime iraniano alla «non-violenza» degli oppositori. In realtà vittime si annoverano anche tra le forze di polizia. Ma è soprattutto grave un’altra rimozione: da molti anni l’Iran è il bersaglio di attentati terroristici compiuti sia da certi movimenti di opposizione sia dai servizi segreti statunitensi e israeliani. Per quanto riguarda questi ultimi attentati, ecco cosa scriveva G. Olimpio sul «Corriere della Sera» già nel 2002 (7 giugno): «in perfetta identità di vedute con Washington», i servizi segreti israeliani hanno il compito di «eliminare», assieme ai «capi dei gruppi palestinesi ovunque si trovino», anche gli «scienziati iraniani impegnati nel progetto per la Bomba» e persino coloro che in altri Paesi sono «sospettati di collaborare con l’Iran».

3) L’Appello si sofferma con forza sulla brutalità della repressione in atto in Iran, ma non dice nulla sul fatto che questo paese è sotto la minaccia non solo di aggressione militare, ma di un’aggressione militare che è pronta ad assumere le forme più barbare: sul «Corriere della Sera» del 20 luglio 2008 un illustre storico israeliano (B. Morris) evocava tranquillamente la prospettiva di «un’azione nucleare preventiva da parte di Israele» contro l’Iran. In quale mondo vivono i firmatari dell’Appello: possibile che non abbiano letto negli stessi classici della tradizione liberale (Madison, Hamilton ecc.) che la guerra e la minaccia di guerra costituiscono il più grave ostacolo alla libertà?

Mentre non è stupefacente che a firmare (o a promuovere) l’Appello siano gli ideologi delle guerre scatenate da Washington e Tel Aviv, farebbero bene a riflettere i firmatari di diverso orientamento: l’etica della responsabilità impone a tutti di non contribuire ad alimentare il fuoco di una guerra che minaccia il popolo iraniano nel suo complesso e che, nelle intenzioni di certi suoi promotori, non deve esitare all’occorrenza a far ricorso all’arma nucleare.




Il nostro compagno Kapuralin di Pola, ha scritto questa forte (e giusta) critica contro il presidente croato uscente, Stipe Mesic. Di Mesic ci siamo occupati in varie occasioni, tra cui alla trasmissione radio "Voce jugoslava". Chi fosse interessato ai commenti dei lettori dell'articolo vada su:
Ivan



NAKON JUČERAŠNJEG MESIĆEVOG ZADNJEG SLUŽBENOG POSJETA ISTRI

Piše: Vladimir Kapuralin

Kontroverzni Stipe Mesić ostvario je svoje zakonsko pravo na penziju, a koliko će on zaista biti umirovljen, ostaje da se vidi. Odlazak iz aktivne službe, po svom stilu odiše istom onom teatralanošću, kao što je bio i čitav njegov politički život, u maniru, «prirodno mudrog», neotesanog «seoskog lole». Kontroverzno  je započeo svoju političku karijeru, rušeći državu na čijem je čelu bio. To je potvrdio, podnoseći raport svome poslodavcu Tuđmanu, nakon obavljenog prljavog posla, «ja sam zadatak izvršio Jugoslavije više nema». Da nebi bilo nikakve sumnje u «kvalitetu» obavljenog posla, prihvatio se pera i napisao knjigu «Kako smo rušiliJugoslaviju». Pod pritiskom nalogodavaca iz vlastitih redova, koji su za razliku od našeg «mudrijaškog seoskog lole» shvatili kako bi se pretjerana iskrenost mogla pokazat kontraproduktivnom, za buduće licemjerne političke poteze, a jednom napisana knjiga, nije se mogla izbrisat, nije mu preostalo drugo nego da pokuša popraviti nepopravljivo i promijeni naslov u «Kako sam rušio Jugoslaviju». Pažnje vrijedan je i «biser» koji je izvalio 90-e na predizbornom nastupom pred ustaškom emigracijom u Australiji, o «dvije hrvatske pobjede». One 10. aprila uspostavom NDH i onom iz 1945. godine. Dok su kako je tada rekao «svi drugi imali samo jednu pobjedu» Po principu «bi kake, nebi kake», nezadovoljan 1994. godine napušta HDZ i osniva HND. Nakon propasti tog projekta, nastavlja lavinjat i odlazi u HNS. Pobjedom na predsjedničkim izborima 2000. godine, započinje drugo poluvrijeme njegove političke karijere, kada na krilima antifašističke retorike, biva prihvaćen, pa i idoliziran, od strane velikog broja antifašista, ali i od dijela salonske ili reformističke ljevice. To je također razdoblje, političkog paradoksa, kada ga prihvaćaju i obožavaju oni čije je rezultate, vrijednosni model i državu rušio, a osporavaju i proskibiraju oni iz čijeg je miljea proizišao, ne prežući niti da ga proglase izdajnikom.

Vješto se probijajući političkim labirintom, teško je determinirat njegovu političku konstantu. Usprkos toga što mu je gotovo cijela šira familija učestvovala u NOB-u, rušenju Jugoslavije i secesiji Hrvatske pristupio je očito iskreno. Neupitna je i njegova odanost EU i NATO-u institucijama koje štite spoj načela kapitalizma i prodora vojne i ekonomske domimacioje, razvijenog centra na zemlje tzv. nerazvijene periferije. U šahovskim rječnikom rečeno tri poteza uspio je narušiti krhke političke odnose između Hrvatske i Srbije, koji su ipak zadnjih godina išli uzlaznom linijom. Nepotrebno, je iako možda dirigirano krenuo opstruirat nastojanje Srbije da ospori zakonsku osnovu secesije i stvaranje američkog protektorata na Kosovu, pred međunarodnim sudom. U vrijeme vjerskog praznika Božića po Julianskom kalendaru, otišao je primit neko odlikovanje na Kosovo, kojime je vjerovatno nagrađen za zalaganje oko priznavanja proktektorata Kosovo, čime je kako prenose neki izvori honorirao podršku pripadnika albanske narodnosti na predsjedničkim izborima 2000. i 2005. godine. Točku na i postavio je nedavno na jednom od oproštajnih prijema, kad je izjavio, da bi u slučaju održavanja referenduma u Republici Srpskoj, ujahao u Bosnu sa vojskom. Obrazlažući to naknadno brigom za cjelovitost Bosne i Hercegovine. Imajući u vidu njegovu ulogu u razbijanju Jugoslavije 1990. godine i komadanje Srbije 2008. godine, onda njegova briga za cjelovitost Bosne, upućuje na izostanak jedinstvenih kriterija i vrlo selektivan pristup, pojedinim državnim integritetima. Sobzirom da je nažalost Hrvatska mimo odluke svojih građana postala članicom NATO, ona više nije samostalna u vojnom djelovanju izvan svojih granica. Pa bi oni koji Mesićevu izjavu doživljavaju ozbiljnim, to mogli protumačiti kao uvlačenje NATO-a u rat u Bosni, za što im on nije potreban. A oni drugi koji je ne doživljavaju ozbiljnom trebali bi se upitatin nije li «pjesnik» odaslao nečiju tuđu poruku. 

Objavljeno 06/02/10 u 10:23 AM 


(english / srpskohrvatski.
Di seguito una intervista a V. Jovanovic, ex Ministro degli Interni ed ambasciatore della Jugoslavia all'ONU, ed un appello internazionale contro la Risoluzione che il Parlamento serbo potrebbe ben presto approvare sulla questione di Srebrenica. Nella risoluzione si riconoscerebbe ufficialmente da parte serba la "strage di Srebrenica" e si chiederebbe scusa per essa: l'intenzione è dunque quella di assumersi colpe non proprie per fatti non chiariti, ed anzi profondamente distorti e gonfiati dalla stampa occidentale allo scopo di mantenere alta la tensione bellica, premendo sulla parte serba. Dal punto di vista politico-diplomatico tale riconoscimento da parte dello Stato serbo sarebbe una ulteriore, devastante concessione al punto di vista delle potenze imperialiste sulla distruzione della Jugoslavia. 
Sulla questione di Srebrenica si vedano i libri pubblicati e la documentazione raccolta alla pagina: https://www.cnj.it/documentazione/srebrenica.htm
[a cura di I. Slavo] )

Rezolucija o Srebrenici bila bi greška

1) VLADISLAV JOVANOVIC: REZOLUCIJA O SREBRENICI BILA BI GRESKA

2) APPEAL TO PRESIDENT BORIS TADIĆ AND THE SERBIAN PARLIAMENT: 
DO NOT GAMBLE WITH YOUR COUNTRY’S FUTURE! 
NO TO THE SREBRENICA RESOLUTION.


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VLADISLAV JOVANOVIC - REZOLUCIJA O SREBRENICI BILA BI GRESKA

субота, 06 фебруар 2010 21:58

Bivši ministar inostranih poslova SR Jugoslavije i ambasador u UN Vladislav Jovanović smatra da je rezolucija o Srebrenici, koju najavljuje Narodna skupština Srbije - pogrešna i ocjenjuje da je ona rezultat pritisaka na Srbiju. Intervju uradio: Neđo Đević


"Pojedini krugovi u međunarodnoj zajednici i Federaciji BiH (FBiH) sve čine da pojačaju obruč oko Republike Srpske (RS) i da se ona natera na neke ustupke u pregovorima o dopuni ili izmeni Dejtonskog sporazuma, ali to Srbija, kao potpisnik Dejtona, ne sme dozvoliti" - rekao je Jovanović u intervjuu Srni.

On je dodao da je javna tajna da je zahtjev za usvajanje rezolucije upućen iz međunarodne zajednice.

"Trebalo bi doneti rezoluciju kojom bi se osudio bratoubilački rat u BiH i za sve žrtve na svim stranama, uključujući i Srebrenicu, ali i za poginule srpske civile pre Srebrenice" - smatra Jovanović.

Prema njegovim riječima, veliki zločini su učinjeni nad Srbima u BiH i Hrvatskoj, ali niko iz međunarodne zajednice i FBiH ne osvrće se na te žrtve, što stvara osjećaj nejednakog tretmana žrtava.

Jovanović smatra da vlast u RS pokazuje odlučnost, principijelnost i odvažnost koja nije mala u ovim uslovima, služeći se retorikom koja je u interesu Dejtonskog sporazuma, a ne protiv njega.

"Svako imputiranje RS da radi protiv Dejtonskog sporazuma neosnovano je. To je podmetanje" - rekao je Jovanović i dodao da bi trebalo insistirati na ekonomskom razvoju RS i FBiH i na podizanju životnog standarda cijele BiH.

"BiH je dejtonska tvorevina, ali neki žele da Srpskoj oduzmu osnovna prava i da je svedu na provinciju, što RS i njene vlasti ne smeju dozvoliti" - rekao je Jovanović.

On je poručio da vlast u Srpskoj ne smije dozvoliti prenos nadležnosti na nivo BiH, jer Srbi kao konstitutivni narod moraju da odlučuju i da se pitaju o svemu što je važno za BiH.

"BiH ne može da opstane kao unitarna država; ako je Bošnjacima smetala unitarna Jugoslavija, zašto žele unitarnu BiH" - upitao je Jovanović.

Prema njegovim riječima, zemlja kao što je BiH, u kojoj postoje strani tužioci, sudije i OHR jeste protektorat, odnosno zemlja pod međunarodnim starateljstvom, što traje dugo.

"Jedna zemlja u centru Evrope pod kontrolom i stranim nadzorom može da ima samo štete i da proizvede suprotan efekat, a to je da umanji sposobnost naroda i domaće političke elite da pomažu i veruju u svoje sposobnosti" - smatra Jovanović.

Prema njegovim riječima, ako BiH treba i hoće da uđe u tzv. evropsku organizaciju, ona to može učiniti samo kao nezavisna zemlja, a ne kao zemlja pod protektoratom, koja nije samostalna.

Govoreći o referendumu u RS, Jovanović je ocijenio da je referendum demokratski vid odlučivanja i da ne može nikada i nikome biti osporen.

Prema Jovanovićevim riječima, odlučivanje naroda o svim pitanjima najviši je izraz demokratije, a to što će se u RS održati referendum na pitanje "da li podržavate Dejtonski sporazum" jeste nešto što ide u prilog Dejtonskom sporazumu, a ne protiv njega.

"Cilj raznih podmetanja na račun RS, što rade neki predstavnici međunarodne zajednice i bošnjački lideri jeste da je okarakterišu kao genocidnu tvorevinu i da joj ospore legitimitet" - zaključio je Jovanović u intervjuu Srni i dodao da je to bošnjačka politika koja se provodi još od ratnog vremena.


=== 2 ===
 
APPEAL TO PRESIDENT BORIS TADIĆ AND THE SERBIAN PARLIAMENT: 
DO NOT GAMBLE WITH YOUR COUNTRY’S FUTURE! 
NO TO THE SREBRENICA RESOLUTION.

 

Dear Mr. President and honorable deputies,

 

              As concerned American and European intellectuals and citizens, we call on you to seriously reconsider the plan to adopt a parliamentary resolution that would treat the Srebrenica massacre of July 1995 as a paradigmatic event of the war in Bosnia-Herzegovina and in doing so to use language that could be interpreted as Serbia’s acceptance of responsibility for “genocide.”
              The execution of Moslem prisoners in July of 1995, after Bosnian Serb forces took over Srebrenica, was a war crime, but it is by no means a paradigmatic event. The informed public in Western countries knows that, at that time, forces attributed to the Republic of Srpska executed in three days approximately as many Moslems as Moslem forces, raiding surrounding Serbian villages out of Srebrenica, had murdered during the preceding three years. There is nothing to set one crime apart from the other, except that its commission was more condensed in time. In a vicious civil war, in which all sides commit crimes, all innocent victims are entitled to compassion but the victims of one ethnic group should have no special moral claim to unique recognition. Putting the suffering of one group on a pedestal necessarily derogates from the right of the other group – in this case Serbian non-combatants in the devastated villages surrounding the enclave of Srebrenica – to an equal measure of sympathy.
              More importantly, what really happened in Srebrenica in July of 1995 is an issue that is still not settled, or why it occurred, and who was behind it. The accepted version of events, shaped mainly by war propaganda and hyperbolic media reports, is becoming increasingly obsolete because it is being vigorously questioned and reassessed by critical thinkers in the Western world. Much reliable information on these events is still unavailable and needs to be researched, but without it responsible conclusions on the nature and scope of the Srebrenica massacre cannot be drawn. Both the event’s alleged scope and its legal description as “genocide” are intensely in dispute. It would therefore be very unwise for Serbia and its parliament to formally commit themselves to a version of events that is thin on evidence but long on moral and political implications that are extremely detrimental to Serbia and its people.
We are also troubled by the prospect of Serbia and its parliament might accept the thesis that the massacre in Srebrenica, regrettable as it may be, amounts to “genocide.” That would unpardonably diminish genuine genocide as a phenomenon of the 20th century, of which the Holocaust of the Jewish people and the mass extermination campaigns against Armenians, Kurds, and the Roma are some outstanding examples.
         We are concerned that the politicisation of human suffering and the frivolous usage of the grave legal category of genocide greatly cheapens these important concepts and constitutes an undeserved insult to innocent victims of political violence everywhere in the world. 
Not only would Serbia, by an act of its own parliament,  put itself in the same league with Nazi Germany if such a resolution were passed. It would also sanctify at Serbia's extreme disadvantage a propaganda narrative whose key components are factually unsupported. It would implicitly endorse the view that the Republic of Srpska was built on genocide and thus endanger its further existence and play into the hands of those pressuring for the centralisation of Bosnia. Finally, it would expose Serbian taxpayers to the possibility of a multi billion euro suit for damages which they are ill equipped at the present moment to pay [and have no obligation to do so, for that matter].
              For all these reasons, we appeal to you to refrain from passing the projected Srebrenica resolution. If you feel it your duty to perform an act of public compassion toward the victims of the Bosnian war, we recommend as the only proper method that you pass a single resolution, written in ethnically neutral language, encompassing all of the victims and honoring them equally.

Signed: 

Prof. Edward Herman,  academic, United States
Jurgen Elsaesser, author and journalist, Germany
Germinal Čivikov, author and journalist, the Netherlands
Alexander Dorin, author, Switzerland
Prof. Alexander Mezyaev, Russian Federation
Eckart Spoo, journalist and publicist, Germany
Diana Johnstone, political analyst and writer, United States and France
Daniel Salvatore Schiffer, philosopher and humanist, Belgium
Klaus von Raussendorff, ex-diplomat and publicist, Bonn/Germany
Klaus Hartmann, Chairman of the German Freethinkers Association,
Vice president of World Union of Freethinkers, Germany
Cathrin Schütz, journalist, political scientist, Author of "Der NATO-Krieg gegen Jugoslawien. Hintergründe, Nebenwirkungen und Folgen" (Braumüller Verlag, Wien), Germany
Prof. Dr. Velko Valkanov, president, National Peace Council of Bulgaria, Bulgaria
Nikola Zivkovic, author and political analyst, Germany
Dr. Patrick Barriot, political scientist, France
...


Additional remarks suggested by Professor Edward Herman: “(1) When is the EU going to insist on an apology to Serbs from Croatia and the United States and UN for Operations Flash and Storm, which involved the greatest ethnic cleansing operations in the Balkan wars, and ones where, in contrast with others, the victims have never been able to return?; (2) when will the EU and NATO apologize to the  Kosovo Serbs for the greatest "proportionate" ethnic cleansing of the Yugoslav wars carried out under NATO auspices after June 10, 1999? (and to the Roma for their ethnic victimization in the same period?); (3) when will the EU and United States apologize for introducing Al Qaeda into Bosnia and Europe to fight (and behead) Serbs, as described in detail in "Unholy Terror: Bosnia, Al Qaida, and the Rise of  Global Jihad," by John R. Schindler, Professor at the U.S. National War College and former National Security Council specialist in Bosnia?”

Additional remarks suggested by Prof. Daniel Salvatore Schieffer:

“Io firmo certo questo appello, in nome della giustizia per tutti popoli della Bosnia-Herzegovina, e quindi anche dei Serbi, che hanno certo diritto allo stesso trattamento morale et legale degli altri. Questo principio fa parte dell'articolo numero 1 della carta dellle Nazioni Unite dei diritti dell'uomo.”

Additional remarks suggested by Prof. Alex Mezyaev:

"Та форма и методы, которые использованы МТБЮ и Международным судом ООН для признания геноцида в Сребренице в июле 1995 года лишь подчёркивают отсутствие реальных доказательств вины сербских военных и сербских властей. В этих условиях принятие резолюции означает выступление на стороне антисербских сил. "

Additional remarks suggested by barrister Christopher Black:

“It is necessary to include a demand for an admission by all Nato countries that they committed war crimes against the people of Serbia in the massive aerial
bombardment of the spring of 1999 in which all rules of war were broken
and that the final agreement to cease that bombardment by allowing Nato
forces to occupy Kosovo was forced on the Serbian government under threat
of the mass murder of the the people of Belgrade by American B52's which
threat was made to president Milosevic and others by Mssrs. Athisaari and
Chernomyrdin as agents of the USA; a threat in which they promised to kill
500,000 people in Belgrade and flatten the city unless the terms they
presented were accepted. Srebrinica, even if the Nato propaganda were true
(which I do not accept) pales in comparison against such terror.”

Additional remarks suggested by Professor Velko Valkanov, Bulgaria:

“Решително не мога да се съглася, че това, което стана в Сребреница, може да бъде квалифицирано като геноцид. Това бе трагичен епизод от една гражданска война, която враждебни на сръбския народ сили разпалиха. Заставам твърдо зад един протест срещу евентуалното признаване на някакъв геноцид в Сребреница.”
Проф.д-р Велко Вълканов, 
председател на Българския национален съвет за мир

Additional remarks suggested by attotney David Peterson, Chicago USA:

Whatever the fate of the Srebrenica "safe area" population in July 1995, this most assuredly was not a case of genocide, notwithstanding a series of political judgments handed down by the ICTY,  and later reiterated by the ICJ.  The European Parliament's passage by a near-unanimous vote of a resolution proclaiming July 11 a Day of Commemoration of the Srebrenica Genocide only adds to the debasement of this important concept, and to the trivialization of real genocides past, present, and future. 



Additional remarks suggested by attotney Cathrin Schütz, Berlin, Germany:

“I am not happy with the part of the appeal that condemns the act of the forces of Republika Srpska as „war crime“ and speaks about an equal death toll on the sides of the Muslims and Serbs around Srebrenica. I fully support the appeal's  statement that ‘what really happened in Srebrenica in July of 1995 is an issue that is still not settled... why it occurred, or who was behind it.’ This is, in my view, the most correct way to address the issue. And if I have to admit that I do not know what happened, what is the purpose of  admitting to some „war crime“? Is there any reliable information about ‘Srebrenica’ to this date? Information other than from Western media, Western politicians and their so-called NGO’s?” 

Additional remarks suggested by Vladislav Kuprin, Russia:

Dear Mr. President and honorable Deputies, 
I ask you not to adopt a parliamentary resolution that would treat the Srebrenica massacre of July 1995 in such language that could be interpreted as Serbia’s acceptance of responsibility for “genocide”. 
All people of good will know that the description of those hard events as “genocide executed in Srebrenica by Serbs in relation to Moslems ” is a lie that is propagated by Moslems’ extreme nationalists and fanatics all over the world. 
I ask you to support  the truth, not lie for Serbia’s sake.

Additional remarks suggested by Andrey Tihomirov, Russia:

Необходимо полное изучение всех вопросов этой трагедии и привлечение всех сторон, а не одностороннее рассмотрение.




ESSERE INFOIBATI A VITERBO


In merito ai comunicati stampa [emessi nel 2009 dall'ANPI di Viterbo] vanno segnalati i due inerenti alla questione foibe, principale veicolo per gli attacchi mistificatori del revisionismo strumentale contro la Resistenza. Il primo riguarda l’intestazione al volontario viterbese in Jugoslavia Carlo Celestini di un cippo in piazza Martiri foibe istriane di Viterbo, che lo vuole, appunto, “sacrificato nelle foibe” nel 1945. Dalla documentazione conservata all’Archivio di Stato di Viterbo non emerge affatto che questi sia stato infoibato e non si riesce a capire su quali basi l’Amministrazione comunale di Viterbo abbia svolto le pratiche per l’intestazione. L’altro caso riguarda invece Vincenzo Gigante, un poliziotto pugliese di stanza a Fiume cui l’estate scorsa l’Associazione nazionale Polizia di Stato (Anps) di Capranica ha solennemente intestato la propria sezione, in quanto infoibato dai comunisti di Tito nel 1945. Anche qui, non si capisce su quali basi, mentre sono proprio gli enfatici reportage dei giornali sulla cerimonia d’intestazione a suscitare seri dubbi. In ambedue i casi non c’è stata risposta da parte dei diretti responsabili. Su Celestini, gli esponenti della maggioranza al Comune di Viterbo tacciono; su Gigante, l’Anps non ha emanato alcuna nota a seguito del nostro comunicato, né i giornali che hanno riportato la cerimonia sono tornati successivamente sull’argomento. Tuttavia, per ambedue gli interventi, ci sono arrivate alcune lettere, prive, va da sé, di documentazione sulle questioni sollevate ma in compenso ricche di insulti e accuse d’ogni tipo, che non hanno fatto altro che suffragare ulteriormente l’infondatezza di operazioni che di storico non hanno nulla. Che conclusioni trarne?

(tratto da: 

"1945-2010: 65° della Liberazione. Una nuova stagione per l’Anpi. Appello per il tesseramento al Comitato provinciale di Viterbo"

di Silvio Antonini, Segretario e Portabandiera, ANPI Viterbo - per contatti: anpi.vt @ libero.it )


(deutsch / srpskohrvatski / italiano)

Mihajlo Markovic (1923-2010)

1) ПРЕМИНУО АКАДЕМИК МИХАЈЛО МАРКОВИЋ

2) Konsequenter Sozialist und Antifaschist. Im Alter von 86 Jahren starb in Belgrad der serbische Philosoph Mihajlo Markovic (junge Welt)

3) Un profilo (a cura di Italo Slavo) - con link a testi e interviste in lingua italiana


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ПРЕМИНУО АКАДЕМИК МИХАЈЛО МАРКОВИЋ

Дана (07.02.2010.) је у Београду, у 87. годинио преминуо академик Михајло Марковић професор Београдског универзитета, српски научник-филозоф високог међународног реномеа. Тесно је сарађивао са другим филозофима независне, леве оријентације, из Србије и бивших југословенских република. Један је од покретача Корчуланске школе и уредника часописа „Праксис“.

Аутор је више уџбеника филозофије, књига и мемоарских дела. Објавио је више стотина чланака и анализа у домаћим и иностраним часописима.

Поред Београдског универзитета где је био редовни професор, повремено је држао предавања на универзитетима у САД, Немачкој, Белгији, Русији и другим земљама.

Сарађивао са многим светски познатим филозофима и научницима, међу којима и са Жан Пол Сартром, Бертраном Раселом, Ноамом Чомским, Мишелом Чосудовским и другима.

Михајло Марковић је био доследан поборник социјалистичке мисли и идеја. Један је од оснивача и првих потпредседника Социјалистичке партије Србије. Аутор је Програма СПС-а.

Један је од оснивача удружења интелектуалаца Београдски форум за свет равноправних (2000.), члан Управног одбора и председник Програмског савета тог удружења.

Аутор је текстова објављених у преко 30 књига група аутора Београдског форума (Национални и државни приоритети, Интелектуалци и друштвена стварност, Левица у Србији и у свету,  Устав Србије, Косово и Метохија – шта даље и др.).

Михајло Марковић је првоборац народно-ослободилачког антифашистичког рата 1941.-1945. и носилац више ратних и мирнодопских одликовања.

Залагао се за шири концепт људских права која укључују социјална, економска, политичка, грађанска, право на бесплатно школовање и лечење.

Потписник је иницијативе 200 интелектуалаца за референдум о питању чланства Србије у НАТО-у.

Последње ажурирано понедељак, 08 фебруар 2010 16:11


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junge Welt / 9.02.2010 / Ausland / Seite 6

Konsequenter Sozialist und Antifaschist

Im Alter von 86 Jahren starb in Belgrad der serbische Philosoph Mihajlo Markovic

Von Cathrin Schütz 

 
Der serbische Philosoph Mihajlo Markovic ist am Sonntag kurz vor seinem 87. Geburtstag in Belgrad gestorben. Bereits vor dem Zweiten Weltkrieg war Markovic in der kommunistischen Jugend aktiv. Am Krieg nahm er als Partisan teil. Als einer der Anführer der Proteste an der Belgrader Universität 1968 und einer der prominentesten Vertreter der von kritischen jugoslawischen Intellektuellen gebildeten Gruppe um die Zeitschrift Praxis wurde Markovic in den sechziger Jahren wichtigster Kritiker Titos. Im Gegensatz zu vielen seiner Praxiskollegen blieb er bis zuletzt ein konsequenter Sozialist, Antifaschist und Streiter für nationale Souveränität. Von 1967 bis 1975 leitete er das Belgrader Institut für Philosophie und eine Abteilung des Belgrader Instituts für Sozialwissenschaften. Aus politischen Gründen wurde Markovic 1975 von seiner Lehrtätigkeit an der philosophischen Fakultät entbunden und wurde einer der bedeutendsten jugoslawischen Dissidenten, dessen wissenschaftliche und öffentliche Tätigkeit fortan mit der Serbischen Akademie der Wissenschaften und Künste verbunden war. Rund um die Welt wurde er in Akademien und Wissenschaftsvereinigungen aufgenommen und nahm bis zuletzt Gastprofessuren in Europa, den USA und Kanada an.

Markovic gehörte 1990 mit Slobodan Milosevic zu den Gründern der Sozialistischen Partei Serbiens (SPS), in der er u.a. das Amt des Vizepräsidenten bekleidete und die Arbeitsgemeinschaft für Soziale Theorie leitete. Er war 1992 maßgeblicher Autor des SPS-Programms, das sich konsequent am Demokratischen Sozialismus ausrichtet und im Einklang mit der Stockholmer Deklaration der Sozialistischen Internationale steht, wobei die Prinzipien der nationalen Souveränität, des Patriotismus und Antiimperialismus bekräftigt werden, die dem Widerstand der SPS und des Volkes gegen die 1990 einsetzende Zerschlagung Jugoslawiens durch die NATO-Staaten Rechnung tragen.

Nach einem politischen Disput mit Milosevic wurde er 1995 aus allen Parteiämtern entlassen, blieb aber eine auch von Milosevic hoch geschätzte Galionsfigur der SPS.

Dem vom Westen gesteuerten Sturz der Milosevic-Regierung im Oktober 2000 folgte die Inhaftierung des Expräsidenten zwecks Auslieferung an das Jugoslawien-Tribunal in Den Haag. Dazu Markovic: »Die gegenwärtigen jugoslawischen Behörden wissen, daß Slobodan Milosevic kein Kriegsverbrecher ist. Leider ist das Haager Tribunal keine juristische, sondern eine politische Einrichtung, die der einzig verbliebenen Supermacht völlig untergeordnet ist. Es ist allgemein bekannt, daß das ehemalige multinationale Jugoslawien nicht von dem ehemaligen jugoslawischen Präsidenten auseinandergerissen wurde, sondern von separatistischen Kräften, die von außen unterstützt wurden. Alle Beweise belegen, daß die vier Kriege im ehemaligen Jugoslawien nicht von Milosevic entfacht wurden, sondern von paramilitärischen Kräften der Sezessionisten.«

Nach einem vergeblichen Versuch, die SPS auf Grundlage ihrer ursprünglichen Prinzipien 2002 wiederzubeleben, war er nicht mehr parteipolitisch aktiv. 2004 sagte er als Verteidigungszeuge im Prozeß gegen Milosevic aus.

Die Herrschaft der prowestlichen Kräfte beschrieb er 2008 als Weg, »unser Schicksal in die Hände derer zu legen, die uns seit Jahrzehnten sadistisch bestraft, blockiert, dämonisiert, erniedrigt, bombardiert und ermordet haben, und die nun die weitere Zerschlagung unseres Landes und die Versklavung von Teilen unserer Bevölkerung vorbereiten.« Man »kann nicht bei Verstand sein, um diesem Weg zuzustimmen und den so oft wiederholten falschen Versprechen über europäische Integration, Stärke, Stabilität und ein besseres Leben zu glauben«. Es gehe jetzt um die »Verteidigung unseres Landes und unserer Unabhängigkeit, der Verteidigung unseres Rechts, mit unseren Freunden zusammenzuarbeiten und unsere Feinde weiterhin abzuwehren.«


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Mihajlo Marković (1923-2010)

Comunista e partigiano sin da giovanissimo, poi filosofo, docente all'Università di Belgrado, autore di una Dialettica della prassi, Mihajlo Marković è stato negli anni Sessanta animatore con molti altri della rivista Praxis, di area neomarxista e "francofortese", e dunque un critico del marxismo-leninismo e della linea portata avanti dalla Lega dei Comunisti in Jugoslavia. 
Gli intellettuali di Praxis promuovevano regolarmente meeting filosofico-politici nella incantevole cornice dell'isola di Korčula... Forse anche per questo motivo piacevano tantissimo alla "nuova sinistra" di tendenza in quegli anni in Occidente, in Italia soprattutto. Eppure la gran parte di loro furono ben presto gettati nel dimenticatoio dagli ex-neomarxisti ed ex-francofortesi nostrani. 
Diversamente da molti suoi vecchi compagni di Praxis, Marković rimase un socialista ed un antifascista conseguente anche nel tempo del "riflusso". Cosicchè, a partire dagli anni Ottanta, dalle nostre parti egli non fu più visto come l' "intellettuale dissidente di un paese dell'Est", da vezzeggiare, ma piuttosto come un socialista serbo, perciò da ignorare, evitare, stigmatizzare. Quegli intellettuali radical-chic nostrani che avevano apprezzato Praxis erano gli stessi che si apprestavano a fare da mosche cocchiere dei bombardieri della NATO.
A metà degli anni Ottanta Marković fu tra gli estensori del "Memorandum" dell'Accademia Serba delle Scienze, tanto vituperato quanto poco letto e compreso in Occidente; e nei primi anni Novanta fu vicepresidente del Partito Socialista della Serbia (SPS) guidato da Milošević. Fu co-estensore del Programma del Partito, che mentre si poneva in totale sintonia con la Dichiarazione di Stoccolma dell'Internazionale Socialista, sottolineava i valori della sovranità nazionale e l'opposizione all'imperialismo e alla disgregazione della patria jugoslava.
Marković non fu "recuperato" dalla sinistra europea nemmeno dopo la sua rottura con Milošević, nel 1995: in quanto antimperialista, rimaneva un indesiderato. Continuò a differenziarsi da Milošević anche in occasione degli eventi del 2000, quando il colpo di Stato promosso in Occidente impose in Serbia e Montenegro governi di destra, che avrebbero portato allo scioglimento dello Stato e al massacro sociale causato dalle politiche ultraliberiste. Nonostante la difficoltà di collocazione politica, Marković fu sempre lucido nell'analizzare quello che stava succedendo e denunziò sempre le manovre internazionali ed i pericoli di ulteriore smembramento che il suo paese correva. In seguito al rapimento di Milošević e durante il processo-farsa dell'Aia ne prese le difese; dopo l'assassinio di Milošević, fu tra le figure più autorevoli a commemorarlo.
Nei testi che abbiamo raccolto alla pagina https://www.cnj.it/documentazione/mihajlomarkovic.htm si riconosce gran parte del percorso politico e personale di Mihajlo Marković, che abbiamo fin qui sintetizzato: un percorso non privo di incongruenze e di limiti, ma vissuto con la generosità di un uomo di sinistra - per davvero, non nel senso "italiano" -, un socialista che ha sinceramente amato il suo paese e la sua gente e per essi avrebbe voluto la pace e la giustizia sociale. 
Perciò riteniamo non necessario commentare le opinioni espresse da Marković, e dai suoi interlocutori, nei testi riportati (vedi i link di seguito), anche laddove tali opinioni potrebbero differenziarsi dalle nostre. Lasciamo al lettore le sue considerazioni: gli argomenti trattati restano di eccezionale interesse per chi voglia ricostruire le cause profonde della crisi jugoslava ed europea degli ultimi decenni. 
(A cura di Italo Slavo)

Una selezione di testi e interviste: 



Essere "zingaro" a Napoli o a Milano

1) La vincita al lotto che bruciò i campi rom di Ponticelli

2) La storia di Jovica, il musicista clandestino
Articolo e video da Repubblica.it


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Sui pogrom di Ponticelli si vedano anche gli articoli linkati alla pagina: https://www.cnj.it/AMICIZIA/rom.htm


La vincita al lotto che bruciò i campi rom di Ponticelli...!

Inviato da: "Barbara Maffione"

Mar 2 Feb 2010 3:30 pm


Inoltro questo interessante articolo del compagno Alfonso De Vito, che offre molteplici spunti di riflessione. ..

  

La tiro giù con l'accetta... perchè a volte nella comunicazione è utile semplificare. Ma chi vuole può approfondire recuperando le sentenze del Tar e i vari comunicati dal blog di Emiliano di Marco: http://emilianodimarco.splinder. com/post/ 22154269# more-22154269

Allora le cose stanno così: 

- il 13 maggio 2008 vengono scacciati col fuoco i rom dei campi di Ponticelli (Na), con un clamoroso pogrom seguito al presunto tentativo di rapimento di un neonato da parte di una ragazzina rom minorenne ( Dragan Maria). Per questa accusa Maria su una base indiziaria a dir poco "discutibile" (la "percezione" della madre del bambino che "non avrebbe motivo di mentire"...) è stata pesantemente condannata a sei anni e mezzo con sentenza già passata in appello.
Da due anni nel carcere minorile di Nisida, le è stato negato l'annullamento della misura cautelare in carcere, con una sentenza che ha fatto scalpore, perchè motivata dalla "persistente organicità" di Maria con la cultura rom che è una cultura "portata a violare le regole"... Maria per altro è una minore in stato di abbandono, dal momento che i suoi genitori sono scappati in seguito al pogrom. Eppure le è sempre stato negato il gratuito patrocinio, perchè "potrebbe avere ingenti risorse" a "casa sua", cioè nella ex-Jugoslavia. ..
Nell'incendio dei campi si distinse la funzione di comitati civici anti-rom dalla spiccata sperimentazione leghista e securitaria, ma molto vicini al Pd, che del resto affisse anche un manifesto a sostegno di questa campagna. Manifesto poi parzialmente rinnegato quando gli eventi assunsero una piega particolarmente "imbarazzante" , con l'incendio dei campi davanti alle telecamere de "La vita in diretta"... ma la sperimentazione ebbe altri passaggi pubblici con un convegno dei comitati anti-rom di Ponticelli insieme ad altri comitati civici dall'analogo tenore securitario. Va tenuto presente che per la prima volta, alle precedenti elezioni politiche, il Pd non era stato il primo partito in questo storico quartiere "rosso" di Napoli...

- Fin da subito, come denuncia ad esempio un comunicato del consigliere comunale Raffaele Carotenuto, si seppe anche che curiosamente i due campi rom bruciati (sul totale di dieci insediamenti presenti) erano proprio quelli che insistevano nell'area delimitata tra Via Argine (antistante ARIN) e Via San Michele fino alla chiesa SS. Pietro e Paolo, in pratica l'area interessata da un importante intervento di "riqualificazione urbana" diviso in quattro parti. In particolare l'area corrispondeva a quella denominata "sub-ambito 2". 
Le gare d'appalto sono andate a lungo deserte finchè, con procedure anch'esse molto discutibili, è stata ampliata la percentuale di edilizia privata prevista dal piano regolatore. Alla fine viene fuori un piano che prevede di convogliare interventi nell'area indicata per 49 milioni di euro (34 messi da privati e 15 provenienti da finanziamenti pubblici). I lavori dovevano partire il 4 agosto del 2008, ma solo tre mesi prima i terreni erano occupati dai campi rom.. fino alla fatidica data del 13 maggio.
I lavori però non sono partiti, fin quando, dopo un pò di mesi, si è saputo che l'aggiudicataria dell'appalto è la ditta "Fontana costruzioni spa", con sede legale a San Cipriano di Aversa (Ce).

- Il primo colpo di scena arriva nel luglio 2009: alla "Fontana costruzioni spa", che nel frattempo ha vinto molti altri appalti tra la Campania e l'Emilia e che si era forse spinta troppo in là aggiudicandosi un maxi-appalto nella ricostruzione in Abruzzo, viene ritirato il certificato antimafia dalla Prefettura di Caserta.
Secondo una serie di relazioni del Gico, della digos e dei carabinieri, questa ditta sarebbe fortemente indiziata di essere uno strumento di riciclaggio nell'orbita del potente clan Zagaria. In effetti è quanto meno sospetto il passaggio del 16 gennaio 2007 in cui la ditta facente capo al giovane Nicola Fontana (36 anni) passava da Srl a Spa, con un aumento del capitale sociale da diecimila euro a un milione di euro..! Una cifra di cui non si capisce la provenienza e spropositata rispetto alle risorse patrimoniali della famiglia Fontana che in effetti la giustificava con una vincita al lotto... un membro del collegio dei sindaci dell'azienda risulta inoltre essere già oggetto di un rinvio a giudizio per riciclaggio con pesanti aggravanti.
Il padre di Nicola Fontana, Luigi, risulta invece essere componente del consiglio di amministrazione della Co.GE.IM.TEC unitamente al cognato di un membro acclarato del clan Zagaria. Lo stesso Nicola, tramite la Fontana costruzioni, è socio della Az Leasing spa, di cui un altro socio consigliere, Ferriero Lorenzo è a sua volta coinvolto nella Co.Ge.Fer. che ha già ricevuto l'interdittiva antimafia, così come è stata interdetta la "Energia Pulita Pietramelara" facente capo a Giuseppe Laudante, più volte denunciato e al quale Ferriero si accompagna spesso. Le relazioni di polizia e carabinieri accreditano fortemente l'ipotesi che la famiglia Fontana faccia da prestanome per il riciclaggio del clan Zagaria, segnalando anche una serie di frequentazioni vicine al clan.

- Il secondo colpo di scena arriva però con la sentenza del TAR del 8 gennaio 2010, che annulla l'interdittiva antimafia della prefettura di Caserta!
Per il Tar resta certo la bizzarria dell'improvviso e inspiegato aumento di capitale, ma l'unico dato oggettivo, la presenza di un membro del collegio dei sindaci già rinviato a giudizio per riciclaggio, riguarda per l'appunto un organo di controllo e non amministrativo della società. I rapporti di parentela, le "frequentazioni inopportune" e la condivisione di altre aziende con persone a loro volta socie in aziende che hanno già ricevuto l'interdittiva antimafia, cosituirebbero un quadro indiziario non ancora abbastanza preciso e solido da giustificare l'interdittiva sulla Fontana Costruzioni. Questo almeno nella valutazione del Tar.
E quindi ogni problema è risolto e l'appalto per il sub-ambito 2 del piano di recupero urbano di Ponticelli, chiaramente inficiato dalla precedente interdittiva, può ripartire gloriosamente. ..!

Si capisce quindi che il titolo che ho scelto è evidentemente provocatorio e non probatorio. Eppure mi chiedo, in tanti ci chiediamo, se esistano ancora le condizioni di opportunità perchè, con tante zone d'ombra che ancora evidentemente permangono, la Fontana Costruzioni gestisca questo appalto.
E se non sarebbe il caso che ci uniamo e facciamo sentire la nostra voce per pretendere che si guardi meglio in queste zone d'ombra.Per dissipare la nebbia ed avere un pò di verità sulle ragioni che hanno portato al più vergognoso pogrom che la nostra città ricordi, con centinaia di persone che hanno rischiato di essere bruciate vive! E perchè magari la verità ridarebbe forse un pò di giustizia a una ragazzina rinchiusa da due anni nel carcere di Nisida, dopo che i suoi genitori sono stati violentemente scacciati!!

Magari è utile far girare questa nota e invitare alla riflessione su questi spunti più gente possibile.
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ps: en passant, la sede legale della "Fontana Costruzioni" a San Cipriano D'Aversa è in via Salvatore Vitale, dove un tempo risultava domiciliato l'attuale boss latitante Michele Zagaria, a capo del clan omonimo. Ma naturalmente è un'osservazione del tutto tendenziosa, perchè la suddetta via è lunga 3 Km...


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Milano, l'odissea del musicista in fuga
"Suono con Pelù, ma devo nascondermi"


Jovica Jovic è un maestro di fisarmonica di fama internazionale. "È incredibile, vivo in Italia da quarant’anni, sono sempre stato in regola e amato da tutti. Ma da due anni sono costretto a nascondermi, a vivere come un clandestino. Eppure non ho mai fatto niente di male". La sua unica colpa è di avere un visto scaduto

di Luca De Vito

La sua fisarmonica ha 39 anni. Jovica Jovic l’ha acquistata appena arrivato in Italia, a Stradella, nel 1971. Per essere precisi è una fisarmonica cromatica, uno di quei modelli introvabili con i bottoni al posto della tastiera, difficilissima da suonare. Jovic è un serbo di etnia rom e a guardarlo sembra un elegante pensionato sulla cinquantina, sorridente e dai modi gentili. Ma, suo malgrado, ha una doppia vita. Quella ufficiale, che vive sui palchi di mezza Italia a fianco di artisti internazionali e assieme alla sua band “ I Muzikanti”. E quella da clandestino, cominciata nel 2007 e passata a nascondersi fra un accampamento e l’altro. Con un’unica colpa: avere un visto scaduto.

«È incredibile - racconta - vivo in Italia da quarant’anni, sono sempre stato in regola e amato da tutti. Ma da due anni sono costretto a nascondermi, a vivere come un clandestino. Eppure non ho mai fatto niente di male». Jovic accetta di parlare nel chiuso di un garage del centro, perché «nelle mie condizioni le precauzioni non sono mai troppe». Insieme con lui, alcuni amici italiani che lo hanno conosciuto grazie alla sua attività artistica. Mauro Poletti, dell’associazione Terra del fuoco, segue da anni Jovica nella sua carriera di musicista. «La società  dice Paoletti  ha un atteggiamento schizofrenico nei confronti del maestro Jovic. Da una parte lo celebra come artista di fama internazionale: basti pensare che ha suonato per anni al binario 21 nel giorno della memoria della Shoah, e che ha collaborato con artisti del calibro di Piero Pelù, Moni Ovadia e Dario Fo. Dall’a ltra lo persegue come illegale e clandestino».

La vita del signor Jovic sembra un film di Kusturica, fatta di viaggi e colpi di scena, anche se il presente  per adesso  è amaro. Nato a Belgrado nel ‘52, ha imparato a suonare la fisarmonica ascoltando suo nonno, senza spartiti e senza metronomi. Un metodo che utilizza per insegnare ai trenta allievi del suo corso che tiene nella sede di “Terra del fuoco”, un corso di perfezionamento al quale può partecipare soltanto chi ha già una buona conoscenza della fisarmonica. In Italia ha lavorato e suonato senza problemi fino al 2007, quando è stato bloccato all’aeroporto di Roma e - a causa di un visto non rinnovato - rinchiuso in un Cpt, da cui è uscito solo per le sue precarie condizioni di salute e grazie all’a iuto di un medico. 

Una settimana fa l’ultimo episodio di questa vita clandestina: il Comune di Rho - dove Jovic, con la sua famiglia, viveva negli accampamenti di via Magenta - gli ha recapitato un “avviso di imminente accertamento” sui suoi documenti. «Solo grazie a un nostro presidio - spiega Andrea Papoff, del centro sociale Fornace - siamo riusciti a impedire lo sgombero di Jovica e dei suoi parenti». E Jovic aggiunge preoccupato: «Le case accanto alla mia le hanno buttate giù, lasciando sulla strada tre famiglie. I miei parenti temono lo sgombero da un giorno all’altro. Mia moglie aspetta da mesi la possibilità di operarsi a un braccio e anch’io dovrei sottopormi a un intervento all’intestino».

Nonostante i consigli degli amici, però, Jovic si ostina a fumare. Fra le sue dita, un mozzicone che regge una torretta di cenere pericolante. «Prima o poi smetto», assicura, accennando un sorriso poco convinto. Poi torna serio e aggiunge con quella sua voce un po’ roca e un po’ lamentosa: «Mi appello a tutti gli artisti e a tutti gli intellettuali con cui ho lavorato. Vorrei poter rimanere in Italia e continuare con la mia vita di artista onesto. Il mio sogno? Un permesso di soggiorno ad honorem, per il contributo artistico che sto dando al vostro Paese».

(06 febbraio 2010)



La storia di Jovica, il musicista clandestino

Jovica Jovic è un maestro di fisarmonica di fama internazionale. "È incredibile, vivo in Italia da quarant’anni, sono sempre stato in regola e amato da tutti. Ma da due anni sono costretto a nascondermi, a vivere come un clandestino. Eppure non ho mai fatto niente di male". La sua unica colpa è di avere un visto scaduto
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[6 febbraio 2010]


 

VULCANO MITROVICA
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di Alessandro Di Meo
http://unsorrisoperognilacrima.blogspot.com/

6 febbraio 2010

Un senso di impotenza e scoramento ci assale ad ascoltare le parole di
padre Andrej, monaco del monastero di Dečani, uno dei simboli del
Kosovo e Metohija che rischia di essere lasciato al proprio destino
dalla forte diminuzione del contingente italiano, chiamato al
sacrificio afghano dai vertici Nato e Usa. La sua preoccupazione è
pari alla tenacia con la quale il monastero verrà difeso, ci dice, fin
quando esisterà anche un solo serbo nella terra di Lazar e Miloš.
La partita si giocherà, a detta anche del capo del contingente
italiano in Kosovo, colonnello Grasso, il prossimo 25 aprile, quando
ci sarà l’intronizzazione del nuovo patriarca Irenej nel patriarcato
di Peć, a pochi chilometri da Dečani. Quello sarà il momento in cui
il Kosovo “indipendente”, il Kosovo governato da ex criminali di
guerra ora in giacca e cravatta, questi si!, ritenuti affidabili dal
mondo politico occidentale, dovrà dimostrare di essere anche
“tollerante e democratico”. Ci riuscirà, siamo pronti a
scommetterci, ma bisognerà vedere cosa accadrà quando i riflettori
saranno spenti e le delegazioni internazionali andate via.
Le parole del colonnello sono improntate a una certa tranquillità,
forte anche dell’arrivo, ci dice, di altri contingenti fra i quali
quello turco.
Nessuno sembra rendersi conto del peso che certe decisioni hanno sullo
stato d’animo delle minoranze serbe. Che siano anche i turchi a
garantire pace e sicurezza in un territorio che è stato proprio dai
turchi dominato per secoli e secoli, costringendo il popolo serbo a
sacrifici immani ancora nelle memoria di intere generazioni appare,
francamente, come l’ennesimo affronto ai serbi, che già hanno dovuto
subire, negli anni più recenti, oltre alla guerra, lo schiaffo di
vedere la propria incolumità affidata al contingente tedesco, che solo
nella II guerra mondiale, in divisa SS, ha provocato eccidi
inenarrabili. E nel marzo del 2004, quando un pogrom antiserbo fu
scatenato dagli albanesi sotto gli occhi “distratti” della Kfor
anche tedesca, questa diffidenza serba ha trovato, fatalmente, conferma!
Ma il vero termometro della situazione è Kosovska Mitrovica nord, dove
l’acqua e la corrente elettrica continuano a venire razionate per i
continui boicottaggi degli albanese a sud, che gestiscono il flusso.
“Qui siamo tutti armati!”, ci dicono nostri amici di Mitrovica
nord. Armati, in attesa che il vulcano esploda. Perché la volontà
della missione Eulex di realizzare ad ogni costo il famigerato piano
Athisaari, non sarà mai accettato dai serbi che non vogliono staccarsi
definitivamente da Belgrado. Perché se questo dovesse mai accadere,
anche per i serbi rimasti nei ghetti di tanti sperduti e dimenticati
villaggi, sarà la fine. E con loro, sarà la fine per i monasteri
ortodossi, molti dei quali patrimonio dell’Unesco, come Dečani,
Gračanica, Patriarcato di Peć e altri ancora... Forse non verranno
distrutti, ma è già partito il revisionismo che li trasformerà in
pietre fondanti, e improbabili, di culture non ortodosse, prime fra
tutte, quella albanese musulmana. Soprammobili per un business
turistico gestito dalla mafia locale e dalla letale equidistanza di
tante ong dal gippone facile!
Intanto, contraddizioni emergono ma non sembrano turbare politiche
estere ne scelte che la comunità internazionale continua a proporre a
danno dei serbi. A Kosovska Mitrovica nord, a pochi metri dal ponte
sull’Ibar che, come il ponte sulla Drina di Ivo Andrić, è divenuto
testimone della storia fra i due popoli, negozi gestiti da albanesi
con tanto di bandiere Usa e Uck e vecchi manifesti elettorali
inneggianti agli “ex criminali” Haradinaj e Taqhi, in un via vai di
auto senza targa, con targa albanese, con targa serba, vedono tanti
serbi fare spesa perché tutto costa meno. E si può pagare in dinari.
Ancora a Mitrovica nord, il cimitero turco è intatto e libera è la
visita ai defunti... a Mitrovica sud, il cimitero ortodosso è
distrutto e per visitarlo si rischia la propria incolumità anche se
scortati dalla nuova polizia kosovara, formata da ex militanti
dell’Uck. Sempre a nord, un villaggio albanese vive in assoluta
tranquillità e libertà di movimento proprio vicino al monastero
ortodosso di Sokolica dove le monache non si oppongono certo alla
visita di donne albanesi che chiedono grazia di fertilità. Percorrendo
la strada che da Vranje, uno dei luoghi più bombardati dalla Nato, ti
porta in Kosovo, poco prima delle nuove frontiere imposte dall’Eulex,
un villaggio albanese mostra il profilo di minareti musulmani
intatti, senza contingenti Kfor a protezione. Siamo in Serbia! Ma a
Gračanica, i militari Kfor vigilano giorno e notte, coi loro mitra
spianati, sul monastero e sulla comunità serba ghettizzata. Siamo in
Kosovo!
Tutto questo mentre a Belgrado molti albanesi del Kosovo portano i
propri figli a curare gravi malattie, gentile regalo delle bombe
all’uranio impoverito, che non hanno fatto distinzioni. Letale
equidistanza...
La sensazione che ancora una volta volontà e scelte politiche tutte
occidentali stiano giocando sulla pelle della povera gente è forte.
Così come la sensazione che il vulcano esploderà a breve. Per questo
c’è bisogno della mobilitazione del mondo culturale e
associazionistico non colluso con queste scelte, per questo è stato
lanciato l’appello da Un Ponte per... per la protezione delle
minoranze serbe e dei monasteri ortodossi
(vedi: http://www.unponteper.it/sostienici/petizione.php)
Non è da sottovalutare il pericolo che si sta correndo in quella terra.
Il continuo ricatto a cui è sottoposto il governo serbo, al quale ora
si richiede addirittura di entrare nella Nato, e sarebbe l’ennesima
provocazione per il popolo serbo del quale molti stigmatizzano il
senso di persecuzione atavico ma che, a leggere la storia moderna e
non, sembra davvero inevitabile... questo continuo ricatto non tiene
conto dell’orgoglio di un popolo da sempre avanguardia dell’Europa
ma dall’Europa sempre trattato come merce di scambio sul mercato
dell’opportunismo occidentale.
Nel frattempo, le 15 famiglie serbe rimaste a Belo Polije,
simboleggiate dall’anziano Radomir che ci offre rakija col sorriso
sulle labbra, nonostante il tumore che lo affligge e nonostante
l’anziana moglie malata di Parkinson, non hanno nemmeno legna a
sufficienza per scaldarsi nel rigido inverno balcanico. Ma a chi
interessa il loro piccolo, lontano destino quotidiano?


10 Febbraio, Giornata della provocazione nazionalista e fascista

1) Impedita a Pontedera celebrazione clericonazista

2) Foibe: PdL scatenato contro il recente libro di Pirjevec e Bajc


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06-FEB-10 14:12
FOIBE: COMITATO ANTIFASCISTA OCCUPA SALA, NO INCONTRO
(ANSA) - PONTEDERA (PISA), 6 FEB - Il Comitato antifascista toscano della Valdera ha occupato stamane la sala Carpi di Pontedera (Pisa) dove nel pomeriggio è prevista la commemorazione dei caduti delle Foibe da parte dell'Unione nazionale combattenti e reduci della Repubblica di Salò. Gli esponenti antifascisti hanno posizionato uno striscione con scritto "Ora e sempre resistenza" all'interno della sala e contestano la decisione del Comune di Pontedera di concedere lo spazio, gestito dall'Arci, ai nostalgici di Salò. Sul posto sono presenti carabinieri e agenti di polizia a presidiare la zona. E' intervenuto anche l'assessore alla Cultura di Pontedera Stefano Tognarelli per trovare una mediazione. (ANSA)


06-FEB-10 18:52
FOIBE:COMITATO ANTIFASCISTA OCCUPA SALA,INCONTRO ALTRA SEDE
(V. 'FOIBE: COMITATO ANTIFASCISTA OCCUPA...' DELLE 14:12) (ANSA) - PONTEDERA (PISA), 6 FEB - La commemorazione delle vittime delle Foibe da parte dell'Unione nazionale combattenti e reduci della Repubblica di Salò si è svolta questo pomeriggio nel centro "Sete sois sete luas" a Pontedera (Pisa), invece che alla sala Carpi, sede inizialmente prevista, occupata stamani da esponenti del Comitato antifascista toscano della Valdera. Una decina in tutto i partecipanti alla commemorazione. "Molti hanno rinunciato per il caos che si è creato alla sala Carpi - ha detto Bruno Buti, presidente per Pisa, Lucca e Massa dell'associazione che si rifà alla Repubblica sociale e coordinatore toscano e di Pisa della Fiamma tricolore - e questo é senza dubbio un'ingiustizia, perché avevamo pagato la concessione dello spazio direttamente al Comune. Non mi aspettavo che l'amministrazione comunale approvasse un'occupazione di quel genere, così come non mi aspettavo che la propositura di Pontedera ci negasse l'invio di un prete per recitare un rosario in onore dei nostri caduti. Abbiamo contattato anche un diacono, ma anche lui ha avuto paura di collaborare con noi per questa ricorrenza". L'occupazione della sala Carpi da parte del Comitato antifascista si è poi conclusa nel pomeriggio. La zona è stata presidiata a lungo dalle forze di polizia. Non ci sono stati incidenti.(ANSA).

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ULTERIORI INFORMAZIONI GIUNTE DA PONTEDERA

Circa due settimane fa l'organizzazione fascista Fiamma Tricolore affiggeva manifesti con la croce celtica in grande evidenza. Il coordinamento antifascista si recava allora in Comune e contestava al sindaco che nella Giornata della Memoria il Comune avesse autorizzato l'affissione di un manifesto del genere. 
Successivamente uscivano comunicati stampa e nel giro di pochi giorni la Fiamma, i reduci di Salò ed i nazisti di Forza Nuova organizzavano per il 6 febbraio una messa in suffragio delle vittime del comunismo, con dibattito pubblico.
Il Comitato antifascista scriveva allora una lettera aperta alla Chiesa, ottenendo che nessun prete impartisse messa per una iniziativa del genere.
Rimaneva la manifestazione, autorizzata in un locale comunale. Rifondazione Comunista organizzava un presidio a 60 metri, e l'ARCI e i Cobas chiedevano al Comune la revoca della autorizzazione. 
Dopo il successo della occupazione della sala da parte degli antifascisti, il Comitato emetteva il comunicato che segue. 
[ringraziamo Federico dei Cobas di Pisa per le informazioni]


La Valdera Antifascista, che riunisce realtà, associazioni e collettivi, si sono presentati alle ore 11 nella saletta Carpi dove alle 15 era prevista una manifestazione di Fiamma Tricolore e dei nostalgici di Salò.

Gli antifascisti hanno pacificamente presidiato lo spazio chiedendo al Sindaco Millozzi di revocare l’utilizzo della sala comunale che ospita un cineclub gestito dall’Arci. Ma il Sindaco non ha accettato di incontrare la Valdera Democratica e Antifascista e ha inviato al suo posto un Assessore che ha confermato la volontà dell’Amministrazione di lasciare la sala pubblica alla iniziativa dei nostalgici fascisti. La nostra ferma opposizione ha costretto la Questura di Pisa a cercare una interlocuzione con il Sindaco che alla fine ha ricevuto una nostra delegazione in Comune . E’ impensabile che si attribuisca a un semplice disguido di qualche ufficio la concessione della sala ai fascisti, è impensabile che si possa dare una copertura religiosa a questi “signori” (a proposito della annunciata partecipazione di un cappellano militare ad una cerimonia in favore delle vittime delle foibe)”.

Abbiamo ottenuto la revoca della sala e la mobilitazione si è conclusa alle 17. con un partecipato presidio in Piazza Curtatone.

E’ inaccettabile che i fascisti trovino legittimità e spazio da parte della Giunta, spazi per operazioni di revisionismo storico che mirano a cancellare la Resistenza per affermare invece i valori e le pratiche di odio del fascismo con tutte le sue stragi commesse in Italia e in Europa.

Le foibe sono l’ennesimo pretesto per operare una riscrittura della storia volta a cancellare le responsabilità fasciste e italiane nel genocidio della popolazione nei Balcani: centinaia di migliaia di jugoslavi perirono per mano italiana nei campi di concentramento, presenti per altro sullo stesso territorio italiano. Molti degli scampati da questi campi si unirono poi alla Resistenza contribuendo alla liberazione del nostro paese dal nazifascismo

Ma con la scusa delle Foibe i fascisti si vogliono accreditare con le campagne xenofobe e razziste dei nostri giorni, con atti di violenza quotidiana.

Sia ben chiaro che noi non daremo, né ora né in futuro, alcuna legittimazione AI FASCISTI e e non offriremo spazio alcuno ad operazioni di natura fascista che si ripercuotono sui lavoratori, sui migranti, sulle giovani generazioni.


Comitato ANTIFASCISTA E ANTIRAZZISTA VALDERA


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Da: comitatoantifasc_pr @...

Oggetto: Foibe: PdL scatenato contro il recente libro di Pirjevec e Bajc

Data: 06 febbraio 2010 18:57:13 GMT+01:00


Pdl del Friuli scatenato contro lo storico Pirjevec autore insieme ad altri del libro "Foibe. Una storia d'Italia" pubblicato in novembre da Einaudi. Uno dei coautori del libro, Gorazd Bajc, interverrà alla contromanifestazione sulle foibe di giovedì 11 sera al cinema Astra di Parma
 

“Negare, come ha fatto lo storico dell’Università di Capodistria Joze Pirjevec, che la tragedia delle foibe sia da attribuirsi alla volontà di effettuare una pulizia etnica premeditata, frutto di un’azione politica tesa all’eliminazione di quanti si opponevano all’annessione alla Jugoslavia dopo la fine della seconda guerra mondiale, significa non prendere in considerazione fatti storicamente assodati. E’ necessario dare urgentemente corso all’iter per la costituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta, affinché venga fatta definitivamente luce su questi tragici fatti”.
A chiederlo in una mozione i consiglieri regionali friulani del Pdl Roberto Novelli (primo firmatario), Daniele Galasso, Franco Baritussio, Piero Tononi, Roberto Marin, Paolo Ciani, Maurizio Bucci, Piero Camber, Bruno Marini e Gaetano Valenti ed il capogruppo dell’Udc Edoardo Sasco.
A scatenare la reazione del Pdl i contenuti del volume “FoibeUna storia d’Italia” di Pirjevec, appunto.
Nel testo presentato dal centrodestra si chide alla Giunta regionale di intervenire presso il governo nazionale e il Parlamento.
“Sull’argomento foibe – rileva Novelli – si pensava che si fosse ormai giunti a una consolidata verità, ma la pubblicazione del volume “Foibe. Una storia d’Italia” di Pirjevec ha riacutizzato un vulnus notevole nell’animo degli italianiIn un’intervista rilasciata a un quotidiano locale di lingua slovena, lo storico dell’Università di Capodistria definisce l’esodo di centinaia di migliaia di italiani giuliano-dalmati (da 250mila a 350mila), come il rifiuto di un popolo di indottrinati dal nazionalismo e dal fascismo a sentirsi razza eletta, a farsi comandare dagli s’ciavi, per giunta comunisti, definito come trauma psicologico”.
Prosegue Novelli: “Lo stesso autore confuta anche la tesi per cui nelle foibe di Basovizza vi sarebbero 2.500 corpi e altrettanti in quella di Brsljanovicadi Opicina, sostenendo che si dovrebbe effettuare una scrupolosa perlustrazione delle grotte stesseDel resto lo storico dell’Università di Capodistria riserva il termine tomba comune per indicare le foibe, sostenendo che tali voragini sono state volutamente cementificate e ostruite con materiale esplosivo al fine di evitarne l’esplorazione, e quindi, l’esatto numero delle vittime ivi giacenti e la loro nazionalità”.
Pirjevec sostiene, infine – prosegue l’esponente del Pdl – che ci sarebbe una sorta di continuità tra la propaganda nazista sulle foibe istriane e la loro riscoperta degli anni Novanta, attraverso un’operazione politica e culturale revisionista, fino all’istituzione, nel 2004, del Giorno del Ricordo (10 febbraio). Secondo Pirjevec si tratterebbe, invece, di una decisione mossa da pura propaganda politica in un’Italia soggetta a crisi d’identità e coesione e che sarebbe legata alla questione della determinazione dei confini. Non a caso è stato scelto il 10 febbraio, quando è stato firmato il Trattato di Parigi, con il quale l’Italia ha perso gran parte del territorio dell’allora Venezia Giulia. Quelle di Pirjevec sono affermazioni che stridono con le testimonianze di tutte le persone che hanno vissuto il dramma dell’esodo dall’Istria e l’opera di epurazione perpetrata dai soldati titini durante e dopo la fine del secondo conflitto mondiale, secondo le quali le foibe rappresentano a tutti gli effetti fenditure carsiche in cui i partigiani jugoslavi gettarono i corpi dei nemici.Anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel 2007, ricostruendo le tragiche vicende seguite prima all’8 settembre 1943 e poi al 25 aprile 1945, ha  dichiarato che vi fu un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo che assunse i sinistri connotati di una pulizia etnica”.
“E’ necessario, quindi – conclude Novelli – che si faccia chiarezza tramite la costituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta sulle foibe. Non per volontà revanscista o semplice spirito di parte, ma per un’oggettiva analisi storica, unica fonte di verità e di giustizia, finalizzata ad una serena e duratura amicizia tra i popoli”.




Roma febbraio 2010
II SETTIMANA ANTIREVISIONISTA

Italianizzazione forzata, pulizia etnica, oppressione, sfruttamento, guerra, colonialismo, stragi di civili, 
oltre la mitologia degli "italiani brava gente", oltre le amnesie della repubblica... NOI RICORDIAMO TUTTO!

mercoledì 10 febbraio 2010 - ore 15,30
cimitero di Prima Porta: "E questo è il fiore del partigiano..."



sabato 13 febbraio 2010 - ore 19,30 
al Blow (via di Porta Labicana 24 - San Lorenzo): Il revisionismo e l'uso politico della storia 

dibattito con gli storici Gino Candreva, Davide Conti, Sandi Volk


Promuovono:
Collettivo Militant - Collettivo studentesco Senza Tregua



Da: partigiani7maggio  @...

Oggetto: [vocedelgamadi] Partigiani jugoslavi in Appennino: una storia ignorata

Data: 05 febbraio 2010 22:21:12 GMT+01:00


L'articolo che segue uscirà sul prossimo numero - n. 1, gen-feb 2010 - de l'ernesto: www.lernesto.it

PARTIGIANI   JUGOSLAVI  IN  APPENNINO


Una storia ignorata



La vicenda degli jugoslavi rinchiusi nei campi di detenzione fascisti della Penisola fino all’ 8 Settembre del 1943, ed il contributo da questi offerto alla Resistenza antifascista e antinazista italiana, sono stati finora noti solo a pochi specialisti e in modo frammentario.

Eppure, questi partigiani animarono la lotta di Liberazione nelle sue prime fasi lungo quasi tutta la dorsale appenninica, da Genova fino alla Puglia con episodi rilevanti soprattutto in Umbria e nelle Marche dove gli “slavi” furono presenti quasi ovunque e presero parte a quasi tutte le azioni più importanti.

Gli jugoslavi erano in maggioranza già esperti nella guerriglia perché l’avevano condotta nel loro paese, contro gli eserciti di occupazione tedesco e italiano, nonché contro i collaborazionisti locali, fino alla cattura e alla deportazione in Italia. Inoltre, la gran parte di loro erano giovanissimi militanti della SKOJ (la struttura giovanile del Partito Comunista jugoslavo), con una formazione ideologica solida ed una piena coscienza del nemico da affrontare. Con la loro esperienza e con la loro determinazione antifascista, essi dettero, fin dall’inizio, un valido contributo alla formazione del movimento partigiano in Italia e al consolidamento della capacità combattiva delle giovani reclute.

Abbiamo cominciato ad interessarci a questa storia negli ultimi anni, per esserne venuti a conoscenza in maniera pressochè casuale, nell'ambito delle nostre attività di solidarietà internazionalista e controinformazione sulla Jugoslavia e nell'ambito delle battaglie contro il revisionismo storico e la diffamazione della Resistenza, divenute purtroppo sempre più necessarie e frequenti. Con rammarico, abbiamo dovuto constatare che vicende di così vaste dimensioni ed implicazioni hanno trovato uno spazio pressoché trascurabile nella scrittura della storia dell’Italia contemporanea e della stessa lotta antifascista: nell’Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza (1) - che, tra la letteratura che abbiamo trovato, è l’unico caso in cui si sia perlomeno tentata una ricostruzione complessiva di questi fatti attraverso una specifica voce “Jugoslavi in Italia”, in chiusura della stessa è scritto: “la partecipazione jugoslava alla Resistenza Italiana non è stata ancora esaminata in modo organico”. Questo dopo tre decenni dalla conclusione di quella lotta. 

Oggi sono passati ormai quasi 65 anni e la situazione non è cambiata, anzi il passare del tempo ha reso ovviamente più difficile ogni ricostruzione e indagine da fonte diretta: i testimoni ancora in vita sono rimasti in pochi e naturalmente anziani; le fonti documentarie, che già negli anni ’70 erano disperse e mal gestite, sono spesso diventate irreperibili; ed infine, l’approccio a quelle vicende è diventato “indigesto” a molti sia dal punto di vista politico che professionale.

Consapevoli di tutte queste difficoltà, abbiamo in ogni caso deciso di intraprendere un lavoro di ricerca e di divulgazione al grande pubblico che mettesse in risalto quel carattere internazionalista che fu anche della Resistenza italiana, oltrechè – ed è cosa nota, anche se abbastanza trascurata anch'essa - della omologa Lotta Popolare di Liberazione in Jugoslavia cui parteciparono centinaia di migliaia di italiani, soprattutto ex militari delle truppe di occupazione. Abbiamo inteso così tra l'altro contrastare le tendenze revisionistiche che vogliono presentare la Lotta di Liberazione in Europa in termini esclusivamente nazionali se non nazionalistici. (2)

E' nato dunque il progetto Partigiani Jugoslavi in Appennino, in virtù del quale si è via via costituita una rete molto ampia di contatti e di collaborazioni - con storici professionisti, sezioni ANPI ed Istituti di Storia, appassionati conoscitori delle vicende in questione e testimoni dei fatti residenti in molte province italiane. Infatti se in un primo momento abbiamo cominciato a seguire le tracce degli Jugoslavi, in gran parte sloveni e montenegrini, che erano fuggiti dopo l’8 Settembre dal campo d’internamento di Colfiorito, nei pressi di Foligno, e da quello di Renicci nei pressi di Anghiari in provincia di Arezzo, subito ci siamo resi conto che la questione abbracciava un'area geografica molto più ampia.

Gli jugoslavi che fuggirono dai campi d’internamento si dispersero nelle campagne circostanti accolti dalle popolazioni locali, molti di essi si unirono o contribuirono alla formazione delle brigate partigiane che si stavano componendo in quei giorni del settembre 1943.

A Bosco Martese, prima tappa della Resistenza Teramana, ma anche italiana, tra il 12 e il 25 settembre si concentrarono tutte le forze antifasciste della provincia di Teramo; si trattava di soldati italiani sbandati, ma anche di moltissimi ex prigionieri stranieri appena scappati dai campi di concentramento della zona: neozelandesi, inglesi, americani e numerosi prigionieri politici della Jugoslavia, in particolare montenegrini.

Nella mattinata del 25 settembre del ’43, l'avanguardia di una colonna tedesca motocorrazzata che transitava per Teramo, dietro informazione dei fascisti, si portava verso il bosco e catturava 7 partigiani. Ma nei pressi di Bosco Martese la colonna tedesca fu investita dal fuoco dei cannoni e delle mitragliatrici dei partigiani. Furono bloccati 30 camion e fu catturato il comandante della colonna, il maggiore austriaco Hartmann. I sette partigiani furono fucilati, e di conseguenza il comando partigiano teramano decise di giustiziare Hartmann.

Questo episodio divenne noto come “la prima battaglia campale in campo aperto della Resistenza Italiana” (così la definì Ferruccio Parri), meno noto è, però, il fatto che gli “slavi” giocarono un ruolo fondamentale in quella vicenda e nelle successive operazioni della Resistenza nell’Italia Centrale. Le formazioni di Bosco Martese erano state suddivise in tre compagnie, sotto la guida del capitano dei carabinieri Ettore Bianco e del medico condotto Mario Capuani. Di queste compagnie la seconda era comandata da Dušan Matijašević aiutato da Svetozar Čućković. 

Dopo il 25 settembre le compagnie si dispersero, ma gli stranieri si diressero in massa verso la zona di Acquasanta Terme in provincia di Ascoli. La “sacca” dell’acquasantano divenne presto il rifugio di un numero impressionante di fuggiaschi stranieri, in particolare antifascisti jugoslavi. Arrivarono infatti molti altri da nord, dai campi di reclusione delle Marche - Servigliano presso Fermo, Collegio Gentile presso Fabriano, eccetera - ma anche dall’Umbria e dalla Toscana. In Umbria, anche grazie al recente interesse degli storici dell'ISUC di Perugia, è particolarmente noto il campo di Colfiorito presso Foligno dove nelle “casermette” furono internati migliaia di Montenegrini.

Memorie commosse di quei giorni sono contenute nei libri di Dragutin “Drago” Ivanovic, classe 1923, che abbiamo intervistato nella sua casa dove vive ancora a Lubiana. Drago ha scritto moltissimo su quelle vicende sin dagli anni ’70. Subito dopo la pensione ha preso a ripercorrere i sentieri della sua detenzione e della sua resistenza antifascista sul suolo italiano. Le sue memorie sono note alla storiografia italiana solamente per quanto riguarda il campo di Colfiorito in cui anch’egli fu detenuto, ma altrettanto interessante per la nostra storia è il periodo successivo, fino al suo trasferimento in Puglia ed il rientro in Jugoslavia di nuovo inquadrato a combattere in una delle cosiddette Brigate d’Oltremaredell’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia.

Dopo l’8 Settembre altri internati montenegrini di Colfiorito erano invece rimasti in Umbria unendosi alla Brigata Garibaldi nei dintorni di Foligno e di Spello (3); altri ancora si unirono alle formazioni partigiane delle Marche centro-settentrionali oppure  andarono più a sud e si unirono al nucleo dei fuggiaschi dal carcere di Spoleto.

Il battaglione degli jugoslavi formatosi a partire da questo nucleo spoletino fu chiamato “ Tito”, il suo comandante militare era Svetozar Leković, detto Tozo, di Berane (Montenegro), che nel dopoguerra lavorerà come ingegnere presso l’Istituto Tecnico Militare di Belgrado; vice commissario politico era Bogdan “Boro” Pesić, il quale diventerà invece redattore del quotidiano belgradese Politika. Con alterne vicende, visto che talvolta gli “slavi” tennero un profilo politico – militare più autonomo, il battaglione Tito fu collegato all’importante Brigata Gramsci il cui commissario politico era Alfredo Filipponi. Gli “slavi” della Gramsci compirono una serie di azioni di disturbo tali da costituire una vera e propria spina nel fianco per lo schieramento tedesco impegnato a fronteggiare l’avanzata da sud delle truppe alleate. Nei primi mesi del ’44 il territorio di ben 12 comuni della Valnerina era sotto il controllo della Brigata Gramsci che era stata suddivisa in 5 battaglioni, tra cui appunto il battaglione Tito. Il territorio dei comuni di Scheggino, S. Anatolia di Narco, Vallo di Nera, Cerreto di Spoleto, Preci, Visso, Norcia, Cascia Poggiodomo, Monteleone e Leonessa venne praticamente abbandonato dalle forze nazifasciste costituendo il primo territorio libero dell’Italia Centrale. Per oltre quattro mesi in Umbria visse la Prima Repubblica Partigiana, esempio di una nuova era che le popolazioni sentivano avvicinarsi ineluttabilmente.

Nell’aprile del ’44 il comando tedesco di concerto con quello fascista, decise una massiccia “operazione di polizia” in Valnerina: una serie di battaglie contro forze preponderanti impegnarono i partigiani, che tuttavia riuscirono a sganciarsi con il minor danno possibile grazie anche alla capacità dei comandanti ed in special modo di Tozo. Dopo questa azione il battaglione Tito si diresse verso Visso ed il versante marchigiano. 

Questo è proprio il periodo della sanguinosa controffensiva tedesca. La pressione degli Alleati sulla linea Gustav, in particolare i durissimi scontri presso Cassino, avevano creato tra i tedeschi una tensione crescente imponendo la elaborazione di piani e di manovre per il consolidamento del controllo del territorio, incluse azioni di “bonifica” nelle retrovie. Un obiettivo prioritario di tali azioni non poteva che essere la cancellazione della presenza delle “bande” partigiane del Centro Italia: con le loro azioni di disturbo, compiute con frequenza e decisione crescenti lungo le strade consolari quali la Salaria e la Flaminia tali “bande” diventavano inammissibili per il gigante tedesco. Protagonisti di tali importantissime azioni erano molto spesso proprio gli jugoslavi: quelli organizzati attorno al comandante Tozotra le provincie di Terni e di Rieti, e quelli attivi nell’entroterra marchigiano.

Un’altra storia interessante è quella che riguarda i prigionieri del campo di Renicci, in provincia di Arezzo. In questo campo erano stati fatti confluire i deportati della cosiddetta “provincia di Lubiana”, dunque molte migliaia di sloveni la gran parte dei quali avevano già fatto tappa prima nell’inferno di Arbe/Rab, poi a Gonars (UD); oltre a costoro c’erano anche prigionieri politici albanesi, croati e antifascisti italiani soprattutto anarchici, molti tra questi ultimi erano stati trasferiti a Renicci dai lager del sud e delle isole che nei primi mesi del ’43 dovettero essere sgomberati per l’avanzare degli Alleati.

Nel campo di Renicci i reclusi avevano già espresso anche apertamente, quando era stato loro possibile, la loro opposizione e resistenza ai trattamenti più vessatori. Tra l’altro nel campo esisteva una cellula politica comunista clandestina che faceva capo a Lojze Bukovac. (4)

Bukovac dopo la sua fuga da Renicci si unirà all’VIII Brigata Garbaldi Romagnola. In seguito all’offensiva tedesca che si stava spingendo dal sud verso il nord delle Marche fino all’alta Marecchia e alla Romagna, Bukovac ripiegherà in Toscana e di nuovo nell’aretino. Bukovac ricorda : “... [dopo il 18 aprile 1944, provenienti dall’ Emilia Romagna] ci ritirammo in Toscana dove ci siamo riuniti alla brigata  “Pio Borri” verso la metà del mese di maggio. Il commissario della brigata “Borri” Dušan Bordon, un giovane studente originario del capodistriano, divenuto poi nostro eroe nazionale (nel dopoguerra a Capodistria gli è stata intitolata una scuola) era caduto in un combattimento nei pressi di Caprese Michelangelo il 13 aprile 1944...” (5)

In effetti in quel durissimo scontro a fuoco avvenuto nel corso di un rastrellamento fascista, per proteggere la ritirata dei compagni erano caduti, oltre allo studente Dušan Bordon, comandante del reparto, il russo Piotr Fesipović, mentre un altro montenegrino, tale Pelović, era stato catturato e immediatamente fucilato. Il reparto della GNR comunque paga con 12 morti e 10 feriti.

Non mancano gli episodi che coinvolgono gli jugoslavi anche più a Nord, fino a Genova, dove il comandante della brigata partigiana che liberò la città era jugoslavo: Anton “Miro” Ukmar. Ukmar in effetti era sfuggito da un lager in Francia; unitosi alla Resistenza italiana, venne nominato comandante della VI zona operativa, che sugli Appennini, poco lontano da Genova, disponeva di un vasto territorio liberato. Con le sue divisioni il compagno “Miro” prese parte alla liberazione di Genova e ne fu comandante della piazza al termine del conflitto. Ukmar – che sarà poi decorato con l’Alta onorificenza americana “Stella di Bronzo” ed eletto cittadino onorario di Genova - contribuì alla formazione di ben otto divisioni partigiane in Liguria. Di queste divisioni facevano parte alcune brigate comandate da Jugoslavi, tanto che portavano il nome di battaglia degli stessi come “Istriano”, “Montenegrino” eccetera. (6) Molti di questi partigiani jugoslavi caddero in combattimento e la maggioranza di loro , negli anni '50, si trovava sepolta nel cimitero di Genova.

Partigiani jugoslavi risultano caduti e sepolti fin nella provincia di Piacenza, a Cairo Montenotte e a Torino (ben 10 nel cimitero della città piemontese).

Il comandante partigiano Giuseppe Mari “Carlo”, in alcuni testi del dopoguerra provò a ricostruire gli organigrammi di tutte le formazioni della Resistenza marchigiana in cui gli jugoslavi avevano svolto un ruolo di primo piano, elencando molte centinaia di nomi... Non è questa la sede per ricordare questi nomi, o quelli dei combattenti jugoslavi delle altre regioni, nemmeno i più importanti. Bisogna invece sapere che negli anni '70 la RFS di Jugoslavia promosse la costruzione di alcuni Sacrari in cui furono raccolte la stragrande maggioranza delle spoglie dei partigiani caduti nelle diverse regioni italiane dopo l'8 Settembre, assieme alle spoglie di chi era caduto di stenti e di malattie nei campi di internamento prima dell’8 Settembre. I più importanti tra tali Sacrari si trovano a Roma (Prima Porta), nel cimitero di Sansepolcro (Arezzo), e a Barletta. Al di là delle spoglie contenute nei Sacrari, molte sepolture sono rimaste in diverse piccole località dell’Italia Centrale, dal cimitero internazionale di Pozza e Umito (Acquasanta Terme, in provincia di Ascoli), a Cantiano (PU: tre i fucilati), alla tomba di Franko Tugomir a Penna San Giovanni (AP)... Tante sono poi le lapidi e i monumenti in cui tutti questi partigiani sono ricordati.

Per quelli che sopravvissero, l’epilogo della vicenda è nelle Puglie. La regione dalla fine del ’43 diventò base strategica e retrovia dei partigiani slavi: sia per quelli che combattevano lungo la dorsale appenninica e che, attraverso le Puglie, dovevano tornare in patria, sia per quelli che combattevano nei Balcani e che talvolta, feriti, proprio in Puglia potevano essere trasferiti e curati in appositi centri, in seguito agli accordi intercorsi tra Churchill e Tito.

Questi avvenimenti sono ben ricordati anche da “Drago” e da Bukovac. I combattenti jugoslavi erano ospitati in centri di raccolta, ricoverati in ospedali, addestrati militarmente in località sparse in tutta la regione da Bari fino al Salento passando per Gravina e Grumo Appula. A Gravina un’epigrafe tuttora collocata all’ospedale ricorda i medici partigiani jugoslavi che prestarono opera di generosa assistenza medica al popolo nel 1944 – 45. A Grumo Appula è rimasta traccia della presenza dei soldati jugoslavi presso l’attuale scuola elementare (allora ospedale militare), e traccia della sepoltura di molte decine di loro nel locale cimitero, dove esiste una stele con iscrizione in serbocroato “riscoperta” solo di recente. La principale testimonianza, però, è nel cimitero di Barletta che ospita l'altro impressionante Sacrario jugoslavo, in cui giacciono le spoglie di oltre 800 partigiani jugoslavi.

Molti ex combattenti jugoslavi sono tornati varie volte in Italia, in forma privata o ufficiale, a ritrovare i loro compagni di lotta, i vecchi amici, le persone che fraternamente li avevano protetti e nascosti. Sempre sono stati “accolti come fossero fratelli per tanto tempo rimasti lontano da casa”. (7) Ciononostante, il complesso delle loro vicende è stato via via avvolto dall'oblio. Il mancato approfondimento sul contributo degli jugoslavi alla Resistenza Italiana ha causato, a nostro avviso, un danno imperdonabile e probabilmente irreparabile, per lo meno dal punto di vista strettamente storiografico, ma anche dal punto di vista sociale e politico, per il mancato consolidarsi dei legami di fratellanza e solidarietà. Crediamo di non allontanarci dal vero se affermiamo che la mancata comprensione da parte italiana della tragedia Jugoslavia alla fine del XX secolo, con la cancellazione sanguinosa dello Stato unitario degli "slavi del sud", sia stata anche frutto di questo colpevole oblio. In ogni caso questo vuoto storiografico, sul quale noi interveniamo adesso apponendo il nostro enorme "punto interrogativo", dovrà essere oggetto di una riflessione collettiva e di serie, anche se talora assai scomode, considerazioni storiche e politiche.

Il progetto Partigiani Jugoslavi in Appennino si sta concretizzando in queste settimane nella preparazione di un primo testo, di carattere sintetico-divulgativo corredato di materiali fotografici e tabelle, che contiamo di dare alle stampe entro il 65.mo della Liberazione. Si tratta di un testo scritto a più mani, con il coinvolgimento e l'aiuto di alcuni storici professionisti. (8) Altra documentazione che stiamo raccogliendo – ad esempio, interviste e riprese video – potrebbe essere utilizzata successivamente per interventi multimediali. Saranno approntate anche alcune pagine internet con le informazioni essenziali. Si tratta comunque di un lavoro collettivo, per il quale potrebbero ancora rivelarsi preziosi i contributi di chiunque abbia informazioni o documentazione inedita da fornire. (9)

               

Andrea Martocchia

Susanna Angeleri

per il Progetto Partigiani Jugoslavi in Appennino



Note:
1) Curata da P. Secchia e E. Nizza, La Pietra, Milano 1976
2) “Il dramma del popolo giuliano-dalmata è stato creato da un moto d'odio e furia sanguinaria, e dal piano slavo annessionista che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica”: questa la posizione del presidente Napolitano sulla Resistenza jugoslava, espressa in forma pubblica nel febbraio 2007 creando tra l'altro un incidente diplomatico con la Croazia.
3) Si ricorda in particolare la figura di Milan Tomović, ucciso da una malattia respiratoria contratta durante la guerra e sepolto a Perugia.
4) In particolare la testimonianza di Bukovac è stata raccolta da Carlo Spartaco Capogreco nel suo “Renicci – Un campo di concentramento in riva al Tevere” (Fondazione Ferramonti, 1998) dove si analizzano sia le prime forme di resistenza dei reclusi, sia le successive vicende di quelli che, dopo l’8 Settembre, si unirono alla Resistenza Italiana.
5) Intervista a cura di C.S. Capogreco, vedi nota 4.
6) Una brigata era comandata da un certo “Battista”, di Lubiana. Una delle divisioni , la “Garibaldi – Mingo”, era comandata dallo jugoslavo Grga “Boro” Čupić, già detenuto nel campo di internamento di Fossano in provincia di Cuneo.
7) G. Mari: “La Resistenza in Provincia di Pesaro e la partecipazione degli jugoslavi”, Pesaro 1964.
8) In questa sede non possiamo elencare il grande numero di persone a cui siamo grati e che ci stanno aiutando, alcune delle quali appariranno come coautori del testo che sarà dato alle stampe.
9) Invitiamo a contattarci all'indirizzo: partigiani7maggio @ tiscali.it