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Milosevic i Vidovdan 1989 - 2009

1) Il discorso di Slobodan Milosevic a Campo dei Merli (Kosovo-Metohija) per "Vidovdan" (28 giugno) 1989

2) Slobodan Milošević – Poslednji intervju (PECAT broj 69/2009)
(l'ultima intervista a Slobodan Milosevic - 8/3/2006, tre giorni prima dell'assassinio nel carcere di Scheveningen)


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(Govor Slobodana Milosevica na Gazimestanu za Vidovdan 1989. god.:


TESTO DEL DISCORSO DI SLOBODAN MILOSEVIC, 28 GIUGNO 1989


dinanzi ad un milione di persone convenute a Gazimestan, nella piana di Campo dei Merli ("Kosovo Polje"), nel seicentesimo anniversario della omonima battaglia



  Circostanze sociali hanno fatto sì che questo grande seicentesimo anniversario della battaglia di Kosovo Polje abbia luogo in un anno in cui la Serbia, dopo molti anni, dopo molte decadi, ha riottenuto la sua integrità statale, nazionale, e spirituale. (1) Perciò non è difficile per noi oggi rispondere alla vecchia domanda: come ci porremo davanti a Milos? (2) Guardando a tutto il corso della storia e della vita sembra che la Serbia abbia, proprio in questo anno, nel 1989, riottenuto il suo Stato e la sua dignità e perciò che abbia celebrato un evento del passato remoto che ha un grande significato storico e simbolico per il suo futuro.


  Oggi come oggi è difficile dire quale sia la verità storica sulla battaglia del Kosovo, e che cosa sia solo leggenda. Oggi come oggi questo non ha più importanza. Oppressa dalla sofferenza ma piena di fiducia, la popolazione era solita rievocare e dimenticare, come in fondo tutte le popolazioni del mondo fanno, e si vergognava del tradimento e glorificava l'eroismo. Perciò è difficile dire oggi se la battaglia del Kosovo fu una sconfitta o una vittoria per la gente serba, se grazie ad essa fu precipitata nella schiavitù o se ne sottrasse. (3)

Le risposte a queste domande saranne sempre cercate dalla scienza e dal popolo. Quello che è stato certo attraverso i secoli fino ai nostri giorni è che la discordia si abbattè sul Kosovo seicento anni fa. Se perdemmo la battaglia, non deve essere stato solamente il risultato della superiorità sociale e del vantaggio militare dell'Impero Ottomano, ma anche della tragica divisione nella leadership dello Stato serbo a quel tempo. In quel lontano 1389, l'Impero Ottomano non fu solamente più forte di quello dei serbi, ma ebbe anche una sorte migliore che non il regno serbo.


  La mancanza di unità ed il tradimento in Kosovo continueranno ad accompagnare il popolo serbo come un destino diabolico per tutto il corso della sua storia. (4) Persino nell'ultima guerra, questa mancanza di unità ed il tradimento hanno gettato il popolo serbo e la Serbia in una agonia, le conseguenze della quale in senso storico e morale hanno sorpassato l'aggressione fascista. (5)


  Anche in seguito, quando fu messa in piedi la Jugoslavia socialista, in questo nuovo Stato la leadership serba continuava ad essere divisa, disposta al compromesso a detrimento del suo stesso popolo. Le concessioni che molti leaders serbi fecero a spese del loro popolo non erano storicamente ne' eticamente accettabili per alcuna nazione del mondo, (6) specialmente perché i serbi non hanno mai fatto guerra di conquista o sfruttato altri nel corso della loro storia. Il loro essere nazionale e storico è stato di carattere liberatorio durante tutti i secoli e nel corso di entrambe le guerre mondiali, ed ancora oggi. I serbi hanno liberato se' stessi e quando hanno potuto hanno anche aiutato altri a liberarsi. Il fatto che in questa regione siano una nazionalità maggioritaria non è un peccato od una colpa dei serbi: questo è un vantaggio che essi non hanno usato contro altri, ma devo dire che qui, in questo grande, leggendario Campo dei Merli, i serbi non hanno usato il vantaggio di essere grandi neppure a loro beneficio.


  A causa dei loro leaders e dei loro uomini politici, e di una mentalità succube, si sentivano colpevoli dinanzi a loro stessi ed agli altri. Questa situazione è durata per decenni, è durata per anni, e ci ritroviamo adesso a Campo dei Merli a dire che le cose ora stanno diversamente.


  La divisione tra i politici serbi ha nuociuto alla Serbia, e la loro inferiorità l'ha umiliata. Perciò, nessun posto in Serbia è più adeguato, per affermare questo, della piana del Kosovo, nessun posto in Serbia è più adeguato della piana del Kosovo per dire che l'unità in Serbia porterà la prosperità al popolo serbo in Serbia ed a ciascuno dei cittadini della Serbia, indipendentemente dalla sua nazionalità o dal suo credo religioso.


  La Serbia oggi è unita e pari alle altre repubbliche, ed è pronta a fare ogni cosa per migliorare la sua posizione economica e sociale, e quella dei suoi cittadini. Se c'è unità, cooperazione e serietà, si riuscirà nell'intento. Ecco perchè l'ottimismo che è oggi in larga misura presente in Serbia, riguardo al futuro, è realistico, anche perché è basato sulla libertà che rende possibile a tutta la popolazione di esprimere le sue capacità positive, creative ed umane, allo scopo di migliorare la vita sociale e personale.


  In Serbia non hanno mai vissuto solamente i serbi. Oggi, più che nel passato, pure componenti di altri popoli e nazionalità ci vivono. Questo non è uno svantaggio per la Serbia. Io sono assolutamente convinto che questo è un vantaggio. La composizione nazionale di quasi tutti i paesi del mondo oggi, e soprattutto di quelli sviluppati, si è andata trasformando in questa direzione. Cittadini di diverse nazionalità, religioni, e razze sempre più spesso e con sempre maggior successo vivono insieme.


  In particolare il socialismo, che è una società democratica progressista e giusta, non dovrebbe consentire alle genti di essere divise sotto il profilo nazionale o sotto quelo religioso. Le sole differenze che uno potrebbe e dovrebbe consentire nel socialismo sono tra quelli che lavorano sodo ed i fannulloni, ovvero tra gli onesti ed i disonesti. Perciò, tutte le persone che in Serbia vivono del loro lavoro, onestamente, rispettando le altre persone e le altre nazionalità, vivono nella loro Repubblica.


Dopotutto, l'intero nostro paese dovrebbe essere fondato sulla base di questi principi. La Jugoslavia è una comunità multinazionale e può sopravvivere solo alle condizioni della eguaglianza piena per tutte le nazioni che ci vivono.


  La crisi che ha colpito la Jugoslavia ha portato con se' divisioni nazionali, ma anche sociali, culturali, religiose, e molte altre meno importanti. Tra queste divisioni, quelle nazionalistiche hanno dimostrato di essere le più drammatiche. Risolverle renderà più semplice rimuovere altre divisioni e mitigare le conseguenze che esse hanno creato.


  Da quando esistono le comunità plurinazionali, il loro punto debole è sempre stato nei rapporti tra le varie nazionalità. La minaccia è che ad un certo punto emerga il dubbio che una nazione sia messa in pericolo dalle altre - e questo può dare il via ad una ondata di sospetti, di accuse, e di intolleranza, una ondata che necessariamente cresce e si arresta con difficoltà. Questa minaccia è stata appesa come una spada sulle nostre teste per tutto il tempo. Nemici interni ed esterni delle comunità multinazionali sono coscienti di questo e perciò organizzano la loro attività contro le società plurinazionali, soprattutto fomentando i conflitti nazionali. A questo punto, noi qui in Jugoslavia ci comportiamo come se non avessimo mai avuto una esperienza del genere e come se nel nostro passato recente e remoto non avessimo mai vissuto la peggiore tragedia, in tema di conflitti nazionali, che una società possa mai vivere ed a cui possa mai sopravvivere.


  Rapporti equi ed armoniosi tra i popoli jugoslavi sono una condizione necessaria per l'esistenza della Jugoslavia e perchè essa trovi la sua via d'uscita dalla crisi, ed in particolare essi sono condizione necessaria per la sua prosperità economica e sociale. A questo riguardo la Jugoslavia non si pone al di fuori del contesto sociale del mondo contemporaneo, in particolare di quello sviluppato. Questo mondo è sempre più contrassegnato dalla tolleranza tra nazioni, dalla cooperazione tra nazioni, ed anche dalla eguaglianza tra nazioni. Il moderno sviluppo economico e tecnologico, ed anche quello politico e culturale, hanno condotto i vari popoli l'uno verso l'altro, rendendoli interdipendenti e sempre più paritari. Popoli eguali ed uniti tra loro possono soprattutto diventare parte della civiltà verso cui si dirige il genere umano. Se noi non possiamo essere alla testa della colonna che guida la suddetta civiltà, sicuramente non c'è nessuna ragione nemmeno per rimanere in fondo.


  Ai tempi di questa famosa battaglia combattuta nel Kosovo, le genti guardavano alle stelle attendendosi aiuto da loro. Adesso, sei secoli dopo, esse guardano ancora le stelle, in attesa di conquistarle. Nel primo caso, potevano ancora permettersi di essere disunite e di coltivare odio e tradimento perché vivevano in mondi più piccoli, solo poco legati tra loro. Adesso, come abitanti di questo pianeta, non possono conquistare nemmeno il loro stesso pianeta se non sono unite, per non parlare degli altri pianeti, a meno che non vivano in mutua armonia e solidarietà.


  Perciò, le parole dedicate all'unità, alla solidarietà, alla cooperazione tra le genti non hanno significato più grande in alcun luogo della nostra terra natia di quello che hanno qui, sul campo del Kosovo, che è simbolo di divisione e di tradimento.


  Nella memoria del popolo serbo, questa disunione fu decisiva nel causare la perdita della battaglia e nell'arrecare il destino che che gravò sulla Serbia per ben sei secoli.


  Ma se pure da un punto di vista storico le cose non andarono così, rimane certo che il popolo considerò la divisione come il suo peggior flagello. Perciò è un obbligo per il popolo rimuovere le divisioni, così da potersi proteggere dalle sconfitte, dai fallimenti, e dalla sfiducia nel futuro.


  Quest'anno il popolo serbo ha compreso la necessità della mutua armonia come condizione indispensabile per la sua vita presente e per gli sviluppi futuri.


  Io sono convinto che questa coscienza dell'armonia e dell'unità renderà possibile alla Serbia non solo di funzionare in quanto Stato, ma di funzionare bene. Perciò io credo che abbia senso dirlo qui, in Kosovo, dove quella divisione un tempo fece precipitare la Serbia tragicamente all'indietro di secoli, mettendola a repentaglio, e dove l'unità rinnovata può farla avanzare e farle riacquistare dignità. Questa coscienza dei reciproci rapporti costituisce una necessità elementare anche per la Jugoslavia, perchè il suo destino è nelle mani unite di tutti i suoi popoli.


  L'eroismo del Kosovo ha ispirato la nostra creatività per sei secoli, ed ha nutrito il nostro orgoglio e non ci consente di dimenticare che un tempo fummo un'esercito grande, coraggioso ed orgoglioso, uno dei pochi che non si potevano vincere nemmeno nella sconfitta.


  Sei secoli dopo, adesso, noi veniamo nuovamente impegnati in battaglie e dobbiamo affrontare battaglie. Non sono battaglie armate, benché queste non si possano mai escludere. Tuttavia, indipendentemente dal tipo di battaglie, nessuna di esse può essere vinta senza determinazione, coraggio, e sacrificio, senza le qualità nobili che erano presenti qui sul campo del Kosovo nei tempi andati. La nostra battaglia principale adesso riguarda il raggiungimento della prosperità economica, politica, culturale, e sociale in genere, perché si trovi un approccio più veloce ed efficace verso la civiltà nella quale la gente vivrà nel XXImo secolo. Per questa battaglia noi abbiamo sicuramente bisogno di eroismo, naturalmente un eroismo di un tipo un po' diverso; ma quel coraggio senza il quale non si ottiene niente di serio e di grande resta resta immutato, e resta assolutamente necessario.


  Sei secoli fa, la Serbia si è eroicamente difesa sul campo del Kosovo, ma ha anche difeso l'Europa. A quel tempo la Serbia era il bastione a difesa della cultura, della religione, e della società europea in generale. Perciò oggi ci sembra non solo ingiusto, ma persino antistorico e del tutto assurdo parlare della appartenenza della Serbia all'Europa. La Serbia è stata una parte dell'Europa incessantemente, ed ora tanto quanto nel passato, ovviamente nella sua maniera specifica, ma in una maniera che non l'ha mai privata di dignità in senso storico.

È con questo spirito che noi ci accingiamo adesso a costruire una società ricca e democratica, contribuendo così alla prosperità di questa bella terra, questa terra che ingiustamente soffre, ma contribuendo anche agli sforzi di tutti i popoli della nostra era lanciati verso il progresso, sforzi che essi compiono per un mondo migliore e più felice.


  Che la memoria dell'eroismo del Kosovo viva in eterno!

  Viva la Serbia!

  Viva la Jugoslavia!

  Viva la pace e la fratellanza tra i popoli!



Fonte: National Technical Information Service, Dept. of Commerce, USA

Traduzione a cura del Coordinamento Romano per la Jugoslavia, 1999


NOTE: 

(1)  Si riferisce alla abrogazione della "autonomia speciale", in vigore nella regione del Kosovo dal 1974, che le garantiva uno status di settima Repubblica jugoslava "de facto".

(2) Milos Obilic, leggendario eroe della battaglia del Kosovo.

(3) Storicamente la Battaglia di Campo dei Merli non rappresentò ancora lo smembramento del Regno di Serbia, che avvenne infatti solo settanta anni dopo.

(4) Non a caso le "quattro esse" cirilliche della bandiera tradizionale serba significano "Samo Sloga Srbe Spasava", ovvero: "solo la concordia salverà i serbi".

(5) Milosevic si riferisce forse all'alleanza con l'Asse, voluta da alcuni dirigenti monarchici nel 1941 ma subito rigettata dal popolo belgradese secondo il celebre slogan "Bolje rat nego pakt" ("Meglio la guerra che il patto"); oppure al governo collaborazionista filo-tedesco di Nedic; o ancora alla alleanza dei cetnici con il nazismo tedesco dopo la capitolazione dell'Italia, in funzione anticomunista.

(6) Si riferisce evidentemente alla strutturazione della Serbia in Repubblica con due regione autonome con diritto di veto, quasi Repubbliche a se stanti, in base alla riforma costituzionale del 1974.





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Slobodan Milošević – Poslednji intervju

Broj 69 | Piše: Miodrag Vujović • 25. jun 2009

Povodom jednog od najvećih srpskih praznika Vidovdana i osme godišnjice sramnog događaja koji je obeležio noviju srpsku istoriju, kidnapovanja i izručivanja Hagu državnika Slobodana Miloševića, „Pečat“ objavljuje poslednji intervju nekadašnjeg predsednika Srbije, SR Jugoslavije i Socijalističke partije Srbije, koji je pre tri godine 11. marta ubijen u ćeliji Haškog tribunala u Ševeningenu. Poslednji intervju Slobodan Milošević je dao krajem 2000. godine gostujući kod Miodraga Vujovića na televiziji „Palma“. Intervju prenosimo u integralnoj verziji, uz neznatna priređivačka skraćenja, i uz samo nužne lektorske intervencije.

Pre nekoliko dana održan je Peti vanredni kongres SPS-a; u javnosti je bilo raznih komentara i ocena, pa vas molim da vi date svoju ocenu i svoj komentar.

Najkraće rečeno, verujem da u ovo teško vreme bezakonja, tenzija i sukoba ne postoji nijedna partija na Balkanu koja bi mogla da održi ovakav kongres, koji je potvrdio da je SPS najveća i najjača partija na ovom prostoru jugoistočne Evrope. Taj kongres je učvrstio jedinstvo partije, potvrdio najznačajnije vrednosti programa SPS-a, učvrstio jedinstvo činjenicom da je samo jedan mali broj članova SPS iz rukovodstva otišao iz partije. A kada iz partije odu oni koji su u partiju ušli iz koristoljublja, ili oni koji su se uplašili, ili imaju drugi motiv, kako bi u drugoj sredini obezbedili sebi položaj, promociju ili zaštitu materijalnih vrednosti; kada odu takvi, onda ta partija ne slabi, već jača. Nama, kao velikoj i snažnoj partiji, odgovara da jedno vreme budemo opozicija, i da se oslobodimo tereta koji nosi vlast, jer je logično da je u partiju dosta ljudi ušlo iz koristoljublja. Ispostavilo se da je taj broj manji. Partija je zato danas jača, i može uspešno da se bori. Tu postoji nešto što je očigledno: ako ste vi uvereni u ispravnost svoga programa – kao što je SPS uveren u ispravnost borbe za besplatno lečenje i školovanje, borbe za one koji žive od svog rada – onda partija i svaki pojedinac u njoj ne može da ima ta uverenja samo dotle dok ima većinsku podršku, nego mora da ih sačuva i kada ima manjinsku podršku, mora i tada da se bori za svoja uverenja, kako bi mogao da ih sprovede. Inače, na šta bi ličili partija i njeni pojedinci? Ako u situaciji kada imam manjinsku podršku menjam i partiju i uverenja – to ne vodi ničemu. A upravo je naša partija pokazala visoki moral i patriotizam. Zato sam vrlo zadovoljan ishodom. Pre kongresa smo doneli samo jednu, ali ključnu odluku, a to je da delegati moraju biti izabrani tajnim glasanjem. To je bila najbolja i najčvršća garancija da će biti izabrani.

Da li se osećate izdanim, ili prevarenim, s obzirom na to da su vas izdali ljudi koji su vam bili bliski saradnici?

To je bio deo onoga što sam sebi mogao da stavim kao primedbu, da sam imao previše poverenja u neke pojedince u koje nije trebalo da imam poverenja. Međutim, ja i danas mislim da bez poverenja u ljude, ne samo da ne može da se radi, već ne može ni da se živi. I ponovo bih imao poverenja u ljude. Sigurno ne u te iste, ali poverenje u ljude je osnov za svakog uspešnog radnika. Kako uopšte zamišljate da neko može da vodi državu, a da nema poverenja u one koji se nalaze na čelu ključnih resora, na čelu ključnih institucija, velikih partijskih organizacija, bitnih pozicija u strukturi društvene odgovornosti. Ponovo bih imao poverenja u ljude. To ne bih personalizovao, jer personalizacija je, rekao bih, zakivanje određenih stavova.

Upotrebili ste reči „bezakonje“ i „sila“. Molim vas da date ocenu sadašnje situacije u zemlji.

Već sam dao. I dalje sam uveren da je borba mirnim, demokratskim sredstvima jedini mogući izlaz. Dok smo mi držali poluge vlasti, sprečili smo sukobe i krvoproliće. To je obaveza svake vlasti.

Molim vas da prokomentarišete izbore 24. septembra i događaje 5. oktobra iz vašeg ugla.

Moj ugao sigurno se ne razlikuje od viđenja većine građana naše zemlje. Izbori su održani pod jednim ogromnim spoljnim pritiskom, pod veoma jasno izraženim pretnjama novom invazijom, novim sankcijama, pod jednim prstenom medijske blokade i medijskog pritiska i rata koji se vodio, tako da uprkos tome njihova unutrašnja regularnost sigurno nije mogla da izrazi ono što predstavlja autentičnu volju građana.

Analitičari, naročito u medijima, tvrde da ste vi direktni krivac za događaje od 5. oktobra, jer niste na vreme priznali poraz.

Ja sam konstatovao izborni rezultat sat nakon što sam ga čuo. Kada sam čuo za odluku Ustavnog suda. Sada čujem da odluka tog suda nije onakva kakva je emitovana. Ali nemam nameru da se bavim sadržinom odluka Ustavnog suda.

Posle događaja od 5. oktobra mediji su puni optužbi i primedbi protiv vas, i to najšireg spektra. Od toga da ste bili diktator do toga da ste ste omogućavali kriminal. Vi ste prvi predsednik u drugoj polovini 20. veka koga je srpski narod imao prilike da izabere na slobodnim izborima. Bili ste predsednik 10 godina. Nesporno je da ste najuticajnija politička figura, ne samo u ovoj zemlji, nego i šire. Kako se osećate kada do vas dođu takve ocene?

To nije ništa novo. Deset godina su takve ocene i komentari bili u svim sredstvima informisanja u zemljama, silama koje su nastojale da rasture prethodnu Jugoslaviju i u opozicionim glasilima za vreme tog, kako oni sada kažu, diktatorskog režima u kome je država, možda, imala nekoliko medija. A nekih 2.000 medija u zemlji, to vi dobro znate kao novinar, bilo je u privatnim rukama. Sada kažete sve novine. Sada nema potrebe uopšte da se kaže sve novine. Sve novine pišu isto. Sada opozicione štampe nema. Sada je potpuni medijski mrak. A pozadina i motivi su potpuno isti. Početkom devedesetih cilj je bio, taj glavni cilj medijskog rata, koji je vođen protiv naše zemlje, da se satanizuje ceo srpski narod, pogotovo da se satanizuje njegovo rukovodstvo. Sada su tu ulogu satanizacije rukovodstva  i mene i moje porodice, zbog mene, preuzeli mediji koji su i nastali pod uticajem onih koji su vodili bitku za rasturanje Jugoslavije. Cilj je uvek bilo rasturanje Srbije, a ne nešto drugo. A ovo su sredstva koja su upotrebljena u toj funkciji.

Više u 69. broju magazina “Pečat”


(english / francais. 

In italiano sull'argomento segnaliamo:

Patriottismo d’autostrada
15.06.2009    scrive Marjola Rukaj
Alla vigilia della elezioni politiche Sali Berisha inaugura un tratto dell’autostrada che collegherà l’Albania al Kosovo. La più grande opera pubblica della storia albanese viene presentata dal premier in chiave patriottica. Le critiche dell’opposizione e degli analisti

Segnaliamo anche il video della cerimonia di completamento del tunnel dell'autostrada; un vero e proprio show dei nazionalisti pan-albanesi, che ha visto come protagonisti Sali Berisha e Hashim Thaci mentre era sventolata la bandiera degli Stati Uniti d'America:


=== ENGLISH ===

http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2009&mm=05&dd=31&nav_id=59510

Beta News Agency - May 31, 2009

Kosovo, Albania "connect divided nation" 


PRISTINA - At midday in Sunday, Albanian PM Sali Berisha and his Kosovo Albanian government counterpart Hashim Thaci opened a highway tunnel.

The 5.6-kilometer long tunnel is a part of the Durres-Kukes-Pristina highway. The pair, along with other officials from Tirana and Pristina, "symbolically met in the middle of the tunnel", reports said.

Albanian language media described this as a "historic meeting that signifies the connecting of a divided nation". 

"Today, one of the Albanians' most beautiful dreams has become reality. This is a tunnel of the unification of the nation. Today we decided that there are no obstacles, that there is nothing that can divide us, not only spiritually, but also physically," Thaci was quoted as saying. 

He also referred to the highway as the "Albanians' masterpiece", that will serve the well-being of the "entire region". 

"We have today inaugurated a tunnel that connects not only Albanians among themselves, but Albanians with other nations of the region. Albania's seaside will serve not only to Albanians but the whole region," said Berisha. 

Thaci continued to dub the road to be one of "hope and integration". 

"This is a highway of hope, trust, peace, stability integrations in the whole region. It's a road of a new century," he stated, and added that the day was "great for Albanians no matter where they live". 

"Tirana and Priština are closer to each other than ever before and it will remain that way. The main element of this spiritual, moral and physical closeness is Kosovo's independence," Thaci was quoted. 

He was also heard saying that the road will give Kosovo "sea access" and that he expects it will "significantly influence the economic development of Albania and Kosovo", but also, "of the entire region". 

The works on the highway will cost Albania one billion euros, while the job was awarded to U.S. company Bechtel-Enka. 

The road is set to open in late June, and is expected to cut travel time to about three hours for those going from Priština to Tirana via Durres.  

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LINKS:

Contractors Pressured to Open Albania-Kosovo Road Before Election

Government pressure on project designers to finish the tunnel works on the highway before the June 28 poll is raising serious safety concerns.

Tirana | 12 June 2009 | By Gjergj Erebara



=== FRANCAIS ===


Autoroute Tirana-Pristina : « la route de la Grande Albanie » ?


Mise en ligne : lundi 13 avril 2009
Une autoroute va bientôt relier l’Albanie au Kosovo. Le gouvernement Berisha est décidé à terminer cet immense chantier avant les élections parlementaires du 28 juin, malgré les scandales de corruption. Le 31 mai, le tunnel Rreshen-Kalimash a été inauguré par les Premiers ministres d’Albanie et du Kosovo, mais le reste du chantier est loin d’être achevé. Sali Berisha s’est pourtant engagé à inaugurer coûte que coûte l’autoroute le 25 juin, au risque de sacrifier les règles de sécurité ?

En savoir plus

 Segment Rreshen-Kalimash : 61 kilomètres, coût estimé : plus d’un milliard d’euros, entreprise contractante : consortium américano-turc Bechtel-Enka  Tunnel de Kalimash : 5,6 kilomètres  10 avril 2009 : le ministre Lulzim Basha est acquitté des accusations de corruption par la Cour suprême d’Albanie

 31 mai 2009 : percement du tunnel Rreshen-Kalimash

 25 juin 2009 : date prévue pour l’inauguration de l’autoroute

 28 juin : élections parlementaires en Albanie
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LIENS:


Autoroute Kosovo-Albanie : voter ou conduire, il faut choisir !

L’autoroute Pristina-Tirana pourra-t-elle bien être inaugurée le 25 juin, trois jours avant les élections parlementaires albanaises ? Le gouvernement de Tirana multiplie les pressions sur les entreprises responsables du chantier, au point que certains craignent que trop de hâte n’amène à négliger les règles de sécurité. De toute manière, même si le segment Rreshën/Kalimash peut être inauguré à temps, le reste du chantier ne sera pas achevé avant 2012...

Par Gjergj Erebara - BIRN - 12 juin 2009



Autoroute Albanie - Kosovo : inauguration du « tunnel de l’union » de la nation albanaise

A quelques semaines des élections législatives du 28 juin prochain, Sali Berisha le Premier ministre albanais, a inauguré en grande pompe le tunnel de Kalimash, le dernier tronçon de l’autoroute qui doit relier à terme Tirana à Pristina. Accompagné d’Hashim Thaçi, le Premier ministre du Kosovo, il a évoqué les bénéfices économiques que tirerons de ce nouvel axe les populations des deux pays, mais surtout le « rêve panalbanais » qu’il permettra enfin de réaliser.


Entre Pristina et Tirana, l’autoroute de la « Grande Albanie » ?

« S’il le faut, nous vendrons les bijoux de nos femmes pour finir cette autoroute », a déclaré le premier ministre albanais Sali Berisha. Le devis de la liaison Tirana-Pristina dépasse déjà le milliard d’euros. Ce projet pharaonique vise à développer les relations économiques entre Albanie et Kosovo, mais ne s’agit-il pas aussi d’un pas vers la « Grande Albanie » ? Pour l’immédiat, une certitude : ses enjeux financiers sont colossaux, notamment pour la société Bechtel, qui réaliserait une marge bénéficiaire de 44 %.

Par Jean-Arnault Dérens et Laurent Geslin - Le Monde Diplomatique - Mai 2009



Autoroute Kosovo-Albanie : effondrement dans le tunnel entre Rreshen et Kalimash

La construction du tunnel qui relie Rreshen à Kalimash, en Albanie, ne doit s’arrêter à aucun prix. Pas même en raison des effondrements qui menacent quotidiennement les ouvriers et la progression du chantier. Dernière pièce de l’autoroute qui doit à terme relier la côte albanaise au Kosovo, le tunnel de Rreshen-Kalimash mesurera, une fois terminé, 5,5 kilomètres. Les travaux sont supposés s’achever en juin, avant les élections législatives...

Gazeta Shqiptare - 29 mars 2009

Albanie : l’aéroport fantôme de Kukës

Qui connaît l’aéroport de Kukës ? Terminé en 2007 et « offert » par les Émirats arabes unis à l’Albanie, il est depuis désespérément vide. De fait, si cet aéroport a vocation à ouvrir un débouché commercial à l’est du Kosovo, la crise économique semble avoir « plombé » les perspectives de développement. Autre problème, la compagnie Tirana Airport Partners, qui gère l’aéroport de Tirana-Rinas, jouit pour 20 ans d’une exclusivité sur les activités aéroportuaires en Albanie.

Shekulli - 21 mars 2009



Entre le Kosovo et l’Albanie, « l’autoroute de la corruption » ?

Le « chantier du siècle » avance vite dans les montagnes du nord de l’Albanie. Une autoroute doit relier le port de Durrës à la ville de Kukës et au poste frontalier de Murinë, avec le Kosovo. Cependant, de nombreux scandales accompagnent les travaux : irrégularités dans la procédure d’appel d’offres, qui a donné l’avantage à l’entreprise américaine Bechtel, explosion des coûts. Principale personnalité mise en cause : l’ancien ministre des Transports Lulzim Basha, un proche de Sali Berisha, aujourd’hui ministre des Affaires étrangères. Le Parquet vient d’ouvrir une enquête contre lui.

Shqip - 11 décembre 2008



Kosovo : demain, la route de la « Grande Albanie » ?

Une route moderne doit relier le Kosovo au port de Durrës, sur la côte albanaise, via les montagnes du nord de l’Albanie. Plaidoyer en faveur de ce projet, dont les retombées économiques et touristiques seront majeures, mais qui permettrait aussi au Kosovo de ne plus dépendre de la Serbie. Pour le journaliste Blendi Fevziu, cette route « pan-albanaise » marquera l’« unification » tant attendue de la nation albanaise...

Expres - 1er novembre 2007



Sali Berisha veut une autoroute pour relier Albanie et Kosovo

Le gouvernement albanais a décidé d’ouvrir le chantier de l’autoroute Durrës-Kukës, 170 kilomètres à travers la montagne, depuis la côte albanaise jusqu’aux frontières du Kosovo. Le FMI et la Banque mondiale sont sceptiques et ne veulent pas financer cette « autoroute pan-albanaise », dont l’intérêt est plus idéologique qu’économique. Berisha n’en a cure et lance les travaux. L’Albanie « doit compter sur ses propres forces ». Comme au bon vieux temps d’Enver Hoxha.

Osservatorio Balcani - 13 décembre 2006




Chi è Mir-Hussein Mussavi?

Cosa hanno in comune l’ultrà neocon Michael Ledeen, amico dei fascisti italiani, il saudita Adnan Kashoggi, massimo mercante d’armi mondiale con logo Cia e Mir-Hussein Musavi?
Sono tutti amici e associati di Manucher Ghorbanifar, anche lui grande mercante d’armi, doppio agente iraniano del Mossad, figura centrale nella porcata Iran/Contra, l’affare triangolare armi in cambio di ostaggi e dell’assalto all’Iraq messo in piedi con i persiani di Khomeini e Musavi dall’amministrazione Reagan.

Del compare di Mussavi, Ghorbanifar, si legge nel rapporto Walsh su Iran/Contra: “Ghorbanifar, informatore Cia, fiduciario del primo ministro Musavi, si fece prestare da Kashoggi milioni di dollari, con pieno consenso di Washington, per l’acquisto delle armi israeliane da usare per distruggere l’Iraq (colpevole di aver creato il Fronte del rifiuto contro la svendita egiziana di arabi e palestinesi a Tel Aviv e Washington) Ottenuti fondi dal governo di Tehran, Ghorbanifar compensò Kashoggi con una tangente del 20% . Sfiduciato in un primo momento da Khomeini, Ghorbanifar rientrò nel gioco diventando il fiduciario e braccio operativo di Mir-Hossein Musavi, primo ministro iraniano. A questo proposito, ecco il commento di Michael Ledeen, allora consulente del Pentagono per l’antiterrorismo, sulla coppia di compari: “Si tratta delle persone più oneste, istruite e affidabili che abbia conosciuto”. Per altri si tratta di bugiardi che non saprebbero dire la verità sugli abiti che indossano”.

Il rapporto Walsh si dilunga poi su certe lamentele di Musavi al presidente Reagan per una spedizione di elicotteri Hawk non corrispondenti al modello ordinato (dovevano servire contro l’opposizione laica e di sinistra non ancora del tutto domata e contro l’Iraq). E aggiunge: “All’inizio di maggio, 1985, il colonello Oliver North (il gangster che raggirò il Congresso per occultare l’operazione Contra), il capostazione Cia, George Cave, Ghorbanifar e Musavi si incontrarono a Londra per discutere questa ed altre collaborazioni Iran-Usa-IsraeleLedeen fu incaricato di informarsi presso il primo ministro israeliano, Shimon Peres, sul suo accesso a buone fonti e a buoni contatti in Iran. Israele diede garanzie in tal senso e Reagan approvò che all’Iran di Mussavi si spedissero missili Usa Tow in cambio del rilascio degli ostaggi statunitensi in mano alla resistenza libanese. Il capo della Cia, Casey, raccomandò che il Congresso fosse tenuto all’oscuro di tutto l’affare”.
ll rapporto di amicizia e collaborazione tra LedeenGhorbanifar e il candidato “riformista” Musavi resistette nel tempo, fino ad alimentare il sostegno dei “moderati” Usa alla candidatura del provato fiduciario. Fino all’attuale tentativo di regime change alla serba, o all’ucraina

Davvero un bell’eroe riformista che s’è scelto la sinistra italiota.

(...) E’ così che si sostiene l’autodeterminazione dei popoli? Mettendovi a capo spioni dell’impero, chiamandone i manichini estratti dal sangue dei loro popoli “governo”, “presidente”, “primo ministro”, come una qualsiasi Ong di merda?

Sempre su questa linea quattro donne stronze, quattro studenti imbecilli, indegni dell’Onda, quattro fascisti revanscisti, un capopartito che di politica internazionale ne capisce quanto io di astrofisica (Di Pietro), hanno fatto casino contro Muhammar Gheddafi, il dittatore, il pagliaccio. E quando sono venuti il nazista nucleare Lieberman, l’assassino seriale Olmert, il licantropo in gonnella Condoleezza, il fantoccio Karzai, il macellaio Uribe? Zitti e mosca. Prima di aprire bocca su un presidente di un paese che dal buco nero del colonialismo ha tirato fuori un popolo e gli ha dato dignità e benessere, dove le leggi vengono formulate e votate da assemblee di popolo, costoro dovrebbero sfondarsi il petto di mea culpa per i connazionali che, tra il 1911 e il 1941, hanno massacrato un libico su sette, ne hanno gassato, torturato e impiccato decine di migliaia, sono corresponsabili della catastrofe inflitta all’Africa intera dal colonialismo europeo. Quella catastrofe per la quale  la Libia  diventa l’imbuto in cui finiscono i profughi delle tragedie sociali, politiche, ambientali da noi provocate in tutto il continente. E’ Gheddafi che dovrebbe sistemare a proprio agio e a tempo indeterminato questi profughi delle terre da noi devastate, o dovremmo essere noi, solo noi, smettendola intanto di esaltare o riconoscere i vari tirannelli indiamantati che le nostre multinazionali mettono su troni con le gambe radicate nel sangue, eurocentristi del cazzo?

(Fulvio Grimaldi)


(english / german / francais)

 

 COMMEMORATION

KOMEMORACIA


1999-2009

 



Ten years already!

Don't forget the ethnic cleansing and exodus of the Roma from Kosovo!

For the Roma from Kosovo, the 16th and 17th June, are a sad anniversary. It was indeed on these dates, on 16th and 17th June 1999, that Kosovar nationalists began to systematically attack the houses of Roma and other communities, forcing several ten thousands of Roma into exile. Hundreds (?) of Roma were savagely killed, women were raped, sometimes in front of their husbands and their children. Hundreds of people are still missing today.

Ten years later, the rights of Roma are still being violated in Kosovo. The few thousand remaining Roma, out of a community which had more than 100 000 people, live in fear and under precarious conditions. Their survival depends largely on humanitarian aid and transfers from their family members abroad. Excluded from the labor market, they are also absent from public institutions with the exception of parliament where one local representative acts as an alibi. The constitution does not guarantee any particular rights to the Roma, and minority rights are not applied to them.

After having suffered ethnic cleansing and an exodus, the Roma community in Kosovo is today threatened by assimilation and may even disappear entirely which does not however prevent the governments of the host countries refugees to think about the forced repatriation of the refugees.

We call today for the public recognition of the ethnic cleansing of the Roma from Kosovo. The perpetrators must be brought to justice, the victims need to be compensated.

We also call for an urgent solution to the refugee problem. Refugees should have a real choice either to return to Kosovo or to stay in their host country.

Finally, we ask for the rights of Roma in Kosovo to be guaranteed in Kosovo so that they can be free and equal citizens and for racism and discrimination to be banned.
 
ONG:
 
Ibar/URYD
Chachipe
UFAT
CCPECO
Rromano Radio
Ibar34
Rromano Phralipe
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Schon zehn Jahre!

Vergesst die ethnischen Säuberungen und den Exodus der Roma aus dem Kosovo nicht!

Für die Roma aus dem Kosovo sind der 16. und 17. Juni ein trauriger Geburtstag. Es war nämlich an diesen Tagen, am 16. und 17. Juni 1999, als nationalistische Kosovo-Albaner damit begonnen haben, die Häuser von Roma und anderen Gemeinschaften systematisch anzugreifen und mehrere zehntausend Roma in die Flucht trieben. Hunderte (?) von Roma wurden brutal ermordet, Frauen wurden oft vor den Augen ihrer Männer und Kinder vergewaltigt. Hunderte von Menschen galten als vermisst.

Zehn Jahre danach werden die Rechte der Roma im Kosovo immer noch verletzt. Die paart tausend verbleibenden Roma, die zu einer Gemeinschaft gehören, die einst mehr als 100 000 Menschen zählte, leben in Angst und größter Not. Ihr Überleben hängt weitgehend von der humanitären Hilfe und der Transfer von Familienmitgliedern im Ausland ab. Vom Arbeitsmarkt sind sie ausgeschlossen. In öffentlichen Einrichtungen sind sie nicht vertreten, mit Ausnahme des Parlaments, wo ein lokaler Vertreter als Alibi herhält. Die Verfassung garantiert ihnen keine eigenen Recht. Minderheitenrechte werden nicht
auf Roma angewendet.

Nach der ethnischen Säuberung und dem Exodus droht den Roma in Kosovo heute ihre Assimilierung und vielleicht sogar die vollständige Auslöschung ihrer Gemeinschaft. Dies hindert die Aufnahmeländer der Flüchtlinge jedoch nicht daran, über ihre zwangsweise Rückführung nachzudenken.

Wir fordern heute, dass die ethnische Säuberung der Roma
aus dem Kosovo öffentlich anerkannt wird. Ihre Urheber müssen vor Gericht gestellt werden, ihre Opfer eine Entschädigung erhalten.

Wir fordern auch eine dringende Lösung des Flüchtlingsproblems. Die Flüchtlinge müssen eine reale Wahl haben, nach Kosovo zurück zu kehren oder in ihrem Aufnahmeland zu bleiben.

Schließlich fordern wir, dass die Rechte der Roma im Kosovo gewährleistet werden, damit sie freie und gleichberechtigte Bürger sind, und dass Rassismus und Diskriminierung bekämpft werden.
 
 
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Dix ans déjà !

N'oubliez pas le nettoyage ethnique et l'exode des Roms du Kosovo !

Pour les Roms du Kosovo, les journées des 16 et 17 juin constituent un bien triste anniversaire. C'est en effet à cette date, les 16 et 17 juin 1999, que les nationalistes kosovars ont commencé à attaquer systématiquement les foyers occupés par les Roms et d'autres communautés, forçant plusieurs dizaines de milliers de Roms à l'exode. Plusieurs centaines (?) Roms ont été assassinés après avoir subi les pires sévices, des femmes ont été violés, souvent sous les yeux de leurs maris et de leurs enfants. Des centaines de personnes ont été portées disparues.

Dix ans plus tard, le s droits des Roms sont toujours bafoués au Kosovo. Les quelques milliers de Roms restant, sur une communauté qui comptait plus de 100 000 personnes, vivent dans la peur et la précarité. Leur survie dépend largement de l'aide humanitaire et des transferts de la part des membres de leur famille à l'étranger. Exclus du marché du travail, ils sont également absents dans les institutions publiques à l'exception du parlement où un seul représentant local fait figure d'alibi. La constitution ne leur garantit aucun droit propre et les droits des minorités ne sont pas appliqués aux Roms.

Après le nettoyage ethnique et l'exode, la communauté rom du Kosovo est aujourd'hui menacée d'assimilation voire même d'extinction ce qui n'empêche pas les pays qui ont accueillis les réfugiés à réfléchir à leur rapatriement forcé.

Nous demandons aujourd'hui la reconnaissance du nettoyage ethnique des Roms du Kosovo. Les auteurs de ces actes doivent être traduits en justice et les victimes compensées.

Nous demandons également une solution urgente du problème des réfugiés qui doivent avoir le choix de retourner au Kosovo ou de rester dans leur pays d'accueil.

Nous demandons finalement que les droits des Roms soient garantis au Kosovo pour qu'ils soient des citoyens libres et égaux et que le racisme et la discrimination soient bannis.

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Commémoration- exposition

Nous vous invitons le 19 juin (vendredi) 2009, 7 rue Jacquard à Besançon.



Sukulule: i bulldozer turchi spianano 1000 anni di storia Rom.
Un mese fa, l'intero quartiere di Sukulule, storico insediamento Rom di Istanbul sin dal 1054, è stato raso al suolo.

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May 19, 2009

AFP News Briefs List
 
Turkish bulldozers raze 1,000 years of Rom history 

by Nicolas Cheviron

Ferdi Celep sat on a sofa surrounded by the debris of his life, watching city workers empty clothes and furniture from a row of two dozen colourful houses huddled against the Byzantine battlements of Istanbul's old city.
Within hours, the last remnants of a thousand years of Rom history were wiped out by bulldozers.
Anti-riot police supervised this final phase last week of the demolition of Sulukule, a neighborhood on the European bank of Istanbul once home to a vibrant community of musicians and artists whose rhythmic songs and belly dancing served as the city's musical heart.
Similar scenes have been repeated across the country as municipalities, supported by the ruling Justice and Development Party (AKP), drive home a programme of urban renewal, destroying ramshackle and often unsanitary housing in favour of new tower blocks, often many kilometers (miles) outside localities.
But the demolition of Sulukule caused controversy as it razed an ancient community of Rom gypsies who can trace their history in the suburb back to Byzantine times.
"A big thank you to the municipality," said Celep, who is unemployed.
"Thanks to them I will sleep on the street with my wife, my new-born child and the four-year-old. We have no where to go."
City officials in the Fatih district, run by mayor Mustafa Demir from the AKP, estimate the project will relocate about 3,500 people from Sulukule -- 1,300 of them Roms -- and replace their old housing with fancy, wood-panelled "Ottoman style" buildings.
The demolition, begun at the end of 2006, will wipe out "hovels you wouldn't dump coal in," according to the mayor.
However local activist Hacer Foggo of a group called the Sulukule Platform estimates that closer to 5,000 people, the bulk of them members of the minority, are being displaced, and all to benefit the ruling party and its allies.
"Who is going to buy the houses that they will build here? It will be the profiteers, those close to the AKP," she said. "The idea is to expel the poor from the city centre and put the rich in their place."
Turkish media reported a few months ago that several AKP members and figures close to the party were allegedly among the prospective buyers of the new houses.
Foggo said the resettlement will break up a community that has survived through centuries thanks to a tradition of solidarity and mutual aid.
"Here at least everyone knew each other, the rent was very low and the local grocer always gave you credit," she added.
Sulukule welcomed generations of residents from other parts of Istanbul who came for music, booze and belly dancing before a ban in the 1990s by conservative governments shut its colorful neighbourhood taverns.
Some meanwhile insist the redevelopment of Sulukule amounts to more than the disappearance of one of the most picturesque parts of this sprawling city of more than 12 million that has served as the capital of three empires -- Roman, Byzantine and Ottoman.
It means the end of a millennia of history, according to British researcher Adrian Marsh, a specialist on the Roms of Turkey.
Sulukule was the oldest known settlement in the world of Nomadic Roms, said Marsh, first mentioned by a Byzantine scribe in 1054.
His writings speak of "Egyptians" living in black tents along the fortress walls and eking out an existence thanks to their belly dancers, fortune tellers and dancing bears, Marsh said.
After Constantinople -- as it was then known -- fell to the Turks in 1453, Sulukule's dancers and musicians became fixtures of the opulent nights at the Ottoman court.
"Demolishing Sulukule is not the same as demolishing just any other gypsy slum, the way it happens all over Turkey and Europe," said Marsh.
"It is the annihilation of the memory of an entire community."

[PHOTO] A Rom man salvages goods from what once was his neighbourhood following its demolition by authorities in the Sulukule neighborhood of Istanbul. Municipal workers, guarded by anti-riot police, supervised this week the final phases of demolition in Sulukule, a district on the European bank of the Istanbul that was once home to a vibrant community of musicians and artists. 

© 2007 AFP Mustafa Ozer
[PHOTO] A Rom man stands amongst his possessions beside the wreckege of what once was his home in the Sulukule neighborhood of Istanbul. Municipal workers, guarded by anti-riot police, supervised this week the final phases of demolition in Sulukule, a district on the European bank of the Istanbul that was once home to a vibrant community of musicians and artists. 

© 2007 AFP Mustafa Ozer

[PHOTO] A bulldozer destroys a house in Sulukule neighborhood of Istanbul. Anti-riot police supervised this final phase last week of the demolition of Sulukule, a neighborhood on the European bank of Istanbul once home to a vibrant community of musicians and artists whose rhythmic songs and belly dancing served as the city's musical heart. 

© 2007 AFP Mustafa Ozer

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202.225.1901
May 20, 2009


234 Ford House Office Building
Washington, D.C. 20515-6460
Hon. Benjamin L. Cardin, Chairman
Hon. Alcee L. Hastings, Co-Chairman
For Immediate Release

U.S. HELSINKI COMMISSION CHAIRMAN CARDIN AND CO-CHAIRMAN HASTINGS CONDEMN TURKISH GOVERNMENT DESTRUCTION OF NEARLY 1,000-YEAR-OLD ROMA NEIGHBORHOOD


WASHINGTON—Senator Benjamin L. Cardin (D-MD), Chairman of the Commission on Security and Cooperation in Europe (U.S. Helsinki Commission) and Co-Chairman Congressman Alcee L. Hastings (D-FL), today released the following statements upon reports that the Turkish government completed the demolition of Sulukule, a suburb of Istanbul that has been home to the Roma minority since 1054. 

“The bulldozing of Sulukule this week by the Turkish government shows a lack of regard for the Romani people, and sadly erases a centuries old fixture of Istanbul’s history,” Cardin said. “The Turkish government should adequately compensate the Romani families and provide alternative housing to keep the community united now that their historic neighborhood is gone.” 

“We are deeply concerned about the pattern of housing dislocation Roma are experiencing in numerous countries, brought on by everything from flooding to armed conflict to pure discrimination. When Roma are removed from their homes, often with no adequate alternatives, they are disconnected from schools, health care and a host of other public services, and get sucked even deeper into a vortex of poverty – with predictable and disastrous consequences for families,” Hastings said. 

“The destruction of Sulukule to make way for new, higher-priced, villa-style homes that Roma could not afford to purchase is especially regrettable because it occurs at a place this Romani community has called home for nearly 1,000 years,” Cardin added. 

The unfortunate outcome of this so-called urban renewal project is not only the destruction of this historic neighborhood, but the forcing of 3,500 Sulukule residents 40 kilometers outside of the city to the district of Tasoluk or onto the streets. 

“We urge all OSCE participating States to honor the commitments adopted at the 1999 Istanbul Summit and in other OSCE documents to ensure Roma are treated with dignity and respect,” said Co-Chairmen Cardin and Hastings. 




Sta nascendo qui a Budapest il nuovo fascismo europeo

BUDAPEST - «Sì, la democrazia è in pericolo. In tutta Europa o quasi, ma l' Ungheria è un caso estremo». Ecco il monito di Gaspar Miklos Tamàs, padre del dissenso sotto il comunismo, filosofo e docente, forse la massima voce critica del paese. Perseguitato dal vecchio regime, oggi subisce minacce quasi quotidiane. «Una volta un gruppo di ultrà mi ha salutato sotto casa gridando "Heil Hitler", ma è normale che signore cinquantenni, tranquille borghesi cattoliche, o eleganti giovani yuppies, riconoscendomi mi dicano che dovrei essere impiccato. A ogni intervista a media stranieri mi accusano di calunniare la patria». Professor Tamàs, lei parla dunque di gravi pericoli? «Sì. Quando vediamo democrazie con grandi tradizioni come Francia o Regno Unito prigioniere di paranoie xenofobe, o la sinistra italiana che sembra sparire, cosa ci possiamo aspettare dall' Ungheria che ha vissuto quasi sempre sotto dittature o autoritarismo?». Qual è la radice della crisi ungherese? «La prima vera democrazia qui fu creata solo nel 1989 e coincise col collasso economico. Il primo risultato percepito dalla gente fu la perdita di 2 milioni di posti di lavoro. Nel nordest fame e miseria sono da terzo mondo. La catastrofe economica coesiste con una mentalità tipica dell' est: la gente vuole che lo Stato diriga, provveda, dia sicurezza. Ci sentiamo traditi dal mondo nuovo, e lo siamo. Anch' io ho rinnegato me stesso: sono stato liberale per una vita, ora sono marxista. Vorrei più libertà e giustizia. I miei compatrioti hanno altri desideri». Quali? «Il sistema democratico non ha riconoscimento né legittimazione, neanche i più onesti leader dei partiti democratici vi credono. Povertà, crimine, sono problemi reali. La gente allora prende in mano la legge: ecco la Guardia magiara, un secondo Stato. Ecco i sindaci delle regioni povere che si arrogano il diritto di negare il sussidio ai rom o ai poveri disoccupati». Vede un futuro di fascismo? «Il futuro ne avrà una dose un po' più forte del presente. La destra estrema è giovane. Jobbik è nato come organizzazione studentesca. Quasi un ' 68 a rovescio: la paura del declassamento sociale, la competizione con i più poveri per i magri aiuti statali, spingono i giovani a rivolte ed estremismo. Non capiscono che l' oppressione per alcuni diventa poi l' oppressione di tutti». Torna il fascismo del passato? «È un fascismo diverso. Non hanno bisogno di militarismo, di sogni di guerra o idee totalitarie. È un fascismo difensivo, non offensivo, quindi più attraente. Non passeggero, può radicarsi. Non gli serve un partito unico, esprime il panico della middle class, introduce una lotta di classe dall' alto contro i più deboli. Simile agli anni Venti è l' odio verso la libertà. E per i perdenti. È un problema acuto in tutto l' Est: qui il capitalismo democratico, per cui lottai per decenni, ha fallito. Le maggioranze a Est ritengono che prima dell' 89 si stesse meglio. Tutti sapevano di non essere liberi. Ma il sistema garantiva stabilità, società proletarie, plebee, ma quasi senza crimine, egalitarie nella cultura e non solo nell' economia. E non avevano come valore costitutivo il disprezzo per i deboli». - DAL NOSTRO INVIATO ANDREA TARQUINI




(Alcune significative interviste ad intellettuali e militanti per la pace italiani sono apparse recentemente sulla rivista serba PECAT. Oltre a quelle che riproduciamo qui, rilasciate rispettivamente da Alessandro Di Meo di "Un Ponte per..." e dal noto giornalista Sergio Romano, ricordiamo quella al professor Aldo Bernardini intitolata "La Croazia è uno stato illegale / Hrvatska je nelegalna država": https://www.cnj.it/documentazione/bernardini.htm )


PECAT: Razgovori sa A. di Meom i S. Romanom

1) Intervju - Razgovor sa Alesandrom di Meom - Osmeh za izbeglice

2) Intervju - Serđo Romano: Kosovo je falsifikat nezavisne države


=== 1 ===


Razgovor sa Alesandrom di Meom - Osmeh za izbeglice

Broj 67 | Piše: Milica Ostojić • 11. jun 2009


Ako sam ijednu stvar naučio o Srbima za ovih deset godina, a posećivao sam ih toliko da su postali deo moga života, onda je to lekcija o tome da se, ma koliko razjedinjeni bili, nikada neće saviti i pokoriti. Njihova snaga leži upravo u tome da imaju sposobnost da pate i pred opštom ravnodušnošću, u izolaciji i tišini. Njihova snaga leži u tome da poznaju značaj žrtvovanja, odricanja, u sposobnosti da budu ponosni na ono malo što imaju, jer to malo jeste sve. To je tajna njihovog opstanka.


AKO SU TI SRBI TAKO LOŠI, UKOLIKO SU ZAISTA UBIJALI PRIPADNIKE ALBANSKOG NARODA,  KAKO JE MOGUĆE DA NEKI ALBANCI ŠALJU DECU  U BEOGRAD  NA LEČENJE?!

Pedesetogodišnji Alesandro di Meo, arhitekta po profesiji, otac dvoje dece, saradnik na Univerzitetu „Tor Vergata“, pažnju srpske javnosti privlači pre svega zbog toga što je već deset godina angažovan u okviru udruženja „Most za…“ („Un ponte per…“), organizacije koja je postala pravi most između Italije i Srbije. Inače, ova organizacija predstavlja udruženje dobrovoljaca koje postoji od 1991. godine. Broji oko 500 članova i 9 lokalnih komiteta u raznim delovima Italije. Ovaj pedesetogodišnji Rimljanin već duže vreme pomaže izbeglicama sa Kosmeta koje su smeštene u okolini Kraljeva, kao i onima koji žive zajedno sa tamošnjim starosedeocima. U Kraljevo odlazi više puta godišnje, a samo 2008. godine boravio je u ovom gradu sedam puta. Zbog toga je u više navrata i čitavu porodicu dovodio u Srbiju na nedelju-dve. Inače, Di Meo od svakog honorara svog autorskog rada izdvaja za srpske izbeglice 10 odsto. Njegov poslednji projekat „Svetlost“ podrazumeva podršku za 50 porodica. U organizaciji „Most za…“ predložio je i realizovao tako mnogo inicijativa, da bi ih sve bilo teško pobrojati u ovom intervjuu, koji je naš sagovornik pristao da da specijalno za „Pečat“.

Vi ste, Alesandro, poznati po tome što veoma emotivno reagujete na nepravdu i zlo. Stoga bi bilo zanimljivo da nam ispričate šta se to neobično dogodilo 17. aprila 1999. godine, u subotu popodne, kada je prvenstvenu utakmicu igrao Lacio, klub za koji navijate?

Tog popodneva sam bio na manifestaciji u Rimu, organizovanoj protiv bombardovanja Srbije, zajedno sa Italijanima i Srbima. Nisam otišao na utakmicu, razmišljao sam, prilikom povratka kući, o smislu ljudske impotencije – odeš na trg, urlaš punim glasom protiv nepravde koja se događa pred tvojim očima, vratiš se kući ogorčen što ne možeš da uradiš ništa što bi pomoglo da se zaustavi jedan rat, jedna agresija. Razmišljao sam o tome šta uraditi protiv toga i odluke Vlade Italije da moja zemlja učestvuje u tom prljavom ratu. Upravo u tom periodu upoznao sam Asocijaciju „Most za…“. Pomislio sam kako je NATO u Srbiji bombardovao toliko mostova. Tako sam pristupio ovoj Asocijaciji. Njen predsednik je sa grupom dobrovoljaca tokom bombardovanja već otišao u Srbiju, autobusom. Odmah je kontaktirao Crveni krst u Beogradu, kao i bolnice, posebno one dečje. Kao prvi, simboličan gest, naše udruženje ponelo je lekove. U razgovoru u srpskim bolnicima članovi „Mosta za…“ saznali su da je region oko Kraljeva najugroženiji pošto su u tu oblast stizale mnogobrojne izbeglice sa Kosmeta; tamo je zaista bilo neophodno intervenisati. Kontaktirali smo kraljevački Crveni krst. Tako je uspostavljena saradnja koju održavamo i dan-danas.

Prvi put ste u Beograd došli odmah posle prestanka bombardovanja. Kakav je utisak razrušeni Beograd ostavio na vas, kako ste se osećali, o čemu ste razmišljali u tom trenutku?

Prvo pitanje koje sam sebi postavio glasilo je: „Zašto sam ja ovde“? Činilo mi se da pomoć nije bila potrebna. Ali ubrzo sam otkrio jedan narod koji je skrivao svoju muku i nemaštinu, otkrio sam naciju, toliko ponosnu da neće tražiti ni kore hleba ma koliko bila gladna. Takvo držanje fasciniralo me je; otkrio sam snagu za koju nisam verovao da igde postoji.


=== 2 ===

http://www.pecatmagazin.com/archives/1965

Kosovo je falsifikat nezavisne države

Broj 55 | Piše: Milica Ostojić • 19. mart 2009


Serđo Romano, jedan od najvećih enciklopedijskih duhova savremenog doba, odličan poznavalac novije evropske, ruske i američke istorije, i svedok velikih svetskih preokreta u drugoj polovini dvadesetog veka, ekskluzivno za „Pečat“ govori o uzrocima i posledicama velike ekonomske krize, o novim geopolitičkim kretanjima u svetu, posebno se osvrćući na situaciju na Balkanu i u Srbiji za koju kaže da je izazvana opasnim scenarijem vojnog američkog establišmenta.

Albancima je trebalo reći „ne“ za nezavisnost, trebalo je na njih izvršiti pritisak da prihvate rešenje jedne snažne autonomije, veće od one Titove, sa izvesnim državnim ovlašćenjima.

Serđo Romano jedan je od možda i najvećih živih erudita današnjice. Veliko enciklopedijsko znanje i minuciozno posmatranje istorije novog doba, kako italijanske i francuske, tako i ruske i američke, čini se nedovoljnim da opiše ovoga novinara, diplomatu koji je boravio i u Moskvi i u Vašingtonu, bio profesor na mnogim uglednim univerzitetima širom sveta, čoveka koji i danas, iako je nadomak devete decnije života, piše kao uvodničar lista „Koriere dela Sera“, u kojem svakodnevno odgovara na pitanja čitalaca. Čoveka, koji, dok razgovara sa nama u Milanu, skromno zaključuje, valjda da ne bi zvučalo pretenciozno, kako je do sada napisao „više od pedeset, a manje od sto“ knjiga.

Za nas je Romano značajan i zbog toga što je u Beogradu boravio više puta i susretao se sa našim intelektualcima, jednom čak i sa patrijarhom Pavlom. Odmah posle bombardovanja gostovao je i na beogradskom Salonu knjiga.

U knjizi „Sećanja jednog konzervativca“ (2002) Romano sopstvenu filozofsko-političku ličnost ocrtava sintagmom „konzervativnog liberala“ – sebe smatra „konzervativnim“, pošto, verujući da iz različitosti proističe tok svakog pojedinačnog života, ne prihvata tendenciju savremene evropske kulture koja teži ujednačavanju; zalaganje za zaštitu i odbranu individualnih sloboda svakog pojedinca.

Putin ima ogromnu zaslugu u uništavanju moći oligarhije iz Jeljcinovog doba, u vraćanju prirodnih bogatstava svojoj zemlji i u vraćanju nacionalnog ponosa Rusima.

Ipak, osnovna tema razgovora sa Serđom Romanom ticaće se aktuelne geopolitičke situacije u svetu, budući da je naš sagovornik izuzetno dobar poznavalac istorije odnosa velikih svetskih sila, pošto je u prelomnim godinama dve godine bio predstavnik u NATO-u (1983-1985), a naredne četiri ambasador u Moskvi (1985-1989).

U početku ste kao istoričar, najviše proučavali istoriju Italije i Francuske 19. i 20. veka, ali je potom predmet vašeg interesovanja postala nešto novija istorija, a preokupacija tumačenje odnosa koji su iscrtali savremenu geopolitičku mapu sveta. U kojoj meri su, prema vašem viđenju, odnosi između SAD-a i Rusije, kao dve supersile, danas izmenjeni?
Bavio sam se problemima u zemljama gde sam na neki način bio svedok i posmatrač. U Rusiji sam boravio kao ambasador u vreme perestrojke. Kada sam se vratio u Italiju shvatio sam da ovu zemlju čeka jedna duga politička i institucionalna kriza. O tome sam svedočio na isti način, kao što sada analiziram odnose između SAD-a i Rusije, SAD-a i EU, ili finansijsku krizu, odnosno krizu kapitalizma. SAD je još uvek najveća svetska sila. Posle Hladnog rata događaji su isključivo zavisili od toga kako je Amerika nameravala da koncipira svoju sopstvenu ulogu. Sa Klintonom na čelu SAD-a mogla je još postojati izvesna sumnja na koji bi način Amerika mogla primeniti svoju novu ulogu, ali su već tada počinjene greške, kao što je rat na Kosovu, odnosno bombardovanje SR Jugoslavije 1999. godine. Bez obzira na to Amerika je tada još uvek bila obazriva u primeni svojih snaga, pa se moglo verovati da neće reagovati previše unilateralno. U odosima sa Kinom, Rusijom i Evropom, činilo se da SAD traži maksimalnu saglasnost. Međutim, kada je predsednik Sjedinjenih Država postao Džordž Buš situacija se potpuno preokrenula. Amerika je poverovala da ima pravo da primenjuje svoju ulogu unilateralno, i Buš je to u dva svoja mandata i učinio. Posledica takvog delovanja Bušove administracije jeste serija kriza koje su se ređale jedna za drugom: rat u Iraku isprovocirao je ponovno pogoršanje situacije na prostoru orijenta, sukobe u Pakistanu i Avganistanu, veliku krizu na čitavom bliskoistočnom prostoru koja se prelila sve do Balkana. Još tada sam sagledavao posledice takve američke politike i ukazivao na rizike tog načina vođenja politike.

Kasnije sam polje interesovanja prebacio na odnose između SAD-a i Evrope, jer sam smatrao da se glas starog kontinenta mora čuti u trenutku kada svi mi plaćamo troškove grešaka američke politike. Međutim, Evropa nije imala jedinstven stav povodom rata u Iraku, ali u mnogim drugim situacijama, pre svega zato što mnoge zemlje EU smatraju da su odnosi sa SAD-om najvažniji odnosi u procesu integracije. To važi i za neke stare zemlje članice EU, kao što je Velika Britanija, ali i za države koje su nedavno pristupile Evropskoj uniji, poput Poljske i Češke. I tako je, s jedne strane, objedinjujući tržište i stvarajući zajedničku monetu, Evropa napravila veliki progres, dok se sa druge strane blokirala kada je u pitanju bio stav jedne arogantne Amerike, države koja ima želju da dominira. Evropa nije imala snage da se tome suprotstavi. A sve to dovelo je do velike internacionalne krize, za koju nismo znali do pre 12 meseci – krize američkog modela ekonomskog razvoja koju svi osećamo.

Razgovaramo u trenutku kada se u famoznom ovalnom studiju Bele kuće donose odluke kako spasavati ono što se spasiti može. Vi ste već pisali poodavno o tome kako su Amerikanci kupovali kuće novcem koji nisu zaradili, dok su se na ratove trošile i troše milijarde dolara. Zaključili ste da na kraju Bušove ere dolazi velika suša.

Smatram da u vreme finansijske krize ekonomska pravila ne treba da budu ispisivana u Vašingtonu ili Njujorku, kako se to činilo u proteklih 60 godina. Jer, mi smo primenili pravila definisana na Vol Stritu i videli kako su ona srušila federalne rezerve i samu američku Vladu. Ako ova pravila nisu funkcionisala, a nisu, smatram da treba ispisati nova pravila, i to zajedno sa Kinom i Rusijom. Naravno, SAD ostaje, i kada je ekonomija u pitanju, i dalje veoma značajna država, ali više ne može imati monopol na određivanju pravila igre. Verujem da je neko u Evropi to već shvatio, čini mi se predsednik Francuske Sarkozi. Možda su i drugi političari uvideli ono o čemu govorim, ali nemaju tradiciju i političku kulturu potrebnu da to potvrde. Francuska, i pored svih nedostataka, ima tu kulturu koja joj omogućava da jasno izrazi takav stav. Utakmica, svakako, nije još uvek završena, ne zna se kakav će rezultat biti, ali uveren sam da se SAD nada da će nastaviti po starom. Obama jeste hrabar političar koji pokušava da spase američku ekonomiju koristeći metode koji mogu biti osporeni i kritikovani, što zavisi i od ideologije ekonomista, ali on još uvek nema jasan stav. Jedan od velikih problema jeste taj što je američki predsednik namenio suviše mnogo novca za administrativnu i organizacionu mašinu koja treba da bude angažovana u rešavanju krize. Ko je Obama? Jedan američki demokrata koji smatra da je sada trenutak da njegova partija ostvari ono što u vreme Klintona nije uspela: socijalno unapređenje, zdravstevnu zaštitu, odnosno veće garancije u zdravstvu. Ne treba zaboraviti da zdravstvene garancije trenutno nema čak oko 40 miliona Amerikanaca! Bil Klinton je to poverio Hilari Klinton, ali ona nije sprovela socijalnu reformu, jer su je u tome osujetile farmaceutske kuće, kao i korporativne asocijacije lekara. Obamin projekat je, dakako, plemenit, ali na koji način ga je moguće ostvariti? Pa svetskom ušteđevinom! I Hilari Klinton je, boraveći u poseti Pekingu, rekla: moramo se zadužiti. Potrebni ste nam. Nastavite da kupujete naše vrednosne papire. A već sada Kinezi poseduju 700 milijardi dolara u vrednosnim papirima i 2 triliona i 300 milijardi američkog imovinskog blaga izraženog u dolarima. A sve to nije dobro. Razumem da Obama, kako bi realizovao svoj veliki projekat, američki new deal, mora da se zadužuje, ali više nije zamislivo da svet nastavi da živi sa Amerikom koja troši novac drugih, koja se zadužuje kod drugih umesto da plati dug sopstvenim građanima. Amerika duguje veoma mnogo, posebno Aziji!

Svet ne može da nastavi da živi sa Amerikom koja troši novac drugih, kod kojih se zadužuje, posebno u Aziji, umesto da plati dug sopstvenim građanima.

Na drugoj strani zemaljske kugle, u Rusiji, na svetsku scenu ulazi Vladimir Putin.  Poznajete dobro rusku realnost, kako prošlost, tako i sadašnjost. Šta se prema vašem mišljenju ulaskom Putina na politčko-ekonomsku pozornicu izmenilo u globalnim svetskim odnosima? Da li smo svedoci ponovnog i definitivnog zadobijanja izgubljenih pozicija jedne države i njenog suprotstavljanju dosadašnjem svetskom stražaru?

I jedno i drugo. Na ekonomskom planu izlazak Rusije iz komunizma bio je obeležen prihvatanjem recepata koje su svi, posebno Velika Britanija i Sjedinjene Države, smatrali radikalnim. Taj izlazak na tržište, na radikalan način, bio je haotičan – stvorio se, između 1991. i 1993, jedan novi društveni sloj, oligarhijski, mali ali snažan. Oligarhi su postali vlasnici ogromnih prirodnih bogatstava zemlje, dok je žrtvu morao da podnese društveni sloj koji je u sovjetskom sistemu imao makar minimum socijalne zaštite. Na taj način stvorena je jedna poluilegalna država. Izuzetno mali broj pojedinaca enormno se obogatio za vreme privatizacije. Brzo zarađen novac oligarsi su smestili u inostrane banke, a njihovi dugovi prema državi obezvređivani su visokom inflacijom. Tadašnji ruski predsednik Boris Jeljcin postao je u izvesnom smislu zatočenik novih oligarha, jer su oni platili njegovu predizbornu kampanju.

Putin ima ogromnu zaslugu u uništavanju moći takve oligarhije. Iako mnogi od njih još uvek imaju veliku moć, najveći oligarsi ipak su završili u zatvoru. Zasluga Putinova jeste i u tome što je prirodna bogatsva vratio svojoj zemlji. To Rusi znaju da cene. Velika zasluga Vladimira Putina je i u tome što je vratio Rusima nacionalni ponos koji je u velikoj meri bio poljuljan za vreme Jeljcina. S druge strane, oni koji zameraju način na koji Moskva vodi unutrašnju politiku, trebalo bi da shvate jednu izuzetno važnu činjenicu. Rusija je ogromna zemlja koju je, zbog njene veličine, nemoguće kontrolisati drugačije nego jakom centralizovanom vlašću. U suprotnom Rusija bi se rasparčala. Upravo je Putinova zasluga što je počeo da vraća parčiće zemlje koji su se, imali pravo ili ne, odvojili. To je ono što Rusi smatraju delom svoje teritorije, svojom sigurnošću.

U jednom komentaru zapisali ste: „Putin je jedan ruski car restaurator koji modernizuje“, „želi da pripremi svoju zemlju za susret sa budućnošću“. Ipak, sa druge strane zemaljske kugle, sustizala je neprekidno agresivnost SAD-a koji je postavljao vojne baze posvuda. Širenje NATO-a na baltičke zemlje, intencija ovog vojnog saveza da se preko Poljske približi vratima Rusije, u velikoj meri uticao je na Putinovu politiku.

Istinu govoreći, američki mehanizam je jedan automatski mehanizam. Amerika je velika zemlja koja mnogo puta do sada nije obratila pažnju kakve mogu biti posledice njenih gestova. Ona ih jednostavno smatra prirodnim, opravdava ih sopstvenim konceptom o samoj sebi. Njene parole su: „velika demokratija“, „mi smo bolji od drugih“, „imamo zadatak svetske misije“. Onima koji nisu Amerikanci veoma je teško objasniti kako američki mentalitet sve to smatra „prirodnim i legitimnim“ u sopstvenim očima. Kada je pao Berlinski zid i Sovjetski Savez počeo da se raspada, Amerikanci su verovali da taj prostor treba da popune upravo i jedino oni. NATO je jedan vojno politički savez koji je stvoren protiv potencijalnog neprijatelja; samo ukoliko ima neprijatelja NATO funkcioniše. Kada je završen Hladni rat bilo je realno da se razmišlja o jednoj drugačijoj artikulaciji NATO-a, jer znamo da je Putin manifestovao solidarnost sa Bušom posle 11. septembra, da je pomogao u avganistanskom ratu autorizujući američkim snagama da koriste ruski vazdušni prostor i stvore baze u centralnoj Aziji. Pri tome, Putin je  uspostavio nekoliko bliskih odnosa sa izvesnim zapadnim liderima (Berluskoni, Širak, Šreder), i računao je da će početi neka nova klima s obzirom na konkretne rezultate do kojih se došlo jula 2002. godine u italijanskom mestu Pratika di Mare, kada su zemlje Atlantskog Pakta prihvatile stvaranje nove organizacije Savet NATO-Rusija. I ja sam se lično nadao da će se stari NATO transformisati u organizaciju za kolektivnu bezbednost od Atlantika do Urala. Ta 2002. godina obećavala je veliku revoluciju. Međutim u narednim godinama, pogotovo u periodu od 2004. do 2005, NATO je osorno promenio strategiju, iznenada se podmladio i osokolio, napao Irak, proširio se ka Istoku, podrazumevajući i teritoriju koja je pripadala Kraljevskoj imperiji, počeo da se širi do granica starog Sovjetskog Saveza. Naravno, Rusija je odmah počela da opominje i da reaguje, ne prihvatajući više takve težnje. Putinova reakcija bila je sasvim predvidljiva. Danas Obama piše pismo Medvedevu, čiji tačan sadržaj i ne znamo, i čini se samo da je SAD raspoložen da revidira svoje pozicije o antiraketnoj bazi u Poljskoj, ali traži od Rusije veći angažman u borbi protiv nuklearne politike Irana. Čini mi se da je u susretu sa Lavrovim Hilari Klinton suštinski potvrdila tu liniju. Ali rusko-američki pregovori još nisu započeli, svako od njih će staviti na sto jedan po jedan predlog. Sve u svemu, ne verujem da će Rusi prestati da budu glavni snabdevači Irana u nuklearnim tehnologijama. Prodavati centrale Iranu donosi veliku ekonomsku i političku korist, od koje Rusi ne žele da odustanu. S druge strane, Rusija je trenutno zadovoljna, ali nije još odgovorila, jer da je odmah prihvatila američki predlog uz njihovu argumentaciju, priznala bi Americi da je baza u Poljskoj bila namenjena protiv Irana. A Rusija ne želi da prihvati takav argument jer je od početka smatrala da je postavljanje baze direktno usmereno protiv nje.

Upozoravao sam da je veoma opasno dodeliti Kosovu nezavisnost jer će se tada kreirati pokret za veliku Albaniju.

Ali gde je u čitavom ovom kontekstu Evropa? Zbog čega je ona danas još slabija prema jednostranim američkim odlukama. Italija se, recimo, udvara i Americi, ali i Rusiji, jer joj je potrebna. Ipak, vodeće evropske zemlje previše su pasivne. Čak i kada je očigledno da postaju sredstvo koje Sjedinjene Države koriste za ostvarivanje sopstvenih ciljeva, kao u slučaju Kosova, gde Evropska Unija troši novac, a Amerika postavlja svoju najveću bazu.

Evropa može govoriti autoritativno sa SAD-om samo ako se ujedini. Ukoliko ostane podeljena na nacionalne države, suprotstaviti se američkim željama ne može. One pojedinačno nemaju moć da razgovaraju sa silom kao što je Amerika, pa da bi preživele moraju da stvaraju nagodbe i kompromise. Na izvestan način i Berluskoni je predstavnik takvog ponašanja. Idem da se sporazumem sa Vašingtonom, ma idem i sa Moskvom, moram da se usaglasim, da smirim situaciju, da ublažim, izmirim. Otprilike na sličan način ponašaju se i ostali političari, jedino im se razlikuju stilovi, sredstva i instrumenti. Francuska se nešto drugačije ophodi prema SAD-u jer je zemlja koja poseduje nuklearnu energiju. Nemačka je takođe zemlja bogatija i mnogo ujedinjenija, u odnosu na Italiju, pa je i njeno ponašanje u odnosima sa Amerikom i Rusijom donekle drugačije. Međutim, u suštini, u fundamentu – problem je isti:  rezultat je srazmeran stepenu neujedinjenosti zemalja članica EU. A razlog toj nejedinstvenosti je u tome što više ne postoji generacija koja je preživela Drugi svetski rat i dizala Evropu, koja je shvatala snagu Evrope tokom Drugog svetskog rata. Ta generacija je završila sa Kolom i sa Andreotijem. Trenutno na vlasti nemamo osobe koje mogu da osete šta je za Evropu predstavljao Drugi svetski rat. Današnji političari tada su bili deca, a osim toga pripadaju političkoj klasi koja ima opravdanje „nacionalnosti“ – izabrali su ih građani svake pojedinačne zemlje, nije ih izabrao narod Evrope; oni moraju da odgovore svojim građanima, a njihovi građani u poslednjih 10 godina ne osećaju više Evropu kao svoju zemlju jer, na primer, evro, koji je smišljen kao nešto fantastično, nije im doneo značajne blagodeti, već izvesnom sloju stanovništva samo štetu. Evropa nema više percepciju kao jedno dobrodošlo rešenje, ta ideja se sve više kritikuje. Živimo u vremenu evroskepticizma, evrofobije. Italijanska Liga za sever nije proevropski orijentisana, Poljska uopšte nije bila oduševljena Evropom. Novopridošle članice Evropske unije, stupile su u ovu zajednicu isključivo zbog isplativosti, izvesnih računica, a ne zato što su imale neku snažnu motivaciju, neki strateški motiv ili ideal. Nismo podstaknuti da utiremo put ka političkom jedinstvu. Imamo jedinstveno tržište i monetu, to nam ne može oduzeti niko. Te tekovine predstavljaju umnogome pogodnosti zbog kojih su se zemlje Evrope ujedinile, ti postignuti rezultati svaku državu EU primoravaju da ide napred na putu ujedinjavanja. Tako se rezonuje, ali i to treba znati voditi, ojačavati, osnaživati mehanizme EU. Jer, iako danas evropski Parlament ima mnogo više ovlašćenja (od Traktata iz Nice), njegov rad odvija se u klimi u kojoj su nacionalne demokratije mnogo snažne.

Postoji li bolji primer koliko je Evropa slaba prema Americi od onoga što se dogodilo nama u Srbiji: bombardovanje zemlje, potom zaposedanje Kosova i na kraju nezavisnost Kosova. „Kosovo nezavisno jer se tako dopada Amerikancima“,  pisali ste 23. februara 2008. A još 8. decembra 2007. godine izneli ste tri ključna razloga protiv nezavisnosti.

Prema mom mišljenju, već su izbori na Kosovu pokazali neadekvatnost politike koju je sprovodio OUN i, još više, promašaje rata NATO-a protiv Srbije. A gde je završio onaj silan novac koji je dala Evropa za ekonomsku rekonstrukciju Kosova? U rukama neeksperata i korumpiranih ljudi. Kosovo je jedna bolesna zemlja, sa organizovanom kriminalnom mafijom i ekonomijom koja je bazirana na švercu i preprodaji svega. Priznavanje nezavisnosti Kosova bila je jedna velika greška! Ne daje se nezavisnost onome ko nije u stanju da je primeni. Srbija je imala očekivanu i razumljivu reakciju. Ali greške su načinjene u prošlosti, demografija se nije trebala menjati, a ipak je promenjena. Nije mi jasno zbog čega nije izvršen pritisak na Albance da prihvate rešenje jedne snažne autonomije, veće od one Titove, sa izvesnim državnim ovlašćenjima. Albancima je trebalo reći „ne“ za nezavisnost, i bilo je potrebno podržavati to rešenje s obrazloženjem da ko nije u stanju da održi jedan korektan suverenitet, ne može da ima državu; oni koji su sada tamo na vlasti, takozvano rukovodstvo Kosova, nisu pouzdani niti su na visini zadatka. Sada je došao u pomoć EULEKS. Ako EULEKS funkcioniše, to znači da je Kosovo jedan evropski protektorat, a ako ne bude funkcionisao, Kosovo rizikuje da postane jedna haotična država, otvorena za sve vidove kriminala, država kojom se ne može upravljati. Ukratko, reč je o jednom falsifikatu nezavisne države u kojoj pravosuđe drže Evropljani, u kojoj je policija evropska, a granice kontrolišu Evropljani. Dakle, reč je o evropskom protektoratu, a ne o nezavisnoj državi.

Evropa plaća, kontroliše, a strategiju za budućnost i dobra ostvaruju Amerikanci? Namera Sjedinjenih Država da postavi vojne baze kuda god krenula, veoma je snažna i nedvosmislena, nezavisno od toga ko je njen predsednik. Vojni američki establišment veoma je jak i uslovljava predsedništvo SAD-a. Zato sam i pisao i pričao od prvog dana kako je veoma opasno dodeliti Kosovu nezavisnot jer će se tada kreirati pokret za veliku Albaniju. Ono što se dešava na jugu Srbije i u Makedoniji, potvrđuje da su moje sumnje bile opravdane.




Organizzazione radicale albanese vuole modificare i confini

 
Podgorica - Un auto-proclamata organizzazione radicale albanese, il Fronte Nazionale di Unificazione degli Albanesi (FBKSh), ha sollecitato la soluzione della "questione albanese" nei Balcani, sostenendo che gli albanesi "sono colonizzati" nei paesi della regione.
Nella lettera inviata all’US Institute of Peace, l'organizzazione afferma che gli albanesi non godono di sufficienti diritti in Montenegro, Macedonia e Serbia meridionale.
Secondo FBKSh, l'Albania è l'unico paese al mondo con confini definiti artificialmente, che consente ai paesi vicini d’impedire agli albanesi di fare progressi e di avere una vita dignitosa, ha detto il quotidiano montenegrino "Vijesti".
"Queste frontiere artificiali cambieranno, perché il divisa e colonizzato popolo albanese non accetterà di vivere da schiavo dei popoli slavi.
"Dopo le guerre di liberazione del Kosovo, del Kosovo orientale (Presevo e Bujanovac) e Ilirida (Macedonia occidentale), il popolo albanese sta lavorando politicamente per liberarsi dai regimi della colonizzazione", afferma la lettera firmata dal portavoce dell’FBKSh, Gafur ADILI.
Il FBKSh è noto al pubblico come braccio politico del esercito nazionale albanese (ANA).
 
Traduzione di Alessandro Lattanzio



Il giorno 07/giu/09, alle ore 20:57, Coord. Naz. per la Jugoslavia ha scritto:

VERSO NUOVE "GUERRE DI LIBERAZIONE"

L'"U.S. Institute for Peace" dice di aver ricevuto una lettera dal "Fronte dell'Unificazione Nazionale degli Albanesi" (FBKSh, struttura "politica" dei terroristi dell'ANA, "Esercito Nazionale Albanese") nella quale si dice che i confini della Repubblica di Albania sono artificiali e ben presto la "questione albanese" - cioè della unificazione di tutti i territori con forte presenza albanese: "Kosova" in Serbia, "Kosova orientale" attorno a Presevo sempre in Serbia, "Ilirida" attorno a Tetovo in Macedonia, sud del Montenegro (e perchè no anche in Grecia, la cosiddetta zona della "Ciameria") - sarà risolta...
Viene da chiedersi perchè una lettera del genere sia stata resa nota ed, anzi, perchè mai sia stata spedita proprio all'"U.S. Institute for Peace", struttura al servizio del governo degli USA. (Italo Slavo)


Inizio messaggio inoltrato:

Da: Rick Rozoff 
Data: 05 giugno 2009 23:35:43 GMT+02:00
A: Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.
Oggetto: 'Liberation Wars" Slated For Macedonia, Montenegro, South Serbia
Rispondi a: rwrozoff@...


http://www.makfax.com.mk/en-us/Details.aspx?itemID=5076


Makfax
June 3, 2009


Radical Albanian organization wants borders shift  


-"Following the wars for liberation of Kosovo, Eastern Kosovo (Presevo and Bujanovac) and Ilirida (Western Macedonia), the Albanian people are working politically to free itself from the colonizing regimes," 


Podgorica - A self-proclaimed radical Albanian organization, the Front of National Uniting of Albanians (FBKSh), urged solving the "Albanian issue" in the Balkans, claiming that the Albanians "are colonized" in the region's countries.

In the letter sent to the U.S. Institute of Peace, the organization says Albanians do not enjoy enough rights in Montenegro, Macedonia and south Serbia.

According to FBKSh, Albania is the only country in the world with artificially defined borders, which enables neighboring countries to prevent Albanians from making progress and having a dignified life, the Montenegrin daily "Vijesti" said.

"These artificial borders will change, because the divided and colonized Albanian people won't accept to live enslaved by the Slav peoples. 

"Following the wars for liberation of Kosovo, Eastern Kosovo (Presevo and Bujanovac) and Ilirida (Western Macedonia), the Albanian people are working politically to free itself from the colonizing regimes," says the letter signed by the FBKSh's spokesman Gafur Adili.

FBKSh is known to the public as a political wing of the Albanian National Army (ANA).  
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(italiano / english)

9 giugno 1999, fine dei bombardamenti

0) Nostro commento

1) Removal of unexploded ordnance goes on - 10 years after!
Russian mine clearers to disable NATO bombs in Serbia (July 2008) / Russia sends aid, sappers to Serbia (July 2008) / Russia cleans up after NATO’s ’99 bomb fest (July 2008) / Russian specialists clear Serbian airport from mines (Aug. 2008) / Russian mine clearing specialists defuse explosive device at airfield in Serbia (Aug. 2008) / Cluster bombs removed in Nis (Aug. 2008) / NATO bombs still scattered in Serbia (Sept. 2008) / Konuzin, Dacic visit Russian deminers (Sept. 2008) / Russian sappers clear mines in Serbia (Sept. 2008) / Russia to continue mine clearing in Serbia until 2012 (Nov. 2008) / Russia’s Shoigu visiting Belgrade (Apr. 2009)

2) A Decade Since the Air Strikes, 5 years Since the Anti-Serb Riots (Anna Filimonova)

3) DEPLETED URANIUM:
La Kfor è stata avvertita della presenza dell’uranio impoverito in Kosovo (Glas Srbije, Sept. 2008)
NATO Still Killing People in Kosovo (Javno, Nov. 2008)
Cancer: NATO´s time bomb in the Balkans (Russia Today, March 2009)
URANIO IMPOVERITO: EMANATO REGOLAMENTO DI ATTUAZIONE LEGGE SUI RISARCIMENTI (giugno 2009)

4) Uno spartiacque per le Ong, con i raid partì l'infausta missione Arcobaleno (Giulio Marcon)


ALTRI COLLEGAMENTI / MORE LINKS:

60 ANNI DI NATO: IL MASSACRO NELL’EX JUGOSLAVIA a cura del Collettivo Autorganizzato Universitario di Napoli

Rally in Belgrade marks 10 years since NATO bombing
By Heather Cottin

Come caso veramente contraddittorio, e persino negativo, di "informazione" sul decimo anniversario dei bombardamenti segnaliamo il Dossier di Osservatorio Balcani:
Chicche: l'articolo dal Montenegro che ha anche una versione in lingua... montenegrina! ("Crnogorski"), e l'intervista alla propagandista delle bombe (reali ed ideologiche) occidentali, Sonja Biserko.


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9 giugno 1999, fine dei bombardamenti

Verso le ore 22, all' aeroporto sportivo di "Acitepe" vicino a Kumanovo, in Macedonia, viene firmato l' accordo tecnico-militare per una soluzione pacifica della crisi del Kosmet (Kosovo e Metohija). La guerra e' finita.
La risoluzione ONU 1244, che formalizza quell'accordo, diventerà presto carta straccia. Gli americani invece di andarsene dopo 6 mesi costruiscono la piu' grande loro base in Europa, la "Bondsteel"... e chi li smuove piu'!
 
Post scriptum. La aggressione contro la Jugoslavia per strappare il Kosovo ha visto l'Italia come protagonista. E' stato inscenato un vero e proprio teatrino politico nel quale si è fatto a gara a chi aveva maggiore zelo guerrafondaio. Interpreti: Scognamiglio (Difesa) - Prodi (Primo ministro) - Cossiga (ex presidente Repubblica) - D' Alema (Esteri, poi Primo ministro). I titoli (per i testi completi si veda alla nostra pagina: https://www.cnj.it/24MARZO99/politico.htm):

"Il governo D' Alema nacque per rispettare gli impegni NATO" di Carlo Scognamiglio.
 
"Attacco contro Milosevic: fu il mio governo a dire di si" di Romano Prodi.
 
"Scognamiglio replica al presidente UE: Prodi diede solo le basi, noi inviammo gli aerei" di Carlo Scognamiglio.
 
"Onorevole Prodi, non tolga a D' Alema il merito della guerra"! Associazione Peacelink.
 
"Prodi non aveva i voti per rispettare gli impegni NATO" di Francesco Cossiga, senatore a vita.

Alla stessa pagina https://www.cnj.it/24MARZO99/politico.htm raccomandiamo la lettura di
"La vigilia della guerra. Come gli USA hanno operato, attraverso la CIA, per trascinare l' Italia nell' aggressione contro la Jugoslavia", di Domenico Gallo
e "Come l’Italia conquistò lo «status di grande paese»" di Manlio Dinucci
 
"Vorrei ricordare che quanto impegno nelle operazioni militari noi siamo stati, nei 78 giorni del conflitto, dopo gli USA e la Francia, e prima della G. Bretagna. In quanto ai tedeschi, hanno fatto molta politica ma il sforzo militare non  e' paragonabile al nostro; parlo non solo delle basi che ovviamente abbiamo messo a disposizione, ma anche dei nostri 52 aerei, delle nostre navi. L' Italia si trovava veramente in prima linea". On. Massimo D' Alema

(a cura di Ivan)

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Russian Information Agency Novosti - July 23, 2008

Russian mine clearers to disable NATO bombs in Serbia 

MOSCOW - Russian mine clearing specialists will fly to
Serbia on Wednesday to clear unexploded bombs dropped
by NATO warplanes in 1999, the Russian Emergencies
Ministry said on Wednesday. 

During the Western military alliance's bombing of the
former Yugoslavia, which forced Serbia to withdraw its
troops from Kosovo, cluster bombs were frequently used
on the south Serbian city of Nis. Unexploded bombs
from the war have yet to be disabled in several areas
of Serbia. 

"In line with the government's instruction, the
Russian Emergencies Ministry is sending 60 specialists
to Serbia to provide assistance in demining. Russian
specialists will be engaged in work to clear the
territory of an airfield near the city of Nis and the
adjacent area," the ministry said in a statement. 

The work will begin on August 1, after a camp is set
up and reconnaissance is carried out, the ministry
said. 

"This is the first part of a humanitarian project to
render Serbia assistance in demining its territory.
This work is expected to be continued in other areas
next year," the ministry said. 

---


Russian Information Agency Novosti - July 23, 2008

Russia sends aid, sappers to Serbia 


BELGRADE - Russia will deliver some $1 million worth
of medical equipment and a team of sappers to Belgrade
on Wednesday, a spokesperson for the Russian Embassy
in Serbia said. 

The delivery by an emergencies ministry aircraft will
be the fifth shipment of humanitarian aid to
Serb-dominated enclaves of Kosovo, since the province
declared its independence from Serbia on February 17. 

Russian mine clearing specialists will also fly to
Serbia on Wednesday to clear unexploded bombs dropped
by NATO warplanes in 1999. 

During the Western military alliance's bombing of the
former Yugoslavia, which forced Serbia to withdraw its
troops from Kosovo, cluster bombs were frequently used
on the south Serbian city of Nis. Unexploded bombs
from the war have yet to be disabled in several areas
of Serbia. The work will begin on August 1. 

The Russian aid, worth around 40 million rubles ($1.7
million), was flown to Belgrade in four deliveries in
early April. The supplies consisted of 140 metric tons
of food, including canned meat and fish, baby food,
rice, and sugar, along with 20 metric tons of medical
equipment, medicines, disinfectants, and other
healthcare products. 

Kosovo, with a 90% ethnic-Albanian majority, has been
formally recognized as a sovereign state by 43
countries including the United States and most
European Union members. Russia and China continue to
back Belgrade's position that Kosovo will always
remain a part of Serbia. 

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Russia Today - July 23, 2008

Russia cleans up after NATO’s ’99 bomb fest 

Russia has sent 60 bomb disposal experts to Serbia to
help remove explosives dropped by NATO in 1999. 

The sappers will work in the mine-infested area around
the airport at Nis. It was heavily bombed during
NATO’s campaign against Serbia....

The Russian Emergencies ministry plane set off for
Serbia on Thursday. 

Serbian soil is littered with explosive devices left
after the many Yugoslav wars between 1991 and 2001,
making the countryside particularly dangerous.

The mine sweeping will begin in August and continue
until the snow falls in Serbia later in the year. 

The next phase of the job is planned for spring 2009. 

Emergencies Ministry representative Yury Brazhnikov
said the aim of the mission was to allow the area
around Nis “to function economically”.

“We will continue working over the next year. This
mission is a gift from Russia to Serbia,” Brazhnikov
said. 

Another aim of the mission is to remove the remaining
obstacles to the construction of the Serbian section
of South Stream – a pipeline which is due to transport
Russian gas to Europe.

---


Voice of Russia - August 4, 2008

Russian specialists clear Serbian airport from mines 


A team of 60 officers of the Emergency Situations
Ministry have started the works to clear the territory
of the Serbian Nis airport from mines. 

In line with the government's instruction, the Russian
specialists are engaged in work to clear the areas
suffered from the 1999 NATO bombings. 

The same procedures are planned in other Serbian
regions next year. 

---


Voice of Russia - August 5, 2008

Russian mine clearing specialists defuse explosive device at airfield in Serbia 


Russian mine clearing specialists who have recently
arrived in Serbia to clear unexploded bombs dropped by
NATO warplanes in 1999, have defused an explosive
device at an airfield near the city of Nis. 

Russia sent in a 60-strong team of demining experts to
restore the affected territories to normal life. 

The Russians will resume their demining effort next
year in other parts of Serbia. 

---


B92 - August 6, 2008

Cluster bombs removed in Nis 


NIS - A clean-up operation of cluster bombs left over
from the 1999 NATO attack is under way at the Nis
airport.

Russia's state demining agency Emerkom experts are
engaged to complete the removal of the deadly
ordnance. 

They will continue with the clean-up in the areas of
Kraljevo, Sjenica, Mt. Kopaonik and Kursumlija,
financed by the funds set aside by the Russian
Federation government. 

Although several years ago Konstantin Veliki airport
immediate perimeter was cleaned of 80 cluster and 16
large bombs, nine years after the NATO attack on
Serbia, not all the cluster bombs dropped by the
alliance's planes have been safely removed. 

Now, with plans to expand the airport, the removal of
the deadly bombs from the wider area has become a
priority. 

The last cluster bomb victim in Nis was killed in
2000, when a man died of his wounds sustained after
accidentally activating one in the Duvanište
neighborhood. 

In the past couple of years, cluster bombs had been
found by accident among other locations on the roof of
a clinic in Nis, in an elementary school yard, and
several months ago in the yard of a mosque in the city
center. 

This area of Nis was attacked with a large number of
cluster bombs. The effects are still visible on the
houses and fences. 

The clean-up operation is set to last for four months,
but none of the locations has a visible warning about
the danger of unexploded cluster bombs. 

---

http://www.b92.net/eng/news/society-article.php?yyyy=2008&mm=09&dd=08&nav_id=53311

Vecernje Novosti - September 8, 2008

NATO bombs still scattered in Serbia 


BELGRADE - Nine years after NATO attacks on Serbia,
many bombs have not been cleaned up, Vecernje Novosti
writes.

The Belgrade daily specifies today that some 2,300
hectares are still suspected of being contaminated
with cluster bombs, while mine fields stretch on 150
hectares.

In addition, 60 aircraft bombs dropped by NATO planes
have not been defused and "could go off at any
moment". 

Serbia needs to spend some USD 35mn to clean the
countryside of unexploded ordnance, and should
donations – which make the job possible – arrive at
the current pace, the operations will not be finished
in the next ten years. 

Currently, Russian experts are working to demine the
Niš airport. 

Director of the Mine Action Center Petar Mihajlovic
told the newspaper he plans to travel to Moscow and
propose to the Russian authorities to undertake the
bomb clearance operation in all of Nis, and Sjenica in
western Serbia, where estimates say NATO dropped bombs
on some four million square meters of space. 

Experts believe that unexploded aircraft bombs are
still in 43 locations in the country, some of them
weighing as much as 930 kilograms, capable of
burrowing their way 20 meters into the ground. 

---

http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2008&mm=09&dd=15&nav_id=53490

Beta News Agency - September 15, 2008

Konuzin, Dacic visit Russian deminers 


NIS - Russian experts are working on mine clearance in
Nis, where 13 cluster bombs and five air bombs have
been found so far.

Today, Interior Minister Ivica Dacic and Russia's
Ambassador to Serbian Aleksandr Konuzin visited the
EMERKOM team, where leader Andrei Vinohodov told them
that a number of other explosives were also discovered
at the location.

The Russian specialists have since July manually
searched 123,000 square meters of the Nis airport
grounds. 

A mechanical device designed to search for bombs has
combed 263,000 square meters of the civilian part of
the airport. 

Vinohodov said that some 30 Russian specialists from
EMERKOM, the Russian state agency, have found eight
cluster and air bombs, three grenades, 20
anti-aircraft 20 millimeter caliber bullets and one
detonator. 

Dacic said that the Serbian people value Russia’s help
highly, which is seen not only in this instance, but
in Moscow's principled stance regarding Kosovo and the
Serbian position in international relations. 

He explained that many of the bombs found were dropped
by NATO airplanes during the attack on Serbia in 1999,
including cluster bombs, which have been outlawed. 

Dacic also addressed the issue of the strategic
Russo-Serbian energy agreement: “We hope that after
the ratification, we will accelerate the signing of
all the acts that stem from the agreement.” 

Konuzin said that the Russian experts engaged in the
mine clearing operation in Serbia's south are "very
positively influenced by the ratification of the
energy agreement between Serbia and Russia". 

The ambassador added that he hopes that the Russian
Emergency Situations Ministry will successfully
cooperate with a similar service which Serbia has in
the pipeline. 

---


Voice of Russia - September 25, 2008

Russian sappers clear mines in Serbia

Russian bomb disposal experts have removed more than
40 explosives dropped by NATO in 1999, a spokesman for
the Russian Emergency Situations Ministry reported
Thursday. 

A team of 60 sappers from Russia have been working in
Serbia since late July. 

The Nis airport and the nearby territories must be
carefully examined by the sappers so that Serbia could
use those lands for economic purposes.

The operation was launched as part of the humanitarian
project initiated by the Russian government. 

Next year it will be continued in other Serbian
regions.

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Russian Information Agency Novosti - November 28, 2008

Russia to continue mine clearing in Serbia until 2012 


MOSCOW - Russia will continue mine clearing operations
in Serbia until 2012 as part of humanitarian aid to
the country, which was heavily bombed by NATO
warplanes in 1999, the Russian Emergencies Ministry
said on Friday. 

During the Western military alliance's bombing of the
former Yugoslavia, which forced Serbia to withdraw its
troops from Kosovo, cluster bombs were frequently used
on the south Serbian city of Nis. Unexploded bombs
from the war have yet to be disabled in several areas
of Serbia. 

Russia sent 60 explosives experts in July to Serbia to
provide assistance in demining its territory. 

The work around the city of Nis began on August 1, and
the Russian sappers have so far disabled at least 260
explosive devices in the area. 

"We will finish the first part of the humanitarian
operation - work to clear the territory of an airfield
near the city of Nis and the adjacent area - in two
weeks," said Yury Brazhnikov, head of the
international operations department at the ministry. 

"We will then begin the second part of the operation,
which will extend to other areas and facilities,
primarily in the oil and gas industry, and will last
until 2012," he added. 

---

http://www.b92. net/eng/news/ politics- article.php? yyyy=2009& mm=04&dd= 03&nav_id= 58275

Tanjug News Agency - April 3, 2009

Russia’s Shoigu visiting Belgrade 

BELGRADE - Russian Emergency Situations and Civil Defense Minister Sergei Shoigu has begun his visit to Serbia by meeting with Prime Minister Mirko Cvetkovic.

During his visit to Belgrade, Shoigu will also be meeting with President Boris Tadic, Foreign Minister Vuk Jeremic and Interior Minister Ivica Dacic, who, along with the Russian minister, is chairing the Inter-Governmental Mixed Commission. 

Shoigu is also expected to meet with senior officials from the Serbian Oil Industry (NIS). 

According to a statement from the Russian ministry, Shoigu will also focus on the work of the expert Russian de-mining team in the region of Paracin, through which the South Stream gas pipeline is due to pass. 

The removal of unexploded ordnance left over from the 1999 NATO bombing is set to begin in this region on April 6, before the team moves on to Niš in mid-April. 

Shoigu and Dacic will sign a protocol on exceptions to the free trade agreement between the two countries. 
....


=== 2 ===

http://en.fondsk. ru/article. php?id=2008

Strategic Culture Foundation - March 25, 2009

A Decade Since the Air Strikes, 5 years Since the Anti-Serb Riots

Anna Filimonova


For Serbs, the March of 2009 is marked by two gloomy anniversaries – a decade since the NATO aggression against Yugoslavia and 5 years since the anti-Serb riots in the province of Kosovo and Metohija. 

The Kosovo crisis during which local conflicts in the post-Yugoslavian space culminated in the NATO attack against the sovereign Yugoslavia left the world facing a new reality, with the system of international relations established by the Yalta and Potsdam Conferences defunct, Europe geopolitically subdued by the US, and the US entrenched in the Balkans. 

Albanian criminal clans increasingly strengthened their positions in Kosovo ever since, and even the terrorist Kosovo Liberation Army staged a comeback under the guise of the new Kosovo security forces. 

Currently Albanians in Kosovo are striving to gain control over the Serb enclaves in the northern part of the province and making serious efforts to broaden Albanian extremist movements in the southern regions of Serbia (Presevo, Bujanovac, Medveda). 

During her recent meeting with the Pristina leadership, US Secretary of State Hillary Clinton confirmed the continuity of Washington's Balkan politics, especially that with respect to Kosovo. 

She gave her Albanian partners a clear indication that the US would not leave the Balkan job unfinished. Thus encouraged by the US, Kosovo “Prime Minister” Hashim Thaci declared the regulations set by the UN Mission in Kosovo as well as UN Security Council Resolution 1244 overruled and the entire bulk of their documents - inapplicable in Kosovo. 

At the same time, one gets an impression that the European Rule of Law Mission in Kosovo (EULEX) coexists with the Kosovo Albanians in perfect harmony as Thaci says his administration will in every possible way support EULEX activity across the province and in its northern - Serb-populated - part in particular. In other words, the UN administration is being sidelined by simply discarding the UN Mission in Kosovo and arbitrarily transferring its functions to EULEX. The personnel of the UN Mission will be reduced to purely symbolic numbers. Great Britain says it plans to withdraw 167 military servicemen from Kosovo. The Spanish contingent in the UN Mission (620 servicemen) is also packing its bags. 

In strange concert with Thaci, Serbian President Bris Tadic has lightheartedly recognized EULEX. The latter and the government of Serbia reached an agreement that EULEX laws should be enforced in the northern part of Kosovo. 

As a result, ELEX can assume responsibility for law and order, of course interpreting them as it sees fit. President V. Kostunica charged EULEX with releasing Albanians whose guilt for crimes against Serbs had been proven in court and said the policy amounts to complicity in the carefully planned expulsion of Serbs from Kosovo. 

The commemoration of the victims of the anti-Serb riots which took place in Kosovo and Metohija 5 years ago highlighted the total helplessness of the current Serbian administration. 

The death toll during the March 17-18, 2004 riots reached 19, with 954 people wounded. Serbs were ethnically-cleansed from 6 cities and 9 villages, and 935 residences and 35 churches and monasteries were destroyed during the tragic events. 

The commemorations were led by the Serbian Orthodox Church. Memorial services were held in all churches and monasteries of Kosovo and Metohija and in the Belgrade cathedral. Amfilohije, the Metropolitan of Montenegro and the Littoral, said that the impunity of those who committed the crimes breeds new waves of lawlessness. 

On the eve of the 10th anniversary of NATO bomb strikes on Yugoslavia the position of “the international community” on the Serbian issue was expressed clearly by NATO Secretary General Jaap de Hoop Scheffer who said that the intervention had been necessary. 

No doubt, the West needed the intervention. J. Norris, an aide to Strobe Talbott, who held the position of Madeleine Albright’s deputy during the crisis, published memoirs where he explained that Milosevic was the only figure capable of opposing the transformation of Central and East Europe. 

According to Norris, Milosevic's stubbornness made the point of NATO's further existence questionable and this fact rather than the “plight” of Albanians in Kosovo was the actual reason behind the intervention. The resistance from the Serbian leader had to be broken at any cost. 

Albanians and the US had common interests in Kosovo. The former sought independence for the province and the latter wanted to deploy NATO forces in it. The unyielding Milosevic was portrayed as the “ultimate evil” by the global media. When Yugoslavia rejected the Rambouillet ultimatum, NATO resorted to force. By doing so, as Norris cynically remarks, it also undermined the authority of the UN which was the last trump card at Russia's disposal. The Racak incident – a provocation presented as an act of genocide against Albanians – was invoked as the pretext for the aggression. 

Russia's indecisiveness in 1999 equally hurt the interests of Serbs and those of its own people. In essence, Russia allowed to be set a precedent for a military intervention against a sovereign country, though – Norris shows his full awareness of the fact – few in Russia believed that so intense an intervention launched by NATO in a relatively insignificant place like Kosovo was not a part of a much broader, global plan. 

The country targeted by the global plan was Russia. Not surprisingly, a team of Russian diplomats submitted a document to the US and Finnish negotiating team with a claim that NATO was attempting to eliminate Russia as a global factor. Norris is open about the matter in his book – if NATO can bomb Kosovo, the alliance is clearly ready to intervene in Russia without any UN mandate. 

On the second day of the NATO campaign against Yugoslavia Russian Foreign Minister Igor Ivanov told Madeleine Albright during a phone conversation that while Yugoslavian forces had killed 300 people in Kosovo over the past year, the death toll after just one night of NATO bomb strikes reached 50. Ivanov described the air strikes as undisguised genocide. 

In a gross breach of the norms of international law, NATO forces launched over 35,000 air raids during the 78 days of the attack against Yugoslavia, hitting 995 targets. 

Several thousand civilians were killed (the exact number is unknown). 

Militsa Rakic, a 3-year-old girl killed by a NATO strike, is the epitome of the Serbian tragedy caused by the NATO aggression. 
....
A total of 25,000 tons of explosives (79,000 tons according to other sources) were dropped on Yugoslavia. 

NATO used cassette [cluster] bombs - over 2,000 of them were dropped, spreading some 300,000 small mines, 20,000-30,000 of which are estimated to remain unexploded, awaiting new victims. 

The use of shells with depleted uranium during the offensive and the destruction of petrochemical industry installations caused an environmental disaster in the region. 

The infrastructure of the former Yugoslavia – airports, bridges, railroads – also suffered serious damage. At least half of the country's military-industrial complex was ruined as were numerous health care and education centers, architectural landmarks, etc. The damage totaled $200 bn, and this is only a part of the list of crimes NATO committed against Serbs. 

A decade after the aggression NATO continues to strengthen its positions in the Balkans while official Belgrade makes no efforts to protect the Serbian population locked in ghettos in Kosovo.


=== 3 ===

www.glassrbije

La Kfor è stata avvertita della presenza dell’uranio impoverito in Kosovo
 
29. settembre 2008.
 
Dopo l’arrivo in Kosovo nell’anno 1999 i membri della brigata Occidente della Kfor hanno ricevuto il manuale nucleare-biologico-chimico, sulla copertina del quale è disegnato un teschio, come il segno ammonitore del pericolo radiologico, scrive il giornale tedesco Nachrichten. L’ammiraglio italiano Falco Accame ha recapitato una copia del manuale alla redazione del giornale. Dopo la carriera militare l’ammiraglio Acame è diventato deputato e attivista dell’Associazione per la protezione dei militari che si sono ammalati dopo il contatto con l’uranio impoverito durante le missioni di pace. Nel manuale c’è scritto che i veicoli e il materiale dell’esercito serbo possono rappresentare un pericolo per le persone che verranno in contatto con essi. Gli esperti affermano che questo manuale è il primo riconoscimento ufficiale che la NATO durante i bombardamenti contro la Serbia nell’anno 1999 metteva l’uranio impoverito non soltanto nei proiettili ma anche nei missili.

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Javno.com (Croatia) 
November 17, 2008 
DEPLETED URANIUM 
NATO Still Killing People in Kosovo 
Over the 78 days of NATO bombing, a total of 31,000 shells with depleted uranium, weapons banned by international treaties, were dropped in Kosovo. Back in 1999 NATO carried out a 78- day shelling of Serbia and Kosovo. They allegedly used depleted uranium which continues to kill people. Nine years after NATO’s bombing of Serbia, the North Atlantic Treaty Organisation is still taking lives in Kosovo, Serbia’s Pressonline reported. The NATO allegedly used shells with depleted uranium which are still today causing an increase in the number of cancer patients. Prior to 1999, the number of Serbs who suffered from malignant tumours was three times lesser, according to the statistics of Serb hospitals. In Kosovo’s Kosovska Mitrovica in 2005 there were 38 percent more cancer patients than in 2004. In those two years, a total of 3,500 cancer cases in Kosovo Albanians were diagnosed. Globally, six people out of a thousand suffer from malignant tumours on average. In the Kosovska Mitrovica hospital, there are 200 cancer patients to 1,000 people. NATO used weapons banned by international conventions? After 2000, groups of experts in atomic energy tested water, food, air, plants and animals to establish the damage caused by radiation from NATO shells. Beta and Gamma radiation was higher than the permissible level and radiation was discovered in the soil, water, plants and animals. After it gets into the soil, it takes some 250 years for depleted uranium to degrade. The conclusions of the studies were that the environment on 100 locations in Kosovo was not safe for animals or people, but no bans or moving of the population was carried out. European peace troops stationed in Kosovo knew there was great danger of radiation in these areas. Italian military experts concluded in 2005 that 34 soldiers had died from leukaemia and various malignant tumours. Since then 150 soldiers from Kosovo were sent home. In mid-2000 NATO published a map with 112 marked locations that had been shelled with depleted uranium. Over the 78 days of NATO bombing, a total of 31,000 shells with depleted uranium, weapons banned by international treaties, were dropped in Kosovo.
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Cancer: NATO´s time bomb in the Balkans

24 March, 2009, 22:23

Tuesday marks the 10th anniversary of the beginning of the
three-month NATO bombing campaign of the former
Yugoslavia - and a decade later, the wounds of the war are still
felt.
Throughout the areas which have been affected by NATO
bombings, hundreds of people are dying of cancer. Experts
say that this may be a result of uranium shells being used.
A little cemetery in Bratunac, Eastern Bosnia became the final
resting place for a number of cancer victims. A local resident,
who preferred to remain anonymous, gave RT the names of
some who are buried there. He says they all died of cancer.
Read more
Djoko Zelenovic, who worked in the local military repair factory,
died from the disease at the age of 65. The 35 year-old mother
of two small children also rests here.
There used to be no more than one or two funerals a year in
this small Serbian village in Eastern Bosnia. Since NATO
dropped bombs on Sarajevo in the summer of 1995, the
number has climbed to as many as one or two deaths a month.
Nikola Zelenovic´s parents are buried here. He says they were
healthy until the NATO bombings and is now spearheading an
investigation.

Nikola says that "my family lived throughout the war years in
the town of Hadjici. My father was working in one of the
factories there when NATO bombed it. His health problems
started soon afterwards. He died from lung cancer. My mother
died a year and a half after him from Leukemia. My parents
were never sick before."
Starting on March 24th, 1999, for three months NATO bombed
Serb targets in the Former Republic of Yugoslavia. Four years
earlier its forces had bombed Bosnia-Herzegovina.
Their aim was to end the fighting between Serbs and
Albanians who lived in the areas.
But they left a time bomb behind them. In the years that
followed, hundreds of people living in the areas that were hit
have died of cancer

In Kosovo, the number of cancer patients has grown three
times over the last ten years, while in Bosnia-Herzegovina,
already more than a thousand people have died from cancer.
Doctor Slavko Zdrale has treated several cancer patients over
the past years and boldly advances theories on the subject:

He told RT that "a few years ago we started noticing that there
was as many as five times the number of people dying of
different kinds of cancer as compared to the number of people
who had been sick before the war."
"We worked out that 90% of them came from areas NATO had
bombed and from areas where ammunition with uranium was
used. Nobody in the international community took much notice
until Italian soldiers who were stationed in those areas started
dying from cancer-related illnesses."
In Pale, Bosnia-Herzegovina, the war crimes court is recording
evidence of an increased number of cancer patients. The court
says that the pieces of ammunition found in the bombed areas
had a much higher level of radiation than is internationally
allowed. Investigators are convinced that this radiation is the
underlying cause of cancer.
Simo Tusevljak, the coordinator of the Research and
documentation of war crimes, stated that "we believe that this
was a deliberate attempt by NATO forces to kill as many
people as possible. It was also a chance for the West to test
new weapons." .
"But there is nothing we can do," he added. "We cannot file
any complaint against NATO because all those involved have
diplomatic immunity. A NATO soldier can kill and never be
prosecuted. But perhaps one day some senior officials from
NATO who ordered the bombings will be prosecuted. I believe
the order came from high up."
NATO hasn't commented on the claims and has dismissed
Serbian and Italian investigations.

There has been no other independent research conducted on
the subject.
The little cemetery in Bratunac is already full. But locals fear
the number of cancer victims will continue to grow for at least
the next fifty years, or for as long as it takes for the air to clean.
Ten years after the NATO bombings, the alliance still has a lot
to answer for. But no matter when those answers come (or
whether they will come at all) they will be too late for the
cancer victims.

---

Perchè un tale risarcimento non dovrebbe valere anche per la popolazione della ex Repubblica jugoslava di Bosnia - Erzegovina (la parte serba, bombardata nel 1994 e 1995), e la mini Jugoslavia (Serbia e Montenegro, bombardate nel 1999)? ... (Ivan)
 
URANIO IMPOVERITO: EMANATO REGOLAMENTO DI ATTUAZIONE LEGGE SUI RISARCIMENTI               

mercoledì 03 giugno 2009

LA CGIL METTE A DISPOSIZIONE LE PROPRIE STRUTTURE. Roma, 3 giu - Pubblichiamo una lettera inviataci da Marcello Tocco, responsabile dell'Ufficio  Sicurezza Legalità  della  CGIL, con la quale comunica che le strutture del sindacato sono a disposizione degli aventi diritto al risarcimento.

La pubblicazione sulla G.U. del 22 aprile 2009  del DPR .37 del 3 marzo 2009  che va in vigore dal 6 maggio 2009, ha emanato il regolamento di attuazione della L. n. 244 del 24 dicembre 2007 che definisce i termini e le procedure per  la presentazione delle domande e il riconoscimento del danno per esposizione ad uranio impoverito.

La legge prevede che possono godere del risarcimento militari in servizio o in pensione, che a partire dal 1 gennaio 1961, abbiano usato o custodito munizionamento con uranio impoverito, sia in zone di missione o di operazione all’estero, che in poligoni di tiro o depositi in Italia,e civili he abbiano volontariamente prestato la loro opera all’estero in zone di missione militare e cittadini italiani che siano venuti  a contatto con munizionamenti o risiedono e abitano vicino a poligoni di tiro o depositi.

Naturalmente hanno diritto anche i superstiti,coniuge e figli,ma stranamente non i genitori.

La platea di aventi diritto è quindi amplissima, e la CGIL nazionale e l'’INCA nazionale (il patronato confederale di assistenza per tutte le pratiche previdenziali e delle assicurazioni obbligatorie) hanno predisposto un ampio e articolato servizio di assistenza per gli aventi diritto presso tutte le proprie strutture territoriali.

Le domande per gli eventi gia avvenuti, devono essere inoltrate entro sei mesi dalla pubblicazione del DPR 37/2009 ai sensi dell'art. 3 comma 2; ossia entro il 06.11.2009.

Per gli episodi invece verificatesi successivamente all'entrata in vigore del suddetto DPR, le domande devono essere presentate entro sei mesi dall'episodio invalidante, e comunque non oltre il 31.12.2010.  (n.d.r.)

Marcello Tocco

Resp. Ufficio  Sicurezza Legalità  CGIL nazionale

(Fonte: http://www.grnet.it/index.php?option=com_akocomment&task=quote&id=2953&Itemid=46 )

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OK A REGOLAMENTO PER 30 MILIONI DI RISARCIMENTI A VITTIME

GIOVEDÌ 4 GIUGNO 2009

Dopo anni di censure e silenzi è giunta l'ora della giustizia e quindi dei risarcimenti economici per i tanti militari rimasti vittime dell'esposizione all'uranio impoverito.
In Italia sono 250 i militari morti e 1991 quelli malati, secondo i dati forniti dal Goi (Gruppo Operativo Interforze della Sanità Militare).

A queste vittime saranno destinati i 30 milioni di euro stanziati in precedenza. Lo scorso 6 maggio è infatti entrato in vigore il Decreto del Presidente della Repubblica n. 37 del 3 Marzo 2009, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 22 Aprile 2009. Con questo decreto è stato emanato il regolamento di attuazione della legge numero 244 del 24 dicembre 2007 che definisce i termini e le procedure per la presentazione delle domande e il riconoscimento del danno per esposizione ad uranio impoverito.

La legge prevede che possono godere del risarcimento i militari in servizio o in pensione che, a partire dal 1 gennaio 1961, abbiano usato o custodito munizionamento con uranio impoverito, sia in zone di missione o di operazione all’estero, che in poligoni di tiro o depositi in Italia, e civili che abbiano volontariamente prestato la loro opera all’estero in zone di missione militare e cittadini italiani che siano venuti a contatto con munizionamenti o risiedono e abitano vicino a poligoni di tiro o depositi. Naturalmente hanno diritto anche i familiari di militari scomparsi, coniuge e figli, ma stranamente non i genitori.

Positivo il commento dell'avvocato Bruno Ciarmoli, del Foro di Bari, che assiste diversi familiari, secondo il quale "dopo la sentenza dello scorso dicembre che ha condannato il Ministero della Difesa al risarcimento di oltre 500mila euro nei confronti di un militare toscano, si fa un ulteriore passo avanti verso la verità e il riconoscimento di diritti sacrosanti."

ASSISTENZA LEGALE VITTIME E FAMILIARI

STUDIO LEGALE Bruno Ciarmoli
Per informazioni: 080/52.47.542

(Fonte: http://inchiestauranio.blogspot.com/2009/06/ok-regolamento-per-30-milioni-di.html )


=== 4 ===

(Pur non condividendo la interpretazione dei fatti jugoslavi data da Giulio Marcon - ad esempio quando parla di "contro-pulizia etnica", dimostrando di accettare tutti gli assunti bugiardi con cui quella guerra fu costruita - ne' il suo entusiasmo sul precedente "decennio straordinario in ex Jugoslavia (...) di pacifismo concreto (...), molto poco ideologico e fatto di diplomazia dal basso (...) a fianco dei rifugiati, delle Donne in nero, dei centri anti-guerra..." - come se questo idealismo pacifista non fosse esso stesso ideologia, e non avesse avuto un ruolo strumentale nell'appoggio alla secessione fascista di Izetbegovic - facciamo circolare questo suo scritto che ricorda, giustamente, lo scandalo della "Missione Arcobaleno", oggi sostanzialmente dimenticato e persino insabbiato nei suoi risvolti giudiziari. AMar)

NATO-KOSOVO 1999

Uno spartiacque per le Ong, con i raid partì l'infausta missione Arcobaleno

di Giulio Marcon

Il manifesto del 23-3-2009

La guerra del Kosovo di dieci anni fa ha segnato uno spartiacque anche per le organizzazioni non governative (Ong) e l'intervento umanitario nelle aree di conflitto. Quella guerra fu definita «umanitaria» e la missione Arcobaleno fu pensata nelle stesse ore in cui veniva decisa l'adesione dell'Italia ai bombardamenti della Nato. I raid iniziarono il 24 marzo, Arcobaleno fu annunciata il 27 marzo. L'intervento umanitario fu dunque organico alla guerra e molte Ong consapevoli o meno- si misero al servizio di questa visione. I paesi della Nato utilizzarono «l'argomento» umanitario come corredo indispensabile per costruire consenso intorno ad operazioni militari contrarie al diritto internazionale. Così diverse Ong accettarono soldi da un governo che stava facendo la guerra: il tutto per far fronte ad un'emergenza in larga parte causata dallo stesso governo da cui si ottenevano lauti finanziamenti. Si potevano vedere soldati della Nato aiutare le Ong a montare le tende dei campi per i profughi (che scappavano dai bombardamenti dell'Alleanza Atlantica oltre che dalle milizie serbe) o rifornire gli stessi campi di beni di prima necessità già in dotazione agli eserciti. Molte organizzazioni abdicarono alla propria autonomia ed indipendenza. Il tutto in cambio di finanziamenti per progetti, in alcuni casi perfettamente inutili, ma funzionali alle proprie strutture e a pagare lo staff. Non per tutti fu così, ma per tanti sì. Il 3 aprile del 1999 gli organismi di solidarietà internazionale che non avevano accettato la missione Arcobaleno (tra cui Ics, Arci, Legambiente, Un Ponte per, Cric, ecc.) organizzarono una manifestazione a Roma contro la guerra con 100mila persone. Alla fine della guerra in Kosovo, erano presenti sul campo oltre 400 Ong con propri progetti in un territorio grande quasi quanto l'Abruzzo. Il tutto all'insegna di un intervento umanitario invasivo, dall'alto e assistenziale. E protetto dai militari della forza internazionale, gli stessi militari che non proteggevano le nuove minoranze del Kosovo colpite dalla contro-pulizia etnica. Solo poche Ong (come Medici senza frontiere e Ics) protestarono. Dalla guerra in Kosovo si è sviluppato un approccio militar-umanitario che ha avuto il suo coronamento in Afghanistan e in Iraq con l'istituzione nella Nato del Cimic (la Civilian Military Cooperation), di una strategia militare, cioè, che ha inglobato la dimensione umanitaria come strumento pratico e ideologico di consenso mediatico e di affiancamento sul campo. Fino a qualche anno fa le Ong sono state completamente adagiate a questo approccio; dai fallimenti dell'Iraq in poi alcune di queste sono rinsavite e hanno riaffermato la necessaria indipendenza (tra l'altro sancita formalmente dai principali codici di condotta internazionale delle agenzie umanitarie) della sfera umanitaria da quella militare. Ma è certo che la guerra in Kosovo ha messo in luce tutta la debolezza di un'azione umanitaria - in particolare italiana - senza identità politica e culturale, completamente subalterna e cooptata nelle istituzioni: una cooperazione e delle organizzazioni paragovernative che con la mano sinistra scuotevano debolmente la bandiera arcobaleno e con quell'altra cercavano di prendere il più possibile dalla cassa Arcobaleno . E' stato, dal punto di vista dell'autonomia e dell'identità culturale, il punto più basso dell'intervento umanitario italiano. Quel periodo però arrivò dopo un decennio straordinario in ex Jugoslavia (in Bosnia Erzegovina e in Serbia) di pacifismo concreto (lo definì Alex Langer), molto poco ideologico e fatto di diplomazia dal basso, accoglienza dei profughi, migliaia di volontari, centinaia di comitati locali a fianco dei rifugiati, delle Donne in nero, dei centri anti-guerra, delle vittime di ogni etnia. Un'esperienza che fu oscurata dal circo militare-umanitario della missione Arcobaleno, ma che sottotraccia continua ancora oggi.




(deutsch / italiano / francais)


LUNEDÌ 1 GIUGNO 2009


Tienanmen 20 anni dopo

di Domenico Losurdo


Versione francese su http://www.voltairenet.org/article160446.html

Versione tedesca su Junge Welt


In questi giorni, la grande stampa di «informazione» è impegnata a ricordare il ventesimo anniversario del «massacro» di piazza Tienanmen. Le rievocazioni «commosse» degli avvenimenti, le interviste ai «dissidenti» e gli editoriali «indignati», i molteplici articoli che si sussseguono e si preparano mirano a ricoprire di perpetua infamia la Repubblica Popolare Cinese e a rendere solenne omaggio alla superiore civiltà dell’Occidente liberale. Ma cosa è realmente avvenuto venti anni fa?
Nel 2001 furono pubblicati e successivamente tradotti nelle principali lingue del mondo i cosiddetti Tienanmen Papers che, stando alle dichiarazioni dei curatori, riproducono rapporti segreti e i verbali riservati del processo decisionale sfociato nella repressione del movimento di contestazione. E’ un libro che, sempre secondo le intenzioni dei curatori e degli editori, dovrebbe mostrare l’estrema brutalità di una dirigenza (comunista) che non esita a sommergere in un bagno di sangue una protesta «pacifica». Sennonché, una lettura attenta del libro in questione finisce col far emergere un quadro ben diverso della tragedia che si consuma a Pechino tra maggio e giugno del 1989. Leggiamo qualche pagina qua e là:
«Più di cinquecento camion dell’esercito sono stati incendiati in corrispondenza di decine di incroci […] Su viale Chang’an un camion dell’esercito si è fermato per un guasto al motore e duecento rivoltosi hanno assalito il conducente picchiandolo a morte […] All’incrocio Cuiwei, un camion che trasportava sei soldati ha rallentato per evitare di colpire la folla. Allora un gruppo di dimostranti ha cominciato a lanciare sassi, bombe molotov e torce contro di quello, che a un certo punto si è inclinato sul lato sinistro perché uno dei suoi pneumatici si è forato a causa dei chiodi che i rivoltosi avevano sparso. Allora i manifestanti hanno dato fuoco ad alcuni oggetti e li hanno lanciati contro il veicolo, il cui serbatoio è esploso. Tutti e sei i soldati sono morti tra le fiamme»[1].
Non solo è ripetuto il ricorso alla violenza, ma talvolta entrano in gioco armi sorprendenti:
«Un fumo verde-giallastro si è levato improvvisamente da un’estremità del ponte. Proveniva da un’autoblindo guasto che ora costituiva esso stesso un blocco stradale […] Gli auotoblindo e i carri armati che erano giunti per sgomberare la strada dai blocchi non hanno potuto fare altro che accodarsi alla testa del ponte. Improvvisamente è sopraggiunto di corsa un giovane, ha gettato qualcosa in un autoblindo ed è fuggito via. Alcuni secondi dopo lo stesso fumo verde-giallastro è stato visto fuoriuscire dal veicolo, mentre i soldati si trascinavano fuori e si distendevano a terra, in strada, tenendosi la gola agonizzanti. Qualcuno ha detto che avevano inalato gas venefico. Ma gli ufficiali e i soldati nonostante la rabbia sono riusciti a mantenere l’autocontrollo»[2].
Questi atti di guerra, col ricorso ripetuto ad armi vietate dalle convenzioni internazionali, si intrecciano con iniziative che danno ancora di più da pensare: viene «contraffatta la testata del “Quotidiano del popolo”»[3]. Sul versante opposto vediamo le direttive impartite dai dirigenti del partito comunista e del governo cinese alle forze militari incaricate della repressione:
«Se dovesse capitare che le truppe subiscano percosse e maltrattamenti fino alla morte da parte della masse oscurantiste, o se dovessero subire l’attacco di elementi fuorilegge con spranghe, mattoni o bombe molotov, esse devono mantenere il controllo e difendersi senza usare le armi. I manganelli saranno le loro armi di autodifesa e le truppe non devono aprire il fuoco contro le masse. Le trasgressioni verranno prontamente punite»[4].
Se è attendibile il quadro tracciato da un libro pubblicato e propagandato dall’Occidente, a dare prova di cautela e di moderazione non sono i manifestanti ma piuttosto l’Esercito Popolare di Liberazione!
Nei giorni successivi il carattere armato della rivolta diviene più evidente. Un dirigente di primissimo piano del partito comunista richiama l’attenzione su un fatto decisamente allarmante: «Gli insorti hanno catturato alcuni autoblindo e sopra vi hanno montato delle mitragliatrici, al solo scopo di esibirle». Si limiteranno ad una minacciosa esibizione? E, tuttavia, le disposizioni impartite all’esercito non subiscono un mutamento sostanziale: «Il Comando della legge marziale deve rendere chiaro a tutte le unità che è necessario aprire il fuoco solo in ultima istanza»[5].
Lo stesso episodio del giovane manifestante che blocca col suo corpo un carro armato, celebrato in Occidente quale simbolo di eroismo non-violento in lotta contro una violenza cieca e indiscriminata, viene letto dai dirigenti cinesi, stando sempre al libro qui più volte citato, in chiave diversa e contrapposta:
«Abbiamo visto tutti le immagini del giovane uomo che blocca il carro armato. Il nostro carro armato ha ceduto il passo più e più volte, ma lui stava sempre lì in mezzo alla strada, e anche quando ha tentato di arrampicarsi su di esso i soldati si sono trattenuti e non gli hanno sparato. Questo la dice lunga! Se i militari avessero fatto fuoco, le ripercussioni sarebbero state molto diverse. I nostri soldati hanno eseguito alla perfezione gli ordini del Partito centrale. E’ stupefacente che siano riusciti a mantenere la calma in una situazione del genere!»[6].
Il ricorso da parte dei manifestanti a gas asfissianti o velenosi e soprattutto l’edizione-pirata del «Quotidiano del popolo» dimostrano chiaramente che gli incidenti di piazza Tienanmen non sono una vicenda esclusivamente interna alla Cina. Altri particolari significativi emergono dal libro celebrato in Occidente: «”Voice of America” ha avuto un ruolo davvero inglorioso nel gettare benzina sul fuoco»; incessantemente essa «diffonde notizie infondate e istiga ai disordini». E non è tutto: «Dall’America, Gran Bretagna e Hong Kong sono arrivati più di un milione di dollari di Hong Kong. Parte dei fondi è stata utilizzata per l’acquisto di tende, cibo, computer, stampanti veloci e sosfisticate attezzature per le comunicazioni»[7].
A cosa mirassero l’Occidente e soprattutto gli Usa lo possiamo desumere da un altro libro, scritto da due autori statunitensi fieramente anticomunisti. Essi ricordano come in quel periodo di tempo Winston Lord, ex-ambasciatore a Pechino e consigliere di primo piano del futuro presidente Clinton, non si stancava di ripetere che la caduta del regime comunista in Cina era «una questione di settimane o mesi». Tanto più fondata appariva questa previsione per il fatto che al vertice del governo e del Partito spiccava la figura di Zhao Ziyang, il quale – sottolineano i due autori statunitensi qui citati – è da considerare «probabilmente il leader cinese più filo-americano nella storia recente»[8].
In questi giorni, parlando col «Financial Times», l’ex-segretario di Zhao Ziyang, e cioè Bao Tong, agli arresti domiciliari a Pechino, sembra rimpiangere il mancato colpo di Stato al quale nel 1989, mentre il «socialismo reale» cadeva in pezzi, aspiravano personalità e circoli importanti in Cina e negli Usa: disgraziatamente, «neppure un soldato avrebbe prestato ascolto a Zhao»; i soldati «prestavano ascolto ai loro ufficiali, gli ufficiali ai loro generali, e i generali a Deng Xiaoping»[9].
Visti retrospettivamente, gli incidenti di piazza Tienanmen di venti anni fa si presentano come un tentativo fallito di colpo di Stato e un fallito tentativo di instaurazione di un Impero mondiale pronto a sfidare i secoli…
Fra non molto cadrà un altro ventesimo anniversario. Nel dicembre del 1989, senza essere neppure preceduti da una dichiarazione di guerra, i bombardieri americani si scatenavano sul Panama e la sua capitale. Come risulta dalla ricostruzione di un autore ancora una volta statunitense, quartieri densamente popolati furono sorpresi nella notte dalle bombe e dalle fiamme; a perdere la vita furono in grandissima parte «civili, poveri e di pelle scura»; a almeno 15 mila ammontarono i senza tetto; si tratta comunque dell’«episodio più sanguinoso» nella storia del piccolo paese[10]. E’ facile prevedere che giornali impegnati a spargere lacrime su piazza Tienanmen sorvoleranno sull’anniversario di Panama, come d’altro canto è avvenuto in tutti questi anni. I grandi organi di «informazione» sono i grandi organi di selezione delle informazioni e di orientamento e di controllo della memoria.

Riferimenti bibliografici

Jamil Anderlini 2009
«Tanks were roaring and bullets flying», in «Financial Times», p. 3 («Life and Arts»)

Richard Bernstein, Ross H. Munro 1997
The Coming Conflict with China, Knopf, New York

Kevin Buckley 1991
Panama. The Whole Story, Simon & Schuster, New York

Andrew J. Nathan, Perry Link (eds.) 2001
The Tiananmen Papers (2001), tr. it., di Michela Benuzzi et alii, Tienanmen, Rizzoli, Milano

[1] Nathan, Link 2001, pp. 444-45.
[2] Nathan, Link 2001, p. 435.
[3] Nathan, Link 2001, p. 324.
[4] Nathan, Link 2001, p. 293.
[5] Nathan, Link 2001, pp. 428-9.
[6] Nathan, Link 2001, p. 486.
[7] Nathan, Link 2001, p. 391.
[8] Bernstein, Munro 1997, pp. 95 e 39.
[9] Anderlini 2009.
[10] Buckley 1991, pp. 240 e 264.


L’échec de la première « révolution colorée »


Tienanmen, 20 ans après 

par Domenico Losurdo*


Il y a 20 ans, Zhao Ziyang tentait de prendre le pouvoir en Chine avec l’appui de la CIA. Ce qui devait être la première « révolution colorée » de l’Histoire échoua. Dans une présentation totalement tronquée, la propagande atlantiste a imposé l’image d’un soulèvement populaire écrasé dans le sang par la cruelle dictature communiste. La presse occidentale en célèbre aujourd’hui l’anniversaire en grande pompe pour mieux dénigrer la Chine populaire, devenue seconde puissance économique du monde. Domenico Losurdo revient sur cette grande manipulation.


9 JUIN 2009


Ces jours-ci la grande presse d’ « information » s’emploie à rappeler le vingtième anniversaire du « massacre » de la place Tienanmen. Les évocations « émues » des événements, les interviews des « dissidents » et les éditoriaux « indignés », les multiples articles qui se succèdent et se préparent visent à recouvrir d’infamie perpétuelle la République Populaire de Chine, et à rendre un hommage solennel à la civilisation supérieure de l’Occident libéral. Mais qu’est-il réellement advenu il y a vingt ans ?

En 2001 furent publiés, puis traduits, dans les principales langues du monde ce qu’on a appelé les Tienanmen Papers [1] qui, si l’on croit les déclarations de ceux qui les ont présentés, reproduisent des rapports secrets et des procès-verbaux réservés, du processus décisionnel qui a débouché sur la répression du mouvement de contestation. Livre qui, toujours selon les intentions de ses promoteurs et éditeurs, devrait montrer l’extrême brutalité d’une direction (communiste) qui n’hésite pas à réprimer une protestation « pacifique » dans un bain de sang. Si ce n’est qu’une lecture attentive du livre en question finit par faire émerger un tableau bien différent de la tragédie qui se joua à Pékin entre mai et juin 1989.

Lisons quelques pages ça et là : 
« Plus de cinq cents camions de l’armée ont été incendiés au même moment à des dizaines de carrefours […] Sur le boulevard Chang’an un camion de l’armée s’est arrêté à cause d’un problème de moteur et deux cents révoltés ont assailli le conducteur en le tabassant à mort […] Au carrefour Cuiwei, un camion qui transportait six soldats a ralenti pour heurter la foule. Un groupe de manifestants a alors commencé à lancer des pierres, des cocktails Molotov et des torches contre celui-ci, qui à un moment a commencé à s’incliner du côté gauche car un de ses pneus avait été crevé par des clous que les révoltés avaient répandus. Les manifestants ont alors mis le feu à des objets qu’ils ont lancé contre le véhicule, dont le réservoir a explosé. Les six soldats sont tous morts dans les flammes » [2].

Non seulement l’on a eu recours à la violence mais parfois ce sont des armes surprenantes qui sont utilisées : 
« Une fumée vert-jaune s’est élevée de façon subite à une extrémité d’un pont. Elle provenait d’un blindé endommagé qui était ensuite lui-même devenu un élément du blocus routier […] Les blindés et les chars d’assaut qui étaient venus déblayer la route n’ont rien pu faire d’autre que de se retrouver en file à la tête du pont. Tout d’un coup un jeune est arrivé en courant, a jeté quelque chose sur un blindé et a pris la fuite. Quelques secondes après on a vu sortir la même fumée vert-jaune du véhicule, tandis que les soldats se traînaient dehors, se couchaient par terre sur la route, et se tenaient la gorge en agonisant. Quelqu’un a dit qu’ils avaient inhalé du gaz toxique. Mais les officiers et les soldats, malgré leur rage sont arrivés à garder le contrôle d’eux-mêmes » [3].

Ces actes de guerre, avec recours répété à des armes interdites par les conventions internationales, croisent des initiatives qui laissent encore plus penseurs : comme la « contrefaçon de la couverture du Quotidien du peuple [4]. Du côté opposé, voyons les directives imparties par les dirigeants du Parti communiste et du gouvernement chinois aux forces militaires chargées de la répression : 
« S’il devait arriver que les troupes subissent des coups et blessures jusqu’à la mort de la part des masses obscurantistes, ou si elles devaient subir l’attaque d’éléments hors-la-loi avec des barres de fer, des pierres ou des cocktails Molotov, elles doivent garder leur contrôle et se défendre sans utiliser les armes. Les matraques seront leurs armes d’autodéfense et les troupes ne doivent pas ouvrir le feu contre les masses. Les transgressions seront immédiatement punies » [5].

S’il faut en croire le tableau tracé dans un livre publié et promu par l’Occident, ceux qui donnent des preuves de prudence et de modération ne sont pas les manifestants mais plutôt l’Armée Populaire de Libération !

Le caractère armé de la révolte devient plus évident les jours suivants. Un dirigeant de premier plan du Parti communiste va attirer l’attention sur un fait extrêmement alarmant : « Les insurgés ont capturé des blindés et y ont monté des mitrailleuses, dans le seul but de les exhiber ». Se limiteront-ils à une exhibition menaçante ? Et, cependant, les directives imparties par l’armée ne subissent pas de changement substantiel : « Le Commandement de la loi martiale tient à ce qu’il soit clair pour toutes les unités qu’il est nécessaire de n’ouvrir le feu qu’en dernière instance » [6].

Même l’épisode du jeune manifestant qui bloque un char d’assaut avec son corps, célébré en Occident comme un symbole de l’héroïsme non-violent en lutte contre une violence aveugle et sans discrimination, est perçu par les dirigeants chinois, toujours à en croire le livre maintes fois cité, dans une grille de lecture bien diverse et opposée : 
« Nous avons tous vu les images du jeune homme qui bloque le char d’assaut. Notre char a cédé le pas de nombreuses fois, mais le jeune restait toujours là au milieu de la route, et même quand il a tenté d’y grimper dessus, les soldats se sont retenus et ne lui ont pas tiré dessus. Ce qui en dit long ! Si les militaires avaient fait feu, les répercussions auraient été très différentes. Nos soldats ont suivi à la perfection les ordres du Parti central. Il est stupéfiant qu’ils soient arrivés à maintenir le calme dans une situation de ce genre ! » [7].

Le recours de la part des manifestants à des gaz asphyxiants ou toxiques, et surtout l’édition pirate du Quotidien du peupledémontrent clairement que les incidents de la Place Tienanmen ne sont pas une affaire exclusivement interne à la Chine. D’autres détails ressortent du livre célébré en Occident : « ‘Voice of America’ a eu un rôle proprement peu glorieux dans sa façon de jeter de l’huile sur le feu » ; de façon incessante, elle « diffuse des nouvelles sans fondements et pousse aux désordres ». De plus : « D’Amérique, de Grande-Bretagne et de Hong Kong sont arrivés plus d’un million de dollars de Hong Kong. Une partie des fonds a été utilisée pour l’achat de tentes, nourritures, ordinateurs, imprimantes rapides et matériel sophistiqué pour les communications » [8].

Ce que visaient l’Occident et les États-Unis nous pouvons le déduire d’un autre livre, écrit par deux auteurs états-uniens fièrement anti-communistes. Ceux-ci rappellent comment à cette période Winston Lord, ex-ambassadeur à Pékin et conseiller de premier plan du futur président Clinton, n’avait de cesse de répéter que la chute du régime communiste en Chine était « une question de semaines ou de mois ». Cette prévision apparaissait d’autant plus fondée que se détachait, au sommet du gouvernement et du Parti, la figure de Zhao Ziyang, qui —soulignent les deux auteurs états-uniens— est à considérer « probablement comme le leader chinois le plus pro-américain de l’histoire récente » [9].

Ces jours ci, dans un entretien avec le Financial Times, l’ex-secrétaire de Zhao Ziyang, Bao Tong, aux arrêts domiciliaires à Pékin, semble regretter le coup d’État manqué auquel aspiraient des personnalités et des cercles importants en Chine et aux USA, en 1989, tandis que le « socialisme réel » tombait en morceaux : malheureusement, « pas un seul soldat n’aurait prêté attention à Zhao » ; les soldats « écoutaient leurs officiers, les officiers leurs généraux et les généraux écoutaient Den Xiaoping » [10].

Vus rétrospectivement, les événements qui se sont passés il y a vingt ans Place Tienanmen se présentent comme un coup d’État manqué, et une tentative échouée d’instauration d’un Empire mondial prêt à défier les siècles…

D’ici peu va arriver un autre anniversaire. En décembre 1989, sans même avoir été précédés d’une déclaration de guerre, les bombardiers états-uniens se déchaînaient sur Panama et sa capitale. Comme il en résulte de la reconstruction d’un auteur —encore une fois— états-unien, des quartiers densément peuplés furent surpris en pleine nuit par les bombes et les flammes ; en très grande partie, ce furent des « civils, pauvres et à la peau foncée » qui perdirent la vie ; plus de 15 000 personnes se retrouvèrent sans toit ; il s’agit en tout cas de l’ « épisode le plus sanglant » de l’histoire du petit pays [11]. On peut prévoir facilement que les journaux engagés à répandre leurs larmes sur la Place Tienanmen voleront très au dessus de l’anniversaire de Panama, comme d’ailleurs cela s’est produit toutes ces dernières années. Les grands organes d’ « information » sont les grands organes de sélection des informations, et d’orientation et de contrôle de la mémoire.


Domenico Losurdo

Philosophe et historien communiste, professeur à l’université d’Urbin (Italie). Dernier ouvrage traduit en français : Nietzsche philosophe réactionnaire : Pour une biographie politique.



Traduction Marie-Ange Patrizio

Comme l’a révélé Thierry Meyssan, le soulèvement de Tienanmen était la première tentative de la CIA d’organisation d’une « révolution colorée ». Le théoricien de ce mode de subversion, Gene Sharp, et son assistant Bruce Jenkins, dirigeaient personnellement à Pékin les manifestations. Lire « L’Albert Einstein Institution : la non-violence version CIA »: http://www.voltairenet.org/article15870.html ]

Article original paru le lundi 1er juin 2009 sur le blog de l’auteurhttp://www.domenicolosurdoblogtienanmen.blogspot.com/

[1The Tiananmen Papers, présentés par Andrew J. Nathan, Perry Link, Orville Schell et Liang Zhang, PublicAffairs, 2000, 513 pp. Version française Les Archives de Tiananmen, présentée par Liang Zhang, éditions du Félin, 2004, 652 pp.

[2] Op cit, p. 444-45.

[3] Op cit, p. 435.

[4] Op cit., p. 324.

[5] Op cit., p. 293.

[6] Op cit., p. 428-29.

[7] Op cit, p.486.

[8] Op cit., p. 391.

[9The coming Conflict with China, par Richard Bernstein et Ross H. Munro, Atlantic Books, 1997 (245 pp.), p. 95 et 39.

[10] « Tea with the FT : Bao Tong », par Jamil Anderlini, in Financial Times, 29 mai 2009.

[11Panama. The Whole Story, par Kevin Buckley, Simon & Schuster, 1991 (304 pp.).


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http://www.jungewelt.de/2009/06-04/017.php

junge Welt (Berlin)

04.06.2009 / Schwerpunkt / Seite 3

Gescheiterter Staatsstreich


Die Ereignisse auf dem Tiananmen-Platz in Peking 20 Jahre danach


Von Domenico Losurdo


In diesen Tagen ist die große »Informationspresse« damit beschäftigt, des 20. Jahrestags des »Massakers« auf dem Tiananmenplatz in Peking zu gedenken. Die Interviews mit »Dissidenten« und die »entrüsteten« Kommentare, die zahlreichen Artikel zielen darauf ab, die Volksrepublik China mit ewiger Schande zu bedecken und der höheren Kultur des liberalen Westens zu huldigen. Was aber ist wirklich vor zwanzig Jahren geschehen?

Im Jahre 2001 wurden die sogenannten Tiananmen Papers veröffentlicht und danach in die wichtigsten Weltsprachen übersetzt. Es handelt sich um Schriftstücke, die – den Erklärungen der Herausgeber zufolge – Geheimberichte und vertrauliche Protokolle des Entscheidungsprozesses wiedergeben, der zur Unterdrückung der Protestbewegung führte. Es ist ein Buch, das nach den Absichten seiner Herausgeber die extreme Brutalität einer (kommunistischen) Führung beweisen soll, die nicht davor zurückschreckt, einen »friedlichen« Protest in ein Blutbad zu verwandeln. Doch nach einer aufmerksamen Lektüre dieses Buches ergibt sich letztlich ein ganz anderes Bild von der Tragödie, die sich in Peking zwischen Mai und Juni 1989 abspielte. Lesen wir da und dort ein paar Passagen: »Mehr als 500 Armeelastwagen wurden an Dutzenden von Kreuzungen in Brand gesetzt. (…) Auf dem Chang’an-Boulevard wurde der Motor eines Armeelastwagens abgestellt, und zweihundert Aufrührer stürmten das Führerhaus und erschlugen den Fahrer. (…) An der Cuwei-Kreuzung bremste ein Lastwagen mit sechs Soldaten an Bord ab, um nicht in eine Menge hineinzufahren. Eine Gruppe von Aufrührern warf sodann mit Steinen, Molotowcocktails und brennenden Fackeln nach dem Lastwagen, der sich nach links neigte, als Nägel, die die Aufrührer verstreut hatten, einen Reifen durchbohrten. Dann warfen die Aufrührer brennende Gegenstände in den Lastwagen, wodurch sein Tank explodierte. Alle sechs Soldaten verbrannten.« (S. 607)

Mehrmals wird nicht nur auf Gewalt zurückgegriffen, manchmal kommen auch überraschende Waffen ins Spiel: »Den Panzerwagen und Panzern, die gekommen waren, um die Straßensperren zu beseitigen, blieb nichts anderes übrig, als am Brückenkopf in Stellung zu gehen. Plötzlich rannte ein junger Mann herbei, warf etwas in einen Panzerwagen und eilte davon. Ein paar Sekunden später sah man, wie der gleiche gelblichgrüne Rauch aufstieg, während Soldaten herauskletterten, sich auf die Straße hockten und sich vor Schmerz an die Kehle griffen. Jemand sagte, sie hätten Giftgas eingeatmet. Aber den wütenden Offizieren und Soldaten gelang es, die Beherrschung zu bewahren.« (S. 594)

Diese Kriegshandlungen, sogar mit Waffen, die durch internationale Konventionen verboten sind, verbinden sich mit Initiativen, die noch mehr zu denken geben: »Unter der gefälschten Aufmachung der Volkszeitung« wurde »ein Extrablatt verteilt« (S. 444) Auf der Gegenseite lesen wir von den Befehlen, die die Führung der Kommunistischen Partei und der chinesischen Regierung den militärischen Kräften erteilten, die mit der Unterdrückung beauftragt waren: »Selbst wenn also die Truppen von den unaufgeklärten Massen geschlagen, verbrannt oder getötet werden sollten oder wenn sie von gesetzlosen Elementen mit Knüppeln, Steinen oder Molotowcocktails angegriffen werden sollten, müssen sie daher die Kontrolle behalten und sich mit nicht-tödlichen Mitteln verteidigen. Knüppel sollten die Hauptwaffen zur Selbstverteidigung sein; sie dürfen nicht das Feuer auf die Massen eröffnen. Zuwiderhandlungen werden bestraft.« (S. 402)

Sollte das Bild glaubwürdig sein, das ein Buch umreißt, das vom Westen veröffentlicht und propagiert wird, dann waren es nicht die Demonstranten, sondern vielmehr die Volksbefreiungsarmee, die Vorsicht und Mäßigung an den Tag legte!

Später wird der bewaffnete Charakter der Revolte noch offensichtlicher: »Am Liubukou haben die Aufrührer am hellichten Tag und direkt unter unserer Nase Panzerwagen gekapert und stellen auf deren Dächern Maschinengewehre zur Schau.« Dennoch werden die dem Heer ereilten Anweisungen nicht wesentlich geändert: »Das Notstandskommando muß allen Einheiten unmißverständlich klarmachen, daß sie das Feuer nur im äußersten Notfall eröffnen dürfen.« (S. 585)

Sogar die Episode, in der ein junger Demonstrant mit seinem Körper einen Panzer blockiert – er wird dafür im Westen als Symbol für gewaltlosen Heroismus im Kampf gegen eine blinde und wahllose Gewalt gefeiert –, wird von den chinesischen Führern, dem hier zitierten Buch zufolge, anders und entgegengesetzt gedeutet: »Wir alle haben diese Videoaufnahme von dem jungen Mann gesehen, der sich dem Panzer in den Weg stellte. Unser Panzer ist immer wieder ausgewichen, aber er blieb einfach stehen, stellte sich ihm direkt in den Weg und kroch sogar auf den Panzer hinauf, und noch immer schossen die Soldaten nicht. Das sagt doch alles! Wenn unsere Soldaten geschossen hätten, dann hätte sich das ganz anders ausgewirkt. Unsere Soldaten haben sich genau an die Befehle unserer Parteizentrale gehalten. Es ist schon erstaunlich, wie gelassen und geduldig sie an so einem Ort sein konnten!« (S. 655f)

Der Einsatz von Giftgasen und vor allem die Piratenausgabe der Volkszeitung beweisen eindeutig, daß die Zwischenfälle auf dem Tiananmenplatz keine ausschließlich innere Angelegenheit Chinas waren. Andere vielsagende Einzelheiten gehen aus dem im Westen gerühmten Buch hervor: »Die ›Stimme Amerikas‹ hat eine höchst unrühmliche Rolle gespielt und nur Öl in die Flammen gegossen.« Und nicht genug damit: »Menschen aus Amerika, England und Hongkong haben über eine Million amerikanischer Dollar und zig Millionen Hongkong-Dollar gespendet. Einige dieser Mittel werden zum Kauf von Zelten, Nahrung, Computern, Hochgeschwindigkeitsdruckern und modernen Kommunikationsgeräten verwendet.« (S. 534)

Was der Westen und besonders die Vereinigten Staaten bezweckten, können wir einem anderen Buch entnehmen, das von zwei wild-antikommunistischen US-Autoren geschrieben wurde: Richard Bernstein/Ross H. Munro »The Coming Conflict with China« (1997). Sie erinnern daran, wie seinerzeit Winston Lord, ehemaliger Botschafter in Peking und wichtiger Berater des 1993 sein Amt antretenden Präsidenten William Clinton, unermüdlich wiederholte, der Sturz des kommunistischen Regimes in China sei »eine Frage von Wochen oder Monaten« gewesen. Besonders begründet schien diese Vorhersage, weil sich an der Spitze der Regierung und der Partei die Figur von Zhao Ziyang abhob, der – so betonen die beiden Autoren – »wahrscheinlich als der amerikafreundlichste chinesische Führer in der jüngsten Geschichte« zu betrachten sei.

Am vergangenen Freitag schien der ehemalige Sekretär Zhao Ziyangs, der unter Hausarrest in Peking lebende Bao Tong, in einem Gespräch mit der Financial Times dem nicht geglückten Staatsstreich nachzutrauern, der 1989, als der »Realsozialismus« in Stücke fiel, von bedeutenden Persönlichkeiten in China und in den USA angestrebt wurde: Leider »habe nicht ein einziger Soldat auf Zhao gehört«; die Soldaten »hörten auf ihre Offiziere, die Offiziere auf ihre Generäle und die Generäle auf Deng Xiaoping.«

Zurückblickend erweisen sich die Zwischenfälle auf dem Tiananmenplatz von vor 20 Jahren als der gescheiterte Versuch eines Staatsstreichs und als der gescheiterte Versuch der Errichtung eines Weltreichs, das bereit war, die Jahrhunderte herauszufordern...

Bald wird ein weiterer zwanzigster Jahrestag fällig. Im Dezember 1989 stürzten sich US-Bomber ohne vorherige Kriegserklärung auf Panama und seine Hauptstadt. Wie aus der Rekonstruktion des ebenfalls US-amerikanischen Autors Kevin Buckley in seinem Buch »Panama. The Whole Story« (1991) hervorgeht, wurden dichtbevölkerte Stadtviertel in der Nacht von den Bomben und vom Feuer überrascht; zum allergrößten Teil haben »Zivilpersonen, Arme und Dunkelhäutige« ihr Leben verloren, mindestens fünfzehntausend wurden obdachlos; jedenfalls handelte es sich um die »blutigste Episode« in der Geschichte des kleinen Landes. Es ist leicht vorherzusagen, daß Zeitungen, die derzeit über den Tiananmenplatz Tränen vergießen, den Jahrestag von Panama übergehen werden – wie es im übrigen in all diesen Jahren geschehen ist. Die große »Informations«-presse ist die große Presse der Selektion der Informationen und der Orientierung und Kontrolle des Gedenkens.

Die Seitenangaben beziehen sich auf das Buch von Andrew J. Nathan/Perry Link: Die Tiananmen-Akte. Die Geheimdokumente der chinesischen Führung zum Massaker am Platz des Himmlischen Friedens. Propyläen Verlag, München/Berlin 2001, 765 Seiten




VERSO NUOVE "GUERRE DI LIBERAZIONE"

L'"U.S. Institute for Peace" dice di aver ricevuto una lettera dal "Fronte dell'Unificazione Nazionale degli Albanesi" (FBKSh, struttura "politica" dei terroristi dell'ANA, "Esercito Nazionale Albanese") nella quale si dice che i confini della Repubblica di Albania sono artificiali e ben presto la "questione albanese" - cioè della unificazione di tutti i territori con forte presenza albanese: "Kosova" in Serbia, "Kosova orientale" attorno a Presevo sempre in Serbia, "Ilirida" attorno a Tetovo in Macedonia, sud del Montenegro (e perchè no anche in Grecia, la cosiddetta zona della "Ciameria") - sarà risolta...
Viene da chiedersi perchè una lettera del genere sia stata resa nota ed, anzi, perchè mai sia stata spedita proprio all'"U.S. Institute for Peace", struttura al servizio del governo degli USA. (Italo Slavo)


Inizio messaggio inoltrato:

Da: Rick Rozoff 
Data: 05 giugno 2009 23:35:43 GMT+02:00
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Oggetto: 'Liberation Wars" Slated For Macedonia, Montenegro, South Serbia
Rispondi a: rwrozoff@...


http://www.makfax.com.mk/en-us/Details.aspx?itemID=5076


Makfax
June 3, 2009


Radical Albanian organization wants borders shift  


-"Following the wars for liberation of Kosovo, Eastern Kosovo (Presevo and Bujanovac) and Ilirida (Western Macedonia), the Albanian people are working politically to free itself from the colonizing regimes,"


Podgorica - A self-proclaimed radical Albanian organization, the Front of National Uniting of Albanians (FBKSh), urged solving the "Albanian issue" in the Balkans, claiming that the Albanians "are colonized" in the region's countries.

In the letter sent to the U.S. Institute of Peace, the organization says Albanians do not enjoy enough rights in Montenegro, Macedonia and south Serbia.

According to FBKSh, Albania is the only country in the world with artificially defined borders, which enables neighboring countries to prevent Albanians from making progress and having a dignified life, the Montenegrin daily "Vijesti" said.

"These artificial borders will change, because the divided and colonized Albanian people won't accept to live enslaved by the Slav peoples.

"Following the wars for liberation of Kosovo, Eastern Kosovo (Presevo and Bujanovac) and Ilirida (Western Macedonia), the Albanian people are working politically to free itself from the colonizing regimes," says the letter signed by the FBKSh's spokesman Gafur Adili.

FBKSh is known to the public as a political wing of the Albanian National Army (ANA).  
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(srpskohrvatski / italiano)


Douglas Bandow: sono stati gli USA a iniziare la guerra in Bosnia-Erzegovina

SRNA

Washington - L'amministrazione statunitense ha acceso la miccia della guerra in Bosnia-Erzegovina, continuando poi con l'infame aggressione contro la Serbia per cambiare la mappa dei Balcani, in conformità con i volubili desideri di chi prende le decisioni a Washington, e non secondo l'effettivo interesse degli Stati Uniti, afferma Douglas Bandow, ex-consulente del Presidente Ronald Reagan.

Bandow, analista di politica estera dell'Istituto Cato di Washington, ha detto in un'intervista all'Agenzia SRNA che la Bosnia-Erzegovina è un "esempio paradigmatico di Stato artificiale, la cui Costituzione è stata dettata dall'estero, e che è privo di qualsivoglia politica interna e di dinamiche economiche di sopravvivenza."

Bandow rimprovera al vice-presidente statunitense, Josef Biden, di non aver saputo rilevare questa realtà dei fatti nel corso della sua recente visita, e se l'avesse fatto, di non averla apertamente assunta come base per la futura politica degli Stati Uniti, perché le sue dichiarazioni indirizzate contro i leader serbi si limitano a distogliere l'attenzione dai problemi strutturali della Bosnia-Erzegovina - problemi che sono ormai al di fuori del controllo degli Stati Uniti.

"Dopo i miliardi di dollari dei contribuenti americani sperperati a tale scopo, gli interessi americani nella regione dei Balcani restano irrilevanti", ha detto Bandow.

Esprimendo opinioni che si discostano notevolmente dalle solite valutazioni americane riguardo agli eventi in questa regione, Bandow ha sottolineato che gli interessi statunitensi nei Balcani sono, nel migliore dei casi, davvero minimi.

"Senza le dimensioni geopolitiche della 'guerra fredda', questi interessi sono sostanzialmente trascurabili. Tuttavia, Washington - con il sostegno di un certo numero di paesi UE che gli USA tengono per le briglie  - conducono una persistente politica neo-coloniale in questa regione, avvolta in doppio wafer apparentemente umanitario" - sottolinea  Bandow, e chiarisce:

"Si tratta di un wafer sotto forma di democrazia multiculturale, imposta agli abitanti della regione, indipendentemente dai loro desideri, interessi o dalla situazione reale. Questo modello viene ovunque e costantemente imposto, eccetto quando sono i Serbi quelli che affermano questo modello. In tale caso, l'opzione che sostiene il mondo occidentale sotto l'occhio vigile di Washington, non è il multiculturalismo, ma - la secessione."

Secondo lui, "l'insistenza di Washington ad intervenire in profondità in una zona lontana, irrilevante per gli interessi americani, era insensata fin dall'inizio".

"La disintegrazione della Jugoslavia è stata tragica a causa della violenza, e non a causa del crollo come tale. Gli Stati Uniti dovevano starsene da parte. Si doveva lasciare la soluzione del problema all'Unione Europea, e ancora oggi sono di questo parere".

Douglas Bandow, autore di una serie di libri e articoli sulla politica estera statunitense in pubblicazioni di alto livello nell'America settentrionale, ha affermato che gli stessi Stati Uniti non si possono permettere il lusso di inutili interventismi in parti del mondo che devono essere di competenza di altri.

"Non spetta all'America prescrivere l'organizzazione, l'identità, le disposizioni costituzionali, le leggi, o qualsiasi altra soluzione politica a popoli lontani, e neanche agli abitanti della Bosnia-Erzegovina", ha detto in un'intervista all'Agenzia Srna, constatando che è giunto il momento che le questioni balcaniche vengano lasciate soltanto ai popoli dei Balcani che sono di gran lunga più qualificati degli Stati Uniti a trovare da soli un giusto modello di pacifica sopravvivenza".

(traduz. a cura di DK)
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http://www.glassrpske.com/vijest/2/novosti/23000/lat/Daglas-Bandau-SAD-inicirale-rat-u-BiH.html

http://www.banjalukalive.com/index.php?option=com_content&task=view&id=11739&Itemid=203

Daglas Bandau: SAD inicirale rat u BiH

SRNA

VAŠINGTON - Američka administracija inicirala je rat u BiH i potom pokrenula bezočnu agresiju protiv Srbije da bi se mapa Balkana prekrojila u skladu sa hirovitim željama donosilaca odluka u Vašingtonu, a ne shodno stvarnim interesima SAD, tvrdi Daglas Bandau, bivši savjetnik američkog predsjednika Ronalda Regana.

Bandau, spoljnopolitički analitičar elitnog Kejto instituta u Vašingtonu, rekao je u intervjuu Srni da je BiH "paradigmatski primjer bezuspješne države, vještačke tvorevine, stvorene spoljnim diktatom, bez unutrašnje političke ili ekonomske dinamike opstanka".

Bandau zamjera američkom potpredsjedniku Yozefu Bajdenu što tu realnost nije spoznao ili, ako i jeste, što je nije otvoreno prihvatio kao osnovu dalje politike SAD prilikom nedavne posjete, jer njegove izjave uperene protiv srpskih lidera samo odvraćaju pažnju od strukturnih problema BiH - problema koji su odavno van američke kontrole.

"Poslije milijardi dolara američkih poreskih obveznika koje su straćene u tom cilju, američki interesi na Balkanu ostaju beznačajni", rekao je Bandau.

Iznoseći stavove koji bitno odstupaju od uobičajenih američkih ocjena o dešavanjima u ovom regonu, Bandau je stakao da su stvarni američki interesi na Balkanu, u najboljem slučaju, minimalni.

"Bez geopolitičke dimenzije `hladnog rata` oni su u suštini zanemarivi. Međutim, Vašington - uz podršku jednog broja zemalja EU koje SAD drže na uzdi milom ili silom - u toj regiji uporno provodi neokolonijalnu politiku sa tobože humanitarnom oblandom" - ističe Bandau i pojašnjava:

"Ta je oblanda plasirana pod firmom multikulturne demokratije, koja se nameće žiteljima te regije nezavisno od njihovih želja, interesa ili stvrane situacije. Taj se model se svuda i stalno nameće, osim kada su Srbi ti koji taj model prihvate. U tom slučaju, opcija za koju se zalaže zapadni svijet pod budnim okom Vašingtona nije multikulturalizam već - secesija".

Prema njegovim riječima, "insistiranje Vašingtona na dubinskoj intervenciji u jednoj dalekoj regiji, nebitnoj za američke interese, od samog je početka bilo besmisleno".

"Raspad Jugoslavije bio je tragičan zbog nasilja, a ne zbog raspada kao takvog. SAD je trebalo da ostanu po strani. Trebalo je problem prepustiti EU, a taj stav zagovaram i danas", istakao je on.

Daglas Bandau, autor niza knjiga i desetina članaka o američkoj spoljnoj politici u vodećim publikacijama u sjevernoj Americi, ističe da SAD sebi više ne mogu da dopuste luksuz nepotrebnog intervencionizma u regijama koje treba da su u nadležnosti drugih.

"Nije Amerika pozvana da propisuje ustrojstvo, identitet, ustavne odredbe, zakone, ili ma kakve druge političke aranžmane dalekim naroda, pa ni stanovnicima BiH", zaključio je on u intervjuu Srni i konstatovao da je krajnje vrijeme da se balkanska pitanja prepuste samim narodima Balkana, koji su daleko kvalifikovaniji od SAD da nađu pravi model mirnog opstanka".