Informazione
gli Usa
"Caro Occidente smetti di salvare l'Africa"
(la Repubblica, 31 luglio 2007)
UZODINMA IWEALA
L'autunno scorso, poco dopo il mio ritorno dalla Nigeria, mi sono
sentito chiamare da una disinvolta studentessa, una bionda che
portava intorno alla vita un filo di perle africane intonate ai suoi
occhi azzurri. «Salviamo il Darfur!» gridava la ragazza da dietro un
tavolo coperto di opuscoli che esortavano gli studenti a mobilitarsi
subito: «Take Action Now! Stop Genocide In Darfur!».
Data la mia avversione per la facilità con cui gli studenti dei
college si imbarcano nelle cause più in voga, stavo passando oltre;
ma la ragazza mi ha bloccato gridando: «Non vuole aiutarci a salvare
l'Africa?».
A quanto pare, in questi ultimi tempi l'Occidente, oppresso dai sensi
di colpa per la crisi che ha creato in Medio Oriente, si rivolge
all'Africa per redimersi. Studenti idealisti, celebrità come Bob
Geldof e politici come Tony Blair si sentono investiti della missione
di portare la luce nel Continente Nero. E atterrano qui per
partecipare a seminari e programmi di ricerca, o per raccogliere
bambini da adottare - un po' come i miei amici di New York quando
prendono la metropolitana per andare al canile municipale a cercare
un randagio da portarsi a casa.
Questa la nuova immagine che l'Occidente dà di se stesso: una
generazione sexy e politicamente attiva, che per diffondere il verbo
privilegia i paginoni dei rotocalchi con in primo piano la foto di
qualche celebrità, su uno sfondo di africani stremati. E non importa
se a volte le star impegnate nei soccorsi hanno volti emaciati - sia
pure volontariamente - quanto quelli degli affamati che vogliono
soccorrere.
L'aspetto più interessante è forse il linguaggio usato per descrivere
quest'Africa da salvare. Ad esempio, la campagna pubblicitaria di
"Keep a Child Alive" ("Mantieni in vita un bambino"), che ha scelto
lo slogan "Io sono africano", presenta le foto di celebrità
occidentali, per lo più di pelle bianca, con la faccia dipinta di
"segni tribali", sotto la scritta "I am African" in lettere cubitali;
e in basso, in caratteri più piccoli: «Aiutaci a fermare la strage».
Ma per quanto benintenzionate, le campagne di questo genere
promuovono lo stereotipo dell'Africa come una sorta di buco nero di
malattia e di morte. Le notizie di stampa si concentrano
invariabilmente sui leader corrotti del continente, sui signori della
guerra, sui conflitti "tribali", sul lavoro minorile e sulle donne
sfigurate da abusi e mutilazioni genitali. Per di più, queste
descrizioni sono spesso precedute da titoli del tipo: "Riuscirà Bono
a salvare l'Africa?" Oppure: "Brangelina salverà l'Africa?" Anche se
i rapporti tra l'Occidente e il continente africano non sono più
apertamente basati su idee razziste, questi articoli hanno molto in
comune con i resoconti dei tempi d'oro del colonialismo, quando i
missionari europei venivano inviati in Africa per portarci
l'istruzione, Gesù Cristo e la "civiltà".
Non c'è un solo africano che come me non apprezzi gli aiuti
provenienti dal resto del mondo. Ma ci chiediamo fino a che punto
quest'aiuto sia genuino, o se non venga dato nello spirito
dell'affermazione di una superiorità culturale. Mi sento avvilito
quando prendo parte a manifestazioni di solidarietà ove il conduttore
recita l'intera litania dei disastri africani, prima di presentare
qualche personaggio, per lo più bianco e facoltoso, che elenca le sue
iniziative in favore dei poveri africani affamati. Vorrei sparire
ogni volta che sento uno studente benintenzionato descrivere le danze
dei villaggi come segno di gratitudine delle popolazioni per i
soccorsi ricevuti. O quando un regista di Hollywood gira l'ennesimo
film sull'Africa con un occidentale nel ruolo di protagonista -
mentre noi africani, che pure siamo esseri umani in carne ed ossa,
veniamo usati al servizio delle fantasie proiettate dall'Occidente su
se stesso. Queste descrizioni, oltre a passare sotto silenzio il
ruolo preminente del mondo occidentale in molte delle situazioni più
disastrose del continente, ignorano il lavoro incredibile che gli
africani hanno compiuto e continuano a compiere per risolvere i loro
problemi.
Perché i media parlano spesso dell'indipendenza «concessa agli Stati
dell'Africa dai dominatori coloniali», dimenticando le lotte e il
sangue sparso dagli africani per conquistarla? Come mai l'impegno per
l'Africa di Bono o Angelina Jolie sono oggetto di smisurate
attenzioni, mentre l'opera di africani come Nwankwo Kanu o Dikembe
Mutombo è praticamente ignorata? E come si spiega che in Sudan le
esibizioni da cow boy di un diplomatico Usa di medio livello ricevano
più attenzione degli sforzi di numerosi Paesi dell'Unione africana,
che hanno inviato aiuti alimentari e truppe, e si sono impegnati in
negoziati estenuanti nel tentativo di raggiungere un accordo tra le
parti coinvolte in questa crisi?
Due anni fa ho lavorato in Nigeria in un campo di accoglienza per
profughi interni, sopravvissuti a una rivolta che ha causato un
migliaio di morti e circa 200.000 rifugiati. I media occidentali,
fedeli alla solita formula, hanno riportato le notizie delle
violenze, ignorando però gli interventi umanitari in favore dei
superstiti da parte dello Stato e dei governi locali, che non hanno
potuto contare su molti aiuti internazionali. In molti casi gli
assistenti sociali hanno speso, oltre al loro tempo, anche una parte
del loro salario per soccorrere i connazionali in difficoltà. Questa
è la gente che lavora per la salvezza dell'Africa, come tanti altri
in tutto il continente, senza alcun riconoscimento per il loro impegno.
Il mese scorso, il Vertice degli 8 Paesi industrializzati si è
incontrato in Germania con un gruppo di celebrità per discutere, tra
l'altro, su come salvare l'Africa. Io mi auguro che prima del
prossimo incontro di quest'organizzazione ci si renda conto di una
cosa: l'Africa non vuol essere salvata. Ciò che l'Africa chiede al
mondo è il riconoscimento della sua capacità di avviare una crescita
senza precedenti, sulla base di un vero e leale partenariato con gli
altri membri della comunità globale.
Unabhängig von allen Minderheiten? - Kritik am Ahtisaari-Plan |
Thursday, 22 February 2007 | |
Bei Gesprächen in Wien verhandeln bis Anfang März Delegationen der serbischen Regierung und der albanischen Selbstverwaltungsorgane des Kosovo über den Vorschlag des UN-Vermittlers Martti Ahtisaari zur Zukunft Kosovos. Die Interessen der nicht-albanischen und nicht-serbischen nationalen Minderheiten wie Roma, Ashkali, Kosovo-Ägypter oder Gorani bleiben dabei ausgeklammert. Martti Ahtisaari hat sich geweigert, die Vertreter dieser Gruppen am Verhandlungsprozess zu beteiligen. Weder die serbische noch die albanische Seite greift ihre Interessen auf. In einem Autorentext für die Wiener Tageszeitung „Der Standard“ kritisiert Stephan Müller das Vorgehen Ahtisaaris und der beiden Verhandlungsdelegationen. Wir dokumentieren Auszüge aus dem Text, der am 22.2.2007 unter der Überschrift „Unabhängig - von allen Minderheiten?“ erschienen ist. „Die Kosovo-Albaner, die Vereinigten Staaten und die EU wollten es so: Der Kosovo soll unabhängig werden. Das Ziel ist jetzt zum Greifen nahe. Unter den Kosovo-Albanern wird man kaum einen Menschen finden, der nicht die Unabhängigkeit wünschte. Einige wollen sie mit Gewalt und sofort. Allerdings gibt es auch viele, die Angst vor der Unabhängigkeit haben, denn sie trauen es ihren eigenen Leuten (noch) nicht zu, dass sie einen unabhängigen Staat führen können. Mangelnde Erfahrung, Korruption, keine Aussicht auf eine Verbesserung der wirtschaftlichen Lage und ein zu großer Einfluss von Strukturen, die woanders als organisierte Kriminalität bezeichnet werden würden, sind die Hauptsorgen. Noch größere Sorgen haben die Nicht-Albaner im Kosovo. Und das sind nicht nur die Serben, sondern auch die Roma, Ashkali, Ägypter, Türken, Bosniaken, Gorani und Kroaten. Sie befürchten, dass es für sie keinen Platz im Kosovo geben wird und sie fragen sich, wohin sie sollen, wenn es für sie keinen Platz im Kosovo gibt. Der Ahtisaari-Vorschlag hat diese Sorgen nur verstärkt, denn die Bedürfnisse und Forderungen all dieser ethnischen Gruppen wurden in dem Vorschlag nicht berücksichtigt. Wie auch - sie wurden ja auch nicht gefragt. Verquerer Denkansatz Mit einem verqueren Denkansatz, der bestimmten ethnischen Gruppen bestimmte Rechte zuschreibt, genau diese Rechte aber anderen ethnischen Gruppen zugleich vorenthält und den Ansatz, welcher auf einer Zivil- oder Bürgergesellschaft aufbaut, ignoriert, wird im Europa des 21. Jahrhunderts ein ethnisch definiertes, hierarchisches Kastensystems eingeführt. Mit diesem Anachronismus versucht man nun einen modernen, demokratischen und multi-ethnischen Staat aufzubauen. Ob das wohl gut geht? Alle zukünftigen Staatsbürger Und eine kosovo-albanische Regierung, die tatsächlich einen "demokratischen, multi-ethnischen" Kosovo schaffen möchte, hätte in den Verhandlungen auch die Bedürfnisse und Forderungen all ihrer "zukünftigen" Staatsbürger - der Roma, Ashkali, Ägypter, Türken, Bosniaken, Gorani und Kroaten und der Serben - vertreten. Und sie hätte nicht nur ein Gremium mit Angehörigen dieser Volksgruppen eingerichtet, dessen einzige Aufgabe darin besteht, die Vorschläge der Kosovo-Albaner abzunicken. Internationale Vermittler, die tatsächlich an einem "multi-ethnischen" Kosovo, in dem alle ethnischen Gruppen gleichberechtigt leben können, interessiert gewesen wären, hätten gerade die Bedürfnisse und Forderungen dieser Gruppen aufnehmen müssen, da es sonst niemand tat - vor allem, weil die Vermittler von den Vereinten Nationen dazu auch den Auftrag bekommen hatten.“ Roma leben in menschenunwürdigen Lagern Es ist auch ein Verbrechen, dass die UN-Verwaltung Roma, die 1999 aus ihren Häusern vertrieben worden sind, in menschenunwürdigen Lagern im Kosovo untergebracht hat, deren Boden extrem mit Blei verseucht war. Dies war den Behörden der Vereinten Nationen über Jahre hinweg bekannt. Doch erst nach sieben Jahren bequemte man sich dazu, sie in andere Lager zu übersenden; aber nicht in ihre ehemaligen Häuser, wie man vielleicht hätte annehmen können. Denn das Land gehört jetzt den Kosovo-Albanern und diese müssen zustimmen, wenn jemand in seinen Heimatort zurückkehren will. Minderheiten verlassen den Kosovo Bis zu 100.000 Serben und um die 100.000 Roma, Ashkali, Ägypter, Türken, Bosniaken, Gorani und Kroaten leben noch im Kosovo. Es sollte zu denken geben, dass während sieben Jahren UN-Verwaltung mehr Minderheitenangehörige den Kosovo verlassen haben, als Vertriebene in den Kosovo zurückgekehrt sind. Und warum und wie soll das in einem unabhängigen Kosovo besser werden? Kein Thema Dies alles war nicht Thema bei den Statusverhandlungen und findet sich auch nicht im Ahtisaari-Vorschlag berücksichtigt. Denn dem verqueren Verständnis des Verhandlungsteams nach ist der Kosovo erstmal für die Albaner und dann für die Serben da (denn ihnen gehört ja jetzt das Land). Dass das jetzt besser werden soll, nachdem mit dem Vorschlag von Ahtisaari kein Hindernis mehr auf dem Weg zur Unabhängigkeit existiert und der Kosovo ab Sommer 2007 unabhängig von Kosovo-Albanern regiert werden soll, kann nur ein Mensch glauben, der nicht daran interessiert ist, dass es anders wird.“ Der Autor war von 2000 bis 2002 Minderheitenbeauftragte der OSZE im Kosovo. Er ist Mitarbeiter des Ludwig-Boltzmann-Instituts für Menschenrechte. |
Amnesty International Report 2007: Discrimination of Minorities in Kosovo |
Thursday, 24 May 2007 | |
According to Amnesty International's annual report, which covers the state of human rights in 153 countries, ethnic minorities continue to face serious discrimination in the Serbian province Kosovo. Acts of violence that are motivated by ethnic hatred are hardly prosecuted; the number of return migrants to Kosovo remains low. People who have been forcibly returned to Kosovo by EU member states receive almost no support by public authorities, critizes AI.
Amnesty International Report 2007 KOSOVO An UNMIK regulation in February effectively withdrew the jurisdiction of the Ombudsperson’s Office over UNMIK. The Human Rights Advisory Panel, proposed as an alternative mechanism on 23 March, failed to provide an impartial body which would guarantee access to redress and reparations for people whose rights had been violated by UNMIK. It had not been constituted by the end of 2006. Recommendations to strengthen protection for minorities by the Advisory Committee on the Framework Convention for the Protection of National Minorities, made public in March, were not implemented. The UN Human Rights Committee criticized the lack of human rights protection in Kosovofollowing consideration of an UNMIK report in July. In November the European Court of Human Rights considered the admissibility of a case against French members of the NATO-led Kosovo Force (KFOR) brought by the father of a 12-year-old boy killed in May 2000 by an unexploded cluster bomb that the troops had failed to detonate or mark. His younger son was severely injured. Inter-ethnic violence Impunity continued for the majority of perpetrators of ethnically motivated attacks. Most attacks involved the stoning of buses carrying Serb passengers by Albanian youths. In some cases, grenades or other explosive devices were thrown at buses or houses, and Orthodox churches were looted and vandalized. Three predominantly Serbian municipalities declared a “state of emergency” on 2 June following attacks they considered ethnically motivated, and announced a boycott of the UNMIK police and the Kosovo Police Service (KPS). Additional international police were deployed and ethnic Albanian KPS officers withdrawn.
War crimes trials Impunity for war crimes against Serbs and other minorities continued.
Excessive force by police
Discrimination
Refugee returns The rate of return of people displaced by the conflict in Kosovo remained low, although it was reported in June that some 400 Serbs had agreed to return to Babush village near Ferizaj/Uroševac. Those forcibly returned to Kosovo from EU member states were rarely provided with support and assistance by the authorities. Violence against women Up to three cases a day of domestic violence were reported by the UNMIK police. The Ministry of Justice and Social Welfare agreed in July to provide funding for the women’s shelter in Gjakova/Ðakovica, and promised financial support for other shelters. Trafficking for the purposes of forced prostitution continued to be widespread. Reportedly, 45 criminal proceedings related to trafficking were taking place in July. Little progress was made in implementing the Kosovo Action Plan of Trafficking, published in 2005. AI country reports/visits Reports
Visit AI delegates visited Kosovo in April. |
L’indipendenza del Kosovo di Bush e perché dobbiamo opporci
di Fosco Giannini , Don Andrea Gallo , Enrico Vigna
su Liberazione del 27/07/2007
Dopo otto anni rimangono devastazione e separazione figlie delle violazioni del diritto internazionale
E’ degli ultimi giorni la notizia ( che ha avuto, significativamente, poca eco) che gli Usa stanno forzando sull’ONU e sul Gruppo di Contatto per ottenere l’indipendenza del Kosovo Metohja, un obiettivo che Bush sta perseguendo da tempo e che sarebbe devastante per l’intera regione balcanica e fonte di nuove e pericolose acutizzazioni dello scontro già in atto tra Usa e Russia sullo “scudo spaziale” europeo. Anche da questo punto di vista la questione Kosovo M. appare più che mai centrale. E da riproporre con decisione nel dibattito politico.
Il 24 marzo 1999 ebbe inizio l’aggressione della Nato alla Repubblica Federale Jugoslava: 78 giorni di bombardamenti, condotti da cacciabombardieri Nato e italiani, anche sulle infrastrutture civili del territorio della Serbia e Montenegro. Giustificata come “umanitaria”, fu una guerra che oggi si vuole - per vergogna? Per coprirne gli orrori? - rimuovere. Essa aveva l’obbiettivo ufficiale “di portare in quella provincia jugoslava la multietnicità, la multireligiosità e un sistema democratico in grado di impedire pulizie etniche contro i kosovari albanesi; fermare le violenze, garantire sviluppo, pace e tolleranza”. Buoni propositi, come per ogni guerra imperialista, visto che il prodotto finale di quella guerra è stato quello di versare più sangue, seminare più divisioni, più odio e molta più miseria sociale.
Dopo otto anni, e 30.0000 militari Onu e Kfor avvicendatisi, secondo le varie fonti Onu, Osce, Kfor, Unmik, niente di tutto quello promesso è stato mantenuto o raggiunto. Il Kosovo M., oggi, è solo una drammatica realtà, il prodotto unico delle violazioni del diritto internazionale. Dati inquietanti rappresentano il fallimento di una missione che tutto ha generato tranne la pace, che ha devastato terra e uomini con i proiettili all’uranio impoverito, compromettendo per lungo tempo la vita di un popolo e lo sviluppo sociale. Neanche i luoghi generalmente considerati sacri sono stati risparmiati: 148 tra chiese e monasteri ortodossi sono stati distrutti.
Il quadro economico evidenzia maggiormente quanto la guerra abbia pesantemente influito sul futuro del Paese. Si registra l’80% di disoccupazione; le attività produttive sono completamente distrutte e l’agricoltura si è ridotta del 60%. Diritti sociali, civili, religiosi, politici: nessuno di questi è oggi praticabile o garantito. La popolazione non albanese vive in “enclavi”, aree circoscritte, in regime d’apartheid.
In questa situazione, l’ex mediatore Onu Athisaari aveva consegnato al Consiglio di Sicurezza un rapporto (su pressioni di Usa e Germania, paese simbolo del neo imperialismo europeo, che torna - dopo il ruolo giocato nello smembrare la Jugoslavia - a svolgere un compito nefasto) col quale si affermava che nel Kosovo M. esistevano gli standard minimi di democrazia e sicurezza per poter concedere l’indipendenza. La “linea Athisaari”, volta a far concedere dall’Onu l’indipendenza al Kosovo M., è stata tuttavia fermata dall’iniziativa di Russia e Cina, che si sono decisamente opposte all’indipendenza e hanno bloccato la discussione al Consiglio dell’Onu ottenendo che passasse al Gruppo di Contatto sul Kosovo M. ( Gruppo formato da Gran Bretagna, Francia, Usa, Italia, Russia, Germania). Un buon risultato, quello di Russia e Cina, che sospende un dramma, ma sconta il limite di aver portato il dibattito in una sede (il Gruppo di Contatto) ove gli USA possono esercitare ancora una forte pressione.
Se è grave, come dicevamo, il nuovo e scientifico attacco di Bush alla Serbia e alla Russia, contenuto nella scelta azzardatissima di premere per l’indipendenza del Kosovo M., altrettanto grave è il fatto che non solo il ministro degli esteri D’Alema - il quale decretò l’adesione dell’Italia all’aggressione della Rfj nel ’99, in qualità di Primo Ministro - ma lo stesso Prodi hanno caldeggiato il processo di indipendenza. Appare ormai chiaro che la definizione dello status di indipendenza del Kosovo M. è un ulteriore tassello della strategia di espansione egemonica e geopolitica Usa e Nato; strategia che un governo di centro sinistra non dovrebbe sostenere, se intendesse, ancora, differenziarsi da un governo di destra. Cosa è possibile fare nel nostro Paese per non essere complici di un ennesimo atto di ingiustizia e illegalità internazionale? Come possiamo impedire l’ultimo – e tragico – smembramento della ex Jugoslavia? Fondamentale sarebbe l’impegno dei senatori e dei deputati comunisti e della sinistra di alternativa, che dovrebbero illuminare la “questione Kosovo” e battersi, incrociando la loro iniziativa con il movimento per la pace, per mettere in discussione l’attuale posizione del governo, chiedendo il rilancio della mediazione delle Nazioni Unite e la prosecuzione delle trattative tra le parti. Ma anche il movimento per la pace dovrebbe impegnarsi per togliere dal buio politico e mediatico la questione Kosovo Metohija, comprendendo e facendo comprendere a livello di massa che la questione Kosovo non è solo un “fatto in sé”, come molti vorrebbero liquidarlo, ma un possibile e verosimile casus belli di una nuova e grave crisi europea ed internazionale. E’ necessario un confronto per costruire una politica estera indipendente, basata sul diritto internazionale, fondata sulla ricerca di soluzioni pacifiche e negoziali dei conflitti. Solo questo costituirebbe una svolta innovativa rispetto ai precedenti governi; solo questo dimostrerebbe una diversa natura del governo Prodi, che, diversamente, consumerebbe sino in fondo il proprio residuo rapporto con il popolo di sinistra e col popolo della pace, finendo per rinchiudersi desolatamente nelle piazze vuote del governismo senza popolo.
Fosco Giannini Senatore Prc, direttore de “ l’Ernesto”
Don Andrea Gallo Coordinatore Comunità di S. Benedetto Genova
Enrico Vigna Portavoce del Forum Belgrado Italia.
Depuis
Cologne (Allemagne)
Le gouvernement de Berlin a utilisé sa présidence du Conseil européen, qui s’est terminée le 30 juin, pour intégrer les ONG dans la politique militaire européenne. Cela ressort des documents de travail du ministère des Affaires étrangères et de la Fondation Bertelsmann. Les ONG (les organisations non gouvernementales) sont associées aux services de l’Etat par des subventions ; le but est de faire accompagner les opérations militaires à l’étranger par de l’aide civile et humanitaire. Le résultat en est que la distinction entre les forces militaires d’occupation et les secouristes non militaires est effacée. Des critiques y voient une raison des attaques croissantes contre les collaborateurs des ONG humanitaires dans les territoires occupés par les troupes occidentales, qui se terminent toujours plus souvent par la mort – 83 fois l’an dernier. Berlin et Bruxelles utilisent le danger croissant que courent les ONG pour les faire participer à un « système mondial d’information pour la sécurité ». Il servirait à mettre systématiquement les informations captées par des civils à disposition de l’armée. Les représentants de grandes ONG critiquent de manière acerbe leur instrumentalisation par des gouvernements.
La priorité
L’intégration d’ONG dans la Politique européenne de sécurité et de défense (PESD) est de première priorité pour Berlin, apprend-on dans un document du ministère des Affaires étrangères qui informe sur les conférences, sur la coopération des institutions de l’UE et des organisations non gouvernementales. Pendant la présidence allemande, ont eu lieu à Bruxelles cinq rencontres lors desquelles des services de l’UE ont discuté avec des collaborateurs supérieurs des ONG (« field experts ») comment leurs organisations pourraient être intégrées le plus tôt possible dans le planning et la réalisation de missions PESD. Entre temps, Bruxelles entretient un comité spécial pour le rattachement institutionnalisé des ONG (« Committee for the Civilian Aspects of Crisis Management – Civ-Com »). Il a le devoir d’analyser les « aspects civils » de « la gestion des crises » militaires [1].
Les instruments
Un rôle décisif est destiné aux ONG européennes pour la création et la transformation de la police et la justice dans les territoires actuels et futurs d’intervention de l’UE. En tant que « Global player », Bruxelles disposerait d’une multitude d’instruments en matière de politique, de développement et de sécurité (« political, developmental and security tools ») pour « réformer le secteur de la sécurité » au sein des états concernés, peut-on apprendre lors d’un congrès organisé par le ministère des Affaires étrangères et la Fondation Bertelsmann (« Partners in Conflict Prevention and Crisis Management : EU and NGO Cooperation »). Les ONG doivent coopérer aux mesures par la formation du personnel (« training ») et la formation de la conscience publique (« awareness-raising ») ; car c’est uniquement ainsi que des autorités judiciaires et policières « fiables » (« Transitional Justice ») peuvent être créées [2].
L’expérience
Parmi les sujets principaux traités lors de ce congrès de Berlin se trouvaient ainsi les missions policières de l’UE en Afghanistan, au Kosovo, en République démocratique du Congo, en Palestine et en Bosnie-herzégovine. Les ONG participantes, dont Swisspeace et amnesty international, ont d’abord été « informées » de l’« utilité » des interventions de l’UE par des représentants du ministère des Affaires étrangères et du European Peacebuilding Liaison Office (EPLO), qui est une plate-forme européenne d’ONG. Puis les représentants des ONG ont eu l’occasion de transmettre aux organisateurs du congrès leurs connaissances des états nommés et des situations spécifiques de conflits qui y règnent (« conflict settings »). Selon les organisateurs, on assure – par la sélection ciblée et la préparation des représentants des ONG – une importance maximale aux informations transmises [3]. L’utilisation des connaissances des ONG, qui peuvent espérer une franchise inconditionnelle de la part de la population dans les territoires occupés, compte parmi les éléments les plus importants de cette collaboration. C’est pourquoi les représentants des ONG étaient aussi invités à une autre conférence internationale (titre : « Paix et justice ») que le ministère des Affaires étrangères a organisé début juillet pour traiter notamment de « la réforme du secteur de la sécurité ». Le critère pour la sélection des ONG était « l’importance de leurs connaissances ».
Les informateurs
Aujourd’hui déjà, de nombreuses ONG sont des informateurs directs pour les opérations militaires. Ils entrent les données sur la situation actuelle de sécurité, récoltées dans des régions d’intervention à l’étranger, dans le système électronique « Safety Information Reporting Service » (SIRS). La banque de données a été développée par les groupes leader de logiciels (Microsoft, Yahoo) à la demande de la « Crisis Management Initiative » (CMI) de l’émissaire spécial de ONU pour le Kosovo, Martti Ahtisaari. Cette banque de données est ouverte aux ONG et aux militaires depuis 2005 [4].
Utilisation à long terme
Le ministère des Affaires étrangères et la Fondation Bertelsmann exigent que l’UE, par la mise à disposition de moyens financiers, crée des capacités utilisables à long terme chez les ONG dont elle compte parmi les financiers les plus importants. Aussi faut-il désigner des « officiers de liaison pour ONG » au sein de la Commission européenne pour pouvoir – lors d’opérations militaires – profiter à tout moment des connaissances des informateurs non gouvernementaux. En outre, les ONG doivent aussi être recensées et évaluées à l’aide de critères d’utilité gouvernementale (« mapping and ranking ») pour garantir dans tout scénario d’intervention imaginable le choix du « meilleur partenaire » [5].
Complémentaire à l’armée
Selon le jugement de Pierre Micheletti, directeur de l’organisation humanitaire internationale « Médecins du Monde », la dépendance des moyens financiers de l’UE amène actuellement déjà beaucoup d’ONG à « participer à des programmes qui les transforment en véritables prestataires de services, pour ainsi dire stratégiquement complémentaires à l’armée ». Par la suite, les ONG sont identifiées aux troupes d’intervention de leurs pays d’origine et déclarées comme cible militaire légitime par les opposants à l’occupation. En 2006, cela a coûté la vie à 83 humanitaires – selon Micheletti ce nombre correspond « au triple du nombre des soldats tués lors de missions de paix de l’ONU ». Le directeur de « Médecins du Monde » met instamment en garde contre « la constante apparition en commun de soldats et d’humanitaires » qui change de façon définitive et irrévocable l’image des ONG : « Si le chevauchement […] des intérêts et des apparences s’enracinent dans la perception publique, toute la logique de l’aide « sans frontières » serait remise en question » [6] – les humanitaires deviennent des collabos.
[1] European Peacebuilding Liaison Office/Crisis Management Initiative/Bertelsmann-Stiftung : Partners in Conflict Prevention and Crisis Management. EU and NGO Cooperation. Federal Foreign Office, Berlin 20–21/6/07. Conference Background Papers
[2] ibid.
[3] International Conference « Building a Future on Peace and Justice », Nuremberg 25– 27/6/07 ; www.peace-justice-conference.info
[4] Crisis Management Initiative : Launching SIRS : The Safety Information Reporting Service.
[5] European Peacebuilding Liaison Office/Crisis Management Initiative/Bertelsmann-Stiftung, loc. cit.
[6] Pierre Micheletti : Schutzlose Helfer ; Le Monde diplomatique du 8/6/07
La signora Maria Feraru, 45 anni, cittadina romena, è stata completamente scagionata dall’accusa infamante di aver tentato di rapire un bimbo di tre anni sulla spiaggia di Isola delle Femmine, in provincia di Palermo. Portava una gonna sospetta, e ciò è bastato a scatenare la follia collettiva. Dai media, ai bar di tutta Italia, ai forum in Internet, in molti avevano chiamato al linciaggio, al farsi giustizia da sé. I media, trattandosi di una “zingara”, avevano immediatamente presunto la colpevolezza. C’erano perfino le motivazioni: tratta di bambini, qualcuno aveva perfino parlato di traffico di organi, in una corsa ad evocare più orrore possibile senza alcun riscontro. Non importa che il luogo più improbabile per rapire un bambino sia una spiaggia affollata o un supermercato, dove appena un paio di mesi fa era stato inventato un falso sequestro analogo, questa volta in norditalia. E non importa che non esista un solo caso di “zingara” condannata per sequestro di persona in Italia. La maggioranza degli abitanti di questo paese –senza alcuna vergogna- tra un giorno o un mese sarà di nuovo disposta a credere che gli zingari rapiscono i bambini. O che i nazisti -è più o meno lo stesso- fecero le Fosse Ardeatine per colpa dei partigiani che non si consegnarono. Del resto lo dice anche Mike Buongiorno!
UNA FALSA NOTIZIA NON NASCE DAL NULLA
Per far tenere in piedi la loro rappresentazione collettiva rivendicano il diritto all’ignoranza: non sappiamo dirti quale “zingaro” ha rapito un bambino, ed è stato condannato per questo, ma siccome tutti abbiamo sentito dire che gli zingari rapiscono i bambini, deve essere vero.
Il diritto all’ignoranza è elevato così a foglia di fico nazionale: pochi giorni fa a Firenze, il giudice Giacomo Rocchi ha assolto il senatore di Alleanza Nazionale, Achille Totaro. Questi era sotto processo per aver diffamato la memoria della Medaglia d’Oro al Valor Militare, il partigiano Bruno Fanciullacci, al quale aveva dato dell’ “assassino vigliacco” in relazione alla morte del filosofo Giovanni Gentile, attivo repubblichino. Nella sentenza il giudice sostiene che Totaro ha diritto di non conoscere i fatti e di conseguenza che, in base all’articolo 21 della Costituzione –per conquistare la quale Fanciullacci è morto sotto tortura, a Villa Trieste, la Via Tasso fiorentina- può esercitare la propria libertà di espressione, offendendo la memoria di Fanciullacci con un “ragionamento politico”, che prescinde totalmente dagli accadimenti. Diffamo Fanciullacci, o Berlusconi, o gli zingari o i musulmani, perché mi stanno antipatici ed è un mio diritto poterlo fare. E' l'elevazione -e fa giurisprudenza- del pregiudizio a categorie metafisiche.
Quindi il Senatore Totaro, ha diritto di diffamare la memoria di Fanciullacci per partito preso, per ideologia (antipartigiana), ma soprattutto facendosi scudo dietro la sua ignoranza. In base allo stesso diritto all’ignoranza, milioni di italiani si sentono in diritto di accusare i rom di rapire i bambini e i musulmani di essere tutti terroristi. Succedeva anche negli anni ’30, quando molti dei 40 milioni di italiani si autoconvinsero che poche decine di migliaia di ebrei ipotecassero il futuro della nazione e fossero usi a pratiche disdicevoli; per esempio che un banchiere ebreo fosse di natura più avido di un banchiere cattolico o buddista.
IL NEMICO TRA NOI
Erano stati arrestati senza tentare la fuga perché completamente innocenti e Haneef era andato in Australia per motivi privati. Nei giorni successivi i suoi cinque presunti complici, tutti medici, erano stati scagionati. Infine è toccato al capo: non è mai esistita una cellula di Al Qaeda formata da medici, né da paramedici, né da portantini, né da veterinari. Ai sei è andata bene, potevano essere linciati o ammazzati come capitò al cittadino brasiliano Jean Charles de Menezes, scambiato per terrorista e freddato sul posto. Oppure essere deportati per anni a Guantanamo senza processo né incriminazione alcuna, visto che appena una dozzina dei quasi mille che sono passati dal campo di concentramento cubano, è mai stato incriminato di qualcosa.
A chi non è andata bene, anzi è andata malissimo, è invece all’opinione pubblica mondiale. Questa per giorni è stata ammaestrata a pensare che giovani musulmani, perfettamente integrati nella società britannica, tanto da essere divenuti medici, lavorare nei nostri ospedali e curare i nostri malati, potessero essere invece il germe distruttivo della nostra società. Fior di esperti sono stati intervistati, dando per scontata la colpevolezza dei sei ed arrampicandosi sugli specchi per giustificare il perché sei brillanti medici si erano trasformati in terroristi. Alcuni di questi hanno sproloquiato sul fatto che "l'integrazione non è garanzia di integrazione", sull'irriducibile conflitto di civiltà, sull'atavico odio dei musulmani per le società aperte.
Non può sfuggire che, anche in questo caso, la falsa notizia non nasce dal nulla. Nasce dall’esigenza sia delle classi dirigenti che collettiva di individuare il nemico, di aggrapparsi all’esistenza di un nemico che spieghi il male, la paura alla quale la società occidentale sembra condannarsi. E il musulmano nemico non può essere solo il disadattato, l’escluso. Perfino i terroristi kamikaze del 7 luglio 2005 erano sì inglesi, ma con vite comuni, precarie, foriere di insoddisfazione, di rancore. I sei medici no. Sono il cerchio che si chiude sull’integrazione impossibile: se perfino sei medici si trasformano in terroristi, allora non c’è integrazione possibile e tutti i musulmani sono un corpo estraneo. E non importa che fosse una bufala macroscopica; se ben pochi media si sono preoccupati di divulgare la notizia della loro completa estraneità con Al Qaeda, allora per milioni di persone i medici musulmani continuano ad essere potenziali terroristi. E’ un paradosso, fa notizia l’uomo che morde il cane, ma se tutti i musulmani sono terroristi, come mai un musulmano scagionato dall’accusa di terrorismo non fa notizia?
La “società aperta”, è divenuta sinonimo di “società esposta”. E in questo l’invenzione del nemico ha la stessa funzione catartica che aveva l’uso del tradizionale antisemitismo nella Germania di Weimar come elemento di accumulazione del consenso da parte del partito nazionalsocialista, l’unico –parafrasando Umberto Bossi- ad avercelo duro contro il pericolo ebraico. Troppi soggetti concorrono alla creazione del mostro, del nemico. Partiti politici fautori –per cultura o per rincorsa- della mano dura. Operatori dei media inadeguati culturalmente. O apprendisti stregoni. Il teologo cattolico Brunetto Salvarani, un paio d’anni fa in un convegno a Rimini al quale partecipammo insieme, raccontò dell’invenzione di un mostro dei nostri tempi: Adel Smith. Quest’energumeno, un attaccabrighe fanatico, si presenta con l’aspetto del lottatore di wrestling, sempre pronto a spararla grossa e a menare le mani. Ma non è nessuno e non rappresenta nessuno, anche se da sue prese di posizione solitarie -come quella sui crocifissi esposti in luoghi pubblici- l'Italia ha discusso per mesi. Salvarani, un esperto di convivenza pacifica tra religioni, raccontò di essere stato interrogato anni fa dalla redazione del programma di Rai1, Porta a Porta, su chi rappresentasse chi nella comunità islamica italiana.
Avevano chiesto alla persona adatta: Salvarani era in grado di fare una mappa dettagliata su tutte le associazioni islamiche rappresentative della realtà di quella confessione in Italia. “L’unica cosa –si raccomandò Salvarani- non chiamate Adel Smith che è un pazzo scatenato e non rappresenta nessuno”. Il giorno dopo Adel Smith –allora perfettamente sconosciuto- era ospite di Bruno Vespa a Porta a Porta, presentato come uno dei più autorevoli rappresentanti della comunità musulmana in Italia. C’era solo irresponsabilità nella creazione di Adel Smith da parte di Bruno Vespa? O era parte di un disegno cosciente di costruzione del musulmano nemico? O semplicemente Adel Smith era il musulmano che più rispondeva alla rappresentazione collettiva che la redazione di Porta a Porta e forse la società italiana stessa consideravano lo stereotipo del musulmano? La politica della paura –la gestione della paura pubblica- ha reso il musulmano nemico, e non importa ricordare che siamo noi ad occupare Baghdad e Kabul e non loro Vienna o Poitier. Sicuramente per una donna Rom in Italia è oggi inopportuno fare un complimento ad un bambino. Ma è una tragedia.
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QUIZ:
DI CHE NAZIONALITA' E' IL NUOVO INCARICATO UE PER IL KOSOVO?
[ ] tedesco
[ ] finlandese di padre nazista
[ ] francese di origine croata
[ ] statunitense di origine albanese e passaporto austriaco
[ ] albanese
Ue nomina diplomatico tedesco per negoziati sul Kosovo
domenica, 29 luglio 2007 1.52 147
BRUXELLES (Reuters) - Il capo delle politica estera dell'Unione europea
Javier Solana ha nominato il diplomatico tedesco Wolfgang Ischinger per
rappresentare il blocco nei negoziati sul futuro stato del Kosovo. Lo ha
riferito oggi il suo ufficio.
La portavoce di Solana Cristina Gallach ha detto che Ishinger,
ambasciatore tedesco nel Regno Unito ed esperto dei Balcani,
rappresenterà l'Ue negli sforzi per sbloccare le trattative tra la
Serbia e l'etnia albanese del Kosovo durante i negoziati, che ci si
aspetta dureranno almeno quattro mesi.
Tentativi di arrivare ad una risoluzione Onu sullo status Kosovo hanno
subito uno stallo questo mese, dopo la resistenza della Russia al
consiglio di sicurezza, accrescendo la prospettiva che la regione
dichiari la propria indipendenza senza il mandato Onu.
Gli stati Ue hanno invitato Belgrado e Pristina a raggiungere un
compromesso.
http://www.upi.com/International_Intelligence/Briefing/2007/07/30/
german_gets_key_role_in_kosovo_talks/9815/
United Press International - July 30, 2007
German gets key role in Kosovo talks
BERLIN - The longtime German ambassador to the United
States will be the European Union's envoy in talks to
resolve the Kosovo conflict.
Wolfgang Ischinger, who from 2001 until 2006 was
Germany's man in Washington, will represent the EU as
part of the so-called Troika in its difficult talks
with Serbia and Kosovo over the province's possible
independence.
Besides the EU, the Troika also includes the United
States and Russia.
Ischinger, who currently serves as German ambassador
to Britain, is "a great connoisseur of the region,"
German Foreign Minister Frank-Walter Steinmeier said
after Brussels officially announced the nomination...
Il caso è quello di Isola delle Femmine, in provincia di Palermo. I media sono del tutto univoci: la donna, rom, nomade, zingara, a seconda del grado di grossolanità, è sicuramente colpevole di aver nascosto un bambino di tre anni sotto la sua gonna per sequestrarlo. Dalla Rai a Mediaset, dall'ANSA al Corriere della Sera a Repubblica non si trova un condizionale a pagarlo un milione. Del resto è noto (leggasi: è diffusa vulgata) che gli zingari rapiscono i bambini e non importa che MAI nella storia uno "zingaro" sia stato condannato per un rapimento.
Sul forum di kataweb (gruppo l'Espresso), il più grande editore "di sinistra" d'Italia dà libero sfogo alle foie razziste dei propri lettori. A kataweb devono considerare libertà d'espressione anche l'incitamento al linciaggio: "basta di questa gentaglia.. ops..di queste bestie non se ne può più! così come non se ne può più di tutta quella massa di politici (comunisti) buonisti verso questa gentaglia! Sicuramente purtroppo quella schifo di donna sarà già in giro e chissà magari ha già ripetuto il gesto per cui era stata arrestata! Un sano linciaggio non sarebbe stato male!". Quella che si firma addirittura come Avvocatessa Barbara Pelle (una principessa del diritto) dice: "Io l'avrei lasciata nelle mani della gente. Non c'è niente di più efficace di una folla inferocita. Questa gente deve tornare da dove è venuta, siamo stanchi dei loro modi di fare da 'bestie'" e via seguendo, senza che il gruppo l'Espresso senta la decenza di intervenire visto che nel proprio forum si stanno commettendo dei reati.
Sarà andata davvero così come la raccontano i media? Forse, chissà. In più di un caso i magistrati hanno poi dimostrato che la sola presenza della "zingara" aveva fatto spaventare i genitori ed immaginare un sequestro. Ovviamente, nel caso tra qualche mese la zingara sequestratrice fosse dichiarata innocente perché il fatto non sussiste, non avrà alcun diritto di rettifica.
E allora l'importante è la disparità ademocratica di fronte all'informazione, prima ancora che di fronte alla legge, delle persone. E' ovvio, è pleonastico e noioso dirlo, eppure va detto ogni volta che è necessario: per i potenti mille prudenze, per una rumena senza fissa dimora, la presunzione di colpevolezza e l'incitamento al linciaggio.
A tutto questo si aggiunge il pregiudizio razzista radicato: gli zingari rapiscono i bambini. Non importa che MAI -NEANCHE UNA VOLTA- nella storia uno "zingaro" sia stato condannato per un sequestro: per i bravi italiani gli orchi -da Mazara a Cogne, da Casalbaroncolo a Rignano- vengono sempre da fuori.
La Serbia, neo colonia della Nato, brucia da più di dieci giorni. E visto che l'esercito non esiste che per fare gli affari della Nato, non è stato nemmeno capace di spegnere il fuoco causato dal vento e dal caldo infernale.
Dalla vicinissima Bondsteel, la base degli USA, non è arrivato aiuto alcuno! Alla Serbia di Kostunica, quello che gli USA misero al potere, è venuta in aiuto la Russia, ed il fuoco è stato spento dopo tre giorni.
Senza l'intervento della Russia, la Serbia non ce l'avrebbe fatta.
Di seguito la notizia dell' agenzia Interfax dalla quale apprendiamo che il fuoco è stato infine spento grazie agli aerei Ilyushin.
(a cura di Olga)
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http://www.interfax.ru/e/B/politics/28.html?id_issue=11799544
Interfax
July 28, 2007
Russian airplane fights wildfires in Serbia for three days
MOSCOW - A Russian firefighting airplane finished a
three-day deployment to Serbia to fight forest fires
and left for Moscow on Saturday while another Russian
firefighting plane is preparing to leave for
Montenegro on Sunday, Russia's Emergency Situations
Ministry said.
The ministry's Ilyushin Il-76TD has carried out 19
flights in the vicinity of the Serbian city of Nis,
spending a total of 12 hours and 20 minutes in the air
and dropping 798 tonnes of water, ministry spokesman
Viktor Beltsov told Interfax.
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http://www.srbija.sr.gov.yu/vesti/vest.php?id=37099
Government of Serbia
July 27, 2007
Kostunica talks with Russian fire fighting plane crew
Belgrade – Serbian Prime Minister Vojislav Kostunica
met today with members of the Russian fire fighting
plane crew, which the Russian Ministry for Emergency
Situations sent to help Serbia in extinguishing fires.
Kostunica expressed gratitude to the eleven member
crew of the Russian plane for the enormous help they
provided to Serbia in extinguishing fires, and
stressed that their help was of great importance.
The Serbian Prime Minister said that Serbia and her
people value this generous gesture of brotherly
solidarity by Russia, and due to their help we
succeeded in extinguishing the fires.
Kostunica said that relations between Serbia and
Russia and the two peoples are historical and firm and
that is confirmed in moments of need, such as now when
Russian President Vladimir Putin and Russian Minister
of Emergency Situations Sergei Shoigu sent the fire
fighting plane.
The Serbian Prime Minister invited members of the crew
to come to Serbia with their families on holidays.
Crew members of the Russian plane thanked the Prime
Minister for the reception and stressed that they are
always ready to help Serbia which is a brotherly
country.
Russian Ambassador to Serbia Alexander Alexeyev
stressed that Russia shares solidarity with the
brotherly Serbian nation and Russian leadership
attaches special importance to relations with Serbia.
The meeting between the crew of the Russian plane was
also attended by Serbian Minister of Interior Dragan
Jocic.
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Source: R. Rozoff via Stop NATO:
http://groups.yahoo.com/group/stopnato
Michael Moore's documentary SiCKO online now!
Watch Michael Moore's documentary SiCKO on the US Healthcare system. Watch it quick... while its available.
http://hubpages.com/hub/Watch_Sicko_Movie_Free_Online
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Synopsis of the movie:
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Filmmaker Michael Moore has grabbed hold of the nightmarish reality of the U.S. for-profit health care system and presents a powerful critique in what is his most effective documentary to date, "SiCKO."
The Campaign for Healthcare, Not Warfare, a project of the Troops Out Now Coalition, launched an effort inspired in part by the recent movie "Sicko" to demand the war be shut down and health care be made free for everyone.
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riflessioni_su_balcani_ed_europa.php
RIFLESSIONI SU BALCANI ED EUROPA
Sarà che io non sono un’esperta di geopolitica, né un’esperta in
economia, né una sottosegretaria, e forse è anche per questo che non
lo sono, però ogni volta che vado a sentire dei convegni che parlano
delle crisi balcaniche e del ruolo dell’Europa nella politica di
sviluppo dei paesi che non sono ancora in Europa, come ad esempio
quelli balcanici, mi chiedo sempre: i Balcani sono in Europa?
L’Europa arriva fino agli Urali o no, dato che non si può pensare di
allargare l’Europa anche alla Russia o all’Ucraina mentre la Turchia
alla fine prima o poi ci entrerà?
O forse bisognerebbe smettere di parlare di Europa e dire invece
Unione Europea, così come si dovrebbe imparare a dire Stati Uniti e
non America, come a suo tempo il mio insegnante di Diritto dei paesi
socialisti usava bacchettare chi parlava di Russia e non di Unione
Sovietica.
Le crisi balcaniche. Già, le crisi. In realtà la crisi è stata una,
lo sfascio della Jugoslavia con tutto quello che s’è portata dietro.
Ma dire che in questo sfacelo l’Unione Europea ha sbagliato a non
intervenire, mi sembra (a me che non sono una esperta, ma cerco
piuttosto di parlare con il buon senso della massaia) poco esatto. Da
quanto ho capito io, l’Unione Europea è invece intervenuta fin troppo
(anche se non solo lei, tanti sono intervenuti, e troppo). Chi ha
convinto l’intellighenzia slovena che se volevano diventare il sud
della Germania invece che rimanere il nord della Jugoslavia; chi ha
dato spago alle provocazioni pseudopacifiste di Janez Jansa; chi ha
foraggiato i gruppi di ultras di destra che poi sono diventati corpi
paramilitari; chi ha garantito alla Bosnia che se dichiaravano
l’indipendenza avevano la copertura europea; chi ha trafficato in
droga, in armi e in prostituzione; chi ha armato l’UCK presentandolo
come un movimento di liberazione e non come un’organizzazione
terroristica che si finanziava con la droga; chi ha criminalizzato un
popolo (quello serbo) per poter giustificare i bombardamenti che
avrebbero definitivamente messo in ginocchio l’ultimo paese europeo
che si opponeva alla globalizzazione.
Come io non capisco, sempre perché non sono una esperta in
geopolitica, perché mai, se “entrare in Europa” era il fine ultimo di
tutti questi staterelli che hanno preteso di sfasciare la Jugoslavia,
facendo pagare un altissimo prezzo di sangue e di distruzione ai
propri abitanti, perché era necessario distruggere tutto quello che
era stato costruito dopo la fine della seconda guerra mondiale, una
confederazione di popoli che vivevano in pace, avevano creato
un’esperienza unica, un socialismo diverso da quello sovietico,
garanzie sociali per tutti, un ruolo internazionale di tutto
rispetto. Perché questo non andava bene per “entrare in Europa”?
Forse perché, e qui comincio a parlare anch’io da politica, anche se
non in sintonia con i geopolitica di oggi, forse perché l’Europa
richiedeva, come richiede ai suoi Paesi membri, che i canoni di
garanzie sociali non fossero così alti come quelli che garantiva la
Jugoslavia (e del resto la non comunista Danimarca s’è rifiutata con
un referendum di “entrare in Europa” perché non accettavano di pagare
meno tasse per avere meno diritti sociali). Forse perché, una volta
distrutto uno Stato che aveva un proprio ruolo internazionale per
sostituirlo con una miriade di staterelli senza spina dorsale, ma
costretti dalle leggi dell’economia a fare quello che vogliono i
detentori dei cordoni della borsa, l’Europa può andare dove vuole a
investire, costruire, depredare tutto quello che vuole in nome del
profitto e non dei diritti dei cittadini.
Claudia Cernigoi, luglio 2007