Informazione


(Opération Balkans : privatisation de la propagande et des armées: 


« Operazione Balcani» : privatizzazione della propaganda e degli eserciti 

di Jörg Becker, Mira Beham

(Traduzione dal francese di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)

La nostra griglia di lettura dei conflitti contemporanei deve essere attualizzata con l’integrazione di numerosi attori non- statuali. Lo studio retrospettivo delle guerre nella Jugoslavia, ad opera di Jörg Becker e Mira Beham per la Deutschen Stiftung Friedensforschung (Fondazione Tedesca per le Ricerche sulla Pace), rende manifesta la privatizzazione della guerra : la propaganda di Stato lascia il posto alle «pubbliche relazioni» affidate a gabinetti di studi specializzati, e nel contempo le stesse operazioni militari sono subappaltate a società di mercenari.   

12 settembre 2007

Dopo la guerra del Kosovo del 1999, che ha fatto prendere coscienza ad una larghissima parte dell’opinione pubblica sul ruolo dei mezzi di informazione nel corso di una guerra e, in ordine generale, sul ruolo della comunicazione in periodi di crisi, è apparsa una quantità massiccia di letteratura, in aumento considerevole e in continuo sviluppo, che tratta dei media e della guerra. Sembra che nelle scienze della comunicazione la legge non scritta, secondo la quale ogni guerra porta con sé una crisi dei media, durante la qual crisi i produttori delle informazioni sono portati ad interrogarsi sul loro modo di comunicare in merito alla guerra, per poi passare subitamente alle contingenze del momento, traendo pochi insegnamenti, anzi nessuno, dalla guerra in corso per la guerra che verrà, abbia cessato di essere valida.     

L’interesse visibilmente crescente, e più o meno duraturo, diretto verso il modo con cui i media trattano attualmente delle guerre nasce verosimilmente soprattutto da due ragioni. In primo luogo, l’11 settembre 2001 e i suoi effetti ci hanno fatto piombare praticamente in uno stato di guerra permanente, cosa che ci induce ad una necessaria riflessione sui contenuti e sulle forme della comunicazione riguardanti la guerra. Secondariamente, la quantità e la qualità della comunicazione relativa alla guerra e alle crisi si modificano ad una velocità sorprendente.                                               

Per quel che concerne la ricerca sulla pace, si manifesta ugualmente su questo soggetto una sensibilità in espansione. Nondimeno, è sorprendente che, in generale, - e non solamente nella ricerca sulla pace – due aspetti importanti di questo problema non giochino che un ruolo minore. Si tratta di una parte delle guerre degli anni Novanta nei Balcani che, a parte la guerra del Kosovo, non suscitano molto interesse, benché la guerra della NATO contro la Jugoslavia sia stata per molti aspetti il loro prolungamento, in particolar modo sul piano dei media  [1]. L’altra questione concerne la misura in cui la comunicazione relativa alla guerra e alle crisi è tanto influenzata dai media, dalle dimensioni delle relazioni pubbliche. [2].


Propaganda e relazioni pubbliche 

Chi, nel XXI.esimo secolo, inizia ad interessarsi di propaganda troverà di grande utilità iniziare le sue letture con l’opera di Harold D. Lasswell. Alla fine degli anni Venti del secolo scorso, Lasswell ha pubblicato il suo libro Propaganda Technique in the World War I (Tecniche di propaganda durante la Prima Guerra Mondiale) [3], un classico sugli orrori perpetrati da tutti i belligeranti durante la Prima Guerra Mondiale. Secondo Lasswell, la propaganda di guerra ha quattro obiettivi : fomentare l’odio contro il nemico, rinforzare i legami di amicizia fra gli alleati, consolidare dei modelli di cooperazione amicale nei rapporti con le potenze neutre, e demoralizzare il nemico. Questi obiettivi della propaganda in tempo di guerra, fino ad oggigiorno, non sono affatto cambiati.  Nel suo articolo, « The Theory of Political Propaganda » (La teoria della propaganda politica) [4], Lasswell ha esposto in questo modo la sua concezione della comunicazione : “Le strategie della propaganda si spiegano meglio attraverso le terminologie di stimulus (azione) e di reazione. Un produttore di propaganda ha per compito quello di moltiplicare gli stimuli più suscettibili di conseguire lo scopo prefissato e di riassorbire quelli che con molta probabilità possono esercitare degli effetti indesiderabili.” Più avanti, Lasswell ha scritto che la propaganda consiste nella manipolazione di simboli intesa ad esercitare un’influenza su comportamenti relativi a temi controversi. La formazione teorica dei suoi paradigmi si poggiava sul fondamento seguente : se gli stimuli sono stati selezionati in modo tanto abile da non venire reiterati molto spesso, possiamo parlare di comunicazione riuscita e potremo attenderci una reazione unitaria della “massa amorfa”.  

Le riflessioni di Lasswell si poggiano sul modello della reazione agli stimoli, caratteristico delle scienze sociali dominanti. In quanto ricerca sulla persuasione, vale a dire sulla comunicazione che fa in modo di indurre e di convincere, queste riflessioni stanno alla base di tutte le concezioni promosse nella ricerca attuale degli effetti pubblicitari, e nel segmento di operatività delle pubbliche relazioni. Visto che la nozione positiva di propaganda è stata discreditata dal suo utilizzo al tempo del nazional-socialismo, i rappresentanti e i fautori delle pubbliche relazioni se ne sono distanziati da molto tempo. Sul piano della definizione, la separazione della nozione di propaganda da quella di pubbliche relazioni resta tuttavia insoddisfacente. Non è più possibile distinguere in modo stretto l’« indurre » attraverso la propaganda dal « convincere » attraverso le relazioni pubbliche.                        

Il tentativo della distinzione effettuato da Günter Bentele, titolare della cattedra di Relazioni Pubbliche (RP) all’Università di Lipsia, dimostra che la nuova nozione di RP non è altro che la modernizzazione della vecchia nozione di propaganda : « Da un punto di vista logico sistematico, e tenuto conto dell’obiettivo di una teoria di RP differenziata, una assimilazione pura e semplice delle relazioni pubbliche alla propaganda è troppo semplice. Questa posizione crea dei problemi, in quanto deve fare astrazione dalle pesanti differenze fra la propaganda nazional-socialista o la propaganda politica della Repubblica Democratica della Germania e le pubbliche relazioni di tipo occidentale. » [5] Ora, il punto di vista di Bentele risulta poco attendibile per due ragioni. Per prima cosa, egli decanta i meriti di un modello di totalitarismo discutibile – in quanto troppo semplice sul piano delle scienze sociali – e la di cui dicotomia crea un nemico, che lascia perplessi : solo gli altri fanno della propaganda, mentre la propria azione stimola il dibattito e informa il pubblico. Secondariamente, il funzionalismo strutturale di Bentele, sprovvisto di contenuto, conduce a seri problemi empirici, dato che palesemente quello che non deve essere non può esserlo.    


L’impegno di agenzie di Pubbliche Relazioni RP nelle guerre nella ex Jugoslavia 

Nel frattempo, è il segreto di Pulcinella che alcuni governi hanno incaricato imprese di Pubbliche Relazioni per abbellire la loro immagine nei confronti di altri paesi. In compenso, è poco noto che era già da molto tempo che governi molto diversi fra loro avevano impegnato agenzie in campagne di Pubbliche Relazioni e che le avevano pagate per costruire una falsa immagine del nemico, per preparare le guerre o per abbellire l’idea che ci si era fatta su delle dittature. Nel sistema delle dipendenze reciproche « governi/agenzie di RP durante la guerra », noi abbiamo censito 157 contratti semestrali fra clienti che avevano fatto parte della ex Jugoslavia e 31 agenzie di RP diverse, come pure nuovi particolari, durante le guerre della ex Jugoslavia condotte fra il 1991 e il 1992.                                                                                                                                                     Nell’agosto 1991, all’agenzia di RP Ruder Finn era stato conferito un mandato da parte del governo Croato, nel maggio 1992 l’agenzia era stata incaricata dal governo Bosniaco e nell’autunno del medesimo anno dai capi Albanesi del Kosovo. Quindi, la Ruder Finn è la stessa e sola agenzia di RP che aveva lavorato per tre parti belligeranti non Serbe durante la guerra. 

Il lavoro che la Ruder Finn ha effettuato su ordine di queste tre entità belligeranti si caratterizza – fatto piuttosto inusitato in questa branca di servizi che si contraddistinguono per una certa meschinità - per la forte identificazione con gli obiettivi dei clienti, e di questo ne da prova molto bene sia David Finn che James Harff, entrambi soci nella Ruder Finn. In una intervista destinata al documentario per la televisione De Zaak Miloševic (L’affare Miloševic) , del quale noi disponiamo dell’esclusiva e di cui sono stati diffusi solamente alcuni estratti, Harff dichiara : « In seguito alle nostre esperienze personali e professionali, i Balcani stanno nel nostro sangue, noi abbiamo i Balcani nel sangue... [...] Il Kosovo ci ha dato tanta inquietudine. L’azione condotta nel 1999 da parte della NATO era con tutta evidenza appropriata, quantunque un po’ tardiva. [...] Devo dire che noi abbiamo stappato lo champagne quando la NATO ha attaccato nel 1999. » [6]


Le concezioni della comunicazione delle agenzie di Pubbliche Relazioni RP durante le guerre Balcaniche 

Le agenzie di RP impegnate dalle parti in conflitto hanno operato, essenzialmente, attraverso gli elementi seguenti,  che hanno elaborato nella forma e nel contenuto: propaganda politica, attività lobbistiche, comunicazione al momento delle crisi, comunicazione attraverso i media, gestione dell’informazione, gestione degli affari, affari pubblici (dunque comunicazione politica), attività di consulenza e di spionaggio.  

Le agenzie di RP, che hanno lavorato per clienti non Serbi, hanno individuato gli obiettivi seguenti delle loro attività :          

il riconoscimento da parte degli Stati Uniti dell’indipendenza della Croazia e della Slovenia,                    

la percezione della Slovenia e della Croazia come Stati progressisti della stessa natura di quelli dell’Europa occidentale, 

la rappresentazione dei Serbi come oppressori e aggressori,                                                                                 

l’equiparazione dei Serbi ai Nazisti, 

la formulazione di un programma politico degli Albanesi del Kosovo,                                                             

la rappresentazione dei Croati, dei musulmani di Bosnia e degli Albanesi del Kosovo unicamente come vittime innocenti,                                                                                                                                   

il reclutamento di ONG, di scienziati e di laboratori di strategia politica per il conseguimento dei propri obiettivi,  

l’intervento degli Stati Uniti negli avvenimenti dei Balcani,                                                                                    

la qualifica di “legittima e legale” alla conquista da parte dell’esercito Croato della Krajina occupata dai Serbi,                                                                                                                                                          

l’imposizione delle sanzioni da parte dell’ONU contro la Serbia,                                                                                      

una decisione favorevole, all’epoca dell’arbitrato relativo alla città Bosniaca di Brcko, 

l’accusa di genocidio formulata contro la Repubblica Federale di Jugoslavia davanti alla corte Internazionale di Giustizia dell’Aja,                                                                                                                                          

risultati favorevoli alla parte Albanese derivati dalla Trattativa di Rambouillet, 

la denuncia contro Slobodan Miloševic depositata presso il Tribunale Penale Internazionale dell’Aja,                                                                                                                                                           

lo stimolo agli investimenti Americani negli stati che erano succeduti alla Jugoslavia,                                 

la secessione del Montenegro.

Le agenzie di RP che lavoravano per conto di clienti Serbi hanno individuato gli obiettivi seguenti delle loro attività :                                                                                                                                            

il miglioramento in generale di un’immagine negativa,                                                                               

il miglioramento dell’immagine della Repubblica Serba di Bosnia, 

il reclutamento di ONG, di scienziati e di laboratori di strategia politica per il conseguimento dei propri obiettivi,    

lo stimolo agli investimenti Americani in Serbia,                                                                                           

il miglioramento delle relazioni con gli Stati Uniti, dopo la destituzione di Miloševic, 

l’abrogazione delle sanzioni dell’ONU.  

Riassumendo, possiamo dire che i clienti Balcanici desideravano raggiungere due obiettivi attraverso le loro attività di RP: in primo luogo, si trattava di farsi conoscere dagli ambienti politici, dalla società e dall’opinione pubblica degli Stati Uniti, lo scopo era quello di presentarsi in maniera positiva, quindi si dava luogo ad attività diplomatiche; secondariamente ci si sforzava di conseguire obiettivi bellici molto concreti. Spesso, i due aspetti erano mescolati. « Bad guys » e « good guys », « Cattivi figuri» e « Bei tipi » - ecco la semplificazione dei conflitti armati.                                                 

Durante le guerre Balcaniche, i governi in conflitto hanno potuto trasformare la loro propaganda in messaggi credibili grazie alle agenzie di RP e alle loro numerose vie di comunicazione. Il risultato è stata una forte omogeneizzazione dell’opinione pubblica negli Stati Uniti ed in generale nelle società occidentali. Il governo degli Stati Uniti, Amnesty International, Human Rights Watch, Freedom House, l’Istituto Statunitense per la Pace, la Fondazione Soros, gli intellettuali liberali e molti conservatori, le Nazioni Unite, i giornalisti, ed inoltre il governo di Zagabria, il governo di Sarajevo, la classe dirigente Albanese del Kosovo, l’UCK (l’Esercito di Liberazione del Kosovo) – tutti, con differenze minime, hanno fornito la medesima interpretazione delle guerre nei Balcani. In una versione stringata, leggermente spigolosa, questa interpretazione così si può riassumere : i Serbi hanno soggiaciuto ad una follia nazionalista e volevano costruire una Grande Serbia. Slobodan Miloševic, un comunista incorreggibile, si è imposto come loro dirigente ed ha attaccato con l’esercito popolare Jugoslavo le repubbliche e i popoli non Serbi, e quindi ha permesso delle violenze collettive, le epurazioni etniche ed atti di genocidio; le altre nazioni dell’ex Jugoslavia – Sloveni, Croati, Bosniaci, Albanesi, Macedoni – erano popoli pacifici e democratici ( i Montenegrini avevano un’immagine duplice, quando erano solidali con Belgrado naturalmente passavano per aggressivi, ma quando ruppero con Belgrado si sono trasformati in popolo pacifico). Ci troviamo esattamente di fronte all’immagine che le agenzie di RP avevano propagandato. E questa immagine è coerente con la propaganda delle parti in guerra ex Jugoslave non Serbe.  


Pubbliche Relazioni e società militari private 

Il governo Croato aveva preso a servizio praticamente in via permanente dal 1991 al 2002 molte grandi agenzie di RP che si sono impegnate negli USA a promuovere i suoi interessi politici, economici e culturali e che hanno diffuso un’immagine positiva dello Stato Croato. Dopo il riconoscimento coronato da successo dell’indipendenza della Croazia da parte degli USA, esisteva ancora un problema politico-militare particolarmente critico da risolvere – la questione dei Serbi della Krajina. Ed è a questo momento che per la prima volta si crea una combinazione comprovata di attività fra una agenzia di RP e una società militare privata. 

Nel marzo 1993, il gabinetto del Presidente Croato Franjo Tudjman aveva assunto l’agenzia di RP Jefferson Waterman International (Waterman Associates), e nel settembre 1994 il governo Croato aveva sottoscritto un contratto con la società militare privata Statunitense MPRI (Military Professional Resources Inc.). La MPRI è una delle molte società militari private, tutte uguali, che realizzano l’addestramento militare e i relativi servizi ausiliari associati per governi stranieri. Secondo un ex collaboratore di grado superiore dei servizi segreti, questi programmi privati di addestramento hanno come scopo « quello di promuovere gli obiettivi di politica estera degli Stati Uniti » e non possono essere messi in realizzazione senza il consenso esplicito del Ministero per gli Affari Esteri degli USA. A sostegno di questa industria di guerra privata in piena fioritura, il governo degli Stati Uniti può accordare qualsiasi forma di aiuto militare, non importa in quali paesi, senza essere costretto a sollecitare il consenso del Congresso e senza rendere conto di questo intervento all’opinione pubblica. [7].

All’inizio del 1995, undici mesi dopo la firma sul contratto con la MPRI, l’esercito Croato aveva scatenato l’« Operazione Tempesta » e preso d’assalto in soli quattro giorni le zone UNPA nella  Krajina tenuta dai Serbi.  Questa era esattamente l’azione alla quale l’opinione pubblica degli USA doveva essere positivamente preparata dalla società di RP Jefferson Waterman International. Mentre la MPRI negava di avere a che fare per qualsiasi cosa con l’« Operazione Tempesta », gli esperti dichiaravano che questo attacco portava senza ombra di dubbio il « marchio » degli USA. Non si trattava solamente del nome « Operazione Tempesta », che scientemente aveva preso a prestito elementi dall’« Operazione Tempesta del deserto », quindi dalla guerra del Golfo del 1991, ma alcune azioni si erano svolte in maniera esemplare « come uscite da un manuale » dell’esercito degli Stati Uniti.  

La MPRI non è stata attiva solamente in Croazia, e la Croazia non è stata la sola parte in guerra nei Balcani ad essersi servita di una società militare privata: infatti la MPRI ha fatto formazione presso l’UCK, in Kosovo e in Macedonia, e, nello stesso tempo, era ufficialmente attiva presso l’esercito della Repubblica di Macedonia. Quando, nella primavera del 2001, è scoppiato un conflitto fra l’esercito Macedone e l’UCK, e a Arainovo, ad est di Skopje, l’esercito aveva messo con le spalle al muro l’UCK, la Nato interveniva, mettendo a disposizione 15 bus con aria condizionata per evacuare i combattenti Albanesi con le loro armi. Fra costoro si trovavano 17 istruttori della  MPRI [8].

Riassumendo, possiamo affermare che si tratta di strutture nelle quali le attività tipiche delle agenzie di RP, che si presentano sotto le vesti di imprese economiche private, e le attività delle società militari, che ugualmente si presentano come imprese economiche private, sono complementari, a sostegno di obiettivi politico-militari delle parti in conflitto. Dunque, non è solamente la propaganda di guerra ad avere una natura privatistica, innanzitutto è la conduzione della guerra stessa che è stata privatizzata. 



Note :

[1] Alexander S. Neu ha pubblicato una delle rare ricerche scientifiche relative alla comunicazione in materia di guerra e di crisi nella ex Jugoslavia dal 1991 al 1995 : Die Jugoslawien-Kriegsberichterstattung der « Times » und der « Frankfurter Allgemeinen Zeitung ». Ein Vergleich (La copertura giornalistica della guerra di Jugoslavia da parte del « Times » e dalla « Frankfurter Allgemeinen Zeitung ». Analisi comparata), Baden-Baden 2004.

[2] Il presente contributo fa riferimento ad aspetti importanti del libro apparso di recente Operation Balkan. Werbung für Krieg und Tod (Operazione Balcani. Propaganda per la guerra e la morte) (Baden-Baden 2006). Il libro tenta non solamente di rievocare, ma anche di mettere insieme due aspetti trascurati dalla ricerca sulla pace imperniata sulla comunicazione, ossia le guerre dei Balcani piuttosto che la comunicazione relativa alle guerre e alle crisi. Il libro è stato redatto nel quadro del progetto, della durata di un biennio dal titolo « Die Informationskriege um den Balkan seit 1991 (Le guerre dell’informazione a proposito dei Balcani dal 1991), che noi abbiamo potuto realizzare grazie al sostegno continuo del direttore e fondatore della Deutschen Stiftung Friedensforschung (DSF) (Fondazione Tedesca per le Ricerche sulla Pace) , Dieter S. Lutz, nel frattempo deceduto tragicamente. 

[3] Propaganda Technique in the World War, (Tecniche di Propaganda nella Guerra Mondiale), di Harold D. Lasswell (Paul Kegan, Londra, 1927). L’opera è stata riedita nel 1986 dall’università di Hawaï.

[4] « The Theory of Political Propaganda », (La teoria della propaganda politica), di Harold D. Lasswell, in The American Political Science Review, XXI.esimo, 1927.

[5] Citazione secondo Public Relations. Konzepte und Theorien, di Michael Kunczik, IV edizione, Colonia 2002, p. 36.

[6] James Harff in De Zaak Miloševic (L’Affare Miloševic). Sceneggiatura : Jos de Putter, Paesi Bassi 2003 (materiale del film, in parte non pubblicato). 

[7] « Privatizing War. How affairs of state are outsourced to corporations beyond public control » (La privatizzazione della Guerra. Come gli affari di stato vengono esternalizzati verso imprese, evitando il controllo pubblico), di Ken Silverstein, in The Nation, 28 luglio 1997.

[8] « Mazedonien als Opfer internationaler Ignoranz ? » (La Macedonia, vittima dell’ignoranza internazionale ?), Wolf Oschlies, in Blätter für deutsche und internationale Politik, (Fogli per una politica tedesca ed internazionale), quaderno 8/2001.


(Sull'importante saggio di J. Becker e M. Beham, pubblicato nel 2006 in Germania, si vedano anche:

Le Livre : Operation Balkan : Werbung für Krieg und Tod de Becker et Beham



(english / italiano)

Sul processo ai comunisti in Ungheria

1) Interrogazione parlamentare in Italia
2) Tomorrow (21 September) Hungarian Communist leaders go to the court
3) Process against Hungarian Communist started / Processo aggiornato
al 6 novembre prossimo


See also / vedi anche:

Hungary: Communists under attack
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5645

Hungarian Communist Workers Party
http://www.munkaspart.hu

Per esprimere solidarietà:
mp200 @ t-online.hu


=== 1 ===

Interrogazione parlamentare a risposta orale
19 settembre 2007

Al Presidente del Consiglio
Al Ministro degli Esteri

Premesso che:
il 12 marzo 2005, il Comitato Centrale del Partito Comunista dei
Lavoratori Ungherese decise l’espulsione (per ragioni relative al
dibattito interno al partito) di Attila Vajnai, ex vicepresidente del
partito, e dei suoi sostenitori, e che alcune settimane più tardi,
il 2 aprile 2005, il Comitato Centrale convocò il 21° Congresso del
partito per il 4 giugno 2007, allo scopo di risolvere la crisi politica;
l’opposizione interna, capeggiata da Attila Vajnai, si appellò al
Tribunale di Budapest, chiedendo l’invalidazione delle risoluzioni
del Comitato Centrale del Partito Comunista dei Lavoratori Ungherese;
il Tribunale di Budapest invalidò le risoluzioni del Comitato
Centrale l’8 giugno 2005, riconfermando l’appartenenza di Vajnai e
dei suoi sostenitori al partito e a tutti gli incarichi dirigenti
ricoperti in precedenza e annullando così tutte le decisioni prese
dal partito nel 21° Congresso;
il Presidium del Partito Comunista dei Lavoratori Ungherese ha
espresso la propria opinione affermando che la sentenza è stata una
sentenza politica, che non ha precedenti nella storia legale degli
ultimi due decenni, affermando, inoltre, che essa rappresenta una
risposta vendicativa al referendum promosso dal partito contro la
privatizzazione degli ospedali, svoltosi nel 2004 con la
partecipazione di circa due milioni di elettori che hanno votato
contro la privatizzazione del sistema sanitario;
il Tribunale di Budapest ha richiesto al Presidium del partito di
ritirare immediatamente la propria opinione e di dichiarare che la
sentenza non aveva niente a che fare con la politica.
la leadership del partito ha rifiutato di farlo;
il presidente del Tribunale di Budapest ha poi deciso di chiamare
in giudizio l’intera dirigenza del partito, incriminando il Presidium
per “diffamazione pubblica”;
Considerato che:
il Partito Comunista dei Lavoratori Ungherese è convinto che
questa sentenza violi la Costituzione ungherese, precisamente
l’articolo 61 della Costituzione che concede a chiunque la libertà di
esprimere la propria opinione;
il Presidente Gyula Thurmer ed altri sei membri del Presidium,
secondo il Codice Penale Ungherese, potrebbero essere condannati ad
un massimo di due anni di carcere;
Si chiede di sapere:
se il Governo non ritenga l’accusa di “diffamazione pubblica”
rivolta al Partito Comunista dei Lavoratori Ungherese un grave atto
di violazione delle libertà e dei diritti civili e democratici in un
paese dell’Unione europea;
quali iniziative il Governo intenda adottare nei confronti del
governo ungherese affinché vengano garantiti i diritti civili e
democratici, a tutti i cittadini, internazionalmente riconosciuti.

Fosco Giannini
senatore Prc-Se, capogruppo Commissione Difesa al Senato

Giovanni Russo Spena
capogruppo Prc-Se al Senato

Milziade Caprili
senatore Prc-Se, vicepresidente del Senato

Manuela Palermi
capogruppo PdCI-Verdi al Senato, segreteria nazionale PdCI

Franca Rame
senatrice Italia dei Valori

Josè Luiz Del Roio
senatore Prc-Se, membro del Consiglio europeo

Rina Gagliardi
senatrice Prc-Se, vice-capogruppo al Senato

Adelaide Gaggio Giuliani
senatrice Prc-Se

Lidia Menapace
senatrice Prc-Se, commissione Difesa al Senato

Silvana Pisa
senatrice Sinistra Democratica, capogruppo Commissione Difesa al
Senato

Silvana Amati
senatrice, Gruppo dell’Ulivo

Mauro Bulgarelli
senatore PdCI-Verdi

Piero Di Siena
senatore Sinistra Democratica

Tommaso Sodano
senatore Prc-Se, vice-capogruppo al Senato


Francesco Martone
senatore Prc-Se, commissione Affari Esteri al Senato

Dino Tibaldi
senatore PdCI-Verdi

Maria Agostina Pelagatta
senatrice PdCI-Verdi

Erminia Emprin Gilardini
senatrice Prc-Se

Franco Turigliatto
senatore Sinistra Critica

Tiziana Valpiana
senatrice Prc-Se

Anna Maria Palermo
senatrice Prc-Se

Olimpia Vano
senatrice Prc-Se

Salvatore Allocca
senatore Prc-Se

Raffaele Tecce
senatore Prc-Se

Martino Albonetti
senatore Prc-Se


Salvatore Bonadonna
senatore Prc-Se

Giovanna Capelli
senatrice Prc-se

Giovanni Gonfalonieri
senatore Prc-Se

Celeste Nardini
senatrice Prc-Se

Fernando Rossi
senatore Guppo Misto

Daniela Alfonzi
senatrice Prc-Se


=== 2 ===

Tomorrow Hungarian Communist leaders go to the court

Tomorrow, 21 September, Friday at 09.00 the trial against the whole
leadership of the Hungarian Communist Workers’ Party begins in the
Hungarian City Szekesfehervar. The Hungarian communists leaders are
accused in libel made in public place because the characterised a
decision of the Budapest Court in 2005 as a political sentence.
The leaders of the Hungarian communists confirmed 20 September in a
public statement they had not violated the Hungarian Constitution or
any Hungarian laws. According to the Constitution all citizens have
the right to express their opinion freely.
They underlined that different Hungarian organisations, political
parties and individuals made similar public statements about the
Hungarian courts in recent years but nobody, no other party have been
accused and taken to the court.
The Presidium of the HCWP emphasized that this process will take in
such a situation when extreme-right organisations have no obstacle to
organise demonstrative meetings in Hungary, and when the extreme-
right Hungarian Guard marches in its SS-like uniforms in Buda Castle.
The Hungarian government speaks about extreme-right and fascist
danger but it is the Communist Party to be accused.
The Presidium of the HCWP confirmed that now the Hungarian state is
attempting to use these fallacious grounds to cripple and potentially
liquidate the HCWP precisely at a time when the left and Communist
movement is growing once again in Hungary.
Gyula Thurmer, president of HCWP emphasized that the Hungarian
communists continue their fight against capitalism, for the rights of
working people and no political and financial pressure, no legal
processes can force them to give their struggle.
Gyula Thurmer, president of the HCWP informed that a lot of communist
and workers’ parties expressed their solidarity, among others the
communists of Italy, Belarus, Austria, Czech Republic, Russian
Federation, Cuba, Laos, Germany, Argentina, Chile, Romania, Spain,
Italy, Slovakia, Greece, Ukraine, Sweden, Denmark, Finland. Many
youth organisations joined the protests, including the Communist
Youth Organisation of the Czech Republic, many youths organisation
from Canada, Britain. The representatives of the World Federation of
Democratic Youth will join the solidarity meeting in front of the
Szekesfehervar Court.
There will be demonstration in front of the Hungarian embassies among
others in London, Berlin. Many parties and organisations informed
that they are going to organise protest meetings after 21 September.
Some parties organise international press conferences in their
capitals, and invite the representatives of the Hungarian communists
to be present there. The legal cause against the Hungarian communists
is a part of the anticommunist campaign in Europe and we should fight
together.
All communist parties condemned this transparent manoeuvre of the
Hungarian authorities as a vengeful assault against the Hungarian
Communists, and called for international solidarity in defence of the
legal and political rights of the HWCP. They demanded the Hungarian
authorities to guarantee the constitutional rights of all citizens,
in this case to guarantee the freedom of opinion and expression and
the freedom of association and to organize.
The HCWP will inform all communist and workers’ parties about the
coming events.

Presidium
Hungarian Communist Workers’ Party


=== 3 ===

Processo aggiornato al 6 novembre prossimo:

_____

Da: new02
Inviato: venerdì 21 settembre 2007 14.39
Oggetto: Information about the beginning of process agains Hungarian
Communists


Process against Hungarian Communist started


In the Szekesfehervar City Court (Hungary, 68 km from Budapest) the
process
against the whole leadership of the Hungarian Communist Workers’ Party
started 21 September, Friday. The Court led by judge Mrs. Ilona Sarkozi
gathered to discuss the cause of Gyula Thürmer, President of the
HCWP, Magda
Karacs and Janos Vajda, vice-presidents of the HCWP, Peter Szekely,
Laszlo
Kerezsi, Sandor Urban, members of the presidium of HCWP and Pal Kollat,
former member of the presidium of HCWP.

The public prosecutor read the official indictment. According to the
indictment the members of the leadership of the HCWP are accused “in
libel
made in public place” because they characterised a decision of the
Budapest
Court in 2005 as a political sentence.

The members of the leadership of the HCWP were questioned by the
judge. The
Hungarian communist leaders declared that it is their right
guaranteed by
the Hungarian Constitution to express their opinion freely. They used
this
right when they characterised the decision of the Budapest City Court
as a
political one. They asked the Court to finish the legal process and
to clear
them of the charge because no crime was committed.

The judge decided to postpone the session of the Court on the 6 November
2007.

In front of the City Court hundreds of communists and inhabitants of
Szekesfehervar had a meeting of protest and solidarity. The Hungarian
media
paid great attention to the event.

We have fulfilled the mission the party has sent us to the court. –
Gyula
Thürmer declared on the press-conference after the process. We
defended our
rights and unveiled that the ruling capitalist forces try to destroy the
communist party before the new referendum and parliamentary elections
which
can take place in the near future. He declared that it rather
embarrassing
that the second session will take place 6 November, just on the eve
of the
great day of the Hungarian and the international communist movement, the
90th Anniversary of the October Revolution.


Hungarian Communist Workers’ Party


Yvonne Bollmann

Un spectre hante l’Europe et menace la France : le spectre de l’ordre ethnique


On connaît désormais en France le rôle essentiel qu’a joué la FUEV/UFCE/FUEN (Föderalistische Union Europäischer Volksgruppen/Union Fédéraliste des Communautés Ethniques Européennes/Federal Union of European Nationalities) dans l’élaboration de la Charte européenne des langues régionales ou minoritaires. Nous désignerons par son seul sigle allemand cette  association enregistrée dont le siège est à Flensburg (Schleswig-Holstein), puisque c’est aussi le texte allemand de ses statuts « qui fait autorité en cas de doute ».

Du 16 au 20 mai 2007 s’est tenu à Tallinn, en Estonie, son 52ème « Congrès des nationalités ». Quand la FUEV a renoué, en 1985, avec les « congrès des nationalités » qui ont eu lieu entre 1925 et 1938 dans le cadre de la SDN, sous le signe d’une conception « ethnique » de la nation, ce premier congrès d’après-guerre a été annoncé comme le quinzième du genre, faisant suite au quatorzième, de 1938. La politique allemande se caractérise bien par de la suite dans les idées et de la constance dans l’action. L’Assemblée des Délégués de la FUEV, qui est son organe suprême, s’est réunie pendant ce congrès de Tallinn, le 17 mai. Elle a adopté une modification de ses statuts.


Les nouveaux statuts de la FUEV, pour une Europe des régions à caractère ethnique

Les principaux changements ont porté sur le nom et l’objectif de la FUEV. Avant d’en aborder quelques uns, mentionnons une particularité de la version française de ces statuts, où « Volksgruppe » est traduit tantôt par « communauté ethnique » ou « groupe ethnique », tantôt par « nationalité ».
L’ancien article 1 disait entre autres que la FUEV « se tient au service des nationalités
d’Europe (Volksgruppen) ». Dans le nouvel article 1, l’Europe n’est plus mentionnée, sans doute pour ne pas répéter ce qui figure déjà dans le nom même de l’association, mais aux « Volksgruppen » viennent s’ajouter les « peuples (nommés ci-après groupes ethniques) représentant une minorité numérique à l’intérieur d’un territoire national » (le « territoire national » est ici le territoire d’un Etat). Pour Christoph Pan et Beate Sibylle Pfeil, qui sont les auteurs du manuel ethniste Die Volksgruppen in Europa, la notion de « peuple » est plus appropriée que celle de « groupe ethnique » pour désigner, par exemple, les Bretons.
Dans l’ancien article 2, une « nationalité », ou « communauté ethnique », était définie non seulement par « des caractéristiques qu’elle tient à préserver, telles qu’une langue propre, un passé original et une culture spécifique », mais aussi par le fait qu’ « elle n’a pas son propre Etat sur son sol, ou encore » que «  celui-ci se trouve hors de l’Etat formé par la même ethnie (minorité ethnique) ». La nouvelle version de cet article ne conserve que « des caractéristiques qu’elle tient à préserver, comme sa propre langue, culture et histoire », et ne mentionne plus un quelconque Etat. Est-ce à cause des changements intervenus dans l’article 3 ?
Son ancienne version française parlait de la « cohabitation harmonieuse, en bons voisins, d’une majorité et de minorité ethniques dans une même région » (ou, dans une traduction différente, « du peuple majoritaire et de la minorité dans une région »), devenue à présent « cohabitation harmonieuse, en bons voisins, d’une majorité et de groupes ethniques dans une même région ».
Dans la nouvelle version de l’article 3, la notion de « région » apparaît une seconde fois, accolée à celle de « nation » : la FUEV « vise à préserver les particularités nationales et régionales, la langue, la culture et les droits individuels et collectifs des groupes ethniques ». L’association de « national » et de « régional » pourrait faire croire qu’il s’agit des notions, traditionnellement complémentaires, touchant à l’Etat et aux régions. Cette apparence est trompeuse : « national » désigne ici non pas ce qui relève de l’Etat, mais ce qui se rapporte à l’ethnie. Il y a là, sans qu’il soit nommé comme tel, le projet d’une Europe des régions à caractère ethnique – une « construction fédéraliste », avec une « administration autonome » pour les « groupes ethniques ». 
Et pour faire passer le tout, on a jugé bon de mentionner, à côté des « droits collectifs », les « droits individuels (...) des groupes ethniques (sic) ». L’article 3 précise toutefois que la FUEV « s’emploie également à l’élaboration d’un code internationalement reconnu des droits des groupes ethniques » - des droits collectifs, s’entend. 


Les alliés de la FUEV au Parlement européen

Pour l’élaboration de tels droits, la FUEV a un allié de poids en la personne de Hans-Gert Pöttering, député au Parlement européen depuis 1979, et son président depuis le 16 janvier 2007. Rappelons qu’en juillet 1984, ainsi que l’a rapporté la revue Europa Ethnica, il a été cosignataire d’une proposition de résolution « sur un droit européen des Volksgruppen ». Le Parlement européen s’y disait « partisan du droit à l’autodétermination des peuples », et « demandait à la Communauté européenne de faire le nécessaire pour que tous les Européens puissent l’exercer ».
Dans une newsletter de juin 2007, la FUEV a rendu compte du discours que Hans-Gert Pöttering a prononcé lors de la présentation, au Parlement européen, d’un ouvrage sur les « sources internationales des droits des minorités nationales et ethniques ». Il a dit vouloir mettre l’accent tout particulièrement, durant son mandat, « sur les droits des minorités et le dialogue interculturel », et a renvoyé au travail de l’Intergroupe Minorités Nationales Traditionnelles, Régions Constitutionnelles et Langues Régionales du Parlement européen.
A titre d’exemple, voici le texte de la déclaration faite le 18 mai 2006 par le président de cet Intergroupe, le socialiste hongrois Csaba Sándor Tabajdi, lors d’une réunion avec les représentants de la commission langues et cultures régionales de l’Association des Régions de France et du Comité français du Bureau Européen des Langues Moins Répandues (EBLUL-France), à propos de la situation de la France en Europe :
« En France les cultures et langues dites « régionales », qui font partie intégrante des cultures et des langues européennes et de l’humanité, exclues de l’espace public par la législation, marginalisées, sont en voie de disparition rapide de la vie sociale malgré la résistance et l’auto-organisation souvent exemplaires des populations  avec le soutien de leurs élus dans un cadre juridique, administratif et idéologique hostile. Après des décennies d’éradication, l’enseignement de ces langues reste très marginal et leur place dans les media, notamment la radio et la télévision est extrêmement réduit.
Pratiquement seule en Europe, la France n’a ni signé ni ratifié la Convention cadre européenne sur les minorité nationales. Elle n’a pas encore ratifié la Charte européenne des langues régionales ou minoritaires. Elle a émis des réserves sur l’article 27 du Pacte international sur les droits civils et politiques, l’article 30 de la Convention internationale des droits de l’enfant. Par la Constitution, et malgré la richesse des différentes langues du territoire, une seule langue, le français, bénéficie d’une reconnaissance officielle, est défendue, promue, autorisée. 
C’est pourquoi Le président de l’Intergroupe Minorités Nationales Traditionnelles, Régions Constitutionnelles et Langues Régionales souhaite que la République française retrouve le sens des valeurs universelles qui ont fait sa grandeur et conformément aux très nombreuses recommandations qui lui ont déjà été faites, dernièrement encore en février 2006 dans le rapport du Commissaire européen aux doits de l’homme M. Gil-Roblès :
- qu’elle ratifie la Charte européenne des langues régionales ou minoritaires, signe et ratifie la Convention cadre européenne sur les minorités nationales, ratifie le Protocole 12 à la Convention européenne des droits de l’homme, lève ses réserves sur l’article 27 du Pacte des droits civils et politiques  et l’article 30 de la Convention des droits de l’enfant, 
- qu’elle reconnaisse pleinement le droit à l’existence des citoyens et peuples qui la composent  dans leur spécificité notamment à travers un système d’éducation, des media et un espace public permettant l’expression normale de leurs langues, l’enseignement de leurs cultures et de leurs histoires conformément à la Déclaration universelle  de l’UNESCO sur la diversité culturelle et à la Convention sur la protection et la promotion de la diversité des expressions culturelles.
Le président de l’Intergroupe appelle l’Union européenne, dans le domaine de ses compétences, à engager des actions spécifiques de promotion de la diversité linguistique fondées sur les langues menacées à l’échelle européenne, en lien avec les régions ou institutions locales concernées, et à créer un fonds spécial de soutien communautaire aux programmes de promotion de ces langues dans les différentes régions de l'Union européenne. 
Le président de l’Intergroupe interpelle également les Etats, et l’Union européenne sur l’urgence des mesures à prendre et sur leur devoir d’ingérence, compte tenu de la faiblesse dans laquelle ont été mises ces langues en France et notamment de la disparition rapide de la génération ancienne qui parle encore massivement ces langues sans être remplacée. » La France est sommée de renoncer à son histoire et à son identité d’Etat-nation, et d’adopter l’ordre ethnique voulu par l’Allemagne.


Le « peuple breton » a voté Oui le 29 mai 2005

Comme l’indique l’article 13 de ses statuts, l’Assemblée des Délégués de la FUEV est « constituée de deux délégués de chaque communauté ethnique représentée en tant que membre régulier » de l’association, « de deux délégués de la Jeunesse des Communautés ethniques européennes et des membres du Comité directeur disposant chacun d’une voix ». Comme « membre régulier » venant de France, il y a le « Comité d´ Action Régionale de Bretagne, Klesseven, F - 22110 Glomel / Bretagne ».
L’article 15 dit que « les membres associés peuvent envoyer un représentant sans droit de vote aux réunions de l’Assemblée des Délégués ». Ce sont, dans le cas de la France, « POBL Evit Breizh Dizalc`h, 89 straed an Alma, F - 35000 Roazhon », « Michiel de Swaenkring, 16,rue Gabriel Péri,
F - 59251 Allennes-Les-Marais », et « Elsaß-Lothringischer Volksbund, Am Alten Fischmarkt 7, 7, rue du Vieux Marche poissons (sic), F - 67000 Strasbourg ». Bretagne, Flandre et Alsace-Lorraine : même combat !
La « délégation bretonne » est, semble-t-il, à l’origine de l’une des huit Résolutions adoptées par l’Assemblée des Délégués le 17 mai 2007 à Tallinn. Voici, tel quel, le texte de cette Résolution (2007 – 06) : « Au vue de la volonté manifeste de l’Etat français de poursuivre jusqu’à son terme l’éradication totale de la langue bretonne, la délégation bretonne adjure ses compatriotes européens d’exercer sur l’Etat français, par le truchement de leurs représentants, toute la pression nécessaire pour qu’il se conforme enfin à l’éthique internationale concernant le droit des minorités autochtones sur leur territoire historique et cesse de pratiquer à leur encontre une politique d’uniformisation linguistique inexorable tout en prêchant à l’extérieur les vertus de la diversité culturelle.
Nous rappelons ici l’apophtegme de Kant : « Agis de telle façon que la maxime de ta volonté puisse toujours, en même temps, être considérée comme le principe d’une législation universelle. » (« Handle so, dass die Maxime deines Willens jederzeit zugleich als Prinzip einer allgemeinen Gesetzgebung gelten könne.”). Nous estimons que cette formule, dans le domaine qui nous occupe, au XXIème siècle, dans une Europe dont la construction est basée sur le droit – suivant ainsi l’idéal de Kant – doit être considérée comme une règle absolue.
Nous demandons enfin, puisque le peuple breton, sur le territoire correspondant à l’Etat breton, Etat souverain jusqu’à l’abolition unilatérale de cet Etat par la Révolution française, a adopté dans sa majorité le projet de Constitution Européenne, à la différence du peuple français qui l’a rejetée, qu’une commission d’experts internationaux indépendants soit constituée pour examiner le véritable statut juridique de la Bretagne au regard du droit international et et qu’on developpe des formes appropriées d’autogestion linguistique, culturelle, administrative et politique. Il y va de la survie d’un peuple européen, le peuple breton, en tant que peuple. »
Kant a vraiment bon dos, et l’éthique aussi ! On voit dans cette Résolution, de même que dans la déclaration du président de l’Intergroupe citée plus haut, comment la notion de « diversité culturelle » peut être retournée contre la France. Elle est inscrite dans la Charte des droits fondamentaux, qui sera déclarée juridiquement contraignante dans le Traité modificatif. Si la France ne rejoint pas le Royaume-Uni et la Pologne pour en être exemptée comme eux, elle risque d’en subir des conséquences néfastes à son unité.


Le séminaire de Tarbes

L’ingérence de la FUEV dans les affaires de la France ne s’arrête d’ailleurs pas là. C’est sur notre territoire même qu’elle vient exercer son influence subversive, et qu’elle essaie de détruire l’unité nationale.
La FUEV a une organisation de jeunesse, la JEV/JCEE/YEN (Jugend Europäischer Volksgruppen/Jeunesse des Communautés Ethniques Européennes/Youth of European Nationalities), dont la devise est « Vivre la diversité ». Elle regroupe 33 organisations réparties sur 17 pays, et est donc «  la plus importante confédération d’organisations de jeunesse des minorités nationales autochtones/Volksgruppen en Europe ». En dernier, elle a accueilli comme nouveaux membres extraordinaires les Cachoubes de Pologne et l’organisation de jeunesse de la communauté aroumaine de Roumanie. Les membres d’une organisation de jeunesse du Danemark et le Forum de la jeunesse serbe, jusque là membres extraordinaires, ont été déclarés membres ordinaires.
Au printemps 2007 s’est déroulé à Tarbes, « en solidarité avec des Occitans »,  le traditionnel séminaire pascal de la JEV, inauguré officiellement le 10 avril. 110 jeunes, de 24 « minorités nationales autochtones/Volksgruppen », venus de 15 pays européens, y ont participé. Le thème en était « Lengas capsús las frontèras – Langues saute-frontière ». L’organe invitant était le « Conselh Representacion Generala de la Joventut d´Òc », une organisation membre de la JEV. En collaboration avec celle-ci, « les jeunes Occitans ont mis sur pied un programme allant de jeux traditionnels occitans à un débat public sur l’avenir de l’Europe vu par la jeunesse ». 
« La situation particulière des communautés linguistiques régionales en France » a été le thème principal de ce séminaire, où des « discussions animées ont eu lieu sur les droits pour assurer la pérennité linguistique et culturelle en France ». Les « délégués » de la JEV n’y ont pas caché « leur inquiétude quant à la protection insuffisante, ou plutôt absente, des communautés linguistiques régionales en France ». Lors de l’assemblée générale, ils ont adopté une résolution qui invite la France à protéger et à soutenir celles-ci activement. 
Christiana Walde, la vice-présidente de la JEV, a déclaré : « Selon l’article 2 de la Constitution française, le français est l’unique langue parlée en France. L’Etat se soustrait ainsi avec succès à la responsabilité qui lui incombe dans la protection de la diversité linguistique, selon lui inexistante en France. La réalité étant différente, les Occitans n’ont pas d’autre choix que de se rassembler en masse pour revendiquer leurs droits. Espérons que le soutien apporté par d’autres communautés ethniques européennes (Volksgruppen) permettra de remédier à cette vision des choses, qui n’est pas adaptée à l’Europe du 21ème siècle. Un séminaire n’y suffit bien sûr pas. Nous continuerons à manifester notre soutien. »
Aleksander Studen Kirchner, le président de la JEV, s’est montré satisfait de ce séminaire : « Nous sommes une organisation en croissance permanente, et nous devons donc sans arrêt adapter nos structures aux nouveaux défis, afin que nous puissions mobiliser le vaste réseau européen que nous représentons, et en utiliser toutes les ressources, l’objectif étant toujours de renforcer notre travail politique. »


Conclusion

En Estonie, l’Assemblée des Délégués a examiné le projet de budget de la FUEV pour 2007. Sous les rubriques « Recettes » et « Dépenses » est inscrite, entre autres, la somme de 30 000 euros versée pour le financement du congrès de Tallinn par le ministère allemand de ... l'Intérieur. Celui-ci se sent visiblement habilité à gérer l’Europe entière par FUEV interposée, en fonction de critères ethniques, comme s’il s’agissait d’une Allemagne élargie. Le gouvernement allemand en son entier est donc en quelque sorte un cosignataire de la Résolution 2007-06 relative à la Bretagne, joignant ainsi le déni démocratique et la subversion à l’ingérence.


(Source: A. Lacroix-Riz)



18 SEPTEMBRE 2007

Terrorisme : la preuve bidon de la presse allemande


La presse allemande publie une note griffonnée en arabe ( http://www.spiegel.de/international/0,1518,grossbild-686129-433552,00.html ) et raturée qui a été retrouvée à côté de l’une des deux bombes trouvées en juillet dans un train allemand. Elle souligne que, selon la police, cette bombe était destinée à tuer des centaines de personnes. Il va sans dire que ce bout de papier suffit à conclure que le projet d’attentat était le fait « des musulmans ».

Cependant, les journalistes allemands sont autant aveuglés par leurs préjugés que leurs collègues occidentaux. Ils n’ont pas pensé utile de se faire traduire la dite note. Ils auraient découverts qu’il ne s’agit pas d’une revendication politique déposée intentionnellement, mais d’une liste de courses (olives, fromage blanc…) abandonnée par un voyageur après avoir biffé les produits achetés.


Source du document : Der Spiegel - http://www.spiegel.de/international/0,1518,grossbild-686129-433552,00.html



RIMOZIONI


Ad accompagnare un breve articolo di Lucio Caracciolo sulla
problematica kosovara, c'è una cartina - una delle discutibili
"cartine geopolitiche" di LiMes - nella quale sono indicati i "gruppi
mafiosi" e le "rotte" dei loro traffici.
Straordinariamente, nessun "gruppo" e nessuna "rotta" interessa
l'Italia!
Abbiamo debellato mafia, camorra, 'ndrangheta e sacra corona unita e
non ce ne eravamo accorti:

http://limes.espresso.repubblica.it/2007/09/13/kosovo-la-non-
soluzione/?p=217

D'altronde, lo stesso articolo lascia il lettore con solo domande e
perplessità, e non dice l'essenziale: e cioè che la "scelta
impossibile" sul destino del Kosovo è la ennesima conseguenza
dell'infame squartamento della Jugoslavia. È dal 1991 che ogni
equilibrio possibile nell'area è stato sovvertito e sbilanciato in
maniera cronica, creando un "piano inclinato" sul quale tutte le
palle sono costrette a rotolare... Ecco allora i riconoscimenti a
ripetizione di statarelli-banana sempre più improbabili, secondo il
principio nazi-europeista della "differenza etnica". (a cura di Italo
Slavo)

TROPPE DOMANDE


http://www.repubblica.it/2007/09/sezioni/esteri/florida-arrestato/
florida-arrestato/florida-arrestato.html
Polemiche in Florida dopo la diffusione del video
Il portavoce dell'Università: "Era troppo nervoso"

Studente fa domande scomode a Kerry
Arrestato e immobilizzato col Taser

Gli agenti lo hanno bloccato con una pistola elettrica.

MIAMI - Arrestato perché faceva troppe domande al senatore John Kerry
e poi immobilizzato con una pistola elettrica. Andrew Meyer è il
21enne protagonista di un video-choc che sta sollevando molte
polemiche. Ieri, in occasione di un dibattito all'università della
Florida, Meyer, usando il microfono che era stato messo a
disposizione degli studenti, aveva iniziato a rivolgere una serie di
domande al democratico Kerry, sconfitto da George W. Bush nel 2004
nella corsa alle presidenziali. Alcune anche scomode: "Perché non ha
chiesto l'impeachment di Bush?", e ancora "Ha mai fatto parte della
società segreta Skull & Bones?" (ispirata a rituali massonici).

Il video mostra chiaramente che mentre Meyer sta parlando rivolto a
Kerry, due poliziotti intervengono per allontanarlo con energia dal
microfono. Di fronte alle resistenze e allo stupore del giovane, i
poliziotti, diventati 4, si fanno sempre più decisi e cercano di
farlo uscire dalla sala, tra gli sguardi degli altri universitari,
che restano seduti.

GUARDA IL VIDEO

Il ragazzo, ammanettato, continua ad urlare "aiuto, aiuto", e "cosa
ho fatto"?. La scena è ripresa da alcune televisioni locali, ma anche
da alcuni studenti. Dopo essere stato buttato in terra e ammanettato,
gli agenti minacciano di usare il potente Taser, in grado di
immobilizzare una persona. E' troppo tardi: il poliziotto schiaccia
il bottone, tra le urla del ragazzo. "Ha usato il tempo massimo a
disposizione, nonostante gli avessimo chiesto di terminare il suo
intervento - ha dichiarato il portavoce dell'università Steve Orlando
- Gli abbiamo dapprima tolto l'audio, poi ha iniziato a diventare
nervoso". In sottofondo, mentre il ragazzo viene ammanettato, si
sente il senatore che dice: "Va bene, fatemi rispondere alle sue
domande". Secondo quanto riferito dalla polizia, Meyer è stato
denunciato per resistenza a pubblico ufficiale e disturbo della quiete.

L'università, da parte sua, ha avviato un'indagine interna:
"Cercheremo di capire se sono state seguite tutte le procedure del
caso, in particolare riguardo all'uso del Taser". Gli amici di Meyer,
attraverso il suo sito ufficiale ( http://www.theandrewmeyer.com/ ),
hanno invitato gli studenti a manifestare, per chiedere la sua
liberazione immediata.

(18 settembre 2007)

I VIDEO:

http://tv.repubblica.it/home_page.php?playmode=player&cont_id=12680

http://tv.repubblica.it/home_page.php?playmode=player&cont_id=12681


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http://www.esserecomunisti.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=18241
Scontri polizia-manifestanti a pochi passi dal Campidoglio: duecento
persone arrestate

su altre testate del 16/09/2007

Sono almeno 200 le persone arrestate dalla polizia di Washington
durante la manifestazione di protesta contro la guerra in Iraq, che
ha richiamato migliaia di persone. Alcuni dimostranti sono stati
arrestati senza opporre resistenza dopo aver cercato di superare una
barriera nei pressi del Campidoglio, mentre altri si sono scontrati
con gli agenti dopo essere stati respinti con larghi scudi neri e
spray chimici.

I manifestanti hanno risposto lanciando i cartelli esposti durante il
corteo e urlando «vergogna». Partiti dalla Casa Bianca, i dimostranti
sono arrivati alla sede del congresso americano al grido «Cosa
vogliamo? Il ritiro delle truppe. Quando? Ora». La marcia si è svolta
tra i contro-manifestanti disposti ai lati della Pennsylvania Avenue,
con accesi scambi di battute tra le due parti. La dimostrazione
contro il conflitto è stata organizzata da "Answer Coalition" e altri
gruppi e ha visto la partecipazione di famiglie, studenti, veterani
di guerra e genitori dei soldati uccisi. «Stiamo occupando un popolo
che non ci vuole lì - ha detto all’Associated press un militare
rientrato dall’Iraq, Justin Cliburn, 25 anni - siamo qui per
dimostrare che non è un gruppo di vecchi hippies degli anni sessanta
ad essere contro la guerra». «Sono stato un anno e mezzo ad Abu
Ghraib e a Fallujah, fino al luglio 2006 - gli ha fatto eco Phil
Aliff, 21 anni - mi era stato detto che la nostra missione era quella
di aiutare a stabilizzare il paese. Ma sul posto non si ricostruiva
nulla e la popolazione ce l’aveva con noi».

Diana Santoriello ha perso il figlio Niel in Iraq, il 13 agosto 2004:
«Sono qua per chiedere al congresso di smetterla di finanziare questo
conflitto. Sono terrorizzata all’idea che possa iniziare un’altra
guerra contro l’Iran». La donna mostra con forza la fotografia del
figlio: «Me l’hanno ucciso. Aveva 25 anni». I manifestanti non hanno
risparmiato critiche ai democratici, oggi maggioranza al congresso,
accusandoli di «inerzia» di fronte alla guerra. «I democratici ci
hanno deluso - ha dichiarato Richard Gold, 62 anni, arrivato dallo
Stato della Pennsylvania per la manifestazione - non hanno fatto
abbastanza per fermare i finanziamenti alconflitto». Poi aggiunge:
«Sono abbastanza vecchio per ricordarmi la guerra del Vietnam e il
fatto che le truppe non furono ritirate in tempo. Occorre trarre
lezioni dal passato».

Altre 1.000 persone erano disposte ai lati della Pennsylvania Avenue
a sostegno della guerra, sventolando la bandiere americane. Un
colonnello in pensione, Robert «Buzz» Patterson, ha preso la parola
per mandare tre messaggi: «Al congresso, smettila di giocare con le
nostre truppe; ai terroristi, vi troveremo e vi uccideremo; e alle
nostre truppe, siamo con voi, vi sosteniamo».

(many of the following articles have an original english text which can be read at the URL:


Kosovo: nuove accuse della Serbia contro l’ipotesi di un Kosovo, stato fantoccio, protettorato Nato 


(Traduzioni ed elaborazione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)

Commento del traduttore: A mio parere, dall’esame dei documenti e delle dichiarazioni qui sotto riportati appare che la dirigenza e le forze politiche Serbe, più che conservare l’integrità del territorio della Serbia e far valere il diritto internazionale, cercano di ottenere un “compromesso” che permetta loro di salvare la faccia di fronte alla devastazione della Jugoslavia e alle tante vittime della cosiddetta “guerra umanitaria”. I loro sforzi sono tutti orientati a che la Serbia assuma un ruolo riconosciuto come membro dell’Unione Europea e diventi un partner ritenuto affidabile della Nato, l’Alleanza responsabile dei bombardamenti illegali. Ecco che mettere sul piatto la posta del volere esigere il rispetto della Risoluzione 1244 e il ritorno di forze militari e di polizia per controllare nuovamente il Kosovo non è altro che una mossa tipica di un giocatore di poker che bluffa. Non è altro che un tentativo per evitare la, per loro disonorevole, dichiarazione di indipendenza unilaterale di una provincia della Serbia, ed in cambio ottenere un Kosovo a forte autonomia amministrativa e militare, esercitata però questa volta non più dall’ONU ma dalla Nato per conto degli Stati Uniti. Agli attuali dirigenti politici della Serbia interessano poco le sorti dei pochi Serbi rimasti in Kosovo, vessati dalla maggioranza Albanese, come ben testimoniato dal documentario del giornalista Belga Michel Collon, “I dannati del Kosovo”. A loro interessa molto di più diventare omogenei ai tanti liberisti truffaldini che si sono insediati nell’area Balcanica. In cambio cedono il Kosovo alla Nato, che insedia un suo stato nel cuore dei Balcani, con capitale Bondsteel.
Gli unici a contrastare questo progetto restano i Russi, che vedono come il fumo negli occhi lo “stato della Nato” in accoppiata con il programma anti-missilistico messo in azione dagli Stati Uniti. La Russia potrà esercitare il suo diritto di veto presso il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, in modo che questo piano Statunitense e della Nato non vada in porto. Comunque, la Russia non potrà evitare che il Kosovo diventi ancor più un enclave Albanese, sotto il controllo di clan mafiosi dediti a tutti i traffici illeciti, però sempre sotto la supervisione della Nato. La Serbia verrà accettata nell’ambito dell’Unione Europea, diverrà membro della Nato, delle istituzioni e dell’Alleanza che tante sofferenze hanno provocato ai popoli della Jugoslavia per arrivare ad ottenere un controllo geopolitico ed economico di tutti i Balcani. E a tutto questo hanno contribuito non poco tanti politici Italiani, quelli sempre dalla parte degli USA, considerati i soli portatori di “democrazia e ordine” in tutto il pianeta.        


(ANSA) - Belgrado, 20 agosto 2007 - Continua il botta e risposta tra settori del governo Serbo e della Nato sul destino del Kosovo, la provincia secessionista a maggioranza Albanese che - accusano esponenti di Belgrado - l'Alleanza Atlantica vorrebbe staccare definitivamente 
dalla Serbia per farne un proprio protettorato. 
L'ultimo a rilanciare la palla e' stato in queste ore Srdjan Djuric, capo ufficio stampa del Primo Ministro Serbo Vojislav Kostunica, secondo cui appare improprio che un'alleanza militare esprima pareri sul futuro status della provincia contesa. E, per di più, avalli proposte come quella dell'ex 
presidente Finlandese Martti Ahtisaari - favorevole a una  “indipendenza sorvegliata'” del Kosovo - che di fatto trasformerebbero la regione in “uno Stato di proprietà della Nato”. 
Interpretazioni respinte da Bruxelles, dove si sostiene che l'Alleanza “non intende possedere alcuno Stato”, ne' sta architettando nulla “alle spalle della Serbia”, ma solo intende “garantire condizioni di sicurezza” durante l'estrema fase negoziale promossa fra le parti dalla nuova Troika di mediatori Euro-Russo-Americana, creata dal Gruppo di Contatto. 
E tuttavia interpretazioni che continuano a circolare a Belgrado, almeno negli ambienti del Partito Democratico di Serbia (Dss, conservatore) di Kostunica: la forza più oltranzista in seno all'attuale esecutivo Serbo di coalizione democratica nella battaglia contro il riconoscimento d'ogni ipotesi di indipendenza del Kosovo, e la più incline a immaginare un vero e proprio asse con Mosca su questo punto, anche a costo di mettere in imbarazzo i partner liberali di governo e di virare bruscamente dalla rotta Euro-Atlantica avviata nel dopo-Milosevic. 
Tra i più polemici si segnala il giovane ministro dell'Energia, Aleksandar Popovic, fedelissimo di 
Kostunica, con un passato di studi universitari in Russia, che in un'intervista ripresa oggi dalla newsletter Vip ha avuto a sua volta parole di fuoco contro Washington e Bruxelles, accusate entrambe di non spingere per “un compromesso accettabile”, perché bramose di creare “uno staterello Nato” sul territorio del Kosovo. Una entità in cui - a giudizio di Popovic - le unità militari internazionali sotto controllo Nato “avrebbero poteri illimitati, non sottoposti ad alcuna vera autorità civile: cosa che non avviene in nessuno Stato democratico, e meno che mai nei Paesi Occidentali fondatori della Nato''. (ANSA). LR
20/08/2007 15:49

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http://www.srbija.sr.gov.yu/vesti/vest.php?id=37422
Governo di Serbia – 14 agosto 2007

La Serbia non accetterà mai una colonia Nato in Kosovo-Metohija

Belgrado – Oggi, il ministro Serbo dell’Educazione Zoran Loncar ha affermato che l’intera comunità internazionale è consapevole che la Serbia non accetterà mai che la Nato crei un quasi-stato o una colonia militare sul suo territorio.
In una dichiarazione all’agenzia di notizie Tanjug, Loncar ha ribadito che la questione della minoranza Albanese in Kosovo-Metohija ha fornito alla Nato l’opportunità di tentare di insediare il suo primo stato militare fantoccio.
Inoltre, ha aggiunto: “La Nato, dopo avere intrapreso un’azione militare contro la Serbia, ha inviato le sue truppe nel  Kosovo-Metohija ed ora, tramite il piano proposto da Martti Ahtisaari per determinare il futuro status del Kosovo-Metohija, sta tentando di creare il suo primo stato militare. L’Allegato 11 del piano Ahtisaari propone in via diretta che la Nato deve esercitare un’autorità senza limiti sullo stato supposto indipendente del Kosovo-Metohija. A questo punto sono gli Stati Uniti a portare la maggiore responsabilità, se alla fine non viene abbandonato questo progetto di formare il primo stato della Nato”. 
Il Ministro dell’Educazione ha concluso che questa è una pre-condizione essenziale per trovare una soluzione che si basi su un compromesso negoziale che possa soddisfare gli interessi sia dei Serbi che dei cittadini di  etnia Albanese presenti nella provincia.

http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2007&mm=08&dd=14&nav_category=90&nav_id=43014
B92, Beta (Serbia) – 14 agosto 2007

“La Nato vuole che il Kosovo diventi uno stato fantoccio”

Belgrado – Un ministro del Governo di Koštunica e membro del Partito Democratico di Serbia (Dss, conservatore) afferma che la Nato intende trasformare il Kosovo in un suo proprio stato. 
La dichiarazione del ministro dell’Educazione Zoran Loncar, riportata martedì da Beta, è la terza presa di posizione degli ultimi giorni che critica duramente l’Alleanza e che proviene dagli ambienti del Partito Democratico di Serbia del primo Ministro Vojislav Koštunica.
In modo particolare, il Ministro degli Interni Dragan Jocic aveva ribadito domenica che “un progetto da parte della Nato di creare uno stato proprio era il più grande ostacolo per una sistemazione del Kosovo.”
In più, Loncar, passando ad un linguaggio più forte, ha sottolineato che la Nato ha sfruttato l’opportunità creata dai “problemi con la popolazione di etnia Albanese in Kosovo” per “tentare di insediare il suo primo stato militare fantoccio”. 
Loncar ha ricordato all’agenzia di informazioni che è stata la Nato a bombardare la Serbia e che ha portato le sue truppe in Kosovo, ed ora sta cercando di insediare uno stato di sua proprietà, secondo le condizioni del piano dell’Inviato dell’ONU Martti Ahtisaari sullo stato del Kosovo. 
“L’Allegato 11 del piano Ahtisaari accorda alla Nato autorità diretta e poteri senza limiti in uno stato presunto indipendente”.
Il ministro ha aggiunto che “l’intera comunità internazionale conosce bene che la Serbia non permetterà mai alla Nato di creare sul suo territorio un quasi-stato.” 

http://www.iht.com/articles/ap/2007/08/15/europe/EU-GEN-Serbia-US
Associated Press – 15 agosto 2007

La Serbia accusa gli USA di volere il Kosovo come “stato satellite”

Belgrado, Serbia – Mercoledì, la Serbia ha incrementato la sua campagna contro gli Stati Uniti, accusandoli di volere creare uno “stato satellite” al posto della provincia separata del Kosovo. 
“Ora che stiamo per sederci nuovamente al tavolo dei negoziati sul Kosovo, è fondamentale che la Nato e gli Stati Uniti rinuncino a creare uno stato satellite in una provincia del sud della Serbia.” Così si è espresso Slobodan Samardzic, ministro per il Kosovo del governo Serbo.
La sua dichiarazione ai media locali è stato l’ultima di una serie di accuse contro gli USA per il loro appoggio all’indipendenza del Kosovo, dove l’etnia Albanese rappresenta il 90% dei due milioni di abitanti della provincia.  
A Samardzic si è unito il capo dell’autorevole Chiesa Ortodossa Serba in Kosovo, che ha ribadito che la Serbia non dovrebbe mai rinunciare alla provincia, a qualsiasi prezzo, anche se dovesse sopportare “2.000 anni” di isolamento. Il Vescovo Artemije ha affermato: “Loro, (l’Occidente), ci stanno offrendo in cambio di diventare membri dell’Unione Europea.” 
Il Kosovo, considerato da molti Serbi come la culla della loro nazionalità e della loro religione, è solo formalmente una parte della Serbia. La provincia è passata sotto l’amministrazione delle Nazioni Unite e della Nato dal 1999, quando la Nato ha scatenato una guerra aerea per bloccare il governo della Serbia che si opponeva ai separatisti Albanesi.
La settimana scorsa, delegati degli Stati Uniti, dell’Unione Europea e della Russia si sono dati 120 giorni di tempo in un tentativo per mettere fine alla situazione di stallo sul Kosovo.
Il nuovo impegno arriva in seguito alla minaccia della Russia di bloccare nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU un piano confezionato dall’Occidente che garantisce al Kosovo una indipendenza “supervisionata internazionalmente”. I diplomatici devono ripresentare una relazione al segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon, il 10 dicembre.
Samardzic, il ministro Serbo per il Kosovo, ha evidenziato come l’eventuale stato del Kosovo, creato sotto l’influenza USA, “servirebbe solo agli interessi dell’America e dei clan locali della mafia Kosovara.” 
L’ultima campagna appoggiata dal governo Serbo contro gli Stati Uniti è con tutta evidenza a sostegno ulteriore dell’opposizione all’indipendenza del Kosovo da parte della Russia, opposizione alle politiche Statunitensi che si sta esercitando su diversi fronti.   

http://www.reuters.com/article/worldNews/idUSL1580306920070815
Reuters – 15 agosto 2007

I Serbi accusano l’Occidente di volere il Kosovo trasformato in uno “stato Nato”

Belgrado – I Serbi stanno conducendo una campagna contro l’indipendenza della provincia in via di separazione del Kosovo e accusano l’Occidente di essere alla ricerca nei Balcani di insediare uno “stato della Nato”.
Numerosi politici affermano che gli alleati Nato sono determinati a costruire il nuovo stato utilizzando territorio Serbo, puntando sulle richieste di indipendenza della maggioranza Albanese (90%) della popolazione del Kosovo.
Per bloccare una risoluzione di indipendenza del Kosovo alle Nazioni Unite, la Serbia ha ottenuto l’appoggio del diritto di veto della Russia e del Presidente Vladimir Putin, che spesso si sono opposti agli obiettivi della Nato.
Mercoledì, la Russia ha accusato l’Occidente di perseguire l’indipendenza del Kosovo sotto la minaccia della “violenza e dell’anarchia” Albanese.  
In un articolo, il Ministro degli Esteri Sergei Lavrov ha scritto che i partners Occidentali di Mosca sono “tendenzialmente disposti a cadere nel ricatto”. 
L’inclinazione della Serbia verso Mosca è tale che solo qualche commentatore Serbo si stupirebbe se, con la perdita del Kosovo, il governo si preparasse seriamente ad abbandonare le politiche e gli obiettivi filo Occidentali.
L’idea di uno “stato della Nato” è affiorata in vari commenti della settima scorsa. Aveva cominciato a spuntare con il Primo Ministro Vojislav Kostunica, il cui governo di coalizione aspira a diventare membro della Nato. Infatti, Kostunica ha minacciato di rompere le relazioni con tutti gli stati che nell’evenienza decidessero di riconoscere l’indipendenza del Kosovo, e fra questi ci sono le più importanti potenze della Nato. E un giornale di area governativa ha fatto trapelare che la Serbia avrebbe ritirato la sua richiesta all’ingresso come membro dell’Unione Europea.
Secondo il Ministro per il Kosovo, Slobodan Samardzic, il progetto della Nato è quello di rendere il Kosovo un territorio di sua proprietà e un portavoce di Kostunica ha messo in evidenza come la base militare USA, Camp Bondsteel, diverrebbe la sua capitale.
Mercoledì, Samardzic ha dichiarato alla agenzia di informazioni Tanjug che la Nato vuole il Kosovo come sua base per “realizzare obiettivi geopolitici e strategici, suoi e dei clan mafiosi.” 
Inoltre raccomandava a Washington di rinunciare al “progetto di creare uno stato satellite, insieme di caserme dell’esercito, su territorio straniero”, nel momento in cui i Serbi e gli Albanesi del Kosovo stanno per dare inizio ad un nuovo e probabilmente conclusivo giro di consultazioni per ricercare un compromesso sul futuro della provincia.  
In un commento, probabilmente per irritare l’alleanza Occidentale, il Ministro ha insistito nel dire che il reale obiettivo della guerra aerea della Nato del 1999 era “la creazione dello stato della Nato che sarebbe coinciso con il Kosovo indipendente”.   

http://www.srbija.sr.gov.yu/vesti/vest.php?id=37439
Governo della Serbia – 15 agosto 2007

La Nato e gli USA devono abbandonare il progetto di creare uno stato satellite. 

Belgrado – Il Ministro Serbo per il Kosovo-Metohija, Slobodan Samardzic, ha richiesto agli USA di abbandonare il progetto di creare uno stato Nato nella forma di un Kosovo-Metohija indipendente, nel momento in cui è atteso l’inizio di nuovi negoziati sul futuro status della provincia. 
In una dichiarazione all’agenzia di informazioni Beta, Samardzic ha sottolineato come, nel momento in cui nuovi negoziati stanno per avere inizio, sarebbe di importanza cruciale che la Nato e gli USA abbandonassero il progetto di creare uno stato satellite nel Kosovo-Metohija.
Il Ministro ha posto in rilievo come questo progetto non abbia nulla a che vedere con la ricostruzione economica del Kosovo-Metohija e con la riconciliazione fra Serbi e i cittadini di etnia Albanese, e tanto meno con il futuro Europeo di questa parte di Europa. 
Secondo Samardzic, questo tipo di stato servirebbe solo a conseguire obiettivi militari geopolitici e strategici degli USA, e sarebbe utile agli scopi dei gruppi mafiosi locali presenti nel Kosovo-Metohija, e questo renderà impossibile un futuro di pace e di prosperità per le popolazioni della provincia. Ha messo in evidenza che, per queste ragioni, la Serbia aveva respinto il piano prospettato da Martti Ahtisaari, che nell’allegato 11 propone di insediare una presenza Nato in permanenza nel Kosovo-Metohija.
Samardzic ha ricordato che nel corso dei precedenti otto anni la comunità internazionale aveva avuto la possibilità di verificare il reale obiettivo dell’azione militare della Nato contro la Serbia, quello della creazione di uno stato Nato con la scusa dell’indipendenza del Kosovo-Metohija.

http://news.xinhuanet.com/english/2007-08/16/content_6539052.htm
Xinhua News Agency – 16 agosto 2007

La Serbia accusa la Nato di volere costituire in Kosovo uno stato “caserma”

Tirana – Mercoledì, la Serbia ha accusato la Nato e gli Stati Uniti di cercare di insediare uno stato satellite “caserma” nella sua provincia meridionale autonoma del Kosovo. Questa notizia arriva direttamente da Belgrado. 
In una dichiarazione del Ministro della Serbia per il Kosovo, Slobodan Samardzic, si ribadisce che  “la Nato e gli Stati Uniti dovrebbero abbandonare il progetto di creare uno stato satellite “caserma” in un territorio straniero nel momento in cui si stanno aprendo nuovi negoziati sul futuro status del Kosovo”.
Samardzic ha dichiarato che il tipo di stato che si vorrebbe per il Kosovo servirebbe solo agli interessi della Nato e degli Stati Uniti, e costituirebbe una salvaguardia dei profitti dei clan mafiosi nella provincia, e impedirebbe in permanenza un futuro di pace e di prosperità per le popolazioni locali. 
La Tanjug, l’agenzia ufficiale di informazioni della Serbia, ha riportato le affermazioni di Samardzic: “Questo progetto non ha nulla a che vedere con la ricostruzione economica del Kosovo-Metohija e con la riconciliazione fra Serbi e i cittadini di etnia Albanese, e tanto meno con il futuro Europeo di questa parte di Europa.”
Il Kosovo è stato amministrato dall’ONU e dalla Nato dal 1999, quando la Nato ha scatenato bombardamenti aerei per bloccare la Serbia nei suoi attacchi contro i separatisti Albanesi. La popolazione di etnia Albanese, che rappresenta il 90% della popolazione di circa 2 milioni della provincia, sta domandando l’indipendenza, mentre i Serbi del Kosovo vogliono rimanere nell’ambito della Serbia.   
In marzo, l’inviato speciale dell’ONU Martin Ahtisaari ha proposto al Consiglio di Sicurezza un piano per risolvere la questione Kosovo, che prevede una indipendenza del Kosovo sotto supervisione internazionale.
Il piano, appoggiato dagli Stati Uniti e da altri paesi dell’Occidente, ha ricevuto la vigorosa opposizione della Serbia e del suo alleato, la Russia, che esercita un potere di veto nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU. 
La settimana scorsa, delegati dell’Unione Europea, degli Stati Uniti e della Russia, la cosiddetta Troika per il Kosovo,  si sono dati 120 giorni in un tentativo di superare il punto morto a cui è giunto la questione del Kosovo. Alla fine di agosto, a Vienna, questi avevano programmato di dare inizio ad un nuovo negoziato per superare il problema. 

http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2007&mm=08&dd=16&nav_category=90&nav_id=43067
B92, Beta (Serbia) – 16 agosto 2007

Il DSS, Partito Democratico di Serbia, continua la guerra delle parole contro la Nato 

Belgrado – Oggi, il Ministro dell’Interno Dragan Jocic ha nuovamente accusato la Nato di avere l’intenzione di trasformare il Kosovo in “un suo proprio stato fantoccio”.
Inoltre, ha aggiunto che l’Alleanza non può “più a lungo nascondere” queste intenzioni.
La dichiarazione è la seconda di questo tipo negli ultimi quattro giorni.
Jocic ha dichiarato alla Beta che “la Nato non può più a lungo nascondere la sua vera intenzione di trasformare il Kosovo in un suo stato fantoccio militarizzato. Il piano di Ahtisaari, in cui è definito a chiare lettere che la Nato avrà poteri illimitati in un Kosovo supposto indipendente, è stato prospettato in modo da iscrivere e conservare il territorio della nostra provincia nell’ambito delle proprietà del Patto della Nato.”
Il Ministro ha aggiunto che il bombardamento della Serbia nel 1999 “viene spiegato perfettamente dal piano Ahtisaari, che, questo bisogna dirlo, dà luogo alla creazione del primo stato della Nato.” 
Jocic è arrivato a dire che, “Se gli USA intendono costruire normali relazioni con la Serbia, e questo dovrebbe avvenire, allora devono mettere fine a questo pericoloso esperimento, che è iniziato con l’illegale, e soprattutto crudele, distruzione del nostro paese.”
Jociæ viene ritenuto essere una delle figure più influenti nel partito guidato dal Primo Ministro Vojislav Koštunica. La settimana scorsa, i suoi colleghi di partito e di Gabinetto hanno unito la loro voce in dure critiche al ruolo dell’Alleanza nella crisi sullo status del Kosovo.  
I partners del Partito Democratico di Serbia DSS nell’attuale coalizione al governo, in primis il Partito Democratico del Presidente Boris Tadic, fino a questo momento non si sono espressi a riguardo. Rifiutando di commentare le dichiarazioni polemiche. 

http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2007&mm=08&dd=17&nav_category=90&nav_id=43088
B92, Beta (Serbia) – 17 agosto 2007

Un consigliere di Koštunica: È giunto il tempo di ritornare in Kosovo

Belgrado, Gnjilane – Un consigliere del Primo Ministro dichiara che è giunto il tempo del ritorno di un certo numero di truppe Serbe in Kosovo.
Venerdì, Aleksandar Simic ha riferito ai giornalisti che la Risoluzione dell’ONU 1244, che assicura alla Serbia la sovranità sul Kosovo, consente anche la possibilità del ridispiegamento di un certo numero di forze militari e di polizia nella provincia.
Facendo eco ad una dichiarazione rilasciata mercoledì da uno dei leaders Serbi del Kosovo, Marko Jakšic, Simic ha così commentato: “È giunto il tempo che questo avvenga.”
Secondo Simic, “i leaders separatisti Albanesi in Kosovo hanno dimostrato nei fatti di non avere alcun desiderio a trattare” nei prossimi colloqui fra Belgrado e Pristina su un nuovo status della provincia. Simic ha continuato: “Attualmente sono date ulteriori prove che la sola forza che può costringere gli Albanesi Kosovari a trattare sono gli Stati Uniti. Se questo paese rinunciasse alle sue mire di creare uno stato della Nato nei Balcani, sarebbero effettivamente possibili dei negoziati, con la produzione di un compromesso, per noi doloroso, ma estremamente necessario alla stabilità dei Balcani e dell’Europa.” 
Interrogato dai giornalisti se le ripetute affermazioni rilasciate da funzionari statali del Partito Democratico di Serbia DSS di Koštunica, in cui la Nato viene accusata di cospirare per insediare un suo proprio stato nella regione, significano che la Serbia ha rinunciato alla sua precedente politica di diventare membro della Nato, Simic ha risposto che il governo “non intende discutere su questo argomento.” 

http://www.focus-fen.net/index.php?id=n119629
Focus News Agency (Bulgaria) – 17 agosto 2007

La Serbia esige il ritorno del suo esercito e della sua polizia in Kosovo

Belgrado – Venerdì, un funzionario Serbo di alto grado, fra tensioni crescenti sullo status futuro della provincia sotto amministrazione ONU, ha dichiarato che la Serbia esige di inviare nuovamente in Kosovo soldati e poliziotti, questo secondo l’agenzia AFP. 
Aleksandar Simic, un consigliere del Primo Ministro Vojislav
Kostunica, ha affermato all’agenzia di stampa Beta: “Noi reputiamo che sia giunto il momento per fare questo!” 
La Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che ha messo fine al conflitto in Kosovo fra le forze Serbe e i separatisti di etnia Albanese, conteneva un’opzione che prevedeva che più di 1.000 poliziotti e militari Serbi potevano essere rinviati nella provincia a guardia dei siti culturali e religiosi. 
L’opzione non è stata mai messa in esecuzione per il timore di esacerbare tensioni.
Nel giugno 1999, le forze armate Serbe venivano mandate via dalla provincia in seguito ad una campagna di bombardamenti della Nato... 
Anche se giuridicamente rimaneva una provincia della Serbia, da allora il Kosovo passava sotto l’amministrazione di una missione ONU, con un dispiegamento di 16.000 uomini della Nato per “mantenere la pace”.  
Secondo le recenti proposte dell’inviato speciale dell’ONU Martti Ahtisaari – respinte sia dalla Serbia che dalla Russia, ma appoggiate dagli Stati Uniti – al Kosovo dovrebbe venire concessa una indipendenza “supervisionata”. 
Simic ha unito le sue accuse agli Stati Uniti a quelle di un certo numero di ministri Serbi, che imputano agli USA di volere allargare la loro influenza nella regione. “Se gli USA rinunciano alla creazione di uno stato Nato nei Balcani, saranno possibili effettivamente dei negoziati sullo status futuro del Kosovo”.
La Troika internazionale costituita da Stati Uniti, Unione Europea e Russia ha proposto un nuovo giro di negoziati sul Kosovo in seguito al rifiuto del piano Ahtisaari da parte di Mosca.
La ripresa dei colloqui era prevista per il 30 agosto a  Vienna.
I cittadini di etnia Albanese del Kosovo, che costituiscono il 90% della popolazione di 1,8 milioni di abitanti, vogliono null’altro che l’indipendenza, mentre Belgrado si oppone a qualsiasi cosa che sia più di un alto grado di autonomia. 

http://www.srbija.sr.gov.yu/vesti/vest.php?id=37452
Governo della Serbia – 17 agosto 2007

È giunto il tempo che un certo numero di soldati e di poliziotti della Serbia ritornino nel Kosovo-Metohija

Belgrado –Oggi, il consigliere del Primo Ministro della Serbia, Aleksandar Simic, ha asserito che, in linea con la Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, è giunto il tempo in cui un certo numero di soldati e funzionari di polizia Serbi ritorni nel Kosovo-Metohija.
In una dichiarazione all’agenzia di stampa Beta, Simic ha affermato che, secondo la Risoluzione 1244, che assicura la sovranità della Serbia, l’ONU e la Nato hanno l’obbligo di permettere il ritorno della polizia e dell’esercito Serbo nel territorio della provincia.
Secondo Simic, le asserzioni dei leaders dei separatisti Albanesi del Kosovo-Metohija, seguite all’incontro con gli inviati della Troika del Gruppo di Contatto, indicano che loro non vogliono alcun negoziato e che il prossimo periodo, che andrà fino al 10 dicembre, sarà una “mera perdita di tempo”. Simic ha aggiunto che questa è una prova ulteriore che gli USA sono la sola forza che può costringere ad un negoziato gli Albanesi del Kosovo, e che, solo se gli USA rinunciano a creare uno stato della Nato nei Balcani, allora saranno possibili effettivi negoziati ed un compromesso tanto indispensabile per la stabilità dei Balcani e dell’intera Europa. Simic ha continuato che, solo seguendo alla lettera le decisioni del Consiglio di Sicurezza, può essere assicurato il rispetto della Carta dell’ONU e del diritto internazionale, e questo sarà reso impossibile da “creazioni pericolose e mostruose di quasi-stati nel cuore della Serbia e dei Balcani”.  
 
http://www.iht.com/articles/ap/2007/08/17/europe/EU-GEN-Serbia-Kosovo
Associated Press – 17 agosto 2007

Serbia spinge per un ritorno in Kosovo del suo esercito e della sua polizia

Belgrado, Serbia – Venerdì, un dirigente ha dichiarato che la Serbia fa pressioni per un ritorno del suo esercito e della sua polizia in Kosovo, un’azione che potrebbe aumentare le tensioni etniche nella provincia autonoma. Aleksandar Simic, un portavoce del primo Ministro Vojislav Kostunica, ha affermato che è “giunto il tempo di un ritorno” nella provincia di quasi 1.000 uomini appartenenti alle forze di sicurezza Serbe. 
In Kosovo, il 90% dei due milioni di abitanti sono di etnia Albanese. L’amministrazione ONU in Kosovo ha rifiutato ogni commento prima dell’arrivo di una formale richiesta da parte del governo Serbo per un ritorno delle sue truppe. 
Secondo una Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU promossa nel 1999, quando le truppe della Nato avevano cacciato dal Kosovo le forze di sicurezza della Serbia, che avevano messo in atto misure restrittive contro i separatisti Albanesi Kosovari, alla Serbia veniva assicurato il ritorno di circa 1.000 fra soldati e poliziotti a guardia dei confini della provincia e delle chiese e dei monasteri Serbo-Ortodossi. Ma la Nato e gli appartenenti al contingente dell’ONU per conservare la pace in Kosovo non avevano permesso il ridispiegamento... 
Il Kosovo, considerato da molti Serbi come la culla della loro nazionalità e della loro religione, è solo formalmente una parte della Serbia. Dal 1999, quando la Nato ha scatenato una guerra aerea per bloccare il governo della Serbia nei suoi attacchi contro i separatisti Albanesi, la provincia è stata sotto amministrazione delle Nazioni Unite e della Nato.
La settimana scorsa, i diplomatici inviati dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea e dalla Russia si sono dati 120 giorni nel tentativo di mettere fine alla situazione di stallo relativa alla questione Kosovo. Per il 30 agosto, a Vienna, si darà inizio ad un nuovo giro di consultazioni. 
Simic ha sottolineato che il ritorno delle truppe Serbe in Kosovo è una “precondizione” per un possible accordo con l’etnia Albanese.
Il nuovo tentativo di negoziato segue la minaccia della Russia di bloccare nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU  il piano appoggiato dagli USA di assegnare al Kosovo un’indipendenza sotto supervisione internazionale. I diplomatici presenteranno una relazione al Segretario Generale dell’ONU Ban Ki-moon per il 10 dicembre 2007. 

http://www.focus-fen.net/index.php?id=n119726
Tanjug (Serbia) – 18 agosto 2007

La Serbia fa pressioni sulla Nato per bloccare il piano dell’inviato dell’ONU per il Kosovo

Belgrado – Sabato, il consigliere per i rapporti con i media del Primo MinistroVojislav Kostunica, Srdjan Djuric ha dichiarato alla stampa che la Nato deve rinunciare ad appoggiare il piano dell’Inviato dell’ONU Martti Ahtisaari per la risistemazione del Kosovo e che le assicurazioni che l’Alleanza non sta cercando di creare un suo proprio stato nel Kosovo-Metohija per la Serbia valgono meno di niente. E Djuric ha continuato, asserendo che fin tanto che la Nato continua a sostenere il piano di Ahtisaari, e particolarmente l’Allegato 11, risulta chiaro che sta tentando di creare il primo stato Nato; inoltre, la Nato non ha mai detto che avrebbe rispettato l’inviolabilità dei confini della Serbia riconosciuti internazionalmente, la sovranità della Serbia e la sua integrità territoriale. 
Venerdì, la portavoce della Nato, Carmen Romero, ha ribadito ai media di Belgrado che la Nato non sta facendo nulla in segreto e dietro alle spalle della Serbia....

http://www.nasdaq.com/aspxcontent/NewsStory.aspx?cpath=20070817%5cACQDJON200708171320DOWJONESDJONLINE000592.htm&
Associated Press – 17 agosto 2007

La Nato respinge il tentativo della Serbia di riportare il suo esercito e la sua polizia in Kosovo 

Belgrado – Venerdì, la Nato ha respinto la richiesta della Serbia per un ritorno in Kosovo del suo esercito e della sua polizia, un ridispiegamento che potrebbe alimentare le tensioni etniche nella provincia autonoma. In Kosovo, il 90% dei due milioni di abitanti sono di etnia Albanese
Aleksandar Simic, un portavoce del Primo Ministro Vojislav Kostunica ha dichiarato: “È giunto il tempo del ritorno” nella provincia di circa 1.000 appartenenti al personale di sicurezza della Serbia .
Michael Knop, un portavoce del contingente di pace in Kosovo sotto l’egida della Nato, ha risposto: “Le forze Serbe non saranno autorizzate al ritorno”. Ed ha aggiunto che “è la forza internazionale responsabile della sicurezza in Kosovo e non esiste alcun proposito di autorizzare tale decisione.”  Secondo una Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU promossa nel 1999, quando le truppe della Nato avevano cacciato dal Kosovo le forze di sicurezza della Serbia, che avevano messo in atto misure restrittive contro i separatisti Albanesi Kosovari, alla Serbia veniva assicurato il ritorno di circa 1.000 fra soldati e poliziotti a guardia dei confini della provincia e delle chiese e dei monasteri Serbo-Ortodossi. Ma la Nato e gli appartenenti al contingente dell’ONU per conservare la pace in Kosovo non avevano permesso il ridispiegamento, temendo che ciò avrebbe irritato gli Albanesi Kosovari e riacceso la violenza e le tensioni etniche nella regione.
Il Kosovo, considerato da molti Serbi come la culla della loro nazionalità e della loro religione, è solo formalmente una parte della Serbia. Dal 1999, quando la Nato ha scatenato una guerra aerea per bloccare il governo della Serbia nei suoi attacchi contro i separatisti Albanesi, la provincia è stata sotto amministrazione delle Nazioni Unite e della Nato.
La settimana scorsa, i diplomatici inviati dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea e dalla Russia si sono dati 120 giorni nel tentativo di mettere fine alla situazione di stallo relativa alla questione Kosovo. Per il 30 agosto, in Austria, a Vienna, si darà inizio ad un nuovo giro di consultazioni. 
Simic ha sottolineato che il ritorno delle truppe Serbe in Kosovo è una “precondizione” per un possibile accordo con l’etnia Albanese. Il nuovo tentativo di negoziato segue la minaccia della Russia di bloccare nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU  il piano appoggiato dagli USA di assegnare al Kosovo un’indipendenza sotto supervisione internazionale. I diplomatici presenteranno una relazione al Segretario Generale dell’ONU Ban Ki-moon per il 10 dicembre 2007. 
 
 http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2007&mm=08&dd=19&nav_category=90&nav_id=43124
FoNet (Serbia) – 19 agosto 2007 

“Le forze potrebbero ritornare immediatamente”

http://www.serbianna.com/news/2007/01551.shtml
Serbianna, Agencies - April 20, 2007

China against Kosovo independence, Serbia

BELGRADE, Serbia - The Serbian government said
Wednesday it had received support from a senior
Chinese official for its opposition to a U.N. plan
that would give independence to Serbia's breakaway
province of Kosovo.
Russia has already expressed support for the Serb
position on Kosovo, which has been a U.N. protectorate
since 1999. The province's majority ethnic Albanians
have been seeking independence, but Belgrade wants to
retain at least formal control over the area.
The Serbian government said in a statement that
Chinese Vice Premier Hui Liangyu said during a meeting
with Prime Minister Vojislav Kostunica that China "is
against imposed solutions and deadlines" that would
quickly determine the province's future status.
Hui Liangyu urged more talks between Belgrade and
Kosovo "so a negotiated solution, acceptable to both
sides, is found that would maintain peace and
stability in the region," the government statement
said.
China had no immediate comment on the Serbian
statement, a duty officer at the Chinese Foreign
Ministry press section said Wednesday. There were no
notices or statements about this issue on the Foreign
Ministry's Web site.
U.S. Undersecretary of State Nicholas Burns has said
the U.S. considers independence the only option for
Kosovo and has suggested that the U.S. may recognize
Kosovo's split from Serbia, even if Russia carries out
its threat to veto the U.N. plan when it comes to a
vote at the Security Council.
Kostunica reiterated Belgrade's stand that Kosovo, its
historic heartland, must remain within Serbia. He said
Serbia "greatly appreciates" the Chinese view on
Kosovo.
Serbia's pro-Western President Boris Tadic also met
Hui, thanking him in a statement for China's
"principal stand in regards to Kosovo's future
status."
"Serbia will use all available diplomatic and legal
means to protect its territorial integrity and
sovereignty," Tadic said after the meeting.
Serbia has been seeking support from Russia and China
in its bid to keep Kosovo within its borders.
Belgrade has suggested it relies on Russian and
Chinese veto at the U.N. Security Council, which will
have the final say on the U.N. plan that proposes
internationally supervised statehood for the province.
The Chinese call for more negotiations reflects
Serbian and Russian demands, despite U.S. calls for a
quick acceptance of the U.N. plan in the Security
Council.
U.N. special envoy Martti Ahtisaari, who has presented
his proposal to the council, said that there was no
point to more negotiations because the Serbs and
Kosovo Albanians are very much apart on Kosovo's
future status.
Amid a flurry of diplomatic activity regarding Kosovo,
Russia's Foreign Minister Sergei Lavrov is to arrive
in Belgrade later Wednesday for a two-day visit.
Kosovo has been run by a U.N. administration and
patrolled by NATO peacekeepers since the end of a NATO
air war to halt a crackdown by Serb government troops
against ethnic Albanian rebels seeking independence.



http://www.srbija.sr.gov.yu/vesti/vest.php?id=38310
Government of Serbia - September 13, 2007

Only a compromise solution for Kosovo-Metohija status
issue guarantees regional stability

Beijing – Serbian Minister of Foreign Affairs Vuk
Jeremic said today that only a solution acceptable to
both sides for the future status of Kosovo-Metohija
could provide regional stability.
At a lecture held at the Institute of International
Studies in Beijing, Jeremic expressed gratitude to
China for its principled support to Serbia in the
effort to find a solution based on compromise,
acceptable to both sides.
China’s principled stand was always there and will
never be forgotten, stressed the Minister, and he
added that China’s stand on the issue has brought the
two countries closer together, just as Serbia’s stand
regarding Taiwan did.
Jeremic said that only such a solution could secure
viable, quick and harmonious economic growth in the
entire region, as well as political stability, which
is an essential condition for the economic growth of
any country.
According to Jeremic, attempts to impose solutions are
universally unacceptable in the international
community, and not just for Serbia.
A solution, such as the recognition of the separatist
ambitions of the Kosovo Albanians, would lead to the
forcible breakup of Serbia and would give a blow to
the very essence of international order.
He warned that this would set a precedent which could
jeopardize stability in southeast Europe, and threaten
security in many other parts of the world.
He said that there is a huge difference between stands
taken by Belgrade and Pristina, but expressed
expectation that a compromise is still possible if the
two sides show sincere willingness to transcend their
differences for the sake of peace and reconciliation.
The Minister said that Belgrade is against setting an
artificial deadline for concluding the process of
negotiations.
Serbia will continue making efforts to strengthen
cooperation with China, said Jeremic and pointed to
the fact that China today is a strong factor in global
political stability, economic growth and social
equality.
Jeremic also met in Beijing with Chinese Foreign
Minister Yang Jiechi and stressed on the occasion that
Serbia attaches great importance to relations with
China.
Serbia values China’s positive role on the
international scene said Jeremic and pledged to make
efforts to further develop bilateral relations.
Yang Jiechi said that China will never alter its
policy of developing relations with Serbia regardless
of the situation in the West Balkans and in the world.
He gave a positive assessment of relations between
China and Serbia and expressed willingness to widen
cooperation.
Jeremic and Yang Jiechi signed a protocol on
cooperation between the two ministries.


http://www.srbija.sr.gov.yu/vesti/vest.php?id=38396
Government of Serbia - September 15, 2007

Serbia gets China’s support for stand on Kosovo-Metohija status issue

Belgrade, Sept 15, 2007 – Serbian Minister of Foreign Affairs Vuk
Jeremic said in an interview for today’s edition of the daily
Vecernje Novosti that China will not support an imposed solution
which is not based on a compromise for the future status of Kosovo-
Metohija in the Security Council, and is not in favour of setting
deadlines in the negotiations on the status of the province.
The Serbian government’s official website presents the interview in
full.


On recent visit to China and talks with Chinese Vice-President Zeng
Qinghong and Foreign Minister Yang Jiechi:

Talks were conducted in an excellent atmosphere! We had meetings at
the highest level, and our hosts began discussion on the issue
themselves, stating that international issues must not be settled
through use of force. We reached agreement concerning questions which
are important for our countries, and Serbia got support for its stand
on the Kosovo status issue.

Is this the first time that Serbia has openly received firm
reassurance from this permanent member of the Security Council that
it will not support a solution which is not acceptable both to
Belgrade and Pristina?

China always had a principled on the Kosovo status issue, based on
international law. That was visible during the Security Council
debate held in June. But until this point it was not expressed so
explicitly.

How much will the Chinese stand affect other Security Council members?

It is certain that the stand of an important and permanent Security
Council member on the issue of the future status of Kosovo-Metohija
is very significant. Undoubtedly it will have an affect upon all
forums and organisations of which China is a member, including the
most important one, the Security Council.


(Source: R. Rozoff via yugoslaviainfo@yahoogroups;com)

(italiano / english)

Hungary: Communists under attack

1) Un nuovo episodio della “caccia alle streghe” anticomunista in Europa
2) Hungary: Free Speech Under Attack
3) ESTRATTI DALL'INTERVENTO DEL RAPPRESENTANTE DEL PARTITO COMUNISTA OPERAIO D'UNGHERIA Gyula Thürmer alla Conferenza a Lisbona dei Partiti Comunisti ed Operai (10-12 Novembre 2006) 
4) L'allarme della Federazione della Stiria del Partito Comunista Austriaco sulla persecuzione ai danni dei comunisti in Ungheria e non solo (febbraio 2007)

=== 1 ===

www.resistenze.org - popoli resistenti - ungheria - 10-09-07 - n. 193

 
Ungheria: attacco contro la libertà d’espressione

 

Un nuovo episodio della “caccia alle streghe” anticomunista in Europa

 

06/09/2007
 
Il Presidente del Partito Comunista dei Lavoratori Ungherese, Gyula Thurmer, ha inviato una lettera ai partiti comunisti di tutti i paesi, chiedendo solidarietà per il nuovo attacco sferrato contro i comunisti nel suo paese. Nell’associarci alla solidarietà che già si sta manifestando nel mondo verso i coraggiosi militanti comunisti ungheresi impegnati a difendere l’esistenza del loro partito, ci auguriamo che anche i rappresentanti istituzionali delle forze democratiche e di sinistra presenti in Italia facciano la loro parte, innalzando una vigorosa protesta nei confronti delle autorità di un paese che, oltretutto, fa parte dell’Unione Europea.
 
Si ponga immediatamente fine alla persecuzione in atto!
 
La redazione di "Resistenze.org"           

   

---

 

Cari compagni,

 

L’intero Presidium del Partito Comunista dei Lavoratori Ungherese si trova sotto la minaccia della condanna a due anni di prigione. Venerdì 21 settembre 2007, il Tribunale cittadino di Szekesfehervar giudicherà la causa intentata contro il Presidium del Partito Comunista dei Lavoratori Ungherese (HCWP). Il Presidente Gyula Thurmer ed altri sei membri del Presidium sono accusati di “diffamazione pubblica”. Secondo il Codice Penale Ungherese essi potrebbero essere condannati ad un massimo di due anni di carcere.

 

Chiediamo la vostra solidarietà. Vi chiediamo di condannare la persecuzione politica contro il nostro partito. Vi chiediamo di organizzare in settembre manifestazioni davanti all’Ambasciata ungherese del vostro paese, esigendo la fine della persecuzione contro i comunisti e che vengano garantiti i diritti costituzionali del popolo.

 

I retroscena del caso

 

Nel giugno 2005, appena dopo le elezioni per il Parlamento Europeo, l’ex vicepresidente del Partito Comunista dei Lavoratori Ungherese, Attila Vainaj, avviò un’ampia offensiva politica ed ideologica contro la leadership del partito, chiedendo un cambiamento radicale della sua linea politica. Le caratteristiche di fondo di tale posizione consistevano nell’esigere dai comunisti la cooperazione e la collaborazione con il Partito Socialista Ungherese, che governava l’Ungheria dal 2002. Egli riuscì ad ottenere sostegni in quelle città e località, dove i membri del nostro partito collaboravano con i socialisti nelle amministrazioni locali.

 

La maggioranza dei membri del Comitato Centrale e la maggioranza dei membri del Partito respinsero la posizione di Attila Vajnai e dei suoi sostenitori, considerandola una piattaforma politica che pretendeva di mettere in discussione l’intera esperienza politica del partito; di distruggere l’unità del partito, e di trasformarlo in una forza riformista e in un fedele alleato dei socialisti al governo. Il Comitato Centrale confermò la tesi, secondo cui il Partito Socialista Ungherese è un partito capitalista con una tipica politica neoliberale. Esso non ha niente a che fare con i programmi e i valori della Sinistra.

 

Il Comitato Centrale decise l’espulsione di Vajnai e dei suoi sostenitori dal partito il 12 marzo 2005. Alcune settimane più tardi, il 2 aprile 2005, il Comitato Centrale convocò il 21° Congresso del partito per il 4 giugno 2007, allo scopo di risolvere la crisi politica.

 

L’opposizione interna, capeggiata da Attila Vajnai, si appellò allora al Tribunale di Budapest, chiedendo l’invalidazione delle risoluzioni del Comitato Centrale del Partito Comunista dei Lavoratori Ungherese.

 

Il Tribunale di Budapest invalidò le risoluzioni del Comitato Centrale l’8 giugno 2005, riconfermando l’appartenenza di Vajnai e dei suoi sostenitori al partito e a tutti gli incarichi dirigenti ricoperti in precedenza e annullando così tutte le decisioni prese dal partito nel 21° Congresso.

 

La conseguenza è stata la quasi totale paralisi dell’attività per alcuni mesi, che ha impedito un’adeguata preparazione delle elezioni parlamentari di aprile 2006. Sì è determinata una situazione molto difficile per l’intero partito e l’insieme del movimento operaio.

 

Il Presidium del Partito Comunista dei Lavoratori Ungherese ha espresso la propria opinione in una dichiarazione. Esso ha affermato che la sentenza è stata una sentenza politica, che non ha precedenti nella storia legale degli ultimi due decenni. Il Presidium ha dichiarato che la sentenza rappresenta una risposta vendicativa al referendum promosso dal nostro partito contro la privatizzazione degli ospedali (il referendum si è svolto nel 2004 e circa due milioni di elettori hanno votato contro la privatizzazione del sistema sanitario).

 

Il Tribunale di Budapest ha richiesto al Presidium del partito di ritirare immediatamente la propria opinione e di dichiarare che la sentenza non aveva niente a che fare con la politica. La leadership del partito ha rifiutato di farlo.

 

Il presidente del Tribunale di Budapest ha poi deciso di chiamare in giudizio l’intera dirigenza del partito. Sul caso ha indagato la polizia nel febbraio 2006 (proprio alla vigilia delle elezioni parlamentari) ed il Presidium è stato incriminato per “diffamazione pubblica”.

 

La posizione del Partito Comunista dei Lavoratori Ungherese

 

Il Partito Comunista dei Lavoratori Ungherese è convinto che questa sentenza violi la Costituzione ungherese. L’articolo 61 della Costituzione concede a chiunque la libertà di esprimere la propria opinione.

 

Pensiamo che lo scopo della persecuzione sia quello di attaccare il nostro partito. Nel 2005, la sentenza del Tribunale di Budapest ha impedito che il partito si mobilitasse perché la crescente insoddisfazione del popolo entrasse in parlamento.

 

Ora, nel momento in cui ci stiamo consolidando, alcuni circoli politici vogliono liquidare il partito.

 

Ciò è parte di una vasta campagna anticomunista in corso in Europa. A Praga, l’Unione della Gioventù Comunista è stata messa al bando; a Budapest, la tomba dell’ex leader comunista Janos Kadar è stata profanata; a Tallin, il monumento agli eroi sovietici è stato smantellato. Adesso, due anni di prigione minacciano i dirigenti comunisti ungheresi.

 

Ribadiamo che i comunisti ungheresi continueranno la lotta, e che nessuno potrà intimidirli. In questa dura situazione chiediamo il vostro sostegno e la vostra solidarietà.

 

Fraternamente,

 

Gyula Thurmer
Presidente del Partito Comunista dei Lavoratori Ungherese

 

Traduzione dall’inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

=== 2 ===

Free Speech Under Attack

Dear Comrades,

THE ENTIRE Presidium of the Hungarian Communist Workers’ Party is under threat of two years of imprisonment. On Friday 21st  September 2007, the City Court of Szekesfehervar will hear the case against the Presidium of the Hungarian Communist Workers’ Party (HCWP). President Gyula Thürmer and six other members of the Presidium of HCWP are accused of “public libel”. Under the Hungarian Criminal Code they could face a maximum of two years in jail.

We ask for your solidarity. We ask you to condemn the political prosecution against the HCWP. We ask you to organise in September meetings in front of the Hungarian embassy in your country, demanding the halt of the prosecution against the communists and to guarantee the constitutional rights of people.

1. The background of the case is the following:

In June 2005, just after the European Parliamentary elections, former vice-president of the HCWP Attila Vajnai launched a wide political and ideological offensive against leadership of the party, demanding a principal change of the political line of the party. The main essence of his position was that the Communists should cooperate and work with the Hungarian Socialist Party, which has been governing Hungary since 2002. He succeeded in getting support in those cities and localities where the members of the Hungarian Communist Workers’ Party had been cooperating with the Socialists in the local municipalities.

The majority of the members of the Central Committee and the majority of Party members rejected the position of Attila Vajnai and his supporters, seeing it as a political platform that wanted to reconsider the whole political experience of the party; to destroy the unity of the party, and to change it into a reformist party and close supporter of the governing Socialists. The Central Committee confirmed that the Hungarian Socialist Party is a capitalist party, a right-wing social-democratic party with a typical neo-liberal policy. It has nothing to do with Left programmes and values.

The Central Committee of the HCWP expelled Vajnai and his supporters from the party on 12th March 2005. Some weeks later, on the 2nd April 2005 the Central Committee convened the 21st Congress of the party for 4th June 2007 to resolve the political crisis.

The internal opposition headed by Attila Vajnai turned to the Budapest Court demanding that the resolutions of the Central Committee of the HCWP be invalidated.

The Budapest City Court invalidated the resolutions of the Central Committee on the 8th June 2005. The Court restored the membership of Vajnai and his supporters to the party and to all leading bodies of the party that they had held and cancelled all the resolutions of the 21st Congress.

As a consequence, the HCWP was paralysed to a great degree for some months, and could not make the necessary preparations for the parliamentary elections in April 2006. It led to very difficult situation in the whole party and the whole workers’ movement.

The Presidium of the HCWP expressed its opinions in a declaration. It said that the judgment was a political judgement, which has no precedent in the legal history of the last two decades. The Presidium declared that the judgment was revenge for the referendum initiated by the Hungarian Communist Workers’ Party against the privatisation of hospitals. (The referendum took place in December 2004 and almost two million voters voted against the privatisation of the health care system).

 The Budapest Court demanded that the Presidium of the Party officially withdraw this opinion and declare that the court judgement had nothing to do with politics. The leadership of the party refused to do it.

The head of the Budapest City Court then decided to prosecute the whole leadership of the party. The case was investigated by the police in February 2006 (just before the parliamentary elections) and the Presidium was charged with “public libel”.

2. The position of the HCWP:

The Hungarian Communist Workers’ Party is convinced that this judgement violates the Hungarian Constitution. Article 61 of the Constitution gives everybody the freedom to express their opinion.

We consider that the purpose of prosecution is to attack the Hungarian Communist Workers’ Party. In 2005 the judgement of the Budapest Court prevented our party from mobilising the rising dissatisfaction of the people to get into parliament.

Now, when our situation has been consolidated, some political circles want to liquidate the party.

It is a part of the wide anti-communist campaign going on across Europe. In Prague the Communist Youth Union was banned; in Budapest the grave of [former communist leader] Janos Kadar was dishonoured, in Tallinn the monument of Soviet heroes was dismantled. Now two years of imprisonment threaten the Hungarian Communist leaders.

We confirm that we Hungarian Communists will continue our fight, and nobody can threaten us. In this serious situation we ask your support and solidarity.

Comradely yours,

Gyula Thürmer

President - Hungarian Communist Workers’ Party

Source: New Communist Party of Britain

=== 3 ===

Conferenza a Lisbona dei Partiti Comunisti ed Operai
10-12 Novembre 2006



ESTRATTI DALL'INTERVENTO DEL RAPPRESENTANTE DEL
PARTITO COMUNISTA OPERAIO D'UNGHERIA Gyula Thürmer


(...) Noi sperimentiamo ogni giorno gli attacchi delle forze capitaliste contro gli operai e le classi lavoratrici. Ed ogni giorno sperimentiamo i loro attacchi contro i partiti comunisti. Vogliono distruggerci completamente. Non ci perdoneranno mai il 1917 e il 1945. Ora si prendono la vendetta. Le forze capitaliste hanno conquistato l'Europa Orientale. L'Unione Europea ha occupato i nostri mercati, compresa l'Ungheria. Non si sono arrestati. Continuano i loro attacchi in direzioni differenti.

In primo luogo, nei nostri paesi che già hanno aderito all'UE e alla NATO, vogliono mettere le spese dell'ammodernamento capitalista sulle spalle della gente che lavora. Vogliono che le nostre masse paghino la loro modernizzazione capitalista. Ecco perché attaccano il nostro sistema della sanità, della formazione, il sistema delle pensioni. In questo modo il capitale europeo non scarica su di noi solo le spese della modernizzazione capitalistica europea, ma anche i loro conflitti sociali.

In secondo luogo, in quei paesi che non partecipano ancora al sistema integrato capitalista, viene propagandata la cosiddetta democratizzazione. Essi vogliono coinvolgere questi paesi nella loro sfera di influenza. In pratica significa l'esportazione della controrivoluzione capitalistica in questi paesi. Ora, in primo luogo mi riferisco alla Bielorussia.
Compagni, noi siamo convinti che la nostra lotta è piuttosto difficile, ma non è una missione impossibile.  La nostra missione è possibile. In base alla nostra esperienza consideriamo inevitabile risolvere i seguenti problemi.

In primo luogo, dovremmo combattere contro il capitalismo. Dovremmo combattere per gli interessi dei lavoratori nei nostri paesi. Se cerchiamo compromessi con il capitalismo, se desideriamo essere adattati nel sistema democratico borghese, moriremo, spariremo. Se combattiamo contro il capitalismo, affronteremo certo grandi difficoltà, ma sopravviveremo e vinceremo.
In secondo luogo, dovremmo sostenere tutte le forze che combattono contro il capitalismo.  Il capitalismo ha non abbandonato i programmi militari. Al contrario. Il capitale non accetta più limitazioni. Non ci sono confini nazionali. Non ci sono neppure norme internazionali obbligatorie. L'Unione Sovietica non esiste più. Il capitale ha trovato i nuovi nemici nel terrorismo internazionale e nel mondo islamico.

Noi siamo contro la cosiddetta democratizzazione dei paesi indipendenti dell'Est europeo. Siamo contro la politica delle pressioni esercitata nei confronti della Bielorussia. Siamo dalla parte dei comunisti della Bielorussia e della gente della Bielorussia. Compagni, io esorto tutti voi a non ripetere gli errori storici della nostra lotta durante la aggressione NATO contro la Jugoslavia. Dovremmo essere pronti a tempo debito ad aiutare il popolo della Bielorussia. Noi comunisti ungheresi siamo pronti a svolgere un ruolo di coordinamento su questo problema.

Noi sosteniamo la lotta giusta del popolo arabo contro l'imperialismo. La battaglia per la pace del Medio Oriente continua non solo nei paesi arabi. Noi europei possiamo svolgere un ruolo importante in questo campo.
Siamo convinti che il presidente Chavez in Venezuela sta combattendo con la stessa bandiera rossa che agitiamo noi. Sosteniamo la loro lotta contro l'imperialismo degli Stati Uniti, sosteniamo la loro rivoluzione bolivariana.

Sosteniamo le forme multinazionali di cooperazione dei partiti comunisti ed operai. 
Sosteniamo il processo iniziato a Atene. Ci siamo avviati nella direzione giusta. Abbiamo bisogno di riunirci regolarmente. Abbiamo bisogno di un Fondo di Solidarietà. Servono gruppi di lavoro che possano aiutare la nostra lotta a livello nazionale. Noi sosteniamo pienamente la bozza di documento comune.

Compagni, tutti voi sapete degli eventi turbolenti avvenuti di recente in Ungheria. Non è ancora una rivoluzione sociale. Non è una rivoluzione ma possiamo dire che il capitalismo ungherese è in crisi. La lotta sta continuando fra forze politiche che rappresentano la stessa capitalista. Il Partito socialista ungherese (MSZP) ed il Partito dei liberal democratici (SZDSZ) vogliono mantenere il potere. La Lega dei giovani democratici - Partito civico ungherese (Fidesz) vorrebbero conquistare il potere. Nessuno di loro è innocente come un candido agnellino. 

D'altra parte, piccoli e medi capitalisti ora rappresentati dai proprietari delle farmacie e dai medici combattono contro il grande capitale, che è sostenuto dal governo attuale. Combattono per la loro propria esistenza di capitalisti. Combattono perché la loro vita ed esistenza sono legate alle sorti dell'Ungheria. Essi non possono trasferire le loro farmacie o ambulatori dai villaggi ungheresi a Parigi.

E c'è un altro aspetto ancora. Anche gli intellettuali ungheresi lottano contro il grande capitale. Sono stati gli intellettuali ungheresi a preparare il cambiamento del sistema sociale-economico nel 1990. Ora stanno perdendo tutto. Sulla televisione potete vedere i tesori delle aziende multinazionali, e non i rappresentanti degli intellettuali ungheresi. Non sono presenti nel sistema di potere neppure simbolicamente. Gli intellettuali meglio di tutti gli altri gruppi sociali sentono che stiamo perdendo gli elementi di base della nostra esistenza nazionale, le scuole ungheresi, la cultura ungherese, e la lingua ungherese.

Gli operai, la classe operaia non partecipa ancora a questa battaglia. Ma è anche vero che incominciano a capire la loro situazione disperata. Sono i perdenti del capitalismo ed ora sono loro a pagare la modernizzazione capitalista.

Che cosa stiamo facendo noi?
In primo luogo, abbiamo deciso di lottare con tutte le nostre forze per gli interessi dei nostri operai. Non siamo interessati al successo delle riforme capitalistiche promosse dal governo attuale. Non siamo interessati ad una tale soluzione laddove dovremmo essere noi a pagare il prezzo della modernizzazione capitalista.

In secondo luogo, abbiamo deciso di sostenere la lotta delle piccole e medie imprese ungheresi per la loro sopravvivenza. È la loro battaglia ma allo stesso tempo è anche una nostra battaglia.

In terzo luogo, abbiamo deciso difendere e rinforzare il nostro partito, l'unico partito della sinistra marxista in Ungheria. Al nostro recente ventiduesimo congresso, terminato il 4 novembre scorso, abbiamo deciso di rinnovare completamente il nostro partito, in pratica per sviluppare un nuovo partito, un'organizzazione marxista leninista rivoluzionaria efficace e combattiva, costituita di membri disciplinati. Noi non possiamo mai prevedere come la situazione si svilupperà domani. Dovremmo essere sempre dalla parte degli operai e della gente che lavora.

Il Partito comunista operaio ungherese è uno dei partiti comunisti degli ex paesi socialisti europei. Sono convinto che i nostri partiti hanno un grande potenziale rivoluzionario.
Le società europee orientali sono piene dei conflitti. Il capitalismo distrugge gli operai e la gente che lavora. Noi non siamo i vincitori nel capitalismo, siamo le vittime. Stiamo cercando nuove risposte. Desideriamo contribuire al rafforzamento dello spirito rivoluzionario del movimento comunista.

Grazie,
Gyula Thürmer,
presidente del Partito Comunista Operaio Ungherese

THIS TEXT IN ENGLISH:


=== 4 ===

Partito Comunista di Austria - federazione della Stiria
Lagergasse 98a
8020 Graz

Mercoledi 14 febbraio 2007

Comunicato stampa del PCA della Stiria

Appello all'Europa:
Non abbiate timore dei comunisti!

In alcuni Stati della UE, come la Lettonia, la Rep. Ceca o l'Ungheria, gli obiettivi politici ed i simboli del movimento comunista sono soggetti a discriminazione. Per ragioni di principio, il PCA di Stiria partecipa a tutte le iniziative di solidarietà contro questi atti antidemocratici.

Dichiara il segretario federale Franz Stephan Parteder: "Mettere un freno a questi tentativi di reprimere le opinioni a sinistra è nell'interesse di tutti i democratici e di tutte le persone che ritengono che il capitalismo sfrenato non sia la fine della storia".

Per questo il PCA della Stiria ha deciso di esprimersi contro la messa al bando della Lega della Gioventù Comunista della Repubblica Ceca e di mobilitarsi anche contro il divieto, vigente in Ungheria, di esporre in pubblico simboli del movimento operaio quali la falce ed il martello o la stella rossa.

Pertanto, all'inizio di febbraio Franz Stephan Parteder ha preso parte ad una conferenza stampa internazionale tenutasi a Budapest. In questa maniera egli ha espresso la solidarietà del PCA della Stiria con il funzionario del partito comunista ungherese Attila Vajnai, contro il quale nel paese con noi confinante è stata sporta denunzia per avere portato una stella rossa. Lo scorso 5 febbraio il processo è stato aggiornato.

Nel corso della Conferenza Stampa, cui hanno preso parte anche il presidente del partito ungherese Janos Fratanolo e l'esponente del partito comunista slovacco András Prágay, Parteder ha sottolineato come una legge che sanziona i simboli del movimento operaio ungherese ed internazionale non può essere ammessa da un punto di vista democratico. Egli ha ricordato come il PCA della Stiria abbia partecipato alla campagna elettorale per il parlamento regionale usando la stella rossa ed anche il simbolo della falce e martello e lo slogan: "Non abbiate timore" dei comunisti.

Le differenze di opinione che esistono in Europa tra i comunisti e gli altri partiti progressisti della sinistra non possono, secondo la visione del PCA di Stiria, impedire che su questa questione sia espressa la necessaria ed urgente solidarietà.

(fine)



(castellano / francais / english)


Castro says US lied about 9/11 attacks

Mark Tran and agencies
Wednesday September 12, 2007
Guardian Unlimited

Fidel Castro today joined the band of September 11 conspiracy
theorists by accusing the US of spreading disinformation about the
attacks that took place six years ago.
In a 4,256-word article read by a Cuban television presenter last
night, the country's leader asserted that the Pentagon was hit by a
rocket, not a plane, because no traces were found of its passengers.
"Only a projectile could have created the geometrically round orifice
created by the alleged airplane," he said. "We were deceived as well
as the rest of the planet's inhabitants," he said...

http://www.guardian.co.uk/cuba/story/0,,2167354,00.html

---

9/11 is an inside job

The Empire and its lies

by Fidel Castro Ruz*

On the 6th anniversary of the September 11th attacks, the Cuban
television has broadcast a Venezuelan documentary about Thierry
Meyssan’s work. During the following debate, a message from President
Fidel Castro was read to the audience. As Hugo Chavez had done the
year before, he points the incoherencies of the Bushians’ story
around the events. Furthermore, explaining how a U.S. lobby had
attempted to assassinate Ronald Reagan, he explains how such crimes
and lies are rife within the Empire. Fidel Castro Ruz is the fifth
current head of state to take this stand...

http://www.voltairenet.org/article151391.html

---

L’Empire et ses mensonges

par Fidel Castro Ruz*

La télévision cubaine a diffusé, à l’occasion du 6e anniversaire des
attentats du 11 septembre, un documentaire vénézuélien consacré aux
analyses de Thierry Meyssan. Au cours du débat qui a suivi, un
message du président Fidel Castro a été lu. Comme l’avait fait le
président Hugo Chavez l’an passé, il y stigmatise les incohérences de
la version bushienne des événements. Plus encore, témoignant de la
manière dont un lobby états-unien avait tenté d’assassiner Ronald
Reagan, il explique comment de tels crimes et de tels mensonges ont
cours dans l’Empire. Fidel Castro Ruz est le 5e chef d’État en
exercice à prendre publiquement cette position...

http://www.voltairenet.org/article151437.html

---

11 Septiembre: La Gran Impostura

El imperio y la mentira

por Fidel Castro Ruz*

La televisión cubana difundió, con motivo del sexto aniversario de
los atentados del 11 septiembre, un documental venezolano mostrando
los análisis del investigador Thierry Meyssan. Después de la
proyección hubo un debate en el cual se pronunció un mensaje del
presidente Fidel Castro, de la misma manera como lo hizo el
presidente Chávez el año pasado. El Comandante denunció las
incoherencias de la administración Bush en estos sucesos, así como el
intento del lobby estadounidense en asesinar Ronald Reagan en el
pasado. Explicando como tales crímenes y mentiras ocurren en el
Imperio. Fidel Castro es el quinto jefe de Estado a tomar posición
públicamente...

http://www.voltairenet.org/article151440.html

IN MERITO A QUEL MAIALE DI CALDEROLI


Calderoli: "Un maiale-Day contro l'Islam"
http://www.repubblica.it/2007/09/sezioni/politica/calderoli-moschee/
calderoli-moschee/calderoli-moschee.html

Nuova provocazione del leghista contro la moschea di Bologna: ci
porterò a passeggio il mio maiale
http://www.tesseramento.it/immigrazione/pagine52298/newsattach1060_Il%
20manifesto%2014.pdf

Variazioni sul tema:

http://zombi.indivia.net/bologna/

http://www.gennarocarotenuto.it/dblog/articolo.asp?articolo=1298

(francais / italiano)



11 settembre, riappare il fantasma di mezzanotte

di Giulietto Chiesa

su Il Manifesto del 09/09/2007


Ecco la nuova apparizione dell'ectoplasma, altrimenti detto Osama bin Laden. Vigilia del sesto anniversario dell'11 settembre, puntuale come il fantasma di mezzanotte. Il direttore della Cia, che l'ha annunciato, fa sapere che è la prima prova, dal 2004, che Osama sarebbe ancora vivo. Cioè dalla famosa esternazione, a tre giorni dal voto, che contribuì non poco alla rielezione di George W. Bush. Se tanto ci dà tanto, qualche cosa sta per accadere anche in questo caso.
Tra i terroristi arrestati in Germania, quelli presi in Danimarca, il clima di un attacco contro gli Stati Uniti sembra finalmente propizio. Proprio come aveva previsto Zbignew Bzezinski il 2 febbraio scorso parlando davanti alla commissione Difesa del senato americano.
Vedrete, aveva detto l'ex segretario alla sicurezza americano (sotto Jimmy Carter), quando sarà chiaro che Al Maliki non riesce a raggiungere gli obiettivi assegnatigli, Washington comincerà ad accusare l'Iran, poi ci sarà un attentato terroristico su grande scala, magari contro gli Stati Uniti, subito dopo il quale il presidente ordinerà l'attacco contro l'Iran. L'unica cosa che Bzezinski non aveva detto era che, per la messa in scena, sarebbe stato opportuno che riapparisse l'ectoplasma.
Il vuoto è stato riempito.
Peccato che l'ectoplasma avesse la barba un po' troppo nera. Forse hanno esagerato con la tintura.
Per adesso tutti scrivono le notizie che fornisce la Cia e, dietro la Cia, la Cnn e così via copiando. Ma non è escluso che, anche in questo caso, si scoprirà, tra un fotogramma e l'altro, il logo della Intelservices, la ditta americana che sembra abbia l'esclusiva delle immagini di Osama bin Laden.
Vedremo, ma per intanto sarà utile ricordare che non una sola delle apparizioni del suddetto ectoplasma è stata autenticata come vera.
A partire dalla prima, qualche mese dopo la tragedia, che fu trovata misteriosamente in una cassetta in una grotta afgana, da non meglio identificati militari americani. In quel caso, come in tutti i successivi, l'intero mainstream mondiale abboccò all'amo (volentieri per altro) senza verificare, senza controllare. Proprio come questa volta. Sarebbe bastato poco, allora, per scoprire che il protagonista somigliava a Osama bin Laden più o meno come chi scrive somiglia a Magdi Allam. Il naso non era suo, gli occhi nemmeno, aveva un anello d'oro che non avrebbe dovuto, e la telecamera sembrava proprio attaccata al bavero di uno spione ficcato nel gruppo per riprendere di nascosto. E soprattutto si capiva poco di quello che stava dicendo. Vatti a fidare delle traduzioni. Forse l'aveva fatta, in quel caso, il famoso Memri, che sta a Washington, che è stato diretto da un ex agente del Mossad e che sbaglia - non certo per caso - a tradurre perfino Ahmadinejad.
Spesso, quando mi capita di dubitare delle storie che ci hanno raccontato sull'11 settembre, c'è sempre qualcuno che mi chiede, tra stupito e indignato (anche tra gente di sinistra): ma come possiamo dubitare? Lo stesso Osama bin Laden ha rivendicato di essere stato l'autore dell'attentato!
In effetti bisognerebbe prima essere certi che quello che parla è Osama. E abbiamo molte ragioni per dubitarne. Ma, anche se lo fosse, resterebbero sempre non poche questioni da risolvere. Quando parla, le rare e tempestive volte che lo fa, riesce sempre a inanellare considerazioni irrilevanti e qualche sciocchezza. Anche in questo ultimo caso: «Da noi non si pagano le tasse», avrebbe detto. Ma vi pare che, con il poco tempo a disposizione, uno che pretende di tenere in scacco l'occidente intero non sappia inventare qualche cosa di più solenne, di più ieratico?
E, se non fosse lui che parla - cosa che inclino a pensare - come mai non ha mai avuto un soprassalto di orgoglio mandando ad Al Jazeera un veemente comunicato di smentita? Invece neanche uno. Come se fosse d'accordo e stesse lasciando che gli facciano fare la parte. Solo se fosse defunto un tale comportamento sarebbe scusabile.
Ma, se fosse defunto, chi è l'autore di questo ectoplasma? Del suo vice Al Zawahiri neanche a parlarne. Quello appare molto più di frequente, ma da quando abbiamo saputo che partecipò attivamente alle vicende delle brigate islamiche che combatterono in Bosnia e in Kosovo, equipaggiate dall'Mpri (Military personnel research incorporated, filiale Cia) e, qualche anno prima, fece un giro negli Stati Uniti, accompagnato da un agente dei servizi segreti americani, per raccogliere fondi a sostegno della Jihad, abbiamo pochi dubbi che si tratti di personaggio equivoco. Agente semplice, doppio, o triplo. E un agente che si rispetti non smentisce mai. Un po' come il defunto Al Zerkawi, il molto temibile capo di Al Qaeda in Irak, di cui il generale George W. Casey Junior dice di aver fabbricato alcuni documenti e il comandante delle operazioni psicologiche in Irak, Mark Kimmit, dice testualmente che «il programma Al Zarkawi di operazioni psicologiche (psyop) è la campagna d'informazione meglio riuscita» (vedi Washington Post del 10 aprile).
E come prendere sul serio il nuovo capo di Al Qaeda, tale Abu Omar al-Baghdadi, «commendatore dei credenti», se Kevin J Bergner, consigliere del presidente americano, rivela che colui che lo impersonò nel momento della sua solenne apparizione, il 15 ottobre 2006, era un attore e che «Al Qaeda in Irak e una pura mistificazione»? (New York Times, 19 luglio). Tutto si può fare, salvo credergli.


=== FRANCAIS ===


Ben Laden Show


11 septembre, voilà que revoilà le fantôme de minuit

par Giulietto Chiesa*

À l’occasion du 6e anniversaire des attentats du 11 septembre 2001, l’administration Bush a ressorti sa veille croquemitaine, Oussama Ben Laden. « Tremblez bonnes gens ! » hurle-t-on à Washington pour faire taire les mécontents de la crise financière et du désatre irakien. Tandis que le député européen Giulietto Chiesa se gausse de ce spectacle dérisoire et éculé.

14 SEPTEMBRE 2007

Voici la nouvelle apparition de l’ectoplasme, autrement dit Oussama Ben Laden. Veille du sixième anniversaire du 11 septembre, ponctuel comme le fantôme de minuit. Le directeur de la Cia qui l’a annoncé, fait savoir que c’est la première preuve, depuis 2004, que Ben Laden soit encore vivant. C’est-à-dire depuis la fameuse externalisation, à trois jours du vote, qui contribua de façon pas négligeable du tout à la réélection de Georges W. Bush. À cette allure, quelque chose est en train de se préparer cette fois aussi.

Entre les terroristes arrêtés en Allemagne et ceux pris au Danemark, le climat d’une attaque contre les États-Unis semble finalement propice. Exactement comme l’avait prévu Zbignew Brzezinski le 2 février dernier, devant la Commission Défense du Sénat états-unien [1].

Vous verrez, avait dit l’ex-secrétaire à la sécurité états-unien (sous la présidence de Jimmy Carter), quand il sera clair que Al-Maliki n’arrivera pas à atteindre les objectifs qu’on lui a assignés, Washington commencera à accuser l’Iran, puis il y aura un attentat terroriste à grande échelle, éventuellement contre les États-Unis, après quoi, immédiatement, le président ordonnera l’attaque contre l’Iran. La seule chose que Brzezinski n’avait pas dit c’était que, pour la mise en scène, il aurait été opportun que l’ectoplasme réapparaisse.

Le vide a été comblé

Dommage que l’ectoplasme ait eu la barbe un peu trop noire. Peut-être ont-ils exagéré avec la teinture.

Pour le moment, tout le monde reprend les nouvelles que fournit la CIA et, après elle, CNN et ainsi de suite en recopiant. Mais il n’est pas exclu que, même dans ce cas, on ne découvre, entre un photogramme et l’autre, le logo d’IntelCenter, la boîte US qui semble avoir l’exclusivité des images d’Oussama Ben Laden.

Nous verrons, mais en attendant, il sera utile de se souvenir que pas une seule des apparitions de l’ectoplasme cité précédemment n’a été authentifiée comme vraie.

À commencer par la première, quelques mois après la tragédie, qui fut mystérieusement trouvée dans une cassette au fond d’une grotte afghane, par des militaires états-uniens non mieux identifiés. Dans ce cas, comme dans tous ceux qui ont suivi, le courant dominant mondial dans son ensemble mordit à l’hameçon (volontiers d’ailleurs) sans vérifier, sans contrôler. Exactement comme cette fois ci. Il aurait suffi de peu, à l’époque, pour découvrir que le protagoniste ressemblait à peu près autant à Osama Ben Laden que l’auteur de ces lignes ne ressemble à Magdi Allam [2]. Le nez n’était pas le sien, les yeux non plus, il avait une bague en or qu’il n’aurait pas du avoir, et la caméra semblait vraiment accrochée au collet d’un espion fourré dans le groupe pour filmer en cachette. Et surtout on ne comprenait pas grand-chose à ce qu’il disait. Allez vous fier aux traductions. Peut-être que, dans ce cas, c’était le fameux Memri qui l’avait faite, l’agence de Washington, qui a été dirigée par un ex-officier du Mossad et qui se trompe —comme par hasard— pour traduire même Ahmanidejad. En principe, quand il m’arrive de douter des histoires qu’on nous raconte sur le 11 septembre, il se trouve toujours quelqu’un pour me demander, mi-stupéfait mi-indigné (même chez les gens de gauche) : mais comment peut-on douter ? Ben Laden lui-même a revendiqué être l’auteur de l’attentat !

En effet, il faudrait d’abord être certains que celui qui parle est Oussama. Et nous avons de nombreuses raisons d’en douter. Mais, même s’il l’était, il resterait toujours bon nombre de questions à résoudre. Quand il parle, les rares fois, et toujours fort à propos, où il le fait, il arrive toujours à boucler des considérations insignifiantes et quelque stupidité. Cette fois aussi : « Chez nous on ne paye pas d’impôt », aurait-il dit. Mais vous croyez vraiment, avec le peu de temps qu’il a à sa disposition, que quelqu’un qui prétend tenir en échec tout l’Occident n’arriverait pas inventer quelque chose de plus solennel, plus hiératique ?

Et, si ce n’est pas lui qui parle —chose que je suis enclin à penser— comment n’aurait-il jamais eu le moindre sursaut d’orgueil en envoyant à Al-Jazeera un véhément communiqué de démenti ? Pas un, au contraire. Comme s’il était d’accord et laisse qu’on lui fasse jouer ce rôle. Un tel comportement ne serait excusable que s’il était mort.

Mais, s’il était mort, qui est l’auteur de cet ectoplasme ? Son adjoint Al Zawahiri, n’en parlons même pas. Celui là apparaît beaucoup plus fréquemment, mais depuis qu’on a su qu’il avait participé activement aux épisodes des brigades islamiques qui ont combattu en Bosnie et au Kosovo, équipées par le MPRI (Military personnel research incorporociété de mercenaire externalisée de la CIA) et, quelques années auparavant, qu’il avait fait un tour aux États-Unis, accompagné par un agent des services secrets états-uniens, pour recueillir des fonds de soutien au Jihad, nous avons peu de doutes sur le fait qu’il s’agit d’un personnage équivoque. Agent simple, double ou triple. Et un agent qui se respecte ne dément jamais. Un peu comme le défunt Al Zarkaoui, le si terrible chef de Al Qaeda en Irak ; celui dont le général Georges W. Casey Junior dit qu’il lui a fabriqué certains papiers, et dont le commandant des opérations psychologiques en Irak, Mark Kimmit, dit textuellement que « le programme Al Zarkaoui d’opérations psychologiques en Irak (psyop) est la campagne d’information la mieux réussie » [3].

Et comment prendre au sérieux le nouveau chef de Al Qaeda, un certain Abu Omar al-Baghdadi, « commandeur des croyants », alors que Kevin J Berger, conseiller du président états-unien, révèle que celui qui le représenta au moment de sa plus solennelle apparition, le 15 octobre 2006, était un acteur et que « Al Qaeda en Irak est une pure mystification » ? [4]. On peut tout faire, sauf les croire.



Parlamentario europeo y periodista. Italia


Tribune publiée dans Il Manisfesto du 9 septembre 2007. Traduit de l’italien par Marie-Ange Patrizio



[1] « Brzezinski confirme que les États-Unis peuvent organiser des attentats sur leur propre territoire », Réseau Voltaire, 6 février 2007.

[2] Magdi Allam est un journaliste italien d’origine égyptienne, directeur-adjoint du Corriere della Sera, que nos médias qualifieraient sans doute de « musulman modéré », NdT.

[3] « Al Qaïda en Irak : faut-il croire George Bush ou ses généraux ? », par Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 25 juillet 2007.

[4] Ibid.