Informazione

(Intellettuali di lingua albanese riunitisi a Tetovo - nell'odierna FYROM - hanno fatto appello per la unificazione in un unico Stato dei territori popolati da genti di lingua albanese. Nelle intenzioni dei nazionalisti pan-albanesi, infatti, la secessione kosovara non è altro che il preambolo per la disgregazione anche degli altri Stati limitrofi...)


http://www.javno.com/en/world/clanak.php?id=61069

Javno.com (Croatia)
July 10, 2007

Fighting For Kosovo Independence With Guns

Albanian intellectuals called for the unification of
all Albanians. They see Kosovo's independence as the
precursor of a national union.

Albanian intellectuals from Macedonia, Albania and
Kosovo gathered over the weekend in Tetovo and are
advocating the unification of all Albanians.

The representative of the Macedonian assembly Fazli
Veliu announced that he and the members of the former
so-called National Liberation Army would help the
Kosovo Liberation Army (UCK) to fight for Kosovo
independence with weapons if necessary, reports the
Macedonian press on Tuesday.

Reporting on writings in the media in the Albanian
language in Macedonia about the gathering of the
Albanian intellectuals that took place last weekend,
the Skopje daily newspaper Vreme writes that they
called for the unification of Albanians from all
regions and assessed that Kosovo’s independence was
only the precursor of national unification.

On Tuesday, the Skopje daily newspaper Dnevnik
reported the statement made by Fazli Veliu,
representative of the opposition party Democratic
Union for Integration in Macedonia’s parliament and
president of the [National Liberation Army] veterans’
association ONA, which had started an armed conflict
with Macedonian defense forces in 2001, saying that,
along with the Kosovo UCK, he would fight for Kosovo’s
independence.

“If the resolution of the Kosovo issue keeps being
postponed,” Veliu threatened, “very soon, we will join
UCK soldiers, first at big protests in order to
internationalize the issue and then, if necessary, we
will win Kosovo’s independence with weapons.”

He thinks that he would have to gather all 10,000 ONA
members who fought in Macedonia in 2001, writes
Dnevnik. 


Source: R. Rozoff through http://groups.yahoo.com/group/stopnato



( Lettre ouverte à M. Pierre Moscovici, Vice-président du Parlement européen

par Jean-Michel BERARD, Chroniqueur au mensuel B.I. Balkans-Infos,

à lire ici: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5513 )



L’indipendenza del Kosovo consacrerebbe
  il più nero arbitrio e aprirebbe la via ai diversi separatismi

(Elaborazione e traduzioni di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova.

Ulteriori materiali e traduzioni curate da Curzio Bettio sulla problematica kosovara e pan-albanese saranno diffusi nel corso dei prossimi giorni attraverso questa lista JUGOINFO)

 
Lettera aperta al Signor Pierre Moscovici, 
Vice-presidente del Parlamento Europeo, 
inviata da Jean-Michel Berard, cronista del mensile B.I. Balkans-Infos
 
Il 28 e il 29 marzo 2007, il Parlamento Europeo ha approvato con 319 voti contro 268 la relazione presentata dal Signor  Joost Lagendijk sul futuro del Kosovo e il ruolo dell’Unione Europea.(1). Questa relazione rappresenta una proposta di risoluzione del Parlamento Europeo che convalida le conclusioni del Signor Martti Ahtisaari, Inviato Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per i negoziati sullo statuto finale della Provincia Serba. Il diplomatico Finlandese raccomanda caldamente per Pristina una forma di indipendenza a sovranità limitata. Gustatevi l’ossimoro... Il Signor Ioannis Kasoulides, eurodeputato Cipriota aderente al Partito Popolare Europeo, si è ribellato a questa originale nozione : «Un paese indipendente è interamente sovrano, oppure non è indipendente». Tutto questo si presterebbe al sorriso, se le 14 pagine della relazione, malgrado le loro affermazioni contrarie, (specialmente al paragrafo 3 p.5), non rappresentassero una violazione specifica, quasi ad ogni comma, della Carta delle Nazioni Unite relativa alla sovranità degli Stati, dell’Atto Finale di Helsinki del 1975 sull’intangibilità delle frontiere dei paesi europei, e della risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 10 giugno 1999, che si rifaceva giustamente al Trattato di Helsinki per riaffermare la sovranità di Belgrado sul Kosovo e la conservazione delle sue frontiere.      
Ma gli eurodeputati Francesi hanno votato a favore di questo testo! Io fremo in anticipo per le conseguenze implicite che questo non mancherà di comportare. Bisogna accusare di ignoranza i nostri rappresentanti? No, Signor Moscovici, io non permetterò che ve ne usciate a così buon mercato. Voi, voi siete ben consapevoli!

La relazione inizia (paragrafo B, p.3) con il giustificare l’aggressione della Jugoslavia da parte della NATO, stravolgendo la cronologia degli avvenimenti per farli aderire alla propria tesi.  
L’Alleanza Atlantica sarebbe intervenuta per impedire una espulsione di massa di popolazioni civili. Questo non è esatto: voi scambiate le cause e le conseguenze. Prima del 23 marzo 1999 esistevano 2.000 persone profughe, e nel giro di qualche giorno, dopo l’inizio dei bombardamenti, un milione di Albanesi del Kosovo prese la via della fuga o fu espulso dalla Provincia dalle forze armate Serbe. 
Solamente cinque giorni prima dello scatenarsi della guerra, il 19 marzo 1999, una nota del Ministero per gli Affari Esteri Tedesco, classificata come «molto confidenziale», concludeva che la repressione Serba non era diretta contro gli Albanesi in quanto gruppo etnico, ma contro i membri dell’UCK e contro coloro che li sostenevano.(2) Questo cambia tutto: non si trattava più di purificazione etnica, ma di legittima difesa di uno Stato sovrano a fronte di una guerriglia separatista. Questa nota metteva giustamente in guardia contro un’iniziativa militare occidentale che rischiava di attirare rappresaglie contro la popolazione civile Albanese. Ed è stato precisamente questo ciò a cui si è arrivato. 
Le conseguenze, che il vostro relatore rifiuta ostinatamente di chiamare «guerra», furono 78 giorni di bombardamenti. Quindicimila tonnellate di bombe sganciate su tutto il paese, fra cui munizionamento all’Uranio Depleto pure proibito dalla Convenzione di Ginevra, vergogna flagrante rispetto alle vostre pretese umanitarie. La vostra non-guerra, violando la Carta dell’ONU, quella della NATO, la Convenzione di Vienna, di Ginevra, di Helsinki, e in via accessoria perfino la nostra Costituzione Francese, apriva nel contempo la strada all’unilateralismo, come viene praticato dagli Americani in Iraq. Gli stessi, che oggi denunciano questo, dimenticano per opportunismo di ricordarsi che loro sono stati i promotori zelanti del primitivo unilateralismo.
Voi trattate la Serbia come se al potere in questo Stato ci fosse sempre Slobodan Milosevic. Devo io ricordarvi che è stato deprivato del potere nell’ottobre 2000 e che poi è deceduto ? La Serbia è uno Stato perfettamente democratico, e, malgrado il marasma economico in cui si dibatte questo Stato, paria della vostra «comunità internazionale», per quel che concerne la sicurezza, si vive molto meglio a Belgrado che a Pristina. 
Dopo otto anni, il Kosovo è separato dalla Serbia e l’indomani radioso di plurietnismo, che voi ci avevate promesso, si fa ancora attendere. Che cos’è che vi permette di supporre che in questo territorio l’indipendenza produrrà quello che otto anni di protettorato ONU non sono riusciti a stabilire? Con la vostra « società tollerante e non segregazionista» (comma D, p.4) voi vi compiacete di parole, di un ottimismo forzato degno dell’era Brežnev. In Kosovo, la suddivisione etnica è una realtà. Che i Serbi, attualmente, abbiano una tale paura dell’indipendenza, a cui voi fate appello malgrado le vostre promesse, da esumare i loro morti e da trasportarli in ciò che resta della Serbia, per voi rimane un puro sogno! 
Dopo l’indipendenza, se voi arriverete ad impedire la secessione delle enclavi del nord della Provincia, per i Serbi otterrete al meglio delle riserve indiane, al peggio dei ghetti. Tenuto conto della Sua storia famigliare, come potete rendervi garante di tutto ciò?
   
Che ironia quella di strappare alla Serbia il 15% del suo territorio per farne uno Stato indipendente secondo criteri etnici, (il vostro famoso « 90% d’Albanesi e 10% di Serbi », formula che richiama alla mente il vergognoso abbandono dell’Europa dell’Est da parte di Churchill a Yalta), quando nel contempo vi state sfiancando per mantenere unitaria una Bosnia-Erzegovina che di multiculturale ha solo l’apparenza, dopo che le tre comunità che la compongono hanno votato per partiti nazionalisti e si voltano in modo ostentato le spalle!
Voi convalidate (commi E, F e G, p.4) le proposizioni di Martti Ahtisaari di indipendenza del Kosovo, rimettendo schiena contro schiena le due fazioni, le cui posizioni si sarebbero radicalizzate. Di fatto, voi penalizzate Belgrado per le pretese capricciose di Pristina. La Serbia ha proposto per il Kosovo « tutto, salvo l’indipendenza ». Quale paese d’Europa concederebbe una tale libertà d’azione ad una delle proprie regioni ? Le dichiarazioni radicali, voi potrete riscontrare che sono degli Albanesi del Kosovo, loro che non concepiscono null’altro che la secessione. Inoltre è il non rispetto della Risoluzione 1244 da parte della NATO e della Missione delle Nazioni Unite (la MINUK), particolarmente sul piano monetario, anche da parte dell’amministrazione controllata, e la carenza di vigilanza alle frontiere, che hanno mandato in frantumi i legami fra la capitale e la sua Provincia. Ora, come prendere a pretesto questa rottura per renderla definitiva? Come invocare (paragrafo J, p.4) la mancanza di fiducia fra le comunità e l’instabilità della situazione per proporre una fuga in avanti ? Soprattutto, quando un poco prima, (paragrafo I, p.4) voi ammettete che « le relazioni fra il Kosovo e la Serbia dovevano, essendosi venuta a creare una limitatezza di legami culturali, religiosi ed economici, essere rinforzate ». Che ragionamento assurdo ! Prima innalzate una frontiera fra la Provincia Serba e il resto del Paese, poi voi richiamate Pristina e Belgrado a rinforzare i loro legami al di sopra dei vostri reticolati!  

Il vostro relatore si felicita (paragrafo 8, p.6) della proposta  di Martti Ahtisaari che disegna «i contorni di una larga autonomia per le comunità Serbe e le altre, comportando un sostanziale grado di autonomia municipale». Traducendo, voi raccomandate l’indipendenza per la Provincia, e l’autonomia per le municipalità Serbe della Provincia. Estendere il frazionamento all’estremo, balcanizzare i Balcani, che bel programma! Vi si ritrova lo spirito della Commissione Badinter, quando, durante l’inverno 1991-1992, questa sfilza di apprendisti stregoni, non contenta di affrettarsi a siglare l’atto di morte di una Jugoslavia ancora viva, aprendo la strada all’indipendenza delle repubbliche separatiste di Slovenia e Croazia, ha esteso le sue elargizioni all’insieme delle repubbliche della Federazione, precipitando la Bosnia-Erzegovina nell’inferno che si sa.                
Signor Moscovici, state riservando la sorte della Bosnia alle disgraziate popolazioni del Kosovo? O meglio, è per la posizione strategica del Kosovo, la sola confessione sincera presente nella relazione   Lagendijk (paragrafo L, p.4), che voi desiderate prolungare il caos, pretesto ad una presenza militare Occidentale? Perché avete tanta urgenza (comma 1 p.5) di sotterrare la Risoluzione 1244 che ribadiva il diritto internazionale?
In uno strano spirito democratico, la relazione richiama i suoi desiderata (comma 4 , p.5) di un insediamento in Serbia di un governo filo Europeo. Bisogna essere ben cinici per meravigliarsi della percentuale di voto registrata dall’estrema destra nazionalista a Belgrado, perché ancora una volta questo è l’effetto specchio della vostra attitudine nei confronti del popolo Serbo: il disprezzo richiama il disprezzo. Quale altra scelta concedete ai Serbi, dei quali voi state mutilando il Paese? Dopo avere strappato alla Serbia il Kosovo, coccolerete la secessione degli Albanesi della vallata di Presevo, dei Musulmani del Sangiaccato di Novi Pazar, degli Ungheresi della Voïvodina ? Quando della Serbia non resterà altro che un riquadro per legumi, cosa credete che avverrà? Scaglierete ancora l’infamia sui Serbi che dissotterreranno i loro fucili per difendere i resti della loro casa comune?
   
Al comma 34, p.10, il Signor Lagendijk invita « i paesi confinanti a rispettare le frontiere esistenti». Bisogna che l’Europa paventi l’Anschluss del Kosovo e di una parte della Macedonia in favore dell’Albania, perché essa proibisca a questi paesi quello che lei stessa si autorizza da sola a fare: tagliare nel vivo di uno Stato sovrano, membro dell’ONU.                     
Signor Moscovici, immagini per un istante il medesimo scenario in Francia. 
La Bretagna, le Fiandre, l’Alsazia, i Paesi Baschi, l’Occitania, la Catalogna, la Corsica che reclamano una « indipendenza a sovranità limitata»... Impossibile ? E perché, dato che voi avete scoperchiato il vaso di Pandora ? Pensate voi di essere credibili nelle città-ghetto delle nostre periferie, quando voi in Francia sostenete la cittadinanza, mentre a Bruxelles agitate le bandiere delle etnie ? Bisogna scegliere: o la Repubblica, o il comunitarismo. Il secondo non è proprio solubile nella prima...   
Voi avete presente il proverbio della Romania : quando la casa del vicino va a fuoco, fa provvista di acqua. Che segnale inviate a questo membro dell’Unione Europea, che sedendo a Bruxelles dopo appena quattro mesi, assiste sbalordito nel consesso del Parlamento Europeo allo squartamento del suo vicino, quando Bucarest, con 1.620.000 cittadini di ceppo Ungherese concentrati in Transilvania, ospita anche nel suo interno un suo specifico Kosovo? Dato che voi mettete in pericolo il suo equilibrio, come potete stupirvi dei risultati prestigiosi del tribuno dell’estrema destra Corneliu Vadim Tudor, che intende « governare il paese con raffiche di mitraglia»? [Come potete stupirvi] Della crescita folgorante dell’euroscetticismo in questo paese, che tuttavia si è sottoposto a considerevoli sacrifici, dopo la caduta di Ceausescu, per riunirsi all’Europa? Dunque, non avete il timore di vedere la Romania prendere la deriva verso una nuova direzione « di anni di sconvolgimenti », di fasci e camice verdi? (3) Signor Moscovici , io leggo quotidianamente molti titoli della stampa Rumena. Dunque, conosco il vostro impegno personale per l’adesione di Bucarest all’UE. Voi conoscete la situazione e le paure che hanno prevalso a ragione del suo voto negativo alla relazione Lagendijk, a fianco della Grecia, della Bulgaria, di Cipro, della Slovacchia e della Spagna. Perché non avete avuto la bontà di rispondere alla proposta originale e costruttiva di Adrian Severin, eurodeputato Rumeno e socialista come voi?
Perché non tenete in alcun conto le doglianze di quei paesi che si oppongono al vostro piano?  Certamente che Atene e Bucarest sono alleati tradizionali di Belgrado. Ma lasciar credere che la Romania, la Bulgaria e la Grecia abbiano votato spinte da ragioni di buon vicinato con la Serbia è molto inadeguato e voi lo sapete. Cosa pensate che la minoranza Turca della Bulgaria (10% della popolazione), già di per sé abbastanza turbolenta, vada a fare attualmente? Andrete anche a macellare le frontiere Bulgare, quando le autorità di Sofia reprimeranno brutalmente le aspirazioni separatiste delle loro popolazioni turcofone? La prevedibile frattura della Macedonia, dove un abitante su tre è Albanese, non rischia forse di estendersi a macchia d’olio sul versante Greco? Atene non ha forse delle ragioni valide per contestare il vostro approccio al problema del Kosovo, Atene che ha sempre in memoria il doloroso evento traumatico noto come “disastro di Smirne”, quando nel 1922, 1.500.000 Greci dell’Asia Minore furono buttati a mare dai Turchi, che cancellavano così 2.500 anni di presenza ellenica nell’altro lato del Mare Egeo? 
E la sfortunata Cipro, che vive sotto la permanente minaccia di Ankara, che nega perfino la sua esistenza, conosce meglio di qualsiasi altro, dopo Nicosia, l’ultima capitale divisa d’Europa, ciò che significa la spartizione etnica di un paese. Perché dunque siete rimasti sorpresi che due eurodeputati Ciprioti abbiano preso la parola per opporsi con forza alla vostra relazione? Il loro intervento poteva essere considerato solo puramente chimerico?
Chimerico anche il comportamento della Slovacchia, lavorata al corpo dalla sua popolazione di origine Ungherese (10% della popolazione)? 
Chimerico, infine, il comportamento della Spagna, che mette in gioco la sua sopravvivenza per contrastare le inesorabili forze centrifughe che tentano di staccare poco a poco le sue Province, i Paesi Baschi, la Catalogna e l’Andalusia? 
Rendersi garanti dell’indipendenza del Kosovo, significa avvalorare la scelta delle armi. Vale a dire cedere alla legge del più forte, quella della jungla, la quale, lo sappiamo, non ha nulla a che vedere con il diritto. Voi pretendete che la vostra Europa sia una garanzia di pace per il futuro, ma sono dei temibili germi di guerra che la vostra Europa si accinge a seminare. 
Puntati gli occhi sul Kosovo, voi vi dimenticate che si tratta di una Provincia della Serbia, ed è al livello di questi paesi che bisogna esaminare chi è la maggioranza e chi la minoranza. I Serbi del Kosovo non sapranno mai essere una minoranza nel loro stesso Paese. Se si ragiona con il metro della Serbia, sono gli Albanesi, che si sono stabiliti principalmente in Kosovo, che con il loro 17% della popolazione nazionale costituiscono una minoranza. 

Il Kosovo, che lo si voglia o no, costituisce una delle più forti concentrazioni di arte medioevale religiosa al mondo. Per rendere meglio l’idea, prima della tragedia che ha insanguinato la regione, io ho potuto constatare con i miei occhi ciò che significa la presenza di 1370 santuari disseminati su un territorio tanto piccolo. Il nome ufficiale della Provincia, Kosovo e Metoja, sempre eluso nei nostri media, non è così per caso : Kosovo è il genitivo di Kos, una parola Serba che significa «merlo», e Metoja, che deriva dal greco Metohos, designa un territorio ricollegato ad un monastero. Alcuni di questi monasteri, come Gracanica o Decani, sono giudicati appartenenti al Patrimonio Mondiale dell’Umanità da parte dell’UNESCO. 
Dopo l’inizio del protettorato ONU, nel giugno 1999, più di un centinaio di edifici religiosi, di cui alcuni molto importanti, risalenti al XIII.esimo o al XIV.esimo secolo, sono stati ridotti in polvere da parte di estremisti Albanesi. Quando in Afghanistan, i Talebani hanno devastato con la dinamite i Budda di Bâmyân, assegnati  al Patrimonio Mondiale dell’Umanità da parte dell’UNESCO, il grido di indignazione e di collera è stato generale, per denunciare la barbarie e l’oscurantismo. Quando « i Talebani d’Europa » hanno devastato con la dinamite un monastero ortodosso del XIII.esimo secolo in Kosovo, il vostro silenzio è stato eloquente... Allora, consultate l’opera magnifica di Gojko Subotic, « Terra consacrata del Kosovo » (Edizioni Thalia, 2006). Aprite la pagina relativa alla chiesa della Madre-di-Dio di Ljevisa, a Prizren, datata XIV.esimo secolo. Ammirate bene le sue linee, i suoi affreschi di una emozionante bellezza. Restano solo quelle pagine dove potrete ancora ammirare tutto ciò. L’edificio è stato incendiato e distrutto dagli Albanesi in occasione degli « avvenimenti del marzo 2004 », così questi vengono designati pudicamente dal vostro relatore (comma C, p.4), troppo sconvolto per impiegare la parola giusta: pogroms. In questo stesso mese, il villaggio Serbo di Svinjare è stato sgomberato dei suoi abitanti, saccheggiato prima di essere completamente arso dagli Albanesi, sotto lo sguardo impassibile dei soldati Francesi della KFOR. 
Ed è a questa gente che voi auspicate accordare l’indipendenza! Senza dubbio, per incoraggiarli nei loro progressi democratici? 

Voi, che avete così duramente criticato il Presidente François Mitterrand per avere avuto frequentazioni  con René Bousquet, uno ben addentro nei meccanismi della Soluzione Finale, non vi siete proprio imbarazzato di fiancheggiare Agim Ceku, il quale, prima di diventare Primo Ministro del Kosovo, è stato un ex “barbouze” dell’esercito Croato, che si è messo in evidenza nella  Krajina per le sue atrocità, prima di comandare le bande di scorticatori dell’UCK e di essere messo sotto accusa per crimini di guerra commessi fra il 1995 e il 1999? Perché, malgrado la presenza di migliaia di soldati della KFOR, i rapimenti e gli assassinati sono moneta corrente in Kosovo, e i Serbi non sono le uniche vittime : ci sono anche i non-Albanesi, i Rom, gli Ebrei, i Gorani, gli Ashkali che vengono minacciati. (4)
Voi, che vi definite socialista, non siete imbarazzato di ritrovarvi nella indegnità interessata dell’Europa, che il grande Jaurès denunciava in circostanze simili più di un secolo fa ? (5) Non la imbarazza proprio il silenzio compiacente dei media occidentali ? 
   
Voi affermate : « La soluzione predisposta per il Kosovo non creerà un precedente nel diritto internazionale». Le circonvoluzioni dei paragrafi 6 p.6 e 2 p.11 sono altrettanti prodigi di acrobazie giuridiche. Si indovina l’imbarazzo del relatore, che sicuramente ha dovuto ripetere per molto tempo il suo numero da equilibrista, ma ecco, senza convinzione : tutti i vostri postulati non possono mascherare i fatti reali. Come procederete per impedire che questo non costituisca un precedente ? In nome di cosa rifiuterete agli Albanesi di  Macedonia (vale a dire al 30% della popolazione Macedone) quello che voi avete concesso agli Albanesi di Serbia (al 17% degli abitanti)? Cosa direte agli Ungheresi e ai Siculi di Transilvania che hanno moltiplicato, specialmente lo scorso anno, le azioni politiche aggressive, i referendum illegali sull’autonomia di un Territorio Siculo che copre circa tre Dipartimenti della Romania? Non capite proprio che la relazione Lagendijk va incontro al modo di sentire di questa gente, di costoro che propiziano dichiarazioni e manifestazioni di provocazione contro i simboli dello Stato, che sfoggiano bracciali neri in segno di lutto in occasione della festa nazionale della Romania, e che addestrano una milizia paramilitare nei Carpazi? 
Come vi comporterete davanti alla riconoscenza, sulla base del precedente Kosovaro, della Transnistria nei confronti del Cremlino, e di quale margine di manovra disporrà l’Europa per opporsi ad una presenza Russa dotata del più grande arsenale militare del nostro continente a Colbasna, in questa  enclave alle sue porte?
Il Kosovo è Serbo per più del 58% dal punto di vista catastale.(6) Questa è una realtà totalmente passata sotto silenzio dal rapporto di Joost Lagendijk. Come vi apprestate a gestire il diritto imprescrittibile alla proprietà privata (Articolo 17 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo) con l’indipendenza di un Kosovo Albanese che spoglia i Serbi nella culla stessa della loro nazione? Voi avete appoggiato il ritorno degli Albanesi cacciati dalle loro case, ma la sorte dei non-Albanesi, dei Serbi, Rom, Ashkali, Ebrei, Gorani, che non hanno avuto altra scelta che la valigia o la bara, vi è indifferente. In otto anni, non avete fatto nulla per il loro ritorno. La vostra pretesa società multietnica porta soprattutto il marchio “multistandard” dei Dirittti dell’Uomo!      

Il voto sulla relazione Lagendijk al Parlamento Europeo è avvenuto in modo precipitoso, per il timore che venga messa in discussione. Il vostro stesso relatore ha dovuto riconoscere che due giorni prima Martti Ahtisaari aveva ottenuto l’appoggio del Segretario Generale dell’ONU rispetto al suo piano. Il mettersi al seguito e la fuga in avanti come linea politica, ecco non costituiscono passi gloriosi. Al contrario, il coraggio politico è saper affermare il proprio « no », quando tutti pedissequamente affermano il « sì », affermare le proprie convinzioni, soprattutto quando queste vanno in direzione contraria alle posizioni dominanti. 
La Vostra storia familiare vi collega alla città Rumena di Braïla, grande porto sul Danubio e patria di  Panaït Istrati. Si tratta di una eredità drammatica, dolorosa, che vi consegna una responsabilità particolare e supplementare. 
Voi siete un eurodeputato Francese, che dovrebbe affermare dall’emiciclo di Strasburgo i valori del nostro Paese, dove i cittadini sono uguali in diritti e doveri, qualsiasi siano le loro origini o la loro religione? Per caso, non sarete divenuto, per parafrasare Panaït Istrati, la campana stonata dell’idea europea, al punto da perdere tutto il senso critico, finanche sulla questione decisiva del Kosovo? In questo caso voi comprenderete facilmente che io respingo la relazione del Signor Joost Lagendijk con lo stesso disgusto e la stessa indignazione con cui rigetto la vostra Costituzione Europea. Quella che state per costruirci è l’Europa delle tribù, Signor Moscovici. La dittatura delle minoranze agitatrici. E io non la voglio, ne’ per me, ne’ per i miei figli.  
Per le nostre comodità occidentali, possiamo contentarci delle vostre decisioni irresponsabili adottate in nostro nome, come dire « che non c’è fumo senza fuoco », che il Kosovo è comunque perso per la Serbia e che, se il passato della Provincia è stato incontestabilmente Serbo e cristiano ortodosso, il suo presente è del tutto incontestabilmente Albanese e musulmano sunnita. 
In effetti, possiamo chiudere gli occhi sui pogroms anti Serbi, come quelli del marzo 2004, e sul saccheggio irrimediabile di un patrimonio artistico e religioso unico! 
O meglio, da uomini liberi – ma ne esistono ancora ?– possiamo ribadire che ciascun uomo che viene ammazzato per quello che é , è una parte della nostra stessa umanità che se ne va, che ogni chiesa che viene fatta saltare in aria con la dinamite nel cuore del nostro continente è una violenza arrecata alla nostra stessa chiesa.
Ora che si va a decidere lo stato giuridico finale del Kosovo, in questa direzione si rivolge tutto il senso del mio impegno. Avevo sperato – senza dubbio in modo tanto ingenuo – che questo fosse anche il vostro...

Jean-Michel Berard, cronista del mensile B.I. Balkans-Infos
 
 NOTE:                                                                                    

(1) Parlamento europeo, rapporto n° A6-0067/2007, disponibile sul sito Internet http//:www.europarl.europa.eu /

(2) Jürgen Elsässer, La RFA dans la guerre du Kosovo, chronique d’une manipulation – La Repubblica Federale Tedesca nella guerra del Kosovo, cronaca di una manipolazione -  Edizioni L’Harmattan, Paris, 2002, p.48 a 51

(3) Pierre Moscovici è il figlio di Serge Moscovici, nato nel 1925 a Braïla, in Romania. Nato da una famiglia di origine ebraica, fu espulso dal suo liceo a causa delle leggi antisemite, sfuggito per poco al pogrom di Bucarest nel gennaio 1941 scatenato dalla Guardia di Ferro, milizia fascista Rumena, in seguito fu costretto al lavoro forzato fino al 1944. Nel 1947, abbandonava la Romania per raggiungere Parigi, dove diventava, come si sa, il grande psicologo sociale. Serge Moscovici racconta questa ossidea nelle sue memorie, Chronique des années égarées – Cronaca di anni sperduti, Edizioni Stock, Parigi, 1997.

(4) Vedere l’eccellente documentario in DVD di Michel Collon e Vanessa Stojilkovic, Les damnés du Kosovo – I dannati del Kosovo, Bruxelles, 2000.

(5) Jean Jaurès, « Il faut sauver les Arméniens – Bisogna salvare gli Armeni », Edizioni Mille et Une Nuits, Paris, 2006. Discorsi dal 1896-1897.

(6) Ziua, (« Le Jour », quotidiano Rumeno di diffusione nazionale), « Le Kosovo, propriété des Serbes – Il Kosovo, proprietà dei Serbi »,  Bucarest, 8 gennaio 2007.


La Rete nazionale Disarmiamoli!
 


LO “SCUDO ANTIMISSILISTICO” USA/NATO INIZIA A FUNZIONARE

 

Rilanciamo la Petizione popolare in tutte le mobilitazioni del movimento nowar

 

Comunicato della Rete nazionale Disarmiamoli! 

 

La sospensione del trattato CFE per la riduzione degli armamenti convenzionali da parte della Russia è un segnale molto preoccupante. Dopo mesi di false trattative, nelle quali il cowboy d’oltre Oceano ha imposto una classica visione dei rapporti diplomatici intrisa del peggior colonialismo, la risposta del governo russo viene dipinta dai mass media occidentali come provocazione, sfida, scelta arrogante e simili.
Leggendo le cifre e i rapporti di forza sul campo, si scopre però che la Russia di oggi non ha neppure la quantità di armi convenzionali permessa da quegli accordi che oggi sospende. Senza spendere una parola in difesa di un sanguinario “capitano d’industria” qual è Vladimir Putin, appare evidente lo scopo dell’attuale campagna stampa.

 

Il nuovo clima da “guerra fredda” è determinato oggi dall’arroganza dell’amministrazione statunitense e NATO, impegnate in una offensiva politico militare di vasta scala, di cui il cosiddetto “scudo antimissilistico” è solo la punta avvelenata di un iceberg di guerra.
I missili  in Polonia, il radar repubblica ceca, il coinvolgimento diretto dell’Italia nel progetto con la ratifica di un trattato semiclandestino da parte del governo Prodi, sono parte integrante di una strategia aggressiva che segna profondamente l’Europa centro meridionale.
Il sostegno occidentale all’’indipendenza del Kosovo ( fuori e contro gli accordi di Kumanovo che formalizzarono lo sgretolamento della Jugoslavia dopo i bombardamenti “umanitari” nel 1999), le nuove basi USA/NATO in Romania, Bulgaria, Albania, Italia (Vicenza), i quotidiani massacri in Afghanistan ad opera della “nuova” NATO uscita dal vertice di Washington del 24 aprile 1999, l’ inserimento diretto di Israele nel sistema bellico Atlantico, sono i dati più evidenti dell’atttuale modello economico occidentale, nascosto sotto il manto ideologico della cosiddetta “guerra infinita”: il WARFARE.

 

L’Europa condivide ed affianca attivamente queste politiche di guerra. L’Italia di Prodi si è subito adeguata, a partire dall’incremento astronomico della spesa militare contenuto nella legge finanziaria.

 

Il movimento contro la guerra ha preso coscienza di questo scenario, iniziando un cammino di resistenza attiva a politiche belliciste bypartisan.
La lotta delle popolazioni vicentine è la punta di diamante di una ripresa complessiva della mobilitazione, come dimostrato con la grande manifestazione del 9 giugno a Roma.

 

Di fronte all’escalation in atto, gli strumenti di resistenza a queste politiche dovranno essere molteplici, permettendo al movimento di dispiegarsi sui territori con iniziative, campagne , mobilitazioni di vario tipo, legittimandolo agli occhi di una opinione pubblica quotidianamente bombardata dalle deformazioni di un altro potente strumento di guerra: il sistema massmediatico. Non sfugge a nessuno il silenzio tombale degli organi di stampa nazionali sul coinvolgimento diretto dell’Italia nel nuovo progetto bellico  statunitense, grazie alla firma di un misterioso accordo quadro USA / Italia da parte del governo Prodi.

 

La petizione popolare contro lo scudo antimissilistico si conferma come una importante campagna di massa, proposta da alcuni mesi al movimento in previsione degli attuali sviluppi del confronto Est Ovest.

 

Il dossier che accompagna la raccolta delle firme contro lo scudo è un formidabile strumento di controinformazione ed attivizzazione sui territori, che può rafforzare ed accompagnare le mobilitazioni contro la base al Dal Molin.

 

Sollecitiamo tutte le realtà di movimento, i singoli militanti nowar a usare questo strumento, scaricando i moduli dal sito di disarmiamoli ed usandoli nei banchetti e nelle mobilitazioni dei prossimi mesi.

La Rete nazionale Disarmiamoli!
 



Begin forwarded message:

From: gilberto.vlaic  @  elettra.trieste.it
Date: July 14, 2007 12:35:04 PM GMT+02:00
Subject: Relazione viaggio a Kragujevac giugno 2007

Care amiche cari amici,
vi invio la relazione del viaggio concluso poco meno di due settimane fa.
Anche questa volta ho inserito alcune foto

(SI VEDA LA VERSIONE IN FORMATO WORD, SUL SITO CNJ: https://www.cnj.it/AMICIZIA/Relaz0707.doc )

Il prossimo viaggio si svolgera' nel periodo 27-30 settembre.
Chi fosse in arretrato con le quote e' pregato di versarle almeno due settimane prima del viaggio, in modo da permetterci di preparare per tempo le liste di consegna.

Ci e' stato chiesto per il prossimo viaggio di fornire ai nostri ragazzi un po' di materiale scolastico, visto che il viaggio avverra' a scuola appena iniziata.
Per  preparare circa 200 pacchetti contenenti ciascuno
6 quaderni formato A4
3 biro nere
3 biro rosse
3 matite
1 temperamatite
2 gomme
12 pennarelli colorati
1 album da disegno
1 righello
1 squadretta
dovremo spendere circa 1700 - 1800 euro.

Eventuali sottoscrizioni saranno benvenute...


Buone vacanze a tutti!
Gilberto Vlaic
Non bombe ma solo caramelle - ONLUS




RITORNO DALLA  ZASTAVA DI KRAGUJEVAC

Viaggio del 28 giugno - 1 luglio  2007

(resoconto di viaggio  a cura di Gilberto Vlaic del gruppo ZASTAVA Trieste)

Questa relazione e’ suddivisa sette parti.

1 Una buona notizia (almeno per adesso)
2 Introduzione
3 Cronaca del viaggio 
4 I progetti in corso e le possibilita’ future
5 Informazioni generali sulla Serbia e sulla Zastava 
6 Conclusioni


1 . Una buona notizia (almeno per adesso)

Vi avevo annunciato per e-mail nei primi giorni di maggio che Andreja P. di 11 anni il 28 di aprile era finalmente arrivato in Italia (con la mamma) per un trapianto di fegato da effettuarsi presso l’ospedale di Bergamo. 

Dopo una settimana passata a Bergamo per le necessarie analisi, era stato ospitato durante il mese di maggio presso una delle case di accoglienza della Fondazione Luchetta, Ota, D’Angelo Hrovatin di Trieste. Durante il suo periodo di permanenza a Trieste si era reso necessario un ricovero di urgenza nell’ospedale pediatrico della citta’.

Sabato 2 giugno alla sera l’Ospedale di Bergamo ha avvisato che era stato trovato un donatore compatibile; Andreja e sua madre sono quindi partiti in tutta fretta con una ambulanza messa a disposizione dall’Ospedale Burlo Garofolo e durante la notte tra sabato e domenica il trapianto e’ stato effettuatto.
Sono seguiti giorni molto difficili, con molti problemi, tra cui un blocco renale ed un inizio di rigetto, in un continuo andare e venire dal reparto di terapia intensiva.
Al momento in cui scrivo questa relazione sembra che Andreja stia recuperando; c’e’ solo da attendere e sperare che la situazione evolva al meglio.


2 - Introduzione

Vi invio la relazione del viaggio svolto due settimane fa a Kragujevac per la consegna delle adozioni a distanza che fanno capo alla ONLUS Non Bombe ma solo Caramelle (Gruppo Zastava di Trieste e sezione del Veneto) e al Coordinamento Nazionale RSU CGIL e per la verifica dei progetti in corso a Kragujevac.ì
Vi ricordo  il sito del coordinamento RSU,  sul quale trovate tutte le notizie sulle nostre iniziative
Trovate tutte le informazioni seguendo il link 
Solidarietà con i lavoratori della Jugoslavia:

I nostri resoconti sono presenti anche sul sito del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia, all'indirizzo:
che contiene migliaia di articoli sulla situazione nei Balcani difficilmente reperibili sulla stampa nazionale.


3 - Cronaca del viaggio

Giovedi’ 28 giugno 2007

Alle 8 e 30 pronti alla partenza. Per la prima volta in questi anni ci siamo ritrovati con una delegazione quasi dimezzata rispetto ai nove posti disponibili sul pullmino della ASIT, che abbiamo usato gratuitamente anche per questo viaggio.
Domenica 24 giugno due partecipanti avevano disdetto la loro presenza; la mattina della partenza altri due non si sono presentati. Questo ha provocato un aumento imprevisto delle spese di viaggio per i restanti cinque. 
E’  un peccato non poter usare tutti i posti disponibili: la presenza di nuovi partecipanti ha un effetto benefico alla nostra campagna di solidarieta’, perche’ permette ad un numero sempre maggiore di persone di verificare direttamente come essa di svolge ed inoltre ha un effetto moltiplicatore per gli affidi a distanza e per la realizzazione dei nostri progetti.

La delegazione era formata da Gilberto da Trieste, Beatrice, Giandomenico, Luca e Vittorio da Conegliano Veneto.
Avevamo con noi 16600 euro per le 179 quote di affido da distribuire, di cui 1 nuova, per la maggior parte in quote trimestrali da 75 euro o da 85 euro.
Avevamo inoltre 200 euro come regalo al centro per ragazzi Down 21 ottobre e 5000 euro da consegnare alla Scuola Tecnica per l’inizio di un nuovo progetto.
Come sempre avevamo anche farmaci per il Centro Medico Zastava per circa 15.000 euro.
Infine 12 pacchi di regali da parte di altrettanti donatori italiani per le famiglie con ragazzi in affido.

Il viaggio si e’ svolto senza alcun intoppo, con tempo bello e clima accettabilissimo, vista la stagione (ben diverso dai precedenti viaggi estivi, che si sono sempre svolti con un clima torrido); anche l’attraversamento di Belgrado e’ stato, contrariamente al solito, relativamente veloce.
Siamo arrivati alle 19 e 30 e, dopo la preparazione delle buste per la consegna da effettuare sabato 30, ottima cena serba con i nostri amici del Sindacato.


Venerdi’ 29 giugno

Di tutti gli incontri di seguito brevemente descritti daro’ ampi dettagli nel prossimo paragrafo.

Al mattino rapido incontro in Comune per il ritiro delle ricevute dei lavori effettuati per il centro di aggregazione giovanile di Zdraljica,e poi visita allo stesso.

Siamo poi andati a trovare i nostri amici  del centro 21 ottobre per ragazzi Down, che feteggiavano il secondo anno di attivita’ del centro (era stato inaugurato il 7 luglio 2005).

Infine siamo stati ricevuti da Slavica Jankovic, Direttrice della Scuola per infermieri ‘’Sestre Ninkovic’’, presso la quale insieme alla Cooperazione Odontoiatrica Internazionale svilupperemo un nuovo progetto sanitario.

Al pomeriggio lungo e intenso incontro presso la Scuola Tecnica di Meccanica e Trasporti, dove ha avuto luogo una interessantissima travola rotonda tra cinque scuole superiori, di cui tre serbe, una macedone ed una dalla Bosnia. 

A tutti questi incontri era presente Federico, giovane sindacalista della FILCAMS-CGIL di Milano, nella sua qualita’ di rappresentante della Associazione Fabio Sormanni, con la quale abbiamo in questi anni realizzato alcuni progetti.


Sabato 30 giugno

Al mattino si e’ tenuta l’assemblea per la consegna delle quote di affido, nella  grande sala della direzione. Come sempre atmosfera festosa, scambi di regali. La notizia del trapianto di Andreja P. ha suscitato un uragano di applausi. 
La televisione di Kragujevac ha registrato una lunga intervista con Delko, Presidente del Sindacato, e con me. I giornalisti hanno chiesto informazioni dettagliate sulla nostra campagna di affidi e sui progetti che portiamo avanti; il tutto e’ stato poi trasmesso nel telegiornale serale.

Il pomeriggio abbiamo vistato a lungo il parco della rimembranza di Sumarice, del quale ho parlato in varie relazioni, sostando davanti ai monumenti piu’ rappresentativi: quello delle ‘Ali Spezzate’ che ricorda le 7300 vittime della rappresaglia nazista del 21 ottobre 1941 e quello dedicato ai piccoli lustrascarpe Rom della citta’ che nella stessa occasione furono uccisi per essersi rifiutati di pulire gli stivali insanguinati che chi prese parte alla strage.

La giornata si e’ conclusa con la visita ad una unica famiglia, una delle piu’ sfortunate tra quelle che seguiamo.
La figlia maggiore (in affido ad un nostro associato) ha una cisti al cervello che le scatena svariate crisi epilettiche al giorno: Due anni fa avevamo tentato di farla operare a Bologna, senza successo, purtroppo.
L’anno scorso e’ stato tentato un drenaggio presso l’ospedale di Kragujevac con scarso successo. I genitori sono entrambi in crisi depressiva grave, la sorella minore di 16 anni bada insieme alla nonna a tutta la famiglia. E’ sempre molto triste andare a trovarli, perche’ per questa nostra famiglia non si intravedono vie d’uscita immediate.

Domenica 1 luglio.

Il caldo afoso dei Balcani e’ tornato a farsi sentire e ci accompagnera’ per tutto il viaggio di ritorno. Partenza alle 8 e 30; alcune famiglie sono venute a salutarci davanti all’albergo.
Verso le 10 siamo arrivati a Belgrado dove ci siamo fermati per una rapidissima visita al parco di Tasmajdan, di cui ho gia’ parlato varie volte.

Nei pressi di Zagabria abbiamo visitato il sito dove sorgeva il campo di sterminio di Jasenovac, uno dei posti piu’ terribili della seconda guerra mondiale.
Nei cinque complessi che fungevano da campi di smistamento, lavoro e sterminio, costruiti nell’area di Jasenovac sulla sponda sinistra del fiume Sava, hanno trovato la morte tra il 1941 e il 1945 migliaia di ebrei, rom, serbi, musulmani, oppositori del regime ustascia di Ante Pavelic. Un regime nato il 10 aprile del 1941 con il sostegno della Germania nazista e dell’Italia fascista. 
Non esistono cartelli indicatori per arrivarci, forse nel tentativo di cancellarne la memoria?...
Nel mezzo alla campagna si erge il grande monumento in cemento, opera dell’architetto Bogdan Bogdanovic realizzato negli anni  sessanta a ricordo di quelle vittime. E’ un grande fiore stilizzato. Su un binario morto e’ esposta una delle locomotive ed alcuni vagoni dei treni che partivano di li’ diretti in Germania.
C’e’ anche un piccolo museo, che personalmente ho trovato piuttosto scadente a livello delle informazioni fornite. Se uno non sa a priori qualche cosa, rischia di non capire molto.

Siamo arrivati a Trieste alle 20, senza alcun problema alle tante frontiere.

FOTO: Il fiore di Jasenovac     
FOTO: Particolare del treno


4 - I progetti in corso e di possibile realizzazione

Ormai da tre anni stiamo realizzando progetti che vanno incontro a reali bisogni sociali esistenti in citta’, unendo i nostri sforzi a quelli di altre associazioni. Si conferma la collaborazione con l’associazione Zastava Brescia, con la Cooperazione Odontoiatrica Internazionale (COI) e con la Associazione Fabio Sormanni di Milano; si e’ aggiunta nel 2006 l’associazione ABC, Solidarieta’ e Pace di Roma, che ha inviato un ulteriore generoso contributo a febbraio 2007, dopo quello dello scorso anno.

Questi sono gli indirizzi dei siti delle associazioni:


A) Collaborazione con il Comune di Kragujevac: centro di aggregazione giovanile a Zdaljica 

A marzo scorso avevamo firmato con il Comune un verbale di accordo per il riadattamento di locali pubblici per circa 150 matri quadrati di superficie da destinare a centro per giovani nel quartiere di Zrdaljica, uno dei quartieri operai piu’ disagiati della citta’.
L’idea e’ di realizzare una biblioteca, una sala informatica con collegamenti internet, una videoteca con proiettore, in modo da dare ai ragazzi del quartiere la possibilita’ di vari strumenti culturali che li aprano almeno virtualemente al mondo. 
Avevamo consegnato in quella occasione 4000 euro a fronte di un preventivo per complessivi 447.000 dinari (circa 5600 euro) per la realizzazione dei lavori edili
La cifra restante (1600 euro) e’ stata consegnata all’inizio di giugno dalla Associazione Zastava Brescia durante il loro periodico viaggio. A questo progetto partecipano anche ABC e la associazione Sormanni.
I lavori sono quasi terminati: nelle sei fotografie sottostanti potete vedere (a sinistra) due scorci dello stato dei locali prima dell’intervento; al centro due foto scattate piu’ o meno dalle stesse posizioni durante questo viaggio. Sono stati cambiati inoltre tutti i serramenti. Oltre la porta che potete vedere in fondo alla sala e’ stato ricavato un bagno, una piccola cucina ed un ampio locale attrezzato per otto punti di collegamento internet.

Il consuntivo finale dei lavori edili e’ stato di 630.000 dinari.
La differenza tra consuntivo e preventivo e’ stata coperta dal Comune.
Ora si trattera’ di acquistare gli arredi, il videoproiettore e i computers.

FOTO: Interno, vista parziale a marzo scorso      
FOTO: I lavori sono quasi ultimati         
FOTO: Ultimi ritocchi al nuovo bagno
FOTO: Interno, vista parziale a marzo scorso         
FOTO: Lavori in corso                        
FOTO: Il locale per i computers
FOTO: Infine all’esterno e’ stata apposta una targa che ricorda la data della ristrutturazione.


B) Centro 21 ottobre  per l’accoglienza diurna di ragazzi con sindrome Down 

Il Centro e’ stato inaugurato nel luglio 2005; e’ gestito dalla  cooperativa VIVERE – ZIVETI ed accoglie al momento quasi venti ragazzi. E’ la prima (e per ora unica, per quanto ne sappiamo) Cooperativa Sociale in Serbia.
Abbiamo cosi’ festeggiato (con qualche giorno di anticipo) i due anni di vita centro; abbiamo potuto ancora una volta constatare come esso funzioni perfettamente, con grande soddisfazione dei ragazzi che lo frequentano e delle loro famiglie.

Ognuno dei ragazzi ospiti ha voluto rivolgerci un saluto, chi con un semplice ‘Dobar Dan’ oppure ‘Dobrodosli’ (Buongiorno oppure Benvenuti) altri avevano preparato dei veri e propri discorsi in cui ci hanno raccontato la vita del centro e le sempre piu’ numerose uscite che compiono (visite a monumenti, una gita allo zoo, semplici scampagnate...).
Infine ci hanno offerto un rinfresco preparato da loro, e su tutto troneggiava una grande torta con sopra scritto VOLIM VAS (Vi vogliamo bene).
Abbiamo lasciato un piccolo regalo di 200 euro con la promessa di rivederci a settembre. 

FOTO: I saluti dei ragazzi           
FOTO: La grande torta             
FOTO: Arrivederci!


C) I nostri progetti di odontoiatria sociale si allargano:
la Scuola per infermieri ‘Sestre Ninkovic’

Questa collaborazione e’ iniziata nel 2005 con il presidio sanitario della Zastava (Zavod Za Zdravsvenu Zastitu Radnika, ZZZZR) dove lavorano 326 persone, due terzi dei quali operatori sanitari (piu’ di 60 sono i medici) ed un terzo di amministrativi. 224  lavoratori sono iscritti al sindacato Samostalni (dato di marzo 2006).
Il suo bacino di utenza e’ rappresentato attualmente da circa 50.000 lavoratori e loro familiari e da circa 7.000 pensionati. Il problema del presidio sanitario e’ che la strumentazione in uso ha un’eta’ media di piu’ di 20 anni, ed e’ quindi fortemente inadeguata. 
Insieme al COI (Cooperazione Odontoiatrica Internazionale) abbiamo iniziato il rinnovo della strumentazione degli ambulatori dentistici, con la donazione a luglio del 2005 di due poltrone 
Questa nostra attivita’ e’ stata supportata da due progetti di cooperazione internazionale cofinanziati dall’Assessorato all’istruzione, alla cultura, allo sport e al volontariato della Regione Friuli Venezia Giulia. 
L’intervento si e’ poi allargato a dicembre 2006 alla Scuola Tecnica di Meccanica e Trasporti che ha messo a disposizione due locali per la realizzazione di un nuovo ambulatorio di odontoiatria preventiva, per il quale abbiamo trasferito a febbraio a Kragujevac la strumentazione necessaria. Per lungaggini burocratiche doganali il materiale e’ stato consegnato solamente a fine maggio.  Il Policlinico di Kragujevac distacchera’’ presso la Scuola due medici e due infermieri. Il bacino di utenza di questo nuovo ambulatorio sara’ costituito dal 1800 studenti della Scuola a cui saranno aggiunti altri 500 alunni

(Message over 64 KB, truncated)


COMUNICATO STAMPA
con preghiera di diffusione e pubblicazione


La Grande Notte Balcanica

Domenica 22 luglio 2007
Alla Cascina Autogestita Torchiera
Piazzale Cimitero Maggiore, 18 – Milano

Dalle ore 19,00 Musica e cibi della tradizione balcanica

Programma della serata:

Ore 19,00 Apertura servizio cucina: tradizionale maialino allo spiedo, cevapi, sljivovica con accompagnamento musicale

Ore 21,30 Trio Mirkovic in concerto: Cristina Mirkovic (voce e violino), Ivan Mirkovic (chitarra), Raffaele Kohler (tromba)

Ore 22,30 Muzikanti in concerto: Davide Marzagalli (darbouka, sax soprano), Marta Pistocchi (violino), Jovica Jovic (fisarmonica), Miguel Lungu (chitarra), Matteo Maraone (contrabbasso)


Ingresso con sottoscrizione: 3 euro


LA LOCANDINA SI PUÒ SCARICARE DAL NOSTRO SITO:




JUGOSLAVENSKI GLAS (Svakog drugog utorka na Radio Citta' Aperta)

Emisija je u direktnom prijenosu. Moze se pratiti  i preko  Interneta:                   


Kratke intervencije na telefon +39-06-4393512.
Pisite nam na jugocoord@tiscali .it, ili fax  +39-06-4828957.
                            

VOCE JUGOSLAVA  (Ogni due martedi')

su Radio Città Aperta, FM 88.9 per il Lazio. Si può seguire, come del resto anche le altre trasmissioni della Radio,  via Internet:


La trasmissione è bilingue (a seconda del tempo disponibile e della necessità) ed in diretta. Brevi interventi telefonico allo 06-4393512.
Scriveteci all'indirizzo email: jugocoor@tiscali .it, fax 06-4828957. 

 
Program                  14. sati   10.VII.2007   ore 14              Programma

Date da ricordare:
9 luglio 1941 - gli ustascia nel bosco di Maksimir di Zagabria fucilano alcuni intellettuali rivoluzionari croati, tra cui Bozidar Adzija, Otokar Kersovani, Ognjen Prica.
9 luglio 1943 - l'altra banda, i cetnici, in Bosnia vicino a Foca (si legge: Focia), arrestano e fucilano il giovane poeta partigiano Ivan Goran Kovacic (ricordiamo il poema "Jama": https://www.cnj.it/CULTURA/igkovacic.htm ) e il dottor Simo Milosevic. 
...E parleremo del popolo jugoslavo, costretto ad essere diviso nonostante tutto ciò che lo accomuna: separato al suo interno dai monti, dai fiumi, ma ancor di più dalle religioni, dagli egoismi, dai nazionalismi e dagli opportunismi dei governanti...




I VAMPIRI NON SONO IN TRANSILVANIA BENSÌ IN ITALIA


http://www.tesseramento.it/immigrazione/pagine52298/
newsattach1017_Unita%2002-07%20b.pdf

Da L’Unità del 2/07/2007, pag. 11

FLORIN, STORIA DI LAVORO NERO

«Sono caduto dal ponteggio, invece di aiutarmi mi hanno seppellito vivo»

Precipita da un ponteggio nel maggio del 2006. Ma non viene soccorso
perchè è un operaio in nero, come ce ne sono tanti in giro per i
cantieri d’Italia. E anzi i «compagni di lavoro» addirittura cercano
di seppellirlo vivo: troppo ingombrante anche solo quel suo povero
corpo finito mezzo maciullato dal volo.
È la tragica storia di un uomo rumeno, irregolare come tanti a Roma.
Ma questa storia, ora, ha un lieto fine e a raccontarla ieri è Dana
Mihalache, presidentessa dell’associazione «Spirit românesc» di Roma,
tanto che il 5 luglio il ragazzo tornerà in Romania per la
riabilitazione.
Lui è Florin, ha 37 anni, in Italia aveva scelto di fare fortuna. La
sua prima tappa è stata la Sicilia, dove come bracciante sperava di
riuscire a portare i primi soldi a casa. «Il suo racconto è
frammentato, ora soffre di crisi di memoria - racconta la Michalache
- Stava venendo a Roma, dalla Sicilia, per partire per la Romania.
Era alla stazione Tiburtina e dopo essersi messo a chiacchierare con
un tipo, forse dopo aver bevuto qualcosa di troppo, a un certo punto
si è trovato senza nulla, senza bagaglio né soldi».
La storia continua passando attraverso una ricerca di aiuto verso i
connazionali e una persona che gli avrebbe trovato lavoro fuori
città. «Si occupava di giardinaggio, stava lavorando su un primo
piano di un edificio. Da lì è caduto e ha preso una botta in testa. È
rimasto in terra per molto tempo, fino a che è venuto l'italiano che
gli aveva dato il lavoro.
Aveva notato, racconta lui, che aveva problemi alle ossa, così è
stato fatto salire in macchina e lo hanno lasciato insieme a tre
ragazzi dove c’erano diverse buche in terra. Lui è stato fatto
entrare lì dentro. Intanto, i ragazzi erano davanti a lui per
impedirgli di fuggire, mentre gli veniva buttata terra addosso».
Sepolto vivo. «Poi, si ricorda del Policlinico, dove ha subito un
intervento alla colonna vertebrale». Ora per Florin la vita cerca di
ricominciare.

Coca-Cola - Revolutionäre

1) Exportschlager Demokratie (Martin Hantke - jW 06.07.2007)

2) Die Coca-Cola - Revolutionäre (Harald Neuber - Telepolis 25.06.2005)


=== 1 ===


junge Welt (Berlin)
06.07.2007 / Thema / Seite 10

Exportschlager Demokratie


Mit dem neuen »Europäischen Instrument für Demokratie und Menschenrechte« will die EU Regierungswechsel in strategisch wichtigen Ländern finanzieren. EU-Beamte entscheiden außerhalb parlamentarischer Kontrolle über Mittelvergabe

Von Martin Hantke


Die internationale Menschenrechtspolitik der Europäischen Union ist im wesentlichen durch drei Merkmale geprägt. Zum einen werden Verletzungen sozialer Menschenrechte systematisch ausgeblendet, zum zweiten werden Menschenrechtsverletzungen von Mitgliedsstaaten der Europäischen Union sowohl innerhalb als auch außerhalb der EU nicht benannt, und zum dritten wird die Menschenrechtspolitik der EU nach dem Vorbild der USA zur Unterstützung imperialer Außenpolitik umgebaut mit der Maßgabe, den Sturz unliebsamer Regime weltweit mitzubefördern.

Dazu hat sich die EU ein eigenes Finanzierungsinstrument »für die weltweite Förderung der Demokratie und der Menschenrechte (Europäisches Instrument für Demokratie und Menschenrechte)« geschaffen (Amtsblatt der Europäischen Union L 386/1). Diese Verordnung (EG) Nr. 1889/2006 des Europäischen Parlaments und des Rates hat mit dem Zeitpunkt ihrer Veröffentlichung am 29. Dezember 2006 unmittelbar Rechtskraft erlangt, so daß auch keine weiteren Beratungen der nationalstaatlichen Parlamente über eine Umsetzung in einzelstaatliches Recht erforderlich waren. Dieser Umstand hat sicherlich mit dazu beigetragen, daß die Installierung dieses Finanzinstruments ohne parlamentarische Debatte in den Mitgliedsstaaten und damit auch praktisch unter Ausschluß der Öffentlichkeit vor sich ging.


Vorbild aus den USA

Vorgesehen für das Instrument ist ein Finanzrahmen von 1,104 Milliarden Euro in der neuen Haushaltsperiode von 2007 bis 2013, so daß in etwa pro Jahr annähernd 160 Millionen Euro verausgabt werden können. Damit übertrifft der EU-Haushaltsansatz bei weitem den der US-amerikanischen Agentur »National Endowment for Democracy« (NED, Nationale Agentur für Demokratie) von rund 80 Millionen Dollar im Jahr, die offensichtlich bei der Konzeption des EU-Menschenrechtsinstruments Pate gestanden hat, sind doch die Parallelen bei Zielen und Adressaten des vorgesehenen Mitteleinsatzes unübersehbar. An den jeweiligen Regierungen vorbei können Aktivitäten von Nichtregierungsorganisationen, Parteien und Stiftungen finanziert werden, um so den Sturz unliebsamer Regierungen zu befördern.

Die US-Agentur NED wurde 1982 unter Präsident Ronald Reagan als antikommunistisches Instrument konzipiert (vgl. Ronald Reagan, Promoting Democracy and Peace, 8. Juni 1982: www.ned.org/about/reagan-060882.html) und 1983 gegründet. Sie ist offiziell eine Non-Profit-Organisation. Formal eine private Organisation, wird das NED aber zu 98 Prozent aus staatlichen Mitteln finanziert und ermöglicht so die Weitergabe von US-Haushaltsmitteln an Dritte überall auf der Welt. Neben Aktivitäten, die auf einen »Regime change«, also das aktive Herbeiführen eines Regimewechsels, gerichtet sind – besonders aktiv ist man in Venezuela, Belarus, der Ukraine und Rußland –, werden Destabilisierungsmaßnahmen gegen fortschrittliche Bewegungen gefördert, dabei in erster Linie gegen sozialistische Bewegungen. 2004 verdoppelte Präsident George W. Bush den Etat des NED mit dem Ziel einer Intensivierung der Arbeit zur Förderung von »freien Wahlen, Pressefreiheit, Freihandel und Gewerkschaftsfreiheit« im Mittleren Osten (George W. Bush, Remarks by the President at the 20th Anniversary of the National Endowment for Democracy, 6. November 2003: www.ned.org/events/anniversary/20thAniv-Bush.html). International bekannteste Vorstandsmitglieder des NED sind, neben demokratischen und republikanischen Mitgliedern des US-Senats, der US-Politologe Francis Fukuyama und Richard Holbrooke, ehemaliges Mitglied des US-Kabinetts. Fukuyama erklärt in seinem jüngsten Buch »Scheitert Amerika? Supermacht am Scheideweg«: »Der klügste Weg, die amerikanische Macht zum gegenwärtigen Zeitpunkt geltend zu machen, ist kein militärischer.« Holbrooke hatte sich im Vorfeld des Jugoslawien-Krieges einen Namen als UCK-Unterstützer gemacht und ist mittlerweile stellvertretender Vorsitzender von Perseus Consulting, einer der führenden Private Equity Funds, also Investmentfonds (vgl. www.cfr.org/bios/548/richard_c_holbrooke.html).


Keine Kontrolle der Mittelvergabe

Dem nach dem Vorbild des NED gegründeten »Europäischen Instrument für Demokratie und Menschenrechte« (EIDH) zufolge soll »die Gemeinschaftshilfe im Rahmen dieser Verordnung darüber hinaus dank ihres globalen Charakters und ihrer Unabhängigkeit von der Zustimmung der Regierung von Drittstaaten und anderen staatlichen Behörden eine eigene und komplementäre Rolle spielen« (EIDH, Punkt 13). Dabei können Aktivitäten gefördert werden, die »weder geographisch gebunden noch krisenbezogen sind« und »Tätigkeiten sowohl innerhalb der Gemeinschaft als auch in einer Reihe von Drittländern beinhalten«. Die Finanzhilfe der EU soll insbesondere auf die »stärkere Achtung und Einhaltung der Menschenrechte und Grundfreiheiten« abzielen sowie die »Förderung der Demokratie und der Rechtsstaatlichkeit« beinhalten. In einem Entwurf des Finanzinstruments war sogar explizit vorgesehen, daß die Zahlungen geheim erfolgen können. Offensichtlich um der Kritik zu entgehen, es werde ein Fonds eingerichtet, mittels dessen die EU-Kommission sich durch Drittstaaten geheim fördern lassen könnte, wurde in der jetzt vorliegenden Verordnung zwar auf eine ausdrückliche Formulierung verzichtet, nichtsdestotrotz ließ man sich ein rechtliches Schlupfloch für klandestine Zahlungen von Drittstaaten als zusätzliche Geldgeber offen. Die EU-Kommission wird in Artikel 12 Absatz 4 der Verordnung ermächtigt, »im Falle einer gemeinsamen Kofinanzierung« im Namen der geldspendenden Staaten »Mittel für die Durchführung gemeinsamer Maßnahmen entgegennehmen und verwalten« zu können. Damit wird es mit der EU verbündeten Staaten möglich, Maßnahmen mitzufinanzieren, ohne als Geldgeber offen in Erscheinung treten zu müssen. Die letztendliche Entscheidung, welche Organisation mit wie viel Geld bezuschußt wird, liegt allein bei der EU-Kommission mit einem Apparat von einigen hundert EU-Beamten.

Besonders pikant ist, welche Organisationen zukünftig mit EU-Geldern finanziert werden sollen. Zunächst ist festgelegt, daß »die Teilnahme an den Verfahren zur Vergabe von Aufträgen oder Zuschüssen, die auf Grundlage dieser Verordnung finanziert werden«, allen natürlichen und juristischen Personen weltweit offensteht (Artikel 14). Zur Umsetzung der »Jahresprogramme«, »Sondermaßnahmen und »Ad-Hoc-Maßnahmen« kommen für die finanzielle Hilfe der EU ganz allgemein »Organisationen der Zivilgesellschaft«, aber auch »politische Stiftungen« und ganz unspezifisch »Einrichtungen und Organisationen und deren lokale, nationale, regionale und internationale Verbundnetze« in Frage. Zusätzlich können »nationale, regionale und internationale parlamentarische Gremien« gefördert werden sowie »natürliche Personen, wenn dies für die Verwirklichung der Ziele dieser Verordnung erforderlich ist«. Kurz gesagt: Weltweit kann jede Organisation und jeder Mensch mit EU-Demokratiefördergeldern bezahlt werden. Um hier kein Mißverständnis aufkommen zu lassen, ist in der Verordnung sogar noch einmal explizit festgehalten, daß über die aufgelisteten hinaus auch andere, nicht einzeln benannte Einrichtungen und Akteure »im Ausnahmefall und in ordnungsgemäß begründeten Fällen eine finanzielle Unterstützung erhalten«. Mit dieser Rechtsverordnung kann weltweit jeder, sofern ihre oder seine Aktivität auch nur im Entferntesten mit der Förderung von Demokratie und Menschenrechten in Verbindung zu bringen ist, von der EU Geld bekommen – sofern er mit den deren Zielen übereinstimmt. Gerade diese Generalermächtigung war im Europäischen Parlament noch heftig debattiert worden. Durchgesetzt haben sich allerdings dann diejenigen Akteure, die für die weitgehendsten Formulierungen eintraten. Anläßlich des vom EU-Parlament verliehenen »Sacharow-Preises für geistige Freiheit« an den belarussischen Oppositionellen Alexander Milinkiewitsch hatte der CDU-Europaabgeordnete Michael Gahler denn auch »die heutige Entscheidung für das Förderinstrument für Demokratie und Menschenrechte« als »großartigen Erfolg für die europäische Menschenrechtspolitik« gefeiert (Pressemitteilung, 12.12.2006: www.michael-gahler.eu). Die grüne Europapolitikerin Angelika Beer hatte schon im Mai 2006 kategorisch erklärt: »Das Demokratie- und Menschenrechtsinstrument ist für uns nicht verhandelbar.«

Mit der Ausrichtung, Individuen fördern zu können, geht das EIDH sogar noch über sein US-amerikanisches Vorbild NED hinaus. Neben Beschaffungsaufträgen und Zuschußvereinbarungen kann die »Gemeinschaftshilfe« sogar in Form von Arbeitsaufträgen an Individuen gezahlt werden (Artikel 12 Absatz 2d). Das NED dagegen vergibt finanzielle Hilfe ausschließlich an Organisationen (vgl. www.ned.org/about/faq.html). Beiden Agenturen gemein ist jedoch eine angestrebte Kofinanzierung ihrer Programme durch private Organisationen und Stiftungen. Im EIDH heißt es dazu lapidar, daß dafür insbesondere folgende Partner in Frage kommen: »Gesellschaften, Unternehmen und andere private Einrichtungen und Wirtschaftsbeteiligte, Gewerkschaften, Gewerkschaftsverbände sowie sonstige nichtstaatliche Akteure«. Diesen privaten Akteuren kann die EU-Kommission in diesem Fall auch noch »hoheitliche Aufgaben, insbesondere Haushaltsaufgaben, übertragen« (Artikel 13 Absatz 5).

Eine parlamentarische Kontrolle der Mittelvergabe ist praktisch nicht möglich. Mit der Zustimmung zum Menschenrechtsinstrument entmächtigte sich das Europäische Parlament selbst. So verfolgt und überprüft die EU-Kommission »die Durchführung ihrer Programme und bewertet regelmäßig die Wirksamkeit, Kohärenz und Konsistenz der Programmierung«. Vorschläge des Europäischen Parlaments werden, so heißt es im Text, »gebührend berücksichtigt«, und »gegebenenfalls« will man sich auch »unabhängiger externer Bewertungen« bedienen, »um Empfehlungen künftiger Maßnahmen aussprechen zu können« (Artikel 16 Absatz 1). Im Klartext heißt dies, daß die EU-Kommission selbst entscheiden kann, ob, wann und von wem sie ihre Mittelvergabe kontrollieren lassen möchte. Das Europäische Parlament wird mit der Übermittlung von »Bewertungsberichten zur Kenntnisnahme« (Artikel 16 Absatz 2) abgefunden. Daneben wird jährlich von der EU-Kommission ein Jahresbericht erstellt, der dem EU-Parlament und dem EU-Rat zugeleitet wird. Auch über »Sondermaßnahmen« (Artikel 7) und »Ad-Hoc-Maßnahmen« (Artikel 9), die nicht in der Programmierung auftauchen, entscheidet allein die EU-Kommission. Bei Sondermaßnahmen unter drei Millionen Euro soll das Europäische Parlament »innerhalb von zehn Arbeitstagen nach der Beschlußfassung über die genehmigten Maßnahmen« unterrichtet werden, bei Ad-Hoc-Maßnahmen soll es »regelmäßig« im Nachhinein informiert werden.


Schiefes Demokratiebild

Wohin die Reise gehen kann, läßt sich in etwa an den bisherigen Schwerpunkten der Projekte im Jahr 2006 und dem von EU-Ratspräsidentschaft, EU-Rat und EU-Kommission gemeinsam erstellten Jahresbericht zur Menschenrechtslage 2006 ablesen. Während von EU- und NATO-Mitgliedsstaaten begangene Menschenrechtsverletzungen in Drittstaaten in den Länderberichten mit keinem Wort erwähnt werden, sind China, Rußland und Kuba lange Passagen des Berichts gewidmet. Hingegen kommt der EU- und NATO-Verbündete Saudi-Arabien im Jahresbericht mit einigen wenigen Zeilen weg, und für die arabische Halbinsel wird gar ein fast schon rosiges Bild der Menschenrechtslage gemalt. Die anderen »Musterdemokratien« am Golf werden erst gar nicht erwähnt. So frohlockt der Jahresbericht, daß »Menschenrechtsangelegenheiten in Saudi-Arabien immer mehr ins Bewußtsein der Öffentlichkeit gelangten«, allerdings gebe »die Menschenrechtslage in Saudi-Arabien nach wie vor Anlaß zu ernster Besorgnis«. Das mußte man anscheinend denn doch konstatieren. Deshalb wurde 2006 vermutlich auch nicht ein einziges Menschenrechtsprojekt in den Golfstaaten gefördert. Hingegen stellt die EU in bezug auf Venezuela »mit Besorgnis fest, daß es Anzeichen einer autoritären Staatsführung« gebe, muß allerdings feststellen, daß »Venezuela alle wichtigen internationalen Übereinkommen ratifiziert und die grundlegenden Menschenrechte in seiner Verfassung verankert hat«. Dies rechtfertigt augenscheinlich, daß Venezuela neben der Ukraine und Rußland zu einem der Schwerpunkte der EU-Förderung für Menschenrechtsorganisationen im Jahr 2006 wurde.

Mit keinem Wort werden im Bericht völkerrechtswidrige Kriege und die Tötung von Zivilisten in Afghanistan und Irak erwähnt. Hinweise auf Menschenrechtsverletzungen oder gar einen Verweis auf die Beteiligung von EU-Mitgliedsstaaten an denselben sucht man vergeblich, geschweige denn konkrete Maßnahmen, um hier Abhilfe zu leisten. Die Wörter »Hunger«, »Nahrung«, »Arbeit« und »Wohnung« sind im Bericht praktisch nicht existent. Vor diesem Hintergrund nimmt sich der einzige Verweis im Jahresbericht auf soziale Rechte doppelt zynisch aus: »Ende März 2006 nahm die Kommission eine Mitteilung mit folgendem Titel an: Umsetzung der Partnerschaft für Wachstum und Beschäftigung: ›Europa soll auf dem Gebiet der sozialen Verantwortung der Unternehmen führend werden.‹« Im Anschluß wird gleich klargestellt, was dies bedeutet, offenbar um möglichen Mißverständnisse vorzubeugen, dies impliziere rechtliche Regelungen in der EU: »Soziale Verantwortung der Unternehmen ist ein Konzept, wonach Unternehmen auf freiwilliger Basis bei ihrer Geschäftstätigkeit und in ihrer Interaktion mit ihren Aktionären soziale und ökonomische Belange berücksichtigen.« 

Venezuela ist ein klassisches Beispiel für das arbeitsteilige Vorgehen von USA und EU. Gravierendster Unterschied zu den USA war bisher, daß diese tendenziell die offen auf einen Regierungswechsel gerichteten Organisationen finanzierten, während die EU hier einer vorsichtigeren Praxis anhing. So wurde Súmate, eine der wichtigsten Organisationen, die hinter dem Abwahlreferendum gegen den Präsidenten Hugo Chávez vom 15. August 2004 standen, massiv vom NED gefördert. Súmate erhielt für die logistische Organisation der Sammelung der für die Abhaltung eines Referendums erforderlichen zweieinhalb Millionen Stimmen 54000 Dollar von der NED und weitere 85000 Dollar von der US Agency for International Development (USAID, US-Behörde für internationale Entwicklung). 2005 wurden noch einmal 107000 Dollar vom NED für Súmate bewilligt, u.a., »um Bürger über das Wahlgesetz aufzuklären« (vgl. www.ned.org/grants/05programs/grants-lac05.html). Im Putschjahr 2002 hatte das NED der rechten venezolanischen Opposition bereits fast 900000 Dollar überreicht (vgl. New York Times v. 16./17.3.2002). In der jetzigen Situation um die Auseinandersetzung wegen der Nichtverlängerung der terrestrischen Lizenz für den venezolanischen Privatfernsehsender RCTV, erfüllen auch von der EU geförderte Menschenrechtsorganisationen planmäßig ihre Funktion und prangern die Nichtverlängerung der Lizenz als Angriff auf die Presse- und Meinungsfreiheit an. Erklärungen hingegen, die sich gegen private Monopole im Medienbereich und ihre negativen Auswirkungen auf die Presse- und Meinungsfreiheit richten, finden sich bei diesen Organisationen nicht, geschweige denn gar ein Hinweis auf die Medienlandschaft Venezuelas, die auch ohne RCTV von oppositionellen Medien dominiert wird. Das legt die Vermutung nahe, daß es nicht um Meinungsfreiheit, sondern einzig darum geht, die Regierung Hugo Chávez anzugreifen. Die Menschenrechtspolitik der EU dient auf diese Art und Weise dazu, die Regime-Change-Politik der USA zu flankieren. Mit der Generalermächtigung des neuen Menschenrechtsinstruments kann die EU nach dem Vorbild der USA zudem viel offener Organisationen aufbauen und fördern, die es sich zum Ziel gesetzt haben, die Regierung des jeweiligen Landes zu stürzen, auch in Venezuela.


Militärischer Eingriff einkalkuliert

Das Menschenrechtsinstrument ist erklärter Teil der »Gemeinsamen Außen- und Sicherheitspolitik« der EU. Dies machte die verantwortliche EU-Außenkommissarin Benita Ferrero-Waldner in ihrer Rede »Europäische Politik mit Werten – Menschenrechte als integraler Bestandteil der Politik der Union« am 24. Mai 2007 vor dem Zentrum für Europäisches Recht und Politik in Graz überdeutlich: »Menschenrechte spielen heute eine immer wichtigere Rolle in allen Facetten der Außenpolitik.« Welche Entwicklung aber die radikale Aufstockung der Mittel um 50 Prozent gegenüber dem Vorläufer des Finanzinstruments auf 150 Millionen Euro im Jahr 2006 rechtfertigt, darüber schweigt sich die EU-Außenbeauftragte aus. Dagegen wird ganz offen eingestanden, daß mit diesem Instrument erstmals ohne jede Beteiligung der betroffenen Regierungen an die dortigen Staatsangehörigen herangetreten werden kann: »Die Umsetzung unserer Menschenrechtspolitik und solcher Projekte erfolgt durch Nichtregierungsorganisationen. Daher ist das Besondere an unserem neuen Instrument, daß wir direkt und autonom die Zivilgesellschaft und ihre Organisationen unterstützen können, die einen großen Erfahrungsschatz bei der Durchführung vor Ort besitzen«, so Ferrero-Waldner. Und warum man beim europäischen Werteexport auf die internationale Kooperation angewiesen ist, daran ließ die EU-Außenbeaufragte keinen Zweifel: »Wir können diese Werte aber nicht alleine auf der Welt promovieren (vorwärtsbringen – d. Red.), sonst würden sie ja auch oft als ›Neokolonialismus‹ von einigen abgelehnt. Es handelt sich um universelle Werte, die wir mit internationalen Partnern gemeinsam vorantreiben.«

Den Staaten, die keine Einsicht in die neue Menschenrechtspolitik der EU zeigen, wird dann gleich mit militärischer Intervention gedroht. Die in der UN-Charta geschützte Souveränität der Staaten hat für die EU-Repräsentantin ihre Gültigkeit verloren: »Einen neuen Ansatz auf internationaler Ebene gibt es durch das Konzept der ›Responsibility to Protect‹ (Verantwortung zum Schutz – d. Red.), eines der wichtigsten Ergebnisse des UN-Gipfels von 2005. Was heißt das? Souveränität wird erstmals als konkrete Verantwortung von Staaten definiert, ihre Bürger vor schweren Menschenrechtsverletzungen zu schützen. Wenn ein Staat aber außerstande oder unwillig ist, seine Bürger davor zu beschützen, dann liegt eine Verantwortung auch bei der internationalen Staatengemeinschaft. Primär geht es da um den Einsatz friedlicher Mittel, eine humanitäre militärische Intervention kann immer nur ›last resort‹ (letzter Ausweg – d. Red.) sein.« Hinter den Menschenrechtsinterventionen lauert also immer die militärische Drohung der EU. Die Verknüpfung des Menschenrechtsinstruments mit der Sicherheits- und Militärpolitik spricht in diesem Zusammenhang Bände. Ferrero-Waldner will zudem die neuen finanziellen Möglichkeiten auch zur Begleitung von EU-Krisenmanagement, sprich EU-Kriegen, nutzen. Um diese Möglichkeiten effektiv umsetzen zu können, soll die gesamte Entscheidungskompetenz, wie im EU-Verfassungsvertrag vorgesehen, gebündelt werden. Dazu braucht Ferrero-Waldner unbedingt die Installation des Postens eines EU-Außenministers – im neuen Reformvertrag soll er wieder Außenbeauftragter heißen –, der die bisherigen Kompetenzen von EU-Kommission und EU-Rat bei sich vereint, um den Druck auf Staaten, die Menschrechte verletzen, zu verstärken: »Für uns kann aus solchen Fällen nur der Schluß gezogen werden, daß wir die Europäische Union als ganzes stärken müssen, um den Druck auf Staaten, die Menschenrechte verletzen, zu erhöhen. Dies verlangt aber auch eine Stärkung der gemeinsamen Außen- und Sicherheitspolitik und somit auch eine Erleichterung der Entscheidungsfindung. Zudem würde ein EU-Außenminister mit einem Standbein im Rat und einem in der Kommission mehr Kohärenz und Effektivität in die Menschenrechtspolitik bringen, wie er im Verfassungsvertrag grundsätzlich vorgesehen wäre.«

Mit dem »Finanzierungsinstrument für Demokratie und Menschenrechte« beschreitet die EU den Weg einer imperialen Menschenrechtspolitik. Es ist ein Programm, das nicht nur dazu angelegt ist, international Spannungen zu verschärfen, sondern auch einen offenen Angriff auf die UN-Charta darstellt. Das EU-Menschenrechtsprogramm ist jedenfalls nicht dazu angehalten »freundschaftliche, auf der Achtung vor dem Grundsatz der Gleichberechtigung und Selbstbestimmung der Völker beruhende Beziehungen zwischen den Nationen zu entwickeln« (UN-Charta Artikel 1 Absatz 2).


* Martin Hantke ist wissenschaftlicher Mitarbeiter im Büro Tobias Pflüger (MdEP) in Strasbourg und Mitglied des EU-kritischen Netzwerks europeanwatch


=== 2 ===


TELEPOLIS
 

Die Coca-Cola - Revolutionäre


Harald Neuber 25.06.2005


Von Osteuropa bis Asien organisieren sich junge Politaktivisten, um für Demokratie zu kämpfen. Aber wer profitiert von ihrem Einsatz?


Sie heißen Otpor, Pora, Kmara oder Yokh – in ganz Osteuropa haben sich neue politische Jugendorganisationen den Kampf für Demokratie auf die Fahnen geschrieben. Anfang Juni trafen sich diese Aktivisten erstmals in der albanischen Hauptstadt Tirana, um ihre Erfahrungen aus der politischen Arbeit auszutauschen. Eingeladen hatte die albanische Bewegung MJAFT (1) (Genug). Ian Traynor, ein Mitarbeiter der britischen Tageszeitung The Guardian, verfolgte das Ereignis und lieferte einen ersten umfassenden Bericht (2) über eine Politbewegung, deren Finanzquellen mindestens ebenso unklar ist wie ihre Ziele.


The activists danced, drank and then got up in the morning for earnest arguments about "knowledge proliferation", "flash mobs", Foucault, the value of logos and corporate branding, political marketing, the meaning of politics and how to maximise subversive impact.
Ian Traynor im Guardian

Ursprung in Serbien

Den Anfang (3) machte Otpor (4) (Widerstand). 1998 von einer Handvoll Studenten in Belgrad gegründet, entwickelte sich die Gruppe binnen kürzester Zeit zur Massenorganisation. Den Höhepunkt erreichte Otpor im Oktober 2000 mit dem Sturz des Machthabers Slobodan Milosevic ( Ein revolutionärer Nachtmittag in Belgrad (5)), damals hatte die Organisation nach eigenen Angaben 17.000 Mitglieder und war eine der wichtigsten Gruppen der serbischen Opposition.

Dieser Erfolg kam nicht aus heiterem Himmel. Politische Gegner warfen Otpor schon damals vor, aus dem Westen enorme Geldsummen erhalten zu haben. Tatsächlich ist inzwischen bewiesen, dass die ehemalige Studentengruppe mit ausländischer Unterstützung systematisch aufgebaut wurde. Einen entscheidenden Anteil daran hatte der US-amerikanische Multimillionär George Soros und seine Organisation Open Society (6).

Erstaunlich offen berichtete (7) Radio Free Europa/Radio Liberty Mitte April über die politischen Interessen hinter dieser Finanzierung. Als sich Ende der neunziger Jahre die Oppositionsbewegung gegen Slobodan Milosevic gebildet hatte, wollten westliche Akteure eine direkte Finanzierung dieser Gruppen vermeiden, ohne die Kontrolle über das Geschehen aufzugeben. In der damals marginalen Studentengruppe Otpor fand man das ideale Instrument.

Nach Angaben der Buchautoren Peter Ackermann und Jack Duvall finanzierte die US-Entwicklungsbehörde USAID den Löwenanteil des politischen Merchendisings; T-Shirts, Sticker und Poster. Allein im Jahr 2000 flossen den offiziellen Angaben zufolge 282.000 US-Dollar an Otpor, schreiben Ackermann und Duvall in Ihren Buch "A Force More Powerful: A Century of Nonviolent Conflict". Noch einmal 74.735 US-Dollar erhielt das International Republican Institute (8) von USAID, um die Otpor-Zentrale in Belgrad aufzubauen. Im Oktober jenes Jahres wurde Milosevic gestürzt. Seither ist die Organisation aus dem Straßenbild Serbiens verschwunden – um nun in anderen "Revolutionen" in Georgien, in der Ukraine oder zuletzt in Kirgisien in Erscheinung zu treten.


Regierungen zunehmend argwöhnisch

Die Verbindungen oppositioneller Jugendorganisationen zu westlichen Geldgebern ist den Regierungen dieser Länder nicht entgangen. Noch im September 2003, zwei Monate vor seinem Sturz, protestierte der damalige georgische Präsident Eduard Schewadnadse gegen die "ausländische Finanzierung" von oppositionellen Gruppen. Auch dabei fiel der Name der Soros-Organisation Open Society. Nach dem Regierungswechsel in Tbilissi ( Samtene Revolution in Georgien (9)) berichtete die Tageszeitung Novye izvestia, dass die politische Jugendorganisation Kmara fünf Millionen US-Dollar von Open Society erhalten habe. Soros persönlich dementierte die Anschuldigungen, und die Sache konnte nie abschließend geklärt werden.

Klarer war der Fall jedoch in der Ukraine, wo die Jugendorganisation Pora (10) eine führende Rolle in der "orangenen Revolution" innehatte. Vor dem Aufflammen der Oppositionsbewegung hatte der National Endowment for Democracy 240.000 US-Dollar freigegeben, "um die ukrainische Jugend zu einer stärkeren politischen Teilhabe" zu bewegen ( US-Werbeagentur will mit einer Website eine entscheidende Rolle in der "orangenen Revolution" gespielt haben (11)).

Das geschieht mit einfachen Werbemitteln und Logos, die auf den Wiedererkennungswert setzen. Otpor etwa hat eine geballte Faust zum Symbol, die im Jahr 2000 überall in Belgrad zu sehen war. Auch das Internet wird genutzt, um sich auszutauschen. Ivan Marovic, ein Veteran des Otpor, entwickelte zusammen mit US-Aktivisten zuletzt ein Computerspiel unter dem Namen "A Force More Powerful". Ziel darin ist es, unliebsame Regime zu stürze. Über die eigene Arbeit sagt Marovic: "Die Bewegung muss eine Marketingabteilung haben. (Die Marke) Coca Cola dient uns da als Vorbild."


Debatte um US-Finanzierung

Bei dem Treffen der Gruppen in Tirana Anfang des Monats wurde diese Finanzierung kritisiert. So halten Aktivisten aus Staaten wie Usbekistan ( Der Fall Usbekistan (12)) und Aserbaidschan weit weniger von den USA als ihre vermeintlichen Mitstreiter aus Serbien und der Ukraine. Immerhin stützen westliche Regierungen die Regime in Taschkent und Baku ( Die längste Schlange der Welt (13)), selbst wenn diese Massaker an der Opposition begehen ( Der Fall Usbekistan (14)). "Auch nach 13-jähriger Diktatur wollen die USA eben keine Revolution in Aserbaidschan", bestätigte Razi Nurullayev, ein Studentenaktivist aus Baku, dem Guardian.

Nurullayev, der die Organisation Yokh (Nein) gegründet hat, wandte sich nach eigenen Angaben an den US-Botschafter in Aserbaidschan – um danach nie wieder etwas von ihm zu hören. Das mag der Vorsicht im Westen geschuldet sein, denn eine direkte Unterstützung der Oppositionsbewegungen nach dem serbischen Vorbild ist in Anbetracht aufmerksamer Sicherheitsorgane kaum mehr möglich. Diese Rolle übernimmt nun Otpor unter dem Deckmantel der "zivilgesellschaftlichen Kooperation". Schließlich trafen sich führende Aktivisten dieser Gruppe vor der "orangenen Revolution" auch mit Vertretern der Opposition in der Ukraine.

Die Arbeit wird ihnen nicht ausgehen. In Usbekistan soll demnächst eine neue Gruppe mit dem Namen Bolga (Hammer) gegründet werden. Und auch in Belarus formiert sich die Opposition gegen Staatschef Alexander Lukaschenko. Sollte dieser bei den kommenden Präsidentschaftswahlen 2006 wiedergewählt werden, droht das größte Oppositionsbündnis Europäische Koalition Freies Belarus bereits jetzt mit einer "blauen Revolution", benannt nach ihrem Symbol: einer blauen Kornblume.


Links

(1) http://www.mjaft.org/en/index1.htm
(2) http://www.guardian.co.uk/international/story/0,,1499871,00.html
(3) http://www.pbs.org/weta/dictator/otpor
(4) http://www.otpor.com/
(5) http://www.heise.de/tp/r4/artikel/8/8908/1.html
(6) http://www.soros.org
(7) http://www.rferl.org/featuresarticle/2005/04/47268268-9e3d-414a-928d-435ff4de8af2.html
(8) http://www.iri.org
(9) http://www.heise.de/tp/r4/artikel/16/16152/1.html
(10) http://pora.org.ua/en/
(11) http://www.heise.de/tp/r4/artikel/19/19459/1.html
(12) http://www.heise.de/tp/r4/artikel/20/20318/1.html
(13) http://www.heise.de/tp/r4/artikel/20/20199/1.html
(14) http://www.heise.de/tp/r4/artikel/20/20318/1.html

Telepolis Artikel-URL: http://www.heise.de/tp/r4/artikel/20/20387/1.html

Copyright © Heise Zeitschriften Verlag




Informiamo gli iscritti a JUGOINFO che la newsletter subirà due
interruzioni nel periodo estivo: la prima per tutta la prossima
settimana, e la seconda attorno alla metà di agosto. Auguriamo una
estate serena.


We inform all JUGOINFO subscribers that this newsletter will have two
stops during the summer: it will be suspended first all through next
week, and again around mid august. We wish everybody a pleasant summer.


DANAS

Dernière valse à Sarajevo, le « dernier film yougoslave »

TRADUIT PAR PERSA ALIGRUDIC
Publié dans la presse : 14 juin 2007
Mise en ligne : mercredi 4 juillet 2007

Le film de Nikola Stojanovic, tourné en 1990 et interrompu par l’éclatement de la Yougoslavie, retrace l’histoire de Sarajevo à la veille de la Première Guerre mondiale et de l’attentat contre François-Ferdinand. Un film prémonitoire sur la fin d’une époque et sur l’histoire cinématographique de la Bosnie-Herzégovine, projeté enfin, dix-sept ans après son tournage et de nombreuses péripéties.

Par Nenad Kovacevic


A Uzice, le film Belle époque ou Dernière valse à Sarajevo (Poslednji valcer u Sarajevu), scénarisé et réalisé par Nikola Stojanovic, a été projeté pour la première fois en Serbie, dix-sept ans après son tournage, le vendredi 15 juin 2007 dans la nouvelle salle de cinéma de la ville. Le film retrace la fin d’une période appelée en Europe la « Belle époque ». L’action se déroule donc entre 1910 et 1914, à la veille de l’attentat de Sarajevo et de la Première Guerre mondiale. Et il a été tourné lors d’une autre Belle époque, celle qui précède l’éclatement de l’ex-Yougoslavie.

La projection du film était réservée à l’équipe du tournage, aux acteurs et à ceux qui ont permis que le film puisse voir le jour. La première du film a été projetée à Uzice car la compagnie de production Maja Film se situe dans cette ville.

Ce long métrage présente des passages du début du XXe siècle sur la question yougoslave. Un de ces passages montre les Serbes, les Croates et les Musulmans manifester ensemble contre l’Autriche-Hongrie, en chantant l’hymne « Hej Sloveni » et en faisant flotter le drapeau yougoslave...

Dernière valse à Sarajevo retrace l’histoire de Sarajevo à la veille de la Première Guerre mondiale et de l’attentat contre François-Ferdinand. On y voit aussi l’histoire cinématographique du pays à travers la vie de l’un de ses premiers metteurs en scène, Anton Valic, qui, avec sa caméra, a pu filmer l’attentat du 28 juin 1914. Le destin du film se lie au destin du pays dans lequel il fut tourné. Ce projet lancé au début des années 1990 a été entravé par l’éclatement de l’ex-Yougoslavie. C’est pourquoi il n’est projeté qu’aujourd’hui.

Nikola Stojanovic, le scénariste du film, a gagné en 1989 le Concours du Fonds pour le cinéma de Bosnie-Herzégovine pour un scénario d’une qualité exceptionnelle. L’équipe d’acteurs venant de Sarajevo, Zagreb, Ljubljana, Paris et Varsovie, a participé au tournage en 1990 en un temps record de 42 jours. Le montage du film et de la série télévisée a débuté l’année suivante, mais le travail a été interrompu par la guerre.

« J’ai trouvé le sujet du film en m’inspirant de la période de turbulences de 1910 à 1914 que l’on appelait en Europe la « Belle époque ». J’ai fait des recherches sur cette période historique pendant deux ans, même si le plan historique n’allait me servir que de fond dramatique me permettant d’exprimer la dichotomie entre les valeurs spirituelles et matérielles au sein de la société. Le sujet du film fait inévitablement référence à la période 1945-1990, il transcrit aussi la crainte d’assister à une nouvelle catastrophe dont Sarajevo serait l’épicentre. Le film n’aborde pas pour autant des thèmes comme la rhétorique politique, l’enchère ou l’arbitraire », explique Nikola Stojanovic.

Mihailo Todorovic, producteur de la compagnie Maja Film à Uzice, grâce à qui le film a pu être achevé, affirme qu’une somme d’environ 1.250.000 euros a été utilisée pour venir au bout de ce projet. Il ajoute que lors du siège de Sarajevo, « le matériel a failli être détruit ». « Les négatifs étaient à la compagnie Jadran Film à Zagreb, alors que le matériel de travail pour le montage utilisé avant la guerre se trouvait à Bosna Film à Sarajevo. Le producteur Bakir Tanovic a décidé de protéger le matériel chez lui. Cela n’a pas empêché le matériel d’être gravement endommagé », explique Todorovic. « Nos efforts surhumains nous ont permis de sauvegarder une œuvre artistique alors que tout le monde y avait renoncé, je veux parler des institutions culturelles des ex-républiques yougoslaves qui avaient participé à l’origine du projet », affirme le producteur.

L’équipe du film a fui Sarajevo au début de la guerre. « Notre première tentative de terminer le film en 1999 a échoué car l’opinion publique bosnienne nous accusait de ’nationalisme serbe’ », explique Todorovic. Le public serbe et croate interprétait mal le film et ce n’est qu’en 2003, après avoir rétabli les rapports culturels, que la réalisation du projet a pu reprendre avec le soutien de certains acteurs du cinéma.

Lors de la projection à Uzice, auteurs et artistes de différentes régions de l’ex-Yougoslavie se sont rassemblés pour assister à la séance du dernier film yougoslave. Nikola Stojanovic, scénariste et metteur en scène, est arrivé de Belgrade, le producteur Bakir Tanovic de Sarajevo, mais aussi les acteurs Davor Janjic, Petar Bozovic, Radmila Zivkovic, Boro Stjepanovic, Mira Banjac, Nebojsa Kundacina, Tatjana Pujin... Les rôles ont été distribués aussi à Vita Mavric, Alain Nouri, Senad Basic, Slobodan Ustic, Filip Sovagovic, Zvonko Lepetic, Rade Markovic, Davor Dujmovic, Snezana Martinovic, Haris Burina. On a pu voir aussi Arsen Dedic qui a composé la musique, Radosav Vladic, directeur de photographie, Miodrag Nikolic, scénographe, et Petar Putnikovic qui s’est occupé du montage.

« Mes amis, mes collègues, qui s’étaient dispersés, sont aujourd’hui réunis. Je suis heureuse de pouvoir vous rencontrer après ces nombreuses années de travail. A l’époque je n’imaginais pas que nous tournions un film sur la fin d’une époque au moment de la fin d’une autre époque. Je sais seulement que j’ai eu un immense plaisir à jouer dans ce film et que pour moi ce fut une époque forte de l’art », exprime l’actrice Mira Banjac après la projection du film qu’elle voyait pour la première fois. « Ce soir j’ai ressenti un véritable concert d’émotions. Tant d’années se sont écoulées depuis le tournage... Nous sommes nostalgiques et c’est assez douloureux de se remémorer tous ces souvenirs », nous a confié Nebojsa Kundacina.

La première officielle du film aura lieu au début du mois de juillet au Festival du film de Novi Sad puis en autonome il sera consécutivement diffusé à Belgrade, Sarajevo, Zagreb et Ljubljana.

Joie, douleur, tristesse...

« Ce film à été tourné lors d’une époque merveilleuse et maintenant je ne sais plus comment m’en rappeler : avec joie, douleur ou tristesse ? Ce film va être diffusé à Zagreb, Belgrade, Sarajevo dix-sept ans après que tout se soit écroulé, et la seule conclusion que l’on puisse en tirer est que l’art a, une nouvelle fois, surpassé la politique. Je regrette seulement que ceux qui nous dirigent et décident de notre destin ne comprendront pas que nous n’avons pas besoin d’eux pour nous réunir. » Ce sont les mots de l’acteur Petar Bozovic qui tient le rôle d’un capitaine autrichien à Sarajevo.




( The original text, in english:
CounterPunch - Weekend Edition - June 4, 2007
Bernard Kouchner: Media Doc of "Humanitarian Intervention"
Sarko and the Ghosts of May 1968
By DIANA JOHNSTONE


CounterPunch – Weekend Edition – 4 giugno 2007

BERNARD KOUCHNER: Il dottore mediatico dell’”Intervento Umanitario”

 

SARKO E I FANTASMI DEL MAGGIO 1968

di Diana Johnstone

Parigi.

Nell’ultimo e più importante discorso della sua vincente campagna presidenziale, Nicolas Sarkozy ha scagliato un bizzarro attacco contro il Maggio del 1968. “Il maggio 1968 ha imposto a tutti noi un relativismo morale e intellettuale” ha dichiarato. Gli eredi del maggio ’68 hanno imposto l’idea che non esisteva più alcuna differenza tra il bene e il male, la verità e la falsità, la bellezza e la bruttezza. “L’eredità del maggio 1968 ha introdotto il cinismo nella società e nella politica.”

Sarkozy ha persino incolpato il Maggio ’68 dell’immoralità del mondo degli affari: il culto del denaro, il profitto a breve termine, la speculazione, gli abusi del capitalismo finanziario. L’attacco del Maggio ’68 alle questioni etiche ha aiutato “a indebolire la moralità del capitalismo, a preparare il terreno per il capitalismo senza scrupoli dei paracadute d’oro per i boss canaglia.”

Questo vuol dire che il nuovo presidente pensa di riportare la Francia a quel passato noioso e moralmente primitivo antecedente al Maggio ’68? Certamente no. Nicolas Sarkozy, che nel maggio del ’68 era un adolescente apolitico e tv-dipendente e che viveva in un ambiente borghese atterrito dai disordini per le strade, è lui stesso un erede esemplare di quell’ambiguo Maggio ’68 che ha castigato nella sua diatriba elettorale.

Il Maggio del ’68 in Francia fu un’esplosione sociale che trascinò il paese in una versione specifica della fase contemporanea dello sviluppo occidentale. Qualunque fossero le diverse intenzioni e illusioni dei suoi partecipanti, l’aspetto più straordinario del Maggio ’68 fu la sua stessa immagine riflessa nei media. La lezione più possente fu lo straordinario potere delle immagini nei media. Nessuno ha assorbito quella lezione in modo più profondo e vantaggioso di Nicolas Sarkozy.

La più fondamentale delle molte contraddizioni che hanno attraversato la rivolta del Maggio ’68 francese vedeva opposto il disciplinato Partito Comunista agli studenti radicali. La scoperta da parte degli studenti di un loro potere di scuotere le strutture dello stato creò la diffusa illusione  di un’imminente rivoluzione. Con sette milioni di lavoratori in sciopero, il Partito Comunista usò la sua influenza per condurre il massiccio sciopero dei lavoratori ad un accordo di compromesso con il governo de Gaulle in preda al panico. Che una sua propria rivoluzione fosse o meno una fantasia, la generazione del Maggio ’68 incolpò i comunisti di averla tradita accettando dei semplici aumenti di salario e benefici sindacali. Come risultato, l’anti-comunismo è una parte significativa dell’eredità ideologica della generazione del Maggio ’68.

Un elemento serio del movimento radicale cercò di portare la rivoluzione nelle fabbriche. Un elemento più vincente arrivò ai media. La “rivoluzione” spostò il suo centro di gravità dalla classe operaia e dalla liberazione del terzo mondo agli argomenti più personali e medio-borghesi della “nuova sinistra”, concentrata sulla libertà sessuale, la politica dell’identità, l’ecologia e i diritti umani.

La nuova Destra prende il controllo della vecchia Nuova sinistra

Nei primi giorni come presidente della Francia, Nicolas Sarkozy ha dimostrato che i valori della nuova sinistra sono perfettamente compatibili con la destra moderna. Sarkozy ha arraffato quei “valori” e se li è portati via.

* Parità tra uomo e donna. Sarkozy ha messo insieme un governo con otto ministri maschi e sette ministri femmina. Le donne occupano i due maggiori ministeri che trattano di ordine e legalità: la Giustizia e gli Interni. In occidente, non c’è più nessuna vera differenza tra sinistra e destra quando si tratta dell’uguaglianza delle donne.

* Uguaglianza etnica e razziale. Sarkozy ha nominato Ministro della Giustizia Rachida Dati, figlia quarantunenne di immigrati nordafricani. Ciò è in linea con il suo dichiarato desiderio di adottare una politica di “discriminazione positiva” a favore delle minoranze etniche, sul modello dell’azione affermativa degli Stati uniti. Il padre di Dati era un operaio di fabbrica immigrato dal Marocco e sua madre è algerina. Questa fotogenica signora sarà incaricata di portare a compimento il programma giudiziario di Sarkozy, inteso a colpire anche più duramente la criminalità giovanile nelle banlieues da cui la donna proviene. 

* Ecologia. L’ambiente è stato promosso da ministero minore con scarsi fondi a un livello più elevato: un nuovo Ministero dell’Ecologia e dello Sviluppo sostenibile retto dall’ex primo ministro Alain Juppé. Ciò può aver inflitto il colpo di grazia al Partito verde francese, les Verts, già alle corde dopo una miserabile esibizione nel primo round delle elezioni presidenziali. La consapevolezza universale del riscaldamento globale e dei suoi supposti pericoli, anziché rafforzare i Verdi gli ha strappato il tappeto da sotto i piedi, almeno per adesso. Il nuovo governo adotterà misure fiscali eco-tollerabili nella speranza di stimolare un nuovo ciclo economico, in contrasto con i progetti “verdi” restrittivi, spesso dipinti come anti-crescita e che dunque implicano un impopolare abbassamento dello stile di vita.

* Diritti umani. Questo è di gran lunga il più ambiguo e pericoloso dei “valori” che Sarkozy ha prelevato dalla sinistra post-economica. Scegliendo Bernard Kouchner come ministro degli Esteri, Sarkozy ha demolito il “realismo” a favore dell’”intervento umanitario” come base della politica estera francese.

La bella notizia è che il mondo è cambiato, così che persino la destra abbraccia tali cause progressiste.

La brutta notizia è che valori universalmente accettati possono, per loro stessa natura, essere usati per un’ampia gamma di scopi, anche come pretesti per l’oppressione e la guerra.

Kouchner: dalla medicina ai media

Presentare la nomina di Kouchner come una generosa “apertura a sinistra” è lo scherzo più amaro che Sarkozy ha giocato finora al Partito Socialista. Se il Partito Socialista è in imbarazzo, deve solo incolpare se stesso. Vista la fama di Kouchner nei media, i socialisti gli hanno lasciato usare il partito per avanzare nella carriera, anche se il suo “socialismo” consisteva nell’avvisarli di mollare completamente il socialismo, e una volta arrivato al Parlamento europeo con un biglietto socialista si è unito a un altro gruppo, i Radicali di Sinistra.

Kouchner non è “passato alla destra”: era già lì da circa tre decadi, ma il Partito Socialista era troppo opportunista per prestare attenzione. Il Maggio 1968 fu probabilmente l’ultima volta che Kouchner fu veramente a sinistra, ma da allora ha vissuto sugli allori, come socio fondatore dell’elite mediatica conosciuta come “il caviale di sinistra”.

Nel maggio del 1968, Kouchner si tuffò nella mischia politica come capo dello sciopero alla facoltà di Medicina dell’università di Parigi. La sua opposizione al sistema non durò a lungo. Quattro mesi più tardi, si unì a un’equipe medica organizzata dal governo francese per fornire aiuti umanitari alla neonata repubblica secessionista del Biafra. Questa missione medica era il lato umanitario di un intervento segreto della Francia che forniva anche aiuti miliari ai ribelli del Biafra, la cui regione scissionista nel sudest della Nigeria, guarda caso, includeva i vasti giacimenti petroliferi del paese.

Nel maggio del 1967, a seguito dell’escalation del conflitto tra gli ufficiali dell’esercito nigeriano appartenenti al gruppo etnico dell’Igbo Cristiano (o Ibo) e gli Hausas musulmani, i capi dell’Igbo proclamarono la loro Repubblica indipendente del Biafra. Ne derivò una sanguinosa guerra civile. Il Biafra ricevette aiuti segreti – militari e non solo - dalla Francia, dal Sud Africa, dal Portogallo e da Israele. Armato dalla Gran Bretagna e dall’Unione Sovietica, l’esercito nigeriano riuscì a imporre un blocco economico per affamare il Biafra e indurlo alla sottomissione. Nel gennaio del 1970, crollò la resistenza dell’Igbo e la regione ricca di petrolio fu rincorporata nella Nigeria.

Kouchner passò rapidamente dalla medicina alla propaganda. Tornato a Parigi nel 1969, collaborò con i servizi segreti francesi per fondare un Comitato contro “il genocidio in Biafra”. I civili del Biafra soffrirono certamente una fame terribile, ma l’uso del termine “genocidio” serve allo scopo politico di dipingere un conflitto per il controllo del territorio come l’attacco unilaterale per lo sterminio di una popolazione.

L’uso di missioni umanitarie per stimolare la solidarietà internazionale verso una sola parte dei belligeranti segnò una grossa frattura nella tradizione della Croce Rossa Internazionale di mantenere la stretta neutralità nei conflitti, necessaria per ottenere l’accesso alle zone di guerra. Nel dicembre del 1971, tredici dottori che avevano lavorato in  Biafra si staccarono dalla Croce Rossa per costituire Médecins sans Frontières (MSF, Medici senza Frontiere). Kouchner fu uno dei fondatori che, da allora in poi, si dedicò più assiduamente all’aspetto pubblicitario.

All’inizio, per via dei paragoni con il genocidio nazista della Seconda guerra mondiale, questo nuovo approccio fu accolto come più etico rispetto alla vecchia discrezione della Croce Rossa. Il guaio è che si basa su due presupposti discutibili. Primo, il presupposto che in ogni conflitto c’è un lato “buono” costituito dalle vittime e un lato “cattivo” che le vuole uccidere tutte. E secondo, che l’intervento occidentale, stimolato dai media, può risolvere questi problemi con la forza. A poco a poco, la scuola di pensiero “realistica” che solleva dubbi su questi presupposti è stata screditata come immorale.

La tragedia del Biafra ha stabilito un modello. Una o più potenze occidentali spalleggiano la secessione di una minoranza. Il regime esistente colpisce brutalmente i ribelli, ancor di più perché sospetta i fiancheggiatori occidentali di voler sfruttare la ribellione allo scopo di strappare territorio e risorse per i propri interessi. Gli operatori umanitari suonano l’allarme e i fotografi inviano ai media immagini strappalacrime di sofferenza umana. Gli umanitari occidentali descrivono la tragedia come “genocidio” e chiedono l’intervento militare. Che l’intervento arrivi o meno, le popolazioni coinvolte continuano ad essere vittime dell’odio reciproco, che è intensificato dalla drammatizzazione dei media.

Per tutti gli anni Settanta, una decade durante la quale si consumò un assortimento di gruppetti dell’estrema sinistra, preparando la strada all’offensiva anticomunista guidata dai “nuovi filosofi”, Kouchner scoprì l’utilità politica del giornalismo catastrofico. Il culmine si ebbe nel 1979, quando si unì ai nuovi filosofi in un gesto apparentemente umanitario, “una barca per il Vietnam”. Richiamando l’attenzione dei media sulla condizione dei “boat people” vietnamiti che abbandonavano la miseria economica del loro paese devastato dalla guerra, gli umanitari francesi non apportarono alcun contributo significativo al benessere dei vietnamiti sofferenti. Tuttavia, avevano trovato un modo accettabile per denunciare quello che chiamarono “il gulag vietnamita”, deviando così la solidarietà dal movimento di liberazione vietnamita che aveva conquistato una quasi universale ammirazione durante la sua resistenza alla guerra degli Stati uniti. Ignorando il fattore della privazione economica causata da anni di bombardamenti USA, il gesto fu un passo significativo nel ridefinire “la sinistra”come impegnata, in modo esclusivo e militante, nei “diritti umani”, a prescindere dal contesto. Non è certo un caso che questo coincise con la campagna per i “diritti umani” condotta dal presidente Carter e Zbigniew Brzezinski per recuperare la posizione morale degli USA dopo il disastro vietnamita.

A quel punto, lo sfruttamento da parte di Kouchner del suo ruolo di co-fondatore di Médecins sans Frontières come credenziale umanitaria per la sua propaganda aveva causato una profonda spaccatura all’interno dell’organizzazione. Kouchner lasciò MsF per creare un gruppo rivale, Médecins du Monde (MdM, Medici del mondo), che ha seguito la linea di Kouchner di abbracciare “l’intervento umanitario”, incluso l’intervento militare.

Nel gennaio e febbraio del 1993, Médecins du Monde spese circa due milioni di dollari in una campagna pubblicitaria, inclusi qualcosa come 300.000 manifesti e spot televisivi con le stelle del cinema Jane Birkin e Michel Piccoli, allo scopo di identificare il presidente serbo Slobodan Milosevic con Hitler e i campi di prigionia serbo-bosniaci con i campi di sterminio nazisti. (Vedi il mio libro “La crociata dei folli”, Monthly Review Press, p. 74).

Questa campagna pubblicitaria era zeppa di vere e proprie bugie. Ma, per Kouchner, lo zelo morale supera chiaramente la verità nella scala dei valori. L’idea originaria di etichettare i campi di prigionia temporanei serbo-bosniaci come equivalenti dei campi di sterminio nazisti venne dal capo dei musulmani bosniaci, Alija Izetbegovic. Nel 2003, Kouchner andò a trovare Izetbegovic sul letto di morte, dove ebbe luogo il seguente dialogo alla presenza di Richard Holbrooke (come raccontato da Kouchner nel suo “Les Guerriers de la Paix, Parigi, Grasset, 2004, pp. 373, 374).

Kouchner: “Ricorda la visita del presidente Mitterand? Nel corso di quella conversazione, lei parlò dell’esistenza di “campi di sterminio” in Bosnia. Lo ripetè anche davanti ai giornalisti. Ciò suscitò una profonda emozione in tutto il mondo. Francois mi mandò a Omarska e aprimmo altre prigioni. Erano posti orribili, ma le persone non venivano sterminate sistematicamente. Lo sapeva, questo?”

Izetbegovic: “Sì. Pensavo che le mie rivelazioni potessero accelerare i bombardamenti. Sì, ci ho provato, ma la dichiarazione era falsa. Non c’erano campi di sterminio, nonostante l’orrore di quei posti.”

Kouchner conclude: “La conversazione fu magnifica, quell’uomo in punto di morte non ci nascose nulla del suo ruolo storico. Richard ed io esprimemmo la nostra immensa ammirazione.”

Per Kouchner, il fatto che un “ruolo storico” sia basato sulla falsificazione suscita solo ammirazione. Le guerre jugoslave di disintegrazione furono l’occasione ideale per mettere in pratica quella che allora era diventata la sua dottrina di “intervento umanitario”. Questo coincise perfettamente col bisogno statunitense di fornire alla NATO una nuova dottrina post-guerra fredda, che consentiva all’alleanza militare di sopravvivere ed espandersi. La dottrina entrò in piena azione a marzo del 1999, quando la NATO iniziò i due mesi e mezzo di bombardamenti della Jugoslavia. Come ricompensa, Kouchner fu nominato Alto commissario delle Nazioni Unite, incaricato dell’amministrazione civile del Kosovo occupato (UNMIK). Come dittatore virtuale del Kosovo dal 2 luglio 1999 al gennaio del 2001, Kouchner dimostrò la natura del suo “umanitarismo”: ottenere favoritismi per le vittime designate dalla NATO, vale a dire, la maggioranza albanese, insieme a sporadici tentativi di usare il suo fascino per placare i rappresentanti dei Serbi assediati. Il risultato fu disastroso. Invece di promuovere la riconciliazione e la comprensione reciproca, egli permise che la provincia scivolasse ancor di più sotto il controllo di bande e banditi armati, che da allora hanno terrorizzato impunemente i non-albanesi.

Kouchner è un umanitario selettivo. Le vittime che suscitano la sua indignazione, guarda caso, riscuotono sempre il favore degli interessi imperialistici francesi o statunitensi: i biafrani, i vietnamiti non-comunisti, gli albanesi del Kosovo. Non si è mai entusiasmato così tanto per la condizione delle vittime in Nicaragua dei sabotaggi e degli omicidi dei Contras spalleggiati dagli USA negli anni Ottanta, né per la pulizia etnica subita dai Serbi e dai Rom in Kosovo dopo il suo arrivo, e ancor meno per le vittime palestinesi della pulizia etnica israeliana.

Neanche le vittime del duro governo militare in Birmania suscitano il suo zelo da crociato, almeno non nel 2003, quando fu pagato 25000 euro dalla compagnia petrolifera francese Total per redigere un rapporto sulle attività della Total in quella nazione. Le 19 pagine del rapporto, scritto dopo una breve visita guidata negli stabilimenti della Total, difendevano la costruzione di un gasdotto Total dalle accuse che la compagnia stava approfittandosi dell’uso governativo di manodopera schiavizzata nei progetti di costruzione. Ora, è anche possibile che la compagnia fosse innocente come affermava Kouchner, ma è certo che Kouchner non fu scelto per il suo rigore investigativo, quanto per la sua reputazione “umanitaria”.

Non desta stupore, dunque, che, dopo la sua nomina a Ministro degli Esteri, Médecins sans Frontières abbia pubblicamente invitato Kouchner a smetterla di usare il loro marchio come mezzo per stabilire le sue credenziali umanitarie. In realtà, Kouchner ha smesso da tempo di essere qualsiasi cosa, tranne un pubblicitario dell’intervento selettivo.

Un asse del bene franco-statunitense?

La prospettiva di questo mediocre cacciatore di pubblicità è allarmante quanto comica. Difficile capire se ridere o piangere.

Se vi occorre qualcuno per giustificare un intervento militare, Kouchner è l’uomo per voi. Se si fosse trovato al Quai d’Orsay nel marzo del 2003, il suo contributo alla débacle irachena sarebbe stato quello di consigliare a George W. Bush di abbandonare l’idea delle “armi di distruzione di massa” e intraprendere la sua guerra per i “diritti umani”, allo scopo di “sbarazzarsi del dittatore Saddam Hussein”. Almeno, è ciò che, da allora, lui ha detto ripetutamente. Kouchner ritiene un peccato che GWB abbia usato il pretesto sbagliato per distruggere l’Iraq. Ha persino incolpato la Francia di “forzare” le Nazioni Unite ad accelerare l’invasione brandendo la minaccia di un veto del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Non gli è venuto in mente che la combriccola Cheney-Wolfowitz riteneva che spaventare il popolo americano con l’inganno della “autodifesa” avrebbe funzionato meglio che fare appello al suo altruismo. In entrambi i casi, l’Iraq è in rovina, il che non sembra disturbare l’umanitario in carriera più famoso di Francia.

Finora, non ci sono chiare indicazioni che Sarkozy voglia coinvolgere la Francia in una guerra. Allora, a che serve Kouchner? Certamente la sua esperienza come capo della missione ONU in Kosovo (UNMIK) non ha fatto nulla per alterare l’impressione che sia molto meno dotato nell’amministrazione che nella auto-promozione. Ma questo è il talento maggiore del suo nuovo capo, che non è certo uno che voglia dividere le luci della ribalta. A parte aiutare il partito di Sarkozy a vincere le imminenti elezioni parlamentari, non è chiaro quale sia l’utilizzo di Kouchner o per quanto tempo potrà conservare il posto di lavoro.

Ha iniziato nel modo classico, rilasciando dichiarazioni demenziali destinate a fare colpo sui media. La creazione di un tribunale internazionale speciale per processare gli assassini (non identificati) dell’ex primo ministro libanese Rafik Hariri “dimostra la volontà della comunità internazionale di rinforzare la stabilità in Libano”, secondo Kouchner. In realtà, la politicizzazione internazionale del caso finirà quasi certamente per aumentare la destabilizzazione di quel paese. Kouchner ha continuato dicendo che il tribunale speciale corrispondeva “ai desideri del popolo libanese, di tutte le parti e di ogni credo religioso”, e questo, di nuovo, semplicemente non è vero. Piuttosto, quasi metà della popolazione libanese sospetta che un tribunale internazionale sponsorizzato dalle potenze occidentali sia stato istituito per essere usato come strumento per incolpare la Siria, come pretesto per la guerra e per incriminare gli Hezbollah, costantemente descritti come “alleati della Siria”.  Questo tribunale sponsorizzato dall’Occidente non prenderà certamente in considerazione il sospetto, ampiamente diffuso, che gli israeliani, o i nemici interni della destra di Hariri, o entrambi, abbiamo maggiormente a che fare con la recente ondata di assassini della Siria, la quale è stata il perdente principale nel caso Hariri.

In seguito, Kouchner è entrato nella scena Darfur proponendo che le forze armate francesi in Ciad creassero un “corridoio umanitario” per proteggere gli aiuti umanitari alle vittime del conflitto Darfur nel vicino Sudan. Le stesse organizzazioni umanitarie francesi che avevano fornito le fondamenta morali iniziali per l’appoggio di Kouchner all’intervento rinnegarono immediatamente questa idea come inappropriata.

Denis Lemasson di Médecins sans Frontières, che attualmente ha 2000 operatori che aiutano i civili in Darfur, ha definito “pericolosa” la proposta di Kouchner, per via della confusione che creerebbe tra le operazioni militari e quelle umanitarie. Qualsiasi intervento militare costringerebbe al ritiro gran parte delle organizzazioni di soccorso e renderebbe la situazione peggiore di quella odierna, ha sottolineato.

Tutte le organizzazioni di soccorso francesi, MsF, Action contre la Faim, Solidarités e persino Médecins du Monde (MdM) concordano sul fatto che l’unico modo possibile per interrompere la guerra civile tra l’esercito sudanese, la milizia Janajaweed e vari gruppi ribelli deve essere un accordo politico, non un intervento militare. Il presidente di MdM Pierre Micheletti sottolinea che la popolazione è sparpagliata “a macchia di leopardo” in una regione grande quanto la Francia, all’interno di enclave controllate da una parte o dall’altra, senza linee di fronte.

Lemasson osserva che le passate esperienze di “interferenza umanitaria” confermano le loro preoccupazioni. L’operazione “milito-umanitaria” statunitense in Somalia nel 1992 e le “zone di sicurezza” in Bosnia hanno tutte creato illusioni e condotto al disastro. Inoltre, aggiunge Alain Boinet, capo di Solidarités, il fallimento in Iraq dimostra che la pace non può essere imposta.

Quindi Kouchner è arrivato troppo tardi. È in ritardo anche per saltare sul carrozzone di Bush diretto all’inferno iracheno. Ha già perso ogni credibilità tra coloro che sanno bene cos’è veramente un “intervento umanitario” e che tendevano a ritornare al vecchio modello di neutralità della Croce Rossa per avere accesso alle vittime. Mantiene la sua popolarità tra il pubblico generale solo perché la sua immagine mediatica, attentamente coltivata, non è stata sottoposta a uno scrutinio pubblico.

Kouchner può anche essere una figura comica, ma la sua commedia nasconde due tragedie. Una è la tragedia delle speranze di un autentico cambiamento sociale che fiorirono nel Maggio ’68, solo per essere distrutte quarant’anni dopo dall’alleanza tra un Sarkozy che le ripudia e un Kouchner che ne è la parodia. L’altra è la tragedia di quello che la politica estera francese poteva essere e sarebbe dovuta essere, come è apparsa fugacemente durante il memorabile 14 febbraio 2003, nel discorso di Dominique de Villepin al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Contrariamente alle regole e al costume, l’assemblea esplose in un applauso. Sembrò, per un momento, che la Francia potesse essere la voce della ragione, del realismo, della pace, per un mondo migliore.

Una Francia simile era, ed è, disperatamente necessaria. Ma ciò che abbiamo, invece, è un altro cagnolino da compagnia.


Diana Johnstone è l’autrice di “La crociata dei folli: Jugoslavia, NATO e le illusioni dell’Occidente”. Vive a Parigi e può essere contattata tramite dianajohnstone    @...

Traduzione a cura di Manuela per il CNJ

 




A causa di sopraggiunte difficoltà dei relatori, l'iniziativa prevista per la sera del 6 luglio a
Bologna, promossa da CNJ ed Ass. marxista politica e classe, è rinviata a data da destinarsi.
Ce ne scusiamo con tutti gli interessati.