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INTRODUZIONE
Il movimento per la verità sull'11 settembre
Questo dossier presenta una documentazione – necessariamente incompleta, ma tuttavia significativa e soprattutto facilmente approfondibile e completabile facendo riferimento alle fonti e agli strumenti elencati in appendice – che dimostra in modo incontrovertibile che la versione ufficiale dei fatti dell'11 settembre 2001 (i 19 dirottatori suicidi di al-Qaeda all'attacco dell'America) è falsa da cima a fondo.
Vorrei che fosse chiaro – e spero sarà chiaro a chi leggerà il dossier – che questa non è un'ipotesi più o meno probabile, ma una certezza, un fatto insomma dimostrabile e dimostrato.
Altra cosa è sapere in dettaglio che cosa esattamente sia successo l'11 settembre e chi esattamente, con quali apparati e quali strumenti, siano gli architetti e i complici diretti e indiretti e i ruoli precisi che avrebbero ricoperto. Da questo punto di vista i misteri sono ancora molti, com'è inevitabile che accada. Ma è del tutto evidente che la storia dell'11 settembre con cui siamo stati martellati giorno e notte per quasi 6 anni è un mito costruito ad arte e con uno scopo preciso: la 'guerra infinita' scatenata già in quello stesso giorno e ad attentati ancora in corso. [1]
Senza volerci improvvisare filosofi, diciamo pure che pensiamo che la verità esiste, anche se può essere molto difficile – e anche rischioso - trovarla. Esiste e la si può avvicinare con l'esame dei fatti, con la logica e con molto, molto impegno e lavoro.
E' proprio quello che è successo con l'11 settembre. Qualcuno, anche gente molto autorevole [2], ha notato subito che molte cose non quadravano. Per chi se ne intende di aerei, radar e servizi segreti la puzza di “strage di stato”, come si diceva un tempo in Italia, era molto, molto forte. In seguito molti hanno fatto un lavoro da certosini, passando e ripassando al vaglio migliaia di informazioni, fotografie, riprese video, dichiarazioni dei personaggi coinvolti, trovando contraddizioni, facendo scoperte importanti. Pensiamo a Paul Thomson con la sua cronologia completa degli avvenimenti pertinenti all'11 settembre (9/11 complete timeline [3]) o a Nafeez Mosaddeq Ahmed con le sue analisi, usiamo parole sue, della
Molti altri si sono concentrati sui particolari specifici degli attentati. Il primo e più noto è senz'altro Thierry Meyssan, il primo ad accorgersi che non era possibile che il Pentagono fosse stato colpito dal volo 77, cioè da un Boeing 757. [5]
Utilizzando a fondo lo strumento di internet la ricerca si è fatta sempre più intensa, precisa, documentata, collettiva ed è sfociata nell'organizzazione delle prime conferenze e incontri con larga partecipazione di esperti. Ha visto la partecipazione attiva e indignata di testimoni diretti e familiari delle vittime. Ha dato luogo alla produzione di molti video che contengono testimonianze estremamente importanti.
Alla fine tutto questo lavoro ha trovato anche il suo sistematizzatore in David Ray Griffin. Per due anni Griffin, come tanti altri, ha creduto che a mettere in discussione la versione ufficiale fosse gente prevenuta o poco seria. Poi si è convinto del contrario e si è impegnato a fondo nell'esame di tutti i dettagli. Nei 4 libri che ha dedicato all'11 settembre (senza contare i numerosi articoli, conferenze e volumi di cui è stato il curatore insieme ad altri), Griffin analizza i fatti sempre con grande precisione e sistematicità, senza retorica, ma per questo in modo molto convincente anche per persone che non hanno a priori un orientamento antimperialista. L'argomentazione è quasi da aula di giustizia, rifugge dall'invettiva politica, rimane con i piedi per terra, senza cercare di immaginare quello che può essere successo se non ci sono elementi concreti per affermarlo, ma la conclusione è, forse proprio per questo, ancora più devastante per il sistema di potere degli Stati Uniti e per tutto l'occidente. Non è un caso dunque se la parte che l'opera di Griffin ha in questa nostra documentazione è molto rilevante [6].
L'ultimo libro di Griffin 'Debunking 9/11 Debunking' [7] è uscito da pochi giorni negli Stati Uniti. Ecco come ne parla, in una recensione [8], Paul Craig Roberts, già viceministro del tesoro del governo Reagan, condirettore del Wall Street Journal e teorico di quella che è passata alla storia come “reaganomics”, insomma un personaggio abbastanza lontano dal cliché dell''antiamericano' per partito preso che attribuisce a Bush e consorti tutti i mali del mondo:
Ma gli argomenti dei difensori della versione ufficiale, i cosiddetti “debunkers” [12], i cacciatori di quelle che definiscono “leggende metropolitane”?
Il libro di Griffin è dedicato proprio al confronto con questi argomenti e a valutarne la fondatezza. Lasciamo ancora la parola a Paul Craig Roberts:
La relazione del NIST e il lavoro di Popular Mechanics sono il riferimento costante di tutti coloro che cercano di smontare le accuse contro gli apparati segreti dello stato e gli uomini di Bush. Gli argomenti, a un esame attento, rivelano tutta la loro inconsistenza, ma una caratteristica comune dei cosiddetti 'debunkers' più che l'entrare nel merito è l'intento denigratorio e la distribuzione di etichette. Chi non crede alla versione ufficiale e ne rileva le contraddizioni viene fatto passare per irrazionale complottista, visionario in cerca di pubblicità o, peggio, pregiudizialmente antiamericano, 'negazionista' incline all'antisemitismo, inseguitore di torbide finalità.
Il primo a sperimentare questo trattamento è stato Meyssan. Il libro già citato di Meyssan, presidente del Réseau Voltaire [15], fece scandalo nel 2002, tanto più che una smagliatura nel sistema dei media, altrimenti così attento a emarginare le voci controcorrente, unitamente al diffuso scetticismo per la storia da fumettone hollywoodiano assai poco verosimile dell'attacco alle torri, gli assicurò una vasta eco. Alle reazioni indignate del Pentagono si accompagnò subito in Francia il tentativo di linciaggio personale di Meyssan con una contropubblicazione [16], prontamente tradotta in italiano con prefazione di Lucia Annunziata.
Nella prefazione la nostra Annunziata scrive che i libri cattivi sono pochi ma molto pericolosi (e quello di Meyssan evidentemente è uno di questi). Perchè? Perchè
Insomma la Annunziata non si è accorta delle tonnellate di paura irrazionale sparse a partire dall'11 settembre dai promotori della guerra infinita e puntualmente riattualizzate, con l'antrace, con i falsi allarmi, con gli attentati veri, con la paranoia della sicurezza. No, è Meyssan che dà un volto alle paure irrazionali... per dominare il mondo!
Il libello è abbastanza disgustoso perchè dedica pochissimo alla confutazione degli argomenti e molto al tentativo di delegittimare l'autore, accusandolo tra l'altro di 'negazionismo' [18]. Il successo del libro di Meyssan sarebbe segno dell'“irruzione dell'irrazionale tra il grande pubblico francese”. Vediamo allora all'opera la razionalità degli autori. Hubert Marty-Vrayance, un funzionario del servizio informazioni del ministero degli interni che avrebbe collaborato con Meyssan, scrive in una nota del 13 settembre 2001:
Sono parole lucide e lungimiranti, lette col senno di poi. Dasquié e Guisnel però se ne indignano:
Ecco nuovamente il mondo capovolto, come quello della Annunziata: Dasquié e Guisnel non si sono accorti che gli uomini di Bush hanno preteso di aver identificato il colpevole nell'arco di ore e qualche giorno dopo hanno anche iniziato una guerra con la scusa che l'Afganistan lo ospitava. L'invito alla prudenza non lo rivolgono agli uomini di Bush, che stanno sfruttando nel modo più bestiale gli attentati per i loro piani e intanto mettono ostacoli alle possibili inchieste e distruggono le prove. No, loro prendono di mira chi cerca di usare il cervello per capire che cosa sta succedendo.
E' un bell'esempio di ragionamento basato su un a priori, su un pregiudizio. E' una logica che si ritrova in quasi tutti i tentativi di confutare quelle che, sempre a scopo denigratorio, saranno d'ora in avanti chiamate “teorie complottiste” [19]
Del resto i “debunkers”, che si incaricano di spargere veleni su chi cerca la verità hanno uno sponsor ufficiale di tutto rispetto: nientemeno che Bush stesso, il quale già in un discorso all'ONU dell'11 novembre 2001, a invasione dell'Afganistan iniziata da un mese, si premura di far sapere che “non tollereremo scandalose teorie di complotti” e nell'agosto del 2006, citando un documento ufficiale sulla lotta al terrorismo ci fa sapere che “i terroristi reclutano con più efficacia tra le popolazioni le cui informazioni sul mondo sono inquinate da falsità e corrotte da teorie di complotti” [20].
Abbiamo citato per esteso il caso Meyssan-Dasquié perché anche le prese di posizione successive non si discostano da questo paradigma.
Lo schema è sempre lo stesso: quando il muro del silenzio viene rotto [21] scatta un allarme. E' successo con Meyssan ed è successo nuovamente, con grande intensità, nel corso dell'ultimo anno, quando il movimento per la verità sull'11 settembre ha incominciato a rompere gli argini e ad arrivare ai gandi mezzi di comunicazione (in Italia con alcune trasmissioni di Matrix di Mentana su Canale 5 e una di Report su Rai 3).
E' molto significativo notare chi sono quelli che rispondono prontamente all'allarme: sono infatti molto spesso persone o gruppi che amano definirsi progressisti o di sinistra. Sono loro che, quando viene superata la prima linea di difesa della informazione ufficiale si danno da fare ad allestire la seconda. Così, per rimanere ancora in Italia, è Deaglio di Diario che, con gran fanfara, sventolando come una gran scoperta Popular Mechanics, si preoccupa subito di fugare gli elementi di dubbio seminati tra gli indifesi spettatori televisivi dai filmati e dagli interventi trasmessi. Più di recente è la casa editrice progressista Terre di Mezzo, con la rivista Altreconomia, quella del “commercio equo e solidale”, che si fa carico di pubblicare in Italia “11 settembre. I miti da smontare” [22], che altro non è che la versione italiana del testo di Popular Mechanics (con la solita inversione è il movimento per la verità sull'11 settembre che diventa il fabbricante di miti) [23].
Questo fenomeno dei 'progressisti' che si preoccupano per l'influenza crescente del movimento per la verità sull'11 settembre non è naturalment
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(english / italiano)
Dossier : la "Tetova" dopo la "Kosova" – verso la Grande Albania
(Traduzioni di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)
("Tetova" e "Kosova" sono le dizioni schipetare per indicare la Macedonia occidentale e la provincia serba del Kosovo-Metohija)
1) “La Grande Albania”: un progetto per l’Europa (Pyotr Iskenderov)
2) “Dove ci sono più Albanesi – là sarà Albania.” (Faton Klinaku, Segretario dell’Organizzazione dei Veterani del KLA/UCK)
3) Cronologia del terrorismo Grande-Albanese e dibattito in FYROM, agosto 2007:
31 luglio 2007: attacco contro la stazione di polizia situata sul confine Kosovaro / 6 agosto 2007: attacco terroristico contro la sede del Governo Macedone / 13 agosto 2007: sesto anniversario dell’Accordo Quadro di Ohrid / 22 agosto 2007: evasi dalla Prigione Dubrava del Kosovo nascosti in Macedonia / 23 agosto 2007: la Macedonia esercita pressioni sulla “Troika” per venire consultata sul Kosovo / 24-29 agosto 2007: altri tre villaggi Albanesi stanno organizzando referendum per la separazione dalla Macedonia / 29 agosto 2007: ANA invia minacce a tutti i politici Albanesi in Macedonia / 29 agosto 2007: Si nutrono dubbi sull’ingresso della Macedonia come membro della NATO nel 2008...
4) “Come ti costruisco la nuova classe dirigente Kosovara”: Master negli Stati Uniti per i residenti in Kosovo
/ Master's Study in the United States for Residents of Kosovo
Fonte: R. Rozoff via Stop NATO - http://groups.yahoo.com/group/stopnato
Diffusione: Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia
=== 1 ===
di Pyotr Iskenderov
Strategic Cultural Foundation
Così, il segreto è stato svelato!
Il “premier” del governo del Kosovo, l’ex capobanda del terrorista “Esercito di Liberazione del Kosovo” (KLA), Agim Ceku ha precisato la data, in cui i dirigenti Albanesi della provincia avrebbero deciso di pronunciare la loro dichiarazione di indipendenza.
Questa è prevista per il 28 novembre 2007, quando la confinante Albania celebrerà la sua principale festa nazionale – la Giornata della Bandiera.
Allora si fa festa, tutti insieme, con l’Albania, ma per vie tortuose, poco oneste.
È da tanto tempo che questo giorno viene considerato dalla diaspora Albanese sparsa in tutto il mondo come la “Giornata di Tutti gli Albanesi”.
Per comprendere il significato per cui i separatisti del Kosovo hanno scelto questa data particolare per la loro dichiarazione di indipendenza, è sufficiente fare riferimento ai due eventi chiave della storia dell’Albania, non della storia di uno stato degli Albanesi, ma piuttosto delle loro origini etniche.
La prima pietra miliare è il periodo in cui la Lega di “Tutti gli Albanesi” operava a Prizren fra il 1878-1881. Prizren è una città del Kosovo.
Nel settembre 1878, i dirigenti della Lega di Prizren adottarono un programma di unificazione di “tutte” le province Albanesi in un unico stato autonomo e in un’unica entità politica, con l’introduzione dell’Albanese come lingua di uso per i documenti ufficiali e nei corsi scolastici e con la formazione di un esercito nazionale Albanese. In seguito, con questi obiettivi, arrivò la richiesta di costituire un’unica entità territoriale sotto il formale protettorato del Sultanato Turco.
Da allora, i residenti in Albania e gli Albanesi in Kosovo, Macedonia, Montenegro, Serbia Meridionale e Grecia fecero riferimento a questa bandiera come loro simbolo nazionale.
Agli inizi del 1913 veniva diffusa nei Balcani un carta geografica multi-colore dell’“Albania Etnica”, disegnata da un certo Ahmet Gasi, noto anche come il “dottore” e “professore”. La mappa mostrava i confini internazionali di uno stato “in divenire”, che includeva l’Albania, tutto il Kosovo, gran parte della Macedonia, una parte della Grecia e del Montenegro. Oggigiorno, tutti i negozi di libri a Pristina, il centro amministrativo del Kosovo, reclamizzano l’acquisto di questa carta geografica. Costo della cartina, 5 euro!
Si presta fede, (o si finge di credere), alla frottola che gli Albanesi del Kosovo si ritengano abbastanza soddisfatti di ottenere l’indipendenza sotto una supervisione internazionale.
Intanto, si continua a credere che i tumulti Albanesi del 2000-2001 in Macedonia e nella valle di Presevo nel sud della Serbia siano stati causati dall’oppressione di Skopje e di Belgrado, invece di considerarli come una esibizione muscolare da parte degli strateghi della Grande Albania.
=== 2 ===
http://www.focus-fen.net/index.php?id=n120634
Focus News Agency (Bulgaria)
29 agosto 2007
La separazione del Kosovo significherà la separazione dalla Serbia, Macedonia, Montenegro e Grecia: dall’Organizzazione dei Veterani dell’Esercito di Liberazione del Kosovo (AOK)
Pristina – “Qualsiasi separazione del Kosovo sarà concessa in accordo con i principi internazionali – il diritto all’autodeterminazione, il principio etnico o il principio della maggioranza. Ma questi principi dovranno essere usati non solo per il Kosovo, ma anche per il Presevo/Serbia Meridionale, la Macedonia e il Montenegro.” Queste le dichiarazioni di Faton Klinaku, Segretario dell’Organizzazione dei Veterani dell’Esercito di Liberazione del Kosovo .
=== 3 ===
http://www.makfax.com.mk/look/novina/article.tpl?
IdLanguage=1&IdPublication=2&NrArticle=78123&NrIssue=413&NrSection=10
MakFax (Macedonia)
2 agosto 2007
Skopje – La polizia Macedone ha confermato le notizie di colpi di arma da fuoco contro la stazione di polizia situata nelle vicinanze del confine fra la Macedonia e il Kosovo e di esplosioni di bombe a mano non lontano dalla stazione. Nessuno è stato ferito nell’incidente, che è avvenuto martedì 31 luglio, circa alle ore 20:45, quando persone non identificate hanno aperto il fuoco contro la stazione di polizia nel villaggio di Goshince. Diversi colpi hanno colpito gli edifici della stazione. Contemporaneamente, diverse detonazioni di bombe a mano sono avvenute ad una distanza di circa 50-100 metri. La polizia non ha rivelato ulteriori particolari.
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http://www.makfax.com.mk/look/novina/article.tpl?
IdLanguage=1&IdPublication=2&NrArticle=78462&NrIssue=417&NrSection=10
MakFax (Macedonia)
Attacco terroristico contro la sede del Governo Macedone
Skopje – Un attacco terroristico armato contro la sede del Governo Macedone è avvenuto la scorsa notte, queste le dichiarazioni del portavoce del Governo, e la polizia ha confermato l’incidente. Il portavoce Ivica Bocevski ha riferito a Makfax che la scorsa notte, mezz’ora dopo mezzanotte, l’edificio del Governo è stato colpito da due colpi di granata. Il portavoce ha spiegato che le granate erano di origine Sud-Africana ed erano state sparate da una distanza di 400 metri. L’incidente non ha causato feriti e fino a questo momento non vi sono informazioni sui danni materiali. Bocevski ha dichiarato: “Il Governo vuole inviare un messaggio a quelli che hanno partecipato all’attacco terroristico, che un giorno o l’altro finiranno dietro le sbarre. Gli aggressori dovrebbero saperlo; noi abbiamo ricevuto il messaggio, ma il Governo rimarrà saldamente sulle sue posizioni.”
Sia Kotevski che Bocevski hanno affermato che presumibilmente l’obiettivo era l’edificio del governo piuttosto che il consolato. Il motivo era tutto da chiarire. La sede governativa ospita gli uffici di Gabinetto e diversi Ministeri.
Bocevski non ha detto chi le autorità ritengono possa avere scatenato l’attacco. Non si sono verificati attacchi di questa natura negli ultimi anni, ma il tempismo dell’attentato aumenterà le preoccupazioni che la violenza in Kosovo possa riaccendere la violenza separatista già vista in Macedonia nel 2001.
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http://www.makfax.com.mk/look/novina/article.tpl?
IdLanguage=1&IdPublication=2&NrArticle=79107&NrIssue=423&NrSection=10
MakFax (Macedonia)
13 agosto 2007
Sesto anniversario dell’Accordo Quadro di Ohrid
Il 13 agosto 2001, i partiti, che in quel periodo costituivano la estesa coalizione di governo, approvarono l’Accordo. Questo preparava la strada alle numerose alterazioni alla costituzione e al corpo legislativo, con particolare attenzione all’aumento dei diritti e di rappresentanza della minoritaria comunità Albanese nelle istituzioni statali.
I leaders dei partiti che componevano la coalizione del tempo - Ljubco Georgievski, Branko Crvenkovski, Imer Imeri, Arben Xhaferi, con l’ultimo presidente Boris Trajkovski, posero la firma sotto l’Accordo Quadro di Ohrid.
Nel giro di poche settimane, gli scontri armati si propagavano verso le zone del Kumanovo-Lipkovo e del Tetovo.
Le battaglie più feroci, con scontri di artiglieria pesante ed unità aerotrasportate, avvenivano nei pressi dei villaggi di Radusha e Arachinovo, durante gli ultimi due mesi di un conflitto durato sette mesi. Le forze di sicurezza Macedoni ingaggiavano gli scontri contro unità paramilitari dell’Esercito di Liberazione Nazionale (NLA), una costola dell’Esercito di Liberazione del Kosovo (KLA). Dopo il conflitto, la dirigenza del NLA formava un partito politico, l’Unione Democratica per l’Integrazione (DUI). Il partito del comandante del NLA, Ali Ahmeti, divenne un alleato della coalizione di governo, che includeva l’Alleanza Democratica Sociale di Macedonia (SDSM) e il Partito Democratico Liberale (LDP).
Non meno di 120 fra militari, poliziotti e riservisti dell’esercito furono uccisi nel conflitto. A tutt’oggi, il totale delle morti dell’altra parte in conflitto è rimasto ignoto, comunque le stime parlano di 1200 membri del NLA caduti. Il conflitto ha provocato migliaia di profughi all’interno del paese, e centinaia di Macedoni e Serbi ancora sono impossibilitati a ritornare alle loro case nella regione del Lipkovo.
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http://www.focus-fen.net/index.php?id=n120078
Focus News Agency (Bulgaria)
22 agosto 2007
Dnevnik: evasi dalla prigione Dubrava del Kosovo nascosti in Macedonia.
Il Ministero dell’Interno della Macedonia non respinge la possibilità che il gruppo di criminali sia entrato in territorio Macedone, ma non ha ricevuto alcuna informazione di conferma del fatto. Secondo le fonti del giornale, il gruppo di criminali è stato liberato dal carcere secondo un piano strategico preparato da tempo, con l’appoggio di particolari strutture, che cercano di destabilizzare la regione, se il processo per il raggiungimento dell’indipendenza del Kosovo dovesse procedere verso una qualche direzione non favorevole. Diversi ex membri dell’Esercito di Liberazione del Kosovo (KLA) osservano molto da vicino gli sviluppi del problema Kosovo, e sono pronti per entrare in azione!
Skopje - Tanusevci chiede la separazione dalla Macedonia per aderire al Kosovo, e per ottenere questo obiettivo gli abitanti del villaggio stanno organizzando un referendum. Il quotidiano “Fakti” in lingua Albanese con sede a Skopje ha riportato che il referendum è stato annunciato dal Presidente dell’Unione Democratica Nazionale, Xhezair Shaqiri, conosciuto come Comandante Hoxha durante il conflitto del 2001. Sviluppando l’idea di un referendum, Shaqiri accusava le autorità Macedoni di non mostrare alcun interesse nei confronti di questa parte del paese, per lo meno negli ultimi 17 anni. “Il Governo della Macedonia non mostra alcun interesse per questa parte del paese, e per questo noi stiamo chiedendo di accedere al Kosovo. Inoltre, noi siamo vincolati al Kosovo geograficamente e per molti legami di stirpe”.
Shaqiri allontanava i sospetti che i reclusi evasi dal carcere di Dubrava in Kosovo, Lirim Jakupi e Ramadan Shiti, avessero trovato rifugio a Tanusevci.
Nello stesso articolo, “Fakti” riferiva che il Ministero dell’Interno respingeva come falsa la descrizione fatta da Shaqiri sulla situazione di Tanusevci.
Skopje – Una dichiarazione di ieri dell’ex deputato Xhezair Satiri, che Tanusevci cercava di separarsi dalla Macedonia e congiungersi con il Kosovo dopo una consultazione referendaria, è l’argomento principale nella stampa Macedone. I giornali collegano l’evento ad altri due preoccupanti avvenimenti – la fuga di terroristi incarcerati nella prigione di Dubrava in Kosovo e un’altra evasione di terroristi dalla prigione di Idrizovo di Skopje, e nel contempo gli imminenti nuovi negoziati sul futuro status del Kosovo, alla possibile destabilizzazione della Macedonia e di tutta l’area.
Ancora due villaggi Albanesi organizzano referendum per separarsi dalla Macedonia
http://www.focus-fen.net/index.php?id=n120686
Focus News Agency (Bulgaria)
29 agosto 2007
L’ANA invia minacce a tutti i politici Albanesi in Macedonia
Skopje – L’Esercito Nazionale Albanese (ANA) ha inviato minacce a tutti i politici Albanesi della Macedonia, dato che “loro collaborano con i colonizzatori Slavi Macedoni”. Questo si può leggere sul quotidiano Macedone Vreme, che cita una comunicazione dell’ANA resa pubblica in Internet sui siti web Albanesi.
L’ex Presidente dell’organizzazione, Fagur Adili, ha affermato che la prossima guerra non avverrà per un potere senza uno stato, come per i partiti Albanesi in Macedonia, nemmeno avverrà per l’Illiria, ma per l’unificazione di tutti i territori Albanesi. Secondo Adili, le fasi secondo cui questa unificazione sarà acquisita sono state puntualizzate nel programma dell’ANA. L’editoriale di Vreme commenta che altri testi di questo tenore sono apparsi di recente in Internet su siti web Albanesi, che richiedono l’unificazione dei territori Albanesi.
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http://www.focus-fen.net/?id=n120650
Focus News Agency (Bulgaria)
29 agosto 2007
Si nutrono dubbi sull’ingresso della Macedonia come membro della NATO nel 2008
Skopje – Fonti di alto grado dilomatico hanno dichiarato al canale TV A1 della Macedonia che esiste l’eventualità che la Macedonia non riceverà un invito come membro della NATO al Summit di Bucarest nel 2008. Questo capovolgimento rispetto al recente ottimismo potrebbe venire spiegato a causa della questione ancora irrisolta intorno allo status del Kosovo. In più ci sono forti preoccupazioni che la crisi potrebbe facilmente allargarsi alla Macedonia e all’Albania, e questa è una instabilità che nell’ambito di stati membri la NATO non potrebbe permettersi. Questo è il motivo per cui è prevista una variante per il prossimo Summit con l’applicazione della formula 1+2, vale a dire che la Crozia riceve l’invito come membro, mentre viene lasciato spazio a manovre per la Macedonia e l’Albania, e il loro ingresso potrebbe arrivare dopo la risoluzione del problema Kosovo. Le fonti diplomatiche hanno affermato alla A1 che la sicurezza è di grande importanza nella variante, per cui la Macedonia viene lasciata nella sala d’attesa, anche se la Macedonia gode dell’aperto sostegno sia di Washington che di Brussels.
=== 4 ===
http://groups.yahoo.com/group/Roma_ex_Yugoslavia/message/2075
“Come ti costruisco la nuova classe dirigente Kosovara”
Master negli Stati Uniti per i residenti in Kosovo
31 agosto 2007 4:11 am (PST)
(Message over 64 KB, truncated)
Date: September 2, 2007 2:21:33 PM GMT+02:00
To: "Coord. Naz. per la Jugoslavia"
Subject: Re: [JUGOINFO] Visnjica broj 672
Sarà un caso che il noto terrorista nero Giusva Fioravanti è uscito
in semilibertà dal carcere per andare a lavorare nell'associazione
"Nessuno tocchi Caino"?
Sarà un caso che la sua degna sposa, Francesca Mambro, avesse fatto
carriera nel partito radicale?
Sì, sono domande polemiche.
Claudia Cernigoi
> "Coord. Naz. per la Jugoslavia" ha scritto:
>
> "NESSUNO TOCCHI KAGAME "
>
>
> http://www.contropiano.org
>
> Nigrizia contesta il premio assegnato dai radicali (Nessuno tocchi
> Caino) al presidente del Ruanda, Kagame
>
> Dura presa di posizione del mensile dei missionari comboniani
> "Nigrizia" al premio di ‘Abolizionista dell’anno’ conferito oggi al
> presidente del Rwanda Paul Kagame dall’associazione italiana ‘Nessuno
> tocchi Caino'. Ecco il testo che ci è stato inviato con richiesta di
> diffusione.
>
> "Paul Kagame, presidente del Rwanda, che ha conquistato il potere con
> le armi nel 1994, è uno degli uomini politici più discussi d’Africa.
> Discusso perché non sono affatto state chiarite le circostanze che
> hanno scatenato il genocidio del 1994 (morirono almeno 500.000 tutsi
> e hutu moderati) e l’eventuale ruolo dello stesso Kagame. Discusso
> per come si è mosso in questi anni nell’area dei Grandi Laghi e, in
> particolare, nei confronti della Repubblica democratica del Congo,
> contro la quale ha condotto una guerra (1998-2003) per accaparrarsi
> risorse e fette di territorio. Discusso per come si rapporta con i
> vari tribunali che si occupano del genocidio. Discusso per come sta
> gestendo, all’interno del paese, l’amministrazione della giustizia in
> relazione ai sospettati e condannati per il genocidio. Discusso
> perché il suo regime non garantisce le libertà fondamentali.
> Nonostante tutto ciò, “Nessuno tocchi Caino”, l’associazione
> presieduta da Marco Pannella ha pensato bene di premiare il
> presidente Kagame, perché ha abolito la pena di morte. Il premio gli
> verrà consegnato oggi pomeriggio dal presidente del consiglio Romano
> Prodi. Nigrizia, che segue giorno dopo giorno le vicende di paesi
> africani, ritiene che si tratti di una premiazione paradossale, che
> fa il gioco di un regime autoritario e che non tiene conto di
> numerosi aspetti “problematici” che punteggiano la carriera politica
> e l’attuale vita pubblica del generale Kagame. A questo riguardo,
> segnaliamo la reazione di padre Aurelio Boscaini, un missionario
> comboniano che ha lavorato a lungo in quell’area e che ieri ha
> inviato una protesta agli organizzatori del premio. Ne diamo alcuni
> stralci. «Esprimo tutto il mio sdegno nell’apprendere che oggi verrà
> consegnato il premio “L’abolizionista dell’anno 2007” al presidente
> del Rwanda, Paul Kagame. È come se mi si volesse raccontare – a me
> che sono stato missionario in Rwanda – una blague (barzelletta)! Mi
> sono chiesto se conoscete veramente questo assassino, che dovrebbe
> avere sulla coscienza qualche milione di morti. O credete che questo
> generale sia il Caino convertito? Magari!!! Chi ha ammazzato i
> milioni di persone nella Repubblica democratica del Congo, dopo il
> genocidio del 1994? Chi ha scatenato la guerra contro Kabila padre?
> Chi ha abbattuto l’aereo su cui si trovava Habyarimana? O siete di
> quelli che credono al film Hotel Rwanda?!». «Basta che un generale
> annunzi l’abolizione della pena di morte, e voi siete così... ingenui
> da credergli? Dov’è la democrazia in Rwanda? Avete chiesto a
> Bizimungu, primo presidente dopo il genocidio, cosa pensa di Kagame?
> E l’avete domandato alle decine di migliaia che marciscono nelle
> prigioni rwandesi? Volete dare il premio Nobel della pace a un
> Hitler?». «Sono contro tutte le guerre (quante ne ho viste in
> Africa!) e contro la pena di morte in assoluto. Dovete chiedere
> l’abolizione, non la moratoria. Anche se so benissimo che si fa un
> passo alla volta! Mi sembra vogliate gridare: “Viva l’Africa dei
> generali!”. I tutsi sono riusciti in una impresa mediatica fantastica
> e voi vi accodate!». «L’Italia che premia un génocidaire!? Se davvero
> i tutsi sono stati uccisi in così grande numero (come tutti
> raccontano), non ce ne sarebbero più in giro! Ma so che non si deve
> parlare né di tutsi né di hutu, come se i nostri fratelli africani
> avessero dimenticato a quale etnia o clan appartengono! Ma gli
> africani sono orgogliosi delle loro origini etniche, e quelli che non
> hanno nulla da perdere, le riconoscono gioiosamente!». «Viva,
> comunque, l’Africa e chi vi muore per la libertà, senza mai aver
> sparato. Il giorno della libertà è vicino anche per il Rwanda, se gli
> Stati Uniti non sosterranno più Kagame né acquisteranno più il coltan
> che il generale-presidente va a rubare in Congo!".
> (Misna)
Vi racconto brevemente una piccola storia ignobile dei nostri giorni.
Da diversi anni una mia conoscente, che vive a Trieste, ha instaurato
assieme a suoi amici e familiari, un bel rapporto di amicizia con una
famiglia di Belgrado. Di conseguenza, a volte i triestini andavano a
trovare gli amici di Belgrado, altre volte erano i belgradesi a
recarsi a Trieste.
Tutto è andato bene per diversi anni sotto il "regime" di Tito,
mentre oggidì, che abbiamo abbattuto tutti i muri per permettere la
libera circolazione in Europa agli europei, gli amici di Belgrado
hanno fatto a giugno scorso richiesta di visto turistico per venire a
Trieste. Dopo due mesi di attesa e dopo avere sostenuto delle spese
non indifferenti rispetto all'entità delle loro pensioni (eh sì,
perché parliamo di persone che hanno ormai ottant'anni) dopo due mesi
si sono sentiti rispondere dalle autorità italiane che per agosto
nonc'è niente da fare, e che per sett embre bisogna ancora vedere ma
non gli assicurano niente.
A questo punto, per evitare di rimetterci tutti i soldi del biglietto
del treno (che doveva essere comprato in anticipo ed esibito), i
belgradesi hanno deciso di rinunciare al viaggio.
Valeva proprio la pena di sfasciare la Jugoslavia per arrivare a
questo punto di "libertà"!
Con profondo disgusto
Claudia Cernigoi
Edizioni Piemme, pag. 412, 17,50 €
Care lettrici e cari lettori,
la denuncia delle menzogne sull'11 settembre e, più in generale, del grande inganno della “guerra al terrorismo” è sempre stata - sin dalla nascita di Information Guerrilla nel luglio 2001, dopo il G8 di Genova - uno dei principali obiettivi della nostra attività d'informazione indipendente. Scrivevamo allora nel nostro “atto di nascita” che “la follia di questo stato di guerra e di emergenza permanente serve per controllarci meglio. Per non farci vivere come potremmo”. Alla luce di quanto accaduto in questi sei anni - l'erosione sistematica degli spazi di libertà e di dissenso - siamo oggi più convinti che mai, come afferma Giulietto Chiesa, che “l’alternativa alla guerra per il dominio, che i progettisti dell’11/9 hanno in mente, è un grande compromesso per fare la pace con il pianeta che ci ospita. Ma per costruire questo compromesso, che comporta sacrifici per i più ricchi, occorre smascherare il progetto di una guerra senza fine, che porterà alla catastrofe. Ecco perché la verità sull’11 settembre 2001 è importante, anzi essenziale: per sopravvivere.”
Per questo segnaliamo l'uscita di “Zero. Perchè la versione ufficiale sull'11 settembre è un falso”, un libro collettivo (con interventi di Giulietto Chiesa, Gore Vidal, Franco Cardini e Marina Montesano, Gianni Vattimo, Claudio Fracassi, Jurgen Helsasser, Michel Chossudovsky, David Ray Griffin, Thierry Meyssan, Andreas von Bulow, Steven E. Jones, Enzo Modugno, Lidia Ravera, Webster Griffin Tarpley, Barry Zwicker) curato da chi scrive insieme a Giulietto Chiesa, che prosegue idealmente quanto fatto anche da Information Guerrilla in questi anni.
Di seguito vi proponiamo l'introduzione al volume di Giulietto Chiesa.
Buona lettura.
Roberto Vignoli - Information Guerrilla
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INTRODUZIONE
di Giulietto Chiesa
La ragione principale che mi ha spinto a promuovere questo lavoro collettivo risiede nella mia profonda convinzione, che so essere condivisa da tutti coloro che vi hanno preso parte, che l’11 settembre è stato non solo un colossale inganno, perpetrato ai danni dell’intera umanità, ma che esso è stato ed è un’arma di tremenda potenza puntata contro la pace mondiale e i cui effetti – se non impediti – potrebbero mettere in causa la stessa sopravvivenza di milioni e perfino di miliardi di individui.
Come è stato detto autorevolmente, la verità sull’11 settembre non la conosceremo mai: non nei prossimi cento anni almeno. E questa realistica affermazione già implicitamente contiene l’ipotesi che la versione ufficiale non solo non ci ha detto la verità, ma è stata dettata da una ferrea ragion di stato, ben più tremenda del bilancio delle vittime di quel giorno, perché ha aperto la via a mostruose carneficine di innocenti. Che sono in corso mentre scrivo queste righe, e che possono dilagare se non ci sarà qualcuno capace di fermare la mano degli insensati che guidano il pianeta.
Noi siamo partiti dalla necessità della ricerca della verità, ben sapendo che essa non è celata in un posto solo. Meno che mai in qualche grotta afgana. Una ricerca che, per il solo fatto di esistere, si pone come barriera alla prosecuzione della guerra infinita che è cominciata l’11 settembre e che non accenna a terminare e, anzi, continuamente minaccia di estendersi e di incendiare il mondo.
Noi sappiamo dalla “prova di Godel”, che la quantità di proposizioni vere non dimostrabili è infinita, ma abbiamo sperimentato che è possibile dimostrare la falsità di un numero definito di proposizioni false. E siamo giunti pertanto, tutti insieme, noi che abbiamo lavorato qui in Italia, insieme alle decine di migliaia di ricercatori di tutto il mondo, alla conclusione che è sufficiente, per demolire il tabù, che si dimostri che la versione ufficiale è falsa. Perché chi ci ha raccontato questa enorme bugia non è stato – chiunque egli sia, con chiunque egli abbia lavorato, quale che sia stato il suo ruolo nella vicenda (e noi riteniamo che un ruolo importante lo abbia avuto) – Osama bin Laden. Non è stato Osama bin Laden a scrivere il rapporto finale della Commissione del Congresso degli Stati Uniti d’America.
David Ray Griffin dimostra impeccabilmente, in queste pagine, di quali e quante bugie quel rapporto sia farcito.
Gli autori dell’inganno sono stati coloro che ce lo hanno raccontato. Sapessero la verità oppure no è altra faccenda (più probabile che solo alcuni di loro si siano resi conto, o sapessero), ma si sono consapevolmente fermati davanti alla porta e non hanno voluto aprirla. Come molte persone normali, del resto, che arretrano impaurite di fronte all’evidenza, e preferiscono chiudere gli occhi, perché aprirli comporterebbe un grado di sofferenza che non sono in grado di affrontare. E, poiché noi siamo in condizione di dimostrare che gli autori del rapporto ufficiale hanno mentito, allora la nostra domanda è rivolta a loro: perché avete mentito, visto che secondo voi la risposta al quesito era così semplice da poter essere racchiusa in sole cinque parole: «è stato Osama bin Laden»?
Che bisogno c’era di raccontare tante bugie se la verità era così semplice come avete cercato di far credere?
Ed è subito evidente che, se noi abbiamo ragione, allora una serie gigantesca di interrogativi si affollano dietro il primo e fondamentale. Allora la guerra afgana perde il suo significato originario e ne acquista altri, del tutto diversi. Allora la decisione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che autorizzò l’attacco, perde ogni validità giuridica e si mostra per quello che è stato: esercizio del potere di imperio degli Stati Uniti sulla comunità internazionale. Allora si capisce perché la NATO fu trasformata, in anticipo, prima dell’11 settembre, da alleanza difensiva in offensiva e il suo ambito d’azione fu esteso a tutto il pianeta. Allora si capisce che la guerra contro l’Irak non fu bugiarda solo nel senso, ormai palese a tutti coloro che hanno un cervello in grado di funzionare, che non esistevano armi di distruzione di massa, ma anche in un altro senso: che era stata messa nei progetti di un gruppo di avventurieri che stavano complottando per prendere il potere negli Stati Uniti ben prima dell’11 settembre. Allora si capisce perché il Patriot Act era stato preparato con largo anticipo e venne tirato fuori dai cassetti al momento giusto, per sferrare un attacco mortale contro la democrazia americana.
Con questo lavoro noi vogliamo dare forza alla richiesta – che sale e si estende, con il passare degli anni, soprattutto negli Stati Uniti, il cui popolo è stato il primo destinatario, cioè la prima vittima di questa menzogna globale – di una commissione d’inchiesta internazionale che faccia luce sui misteri e sulle distorsioni che quell’evento ha prodotto. Sappiamo perfettamente che non esiste un tribunale, un luogo fisico, un’istanza giuridica che possa prendere una tale decisione. La sede opportuna sarebbe forse il Tribunale Penale Internazionale, ma gli Stati Uniti, non per caso, non ne fanno parte ed esso ha la stessa forza dei governi, alleati degli Stati Uniti, che l’hanno approvato e condiviso: cioè nessuna. Eppure la necessità di un giudizio imparziale è impellente, nell’interesse stesso dell’America, oltre che del resto del mondo. E solo un giurì internazionale di saggi, al di sopra di ogni sospetto, di ogni vincolo, di ogni affiliazione, di ogni interesse, può formulare un giudizio su cui la comunità internazionale possa fare affidamento. Questo libro intende essere un contributo per la creazione di una tale commissione internazionale, un incoraggiamento, un prologo, una raccolta di fatti e di idee che potrà essere messa a frutto da altri, che seguiranno su questa strada.
Dunque il nostro scopo collettivo non è soltanto il tentativo di fare luce su un evento che ha davvero impresso una violenta sterzata alla storia del mondo, quanto il proposito di spiegare i meccanismi che hanno impedito al mondo di difendersi dall’inganno, dalla minaccia. Questo lavoro vuole essere anche la descrizione e l’analisi di quel tabù che attanaglia da sei anni la politica mondiale, che paralizza le classi politiche dell’Occidente e del mondo intero, che ha trasformato la politica internazionale in una interminabile giaculatoria il cui mantra obbligatorio è la ripetizione rituale della necessità di «combattere il terrorismo internazionale».
L’11 settembre 2001 ha segnato l’innalzarsi tragico di un totem sulle nostre teste. Una cerimonia di sangue, con il sacrificio umano di tremila innocenti, ha celebrato una nuova era di terrore collettivo. Tutti dovevano assistere, e infatti hanno assistito. Anzi si potrebbe dire che l’11 settembre è stato pensato per essere visto da tutti. Un 11 settembre senza televisione globale non sarebbe servito. A ben guardare, oltre alle menzogne che racchiude, l’11 settembre riassume in sé, come tutti gli eventi epocali che hanno contraddistinto la storia umana, molti paradigmi e perfino molte anticipazioni del futuro.
Ecco perché appaiono davvero ben ridicoli e miseri tutti i tentativi di razionalizzare quell’evento basandosi sul senso comune, o di racchiudere l’evento all’interno della sequela dei particolari tecnici, dei dettagli, che è poi il modo migliore per renderlo incomprensibile, perché lo decontestualizza, perché il mare di particolari impedisce di guardare l’insieme, perché è il vecchio vizio di concentrarsi sull’albero per non vedere la foresta.
Per la semplice ragione che quell’evento è la quint’essenza dell’uso manipolatorio del senso comune.
Chi l’ha pensato sapeva perfettamente qual è la psicologia dell’uomo della strada. Sapeva che è molto più facile, per una persona normale, accettare la spiegazione di un evento di mostruosa violenza come il risultato della follia e del fanatismo. Un individuo è “normale” proprio in quanto rispetta le norme del vivere civile. Le rispetta perché le ha introiettate e fatte proprie.
Per esempio non uccide gli altri, non tortura, non commette violenze. È difficile, quando non impossibile, che una persona normale possa accettare il fatto che qualcuno possa freddamente progettare un assassinio di massa. È fuori, appunto, dalla dimensione umana normale. È molto più facile, per una persona normale, accettare la spiegazione di un evento di mostruosa ferocia come il risultato della follia, o del fanatismo. Ciascuno di noi ha incontrato, almeno qualche volta nella vita, la follia, e ha visto in azione il fanatismo, magari in televisione. È un’esperienza abbastanza comune. Ma non è affatto esperienza comune conoscere chi progetta stragi seduto in poltrona, in gabinetti ovattati, circondato di tecnologie raffinate. Steven Jones, professore universitario, fisico, ci mostra come l’11 settembre non può essere stato il frutto di un’improvvisazione dilettantesca di un gruppo di fanatici senza conoscenze scientifiche precise.
Andreas von Bulow, che di apparati dei servizi di sicurezza è esperto, analizza le principali ipotesi sul terreno in base alla quantità di materiali informativi disponibili. E conclude per la tesi di un’operazione d’intelligence nascosta sotto falsa bandiera.
Un atto di tale potenza attribuito a un gruppo di sprovveduti (cosa che si può affermare senza il minimo dubbio) e fanatici (cosa che appare altamente inattendibile in base alla stessa descrizione offerta dalla teoria ufficiale) terroristi kamikaze (cosa di cui è lecito, almeno per alcuni di loro dubitare)?
Von Bulow la considera un’ipotesi addirittura comica.
Il fatto è che molte delle cose che sono emerse di fronte agli occhi della stessa commissione ufficiale, sono poi state eliminate dal rapporto, cancellate del tutto o collocate in posizione tale da risultare secondarie o quasi invisibili. Con il risultato che quei dieci senatori, guidati dal presidente Thomas H. Kean e dal vicepresidente Lee H. Hamilton si comportano come se avessero accettato di farsi accompagnare per mano dentro una favola a cartoni animati, dove tutte le spiegazioni sono semplici e chiare. Si spiega solo in questo modo, che ci fa precipitare nell’assurdo, il fatto che fin dalla prima pagina del 9/11 Commission Report comincia l’elenco delle assurdità “accertate” dagli 81 membri dello staff. Un gruppo di “esperti” sulla cui modalità di scelta nessuno è riuscito a indagare, guidato dal direttore esecutivo Philip Zelikow, uomo troppo addentro a diverse amministrazioni americane, troppo amico di Condoleezza Rice, per poter essere nominato a quell’incarico senza violare la stessa legge istitutiva della commissione d’indagine, che avrebbe dovuto scandagliare proprio le responsabilità delle inefficienze dello stato (essendo evidente fin dall’inizio che altro quella commissione non avrebbe potuto indagare, e che essa era stata costituita, dopo oltre due anni di accanita resistenza del presidente Bush, solo ed esclusivamente per portare acqua alla versione ufficiale, già acquisita per vera).
Il famoso Mohammed Atta vi compare fin dalla prima pagina, non per chiarire interrogativi e misteri, ma per infittirli a dismisura.
La puntigliosa ricostruzione dei suoi movimenti serve soltanto a mostrare l’inspiegabile. L’uomo chiave dell’attentato, l’organizzatore, il coordinatore del gruppo dei diciannove, colui cui era affidato il delicatissimo compito di garantire che tutti si trovassero al posto giusto nel momento giusto dell’evento che doveva cambiare i rapporti di forza tra il Grande Satana e l’Islam, se ne va a spasso all’improvviso, poche ore prima dell’ora X, mettendo a rischio l’intero progetto. Sbalorditivo? Eppure, stando al racconto ufficiale, risulta così. Mohammed Atta, ben sapendo che il giorno 11 settembre, alle 7.45, avrebbe dovuto salire a bordo del volo American Airlines 11, in partenza dall’aeroporto Logan di Boston alla volta di Los Angeles... parte da Boston, dove già si trovava, il giorno 10 settembre, in macchina, per raggiungere la città di Portland, nel Maine, insieme al compare Omari. In effetti solo un demente avrebbe potuto partire per Portland sapendo che l’unico modo per tornare a Boston sarebbe stato il volo 5930 in partenza da Portland alle ore 6.00 del mattino e che lo avrebbe fatto arrivare a Boston appena in tempo per l’imbarco sull’altrettanto “storico” volo AA 11. Così infatti, stando alla ricostruzione ufficiale, avvenne.
Ma perché Atta andò a Portland il giorno prima nessuno ha saputo spiegarselo. Nemmeno la Commissione che, alla nota 1 di pagina 451, candidamente ammette: «Non vi è alcuna evidenza documentabile materialmente, o individuabile analiticamente, in grado di spiegare perché Atta e Omari andarono in auto a Portland».
Resta il fatto che Mohammed Atta riuscì a imbarcarsi per il rotto della cuffia. Ma cosa sarebbe accaduto se, per una qualche avventura imprevista, il volo da Portland avesse subito un ritardo anche di soli quindici minuti? Dovremmo concluderne che tutta l’operazione sarebbe stata rinviata per colpa di una così totale leggerezza? Le altre 566 pagine continuano allo stesso livello di stupefacente ingenuità. Specie se si tiene conto – altra circostanza sbalorditiva – che, proprio quella mattina, erano programmate una serie di esercitazioni militari delle forze aeree statunitensi che dislocarono la gran parte dei caccia intercettatori assai lontano dai luoghi che sarebbero stati teatro dell’evento.
Illuminante al riguardo il contributo di Webster Tarpley. Sapevano i terroristi di una tale formidabile, sbalorditiva, fortunosa circostanza? Perché è davvero difficile pensare a una coincidenza casuale di tali proporzioni. E, nel caso sapessero, chi li aveva informati? Non è venuto, a nessuno dei senatori della Commissione, il sospetto che i terroristi avevano talpe fin dentro i supremi gradi dello stato maggiore dell’aviazione statunitense?
E, anche il solo, quasi inevitabile sospetto, non sarebbe stato materia per un’approfondita indagine, per verificare chi avesse fornito al gruppo terroristico informazioni di tale importanza strategica? Eppure nulla di tutto ciò è avvenuto, nemmeno in seguito. Tutto ciò che appariva anormale, insolito, tutto ciò che avrebbe attirato l’attenzione del più sprovveduto degli investigatori, è stato tolto di mezzo.
Ha davvero ragione Gore Vidal quando ci dice, nell’intervista qui contenuta, che il livello d’incompetenza della Commissione Kean-Hamilton-Zelikow è pari soltanto a quello della Commissione Warren, quella che stabilì senza appello che Harvey Lee Oswald aveva assassinato John Kennedy facendo tutto da solo, sparando in rapida successione, con una mira spettacolare, da un fucile Mannlicher-Carcano che non era a ripetizione, mentre avrebbe potuto procurarsene uno decisamente migliore con poca spesa in uno qualunque dei negozi di Dallas.
Del resto, cosa aspettarsi dai risultati di un’inchiesta che dichiara fin dall’inizio che il suo scopo «non è stato quello di impartire accuse individuali»? E se non era per individuare le responsabilità per gli errori e le incompetenze (unico scopo esplicito per il quale la commissione era stata richiesta dai democratici del Congresso), a cosa doveva servire una tale commissione? Ed essendo assolutamente evidente che vi erano state, come minimo, pesantissime responsabilità nell’incapacità di reagire della difesa aerea degli Stati Uniti, nel Servizio Segreto, nella CIA e nell’FBI, come spiegare la funzione della commissione?
Ed essendo lo stesso rapporto del tutto chiaro su alcune di queste responsabilità, dovute a negligenza e incompetenza tali da sfiorare l’alto tradimento, come si spiega che nessuno, dicasi nessuno, dei responsabili delle diverse agenzie governative sia stato successivamente punito, processato, diminuito di grado, licenziato, mentre, per converso, non pochi dei più inetti dirigenti politici e militari implicati vennero promossi a cariche superiori nei mesi e anni successivi?
E come spiegare che in questi sei anni trascorsi non un solo processo sia stato celebrato negli Stati Uniti per punire le responsabilità di cittadini americani – questa storia ne trabocca – che non hanno fatto il loro dovere? Mentre altri cittadini americani che hanno dimostrato fedeltà alla patria e al dovere sono stati puniti, licenziati, degradati?
Domande, domande e ancora domande, tra le mille che non hanno avuto risposta e che non possono averla nel contesto di un’indagine sballata, preconfezionata, lacunosa e carente in decine di punti, quando non esplicitamente bugiarda in altri. Occorre dunque ricostruire un contesto diverso per spiegare l’accaduto.
Questo libro si propone di mettere ordine nel mare delle domande e di fornire qualche ricetta per difendersi dai silenzi, dalle distorsioni e dalle falsità. Come fa Gianni Vattimo, nel suo breve ma intenso contributo in tema di difesa dalla manipolazione, riferito all’Italia, ma valido universalmente.
E Thierry Meyssan, cui dobbiamo i primi tentativi di smascheramento della menzogna, e che ha dovuto subire, per questo, l’offensiva concentrica di tutto il mainstream informativo francese, destra e sinistra avvinghiate nello stesso rifiuto di vedere, porta su queste pagine alcune clamorose scoperte: quelle, per inciso, come egli stesso racconta, che lo costrinsero a mettersi sulle tracce dei mentitori come un segugio di razza. Anche lui, come molti altri, “scopre” l’11 settembre fin dai primi minuti, quando è ancora possibile vedere, in tempo reale, le bugie mentre si dipanano. Dobbiamo a lui la scoperta dei dispacci della agenzia France Presse in cui si dà notizia di esplosioni all’interno del Pentagono prima dell’arrivo dell’“aereo”. E altri dispacci dai quali emerge che la stessa agenzia “sapeva” che l’aereo in avvicinamento si stava dirigendo verso il Pentagono.
Un po’ come le decine di giornalisti televisivi che raccontarono delle decine di esplosioni nelle torri gemelle, prima del crollo.
Tutte cose che sono poi sparite e che è stato necessario ricostruire.
La conclusione preliminare è che solo un’alta vigilanza intellettuale consente di resistere alla menzogna, e che, dopo averla scoperta, occorre il coraggio civico di denunciarla. E questo libro, in fondo, è proprio un tentativo di resistenza intellettuale, prima ancora che civile: di chi rifiuta, per dignità, di farsi abbindolare.
Domande che sollevano spesso l’indignazione e l’esecrazione di coloro che non possono tollerare il dubbio, specie quando esso tocca i loro idoli, i loro totem. Specie quando esso colpisce e disintegra il tabù. In questo caso il tabù è l’intangibilità della supremazia degli Stati Uniti d’America, che ci sono stati inculcati come la culla della democrazia, il faro della libertà, i salvatori dell’Europa dal nazismo e del mondo dal comunismo.
Il solo porre domande suscita nei bigotti prima lo sconcerto e poi la furia. Porre queste domande, per i bigotti, significa «parlare male dell’America», bestemmiare l’America. Fino all’imbestialita – di solito – aggressione verbale che ne consegue e che a costoro sembra naturale: «Ma lei sta sostenendo che gli americani se lo sono fatto da soli?».
Naturalmente nessuno degli autori qui presenti sostiene una tale imbecillità, che però è assai diffusa anche tra i giornalisti che, invece, dovrebbero essere tra coloro che pongono domande invece di impedirle.
A riprova che la categoria dei bigotti, come quella degli stupidi, è universalmente costante, come il compianto professor Cipolla dimostrò nel suo aureo libretto. Infatti l’ultima cosa che si può dire, a proposito dell’11 settembre, è che «gli americani se lo sono fatto da soli». Sarebbe del resto del tutto contrastante con l’opinione prevalente tra gli stessi cittadini americani che, per circa due terzi, hanno ripetutamente detto di non credere nella versione ufficiale e per più d’un terzo – sempre stando ai sondaggi d’opinione – ritengono che le autorità abbiano lasciato fare o siano state attivamente coinvolte nell’attentato.
Ma non occorre neppure essere d’accordo con cento milioni di americani. Sarebbe sufficiente immaginare qualcosa di molto simile a ciò che Hollywood ha già ripetutamente e magistralmente trasformato in fiction anticipatrici, in film memorabili come I tre giorni del condor, o Sesso e Potere, o Syriana, per elencare solo alcuni titoli. Vi sono cose, non solo in America, che sfuggono al controllo perfino dei massimi dirigenti politici.
Vi sono strutture segrete, segmenti di servizi impenetrabili, che agiscono in totale indipendenza, che hanno mezzi giganteschi per realizzare progetti di cui solo piccolissimi aggregati di persone sono al corrente. George Tenet, che allora dirigeva la CIA, disse che «solo quattro o cinque persone erano al corrente di ciò che sarebbe accaduto». Probabilmente lui stesso non era al corrente, il che non esclude che qualcuno attorno a lui fosse invece molto bene informato.
Ma, a coloro che, fingendosi ingenui, si scandalizzano quando vengono avanzate ipotesi concernenti queste strutture – la cui esistenza, come vedremo tra poco, non può essere messa in discussione – basterà ricordare l’esistenza dei gruppi UFO (Unauthorized Foreign Operations) rivelata da Oswald LeWinter nel corso di un incontro per inviti organizzato a Parigi dal Reseau Voltaire. E la testimonianza di LeWinter, general-maggiore ed ex “senior CIA officer” è cruciale perché egli lavorò, in qualità di NOC (Non Official Cover), sotto la direzione di James Angleton, il padre delle operazioni segrete della CIA. Cosa facessero questi NOC, secondo la descrizione di Oswald LeWinter, corrisponde perfettamente a quanto rivelò Seymour Hersh in un articolo sul «New Yorker» del gennaio 2005. Secondo quella scoperta, che – scrisse Seymour – gli fu riferita da fonti dei servizi segreti americani, «agenti militati sarebbero stati preparati per fingersi uomini d’affari corrotti, che cercano di comprare pezzi che possano essere usati per costruire bombe atomiche, in certi casi cittadini locali [cioè non americani, N.d.R.] potrebbero essere reclutati per entrare a far parte di gruppi guerriglieri o terroristici. Con il compito potenziale di organizzare ed eseguire operazioni di combattimento, o perfino operazioni terroristiche». Come si chiamano questi gruppi?
Con la sigla, sempre secondo Hersh, P2OG (Proactive Preemptive Operations Groups). Hersh, da giornalista di prima classe qual è, si era messo alla ricerca di tracce più precise quando, nel 2002, l’esistenza di un tale programma era emersa da una pubblicazione del Comitato Scientifico di Difesa del Pentagono.
Quando questo programma fosse entrato in funzione non veniva detto, ma la sua esistenza era nota dal 2002 e la fonte di Hersh gli aveva confidato che il programma era stato «rimesso in funzione» nel 2005. Ma i gruppi UFO, secondo LeWinter, esistevano ben da prima del 2001, con le stesse caratteristiche.
In sostanza per l’organizzazione di operazioni clandestine di elevata sofisticatezza, realizzate da spezzoni ultra segreti dei servizi per “stimolare reazioni” nei gruppi terroristici. Cioè operazioni di penetrazione, nei gruppi terroristici, di agenti provocatori, per spingerli ad azioni “errate”, che permettono, dopo essere state “scoperte”, di sgominarli o di ricattarli.
Prendiamo ora per esempio, come modello di riferimento, la storia del “complotto globale” (così venne definito dalla stampa britannica) del 10 agosto 2006, quando la polizia britannica arrestò 24 persone che sarebbero state in procinto di dirottare una decina di aerei in partenza da Londra verso gli Stati Uniti, probabilmente – dissero le fonti ufficiali – per ripetere su scala gigantesca l’11 settembre 2001. Gli attentati non erano di immediata attuazione perché, come emerse successivamente, i sospettati non avevano ancora nemmeno comprato, né prenotato, i biglietti aerei. Molti di loro non avevano nemmeno i passaporti per andare negli Stati Uniti, necessari per salire a bordo anche se non necessari per l’arrivo, che si ipotizzava suicida. Dunque perché far esplodere il caso in pieno agosto, periodo di vacanze estive per l’intera Europa? Queste notizie vennero riferite dalla NBC News, che citò una fonte ufficiale rimasta anonima.
La stessa rete tv riferì che molti dei sospetti erano sotto stretta sorveglianza da più d’un anno, cioè da prima degli attentati del luglio 2005. Ma se erano sotto vigilanza e non c’era pericolo imminente, perché scoprire tutto il gioco? NBC News riferì che la decisione di arrestarli subito «fu imposta dai funzionari di Washington».
Procediamo nell’analisi del “modello” presumibile di P2OG.
La “mente” del progetto fu subito indicata: un certo Rashid Rauf. Chi lo arresta, a Islamabad, è il famoso ISI, il servizio segreto militare pakistano. Rauf confessa, anzi – stando ai giornali pakistani – “crolla” sotto interrogatorio. Che non si fatica a indovinare di quale tipo. Le prigioni pakistane sono ben note per le pratiche di tortura che vi sono diffuse. Del resto anche Khaled Sheikh Mohammed, il famoso KSM che il rapporto ufficiale dell’11 settembre qualifica come l’ideatore dell’attentato a Manhattan, risulta essere stato interrogato con gli stessi metodi e negli stessi luoghi. La confessione, in quelle circostanze, è assicurata.
Rashid Rauf confessa anche che gli aerei sarebbero stati fatti esplodere in aria (ma non era stato detto che l’obiettivo era di ripetere su scala moltiplicata l’11 settembre, cioè di farli schiantare contro edifici pubblici di alto significato simbolico?) mediante un esplosivo denominato TATP, perossido di idrogeno, acetone e acido solforico. Dobbiamo alla sua confessione se oggi non si può salire a bordo di un aereo portando liquidi in quantità superiore a dosi stabilite. Sfortunatamente questa storia è totalmente impossibile, come dimostrarono numerosi esperti di esplosivi, spiegando ai giornali che per fare, con quei componenti, un esplosivo efficace sarebbero state necessarie più ore di quelle necessarie per un volo transatlantico, e con un sistema di attrezzature per esperimenti chimici, da introdurre nelle toilettes dell’aereo, che non avrebbe potuto passare inosservato. Ma, sebbene le prove dell’inapplicabilità di quelle procedure siano clamorosamente evidenti, si continua ad effettuare controlli sui liquidi, per i passeggeri aerei, che non hanno alcun senso. Come ha scritto il giornalista americano Thomas Green «il mondo intero è stato raggirato con un mito hollywoodiano di liquidi esplosivi binari, che ha guidato governi e determinato politiche. Cioè noi abbiamo reagito a un complotto cinematografico». Pura fiction, evidentemente di grande successo.
Ma veniamo alla domanda essenziale: chi l’ha prodotta?
Secondo la dettagliata analisi di Nafeez Mossadeq Ahmed, che cita a sua volta il capo del bureau pakistano di «Asia Times», Sved Shahzad, i cittadini britannici di origine pakistana arrestati a Lahore e Karachi in connessione con il complotto, erano tutti membri attivi del gruppo islamico britannico clandestino Al Muhajiroun, il cui capo è Omar Bakri Mohammed.
Costui è ora in Libano, dove è stato “esiliato” dalle autorità britanniche sebbene figuri tra i sospettati per le esplosioni del 7 luglio 2005 a Londra. Non è strano che, avendolo in mano, gli inglesi se lo siano fatto scappare? Risulterà meno strano quando si sappia che Omar Bakri Mohammed era un agente dell’MI-6 britannico, reclutato alla metà degli anni ’90 per reclutare, a sua volta, combattenti islamici per il Kosovo. Sempre secondo la stessa fonte, sia la CIA sia l’MI-6 avrebbero da tempo loro agenti infiltrati all’interno del gruppo Al Muhajiroun.
Come si può notare tutta la storia appare straordinariamente simile alla mission del gruppo P2OG: organizzare finti o veri attentati terroristici, penetrare all’interno dei gruppi terroristici per usarli a proprio piacimento. Ecco da dove viene la fiction nella quale tutti i media principali hanno immediatamente creduto, rivendendocela come realtà effettuale, contribuendo a organizzare la diversione.
In seguito tutto si sgonfierà come una bolla di sapone: le prove non saranno trovate, quasi tutti i membri del “complotto” verranno rilasciati. Resta una domanda, che spesso mi viene fatta quando cerco di spiegare che anche l’11 settembre è molto probabilmente qualcosa di analogo, con la sola differenza che è stato portato a compimento. Ma è possibile – c’è sempre qualcuno che mi fa questa domanda – che chi organizza questi spettacoli sia così sprovveduto da lasciarsi dietro tante incongruenze, così distratto da commettere tanti errori? La domanda è legittima, ma ingenua. Le incongruenze sono evidenti, ma solo pochi saranno in condizione di conoscerle. Evitare le incongruenze è tanto più difficile quanto più alto è il numero dei partecipanti, la gran parte dei quali commette errori, anche perché non è al corrente del piano di cui è parte. Il mainstream mediatico farà il resto. Occulterà le contraddizioni, distorcerà le conclusioni
logiche, tacerà dove c’è da tacere, parlerà d’altro impedendo che l’attenzione del pubblico si concentri sui “buchi” della storia. Quello che “passa” è la versione ufficiale, che crea l’ondata di panico opportuna per l’uso da parte dei poteri. Chi organizza queste cose non è affatto stupido: conosce il funzionamento dei media meglio di noi e anche meglio di molti direttori di giornali e di telegiornali.
Il saggio di Webster Tarpley traccia una lucida anatomia di qualcosa di simile a un colpo di stato, indicando i metodi di reclutamento dei “capri espiatori”, la costruzione di un sistema di “talpe” da piazzare nei gangli delle strutture dello stato, l’entrata in azione degli “specialisti” attraverso la trasformazione di esercitazioni militari, da lungo tempo programmate, in operazioni terroristiche reali.
Il bigottismo che circonda l’11 settembre è, a suo modo, la prova indiretta del successo dell’operazione. Chi ne contesta la versione ufficiale, che è quella di un complotto organizzato da un gruppo di terroristi islamici, viene accusato di “complottismo”.
Qui Barry Zwicker, con il suo sarcastico saggio intitolato Il complotto della “teoria del complotto” fa giustizia definitivamente dell’operazione che si proponeva, senza riuscirci, di chiudere tutte le bocche. E, in effetti, è una ben strana procedura mentale quella secondo la quale le autorità hanno diritto a elaborare le loro teorie del complotto, mentre gli altri, chiunque altro osi fare la stessa cosa, viene additato al pubblico ludibrio.
Dove stia il trucco è presto detto. Chi controlla il sistema mediatico lavora per consolidare le teorie ufficiali e per impedire il passaggio di altre intepretazioni. E, quando esse riescono a farsi strada da sole, grazie alla forza delle loro argomentazioni, allora si ricorre al discredito personale dei loro autori, mentre la schiera dei cosiddetti debunkers, gli addetti alla disinformazione, i raccoglitori di pulci, quelli che cercano il pelo nell’uovo dimenticando l’esistenza dell’uovo, vengono sguinzagliati nel web o nei giornali per sminuzzare il lavoro di ricerca in cento rivoli di contestazione. Operazione tanto più facile e truffaldina quanto più alto è il numero di coloro che, avendo diffidato della versione ufficiale, cercano legittimamente di trovare quella vera. Ed essendo non tutti all’altezza del compito che si sono prefissi, commettono errori. E gli errori sono molti di più delle scoperte vere. Per cui è facile intorbidire le acque attaccando gli errori, per nascondere le verità che emergono.
Oppure, semplicemente, prima facendo passare per pazzi e visionari tutti coloro che non stanno al gioco e, in ultima istanza, criminalizzando ogni lavoro di indagine. Con l’argomento principale, se non l’unico, a disposizione dei depistatori: chi non crede alla versione ufficiale è amico dei terroristi. Oppure intende deliberatamente scagionare i terroristi, cioè è un loro complice. È la collaudata metodologia della caccia alle streghe.
Il saggio di Jürgen Elsässer – che è, in assoluto, la migliore analisi fin qui apparsa della componente islamica del terrorismo dell’11 settembre – è l’esatta confutazione di ogni semplificazione del fenomeno terrorista che pretenda di esaurirlo nella sua componente islamica. È alla sua perspicacia di ricercatore e di giornalista che dobbiamo la dimostrazione del collegamento tra gli attentati dell’11 settembre, e poi di quello di Madrid, con la cosiddetta legione islamica bosniaca, quella che l’allora leader bosniaco Alija Izetbegovic impiantò con l’aiuto dell’MPRI (una “azienda” privata alle dipendenze della CIA) per combattere contro i serbi di Milosevic. I terroristi islamici dunque c’erano, certo che c’erano! Il problema è di capire cosa fecero, come c’entrarono, cosa sapevano.
Ma è proprio questo ciò su cui non si è voluto indagare: sui legami tra il terrorismo islamico e i servizi segreti statunitensi.
Michel Chossudovsky, nel suo saggio su Al Qaeda e la “guerra al terrore”, allarga lo sguardo tratteggiando lo scenario di una prosecuzione, con gli stessi, funambolici stratagemmi di “distrazione di massa”, della logica dell’11 settembre, mostrando con straordinaria chiarezza come non possiamo considerarci fuori dal pericolo, a studiare un evento ormai terminato. Al contrario. Quell’evento continua, come ci era stato detto dai suoi ideatori, e noi ci siamo dentro come vittime sacrificali. Parlarne, come facciamo tutti insieme, significa essere immediatamente accusati di antiamericanismo. In realtà nessuno tra coloro che hanno partecipato a questo libro è mai stato antiamericano.
Per la ovvia ragione, innanzitutto, che molti degli autori qui presenti sono cittadini americani, che sfidano il tabù in nome delle libertà americane conculcate. Ma anche i tedeschi, i francesi, gli italiani, i canadesi che hanno contribuito a questo lavoro con i loro scritti sono mossi dalle stesse motivazioni.
Non è l’America che è sotto accusa in queste pagine: sono coloro che hanno portato l’America nel vicolo cieco della guerra contro il resto del mondo a essere al centro di questa riflessione.
Basti qui citare quanto scriveva Paul Craig Roberts, segretario al Tesoro con Ronald Reagan, repubblicano convinto, ex commentatore del molto conservatore «Wall Street Journal», tutto il contrario di un antiamericano:
«Molti lettori patriottici mi hanno scritto esprimendomi le loro frustrazioni perché i fatti e il senso comune non possono farsi strada in una discussione dominata dall’isteria e dalla disinformazione. Mi sfidano a spiegare come mai tre edifici del World Trade Center sono crollati nello stesso giorno sulle loro fondamenta alla velocità di caduta libera: un evento che è escluso dalle leggi della fisica, a meno che non si sia trattato di una demolizione controllata. Essi insistono che vivremo in una guerra ininterrotta e in uno stato di polizia fino a che la versione governativa dell’11 settembre resterà incontestata. Potrebbero avere ragione. Non ci sono molti direttori di giornale disposti a ospitare la critica agli evidenti difetti del Rapporto della Commissione sull’11 di settembre. [...] Noi sappiamo che il governo ha mentito sulle armi di distruzione di massa in Irak, ma crediamo che il governo abbia detto la verità sull’11 settembre».
In questo contesto merita un po’ d’attenzione la posizione assunta, al riguardo, da un’autorità incontestabile come Noam Chomsky. Che, in una intervista a un gruppo di attivisti, ha messo insieme, devo dire con sbalorditiva efficacia negativa, tutti i luoghi comuni che sono stati usati dall’amministrazione statunitense, e poi amplificati dal mainstream informativo, per impedire ogni proseguimento delle indagini e per screditare chi lo avesse tentato. Tanto più sbalorditivo perché Chomsky sembra dimenticare, mentre dice ciò che dice, tutto ciò che lui stesso da decenni scrive sul sistema informativo americano e sugli inganni e i complotti del potere imperiale. «Che l’amministrazione
Bush abbia tratto dei vantaggi da questo episodio non si discute, » esordisce affermando Chomsky «ma è soltanto una delle tante nazioni al mondo che ha saputo approfittare al meglio degli attentati dell’11/9, ma che lo abbiano pianificato in qualunque modo e che ne fossero a conoscenza mi pare altamente improbabile.» Fermiamoci un attimo a ragionare su queste parole.
In primo luogo parlare dell’“amministrazione Bush” come l’origine degli attentati è la prima fonte di equivoco. Con chi polemizza Chomsky non è chiaro, a meno che non si tratti dell’ultimo ingenuo che si può incontrare su Internet. È una evidente banalizz
(Message over 64 KB, truncated)
Serbia: NATO wants Kosovo as puppet state
--- ITALIANO ---
KOSOVO: NUOVE ACCUSE SERBE CONTRO IPOTESI PROTETTORATO NATO
(ANSA) - BELGRADO, 20 AGO - Continua il botta e risposta tra settori
del governo serbo e Nato sul destino del Kosovo, la provincia
secessionista a maggioranza albanese che - accusano esponenti di
Belgrado - l'Alleanza Atlantica vorrebbe staccare definitivamente
dalla Serbia per farne un proprio protettorato. L'ultimo a rilanciare
la palla e' stato in queste ore Srdjan Djuric, capo ufficio stampa
del primo ministro serbo Vojislav Kostunica, secondo cui appare
improprio che un'alleanza militare esprima pareri sul futuro status
della provincia contesa. E avalli proposte come quella dell'ex
presidente finlandese Martti Ahtisaari - favorevole a una
''indipendenza sorvegliata'' del Kosovo - che di fatto
trasformerebbero la regione in ''uno Stato di proprieta' della
Nato''. Interpretazioni respinte da Bruxelles, dove si sostiene che
l'Alleanza ''non intende possedere alcuno Stato'', ne' architettare
nulla ''alle spalle della Serbia'', ma solo ''garantire condizioni di
sicurezza'' durante l'estrema fase negoziale promossa fra le parti
dalla nuova troika di mediatori euro-russo-americana creata dal
Gruppo di Contatto. E tuttavia interpretazioni che continuano a
circolare a Belgrado, almeno negli ambienti del Partito Democratico
di Serbia (Dss, conservatore) di Kostunica: la forza piu' oltranzista
in seno all'attuale esecutivo serbo di coalizione democratica nella
battaglia contro il riconoscimento d'ogni ipotesi di indipendenza del
Kosovo, e il piu' incline a immaginare un vero e proprio asse con
Mosca su questo punto, anche a costo di mettere in imbarazzo i
partner liberali di governo e di virare bruscamente dalla rotta euro-
atlantica avviata nel dopo-Milosevic. Tra i piu' polemici si segnala
il giovane ministro dell'Energia, Aleksandar Popovic, fedelissimo di
Kostunica con un passato di studi universitari in Russia, che in
un'intervista ripresa oggi dalla newsletter Vip ha avuto a sua volta
parole di fuoco contro Washington e Bruxelles, accusate entrambe di
non spingere per ''un compromesso accettabile'' perche' bramose di
creare ''uno staterello Nato'' sul territorio del Kosovo. Una realta'
in cui - a giudizio di Popovic - la unita' militari internazionali
sotto controllo Nato ''avrebbero poteri illimitati, non sottoposti ad
alcuna vera autorita' civile: cosa che non avviene in nessuno Stato
democratico, e meno che mai nei Paesi occidentali fondatori della
Nato''. (ANSA). LR
20/08/2007 15:49
--- ENGLISH ---
http://www.srbija.sr.gov.yu/vesti/vest.php?id=37422
Government of Serbia - August 14, 2007
Serbia will never accept NATO colony in Kosovo-Metohija
Belgrade – Serbian Minister of Education Zoran Loncar
said today that the entire international community
knows that Serbia will never accept that NATO makes a
quasi-state or military colony on its territory.
In a statement to the news agency Tanjug, Loncar said
that the issue of the Albanian minority in
Kosovo-Metohija provided NATO a chance to try and
establish its first puppet military state.
NATO took military action against Serbia, then sent
its troops to Kosovo-Metohija and now, through the
plan proposed by Martti Ahtisaari for determining the
future status of Kosovo-Metohija, it is attempting to
create its first military state, said the Minister.
Annex 11 of Ahtisaari’s plan directly proposes that
NATO must have unlimited authority in the allegedly
independent state of Kosovo-Metohija, said Loncar, and
added that now the US carries special responsibility
to finally abandon the project of creating the first
NATO state.
That is an essential precondition for finding a
solution based on compromise through new negotiations
which could satisfy the interests of both Serbs and
ethnic Albanians in the province, concluded the
Minister of Education.
http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?
yyyy=2007&mm=08&dd=14&nav_category=90&nav_id=43014
B92, Beta (Serbia) - August 14, 2007
"NATO wants Kosovo as puppet state"
BELGRADE - A minister in Koštunica's cabinet and
member of his DSS says NATO means to turn Kosovo into
a state of its own.
Education Minister Zoran Lonèar's statement, reported
by Beta Tuesday, is the third in the past several days
sharply criticizing the alliance, coming from prime
minister Vojislav Koštunica's Democratic Party of
Serbia (DSS).
Most notably, Interior Minister Dragan Joèiæ said
Sunday that "a project to create a NATO state was the
greatest obstacle to a Kosovo settlement."
However, Lonèar reached for stronger language and said
that NATO had used the opportunity created by
"problems with the ethnic Albanian population in
Kosovo" to "try and create its first military puppet
state.”
Lonèar told the agency that NATO first bombed Serbia,
brought its troops to Kosovo, and is now trying to set
up a state of its own under the provisions of UN
Kosovo Envoy Martti Ahtisaari's status plan.
“Annex 11 of the Ahtisaari plan grants NATO direct
authority and gives it limitless power in a reputedly
independent state,” he said.
The minister added that “the entire international
community knows full well that Serbia will never allow
NATO to create a quasi-state on its territory.”
http://www.iht.com/articles/ap/2007/08/15/europe/EU-GEN-Serbia-US-
Kosovo.php
Associated Press - August 15, 2007
Serbia accuses US of wanting to create 'satellite state' out of Kosovo
BELGRADE, Serbia - Serbia stepped up an anti-U.S.
campaign Wednesday, accusing it of wanting to create a
"satellite state" out of the breakaway province of
Kosovo.
"Now that we are starting new negotiations on Kosovo,
it is crucial that NATO and the United States give up
their project of creating a satellite state" in the
southern Serbian province, said Slobodan Samardzic,
Serbia's government minister for Kosovo.
His statement to local media was the latest in a
series of accusations against the U.S. for its support
of independence for Kosovo where ethnic Albanians
comprise 90 percent of the province's two million
people.
Samardzic was joined Wednesday by the head of the
influential Serbian Orthodox Church in Kosovo who said
Serbia should never give up the province at any price,
even if it takes "2,000 years" of isolation.
"They (the West) are offering us membership in the
European Union," Bishop Artemije said.
Kosovo, considered by many Serbs as the cradle of
their statehood and religion, is only formally a part
of Serbia. The province has been run by the United
Nations and NATO since 1999, when NATO launched an air
war to stop Serbia's government onslaught on Albanian
separatists.
Last week, envoys from United States, the European
Union and Russia launched a 120-day effort to end the
impasse over Kosovo.
The new effort follows Russia's threat to block a
Western-backed plan to grant Kosovo internationally
supervised independence in the U.N. Security Council.
The diplomats are to report back to U.N. Secretary
General Ban Ki-moon by Dec. 10.
Samardzic, the Serbian Kosovo minister, said that the
Kosovo state created with the U.S. support "would only
serve the interests of America and the local (Kosovo)
mafia clans."
The latest government-sponsored anti-U.S. campaign is
apparently intended to further foster Russia's
opposition to Kosovo's independence, having in mind
Russia's opposition to U.S. policies on several
fronts.
http://www.reuters.com/article/worldNews/idUSL1580306920070815
Reuters - August 15, 2007
Serbs say West wants Kosovo as a "NATO state"
BELGRADE - Serbs campaigning against independence for
the breakaway province of Kosovo have accused the West
of seeking a "NATO state" in the Balkans.
A number of politicians say NATO allies are determined
to carve out the new state from Serbian territory by
backing the independence demands of Kosovo's 90
percent Albanian majority.
To block an independence resolution on Kosovo at the
United Nations, Serbia has enlisted the help of
veto-holder Russia and President Vladimir Putin,
frequently opposed to NATO goals.
Russia on Wednesday accused the West of pursuing
Kosovo independence under threat of Albanian "violence
and anarchy".
In an article, Foreign Minister Sergei Lavrov said
Moscow's Western partners were "inclined to give in to
blackmail."
Serbia's tilt towards Moscow has some Serb
commentators wondering if the government is seriously
preparing to abandon its pro-Western goals and
policies if Kosovo is lost.
The "NATO state" idea has cropped up in various
comments over the past week. It appeared to originate
with Prime Minister Vojislav Kostunica, whose
coalition government aspires to NATO membership.
Kostunica has also threatened to curtail relations
with any country which may eventually decide to
recognize Kosovo as independent - the major NATO
powers among others.
And a newspaper close to the government has suggested
that Serbia would also end its bid for European Union
membership.
According to the Minister for Kosovo, Slobodan
Samardzic, NATO plans to make Kosovo virtually its own
territory and a Kostunica spokesman said the U.S.
military base, Camp Bondsteel, would be its capital.
Samardzic told the official news agency Tanjug on
Wednesday that NATO wants Kosovo as a base to "serve
its geopolitical and strategic goals as well as mafia
clans".
He urged Washington to give up "the project of
creating a satellite, army barracks, state on foreign
territory" as Serbs and Kosovo Albanians begin a new
and probably final round of talks seeking compromise
over the province's future.
In a comment likely to anger the Western alliance, the
minister said the real goal of NATO's 1999 air war was
"the creation of the NATO state that would be
independent Kosovo".
....
http://www.srbija.sr.gov.yu/vesti/vest.php?id=37439
Government of Serbia - August 15, 2007
NATO, US should abandon project of creating satellite state
Belgrade – Serbian Minister for Kosovo-Metohija
Slobodan Samardzic called upon the US to give up the
project of creating a NATO state in the form of an
independent Kosovo-Metohija, as new negotiations on
the future status of the province are expected to
begin.
In a statement to the news agency Beta, Samardzic said
that now when new negotiations are to begin, it is of
key importance that NATO and the US abandon the
project of creating a satellite state in
Kosovo-Metohija.
The Minister stressed that this project has nothing to
do with the economic recovery of Kosovo-Metohija and
reconciliation of Serbs and ethnic Albanians, and
least of all with the European future of this part of
Europe.
According to Samardzic, such a state would serve only
the geopolitical and strategic military goals of the
US, as well as the purposes of the local mafia groups
in Kosovo-Metohija, and will make it impossible for
people in the province to have a peaceful and
prosperous future.
Due to these reasons, Serbia rejected the plan
presented by Martti Ahtisaari, which in annex 11
proposes establishing a permanent NATO presence in
Kosovo-Metohija, stressed Samardzic.
He recalled that during the previous eight years the
international community had the opportunity to verify
the real goal of NATO military action against Serbia,
which is the creation of a NATO state through
independence for Kosovo-Metohija.
http://news.xinhuanet.com/english/2007-08/16/content_6539052.htm
Xinhua News Agency - August 16, 2007
Serbia accuses NATO of establishing barrack-style
state in Kosovo
TIRANA - Serbia on Wednesday accused NATO and the
United States of trying to set up a barrack-style
satellite state in its southern breakaway province of
Kosovo, news reaching here from Belgrade reported.
"NATO and the United States should give up the project
to create a satellite barrack-state in a foreign land
at a moment when we are opening new negotiations on
the future status of Kosovo," Slobodan Samardzic,
Serbia's minister for Kosovo, said in a statement.
Samardzic said that kind of Kosovo state would only
serve the interests of NATO and the United States,
safeguard the gains of the mafia clans in the
province, and permanently prevent a peaceful and
prosperous future for the local people.
"The project has nothing to do with either the
economic recovery of Kosovo or the reconciliation
between Serbs and Albanians, and least of all with for
this part to be integrated into Europe in the future,"
Tanjug, Serbia's official news agency, quoted him as
saying.
Kosovo has been run by the UN and NATO since 1999 when
NATO launched air strikes to stop Serbia from
attacking Albanian separatists. Ethnic Albanians, who
make up 90 percent of the province's 2 million
population, are demanding independence while the
Serbians and Serbs in Kosovo want it to remain within
Serbia.
In March, the UN special envoy Martin Ahtisaari
submitted a draft plan, which envisions
internationally supervised independence for Kosovo, to
the Security Council concerning the Kosovo issue.
The plan, supported by the United States and many
western countries, were robustly opposed by Serbia and
its ally Russia which wields a powerful veto in the UN
Security Council.
Last week, envoys from the EU, the United States and
Russia, the so-called Kosovo-troika, made a 120-day
effort to break the impasse over Kosovo. They planned
to launch a new negotiation over the issue in Vienna
at the end of this August.
http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?
yyyy=2007&mm=08&dd=16&nav_category=90&nav_id=43067
B92, Beta (Serbia) - August 16, 2007
DSS continues war of words against NATO
BELGRADE - Interior Minister Dragan Joèiæ has today
again accused NATO of intending to turn Kosovo into
"it’s own puppet state".
He added that the Alliance could "no longer cover up"
this intention.
The statement is the second of the kind in the past
four days.
Joèiæ told Beta that "NATO can no longer cover up its
real intention of turning Kosovo into its own
militarized puppet state."
"The Ahtisaari plan, in which it is clearly defined
that NATO will have unlimited power in an allegedly
independent Kosovo, has been drawn up in order to
register and enshrine our province’s territory within
the property of the NATO pact.“
The minister said that the bombing of Serbia in 1999
"is fully explained by the Ahtisaari plan, that is to
say, the creation of the first NATO state.“
Joèiæ went on to say that, "If the U.S. intends to
build normal relations with Serbia – and it should –
then it must stop this dangerous experiment, which
began with the illegal, and above all, merciless
destruction of our country.“
Joèiæ is considered to be the one of most influential
figures in the party led by Prime Minister Vojislav
Koštunica. His party and cabinet colleagues have
joined him last week in sharp criticism of the
Alliance's role in the Kosovo status crisis.
The partners of the DSS in the current ruling
coalition, President Boris Tadiæ's Democratic Party
(DS), have so far remained silent on the issue,
refusing to comment the controversial statements.
http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?
yyyy=2007&mm=08&dd=17&nav_category=90&nav_id=43088
B92, Beta (Serbia) - August 17, 2007
Koštunica adviser: Time to return to Kosovo
BELGRADE, GNJILANE - An adviser to the prime minister
says the time has come for a number of Serbian troops
to return to Kosovo.
Aleksandar Simiæ told reporters Friday that UN
Resolution 1244, which guarantees Serbia's
sovereignty, also provides for the possibility of
redeployment of a number of Serbian police and
soldiers to the province.
"We believe the time is right for this," he said,
echoing a statement made Wednesday by one of the
Kosovo Serb leaders, Marko Jakšiæ.
According to Simiæ, "the Albanian separatist leaders
in Kosovo have demonstrated they do not in fact wish
to negotiate" in the coming renewed status talks
between Belgrade and Priština.
"This is yet further evidence that the only force that
can make the Kosovo Albanians negotiate is the United
States. If that country were to give up its bid to
create a NATO state in the Balkans, real negotiations
would be possible, producing a compromise, sorely
needed for the Balkan and European stability," Simiæ
said.
Asked whether repeated claims made by state officials
from Koštunica's Democratic Party of Serbia (DSS),
accusing NATO of a conspiracy to set up its own state
in the region, meant that Serbia had given up on its
previous policy of becoming a NATO member, he said the
government "did not discuss this issue."
....
http://www.focus-fen.net/index.php?id=n119629
Focus News Agency (Bulgaria) - August 17, 2007
Serbia wants army, police back in Kosovo
Belgrade - Serbia wants to send soldiers and policemen
back to Kosovo, a top official said Friday, amid
increased tensions over the future status of the
UN-administered province, cited by AFP.
"We believe the time has come for that," Aleksandar
Simic, an adviser of Serbian Prime Minister Vojislav
Kostunica, told the Beta news agency.
The UN Security Council resolution which ended the
Kosovo conflict between Serbian forces and ethnic
Albanian separatists, included an option that up to
1,000 Serbian policemen and soldiers could be sent
back to the province to guard cultural and religious
sites.
The option has never been taken up amid fears that it
would exacerbate tensions.
In June 1999, Serbian armed forces were driven out of
the province following a NATO bombing campaign....
While technically remaining a Serbian province, Kosovo
has been run by a UN mission ever since, with some
16,000 NATO-led peacekeepers deployed there.
Under the recent proposals of UN envoy Martti
Ahtisaari - rejected by both Serbia and Russia, but
supported by the United States - Kosovo would be
granted supervised independence.
Simic joined a number of Serbian ministers in accusing
the United States of influence peddling in the region.
"If they (the US) gave up a creation of a NATO state
in the Balkans, real negotiations would be possible"
on Kosovo's future status, Simic said.
The international troika of the United States, the
European Union and Russia has launched a new round of
negotiations on Kosovo following Moscow's rejection of
the Ahtisaari plan.
The talks are expected to resume on August 30 in
Vienna.
Kosovo's ethnic Albanians, who comprise 90 percent of
the 1.8 million population, want nothing but
independence, while Belgrade balks at anything more
than a high degree of autonomy.
http://www.srbija.sr.gov.yu/vesti/vest.php?id=37452
Government of Serbia - August 17, 2007
High time a number of Serbian soldiers, police
returned to Kosovo-Metohija
Belgrade - Advisor to Serbian Prime Minister
Aleksandar Simic stated today that, in line with UN
Security Council Resolution 1244, it is high time that
a number of Serbian soldiers and police officers
returned to Kosovo-Metohija.
In a statement to the Beta news agency, Simic said
that according to Resolution 1244, which guarantees
Serbia's sovereignty, the UN and NATO are under
obligation to enable the return of the Serbian police
and army to the province's territory.
According to Simic, statements of Albanian
separatists' leaders from Kosovo-Metohija following
the meeting with the Contact Group's troika of envoys,
point to the fact that they do not want any
negotiations and that the upcoming period, that is,
until December 10, will be "a mere waste of time".
It is further proof that the US is the only force
which can make Kosovo Albanians negotiate, stressed
Simic and added that if the USA gave up on creating a
NATO state in the Balkans, actual negotiations would
be possible and the compromise, so indispensable for
Balkan and overall European stability, could actually
be expected.
He added that only by following the decisions of the
Security Council to the letter can the respect of the
UN Charter and international law be guaranteed and
"dangerous and monstrous quasi-state-like creations in
the heart of Serbia and the Balkans" rendered
impossible.
http://www.iht.com/articles/ap/2007/08/17/europe/EU-GEN-Serbia-Kosovo-
Security.php
Associated Press - August 17, 2007
Serbia urges return of its military and police to Kosovo
BELGRADE, Serbia - Serbia urged the return of its army
and police to Kosovo, an official said Friday, a move
that could increase ethnic tensions in the breakaway
province.
"The time has come for the return" of some 1,000
Serbian security personnel to the province, said
Aleksandar Simic, a spokesman for Prime Minister
Vojislav Kostunica. In Kosovo, 90 percent of the 2
million people are ethnic Albanians.
The U.N. administration in Kosovo refused to comment
before it gets a formal request from the Serb
government for the troops' return.
Under a U.N. Security Council resolution passed in
1999 when NATO troops chased out Serbian security
forces from Kosovo after their crackdown against
Kosovo Albanian separatists, Serbia was granted the
return of up to 1,000 police and army troops to the
province's borders and to guard Serbian churches and
monasteries there.
But NATO and U.N. peacekeepers in Kosovo have not
allowed the redeployment....
Kosovo, considered by many Serbs as the cradle of
their statehood and religion, is only formally a part
of Serbia. The province has been run by the United
Nations and NATO since 1999, when NATO launched an air
war to halt Serbia's government onslaught on Albanian
separatists.
Last week, envoys from the United States, the European
Union and Russia launched a 120-day effort to end the
impasse over Kosovo. A new round of talks has been set
for Aug. 30 in Vienna, Austria.
Simic said that the return of the Serbian troops to
Kosovo is a "precondition" for a possible deal with
ethnic Albanians.
The new negotiation effort follows Russia's threat to
block a U.S.-backed plan to grant Kosovo
internationally supervised independence in the U.N.
Security Council. The diplomats are to report back to
U.N. Secretary-General Ban Ki-moon by Dec. 10.
http://www.focus-fen.net/index.php?id=n119726
Tanjug (Serbia) - August 18, 2007
Serbia urges NATO to stop supporting UN envoy's Kosovo plan
Belgrade - Serbian Prime Minister Vojislav Kostunica's
media Advisor Srdjan Djuric said Saturday that NATO
must give up its support to UN Envoy Martti
Ahtisaari's settlement plan for Kosovo and that
assurances by NATO spokesman that the alliance is not
trying to create its own state in Kosovo-Metohija are
nor worth anything to Serbia.
As long as NATO continues to support Ahtisaari's plan
and particularly its Annex 11, it is clear that it is
trying to create the first NATO state, Djuric told the
press.
NATO has not yet said that it would respect the
inviolability of Serbia's internationally recognized
borders and that it will respect Serbia's sovereignty
and territorial integrity, he said.
NATO spokeswoman Carmen Romero said Friday quoted by
Belgrade electronic media that NATO is not doing
anything in secret or behind Serbia's back.
....
http://www.nasdaq.com/aspxcontent/NewsStory.aspx?cpath=20070817%
5cACQDJON200708171320DOWJONESDJONLINE000592.htm&
Associated Press - August 17, 2007
NATO Rejects Serbia Bid To Return Its Army, Police To Kosovo
BELGRADE - NATO on Friday rejected Serbia's request to
return its army and police to Kosovo, a redeployment
that could increase ethnic tensions in the breakaway
province.
"The time has come for the return" of some 1,000
Serbian security personnel to the province, said
Aleksandar Simic, a spokesman for Prime Minister
Vojislav Kostunica. In Kosovo, 90% of the 2 million
people are ethnic Albanians.
"Serbian forces will not be authorized to return,"
said Michael Knop, a spokesman for the North Atlantic
Treaty Organization-led peacekeepers in Kosovo. He
said the international force is "responsible for
security in Kosovo and there is no intention to
authorize such a decision."
....
Under a U.N. Security Council resolution passed in
1999 when NATO troops chased out Serbian security
forces from Kosovo after their crackdown against
Kosovo Albanian separatists, Serbia was granted the
return of up to 1,000 police and army troops to the
province's borders and to guard Serbian churches and
monasteries there.
But NATO and U.N. peacekeepers in Kosovo have not
allowed the redeployment, fearing it could irritate
Kosovo Albanians and re-ignite violence and ethnic
tensions in the tense region.
Kosovo, considered by many Serbs as the cradle of
their statehood and religion, is only formally a part
of Serbia. The province has been run by the U.N. and
NATO since 1999, when NATO launched an air war to halt
Serbia's government onslaught on Albanian separatists.
Last week, envoys from the U.S., the European Union
and Russia launched a 120-day effort to end the
impasse over Kosovo. A new round of talks has been set
for Aug. 30 in Vienna, Austria.
Simic said that the return of the Serbian troops to
Kosovo is a "precondition" for a possible deal with
ethnic Albanians.
The new negotiation effort follows Russia's threat to
block a U.S.-backed plan to grant Kosovo
internationally supervised independence in the U.N.
Security Council. The diplomats are to report back to
U.N. Secretary-General Ban Ki-moon by Dec. 10.
http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?
yyyy=2007&mm=08&dd=19&nav_category=90&nav_id=43124
FoNet (Serbia) - August 19, 2007
"Forces could return immediately"
BELGRADE - Serbian forces could immediately return to
Kosovo to secure religious sites and clear minefields,
a government official says.
Dušan Prorokoviæ (DSS), a secretary with the Ministry
for Kosovo, said Sunday there was nothing wrong with
the request to allow the return of Serbian security
personnel to some parts of Kosovo, "for it is in line
with the UN resolution 1244".
According to him, “if KFOR is unable to fulfil its
mandate, protect non-Albanian residents in the
province and stop ethnic cleansing and violence, our
security forces should be entrusted with the task.”
He said that the talk about the possibility of
partioning Kosovo was an attempt to plant an idea that
was not Belgrade's and added that it “represents an
exit strategy for some of Albanian politicians who
realized their insistence on certain things produced
no results.”
“Even if we were to consider partition, we will be
introducing into negotiations a new category that
disrupts the international legal order and involves
alteration of a sovereign state’s borders.”
Prorokoviæ said that the partition of the province,
along with any sort of independence, would
additionally weaken the region and push the Balkans
into long-term instability, which would suit no one.
Both Belgrade and Priština have rejected the
possibility of partition. UNMIK has also denied it
would allow any Serbian police and army to redeploy in
the province.
http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?
yyyy=2007&mm=08&dd=19&nav_category=90&nav_id=43122
B92, Beta (Serbia) - August 19, 2007
Koštunica's ministers contunue anti-NATO rhetoric
BELGRADE - The latest of DSS cabinet ministers to
verbally take on NATO is Aleksandar Popoviæ, in charge
of energy.
The minister joined his Democratic Party of Serbia
(DSS) colleagues in claims that the Alliance's alleged
desire to set up its "military state" in Kosovo was
what stood in the way of a compromise between Belgrade
and Priština over the province's future status.
"There is no state in the world, and this is
especially true of those belonging to NATO, where
armed forces are not placed under strict civilian
control" Popoviæ told Beta Sunday.
He added that, conversely, the Ahtisaari status plan
envisaged "an allegedly independent Kosovo where NATO
had unlimited authority with no civilian supervision
whatsoever".
Popoviæ's statement comes a day after the first
official reaction from the DSS coalition partners,
President Boris Tadiæ's Democrats (DS), to what has
become a flood of public statements severely critical
of NATO.
However, the cabinet ministers from the DS ranks
remain quiet on the issue. Instead, their
parliamentary caucus chief Nada Kolundžija said
Saturday the anti-NATO rhetoric was "damaging".
Meanwhile, the Alliance has denied that its
involvement in Kosovo went beyond the peacekeeping
role and stressed it wished to develop good relations
with Serbia, a Partnership for Peace member country.
http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?
yyyy=2007&mm=08&dd=25&nav_category=90&nav_id=43260
Beta (Serbia) - August 25, 2007
Koštunica: U.S. must abandon Ahtisaari plan
BELGRADE - Continued U.S. insistence on the Ahtisaari
plan ahead of the new Kosovo talks is not good, the
prime minister says.
“It is certainly wrong that the plan in question
provides NATO with a role a military organization has
never had before in the world,” he told Beta news
agency Saturday.
According to him, Serbia is ready to take on its share
of responsibility and make an adequate contribution to
finding a compromise solution.
Koštunica stressed that such a solution could be
reached only if the United States abandons the status
plan drawn up by UN Special Envoy Martti Ahtisaari and
adhere to the UN charter and fundamental principles of
international law.
http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?
yyyy=2007&mm=09&dd=02&nav_category=90&nav_id=43465
Beta News Agency (Serbia) - September 2, 2007
DSS: Unilateral declaration of independence possibility
BELGRADE - The Democratic Party of Serbia (DSS) warned
Friday that Kosovo might declare independence on
December 11.
"Albanian separatists, backed by the United States and
NATO, could proclaim unilateral independence. The U.S.
would soon after recognize this first NATO state,"
Prime Minister Vojislav Koštunica's party said in a
statement Sunday.
The DSS added it was "deliberating adequate answers to
this dangerous scenario".
"One of the possible answers that needs to be talked
about is for the parliament to make a decision that
our country cannot become a NATO member," the
statement said.
"It is time to start discussions about the manner in
which we, as a state, will react to the possibility of
unilateral independence and the first NATO state."
The Contact Group's mediating Troika is scheduled to
submit a report about the ongoing Kosovo talks to the
UN secretary general on December 10.
===========================
SOURCE : Stop NATO
http://groups.yahoo.com/group/stopnato
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http://www.contropiano.org
Nigrizia contesta il premio assegnato dai radicali (Nessuno tocchi
Caino) al presidente del Ruanda, Kagame
Dura presa di posizione del mensile dei missionari comboniani
"Nigrizia" al premio di ‘Abolizionista dell’anno’ conferito oggi al
presidente del Rwanda Paul Kagame dall’associazione italiana ‘Nessuno
tocchi Caino'. Ecco il testo che ci è stato inviato con richiesta di
diffusione.
"Paul Kagame, presidente del Rwanda, che ha conquistato il potere con
le armi nel 1994, è uno degli uomini politici più discussi d’Africa.
Discusso perché non sono affatto state chiarite le circostanze che
hanno scatenato il genocidio del 1994 (morirono almeno 500.000 tutsi
e hutu moderati) e l’eventuale ruolo dello stesso Kagame. Discusso
per come si è mosso in questi anni nell’area dei Grandi Laghi e, in
particolare, nei confronti della Repubblica democratica del Congo,
contro la quale ha condotto una guerra (1998-2003) per accaparrarsi
risorse e fette di territorio. Discusso per come si rapporta con i
vari tribunali che si occupano del genocidio. Discusso per come sta
gestendo, all’interno del paese, l’amministrazione della giustizia in
relazione ai sospettati e condannati per il genocidio. Discusso
perché il suo regime non garantisce le libertà fondamentali.
Nonostante tutto ciò, “Nessuno tocchi Caino”, l’associazione
presieduta da Marco Pannella ha pensato bene di premiare il
presidente Kagame, perché ha abolito la pena di morte. Il premio gli
verrà consegnato oggi pomeriggio dal presidente del consiglio Romano
Prodi. Nigrizia, che segue giorno dopo giorno le vicende di paesi
africani, ritiene che si tratti di una premiazione paradossale, che
fa il gioco di un regime autoritario e che non tiene conto di
numerosi aspetti “problematici” che punteggiano la carriera politica
e l’attuale vita pubblica del generale Kagame. A questo riguardo,
segnaliamo la reazione di padre Aurelio Boscaini, un missionario
comboniano che ha lavorato a lungo in quell’area e che ieri ha
inviato una protesta agli organizzatori del premio. Ne diamo alcuni
stralci. «Esprimo tutto il mio sdegno nell’apprendere che oggi verrà
consegnato il premio “L’abolizionista dell’anno 2007” al presidente
del Rwanda, Paul Kagame. È come se mi si volesse raccontare – a me
che sono stato missionario in Rwanda – una blague (barzelletta)! Mi
sono chiesto se conoscete veramente questo assassino, che dovrebbe
avere sulla coscienza qualche milione di morti. O credete che questo
generale sia il Caino convertito? Magari!!! Chi ha ammazzato i
milioni di persone nella Repubblica democratica del Congo, dopo il
genocidio del 1994? Chi ha scatenato la guerra contro Kabila padre?
Chi ha abbattuto l’aereo su cui si trovava Habyarimana? O siete di
quelli che credono al film Hotel Rwanda?!». «Basta che un generale
annunzi l’abolizione della pena di morte, e voi siete così... ingenui
da credergli? Dov’è la democrazia in Rwanda? Avete chiesto a
Bizimungu, primo presidente dopo il genocidio, cosa pensa di Kagame?
E l’avete domandato alle decine di migliaia che marciscono nelle
prigioni rwandesi? Volete dare il premio Nobel della pace a un
Hitler?». «Sono contro tutte le guerre (quante ne ho viste in
Africa!) e contro la pena di morte in assoluto. Dovete chiedere
l’abolizione, non la moratoria. Anche se so benissimo che si fa un
passo alla volta! Mi sembra vogliate gridare: “Viva l’Africa dei
generali!”. I tutsi sono riusciti in una impresa mediatica fantastica
e voi vi accodate!». «L’Italia che premia un génocidaire!? Se davvero
i tutsi sono stati uccisi in così grande numero (come tutti
raccontano), non ce ne sarebbero più in giro! Ma so che non si deve
parlare né di tutsi né di hutu, come se i nostri fratelli africani
avessero dimenticato a quale etnia o clan appartengono! Ma gli
africani sono orgogliosi delle loro origini etniche, e quelli che non
hanno nulla da perdere, le riconoscono gioiosamente!». «Viva,
comunque, l’Africa e chi vi muore per la libertà, senza mai aver
sparato. Il giorno della libertà è vicino anche per il Rwanda, se gli
Stati Uniti non sosterranno più Kagame né acquisteranno più il coltan
che il generale-presidente va a rubare in Congo!".
(Misna)
1) “Great Albania”: A Project for Europe (Pyotr Iskenderov)
2) "Where there are more Albanians – there will be Albania. This will
happen if they start a separation of Kosovo. At the end of it all,
such development is to our benefit, since all Albanians will unite in
a single country..." (Faton Klinaku, Secretary of the Organization
of the KLA/UCK Veterans)
3) Chronology of Greater-Albanian terrorism and debate in FYROM,
August 2007:
- August 2, 2007: attack on police station located at Kosovo's border
- August 6, 2007: Terrorist attack on Macedonian Government's building
- August 13, 2007: Sixth anniversary of Ohrid Framework Agreement
- August 22, 2007: Runaways From Kosovo Dubrava Prison Hide In Macedonia
- August 23, 2007: Macedonia urges troika to consult it on Kosovo
- August 24-29, 2007: At least three Albanian villages to organize
referendums for separating from Macedonia
- August 29, 2007: ANA sends threats to all Albanian politicians in
Macedonia
- August 29, 2007: Doubts over Macedonia NATO membership invitation
in 2008 after worries that the crisis could easily spread to
Macedonia and Albania as well....
Source: R. Rozoff via Stop NATO - http://groups.yahoo.com/group/stopnato
=== 1 ===
http://en.fondsk.ru/article.php?id=867
Strategic Cultural Foundation
July 25, 2007
“Great Albania”: A Project for Europe
Pyotr Iskenderov
So, the secret is out.
The “premier” of the Kosovo government, the former
ringleader of the terrorist “Kosovo Liberation Army”
Agim Ceku has named the date, to which the Albanian
leaders of the province would time their declaration
of independence.
That is slated for November 28, 2007, when
neighbouring Albania will celebrate its principal
state holiday - Day of the Flag.
But the holiday has to do with Albania but indirectly.
It has long been viewed by the Albanian diaspora
scattered all over the world as Day of All Albanians.
To understand what Kosovo separatists mean by
selecting this particular date for declaring
independence, suffice it to recollect the two key
events in ALBANIAN history, not the history of a state
of Albanians but rather of their ethnic origins.
The first milestone is the period when the
All-Albanian Prizren League worked in 1878-1881.
Prizren is a town in Kosovo.
In September 1878 the leaders of the Prizren League
adopted a programme of unification of ALL Albanian
provinces into a single autonomous state and political
formation, introducing Albanian as the language to be
used for making official documents and for educational
purposes, as well as creation of the Albanian national
army.
Following that was the demand to establish a single
Albanian vilayet under the formal suzerainty of the
Turkish Sultan for the above purposes.
Using the slogan “United Albania for all Albanians”
their troops clashed with Turkish and Montenegro
armies that attempted to implement the decisions of
the 1878 Berlin Congress on the territorial rebuilding
of the Balkans.
The idea of the creating of an ethnic Albania was
rejuvenated in the autumn of 1912 when the armed
forces of the Balkan states led by Serbia liberated
the originally Slav lands from Turkey.
On November 18, 1912 leaders of the Albanian national
movement presented to diplomats from the great powers
in Istanbul what was called “The Call of the Albanian
Nation”.
It expressed the firm resolve of Albanians to fight
with an eye to “guaranteeing to the Albanian people
its ethnic and political existence.”
What the reference to “guarantees” meant was the
establishment of Albania in its ethnic borders and its
further international recognition.
A few days later in Vlera the National Assembly
gathered to declare Albania’s independence under the
banner of the Middle-Age Albanian hero Skanderbeg, a
black double-headed eagle on the red background.
Since then residents of Albania and Albanians in
Kosovo, Macedonia, Montenegro, Southern Serbia and
Greece regard this flag as their national symbol.
As early as 1913 a multi-colour map of “Ethnic
Albania” was disseminated in the Balkans that was
drawn by someone named Ahmet Gasi, also known as
“doctor” and “professor”.
The map showed the international borders of the
state-to-be that included Albania, all of Kosovo, the
greater part of Macedonia, a part of Greece and
Montenegro. Nowadays, all the bookstores in Pristina,
the administrative centre of Kosovo, feature this map
so that it could [attract] anyone willing to purchase
it.
The price is 5 euros.
The danger of such ethno-demographic “novelties” by
“professor “ Gasi and his present-day Albanian
followers should in no case be underestimated.
....
So far, they in most European capitals prefer to
disregard the danger that is looming over the European
continent.
They believe (or pretend to believe) the tales that
Kosovo Albanians would be satisfied enough to have
independence under the international supervision.
Meanwhile, they continue to believe that Albanian
riots in 2000-2001 in Macedonia and the Presevo valley
in the south of Serbia were caused by the oppression
of Skopje and Belgrade rather than viewing them as a
test of their muscles by the Great Albania
strategists.
Individual concerned voices are drowned out in the
choir of bombastic diplomats the likes of British
Foreign Secretary David Milliband, who calls on the EU
to take the “single and strong” stance on Kosovo,
supporting the “Ahtisaari” plan that suggests granting
independence to the Kosovo residents.
As for the date, November 28, Europeans have grown
accustomed to associate it with age-long history, if
they ever recollect it.
However, history has a habit of repeating itself, and
frequently in a more terrifying manner than before.
No one in the United States saw any tragic meaning of
the figures 9 and 11 only six years ago.
Is it absolutely out of the question for Europe, so
vain of its civilization, to begin writing its
comprehensive history from the date 11/28 ?
=== 2 ===
http://www.focus-fen.net/index.php?id=n120634
Focus News Agency (Bulgaria)
August 29, 2007
Separation of Kosovo will mean separation of Serbia,
Macedonia, Montenegro and Greece: AOK veteran
Pristina - Any separation of Kosovo will have to be
done in accordance with the international principles –
the right to self-definition, the ethnic principle or
the principle of the majority.
But these principles should not be used only for
Kosovo, but also for Presevo/Southern Serbia,
Macedonia and Montenegro.
This was said by Faton Klinaku, Secretary of the
Organization of the Veterans of the Army for the
Liberation of Kosovo [Kosovo Liberation Army].
"Where there are more Albanians – there will be
Albania.
"This will happen if they start a separation of
Kosovo. At the end of it all, such development is to
our benefit, since all Albanians will unite in a
single country," Klinaku said.
‘I whould also say that before 1999 the Albanians were
the majority in Northern Kosovo," Klinaku said.
After the war the UNMIK administration and the Kosovo
institutions were absent from that part of Kosovo.
This allowed Serbia to occupy these lands. In other
words, if there is no separation, the situation before
the war in 1999 should be taken into account, when the
Albanians were a majority in Northern Kosovo.
=== 3 ===
http://www.makfax.com.mk/look/novina/article.tpl?
IdLanguage=1&IdPublication=2&NrArticle=78123&NrIssue=413&NrSection=10
MakFax (Macedonia)
August 2, 2007
Macedonian interior ministry confirms attack on police
station located at Kosovo's border
Skopje - Macedonian police have confirmed reports of
gunshots directed toward the police station located in
the vicinity of the Macedonia-Kosovo border as well as
hand grenades exploding not far from the station.
Nobody was injured in the incident that took place
Tuesday at about 20:45 hrs, when unidentified persons
opened gunfire toward the police station in the
village of Goshince. Several bullets ended up in the
station's premises.
Concurrently, several hand grenade detonations had
occurred at about 50-100 meters distance.
Police revealed no further details.
---
http://www.makfax.com.mk/look/novina/article.tpl?
IdLanguage=1&IdPublication=2&NrArticle=78462&NrIssue=417&NrSection=10
MakFax (Macedonia)
August 6, 2007
Terrorist attack on Macedonian Government's building
Skopje - An armed terrorist attack on the building of
the Macedonian Government took place last night, the
Government's spokesman said, and the Police confirmed
the incident.
Spokesman Ivica Bocevski told Makfax that the
Government's building was hit by two rifle grenades
last night, a half an hour past midnight. He explained
that the grenades of South African origin, were fired
from a distance of 400 meters.
The incident left no one injured, and there is still
no information as to the material damage.
"The Government wants to send a message to all who
participated in the terrorist attack that some day or
other, they will end up behind bars. The attackers
should know - we received the message, but the
Government will remain steadfastly on the current
course", Bocevski said.
The Interior Ministry confirmed the attack and
announced releasing of an official statement soon.
http://www.iht.com/articles/ap/2007/08/06/europe/EU-GEN-Macedonia-
Grenade-Attack.php
Associated Press
August 6, 2007
2 grenades explode near Macedonian government
building; no injuries
SKOPJE, Macedonia - Two rocket-propelled grenades
exploded near the headquarters of the Macedonian
government and the neighboring Japanese Consulate in
downtown Skopje overnight, a government spokesman said
Monday. No casualties or damage were reported.
"The government wants to send a message to all who
participated in the terrorist attack: they will end up
behind bars," said government spokesman Ivica
Bocevski.
He said the attack took place at 12:30 a.m. One of the
grenades exploded in front of the Japanese Consulate,
and the other hit the top of a tree near the
government headquarters, police spokesman Ivo Kotevski
said.
Kotevski and Bocevski both said the target was
believed to be the government building rather than the
consulate. The motive was unclear.
The government building houses Cabinet offices and
several ministries.
"The grenades were of South African origin and the
preliminary investigation shows the grenades were
fired from a distance of 400 meters," Kotevski said.
Police were investigating the attack.
http://www.makfax.com.mk/look/novina/article.tpl?
IdLanguage=1&IdPublication=2&NrArticle=78471&NrIssue=417&NrSection=10
MakFax (Macedonia)
August 6, 2007
Interior Ministry steps up security after attack on
Government's building
Skopje - The Macedonian Police announced tightening of
security measures to protect the state institutions
after confirming that two grenades exploded in the
immediate vicinity of the building of the Government
of the Republic of Macedonia shortly after midnight
last nigh.
"The first one exploded on Orce Nikolov St, after
hitting the upper branches of a tree. The second one
went off after running into in a concrete wall just
outside the Japanese Consulate located across from the
Government's building", Interior Ministry announced.
An expert tem of the Anti-Terror Squad took fragments
of the grenades after the incident.
"The forensics examination established that the
grenades fired from a 40mm hand-held grenade launcher
with maximum range of 450 meters were in question. The
analysis indicate that the grenades originate from the
South African Republic", the Ministry said in the
announcement.
The Police are conducting an operation aimed at
discovering the motives for the attack and tracking
down the perpetrators.
http://www.rferl.org/newsline/2007/08/4-SEE/see-070807.asp
Radio Free Europe/Radio Liberty
August 7, 2007
Southeastern Europe
GRENADES FIRED AT MACEDONIAN GOVERNMENT BUILDING
Two grenades were fired at a government building in
Skopje early on August 6 in what the Macedonian
authorities described as a "terrorist attack,"
Macedonian media reported.
Government spokesman Ivica Bocevski said the South
African-made grenades were fired from a distance of
400 meters but landed 100 meters short of the
building, the news agency Makfax reported.
No one was injured.
Bocevski did not say who the authorities believe might
have launched the attack. There has been no similar
attack n recent years, but the timing of the attack
will add to concerns about violence in Kosova could
reignite the separatist violence seen in Macedonia in
2001.
Ethnic-Albanian veterans of that conflict recently
vowed to fight alongside Kosovar Albanians if Kosova
is denied independence.
In the latest demonstration of support for Kosova,
several thousand Albanian Macedonians rallied on
August 3 in Tetovo, the epicenter of the 2001
conflict. AG
---
http://www.makfax.com.mk/look/novina/article.tpl?
IdLanguage=1&IdPublication=2&NrArticle=79107&NrIssue=423&NrSection=10
MakFax (Macedonia)
August 13, 2007
Sixth anniversary of Framework Agreement
Skopje - On this day six years ago, the Ohrid
Framework Agreement was signed.
It put an end to the armed conflict in Macedonia and
became one of the country's key documents, whose
implementation determines greatly the Euro-Atlantic
future of the country.
The parties constituting the broad governing coalition
at the time, endorsed the Agreement on 13 August,
2001. It paved the way to numerous alterations to the
constitution and legislature with prime focus on
increased rights and representation of the community
of Albanian minority in the state institutions.
The leaders of the parties comprising the coalition at
the time - Ljubco Georgievski, Branko Crvenkovski,
Imer Imeri, Arben Xhaferi, along with the late
president Boris Trajkovski, put their signatures on
the Ohrid Framework Agreement.
US and the European Union co-signed the Agreement as
guarantors of its implementation.
The armed conflict in Macedonia started on 17
February, 2007, when a paramilitary group of Albanians
made an incursion in the village of Tanushevci,
situated at the border with Serbia in the part towards
Kosovo.
In a few weeks' time, the armed clashes spread towards
the Kumanovo-Lipkovo and Tetovo areas.
The fiercest battles including heavy artillery and
airborne units took place near the villages of Radusha
and Arachinovo in the last two months of the
eight-month conflict.
Macedonian security forces waged war against the
paramilitary units of the National Liberation Army
(NLA), which derived from Kosovo's KLA.
After the conflict, NLA's leadership formed a
political party - Democratic Union for Integration
(DUI). The party of the NLA's leader Ali Ahmeti became
an ally of the ruling coalition that included Social
Democratic Alliance of Macedonia (SDSM) and the
Liberal Democratic Party (LDP).
As many as 120 soldiers, policemen and army reservists
were killed in the conflict. The death toll of the
other warring party remained unknown to this day,
nevertheless, the estimates range at about 1.200
killed members of NLA.
The conflict left thousands of internally displaced
persons, including hundreds of Macedonians and Serbs
who are still unable to return to their homes in the
Lipkovo region.
---
http://www.focus-fen.net/index.php?id=n120078
Focus News Agency (Bulgaria)
August 22, 2007
Dnevnik: Runaways From Kosovo Dubrava Prison Hide In
Macedonia
Skopje - Ramadan Siti, 24, and Limir Jakupi a.k.a. the
Nazi, 30, and the rest of the five prisoners who
managed to escape from the Dubrava Prison in Kosovo
are hiding in Macedonia, in the vicinity of
Tanusevski, the Macedonian Dnevnik newspaper reported,
citing anonymous sources.
The Macedonian Ministry of Interior does not reject
the possibility that the group of criminals has
entered Macedonian territory, but it has not received
any confirmed information on the case.
According to the newspaper’s sources, the group of
criminals has been released from prison under a
scenario planned in advance, with the assistance of
certain structures, which aim at destabilization of
the region, if the negotiation process for Kosovo’s
independence follows some wrong direction.
Several former members of the Kosovo Liberation Army
watch closely the development of the Kosovo issue, and
they are ready for action.
---
http://www.focus-fen.net/index.php?id=n120188
Agence France-Presse
August 23, 2007
Macedonia urges troika to consult it on Kosovo
Skopje - Macedonian President Branko Crvenkovski on
Thursday called on the international community to
consult his country about the future status of Kosovo.
"Macedonia will launch an initiative to the US, EU and
Russia to organise a meeting with representatives of
this region including Macedonia," Crvenkovski said
after a meeting of Macedonia's security council
dedicated to Kosovo.
He stressed, however, that "at this moment, there are
no indications of any serious threats to the security
of Macedonia."
An international troika - composed of representatives
of the United States, the European Union and Russia -
has launched a new round of negotiations on the final
status of the UN-run Serbian province of Kosovo.
Its 90-percent ethnic Albanian population wants
independence, an option staunchly opposed by Serbia.
Some observers in Macedonia fear that granting Kosovo
independence will lead to tensions in the former
Yugoslav republic, which itself has a 25-percent
ethnic Albanian population.
---
http://www.makfax.com.mk/look/novina/article.tpl?
IdLanguage=1&IdPublication=2&NrArticle=80480&NrIssue=433&NrSection=10
MakFax (Macedonia)
August 24, 2007
Xhezair Shaqiri - Hoxha: Tanusevci wants annexation to
Kosovo
Skopje - Tanusevci wants to break off from Macedonia
to accede to Kosovo, for which goal the inhabitants of
the village will set up a referendum.
The Skopje-based Albanian language daily "Fakti" said
that this was announced by the President of the
National Democratic Union, Xhezair Shaqiri, known as
Komandant Hoxha during the 2001 Conflict.
Elaborating the idea of a referendum, Shaqiri accused
Macedonia's authorities of not showing any interest in
this part of the country over the past 17 years.
"The Government of Macedonia did not show any interest
for this part of the country, that is why we are
seeking to accede to Kosovo. We are also linked with
this country geographically and have many family
ties", Shaqiri said.
He warned that the Macedonian Police were not welcomed
in Tanusevci as the village was controlled by the
inhabitants themselves, revealing no exact number of
those who carry out those controls.
Shaqiri dismissed suspicions that the escaped inmates
of the Kosovo's prison of Dubrava, Lirim Jakupi and
Ramadan Shiti, found their safe haven in Tanusevci.
In the same article, "Fakti" said that the Interior
Ministry rejected such descriptions of the situation
in Tanusevci as false.
http://www.focus-fen.net/?id=n120334
Focus News Agency (Bulgaria)
August 25, 2007
Macedonian press: Is new destabilization ahead in
Macedonia?
Skopje - Yesterday’s statement by the former MP
Xhezair Sakiri that Tanusevci wanted to separate from
Macedonia and join Kosovo through holding a referendum
is the leading topic in the Macedonian press.
The newspapers link the event to other two recent
worrying pieces of news – escaped terrorism convicts
from Dubrava prison in Kosovo, and another escaped
terrorism convict from Idrizovo prison in Skopje, and
to the upcoming new negotiations for Kosovo’s future
status and to a possible destabilization in Macedonia
and the region.
http://www.focus-fen.net/index.php?id=n120687
Focus News Agency (Bulgaria)
August 29, 2007
Two more Albanian villages to organize referendums for
separating from Macedonia
Skopje - After the village of Tanusevci, now two more
villages – Brest and Malino - have also stated they
would organize referendums for their separation from
Macedonia and for joining Kosovo, Xhezair Shaqiri has
told the Albanian language daily “Laim”, the
Macedonian Vreme daily reports.
According to Shaqiri, petitions have already been
started in these villages and the preparations for
referendums are already underway.
The former MP and chairman of the People’s Democratic
Party and present deputy chairman of Hisni Shaqiri’s
party, says that the Macedonian police have demanded
to enter Tanusevci but he has denied [them].
“The Macedonian police wanted to enter the village
through KFOR. KFOR representatives told me about the
police request and I told them that KFOR may enter the
village and stay there for years on end, but there is
no room for the Macedonian police”, Shaqiri said.
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http://www.focus-fen.net/index.php?id=n120686
Focus News Agency (Bulgaria)
August 29, 2007
ANA sends threats to all Albanian politicians in
Macedonia
Skopje - The Albanian National Army (ANA) has sent
threats to all Albanian politicians in Macedonia
because “they work with Slav Macedonian colonizers”,
the Macedonian Vreme daily informed, citing a release
by the ANA published on Albanian Internet websites.
The former chairman of the organization Fagur Adili
stated that the next war will not be [with] a power
without a state - like the Albanian parties in
Macedonia - nor would it be for Ilirida [Illyria], but
for the unification of all the territories of
Albanians.
According to Adili the stages according to which this
unification will be achieved have been pointed out in
the ANA’s program.
Other similar texts have appeared recently on Albanian
Internet websites which also call for the unification
of Albanian territories, the edition comments.
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http://www.focus-fen.net/?id=n120650
Focus News Agency (Bulgaria)
August 29, 2007
A1: Doubts over Macedonia NATO membership invitation
in 2008
Skopje - There is some possibility that Macedonia will
not receive an invitation for NATO membership at the
Summit in Bucharest in 2008, high standing diplomatic
sources have told the Macedonian A1 TV channel.
This turn in the recent optimism could be explained by
the still unsolved issue about Kosovo' status.
There are also worries that the crisis could easily
spread to Macedonia and Albania as well, and this is
instability that NATO could not afford in member
states.
That is why there is a variant for the next Summit to
apply the formula 1+2, i.e., Croatia to receive an
invitation, while space for maneuvers will be left for
Macedonia and Albania and their invitation to be sent
after the Kosovo issue is solved.
The diplomatic sources have told A1 that security is
of high importance in the variant in which Macedonia
is left in the waiting room, though it enjoys the open
support of both Washington and Brussels.
L'argent de RSF intrigue le Médiateur européen |
Maxime Vivas |
Rappelons les faits. En 2003/2004, l'Union européenne (UE) a octroyé 1 293 303 euros à RSF. Le 1er février 2005, Reporters sans frontières a adressé une lettre publique comminatoire au Président de l'Europe l'adjurant de l'aider à provoquer une « transition démocratique » à Cuba. L'expression « transition démocratique » est utilisée par l'Administration Bush pour signifier : liquidation du gouvernement cubain et gestion de l'île sous protectorat US. |
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RSF énonçait des prescriptions précises : « Il nous paraît indispensable que l'UE apporte son soutien aux agences de presse indépendantes, ainsi qu'aux organisations de syndicalistes, de bibliothécaires, médecins, économistes, etc. » On voit là que RSF balaie pratiquement tout le champ politique en préconisant d'intervenir dans les systèmes médiatique, social, culturel, médical, économique, ainsi que dans le sibyllin « etc. ». « Etc » ? Si l'on en croit Nestor Baguer, journaliste « dissident » cubain longtemps appointé par RSF et recruté à La Havane par Robert Ménard en personne (qui apprendra trop tard que c'était un agent de la sécurité cubaine), RSF s'intéresse aussi à une possible dissidence dans la police et dans l'armée. Bref, sous couvert de la défense des journalistes dans le monde, RSF mène-t-elle des actions factieuses avec l'argent de l'Europe ? Si oui, ne s'agit-il pas d'un détournement des fonds pour un usage incompatible avec les règles qui régissent les rapports entre Etats, ici entre Cuba et l'Europe, cette dernière n'ayant jamais inscrit dans ses objectifs le renversement d'un gouvernement qui ne représente aucune menace pour elle et avec qui elle entretient des relations diplomatiques normales ? Pour le savoir, j'ai déposé, le 3 février 2005, une plainte contre RSF auprès de l'UE en lui demandant de s'assurer du bon usage des subventions. A commencé alors le jeu de la patate chaude. Entre février 2005 et juin 2006, ma plainte a hanté les bureaux de M. Nikiforos Diamandouros, médiateur européen, Mme Rachel Doell, sa secrétaire, M. Joa Sant'Anna chef du département administratif et financier, M. Daniel Koblentz, Mme Josiane Pailhès, membre de la Commission, Mme Marjorie Fuchs, juriste au bureau du Médiateur, M. Giuseppe Massangioli, directeur de la Direction G du Secrétariat général, M. Ian Harden, du bureau du Médiateur et jusqu'à M. José Manuel Barroso, Président de l'UE. Ce dernier fut la 9ème personne à compulser un dossier avançant au rythme des carabiniers d'Offenbach (qui chantent sur scène « Marchons, marchons », en faisant du surplace). Pressé de questions par mes différents interlocuteurs, j'ai pu préciser que 779 304 euros avaient été versés à RSF en 2003 et 513 999 euros en 2004 « pour la défense des journalistes emprisonnés en Asie et dans les pays ACP » (Afrique, Caraïbes, Pacifique) » dans le cadre de « l'Initiative européenne pour la Démocratie et les Droits fondamentaux ». Nous avions là les différents protagonistes, (RSF et l'UE), les années budgétaires de versements, les montants, l'intitulé de l'usage prévu des fonds. Et ma question était simple: Votre (notre) argent a-t-il été utilisé à bon escient ou détourné pour d'autres causes ? Finalement, la réponse de l'UE fut : si vous ne fournissez pas « la référence exacte du contrat » avant le 31 juillet 2006, la plainte sera classée. A ce moment-là, je me suis persuadé que si je parvenais (par une intrusion nocturne dans les bureaux de l'UE ?) à lui fournir le renseignement qu'elle seule possédait, on me demanderait ensuite l'heure de signature et la marque du stylo, voire le signe zodiacal des signataires et les numéros de sécurité sociale de leurs ascendants. Entre temps, RSF avait reçu le prix européen Sakharov, j'avais appris que l'UE a négocié avec les USA des dérogations à la loi extraterritoriale US Helms-Burton (qui limite le commerce avec Cuba) en échange de condamnations répétées de l'île des Caraïbes, que Lucie Morillon, la représentante de RSF à Washington, avait révélé que le contrat de RSF avec le Center for a Free Cuba (paravent de la CIA oeuvrant à la « transition démocratique ») oblige l'ONG, en échange de dollars, à agir contre ce pays. L'affaire étant entendue, je jetai l'éponge. Au demeurant, l'objectif n'était pas de faire condamner RSF par l'Europe (ne rêvons pas), mais de mettre à nue les collusions RSF/USA/UE. Mais voilà que (surprise !) le Médiateur européen m'écrit, le 18 juillet 2007. Et pour me dire quoi ? Qu'il ne comprend pas pourquoi la Commission européenne ne m'a fourni aucune réponse, qu'il suppose que l'UE détient un registre décrivant les subventions versées ainsi que les actions promues avec cet argent, que j'ai clairement exposé mes préoccupations : déstabilisation « de gouvernements légitimes en utilisant les fonds européens pour la défense des journalistes. », qu'il fait part de ces observations à la Commission européenne en lui demandant pourquoi elle a été « incapable » de répondre à ma plainte. Bref, il n'est pas content, il s'interroge, négligeant la date butoir à laquelle devait être fourni, à ceux qui l'ont signé, le numéro du contrat incriminé. Pourquoi ce rebondissement ? Parce qu'un nombre croissant de pays dans le monde n'admet plus l'acharnement anti-cubain des affidés des USA ? Parce que l'Espagnol José-Maria Aznar est sur la touche et que José-Luis Zapatero agit autrement ? Parce que, le 12 juin 2007, la Française Christine Chanet, représentante du Haut-commissariat des droits de l'homme à l'ONU, dénigrant Cuba à Genève lors de la réunion du Conseil des droits de l'homme a suscité l'indignation ouverte de 26 pays membres sur 47 ? Parce que de plus en plus d'Etats-uniens préconisent une autre approche du cas cubain ? (Wayne S. Smith qui fut le représentant des Etats-Unis à Cuba dans les années 80 a écrit, le 22 juillet 2007, que « Le plan d'action de Bush ne marche pas »). Parce que l'Europe perd peu à peu toutes ses positions économiques et commerciales à Cuba, laissant la place libre à la Chine aujourd'hui, et aux USA demain ? Parce que RSF commence (enfin !) a sentir le soufre ? Ou tout simplement parce que le traitement de ce dossier par la Commission européenne relève d'un « foutage de gueule » dans lequel le Médiateur lui-même est méprisé ? Pour plusieurs de ces raisons ? Pour d'autres à découvrir ? Allez savoir ! Ce qui est sûr, c'est que la question : une « ONG » peut-elle ouvertement utiliser l'argent du contribuable européen dans l'intérêt des USA n'est pas enterrée. A suivre donc, sans illusion, mais en se délectant du numéro de contorsionniste/transformiste d'une Europe invitée par Cuba à reconsidérer, sans précipitation, son comportement. Le 18 juin 2007, le ministère des Relations extérieures cubain publiait un communiqué invitant l'Union européenne à « rectifier les erreurs commises envers Cuba ». Et d'ajouter orgueilleusement : « Mais rien ne presse: nous avons tout le temps du monde ». En effet, en multipliant ses échanges commerciaux avec un nombre croissant de pays non européens, Cuba desserre l'étau US. Les campagnes médiatico-politico-RSfiennes agissent surtout comme des boomerangs. En mêlant ses euros aux dollars entassés dans la caisse de RSF, l'Union Européenne joue contre son camp. Maxime Vivas |
Il capo di Reporter Senza Frontiere, Robert Ménard (la denuncia è stata rilanciata in Italia da Franco Carlini de Il Manifesto), in un'emissione di France Culture, l'audio della quale è disponibile a questo indirizzo legittima l'uso della tortura. Lo fa con gli argomenti tipici usati dai grandi torturatori della storia, i Videla, i Pinochet: «Se avessero preso in ostaggio mia figlia, non ci sarebbe stato limite alcuno, ve lo dico e ve lo ripeto, all’uso della tortura». Con "limite alcuno" Ménard intende proprio nessuno, includendo la cattura e la tortura di familiari innocenti di presunti terroristi.
Quanto difende Ménard è infatti quello che in Algeria fecero centinaia di volte i francesi e poi ripeterono migliaia di volte le dittature latinoamericane i torturatori delle quali, come è noto, furono addestrati sì dagli Stati Uniti, ma sulla base delle tecniche sperimentate dai francesi in Algeria e Indocina.
Per essere ancora più chiaro e non lasciare adito a dubbi su quello che intende, Ménard cita il caso di Daniel Pearl, il giornalista del Wall Street Journal, sequestrato e assassinato in Pakistan. Per liberarlo in tempo, la dittatura amica di Pervez Musharraf -lo ricorda Carlini- arrestò e torturò i familiari dei presunti rapitori. La conclusione è nota. Con rara vigliaccheria Ménard, per sostenere la sua tesi si nasconde dietro la vedova Pearl, che secondo lui difenderebbe l'uso della tortura da parte della polizia di Musharraf, nel vano tentativo di salvare il marito.
E qui sta il punto. Ménard, nell'affanno di creare un'impalcatura ideologica per difendere Guantánamo e Abu Grajib, finge di dimenticare che saltare il fosso della disumanità rende solo altrettanto disumani. In Guatemala i manuali insegnavano a cavare gli occhi dei bambini davanti ai padri per farli parlare. In Pakistan, come ad Abu Grajib in Iraq, giustificandosi con che fosse per una causa nobile, usavano gli stessi manuali.
Ma il povero Pearl fu comunque barbaramente assassinato, gli algerini, come gli indocinesi, riuscirono a liberare i loro paesi e i torturatori latinoamericani non sanno più dove nascondersi, come testimonia l'ergastolo di ieri a Hugo Salas Wenzer che abbiamo qui riportato.
Il discusso Ménard, due anni fa ammise di accettare soldi dalla CIA per fare in modo che la sua organizzazione, RSF (alla quale collaborano ingenuamente centinaia di volontari) risulti particolarmente sollecita a denunciare (e a volte a ritoccare la verità) le persecuzioni della stampa in paesi considerati nemici da chi paga. E allo stesso tempo accetta soldi perché RSF stia in silenzio, o parli in maniera strumentale, quando le violazioni alla libertà d'espressione sono commesse dagli Stati Uniti o da paesi alleati di questi.
Quando Ménard afferma testualmente: "non è più una questione di idee o di principi, ma di guerra" ha passato il Rubicone del sistema ideologico della guerra al terrorismo, della negazione, a partire dall' "habeas corpus", dei diritti fondamentali dell'individuo. Ménard è oggi solo un ingranaggio del partito della guerra, del neoconservatorismo duro e puro dei Donald Rumsfeld, dei Dick Cheney e degli Alberto Gonzalez. Gli uomini di RSF in Italia, gli Alessandro Oppes, i Mimmo Candito, sono contro la tortura o stanno con Ménard? E tempo che chi costruisce la propria autorevolezza anche in quanto membro di un'organizzazione come RSF dica da che parta sta: con Ménard e i torturatori o per i diritti umani.
E anche quelle centinaia di volontari che credono che Reporter Senza Frontiere sia un'organizzazione indipendente che lavora per la libertà d'espressione, che la considerano addirittura progressista, devono scegliere tra la complicità e l'aprire gli occhi e chiedere conto ai dirigenti del loro operato.
- Ai Giudici italiani Casson, Mastelloni e Salvini che da anni non possono svolgere indagini sul coinvolgimento diretto della base nella strategia della tensione in Italia, durante la quale bombaroli fascisti e di Gladio sono stati addestrati nelle pinete occupate dai militari USA.
- Ai lavoratori italiani iscritti ai sindacati di sinistra, discriminati da un regolamento vergognoso che rende il territorio italiano colonia delle leggi di Washington.
- Alle ispezioni nei centinaia di silos contenenti tonnellate di armi sconosciute.