Informazione


I BAMBINI ACCUSANO / DECA OPTUŽUJU

I media raccontano che, per il delitto commesso negli Stati Uniti contro un suo compagno di squadra sportiva, lo studente serbo Miladin Kovačević ha dovuto pagare un risarcimento di 900.000 dollari alla parte offesa. L'intera opinione pubblica, che si era tanto turbata, ha così potuto finalmente tranquillizzarsi. Sono state anche prese in considerazione sanzioni contro la Serbia... E per i serbi, invece, che cosa è lecito dire? Quale sarà il modo con cui si metterà in pace la loro opinione pubblica, dopo la morte degli 81 bambini trucidati dalle bombe della NATO? Queste le domande poste da Živojin Aleksić, criminalista e professore nella Facoltà di Giurisprudenza di Belgrado.

Aleksić ha recensito il libro-documento „Deca optužuju (Bambini accusano)”, pubblicato nel 2000 da parte del Comitato Jugoslavo per la collaborazione con l'Unicef, che racconta dei bambini uccisi durante bombardamento da parte della NATO.

http://www.politika.rs/rubrike/Drustvo/I-pogibije-dece-su-bile-kolateralna-shteta.lt.html

– Čitamo u medijima da je, zbog delikta studenta Miladina Kovačevića, u Americi isplaćena naknada oštećenoj žrtvi u iznosu od 900.000 dolara. Celokupno javno mnjenje SAD jedva se smirilo, pošto je to obeštećenje plaćeno. Pretilo se i sankcijama... A šta ćemo mi da kažemo? Kako naša javnost da se smiri zbog 81 ubijenog deteta? – pita se Živojin Aleksić, kriminalista i profesor na Pravnom fakultetu u Beogradu.

Aleksić je i recenzent knjige dokumenata „Deca optužuju”, koju je izdala Jugoslovenska komisija za saradnju sa Unicefom 2000. godine, a govori o deci ubijenoj tokom bombardovanja. Istu knjigu jugoslovenski Komitet za zločine predao je Haškom tribunalu.



(italiano / english / francais)

1999-2009: Don't mention the war!

Il decennale della aggressione della NATO contro la RF di Jugoslavia va a concludersi, ma le voci che hanno ricordato quella primavera di infamia sono state molto poche e molto... appannate. Dal canto nostro ricordiamo il meeting internazionale tenuto a Vicenza il 21 e 22 marzo u.s., la cui sintesi video è in rete:
Nei prossimi giorni diffonderemo ulteriori articoli sull'anniversario, e metteremo a disposizione la documentazione audio-video delle iniziative svoltesi a Belgrado a fine marzo.


1) Come l’Italia conquistò lo «status di grande paese» / Comment l’Italie a conquis le « statut de grand pays » (Manlio Dinucci)

2) Don't mention the war (Neil Clark)

3) Jugoslavia dieci anni dopo (Tamara Bellone)

4) Cosa rimane (Nicole Corritore)


=== 1 ===


Decimo anniversario della guerra contro la Iugoslavia 

Come l’Italia conquistò lo «status di grande paese»

Manlio Dinucci


Il 24 marzo 1999, la seduta del senato riprende alle 20,35 con una comunicazione dell’on. Mattarella, vice-presidente del governo D’Alema: «Onorevoli senatori, come le agenzie hanno informato, alle ore 18,45 sono iniziate le operazioni della Nato». In quel momento, le bombe degli F-16 del 31° stormo Usa, decollati dalla base di Aviano, già hanno colpito Pristina e Belgrado. E stanno arrivando nuove ondate di cacciabombardieri Usa e alleati, partiti da altre basi italiane. Come testimonia lo stesso Massimo D’Alema nel libro-intervista Kosovo / Gli Italiani e la guerra (Mondadori, agosto 1999), i capi di governo della Ue, prima di partire per il vertice di Berlino, avevano fatto un «giro di telefonate», dando «pieni poteri al comandante generale della Nato» (il generale Usa Wesley Clark). 
In tal modo, violando la Costituzione (artt. 11, 78 e 87), l’Italia viene trascinata in una guerra, di cui il governo informa il parlamento dopo le agenzie di stampa, quando ormai è iniziata.
Fondamentale è il ruolo svolto dai comandi e dalle basi Usa/Nato in Italia. Le operazioni navali e aeree sono dirette dai comandi alleati di Napoli e Vicenza, agli ordini di ufficiali Usa e quindi inseriti nella catena di comando del Pentagono. E dalle basi in Italia decolla la maggior parte dei mille  aerei che, in 78 giorni, effettuano 38mila sortite, sganciando 23 mila bombe e missili sulla Serbia e il Kosovo.
 In tal modo viene attivato e testato, nelle condizioni di una guerra reale, l’intero sistema delle basi Usa/Nato in Italia, preparando il suo potenziamento per le guerre future. 
Non solo. Contrariamente a quanto affermato da Mattarella al senato, che «nelle operazioni non sono impegnati aerei italiani», ai bombardamenti partecipano anche 54 aerei italiani, che compiono 1.378 sortite, attaccando gli obiettivi indicati dal comando Usa. «Per numero di aerei siamo stati secondi solo agli Usa. L’Italia è un grande paese e non ci si deve stupire dell’impegno dimostrato in questa guerra», dichiara il 10 giugno 1999 il presidente del consiglio D’Alema durante la visita alla base di Amendola, sottolineando che, per i piloti, è stata «una grande esperienza umana e professionale». 
Si rende in tal modo operativo, per la prima volta, il «nuovo modello di difesa», che attribuisce alle nostre forze armate il compito di «proiettarsi» ovunque per difendere gli «interessi vitali».
E il 23-25 aprile 1999, mentre è ancora in corso la guerra, il governo D’Alema partecipa,  a Washington, al vertice Nato che ufficializza il «nuovo concetto strategico»: da alleanza che, in base all’articolo 5 del trattato del 4 aprile 1949, impegna i paesi membri ad assistere anche con la forza armata il paese membro che sia attaccato nell’area nord-atlantica, essa viene trasformata in alleanza che impegna i paesi membri anche a «condurre operazioni di risposta alle crisi non previste dall’articolo 5, al di fuori del territorio dell’Alleanza». Alla domanda di quale sia l’area geografica in cui la Nato è pronta a intervenire, il presidente democratico Clinton risponde che «non è questione di geografia». 
Da qui inizia l’espansione della Nato verso est, fin dentro il territorio dell’ex Urss e oltre. Oggi l’«area atlantica» si estende fin sulle montagne afghane. E i soldati italiani sono là, confermando quello che D’Alema definisce con orgoglio «il nuovo status di grande paese», conquistato dall’Italia sul campo di battaglia dieci anni fa.

(il manifesto, 22 marzo 2009)

---


Comment l’Italie a conquis le « statut de grand pays »

Dixième anniversaire de la guerre contre la Yougoslavie

Par Manlio Dinucci

Le 23 mars 2009 - Il manifesto

Le 24 mars 1999, la séance du Sénat (italien, NdT) reprend à 20h35 avec une communication de l’onorevole Mattarella, vice-président du gouvernement D’Alema : « Onorevoli Sénateurs, comme en ont informé les agences (de presse, NdT), les opérations de l’OTAN ont commencé à 18h45 ». A cette heure-là, les bombes des avions F-16 du 31ème escadron Usa, qui ont décollé de la base de Aviano (Région du Frioul, nord-est de l’Italie, NdT), ont déjà touché Pristina et Belgrade. Et suivent déjà de nouvelles vagues de bombardiers étasuniens et alliés, partis d’autres bases italiennes. Comme en témoigne Massimo D’Alema lui-même dans son livre entrevue Kosovo. Gli Italiani e la guerra (Mondadori, août 1999), les chefs de gouvernements de l’Union Européenne, avant de partir pour le sommet de Berlin, avaient donné « une série de coups de fil », en donnant « pleins pouvoirs au commandant général de l’OTAN (le général étasunien Wesley Clark).
 
C’est ainsi, en violant la Constitution (art. 11, 78 et 87)[i], que l’Italie est entraînée dans une guerre dont le gouvernement va informer le parlement après les agences de presse, alors qu’elle est désormais commencée.
 
Le rôle joué par les commandements et les bases USA/NATO en Italie est fondamental. Les opérations navales et aériennes sont dirigées par les commandements alliés de Naples et Vicence, sous les ordres d’officiers étasuniens et, insérés donc dans la chaîne de commandement du Pentagone. C’est des bases en Italie que décolle la majorité des mille avions qui, en 78 jours, vont effectuer 38 mille sorties, en lançant 23 mille bombes et missiles sur la Serbie et le Kosovo.
 
On active et teste de cette façon, dans les conditions de guerre réelle, tout le système des bases USA/OTAN en Italie, préparant ainsi sa potentialisation pour les guerres à venir.

Ce n’est pas tout. Contrairement à ce qui est affirmé par Mattarella au Sénat, à savoir qu’ « il n’y a pas d’avions italiens engagés dans les opérations », 54 avions italiens participent aussi aux bombardements, et accomplissent 1.378 sorties, en attaquant les objectifs indiqués par le commandement étasunien. « Par le nombre d’avions (engagés, NdT) nous n’avons été seconds que par rapport aux USA. L’Italie est un grand pays et nous ne devons pas nous étonner de l’engagement dont nous avons fait preuve dans cette guerre », déclare le 10 juin 1999 le président du Conseil D’Alema, lors d’une visite à la base d’Amendola, en soulignant que, pour les pilotes, cela a été « une grande expérience humaine et professionnelle ».
 
Pour la première fois, on rend là opérationnel le « nouveau modèle de défense », qui attribue à nos forces armées le devoir de « se projeter » partout pour défendre les « intérêts vitaux ».

Et les 23-25 avril 1999, alors que la guerre est encore en cours, le gouvernement D’Alema participe, à Washington, au sommet de l’OTAN qui officialise le « nouveau concept stratégique » : d’une alliance qui, sur la base de l’article 5 du traité du 4 avril 1949, engage les pays membres à assister même par la force armée tout pays membre qui serait attaqué dans la zone nord atlantique, elle est transformée en alliance qui engage ses pays membres à « mener des opérations de riposte aux crises non prévues par l’article 5, en dehors du territoire de l’Alliance » (souligné par la traductrice). A la question de savoir quelle est la zone géographique où l’OTAN est prête à intervenir, le président démocrate Clinton répond que « ce n’est pas une question de géographie ».

C’est de là que va débuter l’expansion de l’OTAN vers l’est, jusqu’à l’intérieur du territoire de l‘ex-URSS et au-delà. Aujourd’hui, la « zone atlantique » s’étend jusqu’aux montagnes afghanes. Et les soldats italiens sont là-bas, confirmant ainsi ce que D’Alema définit avec orgueil comme « le nouveau statut de grand pays », conquis par l’Italie sur le champ de bataille il y a dix ans.
 
Reçu de l’auteur et traduit de l’italien par Marie-Ange Patrizio,
Publié sur il manifesto, le 22 mars 2009
 

[i] Article 11 : L’Italie répudie la guerre comme moyen d’attenter à la liberté des autres peuples et comme mode de solution des différends internationaux ; elle consent, dans des conditions de réciprocité avec les autres Etats, aux limitations de souveraineté nécessaires à un ordre qui assure la paix et la justice entre les Nations ; elle suscite et favorise les organisations internationales qui poursuivent un tel objectif.
 
Article 78 : Les Chambres décident l’état de guerre et confèrent au Gouvernement les pouvoirs nécessaires.
 
Article 87 : Le Président de la République est le chef de l’Etat et représente l’unité nationale.
(…) Il a le commandement des Forces armées, préside le Conseil suprême de défense constitué selon la loi, déclare l’état de guerre délibéré par les Chambres.
 
 

=== 2 ===

 
Don't mention the war

Neil Clark

Published 02 April 2009

Observations on Serbia

Imagine if, ten years ago, your country had been bombed in contravention of international law for 78 days and nights, leading to the death or injury of more than 1,500 people, and that the reasons for the attack had subsequently been exposed as fraudulent. You would reasonably expect your government to mark the anniversary with a series of official events, and to issue a strong denunciation of those who launched the aggression. But in Serbia, the pro-western ruling elite seems more concerned about keeping the US embassy onside than with commemorating the Nato bombing of ten years ago in an appropriate fashion.

The biggest event to mark the anniversary was an international conference, organised by the Belgrade Forum for a World of Equals, a non-governmental organisation. Delegates from around the world attended, including the former US attorney general Ramsey Clark and the Labour ex-MP Alice Mahon. Yet Deputy Prime Minister Ivica Dacic was the only participant from the Serbian government. His speech was one of the meeting’s most low-key. On 24 March, a major anti-Nato rally was held in Belgrade’s main square, Trg Republike. There were speakers from the US, Germany and Russia – but no input from the Serbian government. The most it came up with was a commemorative sitting of the cabinet, at which Prime Minister Mirko Cvetkovic declared that the attack of ten years ago was “illegal, contrary to international law, without a decision by the United Nations Security Council”. Those looking for a more passionate denunciation of Nato actions from governing circles have been disappointed.

The reality is that Serbia’s ruling elite are seeking to take the country closer to the Nato fold. Serbia is to open its first diplomatic and military mission at Nato headquarters in Brussels this summer, and military manoeuvres involving soldiers from several Nato states will take place in Serbia this autumn.

Such moves fly in the face of public opinion. “There is an overwhelming majority of those among the Serbs who believe Serbia’s entering a Nato pact would have been a bigger disgrace than if Jacqueline Kennedy had married Lee Harvey Oswald,” Matija Beckovic, one of Serbia’s leading poets, told an anti-Nato gathering late last month.

Meanwhile, pro-American politicians in Serbia continue to blame the conflict of the late 1990s on the country itself and on Slobodan Milosevic, then leader of the rump Yugoslavia. But a growing weight of evidence indicates that the 1999 war had little to do with Milosevic, and everything to do with the US’s economic and military hegemonic ambitions in the Balkans.

Lord Gilbert, the UK’s defence minister in 1999, has admitted that “the terms put to Milosevic at Rambouillet [the international conference preceding the war] were absolutely intolerable . . . it was quite deliberate”. In an affidavit to the International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia, Colonel John Crosland, the UK’s military attaché in Belgrade from 1996-99, stated that the US had decided on regime change in Serbia and had decided to use the terrorist Kosovo Liberation Army to achieve that end. Last month, a documentary on Serbian state television showed that the deaths of 40 people in Racak in January 1999 resulted from a legitimate anti-KLA police action and were only declared a “massacre” by the US Kosovo Verification mission to justify Nato actions.

“The war was not Serbia’s fault, nor the fault of Slobodan Milosevic,” Aleksandar Vucic, deputy leader of the Serbian Progressive Party, told me. “It was the fault of those who did the bombing.” Such views may not go down well in western corridors of power, but they undoubtedly chime with what most ordinary Serbs think.

With the Serbian economy in free fall and pro-western factions likely to pay the price in elections expected before the end of this year, it is probable that future anniversaries of the Nato bombing will receive more enthusiastic support from governing circles.


=== 3 ===



Jugoslavia dieci anni dopo


Posted By rino On 27 Marzo 2009 @ 5:22 pm In NO WAR | No Comments


Il 24 marzo 2009 iniziava, con i bombardamenti sulle principali città, l’aggressione da parte della NATO alla Jugoslavia, o perlomeno, a quanto restava di essa: la Repubblica Federativa di Jugoslavia.

Si disse che era in atto un genocidio nei confronti della componente albanese della popolazione della provincia serba del Kosovo-Metohija., che si trattava di una guerra umanitaria, la prima guerra umanitaria della storia.

In realtà si trattò di una tipica guerra territoriale, in cui le forze della NATO presero posizione a favore dei guerriglieri albanesi dell’UCK, o KLA (Kosovo Liberation Army).

La provincia serba del Kosovo-Metohija era un crogiuolo di culture, infatti era popolata da Serbi, Albanesi, Rom, Croati, Turchi, Egiziani, appartenenti a varie religioni, dalla cristiano-ortodossa alla cristiano-cattolica, alla musulmana, all’ebraica. Le lingue ufficiali erano il serbo-croato e l’albanese, ma in certe località esse comprendevano anche il turco. Da anni una parte della popolazione albanese del Kosovo perseguiva l’indipendenza, e la formazione di un nuovo stato: alcune forze politiche per ottenere l’indipendenza aderivano ad una strategia diplomatica (Rugova), altre al ricorso alle armi (la sopraccitata UCK). Da anni le forze della guerriglia si scontravano con l’esercito jugoslavo, in scaramucce e attentati, ma l’impegno delle forze preponderanti della NATO fecero spostare nettamente l’ago della bilancia a favore della guerriglia albanese.

Il Kosovo è del resto una regione appetibile dal punto di vista delle materie prime (piombo, zinco, argento, oro nel complesso minerario di Trepča) e della produzione agricola; il Kosovo inoltre è in posizione strategica sia per quanto riguarda il trasporto del gas dal Caucaso ex sovietico sia per quanto riguarda la dislocazione delle forze NATO in generale, ed americane in particolare, nel progressivo avvicinamento alla Russia e al conseguente progettato accerchiamento.

La guerra contro la Jugoslavia fu preceduta dalla solita vergognosa campagna mediatica, gestita da apposite agenzie, pagate per costruire l’equazione Serbi=nazisti e Albanesi= Ebrei, paradigma che si è constatato, consente ormai da tempo la giustificazione di qualsiasi aggressione militare.

La propaganda televisiva riuscì a sembrare una specie di Schindler list, in cui alle nefandezze dei malvagi Serbi ogni tanto si contrapponeva l’azione di qualche “giusto” locale: una visone fantastica degli avvenimenti che contagiò anche la stampa di sinistra (dal manifesto a Liberazione, le posizioni pacifiste non si curarono di analizzare la situazione reale, ma con lo slogan “né con la NATO né con Milošević” in pratica accreditarono la menzogna del genocidio della popolazione albanese). Avere in pratica appoggiato le bugie della NATO fu una vera e propria sconfitta della classe operaia europea.

86 giorni di ininterrotti bombardamenti su tutta la Jugoslavia ebbero come obiettivi principali gli impianti industriali, le infrastrutture, le televisoni, e poi scuole, ospedali, edifici simbolo (il museo della Resistenza al nazismo di Kragujevac, il palazzo che aveva ospitato il comitato centrale delle Lega dei comunisti jugoslavi a Belgrado, l’ambasciata cinese..), e in secondo luogo obiettivi militari.


Le conseguenze immediate furono alcune migliaia di vittime, prevalentemente civili, fra cui anche molti bambini, e un Paese riportato indietro dal punto di vista dello sviluppo di una cinquantina d’anni.

Ma la guerra, esclusivamente dall’aria, fu sostanzialmente una guerra chimica, anche se si usarono essenzialmente armi tradizionali: il bombardamento di impianti chimici e petrolchimici, di centrali elettriche, e in generale di impianti industriali, causò la fuoriuscita di materiale tossico in quantità così massiccia, da costituire un avvenimento unico nel suo genere, le cui conseguenze sulla salute e sull’ambiente non si sono ancora potute valutare nella loro complessità date le dimensioni abnormi del fenomeno.

Per completezza è necessario ribadire che fu usato anche l’uranio impoverito, ma pare solo nella regione del Kosovo.

In ogni caso, l’esperimento di cui fu cavia la Jugoslavia può considerarsi un crimine di guerra, cui hanno partecipato molti stati europei, tra cui l’Italia di D’Alema, e non solo per piaggeria verso gli Stati Uniti: D’Alema si vantò che con questa impresa l’Italia aveva ottenuto “un posto tra i grandi della Terra, visto che nei bombardamenti si era stati secondi solo a Stati Uniti e Gran Bretagna…”

Le conseguenze economiche furono una ulteriore penetrazione del capitale straniero occidentale in questa parte di Europa orientale, le conseguenze politiche la cosiddetta indipendenza del Kosovo, proclamata nel febbraio del 2008, in barba alla risoluzione dell’ONU dell’immediato dopoguerra, e la cacciata di Serbi e altre nazionalità dalla regione (soprattutto nel 2004, sotto gli occhi delle truppe NATO), che è diventata uno stato etnico.

Attualmente in Kosovo esiste la più grande base militare americana del mondo: Camp Boundsteel.

Tamara Bellone

Article printed from metropoLiS - Rivista Online: http://www.lsmetropolis.org

URL to article: http://www.lsmetropolis.org/2009/03/jugoslavia-dieci-anni-dopo/


=== 4 ===


Cosa rimane


26.03.2009
    scrive Nicole Corritore 

Dieci anni dopo la campagna aerea della Nato, Serbia e Kosovo devono ancora fare i conti con la pesante eredità di 78 giorni di bombe. Inquinamento ambientale, cluster bombs, proiettili all'uranio. Un nostro articolo sulla situazione attuale

Il 24 marzo 1999 alle 18 e 15 minuti decollano dalla base militare di Aviano due F 116. L'operazione "Determined Force" della Nato prendeva avvio e l'Ansa da lì a pochi minuti avrebbe lanciato in prima mondiale la notizia. Ancora non si sapeva che si sarebbero usati proiettili all'uranio impoverito, bombe a grappolo (cluster bomb) o che sarebbero state colpite fabbriche che trattavano composti chimici altamente tossici. 

Il caso della Fiat serba e della "città morta" 

Non sono pochi i complessi industriali colpiti nei 78 giorni della campagna aerea della Nato, ma vale la pena parlare di almeno due casi emblematici. Gli stabilimenti della Zastava, grande colosso dell'industria automobilistica della ex Jugoslavia, sono situati a 130 km da Belgrado, nella città di Kragujevac. Furono colpiti pesantemente: il primo attacco missilistico che li distrusse in gran parte avvenne all'alba del 9 aprile mentre tre giorni dopo caddero gli ultimi 14 missili che diedero il colpo di grazia. 176 operai risultarono feriti ma il conto più salato venne pagato anni dopo da chi era impegnato nell'operazione di pulizia della fabbrica dalle macerie. 

Il 15 aprile del 2004 Radio B92 intervistò Dragan Stojanović, responsabile di una delle équipe che realizzarono il risanamento strutturale dell'azienda. Stojanović raccontò in quell'occasione che a suo avviso la fabbrica era stata colpita da proiettili all'uranio impoverito. “Altrimenti non ci si spiega l'alto numero di colleghi deceduti. Le foto di malati di carcinoma e gli annunci funerari nella bacheca posta all'ingresso dell'azienda, sono divenuti cosa di tutti i giorni". Raccontò inoltre che all'inizio del risanamento era stato promesso uno screening sanitario costante per i 1260 operai coinvolti nella bonifica. Promessa non mantenuta. 

Fulvio Perini, della CGIL Torino, è da anni coinvolto in un progetto a sostegno degli operai della fabbrica serba. "Venuti a conoscenza di storie di operai che si ammalavano di cancro o che erano deceduti, segnalammo il caso all'ultima Commissione d'indagine del Senato sull'uranio impoverito e la presidente, Lidia Brisca Menapace, accolse con favore la proposta di realizzare una ricerca", afferma. “Utilizzando un metodo specifico in uso all'Istituto Superiore di Sanità italiano, prendendo però in considerazione anche il rischio da esposizione alle nano-particelle rilasciate nell'aria con lo scoppio dei proiettili all'uranio impoverito, si sarebbe potuto realizzare uno studio importante. Perché si avevano precisi dati per ciascun operaio: identificazione del soggetto, ricostruzione della storia lavorativa durante la bonifica, dati epidemilogici della malattia e numero dei decessi. Tutti dati recepibili presso il poliambulatorio della fabbrica stessa". Ma la Commissione d'indagine italiana chiuse i battenti nel marzo del 2008 a causa della crisi di Governo, e il progetto epidemiologico rimase nel cassetto. 

Le bombe piovute sulla città di Kragujevac colpirono anche tre centrali di trasformazione elettrica che utilizzavano Piralen (Policroruro di fenile - PCB) un olio altamente cancerogeno usato per il sistema di raffreddamento. Secondo Branko Jovanović, della Protezione civile di Kragujevac, dai dati ufficiali dell'Ufficio Ispettivo Nazionale per la tutela dell'ambiente del 2001 risultava che se ne erano riversati sul territorio della città più di 2 tonnellate. 

Forse la "responsabilità" internazionale di questa conseguenza ha inciso nell'avvio del progetto di bonifica dai numerosi depositi di piralen ancora esistenti, iniziato a seguito della firma da parte della Serbia della Convenzione di Stoccolma nel 2002. L'allora ministra per l'Ambiente, Andjelka Mihajlov, dichiarò che non si possedevano dati precisi sulla quantità nel paese di questo olio tossico: le stime del ministero parlavano di circa 500 tonnellate. Non avendo la Serbia siti dove poterlo distruggere, nel 2002 si avviò il suo trasferimento all'estero: da una raffineria di Novi Sad partirono 31 tonnellate per la Germania, mentre 250 tonnellate di piralen della Zastava di Kragujevac vennero incenerite in Svizzera. Il piralen però si utilizza ancora. Lo scorso febbraio nella città di Zrenjanin in Vojvodina, un grande incendio della fabbrica "Radijator" provocò rilascio di piralen nell'ambiente. 

Altro caso emblematico quello della città di Pančevo, oggi chiamata “mrtav grad”, città morta. Quest'ultima possiede nelle immediate vicinanze dell'abitato, una zona industriale composta da tre fabbriche chimiche: una raffineria petrolifera, un'industria di concimi chimici azotati e un complesso petrolchimico. Tutte e tre erano dei grandi inquinatori di per sé. E tutte e tre nel ’99 vennero colpite ripetutamente. Nel 2000 l'UNEP, agenzia delle Nazioni Unite per la tutela ambientale approvò un programma di risanamento delle aree bombardate. L'organizzazione non disponeva però di propri mezzi finanziari e raccolse solo 11,5 milioni dei 20 milioni di dollari necessari per portare a termine i 27 progetti messi in cantiere e così si dovette chiudere il programma a metà del lavoro. 

Da allora nella cittadina di Pančevo si è mossa, se non altro, la cittadinanza. In questo ha inciso l'installazione in città di 4 centraline di rilevamento, su iniziativa della Provincia di Ravenna, per misurare il livello di inquinamento dell'aria provocato dalle fabbriche obsolete e rappezzate alla meglio dopo il bombardamento. “Grazie alle centraline Ravenna ci ha offerto dati e argomentazioni concrete per sostenere le proteste... E l'atteggiamento del ministero verso Pančevo ha cominciato a cambiare", racconta il sindaco della città, Vesna Martinović. Un interesse che nei prossimi giorni porterà il neo-ministro serbo per l'Ambiente - Oliver Dulić - a partecipare ad un tavolo di concertazione con le autorità locali della città. 

Bombe a grappolo 

"Si stima che delle migliaia di cluster bomb sganciate dalla Nato sulla Serbia, ad oggi siano 2.500 quelle inesplose, per la maggior parte concentrate nel sud del paese, su di una estensione di 15 chilometri quadrati in un territorio in cui vivono circa 160.000 persone". Lo si afferma in un servizio giornalistico andato in onda recentemente su RadioTV B92 a seguito della conferenza stampa tenuta a Belgrado il 10 marzo scorso dalla CMC (Cluster Munition Coalition) organismo che riunisce oltre 200 associazioni e organizzazioni non governative - di cui nove serbe - che si battono per il bando di questi ordigni. 

Quella delle bombe a grappolo è una questione che la Serbia cominciò ad affrontare solo un anno e mezzo fa, dopo aver ottenuto dai vertici Nato le coordinate dei territori bombardati, grazie alla pressione politica di molti paesi. L'allora ambasciatore serbo presso la Nato, Branko Milinković, ritirò a Bruxelles le mappe dei 219 siti colpiti con questo tipo di ordigni, otto anni dopo i bombardamenti. 

"Se si continua a sminare i siti colpiti con il sistema attuale, si stima che ci vorranno 20 anni e 30 milioni di euro per completare il lavoro", ricorda Thomas Nash del CMC. Le cluster bomb sono ordigni di grandi dimensioni in grado di rilasciare nell'aria bombe più piccole, chiamate bomblet, che si disperdono su un'area ampia quanto 2-3 campi di calcio. Inoltre, possono rimanere attive per anni contaminando il terreno al pari delle mine anti-uomo, bandite in tutto il mondo dell'entrata in vigore della Convenzione di Ottawa nel 1999. La pericolosità delle cluster bomb ha portato nel dicembre 2008 a Oslo alla firma della Convenzione per la loro totale messa al bando da parte di molti paesi. Ad oggi i firmatari sono 94 e i processi di ratifica necessari alla sua applicazione sono tuttora in corso, ma la Serbia - assieme al Kosovo - rimane al momento l'unico paese del sud est Europa che non l'ha ancora siglato. Un comportamento definito da Thomas Nash controproducente, oltre che politicamente grave, perché se venisse firmato sarebbe più facile accedere a finanziamenti internazionali per lo sminamento dando un taglio alle conseguenze socio-economiche provocate nel paese fino ad oggi. 

E poi c'è il Kosovo. Nell'ultimo rapporto del Landmine Monitor, datato 2008, si scrive che nello stato da poco indipendente non sono certi né l'estensione dell'area contaminata né il numero di vittime provocate nei primi otto anni dai bombardamenti. Secondo alcune istituzioni intrnazionali di stanza in Kosovo, quali il Mine Action Coordination Center (MACC) dell'UNMIK, tra giugno '99 e fine 2007 risultano essere rimaste vittime di materiali inseplosi 436 persone di cui 111 in maniera mortale. Landmine Monitor sottolinea che, secondo gli ultimi dati forniti dall'OKPCC (Office of the Kosovo Protection Corps Coordinator) responsabile per le azioni di sminamento e bonifica da ordigni inesplosi, all'agosto del 2008 la maggior parte dei siti - conosciuti - di mine anti-uomo e cluster bomb inesplose risultavano bonificati, mentre si prevedevano anni per liberare il paese da quelle che definisce "ERW - explosive remnants of war", perché non sarebbe ancora precisa la conoscenza dell'estensione del territorio contaminato. 

Uranio impoverito 

Si parla di contaminazione anche nel caso delle bombe all'uranio impoverito, usate dalla Nato su Serbia e Kosovo nel 1999 ma per altro già lanciate in numero di 10.800 - a totale insaputa dell'opinione pubblica - sul territorio della Bosnia Erzegovina nel 1995. L'uranio impoverito (Depleted Uranium) deriva da materiale di scarto delle centrali nucleari e viene usato per fini bellici per il suo alto peso specifico e la sua capacità di perforazione. Quando un proiettile al DU colpisce un bunker o un carro armato, vi entra senza incontrare alcuna resistenza e allla sua esplosione ad altissima temperatura rilascia nell'ambiente nano-particelle di metalli pesanti. Ad oggi, viene confermato dalla ricerca scientifica che questi proiettili sono pericolosi sia per la loro radioattività emanata sia per la polvere tossica che rilasciano nell'ambiente. 

Secondo un rapporto redatto nel novembre 2000 dall'UNEP (United Nations Enviroment Programme) a seguito della prima missione post-conflitto realizzata in Kosovo, tra il 16 aprile e il 28 maggio 1999 risultano 113 i siti colpiti, per un totale di circa 31.000 proiettili con punte di 1.000 proiettili in un giorno su di un unico sito. L'area più colpita risulta quella occidentale, al confine con l'Albania, dove tra l'altro venne subito stanziato gran parte del contingente italiano KFOR. 

In merito al territorio della Serbia, i dati forniti dalla Nato riferiscono che sono state circa 2.500 le bombe al DU lanciate nel 1999, tutte nel sud del Paese e concentrate su quattro siti: Pljackovica presso Vranje, Borovac vicino a Medvedje, Bratoselce vicino alla città di Bujanovac e Reljan, situato a pochi chilometri da Preševo. 

Purtroppo la guerra dei numeri si fa ancor'oggi sui presunti civili e militari ammalatisi e deceduti a causa del DU, sia in Serbia e Kosovo sia nei paesi da cui provengono i militari delle missioni internazionali. Per parte italiana, dopo nove anni di proteste pubbliche, ricorsi in tribunali penali e civili e due Commissioni d'indagine parlamentare, si è raggiunto un primo risultato: "Abbiamo approvato un provvedimento che prevede in tre anni lo stanziamento di 30 milioni di euro per risarcire le vittime dell’uranio impoverito e delle nano-particelle". Sono le dichiarazioni fatte dal ministro La Russa lo scorso 19 dicembre. Si è arrivati al provvedimento anche grazie al fatto che l'ultima Commissione d'indagine, non potendo confermare per ora - ma neanche escludere - un legame certo tra le malattie oggetto dell'indagine e l'esposizione al DU, ha sostituito al "nesso di causalità", il "criterio di probabilità". In pratica, il fatto stesso che la malattia si sia verificata costituisce di per sé, a prescindere dalla dimostrazione del nesso diretto, motivo sufficiente per riconoscere i risarcimenti. 

Domenico Leggero, fondatore dell'Osservatorio Militare che in questi anni ha sostenuto i militari nelle loro battaglie, lo considera un risultato significativo ma definisce lo stanziamento già insufficiente: "A noi risulta che i casi di militari che hanno contratto una malattia siano adesso (ndr: al 24 marzo 2009) 2.558, mentre il numero di deceduti sia salito a quota 171". 

E in Serbia e Kosovo? E' proprio il caso italiano, che viene seguito dalla stampa locale fin dal 2001, a far pensare che l'aumento dell'incidenza delle malattie tumorali riscontrato negli ultimi anni in Serbia e Kosovo sia legato alla "Sindrome dei Balcani". Legame che però non può ancora essere considerato al pari del "criterio di probabilità" in base al quale si è deciso il provvedimento italiano. In Serbia e in Kosovo non sono stati mai avviati studi epidemiologici ad hoc. Eppure lo scorso 2 febbraio in un suo dossier, il rinomato quotidiano belgradese Politika titolava: "Kosmet je mala Hiroshima" (Il Kosovo è una piccola Hiroshima). Si cita il libro di Mirjana Andjelković-Lukić, esperta in armi ed esplosivi al Centro tecnico-scientifico dell’esercito serbo. Da esso risulta che alti ufficiali dell'esercito serbo sono morti di cancro dopo aver effettuato nel 2000 delle ricerche sul terreno e che, secondo i dati raccolti, il livello di radiazioni gamma e beta risultarono due volte superiori alla norma. 

Secondo un'altra ricerca, avviata sette anni fa in Kosovo e realizzata dal team dell'internista-cardiologo Nebojša Srbljak - fondatore dell'organizzazione non governativa "Milosrdni andjeo" (Angelo misericordioso) di Mitrovica, si tratterebbe di una vera e propria epidemia: "Nel territorio di Kosovska Mitrovica rispetto a prima dei bombardamenti l'aumento delle affezioni di natura maligna tra i civili raggiunge punte del 200%". Srbljak confronta dati del 2007 con quelli raccolti nel periodo tra il 1998 e il 2002 e si lamenta del fatto che le autorità serbe e kosovare non si stanno in alcun modo muovendo per sondare il caso e tutelare e assistere i propri cittadini. 

La partita relativa ai civili rimane tutta da giocare anche in Italia. Nella relazione finale dell'ultima Commissione di indagine presso il Senato, precocemente chiusa nel febbraio 2008, oltre a raccomandare il completamento della raccolta e dell'analisi epidemiologica dei dati sanitari dei militari, si sottolinea: "Una nuova attenzione si è concentrata sul personale civile delle organizzazioni non governative che nel corso degli anni hanno prestato la loro attività volontaristica nei teatri di guerra e nel cui ambito sono pure segnalati casi anomali di malattie (...). In proposito, la Commissione ha avviato a gennaio 2008 uno specifico progetto di ricerca, che la scadenza del mandato ha impedito di proseguire". 

C'è da sperare che le ultime interrogazioni presentate al Parlamento italiano da due gruppi di senatori, per l'istituzione di una nuova Commissione d'indagine, vadano in porto e che tale Commissione possa ottenere da subito gli strumenti per operare. C'è da sperare che l'Unione Europea si muova per finanziare e sostenere politicamente un'approfondita e definitiva indagine nei territori dei Balcani, ascoltando gli appelli fatti finora da alcuni - pochi - deputati europei. C'è da sperare che venga raccolto l'appello del Parlamento europeo lanciato nel maggio 2008 affinché si arrivi al bando delle armi all'uranio impoverito, usato nei Balcani ma anche in Somalia, Iraq, Afghanistan... ed in ultimo nella Striscia di Gaza. C'è da sperare.





DUE CRIMINALI INAUGURANO L'AUTOSTRADA PAN-ALBANESE

---


Shekulli

Autoroute Albanie - Kosovo : inauguration du « tunnel de l’union » de la nation albanaise

Traduit par Mandi Gueguen

lundi 1er juin 2009

A quelques semaines des élections législatives du 28 juin prochain, Sali Berisha le Premier ministre albanais, a inauguré en grande pompe le tunnel de Kalimash, le dernier tronçon de l’autoroute qui doit relier à terme Tirana à Pristina. Accompagné d’Hashim Thaçi, le Premier ministre du Kosovo, il a évoqué les bénéfices économiques que tirerons de ce nouvel axe les populations des deux pays, mais surtout le « rêve panalbanais » qu’il permettra enfin de réaliser.

« Le tunnel qui réunit la nation » comme l’ont appelé les Premiers ministres albanais et kosovar, Sali Berisha et Hashim Thaçi, a été inauguré en grandes pompes par les deux hommes ce dimanche 31 mai 2009. « Je voudrais vous saluer du fond du cœur et partager avec vous la grande joie de voir réaliser aujourd’hui le rêve panalbanais », annonçait enthousiaste Sali Berisha pendant la conférence de presse organisée après l’inauguration du tunnel de Kalimash.

« Nous avons inauguré le tunnel qui réunit non seulement les Albanais, mais qui offre des services précieux dans le domaine du transport et de la circulation dans la région aussi bien à nous, qu’aux Macédoniens, aux Serbes et aux Bulgares. Le tunnel rapprochera les côtes albanaises et ses ports des Albanais du Kosovo et de toutes les nations de la région », poursuivait Sali Berisha en considérant cette réalisation comme un des plus grands chefs-d’œuvres de la construction en Europe et dans le monde.

Pour le Premier ministre albanais, ce tunnel représente avant tout la réunification de la nation albanaise. Il a aussi rappelé que rien ne peut plus séparer cette nation, ni spirituellement, ni physiquement. En revenant sur les accusations de l’opposition, alarmée par le coût de cette construction, Sali Berisha a déclaré que la valeur de l’œuvre en question dépasse largement les millions qu’elle aura coûtés. « Malgré son coût, le tunnel est inestimable pour le temps qu’il épargnera aux utilisateurs en une seule année. Sa réalisation était difficile et coûteuse, mais sa valeur morale est bien plus grande que son prix », précisait le Premier ministre albanais.

Pour son homologue kosovar, Hashim Thaçi, c’est aussi un grand jour pour tous les Albanais, où qu’ils soient. « Je vous transmets les félicitations du gouvernement du Kosovo pour ce chef-d’œuvre, qui reflète un lien très puissant avec le Kosovo. Mes frères d’armes et moi-même avons à maintes reprises pris cette route pour libérer le pays. Aujourd’hui, le Kosovo et l’Albanie sont plus que jamais proches l’un de l’autre et ils le seront de plus en plus. Nous avons été séparés des siècles durant, mais nous ne nous sommes jamais quittés », affirmait-il.

La cérémonie d’inauguration

A 12h15, Sali Berisha et Hashim Thaçi se sont rencontrés au cœur du tunnel qui relie désormais l’Albanie au Kosovo pour inaugurer l’ouverture officielle de cette partie de l’autoroute Durrës-Kukës-Pristina. Partis chacun des côtés albanais et kosovar, les deux chefs des gouvernements ont parcouru à pied les derniers cent mètres vers la sortie du côté de Kukës.

Depuis un excavateur, Sali Berisha a symboliquement fait tomber le dernier obstacle en béton, marquant l’ouverture définitive du tunnel. La cérémonie a été organisée la veille d’un grand meeting de campagne organisé par le Parti démocratique (PD). La délégation du Premier ministre Sali Berisha était constituée de ses 14 ministres et par les candidats du PD aux élections du 28 juin 2008. La partie kosovare avait aussi dépêché la crème de sa classe politique pour assister à cet grand événement.

La nouvelle route, longue de 170km, traversera les axes Durrës- Vorë- Fushë Krujë- Milot- Rrëshen- Reps- Thirrë- Kalimash- Kukës- Morinë. Les travaux de sa réalisation ont commencé en 2007 sous la direction de la compagnie américaine Bektel et de son sous-traitant, la compagnie turque Enka. 3.400 personnes, Albanaises dans leur majorité, ont été engagées pour les travaux. L’autoroute contient deux voies et 27 ponts, elle raccourcit de 45 km le trajet actuel vers le Kosovo, qui ne sera plus qu’à quatre heures de distance au lieu des six heures habituelles.

Publié dans la presse : 31 mai 2009
Mise en ligne : lundi 1er juin 2009
© 1998-2008 Tous droits réservés Le Courrier des Balkans (balkans.courriers.info)




A LORO NO

Gli Stati Uniti d'America appoggiano tutti i movimenti indipendentisti-nazionalisti del mondo... tranne che quelli al loro interno. E' il caso di Puerto Rico.

---

Puerto Ricans arrested for demanding independence

By John Santos 
Published May 22, 2009 7:15 PM

On May 6, six Puerto Rican activists/artists were arrested in the U.S. House of Representatives for demanding that the United States grant independence to Puerto Rico.

They are: Luis Enrique Romero, Maria “Chabela” Rodriguez, the musician Jose Rivera, also known as Tony Mapeye, mechanical designer Luis Suárez, nurse Eugenia Perez and retired worker Ramon Diaz. Singer and actor Carlos Esteban Fonseca accompanied them but maintained a distance from the protest. Their lawyer is Manuel Rivera.

Singing the Puerto Rican protest song “Oubao Moin,” wearing Puerto Rican flags and carrying signs saying, “111 years of colonialism is a shame,” they were prepared to read a statement. Before they could do so they were removed from their seats by security and were arrested a short time later.

“We, seven Puerto Ricans, have come here to protest against the colonialism to which Puerto Rico is subjected. We come in good will, in peace. We want to be a free nation,” said Suárez. “Our legislators cannot even guarantee us space on our own television channels, because it is territory occupied by the federal government,” Fonseca said.

After their release, the six independentistas went back to Puerto Rico, where they announced there would be new acts of

civil disobedience to get the U.S. government to resolve the status of Puerto Rico.

Puerto Rico has been a colony of the United States since 1898, during the Spanish-American War. As part of that war the U.S. invaded Puerto Rico on July 25, 1898. Over the years there have been several powerful movements and parties inside Puerto Rico and the U.S. opposing colonization. Most have faced heavy repression.

Even before the current worldwide economic downturn, Puerto Rico was deeply affected by its own economic crisis. On May 1, 2006, over 100,000 workers were laid off when Puerto Rico’s Commonwealth government shut down. Claiming it could not afford to pay its employees’ salaries, the government temporarily closed most of its operations, including all public schools.

Puerto Rico’s fiscal problems can also be blamed on the fact that since 1992 the government has privatized many public industries—including telecommunications, shipping and health care. Since the global economic crisis of capitalism has taken hold all over the world, another 30,000 government workers have lost their jobs—about 14 percent of the remaining work force. The government is Puerto Rico’s main employer. Some 218,000 people, or 21 percent of the work force on the island of 3.9 million inhabitants, hold government jobs.

With so many people in Puerto Rico suffering under the boot of U.S. colonialism, there needs to be a huge fight, not only in Puerto Rico but here in the belly of the beast, to organize and demand that Washington stop persecuting the movement for Puerto Rico’s independence.


Articles copyright 1995-2009 Workers World. Verbatim copying and distribution of this entire article is permitted in any medium without royalty provided this notice is preserved. 

Workers World, 55 W. 17 St., NY, NY 10011
Email: ww@...
Subscribe wwnews-subscribe@...
Support independent news http://www.workers.org/orders/donate.php

(deutsch / english)

Sudetendeutschen are back

1) Days of Aggression / Tage der Aggression (GFP 2009/05/29)

2) Deutschsein als Ressource (GFP 25.11.2008)

3) Spuren der Geschichte (GFP 25.09.2008)

4) Moral Basis / Moralische Grundlage / Revisionsinstrumente: Interview mit Tobias Weger / "Volkstumskampf" ohne Ende? Sudetendeutsche Organisationen, 1945-1955

5) LINKS


=== 1 ===


Days of Aggression
 
2009/05/29
AUGSBURG
 
(Own report) - This weekend the "Sudeten German Homeland Association" is celebrating its sixtieth "Sudeten German Day" with the active participation of prominent politicians and an extreme rightwing organization. As always, this mass meeting put on by the "Vertriebenen" ("Expellees") Association in Augsburg, Bavaria, is being billed as a protest against laws, with constitutional status, in two EU member states - the "Benes Decrees" of the Czech Republic and Slovakia. The event will be honored with a message of greetings from the German Minister of the Interior. Also present will be the "Witikobund," which represents the radically ethnic chauvinist wing of the "Sudeten German Homeland Association" and maintains contact to rightwing extremists. A functionary of the NPD (the neo-Nazi National Democratic Party of Germany) is a member of the presidium of its youth organization. Notwithstanding, government support for this weekend's event is assured, because the German government declares the post-war resettlement of Germans an "injustice" and with the support of the "expellee" associations seeks to add emphasis to this opinion. For the same reason, the Federal Government Commissioner for Culture and the Media just recently announced that the "Center against Expulsions" (Foundation Flight, Expulsion, Reconciliation) has begun to function. Berlin is keeping its eastern neighbors under pressure with its legal opinion that German resettlement was an "injustice".
Mass Meeting

With a press conference and a wreath-laying commemoration ceremony, the "Sudeten German Homeland Association" will open its sixtieth "Sudeten German Day" today in Augsburg, Bavaria. Approximately 15,000 are expected to participate in this mass meeting, scheduled to close following the Bavarian Prime Minister, Horst Seehofer's (CDU), keynote address on Sunday. As always, the event will be centered on the protest against the Benes Decrees of Czechoslovakia, which still have constitutional status in the successor states, the Czech Republic and Slovakia. The Benes Decrees served the reconstruction of the Czechoslovak state in the aftermath of German occupation, and laid the groundwork for the expulsion of the "Sudetendeutschen" (Sudeten Germans), which is the reason why the Homeland Association is still campaigning for their annulment today. The German Minister of the Interior is honoring this year's "Sudeten German Day" and its protest against the Benes Decrees, with a message of official greetings, while the presence of high-ranking Bavarian politicians are insuring extensive media coverage of the event.
NPD Functionary

As in the past, the "Witikobund" will also be participating in the "Sudeten German Day" and has announced the organization of an event with speeches and an information stand. The "Witikobund" was founded in 1948 by former SS and NSDAP party members. It represents the radically ethnic chauvinist wing of the "Sudeten Germans" and maintains contacts to the extreme right. A former long-standing chairman of the "Witikobund" was a "Republikaner", back when the "Republikaner" Party, was the leading party of the German extreme right. Today the links are to the NPD. Last year the chairman of the Regensburg county chapter of the NPD, Willi Wiener, was elected vice chairman of the "Witiko" national youth organization "Junge Witikonen". This led the Mayor of Regensburg, Hans Schaidinger (CSU) to refuse, in March, to attend the "Sudeten German Homeland Association's" event. He demanded that they publicly renounce their ties to the "Witikobund," and this not forthcoming, stayed away, in protest, from their event.[1]
Legal Interpretation

It is not to be expected that for, this weekend's event, similar stands will be taken by Bavarian politicians or the German Minister of the Interior. This is because of foreign policy interests. Germany insists on its legal interpretation, that the post-World War German resettlement constitutes an "injustice."[2] Therefore, events, in support of this contention, that draw extensive media coverage, such as the "Sudeten German Day," are desirable and will be supported by the government. For this same reason, Berlin has been pushing for the establishment of a "Center against Expulsions" [3] over the past ten years. The Federal Government Commissioner for Culture and the Media announced on May 13 that the "Foundation Flight, Expulsion, Reconciliation's" board of directors has now been constituted. The "Center against Expulsions," which also declares that German post-war resettlement was an "injustice" will be created in Berlin under the same name. Remaining unclear, however, is whether this allegation, of German resettlement constituting an "injustice," opens the door to a lawsuit for restitution or compensation for former property of the resettled. The German government is still trying to keep these claims on the table.[4] In any case, this issue places Germany's eastern neighbors under pressure to the advantage of Berlin's foreign policy. A boycott of these "expellee" events, in protest of the far-right, appear therefore unattractive to power-conscious politicians.
"Silesia is not in Poland"

The event taking place in Augsburg this weekend will be followed by a similar event in Hanover (Lower Saxony), planned for the last weekend in June (June 26 - 28) this year's "Annual Meeting of Silesians". Christian Wulff (CDU), the Prime Minister of Lower Saxony is to present the keynote address; the Vatican's Apostolic Nuntius to Germany will hold mass.[5] The "Silesian Homeland Association" came under pressure at last year's "Silesian Annual Conference", because critics had pointed to its links to the extreme right. These accusations did not hamper the participation of Prime Minister Wulff. Before Wulff had delivered his speech, journalists had discovered such slogans on posters in the hall as "Silesia is not in Poland - the truth will set you free".[6] Given such slogans, the extreme right's participation can also be expected this year.
Extremist Forces

The chairman of the "Silesian Homeland Association", who will give his speech at the Annual Conference after Wulff, is also a leading activist of the "Prussian Trust" - an organization filing numerous claims against Poland for the return of property that had belonged to expellees.[7] The "Silesian Youth", the official youth organization of the "Homeland Association" is a forum also for "extremist forces", who "partially put the German constitution into question," according to some of its former members.[8] The "Silesian Youth" has also been invited to Hanover. The events in Augsburg and Hanover show a similar political constellation: officials at the highest state levels join with activists of the extreme right - in favor of an aggressive foreign policy against Germany's eastern neighbors.

[1] Sudetendeutsche sauer: Gedenktag ohne die Stadt; Mittelbayerische Zeitung 08.03.2009
[2] see also History RevisionHitler, Stalin, Churchill, Roosevelt and Moralisch und materiell
[3] see also Sklavenhalter and An Educational Venue
[4] see also Umfassende AnsprücheDupedHeute ist es das GleicheGrenzfragen and Interview mit Christoph Koch
[5] Informationen Deutschlandtreffen 2009; www.schlesien-lm.de
[6] Ein Auftritt in heiklem Rahmen; die tageszeitung 02.07.2007
[7] see also Fristen (I)"Eigentümer an Grund und Boden" and "Geklautes Land"
[8] An die Freunde und Förderer der Schlesischen Jugend Landesverband Bayern; www.schlesische-jugend-bayern.de/html/info.html


---


Tage der Aggression
 
29.05.2009
AUGSBURG 
(Eigener Bericht) - Unter aktiver Beteiligung einflussreicher Politiker und einer Organisation der äußersten Rechten feiert die "Sudetendeutsche Landsmannschaft" dieses Wochenende ihren sechzigsten "Sudetendeutschen Tag". Die Massenkundgebung des "Vertriebenen"-Verbandes in Augsburg (Bayern) wird wie üblich als Protest gegen Gesetze von Verfassungsrang in zwei EU-Mitgliedstaaten angekündigt - gegen die "Beneš-Gesetze" in Tschechien und der Slowakei - und vom Bundesinnenminister per Grußwort gewürdigt. Präsenz zeigt auch der "Witikobund", der den radikal völkischen Flügel der "Sudetendeutschen Landsmannschaft" repräsentiert und Kontakte zur extremen Rechten unterhält. Seine Jugendorganisation zählt einen NPD-Funktionär zu ihrem Vorstand. Die staatliche Unterstützung für das Treffen am Wochenende ist dennoch gesichert, da die Bundesregierung die Umsiedlung der Deutschen nach Kriegsende als "Unrecht" bezeichnet und dieser Ansicht mit Hilfe der "Vertriebenen"-Verbände Nachdruck zu verleihen sucht. Erst kürzlich hat der Kulturstaatsminister des Bundes aus demselben Grund die Arbeitsaufnahme des "Zentrums gegen Vertreibungen" ("Stiftung Flucht, Vertreibung, Versöhnung") verkündet. Mit der Rechtsposition, die Umsiedlung sei "Unrecht" gewesen, hält Berlin die östlichen Nachbarstaaten unter Druck.
Massenkundgebung

Mit einer Pressekonferenz und einer Kranzniederlegung eröffnet die "Sudetendeutsche Landsmannschaft" am heutigen Freitag in Augsburg (Bayern) ihren sechzigsten "Sudetendeutschen Tag". Zu der Massenkundgebung, die am Sonntag nach einer Festrede des bayrischen Ministerpräsidenten Horst Seehofer (CSU) zu Ende geht, werden rund 15.000 Teilnehmer erwartet. Im Zentrum steht wie seit je der Protest gegen die Beneš-Gesetze der ehemaligen Tschechoslowakei, die bis heute in deren Nachfolgestaaten, der Tschechischen Republik und der Slowakei, Verfassungsrang haben. Die Beneš-Gesetze dienten dem Wiederaufbau des tschechoslowakischen Staates nach dem Ende der deutschen Okkupation; sie regelten auch die Ausweisung der "Sudetendeutschen", weshalb die Landsmannschaft bis heute ihre Annullierung fordert. Den diesjährigen "Sudetendeutschen Tag" und seinen Protest gegen die Beneš-Gesetze wertet der Bundesinnenminister mit einem amtlichen Grußwort auf, hochrangige Politiker aus Bayern verschaffen ihm mit ihrer Präsenz große Medienaufmerksamkeit.
NPD-Funktionär

Wie in den Vorjahren nimmt auch diesmal der "Witikobund" am "Sudetendeutschen Tag" teil und kündigt eine Vortragsveranstaltung und einen Informationsstand an. Der "Witikobund" wurde 1948 von ehemaligen NSDAP- und SS-Mitgliedern gegründet; er repräsentiert den radikal völkischen Flügel der "Sudetendeutschen" und unterhält Kontakte zur extremen Rechten. Ein früherer langjähriger Vorsitzender der Organisation gehörte den "Republikanern" an, als diese die führende Partei der extremen Rechten in Deutschland waren; aktuell sind Beziehungen zur NPD belegt. So ist letztes Jahr der Vorsitzende des Regensburger NPD-Kreisverbandes Willi Wiener zum stellvertretenden Bundesvorsitzenden der "Witiko"-Jugendorganisation "Junge Witikonen" gewählt worden. Der Regensburger Oberbürgermeister Hans Schaidinger (CSU) nahm dies im März zum Anlass, um seine Teilnahme an einer Kundgebung der "Sudetendeutschen Landsmannschaft" zu verweigern: Er fordere eine offene Distanzierung vom "Witikobund", erklärte er und blieb nach deren Ausbleiben aus Protest der Veranstaltung fern.[1]
Rechtsposition

Ähnliche Schritte sind an diesem Wochenende weder von bayrischen Politikern noch vom Bundesinnenminister zu erwarten. Ursache sind außenpolitische Interessen. Die Bundesrepublik beharrt auf der Rechtsposition, dass die Umsiedlung der Deutschen nach dem Zweiten Weltkrieg "Unrecht" gewesen sei [2]; Kundgebungen wie der "Sudetendeutsche Tag", die diese Behauptung öffentlichkeitswirksam bekräftigen, sind daher erwünscht und werden staatlich unterstützt. Aus demselben Grund forciert Berlin seit zehn Jahren die Gründung des "Zentrums gegen Vertreibungen".[3] Der Kulturstaatsminister des Bundes hat am 13. Mai mitgeteilt, dass sich der Stiftungsrat der "Stiftung Flucht, Vertreibung, Versöhnung" nun konstituiert hat; unter diesem Namen wird das "Zentrum gegen Vertreibungen", das ebenfalls die Umsiedlung zum "Unrecht" deklariert, in Berlin realisiert. Nach wie vor ungeklärt ist die Frage, ob sich aus der Behauptung, die Umsiedlung sei "Unrecht" gewesen, ein einklagbarer Rechtsanspruch auf Rückgabe oder Entschädigung ehemaligen Eigentums der Umgesiedelten ergibt; die Bundesregierung hält derlei Ansprüche bis heute nach Möglichkeit offen.[4] Unabhängig davon setzt die Thematik die östlichen Nachbarstaaten unter Druck und verschafft Berlin damit außenpolitische Vorteile, die machtbewussten Politikern einen Boykott von "Vertriebenen"-Kundgebungen aus Protest gegen die äußerste Rechte unattraktiv erscheinen lassen.
"Schlesien ist nicht in Polen"

Eine ähnliche Konstellation wie an diesem Wochenende in Augsburg steht am letzten Juniwochenende auch in Hannover (Niedersachsen) bevor. Dort findet vom 26. bis zum 28. Juni das diesjährige "Deutschlandtreffen der Schlesier" statt. Als Festredner ist der Ministerpräsident des Bundeslandes Niedersachsen, Christian Wulff (CDU), angekündigt; die katholische Messe zelebriert der Apostolische Nuntius, der Botschafter des Vatikan in Deutschland.[5] Die "Landsmannschaft Schlesien" war beim vergangenen "Schlesiertreffen" unter Druck geraten, weil Kritiker auf Verbindungen zur extremen Rechten verwiesen hatten. Ministerpräsident Wulff war trotz der Vorwürfe aufgetreten. Die Plakatslogans, die Journalisten damals vor Wulffs Rede in der Veranstaltungshalle entdeckten, lassen vermuten, dass auch diesesmal die äußerste Rechte sich nicht wird fernhalten lassen: "Schlesien ist nicht in Polen - Die Wahrheit wird euch frei machen" war auf Schildern zu lesen.[6]
Extremistische Kräfte

Der Vorsitzende der "Landsmannschaft Schlesien", der beim "Deutschlandtreffen" nach Wulff sprechen wird, ist zugleich führender Aktivist der "Preußischen Treuhand" - einer Organisation, die Polen mit Prozessen auf Rückgabe früheren Eigentums von Umgesiedelten überzieht.[7] Die "Schlesische Jugend", der offizielle Jugendverband der Landsmannschaft, bietet nach Auskunft ehemaliger Mitglieder "extremistischen Kräften", die "teilweise das Grundgesetz in Frage" stellen, ein Forum.[8] Die "Schlesische Jugend" ist ebenfalls nach Hannover eingeladen. Dort wie in Augsburg zeichnet sich damit eine politische Konstellation ab, die staatliche Funktionsträger der obersten Ebene und Aktivisten der äußersten Rechten vereint - zugunsten außenpolitischer Aggressionen gegen Deutschlands östliche Nachbarstaaten.

[1] Sudetendeutsche sauer: Gedenktag ohne die Stadt; Mittelbayerische Zeitung 08.03.2009
[2] s. dazu Revision der GeschichteHitler, Stalin, Churchill, Roosevelt und Moralisch und materiell
[3] s. auch Sklavenhalter und Ein Lernort
[4] s. dazu Umfassende AnsprücheAusgetrickstHeute ist es das GleicheGrenzfragen und Interview mit Christoph Koch
[5] Informationen Deutschlandtreffen 2009; www.schlesien-lm.de
[6] Ein Auftritt in heiklem Rahmen; die tageszeitung 02.07.2007
[7] s. dazu Fristen (I)"Eigentümer an Grund und Boden" und "Geklautes Land"
[8] An die Freunde und Förderer der Schlesischen Jugend Landesverband Bayern; www.schlesische-jugend-bayern.de/html/info.html

=== 2 ===
Deutschsein als Ressource
 
25.11.2008
BERLIN/WARSCHAU
 
(Eigener Bericht) - Millionensummen stellt die Bundesregierung für Einflussmaßnahmen in Ost- und Südosteuropa bereit. Schwerpunkt der als "kulturell" bezeichneten Aktivitäten ist Polen. Auch der Anspruch auf die deutsche Vergangenheit im Baltikum und im heutigen Tschechien oder Slowenien ist der Bundesregierung bedeutende Mittel wert. Die entsprechenden Gelder hat der Haushaltsausschuss des Deutschen Bundestages am vergangenen Donnerstag frei gegeben. Die für 2009 bewilligten Millionensummen werden in dieser Woche vom Parlament bestätigt. Allein für den Erhalt und die "Auswertung deutscher Kultur und Geschichte im östlichen Europa" stehen über elf Millionen Euro bereit. Für die "Pflege des Geschichtsbewusstseins" werden 2009 über 57 Millionen Euro eingesetzt, darunter mehrere Millionen für die Erinnerung an das Preußentum (unter anderem "Otto-von-Bismarck-Stiftung"). Die Ausgaben für ein "Einheits- und Freiheitsdenkmal", das auf dem Berliner Schlossplatz an die Feudalzeiten des Deutschen Reiches anknüpfen soll, werden von fünf Millionen auf 15 Millionen Euro verdreifacht. Damit erhält das Denkmal auf dem Sockel einer früheren Kaiser-Statue mehr staatliche Zuwendungen als sämtliche Gedenkstätten, die heute in Deutschland an den NS-Terror erinnern.
Der Haushaltsplan des im Bundeskanzleramt angesiedelten "Beauftragten der Bundesregierung für Kultur und Medien" listet zahlreiche Institutionen auf, die den Kernbestand der kulturell maskierten "Vertriebenen"-Ansprüche umrahmen. So erhält das "Westpreußische Landesmuseum" 525.000 Euro, das Pommersche Landesmuseum" 610.000 Euro und das "Institut für deutsche Kultur und Geschichte in Nordosteuropa" 1,209 Millionen. Das Institut empfiehlt unter anderem Arbeiten des bekannten Revisionisten Dieter Blumenwitz [1], der auch als "Rechtsextremist" bezeichnet worden ist [2]. Die Finanzierung des in Lüneburg beheimateten Instituts erfolgt zu 100 Prozent aus Steuermitteln.
Historisches Ostdeutschland

Ebenfalls zu 100 Prozent finanzieren die deutschen Steuerzahler das fast namensgleiche "Institut für deutsche Kultur und Geschichte in Südosteuropa". Die aktuelle Ausgabe der Institutszeitschrift beschäftigt sich unter anderem mit dem "Deutschsein als Ressource" - eine Einführung in "Deutsche Kultur und ethnisches Selbstverständnis unter karpatendeutschen Jugendlichen".[3] Für Veröffentlichungen dieser Art stellt die Bundesregierung dem Münchener Südosteuropa-Institut Jahr für Jahr über 600.000 Euro zur Verfügung - 2009 mit leichter Steigerung exakt 667.000 Euro. Das "Deutsche Kulturforum östliches Europa", in Potsdam zu Hause, erhält 2009 etwa 100.000 Euro mehr als noch im vergangenen Jahr: 1,56 Millionen. Die Einrichtung kümmert sich um die "Geschichte jener Gebiete im östlichen Europa", in denen nicht nur früher Deutsche lebten, sondern auch "heute noch".[4] Im Potsdamer Vorstand sitzt der Direktor einer "Stiftung Martin-Opitz-Bibliothek", die sich dem "historischen Ostdeutschland" [5] widmet und damit das heutige Polen meint. Diese Aktivitäten sind der Bundesregierung 605.000 Euro wert. Erkleckliche Restmittel kommen aus Nordrhein-Westfalen. Die Aufzählung aus Titel 684 71 des Bundeshaushalts ließe sich noch länger fortsetzen: Adalbert Stifter Verein, Stiftung Kunstforum Ostdeutsche Galerie, Schlesisches Museum, Donauschwäbisches Zentralmuseum, Siebenbürgisches Museum usw.
Abgelehnt

Außer den Mitteln für das angeblich "heute noch" lebende "Deutschtum" im europäischen Ausland gibt der Bundestag in dieser Woche auch Gelder für verstorbenen Deutsche jenseits der Grenzen frei. Es handelt sich dabei um jene Toten, die in den Uniformen des Kaiserreiches oder der NS-Wehrmacht vor allem in Osteuropa tätig waren und dort großzügige Grabstätten erhalten. Die Ausgaben werden unter anderem aus dem Etat des Außenministeriums bestritten. Die "Leistungen für Deutsche im Ausland" einschließlich der "Umbettung deutscher Kriegstoter" werden in Titelgruppe 05 mit mindestens 7,8 Millionen Euro angegeben. Das Geld fließt an den "Volksbund Deutsche Kriegsgräberfürsorge", der in seinen "Kriegsgedächtnisstätten" auch SS-Verbrecher und KZ-Massenmörder beherbergt, so den Leiter der "Aktion Reinhardt", Christian Wirth.[6] Während Beteiligte an der "Aktion Reinhardt" mit den bewilligten Steuermitteln beim "Volksbund" zur letzten Ruhe gefunden haben [7], sind die von ihnen ermordeten Menschen dem Bundeshaushalt keine neuen Zuwendungen wert: Ein Antrag auf Förderung des Gedenkens an die in der NS-Zeit deportierten Kinder und Jugendlichen wurde von der Ausschussmehrheit (CDU/CSU und SPD) am vergangenen Donnerstag abgelehnt.[8]

[1] Dieter Blumenwitz: Das Offenhalten der Vermögensfrage in den deutsch-polnischen Beziehungen, Bonn 1992
[2] Süddeutsche Zeitung, 11.05.1996
[3] Florian von Sobeneck: Deutschsein als Ressource. Deutsche Kultur und ethnisches Selbstverständnis unter karpatendeutschen Jugendlichen. Spiegelungen, München 2008
[4] Deutsches Kulturforum östliches Europa; www.kulturforum-ome.de
[5] Willkommen in der Martin-Opitz-Bibliothek; www.martin-opitz-bibliothek.de
[6] Während der von Wirth befehligten "Aktion Reinhardt" wurden in den Vernichtungslagern Belzec, Sobibor und Treblinka über zwei Millionen Juden sowie über 50.000 Sinti und Roma ermordet.
[7] s. dazu Die Leichen des AAAbgelehntGruften der Täter und Interview mit Eva Watschkow-Schmidt
[8] s. dazu unser EXTRA-Dossier Elftausend Kinder

=== 3 ===


Spuren der Geschichte
 
25.09.2008
BAD KISSINGEN/MÜNCHEN
 
(Eigener Bericht) - Eine "Akademie" aus dem Dunstkreis der "Vertriebenen"-Verbände schult künftige Führungskräfte aus Osteuropa in deutschen Ordnungsplänen für ihre Herkunftsländer. Neben der Durchsetzung völkischer Prinzipien ("Volksgruppenrechte") zugunsten deutschsprachiger Minderheiten geht es unter anderem um deutsche Vorstellungen für das Verhältnis zu Moskau; "Rußland und Mitteleuropa" lautet das Thema einer Tagung der "Akademie Mitteleuropa", die am heutigen Donnerstag in Bad Kissingen (Bayern) beginnt. Man wolle "Wege und Strategien" aufzeigen, wie die Beziehungen zu Russland "auf Dauer verbessert werden" können, heißt es im aktuellen Einladungsschreiben, das zugleich Druckmittel gegen den Kreml thematisiert und damit den Anforderungen der Berliner Schaukelstrategie zwischen Osten und Westen entspricht. Die Formierung der künftigen osteuropäischen Eliten wird von staatlichen Stellen, aber auch von "Vertriebenen"-Organisationen gefördert. Besonderen Einfluss haben Mitglieder der "Sudetendeutschen Landsmannschaft". Prägende Traditionen der "Bildungsarbeit" reichen bis in Zeit zwischen den Weltkriegen zurück.
Entscheidungsträger von morgen
Die Tagung "Rußland und Mitteleuropa", welche die "Akademie Mitteleuropa" in Bad Kissingen (Bayern) am heutigen Donnerstag eröffnet, richtet sich ausdrücklich an "politisch interessierten Nachwuchs bis zum 35. Lebensjahr aus Deutschland und Ostmitteleuropa".[1] Man erwarte "zukünftige Entscheidungsträger aus Ungarn, der Slowakei, der Tschechischen Republik, Polen, Rußland und Deutschland", teilt die "Akademie" in einem Einladungsschreiben mit. Die aktuelle Tagung folgt damit den Prämissen, die auch sonst für die Tätigkeit der Organisation prägend sind. "Die jungen Menschen von heute sind die Entscheidungsträger von morgen", schreibt die "Akademie" [2]: "Eine Investition in die fachlichen und kommunikativen Fähigkeiten des Nachwuchses wirkt nachhaltig." Das stark bezuschusste Seminar an diesem Wochenende - Teilnahmegebühr inklusive Unterkunft und Verpflegung für drei Tage: zehn Euro - steht unter der Schirmherrschaft der Bayerischen Staatskanzlei.

Doppelstrategie

Die aktuelle Tagung widmet sich mit dem Verhältnis zu Russland einem für Deutschland sensiblen Thema. Berlin arbeitet wirtschaftlich eng mit Moskau zusammen und gründet darauf eine zwischen Westen und Osten oszillierende Schaukelpolitik (german-foreign-policy.com berichtete [3]). Einige osteuropäische Staaten, vor allem Polen, befürchten eine deutsch-russische Umklammerung und attackieren deshalb den Kreml - eine Politik, die die deutsche Hegemonie über die Gestaltung der europäisch-russischen Beziehungen gefährdet. Ziel der aktuellen Tagung sei es, "Wege und Strategien aufzuzeigen, wie das Verhältnis (zwischen Moskau und seinen osteuropäischen Nachbarn, d. Red.) auf Dauer verbessert werden kann", schreibt die "Akademie Mitteleuropa".[4] Damit zielt sie darauf, künftige Widerstände gegen eine deutsch-russische Kooperation zu schwächen. Freilich sollen mögliche Druckmittel gegen den Kreml keineswegs preisgegeben werden. Man wolle auch einen "kritische(n) Blick auf die innerrussische Entwicklung" werfen ("Demokratie und Rechtsstaatlichkeit", "Menschenrechte und Pressefreiheit"), kündigen die Veranstalter an.[5]

Achse Berlin-Moskau

Die Referenten, welche die "Akademie Mitteleuropa" ankündigt, liefern beiden Optionen Material. Stefan Meister (Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik, DGAP) hat erst kürzlich davor gewarnt, im Streit um den NATO-Beitritt Georgiens Russland zu verprellen.[6] Wirtschaftsinteressen an einer Zusammenarbeit mit Russland vertreten Gert Maichel (RWE Power AG, früher Wingas) und Ministerialrat Bertold Flierl aus der Bayerischen Staatskanzlei (Bayern unterhält enge politische und ökonomische Beziehungen nach Moskau [7]). Andrej Kalich (Zentrum für Demokratie und Menschenrechte, Moskau) hingegen wird oft von deutschen Stellen als Zeuge für russische Menschenrechtsverletzungen benutzt, wenn der Kreml unter Druck gesetzt werden soll.[8] Die alles überwölbende Perspektive liefert Heinz Brill, ein ehemaliger Mitarbeiter des Bundesverteidigungsministeriums, der sich seit Jahren um eine Renaissance traditioneller Geopolitik in Deutschland bemüht. Brill hat bereits in den 1990er Jahren den Aufbau einer "Achse Berlin-Moskau" eine "Option" der deutschen Außenpolitik genannt.[9]

Grenzlandwanderungen

Schwerpunkt der "Akademie Mitteleuropa", die sich bei ihrer heute beginnenden Tagung den Beziehungen zu Russland widmet, ist vor allem die Lage deutschsprachiger Minderheiten in den östlichen Nachbarstaaten. Paradigmatisch hierfür ist ein Seminar, das die "Akademie" im Mai abgehalten hat. Es behandelte "Spuren deutscher Geschichte im Egerland" - einem Teil Tschechiens - und umfasste "Grenzlandwanderungen auf der Suche nach verschwundenen (...) Ortschaften".[10] Die früheren Gemeinden, die nach der Umsiedlung der Deutschen keine Bewohner mehr hatten und verfielen, seien "meist bewußt zerstört" worden, behaupteten die Veranstalter über tschechoslowakische Nachkriegsmaßnahmen beim Wiederaufbau des zuvor okkupierten Staates. Die Suche nach "deutschen Spuren" bei den östlichen Grenznachbarn nimmt in der Tätigkeit der "Akademie" eine zentrale Stelle ein.[11] Dies legt nicht zuletzt die Herkunft der Bildungsstätte "Der Heiligenhof" nahe, mit der die "Akademie" eng verflochten ist.

Sudetendeutsche

"Der Heiligenhof" in Bad Kissingen (Bayern) und die "Burg Hohenberg" nahe der deutsch-tschechischen Grenze sind zwei Bildungsstätten des Sudetendeutschen Sozial- und Bildungswerks, einer Organisation aus den Strukturen der Sudetendeutschen Landsmannschaft. Die prägende Figur des Sudetendeutschen Sozial- und Bildungswerks war lange Zeit der vor wenigen Tagen verstorbene Wolfgang Egerter. Egerter, 1930 in der Tschechoslowakei geboren, war der Organisation seit ihrer Gründung 1952 eng verbunden und leitete sie von 1994 bis 2006 - eine Zeit, während der es ihm gelang, sie wirtschaftlich zu stabilisieren. Zuvor hatte er in der Hessischen Staatskanzlei Karriere gemacht und war dort bis zum Ministerialdirigenten aufgestiegen; 1990 wechselte er als Staatssekretär nach Erfurt (Thüringen). Der CDU-Politiker gehörte jahrzehntelang dem Witikobund an, einem Zusammenschluss von "Sudetendeutschen" mit engen Kontakten zu rechtslastigen Organisationen. 2002 war er an der Gründung der "Akademie Mitteleuropa" beteiligt, die seither eng mit dem Sudetendeutschen Sozial- und Bildungswerk kooperiert. Egerter trat als geschäftsführender Vorstand der "Akademie" auf.

Bundeszentrale

Erster Vorsitzender der "Akademie" ist bis heute ein prominenter Funktionär der "Vertriebenen"-Verbände. Günter Reichert leitet den nordrhein-westfälischen Landesverband der Sudetendeutschen Landsmannschaft und steht dem Stiftungsrat des Sudetendeutschen Sozial- und Bildungswerkes ebenso vor wie dem Kuratorium der Kulturstiftung der deutschen Vertriebenen (Bonn). Bekannt wurde er jedoch als langjähriger Präsident der Bundeszentrale für politische Bildung. Seine hochrangigen Kontakte erleichtern die Kooperation mit den staatlichen Förderern der "Bildungsarbeit" der "Akademie" im "Heiligenhof", zu denen unter anderem die Bayerische Staatskanzlei, das Bundesinnenministerium, der Bundeskulturbeauftragte und das Institut für Auslandsbeziehungen gehören - neben der Bundeszentrale für politische Bildung. Förderer sind zudem mehrere Organisationen der "Vertriebenen" ("Haus des Deutschen Ostens" in München, die Sudetendeutsche Stiftung) sowie die katholische Kirche (Renovabis).

NS-Roman

Die Bildungsstätte "Heiligenhof" wurde 1952 dem frisch gegründeten Sudetendeutschen Sozialwerk übergeben - mit Hilfe des damaligen bayerischen Staatssekretärs für das Flüchtlingswesen Theodor Oberländer, zuvor unter anderem am Überfall auf die Sowjetunion beteiligt und in Massenmorde in Lemberg verstrickt, später (1953 bis 1960) Bundesvertriebenenminister. Der "Heiligenhof", benannt nach einem zu NS-Zeiten beliebten Roman [12], diente zunächst der "Sudetendeutschen Jugend" als völkische Bildungsstätte. Experten zufolge gingen von ihm bereits in den 1950er Jahren "Impulse auf die Politik der jungen Bundesrepublik" aus.[13] Er sei "seit mehr als fünf Jahrzehnten dem selbst gewählten 'Kompaß' in (seiner) Arbeit treu geblieben", urteilt "Der Heiligenhof" heute über sich selbst.[14] Als ein Beispiel dafür, dass dies keinesfalls eine unbegründete Behauptung ist, kann der 1977 beim "Heiligenhof" gegründete "Arbeitskreis für Volksgruppen- und Minderheitenfragen" gelten. Dieser stellte sich von Anfang an ganz in die Tradition der europäischen Nationalitätenkongresse der 1920er und 1930er Jahre [15], deren Ziel bereits damals die Verbindung aller deutschsprachigen Minderheiten Ost- und Südosteuropas war. Dasselbe Strukturprinzip - stärkerer Einfluss für die deutschsprachigen Minderheiten als Stützpunkte Deutschlands in "Mitteleuropa" - bildet bis heute eines der Ziele des "Heiligenhof", das er dem Führungsnachwuchs aus den Ländern zwischen Deutschland und Russland nahebringt. In Verbindung mit weiteren Elementen wie der Ausrichtung der Russlandpolitik streng an deutschen Plänen ergibt sich ein Ordnungsmodell, das sich aus alten deutschen Traditionen speist und den heranwachsenden Eliten Ost- und Südosteuropas für die Zukunft vermittelt wird.

[1] Tagungseinladung für politisch interessierte junge Leute: "Rußland und Mitteleuropa"; Akademie Mitteleuropa/Heiligenhof 25.08.2008
[2] Die Akademie Mitteleuropa verstärkt ihre Arbeit in 2008; www.heiligenhof.de
[3] s. dazu Die Deutsche FrageIrritationenWeltmachtstreben und Kaukasische Rivalitäten
[4] Tagungseinladung für politisch interessierte junge Leute: "Rußland und Mitteleuropa"; Akademie Mitteleuropa/Heiligenhof 25.08.2008
[5] In einer älteren Version der Veranstaltungsankündigung dominieren weit schärfere antirussische Töne; so heißt es etwa: "Die westeuropäischen Mächte betreiben eine Appeasement-Politik." Unter dem Eindruck des Georgien-Konflikts, der die Berliner Russlandpolitik starkem amerikanischem Druck aussetzt, wurden die antirussischen Formulierungen abgeschwächt und um kooperativere Elemente ergänzt. Der fast beliebig anmutende Austausch der Formulierungen enthüllt ihren weniger inhaltlichen denn viel stärker taktischen Charakter und ihre Auswahl nach Erfordernissen der Berliner Machtpolitik.
[6] Stefan Meister: Russland und der Krieg gegen Georgien; DGAPstandpunkt Nr. 14, September 2008. S. dazu Kaukasische Rivalitäten
[7] s. dazu Moskaureise
[8] s. auch "Freiheit für Tschetschenien"Menschenrechtsexperten auf Reisen und Bis Wladiwostok
[9] Brill schrieb damals von einer deutsch-russischen Vorherrschaft "über Mittel- und Osteuropa". Heinz Brill: Geopolitik heute. Deutschlands Chance? Frankfurt am Main/Berlin 1994
[10] Einladung zu einem binationalen Studentenseminar; Akademie Mitteleuropa 13.05.2008
[11] s. dazu Umgang mit der Vergangenheit
[12] "Der Name (Heiligenhof, d. Red.) leitete sich vom gleichnamigen Roman (...) des schlesischen Dichters Hermann Stehr ab. Das 1918 erstmals veröffentlichte Werk, das vor und nach 1945 zu den am meisten gelesenen Büchern im deutschsprachigen Raum gehörte, entsprang einer mystisch-esoterischen Weltauffassung. Ihre Grundlage war ein Sonnen-Mysterium und ein 'völkisches' Bauernideal. Für die Nationalsozialisten galt Stehr als Wegbereiter ihrer Auffassung von Literatur. Als 'Künder von deutscher Seele' und 'völkischer Erdverbundenheit' wurde er ab 1933 für die Ziele des Regimes beansprucht. Der Heiligenhof war in den Worten der NS-Literaturkritik 'ein Roman für deutsche Menschen, die um ihr eigenes Seelentum und eine überkonfessionelle Frömmigkeit ringen', nach Aussage von Stehrs schlesischem Autorenkollegen Hans Christoph Kaergel, dem Vorsitzenden der schlesischen NS-Reichsschrifttumskammer, 1939 sogar 'das deutscheste Buch unserer Zeit'. Die Sudetendeutsche Jugend bzw. das Sudetendeutsche Sozialwerk vermieden es aus nahe liegenden Gründen, die Bezugnahme der Namenswahl auf den Roman Stehrs zu thematisieren. Der Bezug erschloss sich jedoch den Zeitgenossen zweifellos aus der Bekanntheit des Buches. Für die neue Begegnungs- und Bildungsstätte der Sudetendeutschen Jugend beinhaltete er eine programmatische Grunddisposition." Tobias Weger: "Volkstumskampf" ohne Ende? Sudetendeutsche Organisationen 1945-1955, Frankfurt am Main 2008
[13] Tobias Weger: "Volkstumskampf" ohne Ende? Sudetendeutsche Organisationen 1945-1955, Frankfurt am Main 2008
[14] Die Bildungs- und Begegnungsstätten des Sudetendeutschen Sozial- und Bildungswerkes, "Der Heiligenhof" und "Burg Hohenberg" im Jahr 2008; www.heiligenhof.de
[15] Jubiläum am Heiligenhof: Studium der Volksgruppen; Preußische Allgemeine Zeitung 11.01.2003

=== 4 ===
Moral Basis
 
2008/09/30
PRAGUE/BERLIN
 
(Own report) - Seventy years after German troops invaded Czechoslovakia, German media are using the Munich Dictate to demand that the West take a more aggressive approach to foreign policy. They allege that the "Agreement", that ceded important parts of Czechoslovakia to the German aggressor, concluded in the night of September 29 - 30, 1938 between Adolf Hitler, Benito Mussolini and the British and French heads of government, has become a popular "metaphor" for western accommodation to "totalitarian power". While the debate continues as to whether this "metaphor" applies to Russia's relations to Georgia, which would justify a German offensive against Russia, Berlin is still hanging onto aspects of the Munich Dictate. Even though this Dictate is today "null and void", its signing has had consequences that are still valid, is an opinion heard in the German capital. They also form the basis for the relocated Germans' claims on the Czech Republic. A consultant of the advisory board of the Federal College for Security Studies agrees: "Hitler's approach in 1938" was not devoid of "a moral basis".
Admonitory Example

The agreement on German annexation of Czechoslovak territory has become a popular "metaphor for the free world's anticipatory capitulation to the cynical viciousness of totalitarian power", according to various German media on the occasion of the 70th anniversary of the signing of the Munich Dictate.[1] The meeting in Munich in 1938 led directly to the Wehrmacht's invasion of the "Sudeten territories" and their incorporation into the German Reich. This crime has now been removed from its historical context and both the Dictate's illegitimate character as well as the British and French connivance with German expansionism are being ignored. It is instead flatly and arbitrarily applied to describe the attitude towards any "aggressor", who "is displaying an excessive disposition to create conflict."[2] The Munich event and its underlying British "Appeasement"-Policy are presented as an "admonitory historical example" on a par with a series of other processes.[3] Therefore actual or assumed aggressors can simply be equated with Nazi-Germany - an easy method used to legitimize foreign policy offensives against these "aggressors".
A New Munich

This is very useful to proponents of an aggressive western foreign policy: those propagating military aggression against Iran, while accusing those opposed of "appeasement", as well as to anti-Russian forces. One German political scientist, for example, alleges that Moscow's "synchronized political class" is a "declared enemy of democracy and the West." Whereas numerous German politicians are shying from open conflict with Russia, thereby engaging in a sort of "preventive Munich 1938" [4], it is "unity that is needed - against Russia", admonishes Professor Claus Leggewie in Giessen. He uses arguments advanced by transatlantic oriented circles since the beginning of the Georgian crises. And already last August, the Georgian President Mikheil Saakashvili declared that the Kremlin "considered" the NATO summit in Bucharest "to be a new Munich" because it refused Georgia membership candidate status.[5] Similar assertions can be heard from among Russia's pro-western opposition.[6]
Not Acceptable

The reduction of the Munich Dictate to a metaphor that can arbitrarily be applied is obscuring the fact that this illegitimate agreement is still having an effect in Germany. In 1966 the West German government declared that with the final crushing of Czechoslovakia in March 1939, "Hitler tore up the 'Agreement' and it no longer had any territorial significance."[7] Signed without Czechoslovak government participation, thereby being illegal ("treaty at the expense of a third party"), Berlin is still today refusing to classify that document "null and void ex tunc" (from the outset). The West German government has been assiduously maintaining this legal standpoint. This standpoint was the basis for not respecting the Czechoslovak desire to confirm the recognition of the continuity of the common borders since the founding of Czechoslovakia in 1918 in the 1992 German-Czechoslovakian Treaty on Good Neighborliness and Friendly Cooperation. A Foreign Ministry memo explained that "since such a formulation would have implied recognition of the invalidity from the outset of the Munich Agreements (...), it was rejected as unacceptable by the German government."[8]
For Good Reasons

At the beginning of 2002, a German parliamentarian declared that this decision was made "for good reasons," otherwise the "legal consequences for individuals (...) would be incalculable."[9] Those individuals that the German government does not want to have confronted with the declaration of the Munich dictate being null and void "from the outset," are the German-speaking citizens of Czechoslovakia, who had not fled the invasion of the German Wehrmacht in the fall of 1938. On the contrary, they had enthusiastically welcomed it - and later accepted German citizenship from the Nazi authorities on the basis of the Munich Dictate. If this dictate was "null and void ex tunc," the bestowal of German citizenship to these "Sudeten Germans" would have been illegal, meaning that they, in fact, had remained citizens of Czechoslovakia and that in 1945 Prague was within its rights to dispossess them without reparations. But had the Munich Dictate been declared "null and void" at a later date, this would mean that the Czechoslovak government had dispossessed foreigners, citizens of the German Reich, wh

(Message over 64 KB, truncated)

(srpskohrvatski / english / deutsch.
Dopo la notizia della recente pubblicazione del testo di Germinal Civikov - https://www.cnj.it/documentazione/srebrenica.htm#civikov - ci è arrivata questa segnalazione di un nuovo libro di contro-informazione sui fatti di Srebrenica, appena uscito in lingua tedesca, dello svizzero Alex Dorin. Il titolo: "Srebrenica. Storia di un razzismo da salotto". Sulla stessa questione si vedano anche i testi e le pubblicazioni indicate alla nostra pagina: https://www.cnj.it/documentazione/srebrenica.htm )


Alexander Dorin
Srebrenica. Die Geschichte eines salonfähigen Rassismus
300 Seiten, Hardcover mit Schutzumschlag, 2009
Zeit- und Militärgeschichte Band 45, 24.80 €


BEOGRAD, 5. MAJA /SRNA/ - Na Zapadu je i dalje prisutna manipulacija da je u Srebrenici 1995. godine ubijeno sedam do osam hiljada muslimana muškaraca, ali nezavisna istraživanja pokazuju da je najmanje 2 000 muslimanskih vojnika poginulo u borbama oko Srebrenice i da je otprilike to broj leševa koji su haški istražitelji mogli da pronađu - tvrdi Švajcarac Aleksander Dorin, koji se već 14 godina bavi istraživanjem događaja u Srebrenici u maju 1995. godine.

Dorin se u svojoj najnovijoj knjizi, pod naslovom "Srebrenica - istorija jednog salonskog rasizma" /Srebrenica - die Geschichte eines salonfahigen Rassismus /, koju će na njemačkom jeziku objaviti u maju, u Berlinu, izdavačka kuća "Kai Homilius", bavi, kako navodi, "manipulacijom brojem poginulih muslimana u Srebrenici". 

"U vezi sa događajem u Srebrenici 1995. godine i dalje vlada medijska manipulacija na Zapadu da je poslije pada tog gradića u srpske ruke ubijeno između sedam i osam hiljada muslimanskih vojnika i civila muškaraca, ali istraživanja ljudi širom svijeta pokazuju da to nema nikakve veze sa istinom", kaže Dorin za Srnu. 

On navodi da je, prema podacima do kojih je došao, najmanje 2 000 muslimanskih vojnika poginulo u toku borbi oko Srebrenice, te dodaje da činjenice pokazuju da ni civilni ni vojni vrh Republike Srpske /RS/ nikada nije naredio strijeljanje muslimanskih vojnika i zarobljenika. 

"To je otprilike broj leševa koji su haški istražitelji do danas mogli da pronađu. Međutim, muslimanska strana je uz tu cifru dodala i nekoliko stotina muslimanskih boraca, od kojih je većina iz stranih zemalja, koji su nekoliko godina prije pada Srebrenice poginuli u Han Pijesku i u Konjević Polju", tvrdi Dorin. 

On navodi da to dokazuju čak i muslimanski dokumenti koje je srpska armija mogla da nađe. 

"Vojska Nasera Orića se prije pada Srebrenice povukla iz ovog gradića i ostavila za sobom oko 25 000 civila, ali zajedno sa Orićevim borcima povlačio se i jedan broj civila, od kojih su neki imali oružje", kaže Dorin.

Srpska vojska, kako navodi, "nije ubila nijednog muslimanskog civila koji su ostali u Srebrenici ili Potočarima, dok su sa Orićevom kolonom, koja se u nekoliko grupa probijala ka Tuzli, vođene žestoke borbe.

"Nema ni govora o tome da je srpska vojska mogla da uhapsi sedam ili osam hiljada muslimanskih vojnika i muškaraca civila i da ih negdje strijelja, jer to tehnički nije bilo izvodljivo“, smatra Dorin, navodeći da za izvođene takvog zločina nije nikada bilo dovoljno srpskih boraca na raspolaganju. 

Dorin je za svoje tvrdnje koristio razne izvore, kao što su izjave muslimanskih vojnika i komandira, ali i izjave holandskih pripadnika UNPROFOR-a, koji su bili tada u Srebrenici. 

On navodi da je vrlo interesantnu istragu proveo bugarski novinar Germinal Civikov, koji je napisao cijelu knjigu o slučaju Hrvata Dražena Erdemovića, bivšeg pripadnika Vojske RS, koji tvrdi da mu je njegov komandir Milorad Pelemiš naredio da on i nekoliko drugih vojnika strijeljaju između 1000 i 1 200 muslimanskih zarobljenika.

Ali, analiza tog slučaja, navodi Dorin, dokazuje da je Erdemović najveći dio svoje priče izmislio, a možda čak i cijelu priču.

Dorin napominje da je direktor beogradskog Centra za istraživanje ratnih zločina nad Srbima Milivoje Ivanišević analizirao spiskove srebreničkih žrtava, te da je došao do saznanja da se na biračkim spiskovima godinu do dvije nakon pada Srebrenice pojavilo oko 3 000 imena muslimanskih muškaraca koji su, navodno, ubijeni 1995. godine. 

On dodaje da, osim toga, postoje i mnoge navodne žrtve 1995. godine koje su već dugo prije ili poslije pada Srebrenice umrle, a kojih, prema njegovim podacima, ima najmanje oko hiljadu. 

"Sasvim je jasno da su muslimanske organizacije na spisak žrtava stavile i sve one muslimanske borce koji su poginuli u borbama poslije pada Srebrenice" - tvrdi švajcarski istraživač. 

Prema njegovim riječima, pojedini zapadni novinari su još 1995. godine pisali da je jedan dio stanovnika Srebrenice, poslije njenog pada, otišao u neke druge zemlje, pa je tako jedan američki reporter pisao da je oko 800 njih preko Srbije otišlo u inostranstvo. 

"Ali veće istrage nije moguće voditi zato što niko ne može širom svijeta da traga za svim imenima. No, činjenice pokazuju već sada da su vršene ogromne manipulacije" , kaže Dorin. 

Navodeći da posjeduje veliki broj fotografija muslimanskih boraca, sačinjenih prilikom proboja iz Srebrenice ka Tuzli, koje je dobio od muslimanskih izvora, Dorin navodi da se na tim fotografijama vide muslimanski borci u uniformama, među kojima je dosta ranjenih. 

"Na tim fotografijama može da se vidi dosta povrijeđenih boraca, koji su preživjeli borbe protiv srpske vojske. Muslimanska strana svoje borce koji nisu preživjeli ranjavanja sada prezentuje kao žrtve strijeljanja" , kaže Dorin. 

Prema izvorima ovog istraživača, nekoliko muslimana priznalo je da je u toku borbi poginulo najmanje 2 000 vojnika. 

Dorin podsjeća i na izjave muslimanskih političara u medijima da je Aliji Izetbegoviću tadašnji američki predsjednik Bil Klinton još aprila 1993. godine nudio "masakr u Srebrenici", odnosno da "četničke snage uđu u Srebrenicu i izvrše pokolj pet hiljada muslimana i da će tada biti organizovana vojna intervencija" . 

On navodi da su holandski pripadnici UNPROFOR-a izjavljivali i svjedočili da je srpska armija sasvim korektno postupala prema muslimanskim civilima, ali i da je vođa muslimana u Srebrenici Naser Orić sa svojim borcima u okolini Srebrenice godinama na najgrozniji nacin ubijao srpske civile i uništavao njihovu imovinu. 

Dorin ne vjeruje da dokazi o tome šta se zaista desilo u Srebrenici, i o tome da nije riječ o masakru, mogu da ospore haške presude za Srebrenicu, navodeći da je taj "takozvani tribunal do sada bez ikakvih dokaza osudio razne ljude zbog navodnog masakra u Srebrenici".

On kaže da je Srbin Vidoje Blagojević osuđen na dugogodišnju zatvorsku kaznu iako nema nikakve veze sa događajima u Srebrenici, dok je "masovni ubica Naser Orić oslobođen odgovornosti za ubistva Srba". 

"Taj sud redovno odbacuje sve ono što dokazuje da Srbi nisu monstrumi - kako ih predstavljaju. Taj tribunal ima jednu čistu političku funkciju. Sa pravdom i istinom to sve nema nikakve veze"“, ocjenjuje Dorin u intervjuu Srni. 

Dorin ne očekuje da će svojom knjigom o Srebrenici moći da razbije stereotipe, navodeći da je knjiga pisana za one ljude koji žele da saznaju istinu o tome šta su zapadni mediji "prodali" kao "masakr u Srebrenici" da bi pravdali rat protiv Srba.

On dodaje da su zapadni, uglavnom lijevo orijentisani listovi i organizacije, pokazali interes za njegovu knjigu o Srebrenici i da nude saradnju. 

Dorin zaključuje da je planirano da njegova najnovija knjiga o Srebrenici bude prevedena i na srpski i na engleski jezik. 


---



Srebrenica 
von Dorin Alexander
Die Geschichte eines salonfähigen Rassismus
300 Seiten, Hardcover mit Schutzumschlag, 2009
Zeit- und Militärgeschichte Band 45, 24.80 €


Als der ehemalige deutsche Außenminister, Joseph ("Joschka") Fischer den Begriff von der "Rampe von Srebrenica" prägte, ward ein Phantom in die Welt gesetzt worden, das bis heute durch die Medien geistert. Mal abgesehen davon, dass die beabsichtigte Gleichstellung der Ereignisse in Srebrenica in den 90er Jahren des letzten Jahrhunderts mit denen der Menschenvernichtung unter den Nazis rd. 50 Jahre zuvor einer Leugnung des Holocaust gleichkommt, was in Deutschland unter Strafe gestellt ist, so verlangen gerade die Ereignisse von Srebrenica endlich einer wirklichen Aufhellung, da nicht zuletzt damit Politik gemacht wurde, Menschen in den westeuropäischen Staaten und den USA systematisch auf den Krieg gegen Serbien/Jugoslawien eingestimmt wurden.

Hat Jürgen Elsässer mit seinem Buch Kriegslügen ein Standardwerk zu jenem Krieg vorgelegt, geht hier der Autor, Alexander Dorin, tiefer und beschäftigt sich intensiv mit Srebrenica, recherchierte jahrelang vor Ort, er spricht serbo-kroatisch fließend, wuchs zweisprachig auf, und legt jetzt sein Gesamtwerk zum Thema nach mehr als 15 Jahren vor.

Es ist weltweit das erste Buch zu Srebrenica.


---

http://de-construct .net/e-zine/ ?p=6082

Alexander Dorin: “Srebrenica Massacre” is a Western Myth

May 23rd, 2009 | By De-Construct. net


Srebrenica — The History of Salon Racism

“In the West, the popular mythology about 7,000-8,000 Muslim men being executed in Srebrenica in 1995 is still alive and well, but independent research shows some 2,000 Bosnian Muslim fighters were killed in battle for Srebrenica and that is the number of bodies Hague investigators were able to find”, said Swiss researcher Alexander Dorin, who has been investigating Srebrenica events for the past 14 years.

In his latest book titled “Srebrenica — The History of Salon Racism” (Srebrenica — die Geschichte eines salonfahigen Rassismus) published this month in Berlin, Dorin focuses on manipulations with the number of Muslims who lost their lives in Srebrenica.

“Regarding the events in Srebrenica in 1995, the media manipulations still reign in the West, claiming that after the town fell to Serbian hands some 7,000 to 8,000 of Muslim fighters and male civilians were killed. However, the researchers around the world have shown this bears no relation to the truth,” Dorin told Srna News Agency.

According to data he had gathered, Dorin discovered that at least 2,000 Muslim fighters were killed in battle for Srebrenica. He added the facts are showing that neither civilian nor military leadership of Republic of Srpska (Serb Republic in Bosnia-Herzegovina) ever ordered execution of the Muslim fighters and POWs.

“2,000 is approximately the number of bodies Hague investigators were able to find up to this day. To that number the Muslim side added several hundred Muslim fighters, most of whom came from abroad, who were killed in battle few years before the fall of Srebrenica, in Han Pijesak and Konjević Polje,” Dorin said, adding that this is evidenced even by the Muslim documents captured by the Bosnian Serb Army.

Bosnian Serb Army Fought Against Orić’s Cutthroats, Not Against Muslim Civilians

“Prior to the fall of Srebrenica, Naser Orić’s troops withdrew from this small town, leaving 25,000 civilians behind, although a certain number of civilians, some of whom were armed, was withdrawing together with Orić’s fighters,” Dorin said.

He said that Bosnian Serb Army “did not kill a single Muslim civilian of those who remained in Srebrenica or Potocari, while it did engage Orić’s column, which was breaking through to Tuzla in several groups, in fierce fighting.”

“There is no way the Serb Army could have captured seven or eight thousand Muslim fighters and male civilians and execute them somewhere, partly because that was technically impossible,” Dorin said. He explained that, among else, there was never enough Serb soldiers who could carry out a crime on such scale.

In his research, Dorin was using various sources, including statements by the Muslim fighters and commanders, as well as testimonies given by Dutch UNPROFOR troops who were stationed in Srebrenica at the time.

He pointed to a very interesting investigation carried out by the Bulgarian reporter and author Germinal Civikov, who wrote a book about the case of Croat Dražen Erdemović, former member of the Bosnian Serb Army, whose testimony represents the key Hague “evidence” of “Srebrenica massacre”, who claimed that his commander Milorad Pelemiš “ordered him and few other soldiers to execute some 1,000-1,200 Muslim POWs”.

But the analysis of that case, said Dorin, proves Erdemović invented most, if not all of that story.

Dorin explained that director of the Belgrade Center for Investigation of War Crimes Milivoje Ivanišević analyzed the lists of alleged Srebrenica victims. Ivanišević discovered that, a year after the fall of Srebrenica, some 3,000 Muslim men who were supposedly killed in 1995, were voting in the Bosnian Muslim elections.

In addition, at least 1,000 of the alleged 1995 “Srebrenica massacre victims” have been dead long before or after Bosnian Serb Army took the town over.

“It is perfectly clear that Muslim organizations listed as Srebrenica victims all the Muslim fighters who were killed in the fights after the fall of Srebrenica,” the Swiss researcher said.

According to Dorin, some Western reporters wrote back in 1995 that part of Srebrenica Muslim population, after the town’s takeover, migrated to other countries. This includes an American journalist who wrote that around 800 Srebrenica Muslims went abroad — from Serbia.

“It was not possible to conduct an in-depth investigation, since no one can search the entire world to pinpoint each and every name [from the lists of alleged Srebrenica victims]. Still, the available evidence already shows there were immense manipulations at play,” Dorin said.

A number of photos of Muslim fighters taken during their breakthrough to Tuzla, which Dorin obtained from the Muslim sources, show Izetbegović’s fighters in uniforms, with many of them wounded.

“On these photos one can see a number of wounded fighters who survived the battle against the Serb Army. Muslim side is now presenting its fighters who did not recover from their wounds as the victims of an execution”, said Dorin.

He pointed out that some Muslims have admitted at least 2,000 of their Srebrenica-based fighters were killed in the battle.

Dorin also reminded of the statements by the Muslim politicians given to media about an “offer” American president Bill Clinton made to Bosnian Muslim war leader Alija Izetbegović back in April 1993, to have “the Chetnik [Serb] forces enter Srebrenica and massacre 5,000 Muslims, which would result in the [US-led NATO] military intervention” against Bosnian Serbs.

At the same time, Dutch UNPROFOR troops testified that Serb Army treated Muslim civilians in an entirely correct manner, while Srebrenica Muslim warlord Naser Orić with his fighters was massacring Serb civilians in the most monstrous fashion for years in Srebrenica municipality, and pillaging and destroying their property all the while.

… For Those who Want to Know the Truth About Srebrenica

Despite all the evidence about what really took place in Srebrenica and the fact there was no ‘massacre’, Dorin doubts the Hague verdicts in regards to Srebrenica events can be contested or overturned, being that this “so-called tribunal has convicted a number of people for the alleged Srebrenica massacre without any evidence whatsoever”.

He cited a case of the Serb Vidoje Blagojević, convicted to a long prison term even though he had no connection to Srebrenica events, while “the mass murderer Naser Orić was acquitted of all responsibility for killing the Serbs”.

“That court routinely discards everything that proves Serbs are not the monsters they have been made out to be. That tribunal has a purely political function. It has no relation to the justice and truth”, Dorin told Srna.

The Swiss researcher does not expect his book about Srebrenica events will be able to break down the stereotypes. He said the book was written for those who wish to learn the truth about the events Western mainstream media sold as “Srebrenica massacre” and even “genocide”, in order to justify their war against the Serbs.

Dorin added that mostly left-oriented Western newspapers and organizations have shown an interest in his latest book and have offered cooperation.

Alexander Dorin’s book about Srebrenica events is expected to be translated both into Serbian and English language.


riceviamo e diffondiamo:
---


Contro la mistificazione della storia
contro l'equiparazione dei resistenti con i torturatori

NOI RICORDIAMO
- le popolazioni africane sterminate dall'esercito coloniale italiano
- i campi di concentramento italiani in cui morirono deportati ed
oppositori
- l'aggressione alla Jugoslavia e la snazionalizzazione delle sue terre
- i partigiani che hanno dato la loro vita per un nuovo modello sociale

VENERDI 5 GIUGNO ORE 18.00

ex Casale Falchetti, viale della Primavera 319/b

dibattito sul revisionismo storico con
DAVIDE CONTI (dottore di ricerca Università "La Sapienza" di Roma)
ALESSANDRA KERSEVAN (ricercatrice storica ed editrice della KappaVu)

organizzano:
Laboratorio Sociale Autogestito 100celle
Associazione culturale "Il Geranio"

per info 06-2312458 339-2715451

A seguire ricordiamo i nove mesi dell'occupazione nazifascista e la
lotta dei partigiani per la Liberazione di Roma con lo

spettacolo teatrale di e con Emiliano Valente

"LA BANDA DEL GOBBO"

Lo spettacolo è a sottoscrizione - sono attivi bar e ristoro


---
scarica la locandina: https://www.cnj.it/INIZIATIVE/roma050609.pdf



Nell'ambito del

FESTIVAL SOCIALE DELLE CULTURE ANTIFASCISTE

che si terrà a Bologna, nel parco delle Caserme Rosse, dal 29 maggio al 2 giugno 2009

(vedi l'intero programma:

tra le tantissime iniziative in programma segnaliamo in particolare:

---

Tavolo su Revisionismo, revisionismi, memoria storica

30/05/2009 19:30

Tavolo di discussione con la partecipazione di

Sandi Volk (Università di Trieste) 
Storico e saggista, si occupa di storia contemporanea della Venezia Giulia, in particolare di Trieste e della storia degli sloveni della regione. Interviene su "Foibe e revisionismo di Stato"

Mauro Raspanti (Centro di Documentazione Furio Jesi - Bologna)
Interviene sulle varie correnti e filoni dell'editoria negazionista italiana

Rudy Leonelli (Università di Bologna) 
Interviene sul capostipite dei negazionisti "di sinistra", l'ex deportato Paul Rassinier

Pietro Stara
autore de "La comunità escludente"

Marco Rossi
autore de "I fantasmi di Weimar"

Massimo Storchi
autore de "Il sangue dei vincitori". Saggio sui crimini fascisti e i processi del dopoguerra (1945-46)

Fabrizio Billi (Archivio storico della Nuova sinistra Marco Pezzi - Bologna)




Riceviamo e diffondiamo:
---


INTERPELLANZA APERTA


Al Ministro degli Esteri
Franco Frattini


Premesso che in data 23 maggio 2009 una nutrita delegazione dell’Unione degli Istriani si è recata nella Repubblica di Slovenia nel villaggio di Lokev (Corgnale), asseritamene per rendere omaggio “agli infoibati italiani e stranieri” nei pressi della grotta Golobivnica, non riuscendo ad arrivare fino all’imbocco della grotta stessa, che si trova su un terreno privato;
Rilevato che la delegazione dell’Unione degli Istriani era accompagnata da alcuni rappresentanti istituzionali locali, ma soprattutto dal Sottosegretario del ministero dell’Ambiente Roberto Menia e dal Console italiano a Capodistria, Carlo Gambacurta;
Atteso che, senza voler entrare nel merito dell’iniziativa specifica, giova sottolineare che l’Unione degli Istriani contesta pubblicamente il Trattao di Pace di Parigi e rivendica apertamente la necessità di rimettere in discussione i confini all’interno dell’Unione europea essendo di fatto fortemente contraria all’attuale assetto comunitario;
Preso atto, con personale rammarico, che la città di Trieste a fine giugno ospiterà il prossimo G8 Esteri;

Il sottoscritto consigliere regionale Interpella
pubblicamente il signor ministro per sapere

1. Se fosse al corrente della presenza di un esponente del Governo Italiano e di un funzionario del Ministero degli Esteri all’iniziativa descritta in premessa.
2. Se ritiene che ad esponenti del Governo Italiano e funzionari nominati dal Ministero degli Esteri che ricoprono incarichi di rappresentanza effettiva dello Stato Italiano all’estero sia consentito partecipare a manifestazioni pubbliche a titolo personale o privato.
3. Se ritiene opportuno che rappresentanti del Governo Italiano o funzionari del Ministero degli Esteri partecipino - a titolo personale o privato - ad iniziative settarie, promosse da soggetti che perseguono  e praticano attivamente il conseguimento di obiettivi contrari allo spirito comunitario, a decisioni sancite da trattati internazionali ed alle politiche dell’Unione Europea in materia di intangibilità dei confini nazionali così come sanciti dal Trattato di Pace.

Trieste, 25 maggio 2009
Igor Kocijancic
Consigliere regionale del FVG




riceviamo e giriamo:
---

INVITO

Alla scoperta della Serbia e dei suoi tesori 

La Serbia è un piccolo scrigno di arte e cultura poco conosciuto e pochissimo visitato. Il suo patrimonio artistico - in particolare l'architettura religiosa - la sua musica e le sue danze sono una scoperta anche per il più smaliziato dei viaggiatori. 
Chi volesse averne un assaggio, è invitato ad una serata presso 

INCONCA, Via Conca del Naviglio, 5 a Milano (angolo via De' Amicis) 

Giovedì 28 Maggio alle 21, 

durante la quale sarà possibile ascoltare musica dal vivo, conoscere, guidati da una studiosa del patrimonio musicale dei Balcani, alcune tra le più belle tradizioni folkloristiche della regione e osservare materiale fotografico sugli splendidi Monasteri Serbi - culla dell'arte iconografica ortodossa. 

Roberto Sabatini - GATTACCA viaggi
In collaborazione con INCONCA - lo specialista di abbigliamento per 
velisti - e TURISTIPERCASO

alla fisarmonica il Maestro JJ Balval




Germinal Civikov (Autor)

Srebrenica. Der Kronzeuge 

ProMedia Verlag, 2009 

EUR 15,90

• Broschiert: 176 Seiten
• Verlag: Promedia, Wien; Auflage: 1., Aufl. (12. März 2009)
• Sprache: Deutsch
• ISBN-10: 3853712924
• ISBN-13: 978-3853712924
• Größe und/oder Gewicht: 19,8 x 12 x 1,4 cm

---


The Crown Witness at The Hague


From the desk of John Laughland on Sat, 2009-05-02 08:27

In 1993, a year after the war in Bosnia broke out, the Republic of Bosnia-Herzegovina lodged an appeal with the International Court of Justice against the Federal Republic of Yugoslavia, alleging that the country was committing genocide against it. The wheels of international justice turn slowly, especially at the ICJ (an arbitration court with no coercive power and little competence in international criminal law) and the ruling was not handed down until February 2007. It found against Bosnia and in favour of Serbia on almost every single count, especially on the central charge that Yugoslavia had somehow controlled the Bosnian Serbs.
 
The ICJ ruling also systematically dismissed the Bosnian Muslims’ claims that Bosnian Serb forces were trying to wipe them out as a nation. The Bosnians adduced a massive amount of material from the grisly to the ridiculous. Some of this material has since been found to be untrue, such as a the famous claim that a Bosnian Serb camp guard forced one Muslim inmate to bite off another inmate’s testicles; other claims were always absurd, such as that genocide was demonstrated when Bosnian Serb soldiers caused “mental harm” to Muslims by forcing them to make the sign of the cross.
 
But even where the Court found that abuses had occurred, it did not classify them as genocide – with one famous exception. Along the hundreds of pages of claims about genocide allegedly perpetrated over many years by the Bosnian Muslims in 1993 (they submitted new claims in 1996) only the massacre at Srebrenica in July 1995 is left standing. It and it alone has been classified as genocide by the International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia, and consequently by the ICJ too (which simply follows the ICTY’s rulings).
 
But what is the evidence for the finding that genocide was committed at Srebrenica? I am not asking this question in the useful sense in which it has been asked (and answered) by investigators such as Jonathan Rooper. I am asking what evidence was submitted in court at the ICTY in support of this uniquely successful claim.
 
Germinal Civikov is a native of Bulgaria who lives in The Hague and Cologne. His book, “Srebrenica: Der Kronzeuge” (Wien: Promedia, 2009) is written in a limpid and often humorous style. Its findings are devastating. Civikov explains that the ICTY ruling that genocide was committed at Srebrenica on the orders of the Bosnian Serb leadership is based on the testimony of a single witness, a self-confessed perpetrator of one of the massacres called Drazen Erdemovic. Civikov’s discussion of the “crown witness” and his evidence reads like a detective thriller: in fact, it should be made into a film.
 
Erdemovic originally surfaced in 1996 after he had been arrested in Yugoslavia for war crimes. He contacted the Prosecutor in The Hague because he believed that he would be given immunity from prosecution in return for evidence. Transferred to The Hague, he was himself charged with crimes against humanity, to which he pleaded guilty having admitted taking part in a massacre of 1,200 Muslim civilians of which personally killed about 100. For this act of mass murder, Erdemovic was given a 10 year prison sentence by the ICTY, reduced to 5 years on appeal because he had cooperated so well with the Prosecutor. But there was never any trial because he pleaded guilty and so he was never cross-examined. He was released from prison shortly after his conviction, since he was considered to have served most of his sentence already, and he now lives with a protected identity in a North West European country. This mass murderer could well be your neighbour.
 
Civikov’s interest in the case was aroused when he started to reflect on the veracity of Erdemovic’s testimony. The prisoners, he claimed, were shot in groups of 10. They were bussed in, taken off the busses, marched to the execution spot in a field several hundred metres away, frisked for their possessions, and shot. Arguments broke out between the executioners and the victims; the executioners drank and quarrelled; there were some moving scenes such as when Erdemovic tried to save an old man but eventually had to kill him like the others. Quite simply, Civikov reasoned, it is not possible to kill 1,200 people this way in 5 hours unless one assumes that each group of 10 men was killed in 2.5 minutes. Even if it had taken only 10 minutes to kill each group, itself an achievement, it would instead have taken some 20 hours to kill so many people. If you do the maths you will see that he is right.
 
Throughout the thirteen years since Erdemovic has been telling his story in four different trials, not one of the ICTY judges ever did this simple calculation or questioned the veracity of his account. Instead, Erdemovic was summoned back again and again from his new life to tell his story. On several occasions, he named his seven co-perpetrators. At one of the earlier hearings, a judge asked the Prosecutor whether these other men were going to be apprehended and he was told that they would be. But not only has the Office of the Prosecutor never tried to arrest or even question these men, one of them (the unit commander) lives in Belgrade and had given interviews to the Serbian press while another was arrested on a different matter in the United States without any extradition request ever being made against him by The Hague. It is as if the Prosecution is determined to prevent anyone else from giving his account of events.
 
Apart from the admission about the massacre, the key point about Erdemovic’s testimony is that he alleges that his unit acted on orders from the Bosnian Serb leadership. Yet as Civikov shows with excruciating attention to detail, Erdemovic’s own statements about the command structure in his little platoon are self-contradictory and untrue. He claims that he was forced to commit this massacre and that the orders came from one of his co-perpetrators, Brano Gojkovic. But as Civikov shows, and as even the Prosecution at one point had to admit, this Gojkovic was an ordinary soldier who could not give orders to anyone. Instead, as Civikov also demonstrates, it turns out that Erdemovic himself was a sergeant (he lied to the contrary in Court, claiming that he had been stripped of his rank) while another of the perpetrators was a lieutenant. It is obviously impossible for a private to give orders to two officers and other soldiers to commit war crimes. But if this evidence is faulty, then how valuable is Erdemovic’s claim that Gojkovic’s orders came from the Bosnian Serb HQ in Pale?
 
Erdemovic has presented himself, including in the media, as a pathetic victim of the Bosnian war. He did what he did because he had to. A sort of novel has even been written about him, as have newspaper articles, in which he is elevated to the status of a holy fool. Civikov wades through years of evidence, spanning a decade, to show that in fact Erdemovic is a pathological liar, as well as a callous murderer. He was not a conscripted soldier who was forced to fight, but instead a mercenary who fought on all three sides in the Bosnian civil war. He was not forced, on pain of death, to commit the massacre, as he claimed in court. On the contrary, Civikov shows that his unit wason leave when the massacre was committed. He was not the victim of a later murder attempt to prevent him from testifying, as he also said in court, but instead a criminal and a thug who quarrelled over money with his fellow murderers and who, by his own admission, is prone to blind fits of violence and anger. During his time in the other Bosnian armies (Croat and Muslim) he had evidently been an unscrupulous war profiteer who extracted money from people in return for their safe passage.
 
Civikov has convinced me that the following is what really happened. Erdemovic belonged to a mercenary unit which was on leave after the fall of Srebrenica. On 15 July 1995, someone evidently offered him and some other mercenaries on leave a lot of money (gold, in fact) to commit a war crime, in this case a massacre of prisoners. In other words, the Bosnian Serb authorities had nothing to do with it – and hence the ludicrous story about the private giving orders. (Perhaps he was the one with the cash.) The mercenaries then hijacked busses of prisoners which were on their way to be exchanged by the Bosnian Serb authorities – to the horror of the unsuspecting bus drivers, and of course of the prisoners themselves – and murdered them. A few days later, there was a fight in a bar over the money and the former comrades starting shooting at each other: Erdemovic was hit in the stomach and later sentimentalised the scar in Court by lifting up his shirt to claim that they had tried to kill him to prevent him from testifying. Escaping from this situation by fleeing into Yugoslavia, he was unexpectedly arrested by the Yugoslav authorities from whom he managed to escape by securing his transfer to The Hague, where his self-interest in receiving a light sentence, coupled with his ability to spin yarns, made him a perfect Prosecution witness. The Prosecution won out on the deal because it gained “proof” of both genocide and command responsibility – which enabled it to go after the “big fish” like Karadzic and Mladic in headline prosecutions – while Erdemovic won out too because he has not only been let off for mass murder, but has also been given a new life, a house and presumably some sort of income.  This, I repeat, is the witness on whose evidence alone the finding of genocide at the ICTY is based.
 
Outstanding questions remain. Who offered the mercenaries money and why? Civikov’s book is scrupulously rooted in documentary evidence and there is no documentary evidence to support a clear answer to this question. However, there are speculations and Civikov discusses them. As Milosevic said during his own gripping cross-examination of Erdemovic – gripping because, whenever he started to get close to the truth, Judge Richard May intervened to prevent him from pursuing his line of questioning – there were reports in Serbia of a rogue French secret service unit operating on the territory of the former Yugoslavia and later involved in a plot to overthrow him, known as “Operation Spider”. There had also been reports that these people had been present at Srebrenica. The West, it is implied, “needed” a big atrocity at Srebrenica, and it was indeed immediately following the fall of that town - and thanks largely to pressure exerted by the French president, Jacques Chirac, who took the lead on the matter – that NATO intervened and bought an end to the Bosnian war. As it bombed Bosnian Serb targets, the Americans helped Croatia to launch “Operation Storm” in which over a quarter of a million Serbs were driven out of the Krajina. Defeated and marginalised as war criminals, the Bosnian Serb leaders were barred from attending the peace conference at Dayton, where a deal was imposed by the Americans.
 
Funnily enough, evidence seems to have just emerged that the Croatian authorities manufactured a pretext for Operation Storm. Is it true? Did the same thing happen with Srebrenica? One thing is sure: manufacturing pretexts for military action is the oldest trick in the book. Please read Civikov’s book if you can read German: it is brilliant.
 
John Laughland is Director of Studies at the Institute of Democracy and Cooperation in Paris
.